A N N O III - N . 15 5 © F E B B R A IO 1922 C. ^C. r â W s ia . s a ie ir a - s a le c is iit w r te c lie s u c c e s s e , L U C I O c tl û £ fftr a iiic le < á ítf@ á á a > . R I D E N « la T I R i e n n e v a p l u s i N è o n d t i >' ***** e c s t a r r u t I■ °1 V ia ^ g ia io r à , s c ir v iie v i dei T L S R C A H V E E L g E R U E s ( a « s e ^ n i p e i v ia jl» a i c r i) d e lla B a C c m l i a che sono f o r m a lità d e l n m c e m l t a a a le n a p a g a b ili in ta tti m senza i paesi o n d o » l t o a S o r e A l m C i n l l i , D i r a t a n t a e t e t t o , , L L n e G i n u p E G , M a a S i , T G r t a a m o A m t a a n b b a , r c o o , j . . . j I 1 l i I ...è b a u l i b r o d i t f e a f r © e b e l i f io r im a m c ia r © a l t e a t r o p e r s f a r e a c a s a a le g s fg e r e i l l i b r o . . . L E D I T O R I A L E i r e l V E C C H I i - PS f i E A W O 1 a i “ L e p r o s s im d o n n e e d a c h e s o n o g r id a r e s o n o le p iù te n ta n o s u i d i a b b a tte r e i l i a e e r g ( T r a d u z io n e e G i n r a n i i ® a i n ir ® P c r p G l r g e m e re c o n iu g a le b e l le r id u z io n e B È J& r m è. A W a m ^S sL e r o u n f e r r e i© s t e m a b itu a te p e r ic o lo s e : C cobbbB B t e o o m te r r ito r io s te s s e G o g io r n o r iv a li , , m i t i B s u llo a q d i L u c io e t a z s ii m y s R id e n ti) i o n e J s ^ S B i W R - jl W L a JB K A n n o 1XE - N. 15 Febbraio 1922 r iu o t ja O G L c i i q r o u n d c k L U G C / u I O u m R i é I D o < s m , E c iw N O F F IC I. V IA G IA C O M O B O V E ,, 2 U N FASCICOLO L. 1,50 - A B B O N A M E N T O A N N U O C C E R IO R O C C A “ ElBNA — Ci ho pensato tutta la notte. E ’ grave Scelsi — Questo è vero. Elena — Dunque? il passo elle voglio fare. — Voglio fa rli vedere che non Scelsi ( preoccupalo) — Non lo lare, ti prego; Scelsi (deciso) ■ ho paura, che accetto la sorte che la tua non complicare le cose. imprudenza mi ha regalato, e che non pia Elena — Le semplifico : racconto tutto a Gris gnucolo, cercando grazia. Adesso sono io che sini. Denunzio la mia infedeltà; il mio pecca voglio battermi all’ultimo sangue. Non sono lo; la vile manovra di mio marito. più loro, capisci? Sono io — e se tu parle Scelsi (con un balzo) — E io te lo proibisco 1 rai con Grissini mi batterò anche con lui. Elena — Perchè? Scelsi — Perchè vorrebbe dire aggiungere ro Elena — Renato, ma pensa alla mia angoscia! vina, alla rovina, travolgere tutto, disperdere Scelsi — Ho bisogno di essere sereno; e per adesso non ci penso come tu non devi pen anche Pultimo briciolo di speranza... sare alla mia. Vattene, perchè potrebbe arri Elena — Non ti capisco, scusa. vare da un momento all’altro: lasciami solo! Scelsi — Oh, io so benissimo che tu non ca pisci! Ma è necessario che non capisca. E’ Elena (angosciata) — Non mi amerai più? necessario soltanto che tu taccia! E poi, per Scelsi (sospingendola verso il fondo) •— Que sto non te lo posso dire: dipende dalle cir chè parlare, perchè? per salvare che cosa? costanze (minaccioso) Ma, se parli, bada, Io sono un rottame. Forse non troverei mai se parli. più nulla vita un’occasione più nobile, pili bella, e più stoicamente discreta ed eroica Elena — Dal momento che in non vuoi... Scelsi — Brava. E addio. per andarmene... Elena (traendo un ramoscello dal manicotto, e Elena (alzandosi, avvicinandosi a Scelsi) — porgendolo a Scelsi) — Ti ho portato questo No; senti, Renato: mio marito è un delin ramo di vischio. quente... Scelsi — Ma sono quei delinquenti di cui il Scelsi (prendendolo) — Grazie. codice non si occupa. Dunque figurano ed Elena — Mettilo sopra il letto, porta fortuna. agiscono come persone per bene. E ’ inutile Scelsi — Lo so, grazie. Elena — Addio (esce). discutere. Scelsi (gironzola su e giù per la stanza, gioche Glena — E Grissini è un pupazzo. rellando nervosamente con quel ramoscello Scelsi (con un’aria di compatimento, come di vischio, che poi butta sopra il letto). colui che la sa lunga) •— Credi? Scelsi (a Giacinto che appare) — Giacinto, è Elena — In fondo Grissini non ti vuol male. andata via? Scelsi — Oh, non farti illusioni! Giacinto — Sissignore. Glena — Perchè ti dovrebbe voler male? Scelsi — Non si sa inai. Gli sarò antipatico. Scelsi — E ricordati che non la voglio più ve dere, che non sono più in casa per nessuna Elena — Fino al punto di desiderare la tua donna. (Giacinto si inchina e esce) (Scelsi, morte? dandosi la mano improvvisamente sulla fron Scelsi — Fino a quel punto. te) — Ah, il dottore (al telefono) 4.0.6. I l Elena (decisa) — Non è possibile. Io gli dottor Giani? Io, Scelsi. Se vuole venire da parlo. tne, dottore... Bene, grazie. Anche i l cuore Scelsi ( minaccioso) — Elena! bene. Ma ho bisogno di parlare un poco con Elena -— T i devo questo sacrificio. E ’ dove lei. Alle undici! Prima non è possibile. roso: lo farò. (Accende un’altra sigaretta. D’un tratto, ap Scelsi — Non voglio! pare Tanzi, seguito da G rilli. Tanzi im palli Elena — Non potrai impedirmelo. disce vedendo Scelsi si arresta, traballa, re Scelsi {stringendo i pugni) — Io, con tutte le trocede, urta contro. G rilli che lo segue). mie forze — che sono te rrib ili perchè sono forse le ultime. — Tu non allargherai la Tanzi — Ma questo è un agguato. (E ’ un uomo sulla cinquantina, viso giallo, cerchia del pettegolezzo; tu non mi nuocerai più oltre. Grissini avrebbe mille ragioni per grinzuto, capelli rossicci, ritin ti, barbetta gri gia. Ha una sciarpa pesante di lana attorno al odiarmi ima volta di più. Elena — Ma non è possibile, scusa, che ne collo; il pastrano azzurro il cappello in mano. E’ un triste malandato sentimentale, sorretto da derivi un guaio maggiore! GIIVO ROCCA una signorilità fiera e bonaria, sciupato dalle delusioni e dagli acciacchi). Scelsi ( molto deferente e complimentoso) — No, si accomodi, sono io. Non è un agguato. Tanzi (a G rilli severamente) — M i sono fidato di lei, signor G rilli. Scelsi (e. s.) -— Si accomodi. Volevo prima di tutto farle vedere questo ( fruga nelle tasche per trarne una lettera). Tanzi (con un balzo indietro, pallidissimo) — Io non lio armi, signore. Scelsi — E nemmeno io. Legga! (a G rilli) Da gliela tu. Legga. G r illi (prende la lettera e la porge a Tanzi. Tanzi, dopo un ultimo di esitazione, la legge) Tanzi (restituendola a G rilli) — Che scioc chezza è questa? Scelsi (timidamente) —- Sa? Tho scritta io. Tanzi — Lo vedo. Scelsi — Era per dimostrarle con quale senso di rispetto volevo subito riconoscere il mio torto... Ia n zi —- Tanto è vero che stasera o domani ci batteremo alla pistola! Lei è ancora in tempo, se crede, per far pervenire questa lettera ai miei padrini. (facendo Tatto di andarsene) Io non ho altro da dirle. Scelsi ( trattenendolo) — Ma non perverrà mai. Tanzi (duramente) — Tanto meglio. Non pensi che io tema i l suo odio, per quanto, ineomprensibile e la sua bestiale cocciuttagine ? Scelsi — Ma che cocciuti aggine, signor conte! Io ho voluto soltanto dimostrare, con quella lettera, che con me si può discutere, ci si può trattenere senza pericolo; che non sono un pazzo. Ianzi (fissandolo) — Perchè dovrei intratte nermi con lei? Scelsi — Le devo diri) alcune cosuccie inte ressanti. Tanzi (eccitandosi un poco) — Senta bene, si gnor Scelsi: io non ho un minuto di tempo da perdere. Ho m olti affari da sistemare prima di sera. Vorrei consigliare anche lei di fare altrettanto, se non sapessi che la sua vita non è legata da alcun interesse ed alcun affetto. Sotto un certo punto di vista la in vi dio. E’ giustificabile la sua spensierata leg gerezza. Ma la questione nella quale m i sono trovato improvvisamente coinvolto è troppo grave perchè un uomo serio come me, non pensi alle conseguenze che essa può avere e non provveda. Io sono atteso dal mio avvo cato, e non ho un minuto di tempo da per dere. Arrivederci, signore! (fa ancora Tatto di andarsene). Scelsi — Lei pensa ancora a fare testamento? Tanzi — Io ho un figlio. Scelsi (con un sorriso idiota) — Suo? Tanzi (punto) — Come sarebbe a dire? Scelsi (e. s.) — Non ha avuto un dubbio, mai? Tanzi (fremente a G rilli) — Ah; ma G rilli! Mi meraviglio di lei? G r illi (cercando di indurre Scelsi a parlare) — Scusa, Scelsi... Scelsi (a Tanzi) — Io so molte cose, perchè me le ha dette lei. Io sono quel tenente del fif'haus: Non ricorda più la notte udinese, il bombardamento d’inferno, quella tana buia, quel tenente che le era vicino ed al quale lei si è confidato, si è confidato per ore e ore, che lei ha abbraccialo anche in un momento di terrore? Sono io! Tanzi ( sorpreso) — Lei? Scelsi — Io. Non posso dirle: « m i guardi», perchè quella volta non mi ha veduto, nia sono io! Tanzi — M i ricordo... Scelsi — Ho tanto cercato di lei dopo la guer ra a Firenze, a Udine spesso... Tanzi — Io sono stato molto a ll’estero. Scelsi — M i era rimasto un cosi grato, mi così simpatico ricordo di quella nostra strana ami cizia... Tanzi (con dolore) — E perchè allora ha vo luto che quella nostra strana amicizia per uno stupido equivoco che era tanto facile a riconoscere finisse in un modo così tragico? Scelsi — Ma non sono io che lo voglio, signor conte. Tanzi — E chi dunque? Scelsi (eccitandosi) — Non me lo chieda. Guardi, quella notte piovevano bombe da tutte le parti intorno a noi; e si pensava dì morire. Io non pensavo di morire per colpa sua; lei non pensava di morire per colpa mia. Io ero lì per forza, lei per combinazione; come questa volta eravamo in balìa del de stino di uno spietato destino come questa volta. Di chi la colpa? Non si sarebbe potuto vivere. Non m i chiedo di chi è la colpa que sta volta. Non glielo potrei dire; sappia sol tanto che io sono un disgraziato che quella lettera l ’ho scritta subito appena ho saputo che si trattava di lei. Che io le voglio bene. Che ho molto sofferto per malinconia di « MEZZO GAUDIO » quelle confidenze e di quella notte e che mi sono occupato della sua felicità del suo ono re seriamente e disinteressatamente con onestà, (si stringono la mano) e di questo che oggi ho assoluto bisogno di parlarle. G r illi (« Scelsi, sbadigliando) — Senti, io posso andarmene? Scelsi — Sì, puoi andartene, G rilli. Grazie. Penso io riaccompagnare