A N N O V 1 1 .N .1 I1 L i» e ; ■ ■■ _____________ i E 1 I T R I C E 0 'CONTOCORRENTE POSTALEi A rm a n d o D ( 5 “ L E . G R A N 1* A P R IL E .ANNO IX M E - IR S I F a lc o n i D I F I R ” - T O R I N O r IL RADIORICEVITORE CHE HA CONQUISTATO IL MONDO T e le f u n k e n 4 0 W L’apparecchio per l’Europa con tamburello indicatore delle stazioni ; con piccola antenna interna esso Vi db in torte altoparlante tutte le stazioni trasmittenti europee. Alimentazione integrale dalla rete d'illumi nazione. Attacco per il pick - up. Prese di sicurezza. Prezzo completo di valvole I lo c fl (tasse governative comprese) L. HOULI IN V E N D IT A S IE M E N S IN TUTTO S O C IE T À IL MONDO A N O N IM A Reparto V endita Radio Sistem a TeletunKen M IL A N O - V ia L a iz a r e ilc , 3 i w ü ® a»* w 55 - Molnar: il cigno. •¡ - AalonelAi: I! dramma, la commedia o la 68 - Falconi e Biancoli: L’uomo di Birzulah. farsa. 57 - Amiel: il desiderio. 2 - Aivarez e Seca: il boia di Siviglia. 53 - Chiarelli: La morte dagli amanti. 3 - Falena: Il buon ladrone. £9 - Vanni: Hollywood. 4 • Giachetti: Il cavallo di Troja. 60 - Urwantsoff: Vera Mirzeva. 5 - Goetz: Ingeborg. 6 1 - Saviotti: Il buon Silvestro. 6 - Bernard e Godiernaux: Tripleplatte. 62 - Amiel: Il primo amante. 7 - Gandera e Gever: L’amante immaginaria, 63 - Danza: Il peccato. 8 - Molnar: L’ufficiale della guardia. 64 - Birabeau: Il sentiero degli scolari. y - Verneuil: Signorina, vi voglio sposare. 05 - Cenzato: La mogi le innamorata. 10 - Gandera: I due signori delia Signora. 66 - Romains: Il signor Le Trouhadeo si lascia 11 - Aniante: Gelsomino d'Arabia. traviare. 12 - Conti e Codey: Sposami! 67 - Pompei: La signora die rubava i cuori. 13 - Fodor: Signora, vi ho già vista in qual6 3 Ciapek: R. U. R. che luogo! 69 - Gian Capo: L’uomo in maschera. 1.1 - Lotha'r: Il lupo mannaro! 70 - Armoni e Gerbidon: Audace avventura. 15 - Rocca: Mezzo gaudio. 71 - De Angelis: La giostra dei peccati. 10 • Uelaqùys: Mia moglie. 72 - Ostrowskj: Signorina senza dose. 17 - Ridenti e Falconi: 1ÜÜ donne nude. 73 - Mazzolotti: Sei tu l’amore? Vi ■ Bonelli: Il medico della signora malata. 74 - G. Antona Traversi: I giorni più lieti. 13 . Roger Ferdinand: Un uomo d’oro. 75 - Natanson: Gli amanti eccezionali. 20 - Veneziani: Alga marina. 76 - Armont e Gerbidon: Una donnina senza 21 • Martínez Sierra e Maura: Giulietta com importanza. pra un figlio! 77 - Rossato e Giancapo: Delitto e castigo. 22 - l'odor: Amo un’attrice. 78 - Chlumberg: Si recita come si può. 23 - Cenzato: L’occhio del He. 79 - Donaudy: La moglie di entrambi. 24 - Molnar: La commedia del buon cuore. SO- Napolitano: Il venditore di fumo. 25 - Madis: Presa ai laccio. 81 - Devai: Débauché. 23 - Vanni: Una donna quasi onesta. 82 - Rocca: Tragedia senza eroe. 27 - Bernard e Frémont: {.’attaché d’amba 83 - Lonsdale: La fine deila signora Ciieyney. sciata. 84 - Falena: il favorito. 2S - Quintero: Le nozze di Quinita. 85 - Chiarelli: Le lacrime e le stelle. 29 - Bragaglia: Don Chisciotte. 86 - Cenzato: La vita in due. 33 - Bonelli: Storienti». 87 - Achard: Non vi amo. 31 - Mirande e Madis: Simona è fatta cosi. 5 5 - Ostrowskv: Colpevoli senza colpa. 