a casa il conte. Tanzi — Ma lei non può. Scelsi — Già, è vero. Tanzi (sorridendo) -— Me ne andrò da solo e non ci pensi (G rilli saluta ed esce. Scelsi lo accompagna fino sulla soglia. Intanto Tanzi si toglie la sciarpa di lana che depone con il cappello sopra la sedia). Scelsi — Ida fatto testamento questa \oita? Tanzi — Sì, l'ho fatto. Scelsi — In favore del piccolo? Tanzi — Sì. Scelsi (con un guizzo) — Ed ha fallo bene, perchè il piccolo è suo. Tanzi (mii po’ contrariato) — Non ritorniamo su questo argomento. La prego. Scelsi — No, dobbiamo insistere con forza,con gioia! Perchè il piccolo è suo, c suo. Io lo so. Tanzi — Ma come? Scelsi — I l caso! Crede lei alla divinità del caso ? Io sì : io non ho altro Dio avanti di me. Senta: da Udine, dopo Caporetto, mi sono trovato in linea. Sul Grappa coman davo una batteria e ho conosciuto un uffi ciale di collegamento che per ragioni del suo servizio veniva spesso alla nostra mensa. QuelPufficiale lo deve ricordare bene anche lei. Aveva uno strano nome biblico... è vero? E’ morto lassù. Ma prima mi ha fatto delle confidenze, m i ha fatto vedere delle lettere. In guerra far vedere le lettere delle proprie amanti non voleva dire essere dei nnalscalzoni; c’era un’altra mentalità, un’al tra morale. La base di questa morale inse gnava che uccidere era un atto di eroismo e non un delitto. Dunque tutto capovolto. (estrae da un cassetto un taccuino e ogni tanto lo consulta) Suo figlio è nato a N... nel 1916 in dicembre. Ebbene questo ufficiale era stato l ’amante di sua moglie, la contessa Tanzi: su questo non c’è dubbio. Però non aveva avuto più rapporti con lei fin dal giugno del 1915. Tanzi (ha le lagrime agli occhi). Scelsi (commosso) — Signor conte! (si avvi cina a Tanzi). Tanzi — Abbia pazienza, io sono latto cosi. Ricorda quella notte? Poi mi riprendo. Ma subito ho sentito di abbrancarmi a lei come un naufrago. Scelsi — Ed io a lei. (Si abbracciano) Giacinto (apparendo sulla soglia) — Signor avvocato. Scelsi (balzando) — Chi c’è? Giacinto — Ci sono quei due signori. Scelsi (pallidissimo) — I padrini? Giacinto — Sissignore. Scelsi (senza fiato) — Oh Dio! Falli aspetta re... trattienili in anticamera (sospinge fuori Giacinto e chiude la porta) Se ci trovano qui capirete, succede i l finimondo. Tanzi — Oh, lo credo bene! (prende il cap pello). Scelsi (si guarda intorno smarrito) —• Uscire è impossibile. Ha la carrozza di fuori? Tanzi -— Credo di sì. Se G rilli non me l ’ha portata via... Scelsi -— Questione di un minuto. L i liquido subito. Intanto si nasconda là dentro (lo spinge verso il camerino da bagno). Tanzi (prima di varcare la soglia) Che cosa c’è?! Scelsi — I l bagno. Lasci lare a me; un minuto solo, (chiude Tanzi nel bagno, si ricompone, asciuga la fronte sudata, riprende fiato, suo na. A Giacinto che appare, con una disinvol tura forzata) — Giacinto, fa lli passare, (si fa incontro a Giù cd a Grissini che entrano torvi e circospetti, fiutando l ’aria, con una falsa gioia) — Oh! buon giorno! Qual buon vento ? G rissini (sarcastico) — Disturbiamo? Scelsi — No, perchè? Giù — Ci hai fatto fare dieci minuti di anti camera, che questo disordine, del resto, spiegu benissimo. Scelsi (un po’ imbarazzato) — Stavo mettendo a posto certe mie carte... Giù (scrutando) — Ma il disordine mi sembra più evidente e più eloquente sulla tua fac cia... G rissini (che ha fiutato come un cane dovun que, indicando la porticina chiusa del ca merino) — Che cosa c’è di là? Scelsi •— I l bagno! Grissini — Anche il bagno? (.INO KGCCA Scelsi — Sa, io io faccio ogni mattina... Grissini — Approvo. Grù (che ha travato il ramoscello sopra il letto) — Ah, hai anche tu il vischio! Porta fortuna. Bisogna appenderlo sopra il letto. Scelsi — Non ho fatto in tempo ancora. Grù (scrutandolo) — Te lo hanno portato sta mattina ? Scelsi — Sì, il portinaio... per giustificare la mancia. Sai siamo vicini alle feste! Giù (torvo) — Ne ha portato a casa anche mia moglie, ieri sera, un fascio così... (collo da un’idea improvvisa) Hai il telefono? Scelsi (indicandolo) — Eccolo. Giù (si avvicina al telefono) — Permetti? Scelsi — Ma fai pure. Giù — \ oglio mandar a dire a casa che oggi non ci sono a colazione (telefonando) 90.06 — Sì, Signorina, 90.06. Grissini (che scruta tutto sospettosamente) — Bello; lutto bello qua dentro. Molto chic, molto invitante! Scelsi (a Grissini) — Sa, casa di scapolo... Grissini (feroce) — Garçonnière!! Scelsi -— Un poco... Grù (telefonando) — Pronto - sei tu - Ernesto? Oggi non vengo a colazione. Non importa. Va bene è in casa la signora? Uscita? Di mattina? E ’ strano, e da quando?... Va bene, grazie, (non toglie più gli occhi di dosso a Scelsi, che è sempre più confuso). Grissini (a Scelsi) — Oggi si fa colazione fuo ri, è vero? Scelsi —- Già, dobbiamo far colazione fuori... Me ne ero dimenticato. Ci vedremo dunque al « Savirii »? Grissini (sorpreso ed. irato) — Al « Savini »? E erede che noi la condurremo al « Savini »? Scelsi — Perchè? Giù — Ma se ci va sempre il conte Tan zi.> Scelsi — E che cosa importa? Giù — Non dovete incontrarvi. Potrebbe sor gere un nuovo incidente che è necessario evi tare prima dello scontro. Scelsi — Ma che cosa vuoi che succeda? Siamo due persone educate e ci stimiamo reciproca mente tali... Giù (fissando la porta del camerino da bagno) Se facessimo colazione qui! Scelsi (traballando) — Qui!? Giù — Qua dentro! Grissini (con gioia) — E ’ un’idea. Scelsi (molto imbarazzalo) — Ma siete inatti... Io non posso, io qui dormo e poi, poi non c’è cucina... e poi... Giù (avanzando minaccioso verso Scelsi) — Qua dentro, quando siamo entrati, non c’era per caso una donna? Grissini —• Ah, io non mi sono sbagliato, Ubo capito subito, sa? Scelsi — Ma credete che alla vigilia di un duello così grave... G rissini — Sicuro, quello è il bagno. Non può averla nascosta che là dentro. Scelsi — Ma — scusate — che cosa importa a voi? Giù — Dobbiamo sapere. Grissini — Vogliamo sapere. Scelsi — Ah, è buffissimo il fatto che io debba mettermi sotto la vostra tutela. Non c’è nes suna donna... ma credo che, anche se ci losse... I:Io più di trent’anni, infine... Grissini — Ma noi dobbiamo portare lei sul terreno, capisce? Vogliamo sapere in che con dizioni portiamo lei sul terreno. Non siamo dei macellai. Scelsi — Ma avete tutta l ’aria di esserlo. Giù (a Scelsi) — Senti, è una donna clic co nosco io? G rissini — Forse la conosco io? Giù (nervoso a Grissini) — Tu taci: lascia fare a me! Grissini (scattando) — Ma che taci! questo bugigattolo e questi misteri mi fanno girare la testa, (a Scelsi, avviandosi, verso il came rino) M i lasci vedere... Scelsi (urtandolo fa vacillare Grissini) — Ma sa che lei è... G rissini (andando risolutamente verso la ma ni,glia. della porticina) — O qui succede qual che cosa di serio! Giù (trattenendo invano Grissini) — No. vo glio vedere io! (Si spalanca la porta; ed appare, sulla so glia immobile la figura magra, la faccia scolo rita di Tanzi). Grissini (indietreggiando sbalordito) — Chi? Lui ? Giù — (non può persuadersi, guardando dentro il camerino) — E dietro che cosa c’è la dentro? I anzi (calmo) — Un accappatoio. Giù —-Va bene. Ma c’era anche lei. (a Scelsi) Scelsi, tu ci renderai conto. Tu non ei farai fare la figura dei pagliacci! Grissini (urlando) —- Ah, perdio! I pagliacci 1 <( MEZZO GAUDIO » poi no! Come mai quel signore con il quale lei deve battersi domani è in casa sua? Scelsi (deciso) — E volete sapere tutto? Pro prio tutto? Io ed il conte Tanzi abbiamo dei rapporti d’affari. Grissini (incredulo) — Da quando? Scelsi — Da molti anni, senza conoscerci per sonalmente; ma importanti lo stesso per lui e per me. Era necessario mettere a posto al cune faccende un po’ ingarbugliate, a voce, prima dello scontro, che può essere mortale per uno di noi. Sul terreno non ci avreste consentito di parlare? Scelsi —- Ah, no, certo. Scelsi — Lo sapevamo, e ei siam messi d’accordo F is s e qui. Ora tutto è detto, tutto è l'atto. Noi r i diventeremo i due avversari che si detestano lino al punto da scambiarsi cinque colpi di pistola a dieci passi... Tanzi — Venti, almeno, credo, venti... Giù — Venti... Scelsi ( mirando) — E il signor conte può an darsene. Ecco la sua sciarpa! (Gli porge la sciarpa di lana) Arrivederla. Si accomodi di qua. Tanzi (spettrale, rigido, prima di andarsene) — Signori ! Scelsi (freddissimo) — Signore! (Senza inchinarsi, Tanzi si rigira ed esce). e le i s e c o m o S e L U I G I C a tto H L ’ a u t o r e coirò r a p p r e s e n t a t o «a* M a lia . “ L a m a s c h e r a e SI v o l t o » S u r e c i t a t a la p r im a v o lta i l 2 9 m a g g i o 191® tra o tta n ta n o v e a n n i ( e C o rs e m e n o ) q u e s to r ic o r r e n z a s a r à d ic h ia r a t o r e s t o N a z io n a le I A R I L E C P E C I I C L L E D C I L L I O N O C O C 0 S t o r ie e L d i d i s c im m ie n o m in i NEL PROSSIMO NUMERO (La casa dell’avv. Grissini è invasa dalla studio legale che è attiguo: trasandato, pol veroso, « commerciale » con qualche tratto di ricchezza pesante. Mancano i rintocchi semplici e miracolosi di una persona di gusto. Qui siamo in una specie di salotto che è anti camera e biblioteca. Scaffali di lib ri, mal r i legati contro la parete eli fondo, e la scrivania macchiata e rosicchiata di un usciere, dinanzi cui un divano di cuoio, fra tre seggiole impa gliate. A destra due porte : la prima conduce allo studio dell’avvocato, ed è sempre spalancata su di un corridoio buio e stretto che scende. Per l ’altra si entra nell’appartamento della famiglia, ed è chiusa e ricoperta da una tenda. A sinistra certe poltrone scompagnate, una bellissima, le altre o rribili. Ed una grande fi nestra dai vetri colorati. La comune è in fondo a sinistra. Si apre su di un’antisala chiara e spoglia. La signora Dora Grissini, padrona di casa, è forse più giovane della signora Già, ma noti ricorre ad alcun mezzo per dimostrarlo. E’ un poco come la propria casa, triste, taciturna, piagnucolosa, senza una vera linea di cura elegante. Spaurita dinanzi al marito, avrà cjuel facile e pronto sorriso per tutti che è la rinunzia ad ogtd volontà e ad ogni affermazione precisa di carattere. « MEZZO GAUDIO »> Quando entra Scelsi la scena è vuota. Scelsi ha lasciato la pelliccia nell’antisala, ed entra battendo i piedi e stroppicciandosi le mani. E’ giorno pieno. I vetri, colorati della finestra rivelano un sole invernale nitido e bianco. Una cameriera precede Scelsi. Scelsi — C’è l ’avvocato Grissini? Cameriera — Nossignore. Scelsi (sorpreso, consulta l ’orologio) — No? Cameriera — A meno che non sia entrato sen za avvertire per andare nello studio... Se vuole vado a vedere. Scelsi — Grazie. Cameriera — Vuole intanto che avverta la si gnora? Scelsi (vivamente) — No, no! E ’ l ’avvocato che io devo vedere? Lasci stare la signora. (La cameriera esce per la prima porta di de stra. Scelsi è molto pallido, molto preoccupato e nervoso. Nell’attesa, sgranchisce le gambe e le braccia. Dora entra dalla seconda porta di destra. Vedendo Scelsi, si arresta, traballa, si abbranca alla tenda per non cadere. E ’ vestita da casa, con molta semplicità). Dora (coti la voce spenta dall’emozione) — Scelsi ? !... Scelsi (rigirandosi, contrariato) — Ali, lei?... Buon giorno. Dora (e. s.) — Che cosa fa qui? Scelsi — Volevo... Dora — Cercava me..... non è vero? Ma è pazzo? SCELSI — Veramente io volevo... Dora (con tono di rimprovero) — Se mio ma rito la trova qui Scelsi! Scelsi (scattando) — E che cosa vuole che mi l'accia, ancora, suo marito? Vuole che mi strappi la lingua, che mi cavi gli occhi, che inventi un supplizio nuovo per me? Che cosa crede che voglia di più? Dora (inorridita) — Ma non dica queste cose! (Si stacca dalla tenda, si copre il volto con le mani e si lascia cadere sul divano). Scelsi — Del resto io sono qui, perchè mi han no mandato a dire — lu i e l ’altro — che mi aspettano qui per le tre e mezza. E’ necessa rio che io conosca subito le conclusioni de finitive. Oggi si abboccano per l ’ultima volta, con i padrini del conte Tanzi, nello studio suo. Deve venire anche il Commendatore Giù..... Cameriera (apparendo sulla soglia della prima porta di destra) — Nello studio non c’è nes suno... Scelsi (consultando ancora l ’orologio) — Ma sono le tre e un quarto... Dora — Forse è i l Tribunale che lo fa ritarda re. So che oggi si discuteva una causa im portante... (La cameriera esce. Scelsi comincia a cam minare su e giù per la scena, molto preoccu pato; gesticolando). Dora — Ma che cosa ha? Scelsi — Mi perdoni : io sono nervosissimo. oggi— Dora (con le lagrime in gola) — E per col pa mia! Scelsi (riprendendosi) — Basta: non ci pensia mo. Non ne parliamo più. I l male è fatto. Ora si tratta di affrontare quanto più serena mente è possibile. Colpa sua, va bene. Ma dopo tutto anche colpa mia. Perchè io, al lora... Dora — Oh, lei mi ha trattato molto male, al lora ! Scelsi — Non dica questo! Dora (con malinconia) — Come una cocotte. Se ne è andato così, senza una parola, verso al tri amori. Ed io, che le avevo dato tutto, non ho saputo negarle, nemmeno il perdono! ed ho continuato a pensare a lei con tanta tene rezza, con tanta bontà! Non mi pareva che fosse più amore, ormai, tanto era diventato onesto e disinteressato il mio sentimento... Ma il giorno che mio marito mi ha parlato di duello... Scelsi (alzando le spalle, seccatoi —- Duello! Non sarbbe stato un duello! Dora — Oli, quel giorno me ne sono accorta! F. come, Scelsi! Che cosa ha fatto lei di me! Scelsi — Va bene. Ma le lettere? che bisogno c’era di conservare le lettere? Dora — Memorie... Mi pareva clic non avessero importanza. Scelsi — E io ci lascio la pelle sii quelle me morie ! Dora (angosciata) -— Ma sarà grave? Dica: sarà grave ? Scelsi — Cosi vogliono i miei signori padrini. Dora (scattando) — E mio marito anche vuole! Oh, io lo conosco, sa? Io so che è capace di lutto, anche di una vigliaccheria simile. H commendatore Giù in fondo le vuol bene. Scelsi (ironico) — Lei crede? GINO ROCCA Dora — Ma è nelle mani di mio marito. Chi sa che cosa gli ha dato da intendere! Oh, non è la prima volta. Anche nel famoso processo della Cotoniera — un altro genere di affari — è stato raggirato così. Ed ha fatto una figura! Scelsi (grattandosi un orecchio) — Davvero? Oh guarda! Dora — Lei non conosce la furberia diabolica di quell’uomo, con il quale io, sono costretta a vivere per sempre. M i ero fatta delle illu sioni quando lei disse di amarmi... Scelsi — Illusioni su di me? Dora — Adesso mi ero rassegnata. Ma da due giorni, da quando questo infame delitto si sta tramando, non dormo, non mangio, non vivo più. Ah, se l ’altro, se il commendatore, poveretto sapesse!... (decisa) Senta, Scelsi... (Entra Giù dal fondo. E’ torvo, come il so lito, torna dal Tribunale. Ha lasciato il pa strano nell'antisala, ma ha una cartella sotto il braccio). Giù (a Dora) — Buon giorno, Signora! (le stringe la mano) (a Scelsi) Ciao, galantuomo. Hai la faccia di un condannato a morte. Scelsi (un po’ disorientato) — No, No. Stavamo anzi conversando piacevolmente di tante cose!... Giù — Permette, signora? prendo un appunto, prima che mi scappi di mente (si avvicina al la scrivania, estrae dalla busta un foglio di carta e scrive rapidamente alcune parole) E ’ tornato Grissini? Dora —- Non ancora. Giù (sorpreso) — Strano! Perchè ha lascialo il Tribunale prima di me... (scrive). Scelsi — Io vado in biblioteca a far quattro chiacchiere con Teodoro. Giù (che ha finito di scrivere, a Scelsi) — Ci aspetti, lìt ! ? Scelsi — O camminerò su e giù per il corridoio. Sono un poco nervoso, oggi (si avvia verso la prima porta di destra). Giù (crudele) — Non ti preoccupare, che do mani non lo sarai più. Scelsi (perplesso) — Scusa, è un augurio, que sto? Perchè domani non soltanto non potrei essere più nervoso, ma più niente!... Giù — Sono uno dei tuoi padrini, e sai benis simo ehe cosa posso pensare. Scelsi (amaramente) — Oh, lo so! lo so!... e allora bisogna che ti ringrazi per l ’augurio, (esce). Giù (piega e. ripone il foglio; e poi, si avvia) Dora (nervosissima trattenendolo) — Senta, commend atore... Giù (torvo) —- Che cosa vuole? Dora — Io sono in pena. Giù (c. s.) — Se posso esserle utile... Dora — M i deve dire... Loro oggi hanno un convegno decisivo, l ’ultimo, con i rappresen tanti del conte Tanzi. Giù (c. s.) — E che cosa le devo dire io-, si gnora? A me pare che lei sappia già troppo. Dora — Non so, indovino. Perchè da due giorni mio marito non parla più, ma indovino cose serie. Giù — Non è mai serio, signora, ciò che noi uomini raccogliamo sotto la bandiera rica mata ed altezzosa della cavalleria. Dora — Ma può essere mortale! Giù — Mortale, forse, ma non serio... Dia retta a me, signora, non si occupi di questa faccen da. Sarei così contento anch’io di disinteres sarmi se lo potessi... Dora — I l duello, dunque, si farà? Giù — Credo. Dora (balzando) — Ma è un delitto! Giù — Dicono di no! Dora — In questo caso è un delitto — e lei è un complice cieco, un mezzo comodo, una ma rionetta ridicola fra le mani di mio marito! Giù (con aria di compatimento) — Io mario netta fra le mani di suo marito? Dora — Si vuole assassinare un uomo. Giù — Scelsi? Si batterà; ecco tutto. Dora (eccitata) — Per un equivoco, per una sciocchezza che forse potrebbe schiarirsi coti due righe di scusa. Lei non sa a quale gioco feroce si presta la sua ingenuità, che cosa le fanno fare con poche frasi insidiose, di che cosa è capace mio marito quando vuole vendi carsi. Giù (sbalordito) — Vendicarsi contro Scelsi, lui? Dora (dopo un attimo, eroicamente) — Scelsi è stato il mio amante! Giù (ha un sogghigno istintivo e un fremito che tosto reprime nel dubbio di essere gio calo) — Lei scherza! Dora (abbassando gli occhi) — Non pensavo che avrei trovato il coraggio di confessarcelo. Presa alla gola, soffocata dalla disperazione e dal rimorso, lo faccio. Sarei vile, se non lo facessi. E’ stato il mio amante e mio marito lo sa. « MEZZO GAU»J6 » Giù (indagando, perplesso) — Lo sospetta, forse... Dora (con forza) — Lo sa. Giù — Ha avuto in mano la prova?... Parlo di prove palmari, innegabili, positive. Dora — Ha trovato certe lettere che io ho avuto la leggerezza di conservare in fondo ad un cassetto. Giù (con gli occhi sfavillanti di malizia e eli gioia) — E le ha lette? Dora — Lo credo bene. Giù — Attentamente, parola per parola, in modo da non avere più alcun dubbio? Dora — Ma perchè mi chiede questo? Giù (soddisfatto, lisciandosi il mento) — Cosi ! E quando? Dora — Due giorni fa : il giorno in cui mi rac contò di essere padrino iti una vertenza fra Scelsi e il conte Tanzi. Ha indovinato qualche cosa attraverso la mia ansietà, mi ha stretto nelle domande. Ho confessato. Giù (e. s.) — Oh guarda! guarda! Dora — La notizia lo fa sorridere? Giù (riprendendosi) — Oh no! tu tt’’altro. Penso che il mio amico avrà sofferto molto... E non m i ha detto niente! Dora — Eh, no? altrimenti scopriva il proprio gioco, che è vile, mostruoso, indegno di un essere umano. Egli ha cercato di aggravare le circostanze. A lei chissà che cosa ha dato da intendere, per essere favorito nel proprio scopo! Ha spinto un incidente da nulla sino al duello che si farà, immagino, nelle condi. /.ioni più gravi. Giù — Questo può darsi. Dora — Ma lei non si presterà, commendatore, ad un simile complotto! lei si ribellerà con tutte le forze, è vero? Giù — Dovrei dire a suo marito... Dora (impressionata, vivamente) -— Oli, no! Giù — Lo so, lo so quello che devo dire; non dubiti... (ritorna la gioia maliziosa dei suoi occhi) Ed ha urlato molto? Dora — Oh, lei lo conosce abbastanza! Giù — Lei, però, lo ha tradito con entusiasmo, con gioia, con tutta l ’anima, anche... Dora — Ali, se Scelsi avesse voluto, non avrei esitato un solo istante ad andarmene cou lui! Giù (ghignando) — Scappava? ( riprendendosi) Poveretto, capisco perfettamente suo marito. Dora — Ma lo affronti, lo uccida... o uccida me... Io gli ho gridato: «U ccidim i». Era forse nel suo pieno diritto di farlo. Per quan to... Ma così, di traverso, senza correre alcun rischio, freddamente, mirando alla schiena... Giù — Non è eroico, si sa. Dora — Vero, commendatore? E lei non lo per metterà. Anche per la dignità sua, anche per non dare a quell’uonio l ’illusione di aver fatto di lei il proprio sgerro, il proprio burattino. Giù — Perchè, lui, è convinto di questo? Dora — Lo credo bene. E non è la prima volta, sa? Giù — Non è la prima volta? Dora — Voglio metterla in guardia, e se mi accontenta, le dirò tante altre cose, le svelerò tanti retroscene, che, forse potranno esserle u tili per l ’avvenire. Giù ( preoccupatissimo) — Retroscena? (Entra Eletta : pelliccia e cappello. Abbraccia con molta espansione Dora). Elena — Cara. Dora — Cara, come mai da me? Ei.ENA (togliendosi i guanti) -— Sono venuta a farti una visitina... (a Giù) Buon giorno, Gaetano! Non sapevo di trovarti qui! Giù (ad Eletta, insolitamente gentile) — Sei pal lida... Che cosa hai? Elena — Ho forse preso un po' di freddo in auto. Ho voluto tenere i vetri abbassati. Giù — Ma non devi! Elena — C’è i l sole! Giù — Però, è sempre dicembre; non lo di menticare. Dora — Vuoi una tazza di tè caldo? Elena — Grazie. (Dora suona). Elena (a Giù, scrutandolo) — Tu piuttosto bai una faccia strana... (Intanto Dora impartisce alcuni ordini alla cameriera per il tè). Giù (sorridendo) — Come? Elena — Non so: più luminosa... Giù — Ho ricevuto una bella notizia... Elena (sorpresa) — Davvero? Giù — Acida, ma, anche saporosa... Non sa prei dire. Ad ogni modo allegra. Dora (a Giù) — Lei vuole anche un po’ di tè, commendatore ? Giù — Io no, grazie. Vado in studio, può darsi elle sia già arrivato qualcuno. Dica a suo ma rito che l ’aspetto là... Ah, eccolo. (Entra Grissini, correndo, affaccendato. Men tre si svolge il dialogo seguente la cameriera porterà il vassoio con le due tazze e la teiera). GINO HOCCA per disporre sulla scrivania. Di fronte alla quale le due signore sono sedute). Grissini — C’è un uomo che mi aspetta in anticamera ( Vedendo Elena e stringendole la mano) — Buon giorno, signora! Devo correre in studio, dettare in fretta una lettera (a Giù) Sono venuti gli altri? Giù — Non credo (ironicamente a Grissini che si avvia di corsa) E’ un miracolo che tu non ti sia rotto Fosso del collo nella vita. G rissini (arrestandosi bruscamente, torvo, sor preso) — Perchè? Giù (lo guarda con una strana aria di compa timento) — Corri sempre! Pare che tu sia in calzato dalla vergogna di essere arrivato in ritardo una volta, la volta buona. G rissini (cui giunge nuovo ed incomprensi bile il tono di Giù) — Ma scusa non mi hai mai veduto affaccendato? Giù —- Oggi ti vedo meglio: più lucidamente. G rissini (scrutandolo) — Che cosa hai oggi? Giù — Io? niente. G rissini (guardandolo) — M i sembri allegro. Giù -— Ho ricevuto ima buona notizia. G rissini (avviandosi) — Complimenti! Io non mi arrabbio per questo, perchè non sono in vidioso, lo sai. Giù — Oh; lo credo bene. G rissini (esce correndo per la porta di destra. Ed anche Giù si avvia più lentamente, soddi sfatto, lisciandosi i baffi. A Dora) — Arrive derci, signora. Dora (smorzando la voce con un lampo di. in tesa negli occhi) — M i raccomando. Giù — Non dubiti, (esce) Dora (ad Elena, porgendo un piatto di dolci) — Non prendi uno di questi pasticcini? Elena — No, grazie (è inquieta, nervosa). Dora — Non hai bevuto nemmeno il tè; non ti piace? Elena — No, cara, no. Dora -— Vuoi qualche cosa altro? un caffè? un liquore? (osservando) Ma tu veramente non ti senti bene. Elena (decisa) ■ — Dora, io ho bisogno di par lare a tuo marito. E ’ inutile che a te lo na sconda. Sono qua per questo. Dora — Subito? Elena — Subito. Dora Ma adesso è molto occupato; Io hai visto. Elena — No, ritornerà. Ritornerà per parlare con quel commesso che attende in anticamera. Dora — Ebbene se si tratta di una cosa grave gliela puoi dire quando ritorna. Elena — Sì, ma tu devi farmi il piacere di la sciarmi sola con lui. Dora (incuriosita) — Ah? Elena — Due minuti. Dora (c. s.) — Si tratta di una cosa grave, im portante, segreta? Elena — Segreta in ogni modo: grave, forse. Dora — Mi metti in pensiero. Elena — No; non t ’impensierire, cara. E sopra tutto non andare troppo oltre con la tua fan tasia. Io ti conosco e so che galoppi volen tieri attraverso le nuvole. E ’ un’ombra che può essere facilmente dispersa. Dora — Si tratta di qualche ombra fra te e tuo marito? Elena — Forse. Ma non interrogarmi; ti prego — dopo forse — ti dirò. (Rientra Grissini, dallo studio. Ha una lettera in mano e la rilegge attentamente avviandosi verso Vantisala). Grissini (a Dora, aspramente) — Senti, se io trovo ancora un cumulo di immondizie din nanzi alla porta del mio studio che dà sulle scale... Dora (spaurita) — Ma sono i vicini, lo sai, Guelfo! Grissini (e. s.) — E Marietta? Che cosa ci sta a fare a questo mondo Marietta? A lustrare i ninnoli e le bocccttine del tuo « hudoir » particolare? Dille che se non fila... (alzando la voce) Diglielo subito! Dora (avviandosi verso la seconda porta di de stra) — Vado, vado, non gridare, (esce). G rissini (ad Elena) ■— Perdoni, signora. Ma è la porta dalla quale entrano i clienti, capisce? (Esce dal fondo per consegnare la lettera e rientra subito. Trova Elena che gli sbarra il passo). Elena •— Avvocato, oggi c’è la seduta decisiva con i rappresentanti del conte Tanzi per quella vertenza... G rissini (facendo Tatto di andarsene) — Ap punto per questo le domando scusa, signora. Elena (trattenendolo) — No, prima deve ascol tarmi. G rissini (con mala grazia) — lo non so cosa lei possa dirmi. Elena — Allora faccio appello se non alla sua cortesia, alla sua curiosità. G rissini — E’ uno strano modo di sbarrare il passo. « MEZZO GAUDIO » Elena — Due minuti di sop portazione, anche se sono già arrivati, i padrini del conte Tanzi, li avranno! Per un commesso lei ha sacrifi cato più tempo. Grissini — Non era precisa mente il commesso che mi interessava. Ma dica, se vuo le dire, se devo ascoltarla; dica presto. Elena — I l duello si svolgerà in condizioni gravi? Gkissini -— Non lo si sa. Elena (con forza) — Lo sape te, voi due lo sapete. Mio marito per lo meno lo sa, e sa fin dove vuole arrivare e perchè ci arriva. I l perchè lei lo ignora ed è logico dal momento che lei non è che un semplice incosciente, una marionetta, senza volontà, fra le mani di mio marito. Grissini (con un sorriso di compatimento) — Io mario netta? Credo che lei mi co nosca pochino assai, mia bel la signora! Elena -— Scelsi è il mio amante ! Grissini ( interdetto, soffocato dalla sorpresa e dalla tema di essere giocato) — E nem meno marionetta fra le sue mani, ha capito? Elena — M i ascolti? G rissini — Mi lasci andare. E Fawerto che, se ha inten zione di prendermi in giro... Elena (desolatamente) — Non mi crede? E ’ giusto. Tutto il mio passato è lì a testimo niare come io ho saputo es ser fedele ad un solo uomo, che, in fondo non meritava che il disprezzo e lo scher no. E’ giusto che non mi «reda. E mi sono dibattuta fra mille dubbi, dentro una angosciosa fine, sa? Prima di decidermi a fare questo pas- a n I o s e i m n o a R.* u m o r i s t a c i t o “ SL * S oat ss « r «o „ b a d e i im ito c a ia s t r o iic o 11 s a n g u e Ir e s i® !® d F s i e a d F c f l m e e l r r i e l e l e r e A i p r o s s im i n u m e r i so: prima di trovare la forza di confessare a lei... non ima colpa, sa? Non la ritengo una colpa. Ma mia malinconia profonda e dol cissima della mia vita. Mio marito, che non ha avuto il coraggio di agire virilmen te, lealmente, quando ha sa puto, si vendica così, di tra verso, come un bandito da strada, colpendo Scelsi alla schiena con questo duello, che si poteva facilmente evi tare. G rissini ( la cui faccia si è an data man mano schiarando) — Eviteremo. Elena (con forza) — Evitare. Oh, a lei chissà che cosa ha dato ad intendere! Lo cono sco e so di quali arti sottili si vale per abbindolare il prossimo. Non è la prima volta che lei ci casca, caro Grissini ! G rissini (sorpreso) — Io? Elena — Ma per quanto lei sia alPoscuro di questioni cavalleresche, come ha pen sato che si potevano portare due uomini sul terreno a quelle condizioni per una ragione puerile? per un r i mediabilissimo scambio di persone? Lei, immagino, avrà lasciato fare tutto a lui. G rissini (sorridendo lievemen te) — Tutto a lui, sì... Elena — E lui, mi par sentir lo: «Perchè vedi? io qui... io lì... Io di duelli me ne in tendo. E ’ già la dodicesima volta che faccio da padrino, sono stato presidente di va r i giurì di onore, mi sono battuto sei volte... ». Nien te vero, sa? Non ne capisce niente. Quando Scelsi, po veretto, è andato da lu i per pregarlo di questo favore, era preoccupato e imbroglia- CIÑO ROCCA to come se gli avessero dato da risolvere il problema della pace europea. Grissini — Ma sa? E lena — Che cosa? Grissini — Che fra lei e Scelsi... Cilena — Sfido ! Grissini — Non è che sospetti soltanto; sa. ElENA — Glielo ho confessato io, di fronte ad ima lettera. Grissini (ghignando) — Guarda, guarda! Eh a me non ha detto niente! ElENA — Ma certo! Svelava il proprio gioco! Che è quanto di più infame, di più feroce, di più basso si possa immaginare! Lei, spero, non si renderà complice di un simile delitto, avvocato, adesso che le ho rivelato tutto! Grissini (e. s . ) — Certo. Avrà sofferto, pove retto ! Eiena — Per il suo orgoglio, per la sua vanità... Perchè l ’amore... G rissini — Ma si soffre lo stesso: oso dire: di più. Oh, io ini rendo perfettamente conto. Elena (indignata, aggressiva) — Che si possa arrivare anche ad una vigliaccheria simile. G rissini — Questo no? Elena — Ma ammazza, se ne hai il coraggio! Affronta la responsabilità ed anche il pericolo del tuo gesto come fa chi ha un po’ di fegato, un po’ di coscienza. Non nasconderti, non va lerti di un privilegio che il caso ti fornisce, per colpire con la mano di un altro, conser vando il sorriso, la maschera, l ’immunità di un amico! GRISSINI ( ridendo ad un’idea lontana) — Ma guarda, guarda! Elena — Che cosa pensa? G rissini — Nulla, riflettevo. E lei è innamo rata sempre? Elena — Sempre di più adesso! G rissini (godendo) — Lo tradirà ancora? Elena — Con tutta me stessa, con la voluttà di una vendetta, con la gioia di compiere una opera bella. Grissini (con entusiasmo) — Brava! (ripren dendosi) Cioè, scusi. Dicevo cosi per dire. Brava, no. Ma certo lui... Elena — Lo merita. Grissini — Ecco; mitighiamo. Non ha fatto nulla per meritarlo. Elena — E adesso bisogna provvedere; lei provvederà? Grissini — Se sarò in tempo. Elena — Certo il suo parere vale quanto quello di lui, la sua volontà deve valere quanto la volontà di lui... Grissini -— Lasci fare a me! (Appare sulla soglia del secondo uscio di de stra Dora). Dora (timidamente a Grissini) — Marietta ha pulito. Grissini (con tono più gentile) — Va bene, grazie, (si avvicina alici scrivania, dove sono le tazze da te) Avete preso il tè? Dora — Sì. G rissini (ilare) — E per me niente? Dora — Ne vuoi? G rissini — No, dopo : dopo lo offrirai a tutti. (Rientra Giù dcdlo studio). Giù — Quei signori si fanno aspettare un po' troppo. G rissini (consultando l 'orologio) — Era pel le tre e mezzo; sono sole le tre e trentasette... Be, sette minuti, poi... (Durante il dialogo seguente le due signore chiacchierano in fondo sul divano). Giù — Non è per sette m inuti : è che in queste cose l ’orologio diventa un ordigno delicatis simo e pericoloso. Oltre una certa misura prefissa la lancetta dei minuti spara. Così diventa delicata la misura delle parole dei ge sti di tutto... Ah, che pagliacci i gentiluomini! Elena (dal fondo) — Tu preferiresti non es serlo ? Giù — Come tutti. Ma non si può (a Grissini che ha il vezzo di storcere sempre i l cotto infastidito dal solino) E’ la questione del col letto inamidato. G rissini — Perchè guardi me? Giù — So che ti dà fastidio che appena puoi te ne liberi. Ma in tanto ti dimeni dentro come un ossesso. G rissini (punto con sarcasmo) — Oh, ci sois tante altre cose che danno fastidio di più, amico mio. Giù — Lo so. G rissini — Ah lo sai? Giù — E si portano con disinvoltura nella vita a testa alta, così, come se niente fosse. Ridi? Beato te. Anche tu sei diventato allegro im provvisamente. Cosa hai? G rissini -— M ’è venuto in mente un’idea così... Giù — Allora evviva l ’allegria. G rissini — Evviva! Evviva! (Si fissano sorridendo prendendosi a gabbo reciprocamente). Grissini — Ma voglio dire il fatto mio a questa li MEZZO GAUDIO ,» gente che si fa aspettare tanto. M i sono rotte Scelsi —• Esco: mi sgranchisco. Ho i nervi. le gambe per arrivare più in fretta; ho r i Dora — E dove vuole andare a sgranchirli? mandato un appuntamento importante con Scelsi — Fuori. un mio cliente e che nel frattempo... Elena -— L ’avverto che fa un freddo atroce Giù -— Si lavora da mane a sera eh! si sgobba, fuori. si corre, 6Ì incanutisce per portare a casa Scelsi — Ho bisogno di muovermi non si re un po’ di danaro e poi a casa... siste qua dentro. (guatandole con ira) Oh! Grissini -—• Non parlare, non parlare, povero loro sono calme, sono tranquille, lo capisco amico mio; (vedendolo ridere) però sei un bene. Possono parlare di cuffie, di trine, di pellicce, di fox-trott! Io non respiro più. bel tipo, tu, ti invidio! Elena (ridendo) -— Non faccia il ragazzo! Ven Giù — Lo credo. G rissini — Lo credi? Ma perchè sorridi? Che ga qui. Dora — Io le servo intanto una tazza di tc. cosa ho? Giù -— Niente! non si vede niente. Vuole? (chiama la cameriera alla quale im Grissini -— Piuttosto, dimmi : oggi bisognerà partisce qualche ordine per una tazza a decidere. Non è possibile andare ancora Scelsi). avanti a furia di proposte e di contropro Elena — Va bene i nervi. Ma la cortesia? Lei poste... Non ti pare? non si avvede che lascia in asso due signore ( ridendo) mi sembra tino studente che aspet Giù — Ci hai pensato bene? Grissini — Ci ho pensato stanotte, molto. ta l ’esito della votazione dei suoi esami di laurea. Giù -— Anche alle responsabilità che noi due sopratutto ci assumiamo di fronte alla ver Dora (versando il te) — Vuole del rhum? Riunii no? Lei lo preferisce puro. Ricordo... tenza? Grissini -— Specialmente a quello. (e sorride). Scelsi (prorompendo) — Ah. Davvero, siete Giù — Perchè, bada... di una calma dolcissima, angelica da coprir G rissini (nervosamente) -— Bada che cosa? vi di baci da stritolarvi in un amplesso di E lo dici a me? Tu in fondo hai voluto spin sperato ! gere il fatto sino alle estreme conseguenze. Dora — Ma Scelsi, andiamo. Con me lei può Giù (sgranando gli occhi) — Io? dire certe cose perchè io la conosco da anni, G rissini — Ma se uno di quei due ragazzi per ma la signora potrebbe offendersi! combinazione ci lascia la pelle e si vuole r i Scelsi (guardando ferocemente Elena) — Oh. salire alle origini della vertenza!.. la signora mi capisce. Giù — E ’ a questo che hai pensato, stanotte? Dora (a Elena) — Tn lo capisci? Grissini — Anche a questo. Giù — Ebbene, ti giuro, che sono contento di Elena (addentando un pasticcino) — Io no, cara. trovarti ragionevole. Scelsi (pallidissimo, lugubre appare sulla por Dora (offrendo la tazza a Scelsi) — Suvvia beva un sorso da bravo figliuolo. E vedrà che non ta del primo uscio di destra). succederà niente. Scelsi -— Sono arrivati. Elena — Ma che cosa dovrebbe succedere? Giù — Andiamo. G rissini -— Ce la sbrigheremo in pochi minuti Scelsi (scattando) — Oh, a voi niente certo! E che cosa dovrebbe succedervi di cosi inaudito (a Dora) Tu intanto prepara il tè. da darvi un brivido di emozione? Bisogne (Giù e Grissini si avviano: si arrestano pri rebbe che crollasse il mondo con tutte le sue ma di varcare la soglia). sartorie : il mondo invece non crolla. Conti G rissini (a Giù) — Passa tu. nuerà a girare, continuerà ad essere liscio, Giù — No, passa tu. E’ giusto. Entra tu per il impassibile e tondo come le vostre faccie al primo. Sei più decorativo. cospetto del sole. Se crollo io, la cosa non G rissini — Ah! io sono più decorativo, ti as ha importanza. sicuro che sei veramente un magnifico tipo Elena (con un sorriso) — Ho un presentimento. (passa oltre, seguito da Giù). Scelsi! Scelsi (vedendo le due signore cerca di andar Scelsi (furibondo) — La prego, non mi comu sene inosservato dal fondo). nichi i suoi presentimenti, eh! Non sono i Elena — Scelsi, dove va? GINO BOCCA fatti che ammazzano gli uomini sono i pre sentimenti ( balzando ad un rumore che cre de di aver avvertito nel corridoio) Eccoli! Dora — Troppo presto. Elena — Però dovevano sbrigarsela in pochi minuti... Dora — Forse non saranno d’accordo. E al lora... Scelsi — Ma sono d’accordo; sono perfetta mente d’accordo! Anzi: siamo d’accordo. Perchè loro esprimono la mia volontà rap presentano il mio onore e la mia decisione... (si sentono dei passi nel corridoio. Scelsi, vacillando, senza fiato) Eccoli. Elena (preoccupata a Scelsi) — Che cos’ha? Dora — Vuole un bicchier d’acqua? Scelsi (riprendendosi) — No non si disturbi, signora! Non si disturbi nemmeno per que sto. Ho avuto un momento di... sa, i nervi tesi da due giorni e... Ma non è niente. (Giù e Grissini entrano, pausa). Grissini — Senta, Scelsi... Elena — Avete fatto presto! Giù — Non c’erano che poche idee da scam biare. (a Scelsi) Domattina... Scelsi (con. la voce strozzata) — A che ora? Giù (sorridendo) — Presto. Grissini — Senta, Scelsi: noi abbiamo parlato sicuri di avere la sua piena approvazione. Scelsi — Siete i miei rappresentanti. Grissini — E speriamo che lei non avrà d iffi coltà a scrivere una lettera... Giù -— Non occorre che tu ti dilunghi in scuse, poche frasi, precise, concise, cortesi... Grissini — Come l ’altra volta, insomma? Scelsi (con un guizzo di gioia, cavando di ta sca prontamente un foglio) — Eccola qua! Giù — Ah, ne conserva un’altra copia? Scelsi (che si rianima) — Ho conservato la prima copia, per ricordo. Eccola qua. Di modo che... Giù — Sei contento? F in a » d e lia G rissini — E tu offrici il tè, Dora, ne ab biamo diritto anche noi. (Dora chiama la ca meriera e impartisce gli ordini soliti, mentre Elena a Scelsi) Elena — Vede il mio presentimento. Giù — Gli altri padrini ci hanno garantito che il conte Tanzi non troverà difficoltà alcuna ad accettare quelle frasi. Scelsi — Ve lo garantisco anch’io. Giù (prendendo Scelsi per il braccio) — Ed ora che tutto è appianato senza spargere ima sola goccia di sangue ci vuole l ’abbraccio di prammatica, (ironico) Grissini abbraccia tu il tuo amico (e spinge Scelsi verso Grissini). Grissini (respinge Scelsi, e buttando contro Giù) - Ma no abbraccialo prima tu. Spetta a te (ghignando) T i garantisco che spetta prima a te. (Giù allontanando Scelsi, a Gris sini) Va là che tu gli vuoi bene, egli ti è ve ramente amico. Grissini (c. s.) — Ma tu gli devi anche essere riconoscente. Giù — Riconoscente? Grissini — Per il bene che vuole alla tua fa m iglia!... (mentre discutono prendendosi re ciprocamente a gabbo. Scelsi è sballottato di qua e di là). Scelsi — No, scusate, sono io che debbo ab bracciare tutti e due contemporaneamente... così (se li stringe al seno e. li tiene fermi con forza). Grissini (a Giù) — Che he! tipo eh! aveva la lettera in tasca (e ridono tutti e tre). Giù (a Grissini) — Ma tu sapevi con che tipo avevi a che fare (a Scelsi stringendo roc chio) Lui sapeva (Scelsi ridendo) Già lui. G rissini (a Scelsi, strizzando l ’occhio ed allu dendo a Giù) — Si è rivolto ad un vero ami co, sa? Scelsi (c. s.) — Già, lui. (E si ripiegano in una risata concorde, piena, grassa, soddisfatta, abbracciati e felici). e @ n n @ ilia W A L T E R C r i t i c d i P O i e r T T O p o u v L E N G b i n b H I l i c c o i a L a o fiiic a íeaüraie, £m jive vin cia , è ^eneraìm enie cera ì r iia g li d i Sintomi, P ra ^ a Ramj»eí<¿, E?ra«cfciia., d*J^micsj, Rocca. Cosà ¿la scita m csia dozxina. d i ttelìe re ce n sio n i se ite ric a v a scita b ru iia . Un giorno, mi ferma per via il critico di un defunto foglio locale (che Iddio lo perdoni!) e mi dice, sbarrandomi sul viso un par d’occhi velenosi : — Quel tuo Andrejeff, te l ’ho conciato per le feste! Hai letto il mio articolo di oggi? lo che non mi sognavo neppure che fosse ancor tempo di discutere o di seppellire Andrejeff sopratutto qui, in provincia; sono rimasto di sasso. Ma ho detto, più tardi, l ’articolo. Rovinato! V i assicuro che lo sconsolato autore di « Quello che prende a schiaffi », aveva subito la sorte del suo protagonista che of friva guance a destra ed a manca per il gusto di sentirsi percuotere, umiliare. Un diavolerio di contumelie pioveva sul suo capo, neanche fosse un autore novellino che si fosse appressato incauto, agli incantatori lumi della ribalta. Ma, per amore di paradosso, mi apparve simpatico il gesto del critico, in quanto il non aver capito nulla non era per lui bastevole per fermarlo dal lanciar sassi alla statua di Andrejeff che, volere o volare, ha i l suo pidistallo abbastaneza solido. Che importa se la fionda dei ragazzacci è un’arma innocua ed i monumenti non la temono?!... Quello che conquista, affascina, è l ’at teggiamento battagliero di chi, testa indietro, un occhio chiuso, si ap presta a lanciare il suo umile assetto raccolto magari fra la ghiaia che tutti pestano. Servi e padroni. Cosicché ho amato quel critico per la sua spavalda incoscenza, pur sapendo che un tantino di colpa in quell’articolo ce l ’avevo anch’io, che sopratutto per contraddire me egli s’era divertito a far la sua porcheriuola su di un lavoro geniale. WALTER OTTOLENGHI £1 c r i i t e n a u f s ir e y « le lente a ll'a H a re > ira»a a>&e a l l ’ »««4«»e P i r a n t l e l l '- i « « ( S v e ? Basta questo, a volte, in provincia perchè una critica sia un verso o nell’altro. E perchè dolersi?! Bisogna pur ingannare il greve tedio delle nostre giornate provinciali e l ’odio, le rappresaglie son come dei franchi bicchierini di cordiale, che mettono fuoco e salute in corpo. A volerla indagare, bisogna però convenire che è un tantino infan tile la psicologia di qualche critico di provincia. Tu lo vedi entrare in teatro, tronfio, austero, si guarda d attorno cercando di sorprendere nello sgurdo del pavido spettatore un poco d’ammirazione per lu i che l ’indomani sputerà la sua autorevole opi nione, destinata ad interessare quattro o cinque cristiani. Iris omnia si compiace di essere lui, per un attimo, lo spettacolo _della^ serata. E spettacolo è veramente, poiché calmo, vestito d austera mo destia lo vedi sprofondasi nella sua gratuita poltrona (è quello i l trofeo) e resta li, sulle prime un po’ titubante, poi più deciso ,come se fosse in agguato dietro una siepe; appoggia il mento al palmo della mano e con le dita rimaste libere si tamburella le guance dardeggiando a tratti, di sotto in su, degli sguardi di benevola condiscendenza e di m i steriosa ironia che devono avere un loro inafferrabile, recondito signi ficato. , Ma se gli fai balenar sotto gli occm un nome me w pubblica si ostina ad accomunar alla parola a successo », nou so... Sardeau, Ferrari, Bernstein, Bataille, come se fossero altrettante maz zate sul capo, lo trovi letteralmente intontito e puoi ammonirgli qual siasi porcheria che, sta sicuro, il giorno dopo egli la lauderà con degli aggettivi violenti come pistolettate, animato dalla stessa presuntuosa ignoranza di quei medici che sono ancora fermi ai salassi e che non ammettono nessun medicamento meno barbaro e più razionale. Cosicché tu leggi: « I l capolavoro del Maestro è stato ascoltato in religioso silenzio dal foltissimo pubblico accorso alla recita dell’illustre, inarrivabile attore X. Y. e fin dalle prime battute l ’uditorio, letteralmente soggiogato, ra pito dall’effluvio lirico e dallo slancio drammatico della commedia; ha dimostrato di comprendere la non mai sondata bellezza del capola voro ecc... ec... ». _ ............. Quando non si racconta il fatto, anche se la commedia si e già in coronata di una barba di secolare vetustà. Un giorno, dopo l ’abbominevole recita che un mattatorello che batte le province a colpi di gran cassa, aveva dato come sua serata di disonore; ci siamo visti inchiodare su di un foglio locale due co lonne in cui si raccontava ancora diffusamente la lacrimevole istoria dello ^ i * e z t c s a Piero (ripetendo) — « Tremila e duecento franchi!... » Mi stupisce molto di dovergli tremila e duecento franchi. Clemenza (avvicinandosi a Piero) — n signore non si arrabbierà se mi permetto di fargli una do manda? Piero — Parlate, Clemenza, pai-late. Clemenza — Ecco... vorrei sapere se LI signore 6 a) verde. Piero — Perchè mi fate questa domanda? Clemenza — Perché ieri sera... noi dicevamo, io e Giovanni : « Se U signore è a corto di quattrini, noi gli proporremo di restare ugualmente al suo servizio... ». Piero —- Grazie. Clemenza — Il signore ci pagherà, i nostri salari, ¡piò tardi... cogli interessi. Noi abbiamo fiducia in lei. Piero — No, Clemenza, io non sono affatto al verde... sono semplicemente imbarazzato. Clemenza — Il signore è troppo generoso colle donne. Piero —■D’altronde attendo una lettera di mio zio. Clemenza (ridendo) — Col danaro? Piero — Precisamente (suonano) Ah... Clemenza — Vado ad aprire. Sarà il postino. Piero — O la signora. Clemenza (dalla porta) — il signore preferirebbe ohe fosse la signora o il postino? Piero — Preferirei la signora. Il postino ripasserà ad ogni modo. (Clemenza esce). SCENA SECONDA Piero, poi Margherita Piero (solo, guardando L’orologio) — Le due e mezzo Dovrebbe essere lei (la porta si apre. Entra Mar gherita) Ciò è gentile, finalmente! UNA MOGLIE PREZIOSA Margherita — Fin troppo. Ho una gran voglia di andarmene. Piero — Sarebbe una vera infamia. Accomodatevi. Toglietevi il cappello. Volete che vi aiuti? Margherita — Non è il caso... Oh! so bene ciò che pensate in questo momento. Piero — Se .lo sapeste, vi togliereste il cappello. Margherita — In questo momento voi pensate : » De cisamente è una coecotte! ». Piero — lo! dire una cosa simile? Margherita — Perfettamente. Voi ini avete incontrata per via, circa due mesi fa: mi avete seguito con un cinismo!... Sono entrata in un negozio per li berarmi dalle vostre persecuzioni, e mi avete attesa alla porta. Ho preso una vettura, voi ne avete presa un’altra. Piero — Se avessi potuto prendere la medesima. Margherita — Non volendovi far conoscere il mio indirizzo ho dovuto andare a passeggio... ho fatto delle corse... due ore di vettura. Piero — Io vi ho offerto di rimborsarvele. Margherita — Infine sono stata costretta rifugiarmi presso una mia amica... Qualche giorno più tardi, il caso volle che mi incontraste di nuovo... e sic come oggi sono da voi, è evidente che mi pren diate per una cocotte. Piero — Siete voi che mi prendete per uno sciocco. Perbacco! Se io prima volta che ho incontrata, avreste accettato di venire a cena con me, certo mi avrebbe fatto piacere ugualmente, ma non avrei avuto di voi una buonissima opinione. Al lora sì che vi avrei creduta una cocotte. Margherita — Mentre in capo a due mesi... Piero — Mentre in capo a due mesi, io dico: « E’ certamente una donna sposata ». Confessate che non mi sbaglio. Margherita — Da una parte, avete ragione. Ma dove vi sbagliate in pieno, è ne] credere che io stia per fare delle sciocchezze. Piero — Non lo permetterei. Margherita — Una donna che si annoia può lasciar si trascinare dalla curiosità, dal gusto di una pic cola avventura ma di qui a dimenticare completa mente d proprii doveri ci corre un bel tratto. Piero — Non vi domando di dimenticarli, vi chie do soltanto di pori pensarci continuamente. Margherita — Siate certo che se voi non mi aveste citato tre o quattro persone di mia conoscenza, se non non avessimo avuto delle relazioni comuni, giammai sarei venuta da voi, nemmeno nella ma niera, più innocente del mondo, (si siede). Piero — Ne sono convinto. Ma da parte vostra, con fesserete che io mi sono presentato abbastanza correttamente. Vi ho detto il mio nome, e ho avuto la delicatezza di non insistere per conoscere quello di vostro marito. Vi ho soltanto supplicato di dir mi il vostro nome di battesimo. Mar.-herita — Scommetto che non ve lo ricordate nem meno. Piero — Oh! Margherita — Vediamo... Piero (avvicinandosi a lei) — Ve lo dirò in un orecchio. Margherita (scostandosi un poco) — La sentirò be nissimo di qui. Piero —- Margherita... è il fiore che preferisco. Margherita — Come mai? (a Piero che sta avvici nandosi un po' troppo a lei) Ebbene! volete starvene indietro? Vi siete mostrato fln’ora cortese e bene educato, non cominciate a fare delle stu pidaggini. Piero — Ma io vi adoro, con tutta la mia aria di ci nico. E vi ho adorata fin dal primo momento che vi ho veduta. Voi non tenete conto di ciò... Margherita — La mia presenza qui, vi .prova che non mi siete antipatico. Piero — Per un istante io ho sperato di meglio. Margherita — Che cosa supponevate dunque quando mi avete veduta entrare in quella stanza? Piero — Che cosa io?... Margherita — Sì, credevate per caso, di fare di me un solo boccone? Piero — Oh!... Margherita — Sappiate, che per una donna sposata non c’è risoluzione più grave che quella di pren dere un amante. Piero — Io non dico il contrario. Margherita — Risogna rifletterci dei mesi e dai mesi, e non fi mai troppo. Piero —■Ma una volta o l’altra, bisogna pure deci dersi. Margherita — E anche quella bisogna ancora r i flettere. Bisogna aspettare un’occasione carina, graziosa, imprevista, una circostanza che resti nella memoria. E la sola scusa di una donna che si dà, è di donarsi come un regalo, in un giorno di festa. Piero — Siete caduta male. E’ appunto festa oggi. Margherita — E poi, prima di interessarmi di voi, di giungere, se ciò deve accadere, ad annoiarvi, ho bisogno di conoscere i vostri gusti, il vostro umore, la vostra maniera di vivere. Piero — E’ più che giusto. Interrogatemi, e vi r i sponderò. Margherita — Non girate così attorno a me... Se detevi sulla vostra sedia... Là... non così vicino. Piero — Vi ascolto. Margherita — Quanti anni avete? Non truffate, eh! Piero — Trentaquattro. Margherita — Avete una professione? Piero — No. Margherita — Allora vivete di rendita? Piero — Ne convengo. Margherita — Siete dunque un viveur, un semplice viveur. Piero —■ Pardon. Margherita — Un libertino. Piero — Ma, permettete... Margherita — La cosa non è molto seducente. Piero — E’ impossìbile esser meno libertino di me. Margherita — Non è .molto seducente lo stesso. Avete un’amante? Piero — Ma che vi pare? Come ini 6arei permesso di farvi la corte se avessi avuto un’amante? Margherita — Almeno, ne avevate una, poco tem po fa? Piero — Evidentemente. Margherita — Siete voi che l’avete piantata, o è lei? Piero — Sono io... la verità mi costringe a dire che sono io. Margherita — E perchè? Piero — Perchè l ’ho piantata? MAURICE DONNA* Margherita — Sì. Piero — I/ho piantata perchè aveva anche un altro amante. Margherita — Conducete una vita regolare? Piero — Dipende da che cosa voi intendete per re golare. Margherita — Siete giocatore, per esempio? Piero — P-euh! Margherita — Eppure ho la convinzione che voi siate un giocatore. Piero — Vi assicuro... Margherita — Lo siete. Non vi mancava che questo. Io ho appunto in orrore il gioco. Piero — Me ne correggerò. Margherita — Ne dubito, (si alza). Piero — Vi dò la mia parola d’onore che ine ne correggerò. Mentre voi entravate, io giuravo a me stesso di non toccare più una carta in vita mia. Margherita — Probabilmente perchè avete perduto la notte scorsa. Piero — Non soltanto per questo. Margherita — Non vi è .disgrazia più grave che attac carsi ad un giocatore. Quando il giocatore ha per duto è di un umóre insopportabile : guarda, ap pena sua moglie o la sua amante. Piero — Sì, ma quando guadagna? Margherita — Quando guadagna la inganna. Avevo un cugino che batteva sua moglie, tutte le volto che aveva preso una... come voi dite, nel vostro gergo, perdere una grossa somma? Piero — Prendere una culotte. Margherita — Ebbene mio cugino batteva sua moglie ogni volta che aveva preso una. culotte. Piero — Era per scongiurare la inala sorte. Margherita — Senza, contare, .che il gioco porta fa talmente noie di ogni sorta, debiti... Sono sicura che avete dei debiti. Piero — E chi non ne ha? Margherita — Se avete dei debiti, avete necessaria mente dei creditori che debbono dal mattino alla sera, essere appesi ,al vostro campanello, aspet tarvi dal portinaio, larvi delle scene in mezzo alla strada. Se foste insieme ad una donna non si prenderebbero soggezione per così poco. Come tutto ciò è piacevole!... (scorge il foglio di carta bollata che Pierto ha dimenticato su di un mobile) Che cosa è questo? Piero — Nulla. Margherita — Della carta bollata. Ecco a che cosa vi ha condotto il giuoco!... Ricevete persina della carta bollata... Piero — Un malinteso. Margherita — E, da chi proviene questa carta, bollata? Dal vostro padrone di casa? Piero — Macché. Dal mio sarto. Margherita (con indignazione) — Voi non pagate il vostro sarto? Piero — Non se lo merita. Osa perseguitare me, uno dei suoi migliori clienti! Ma.... me la pagherà! Margherita — Se avete torto... Piero — Tanto più che mi veste male. Margherita — Non trovo. Siete elegantissimo, invece. Piero (modesto) — Oh! Margherita — Non dico che siate elegante per na tura, ma mi sembra che siate vestito benissimo. E’ una cosa che ho subito notala in voi. Piero — Grazie. Margherita — Ed è una cosa alla quale io tengo mol tissimo. E dovete molto al vostro sarto? Piero — Non lo so con precisione (prendendo il fo glio di carta e leggendo). « Tremila duecento fran chi ». Margherita — Ma è enorme. Piero — Più le spese. Margherita — E probabilmente dovrete altrettanto ai vostro calzolaio? Piero — Signora! Margherita — Al cappellaio? Piero — Peuh! Margherita — Al padrone di casa, e a tutti i vostri fornitori, che finiranno anch’essi per mandarvi delle carte bollate. Ciò significa, che vivendo qui, ■io 6ono esposta a trovare degli uscieri nella vostra anticamera... Me ne vado. Piero — Margherita, ve ne scongiuro... Margherita — Giammai! Ho un cugino... Piero (interrompendola) — Eh parlate sempre del vostro cugino. Anch'io ho un cugino. Margherita — Era giocatore? Piero — Più del vostro. Margherita — E’ impossibile. Piero — Passava le sue notti al circolo. Perdeva tutto il denaro. Ebbene! Un giorno incontrò una donna e si mise ad amarla... Era una donna del vostro tipo, bella come voi, ma che compativa le debolez ze umane, cosa che voi non sapete fare. Sapeva perdonare gli errori, e li perdonava così gentil mente che faceva andare via la voglia di rico minciare... vedendo che mio cugino l ’amava, anch’essa lo amò... Margherita (lasciandosi prendere la mano) — E che cosa fece vostro cugino? Piero — Volle mostrarsi degno di lei. Non giocò più. Si cori-esse da questo brutto vizio. Margherita — Bene, molto bene. Piero — Quando si. fu corretto da quello, già che c’era si corresse anche dagli altri. Divenne labo rioso, ordinato, non ebbe altro pensiero che il ¡suo amore. Margherita — Era gentile, quel vostro cugino. Piero — Gentilissimo. In capo a tre mesi, non lo si riconosceva più, conduceva ima vita regolaa-e, aveva pagato i suoi debiti. Margherita — Ah! Piero — Il padron di casa... Margherita — Il calzolaio. Piero — Il cappellaio. Margherita — Fi il sarto? Piero — E il sarto. E tutto ciò, grazie all’influenza che la ¡sua amica esercitava su di lui... ¡poiché essa gli faceva fare tutto quello che voleva, solo con uno sguardo, {la costringe a sedere e si mette in ginocchio davanti a lei). Margherita (seduta) — Era davvero vostro cugino, almeno? Piero (sempre in ginocchio) — Germano... quasi un fratello, {le bacia la mano. Breve silenzio) Sapete che cosa dovreste fare, se foste tanto carina, e se teneste a correggermi completamente? Margherita — Che cosa dovrei fare? Piero (alzandosi) — Vi togliereste il cappello, affin chè io potessi vedere i vostri capelli, che non ho ancora ammirati : e pai prendereste un bicchierino di Porto, di Porto bianco, con un biscotto inglese. UNA MOGLIE PREZIOSA Margherita (togliendosi il cappel lo) — E sia. Sono una. buona figliuola, vero? Piero (avvicina, un tavolino e co mincia a portare la caraffa del porto ed i bicchierini) — Siete squisita. Margherita — Un bicchiere solo, e un solo biscotto. (picchiano lievemente alla porta) Bussano! Piero — Non inquietatevi, so che cosa è. Margherita — Sarà un usciere. Piero — Ai contrario, (va ad aprire). SCENA TERZA (ili Stessi - Clemenza Clemenza (dalla porta con un li bretto in mano. Dà una lettera a Piero e a bassa voce) — Ecco la raccomandata. Bisogna fir mare. Piero — All! bene (.4 Margherita) Permettete. Debbo fare una fir ma... (va alla tavola) per una raccomandata. Clemenza (a parte) -- Ha torto di dirglielo. Piero (rendendo il libro a Clemen za) — Tenete Clemenza,, e non dimenticate di dare qualcosa al postino. SCENA QUARTA Piero - Margherita Piero (ritornando) — ora munge rete un biscotto, (la. serve) Margherita — Leggete pure la vo. «tra lettera, mi servirò da sola. Piero — Allora permettete... (strac cia la busta. A Margherita.) E’ una lettera di mio zio. Margherita (ridendo) — dì vostro zio che manda del danaro a quello sbarazzino di suo nipote? Piero (ridendo anche lui) — Ave te indovinato. Margherita — A quello sbarazzi no di suo nipote che gli avrà, probabilmente, raccontato ima frottola. Piero — Signora! Se gli avessi det- ; t.o... Mar.herita — Che erano per gio- ; care a baccarà, non ve li avreb- ; be certo mandati. ; Piero — Ascoltate, Margherita, vo- ; glio essere sincero... Sì, avevo ; l1intenzione, con queste cinque ; mila lire, d ¡andare questa sera ; al circolo. ; Margherita — Che orrore! : Piero — Se voi lo esigete, non vi andrò. Margherita — Ecco che comincia te a divenire saggio. Segno un pulito a vostro favore. Piero (avvicinandosi per baciar la) — Vorrei ben poterlo segna re io, questo punto. Margherita (respingendolo dolce mente) — Non ancora. Piero — E' per incoraggiarmi nel la via del bene. Margherita (alzandosi) — Siete ben deciso a seguire finalmente la via del bene? Piero — Purché la seguiamo in sieme. Margherita — Non dico di no. Ma ho bisogno d iuna garanzia... Piero — Ditemi che debbo lane Guidatemi voi. Margherita — Bisogna cominciare ad adoperare il danaro di vostro zio in cose utili... invece di spre carlo o di perdere al gioco. Piero — Per esempio? Margherita — Per esempio... pa gare i debiti. Piero — Vi prevengo che con cin que mila lire, non pagherò che una piccolissima parte dei miei debiti! Margherita — Sarà sempre qual che cosa. Scegliete i più noiosi... O R IO V E R G A N I E dal momento che avete dei creditori che vi mandano della carta bollata, prima di tutto, Una g r a n d e f ir m a d e l quelli. Non lasciate che si fac “ C o r r i e r e d e lla S e r a ’ * ciano spese inutili, perché alla fine chi ci rimette sarete voi. h a s c r itto Piero —- Pagare il mio sarto! Giam mai! Margherita — E perchè no? Do vrete pur pagare un ‘giorno o U N l'altro. Tanto A'ate farlo quan do lo potete. Piero — Sarà pagato per ultimo! Un uomo che minaccia di se V I G L I A C C O questro!... Margherita — Ragione di più per sbarazzarvene. Mi è assolutamente indifferente, notate bene, R e plicato c e n tin a ia d i che paghiate un creditore piut tosto che un altro... Ciò che de v o lte a l te a tro d e g li in sidero è che non gettiate questo d ip e n d e n ti d i B ra g a g lla danaro dalla finestra, e dio to niate una condotta regolare. A questa, sola condizione, non di menticatelo, consentirò forse un giorno a... Piero — Siete un angelo! E da og gi prometto di obbedì nd. Margherita — Ah! Piero — Ma non per ciò che ri guarda il mio sarto. Non insi L O P U B B L IC H E R E M O stete. Guardate. Regolerò la no ta del calzolaio. ERA BUE NUMERI Margherita — E quanto dovete a.l vostro calzolaio? MAURICE DONNAl Piero — Ottanta lire. Margherita —■ E’ uno scherzo! Non c’è niente da faje di voi ed è meglio che me ne vada, (si alza. Piero la costringe a sedere di nuovo). Piero — Margherita, mia piccola Margherita... non siate crudele. Margherita — Non sono crudele. Volete che io vi sacrifichi tutto e quando chiedo a voi un sacri ficio insignificante... Piero — Sapete che devo tremila lire a qual male detto sarto? Margherita — Eh! che m’importa del sarto o del calzolaio. E’ una prova di amore, di sincerità, che 10 reclamo. Come! Se fossi una di quelle donne che non hanno altro scopo nella vita che quello di sfruttare gii imbecilli, se vi chiedessi io quelle tremila lire, me le dareste forse subito!... Piero — Certo!... Preferirei cento volte. Margherita — E quando vi prego di farne un buon uso, quando tento di rendervi un vero servizio, poiché infine, non agisco che nel vostro interesse, allora voi rifiutate formalmente. Ah! E’ una cosa indegna! Piero — lo non rifiuto... rifletto. E' assai pericoloso pagare un sarto così, tutto in una volta. E’ un antecedente deplorevole! Margherita — Infatti. So che per voi uomini, il sarto è un fornitore di una specie particolare. E’ 11 solo essere al mondo, che non abbia bisogno di danaro, e le regole dell’eleganza proibiscono di pa gare le sue fatture. Piero — E’ un’abitudine che rimonta alla più remota antichità. Margherita — E voi non vi date pensiero che il di sgraziato possa avere moglie e figliuoli. Io che vi parlo, ho conosciuto un sarto, un piccolo sarto, che aveva dei clienti come voi che non lo pagavano, con la scusa che non era che un sarto. Aveva un bel chiedere, piangere, supplicare, giurare che non aveva nessun bene di fortuna e che abbisognava del danaro per vivere : gli si rispondeva, ciò che mi avete risposto voi adesso. E oggi, lui che ha vestito tante persone, non ha nemmeno tanto di che comprarsi una camicia. Piero —- Il mio è più ricco di me, e non ha bam bini. Margherita — Avrà forse una donna. Piero — Già, si è sposato tre o quattro anni fa. Mi hanno anche detto che era graziosa, sua moglie. Margherita — Graziosa la moglie dii un sarto? Non è una cosa di tutti i giorni. Piero — Andiamo! questo animale ha proprio tutte le fortune! La vostra eloquenza ini ha convinto, e passerò a pagarlo uno di questi giorni; ma. ad una condizione... Margherita — Sentiamo... Piero — Lasciate che vi dia un bacio. Margherita — Non oggi. Piero — Quando, allora? Margherita — Quando avrete pagato il sarto... sono molto testarda, io. Piero — Un bacio piccolo, piccolo. Margherita —■Quando avrete pagato il 6arto. Piero — Dal momento che vi assicuro che lo pagherò. Ascoltate... domani... vi prometto per domani. Margherita — E perchè non oggi?... Perchè non su- bi-to? In questo momento siete in fondi... approfit tatene. Piero — Vi fa tanto piacere? Margherita — Questo mi proverà che non vi sono del tutto indifferente, e che tenete conto dei miei con sigli. Pi ero — E mi permettete di darvi un bacio? Margherita — Vedremo. Pagate intanto il vostro sarto. Piero — Gli mando subito il danaro dal domestico. Margherita — E non vi dimenticate di chiedergli la ricevuta. Piero — Oh! non c’è nulla da temere. E’ una persona onesta,. Seccante, ma onesta. Margherita — Chiamate il domestico e liberatevi da questo pensiero. Piero (riflettendo) —• E se non gli mandassi che un acconto? Margherita — N-o, no... Piero — Credete sia meglio mandargli tutto : Margherita — Sì. Piero — Come volete. Dite poi che non sono ubbi diente. Margherita — Siete molto gentile. Piero — Dov’è una busta? Ah! eccola!... (inette i. bi glietti nella busta contandoli) Uno... due.... tre mila... e poi duecento franchi... Vi rendete ben conto, non è vero, del sacrificio che vi faccio? Margherita — Tornerà a vostro vantaggio... Suono? Piero (andando a suonare) — Ecco fatto. Ah! l ’in dirizzo. Signor Plantin... (a Margherita ridendo} Si chiama Plantin? Margherita — Che nome brutto (appare Clemenza). SCENA QUINTA Gli stessi - Clemenza Clemenza — Il signore desidera? Piero — E’ tornato vostro marito? Clemenza — Si, signore. Piero — Ditegli di portare immediatamente questa lettera al suo indirizzo. SCENA SESTA Piero - Margherita Piero (ritornando a Margherita che si è alzata e prendendole le mani) — Voi farete di ine un pic colo santo, lo sento. Margherita — Sono commossa per quello che avete fatto... veramente commossa!... Piero (ridendo) — E voi mi ricompenserete? Margherita — Non è una cosa impassibile. Piero (va alla tavola rìdendo) — lo rido pensando che il mio sarto non suppone neanche lontana mente perchè lo abbia pagato. Margherita — Rassicuratevi, non glielo dirò. Piero (stupito) — Lo conoscete? Margherita — E’ mio marito. Piero (con un sussulto) — Vostro?... Margherita -- Sì. E credete che vi sono molto rico noscente. Piero (contenendosi) — Ah! avete recitato a meravi glia!... Tutti i miei complimenti... vi siete presa gioco di me, con un’abilità di artista!... Margherita — In che cosa mi sono presa giuoco di voi? Piero (senza rispondere) — Ecco il vostro cappello, UNA MOGLIE PREZIOSA Margherita — E chi v.i dice che, a poco a poco, a mia insaputa, io non mi sia interessata di voi, più di quanto io stesso non supponessi... fin troppo, forse... Piero — Adesso volete farmi credere che mi amate. Margherita — No, non vi amo... non ne ho il diritto... Una signora delicata non può amare un uomo che deve del denaro a suo marito. Piero (avanzandosi e mutando tono) — Ma adesso non ne devo più dei denaro, a vostro marito! Margherita — Perciò io ricorderò di voi un ricordo molto piacevole, molto line... e quando mi an noierò, cosa che mi accade spesso penserò alla vostra piccola avventura. Piero — E non tornerete più. qui? Margherita — Chi lo sa? signora... E vogliate presentare lo mio felicita zioni a quedl’eccellente signor Plontin. A quest’ora dev’essere già stato rimborsato. Margherita — E' meglio che me ne vada dal mo mento che voi non capite nulla, (sì mette U cap pello). Piero — E come altrimenti? Ma è magnifica!... La sciarsi seguire da un giovanotto, farlo innamorare di 6è — perchè non è il vostro tiro che vi rim provero, è la vostra civetteria — e tutto ciò per recitare quella commedia. Ma ò semplicemente de lizioso. Margherita — Allora, voi mi credete capace di avere agito, come ho fatto, verso di voi, per una. mise rabile questione di danaro?... Piero — E perchè allora, se non per questo? Margherita — Mi sono condotta a vostro riguardo come una vera amica, e, invece di essermene grato, quasi m’insultate. Piero — Se vi ho offesa vi chiedo scusa. TELA Maiasyie* Dmuatay u n ‘b r i v i d o A g li «p» p a c c io n a ii d e l g e n e re i f c & M A m c t o C O L ¿ i ’ c & T R E a s & o a r A . T E R M O C A U T E R I O Y D'ina Galli (è ancora | l>usran• Alla biondissima Ada magra, ma non bisogna 3 « n ssìmsìo cavalie re ¿a» a rm a lu ra ,come Merighi, scomparsa dal j>er dirlo perchè è uno dei | non pub b lica re u n dram m a i^ ie la , ba la circolazione delle suoi sette desideri) pro 3 grandi città da qualche p re fe rilo c f ir ir c a ll’a u lo re d i quel sa^> vava -con la stessa rasse 3 (fio eli a s in e ria , due c e n iim e lri q u a d ra i! tempo, per una serie di gnazione con la quale ci « debutti » lunga come d i e p id e rm iile . A v v e rlia m c però ¿ li scoc si mette in ferrovia per la ferrovia che unisce c ia t o ! else i l siasi tea amico non h a a l t o un viaggio -di 47 ore, .11 e p id e rm id e da e iir ir e a l brand o d e # li Puelba nel Messico con Lavoro di un autore già Quebec nel Canada (chi a n a lfa b e ti. allenato -ai più formida lometri 89.000), trovan W n w irim w w w w w iT T W w w w w w w w w ii u t bili insuccessi. dosi a Crema (è anche Fra .le altre disgrazie, questo maniaco -del teatro, un paese) uno sconosciuto scrisse una lettera d’a aveva anche il peso di dover trasportare per il more facendo sfoggio di tutte le romanticherie del mondo una pinguedine sviluppatissima che gii im segretario galante. E finiva con questo pro pediva di agganci-are sul ventre la giacca, i due scritto .— Ditemi, bella signorina, perché -passeggiando ultimi bottoni del gilet, il primo dei pantaloni. In queste condizioni, con una vocin-a da eunuco, vi -appoggiate sempre ad un grosso bastone. Alda Merighi, appagando la curiosità dello scono andava ripetendo ogni sei minuti : sciuto rispose testualmente così: — Dina cara, e se mi fischiano? — Mi sono abituata ad appoggiarmi ad un ba — Lascia correre — rispose Dina Galli, con quel stone, camminando, perchè tempo fa mi produssi suo gesto abituale di allungare le mani all’inflnito, una distorsione ad un piede. E’ -stato- runico passo ma fermandole questa volta sul ventre dell’autore — falso della mia vita: ora, col ba-stone, potrò difen i fischi ingrassano: guarda me. dermi dalle ricadute. f EHMCAUTERIO N O V IT À . A. N <5. E, L O F R A T T I WS «¿5A s. di a » xi & m » a?« r a 1 0 X D u e e c lfiz ic s ii fin j!s*e m e s i se M « a r c a le W? cl % £ a 3f c Mi f i l a n e °o Lina Sacci,' ìa dinamica fanciulla della Com pagnia dj Tatiana Pavlova (vodka e caviale) ha fama (li esse re inielLigonte. Ecco per chè, spesso, i compagni le si rivolgono per risolvere 1e più intricato questioni d’a more. Un gior no Nerio Ber nardi, Apollo della Compa gnia, le mo stra un bigliet to dov’è scrit to: amico, ricordatevì che q u a n d o si prende il té in casa mia dopo la mez zanotte, biso gna a n ch e m a n d a rmi, Vindomani, un mazzo di fiori c 500 lire. Bernardi, evidentemente seccato, aggiunge: — Che cosa devo fare? E Lina Sacci, pronta: — Rispondi così : non ho potuto trovare dei fiori degni di voi; vi mando la somma richiesta e vi av verto che 50 si scrive con un solo zero. Quando fra attori parlano di Gilda Marchiò si credono in dovere di aggiungere: «è una donna molto intelli gente ». Con questo po’ po’ di responsabili tà, la Marchiò continua a gi rare il mondo, portando d a ovest ad est e da sud a nord lo scintillio del le sue perle : i denti. Gli uomini prima di avvici narla si prepa rano un capito lo della « con versazione ge nerale», edizio ne tascab i 1e Hoepli; o scri vono. Uno di questi flagelli per at trici, che si chiamano comunemente ammiratori, tem pestava la Marchiò coti missive a mano, espresso o raccomandata.. Gilda, ogni due ore, trovandosi fra 6F £ n o a1 3 0 è %c$ » a a a rn o a c e e H a ie 1e € e m m c a ie TPe fi i c c n c o tfs o d e lle ^ a* rt cl a 6* » sì* ss* e V a ^ a lc c n i ¿2* o r 1> o n à é& r a c c o v£ p o r ie r a n n c A1 successo LUCIO RIDENTI le mani la solita lettera, & faceva scintillare le per- | le, scuoteva i quattro J P e r r iis t r s f ic c ia r e spinaci che un coiffeur S pour dames ha avuto la j l e a t t r i c i bontà di lasciarle ancora a A sul cranio, e la distrug- | geva senza leggerla. Esa- ! 1 sperato, un giorno, l'am- 1 miratore si presentò al ! M ilam o » M a»som , Ve»a Vesr(Jaroi lfileAram w D ora M ealckeU i teatro ed appena in pre- 1 O lim p ia , M a ria M aiaio senza dell’attrice, escla- I mò : ! — Signora! Non sono ; più giovane ma mi sen- ; I to ancora capace di una ; grande passione. ; — Due difetti in una • volta — rispose la Mar- ! chiò allontanandosi di- ■SI a a» a e V a lle , T a lia n a Davlooa gnitosamente. j va Durante un inter mezzo delia Donna Nuda. di Bataille, Maria Melato I — r im a n e ostinatamente T o ria o > A Mi «uri. D in a fra li* chiusa nel suo cameri J C ari|{nano, Emma fraraimafica no più del tempo neces sario per cambiarsi di abito. Adolfo De Riccardi, che ha bisogno di parlare al Ssl«(

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Tipologia

Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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