32 - Molnar: Prologo a re Lear - Generalis 83 - Cavacchioli: Cerchio della morte. simo - Violetta dì bosco. SO- Tonelli: Sognare! 33 - Veneziani: M signore è servito. 91 - Crommelynck: Lo scultore di maschere. 34 • Blanchon: Il borghese romantico. 82 - Bengyel: Beniamino. 35 - Conty e De Vissanf: Moti béguin piazzato 93 - Rèpaci: L’attesa. e vincente. 34 - Martinez Sierra: Dobbiamo esser felici. 35 • Solari- Pamela divorziata. 95 - Rosso di San Secondo: Le esperienze di 37 - Vanni: L’amante de! sogno. Giovanni Arce, filosofo. 28 - Gherardi: Il burattino. 56 - Bajard e Vailler: La tredicesima sedia. 33 • Paolieri: L’Ciiore del sud. 97 - D’Ambra: Montecarlo. 40 - Jerome: Fanny e i suoi domestici. 98 - Mancuso e Zucca: Interno 1, interno 5, 41 • Colette: La vagabonda. interno 7. s2 - Antonelli: La rosa dei venti. 59 - Apel: Giovanni l’idealista. 43 - Cavacchioli: Corte dei miracoli. 130 - Rollock: Hotel Rilz, alle 3! 44 - Massa: L’osteria degli immortali. 1CI - Veneziani: L’Antenato. 45 - Borg: Muda. 102 - Duvemois: La fuga. 43 • Bonelli: Il topo. 103 - Cenzato: La maniera forte. 47 - Nivoix: Eva nuda. 104 - Molnar: 1, 2, 3, e Souper. 48 - Goetz: Giucchi dì prestigio. 105 - Sturges: Poco per bene. #9 - Geyer: Sera d’inverno. 1(36 - Gnitry: Mio padre aveva ragione. 30 - Savoir: Passy: 08-45. 107 - Martinez-Sierra: Noi tre. 51 - Birabeau: Peccatuccio. 103 - Maugham: Penelope. 52 - Giachetti: Il mio dente e il tuo cuore. 109 - Vajda: Una signora che vuoi divorziare. 53 * Falena: La regina Pomari 110 - Wolff: La scuola degli amanti. 54 . Gàbor: L’ora azzurra. I numeri arretrati si domandano accompagnando l’importo: dal M. 1 al N. 30, lire cinque la copia; dal N. 31 al N. 70, lire tre la copia; tutti gii altri una lira e cinquanta la copia. I numeri 1, 2, 3, 4, S, 7, fi; 9; 10, 21; 22, 23, 37, 74 sono esauriti. m I p rœ à rn o n u m e ro K E Y ( I S l T i & J k s is s & e ¿ ra m m a ís c a i n I C N H W M X ir e S O I & iii l . N M di i l I E E I ) P e r n io n e it a lia n a à i A L, F R £ D O P A U T A S S I m e s a ta i n « c e n a o la 2 A - B U M e r e c iia ia da Giotto Tempestiti! • Flavio Diaz • Memo Benassl - Filippo Scalzo • Italo Pirani • Luigi Volpi • Garas Hillah - Gero Zambuto - Ernesto Ceraso - Emiiio Rinaldi * Giorgio Scelzo ■ Alfredo Silvestri - Enzo Bi lioni. ❖ per l’audacia altamente uma nitaria del problema ohe si propone, è stato capito da tuni i pubblioi d’America e d’Euro pa, suscitando discussioni, consensi, entusiasmi. Solo la critica ufficiale è stata terrorizzata da L’azione si svolge nel Penitenzia rio di Keystone, (Stato di Oklaoma, nel Nord-America) e precisa mente nella cosidetta « Casa della Morte » dove vengono rinchiusi i condannati, in attesa della esecu zione, Negli ultimi giorni di Mag gio e nei primi di Giugno 1929. A nno ù a V II L r u i * 5 -apjeai® 1 9 3 1 ~ I X i L J ik c p o w d / f i 0 io b L L U U F F IC I. V IA U N FASCICOLO M ¿ C I O z u d x m R I D i N. I li o G t ó E m , c N l u T x n ju d X s b M o r i e r t i n d a I G IA C O M O B O V E , 2 - T O R IN O L. 1,50 - A B B O N A M E N T O A N N U O L. 30 C o - ~ T e l. 5 3 -0 5 0 ESTERO L. 50 C AR LO V E N E Z IA N I d e ll’e ie v n itò a A , » asa & sa <à c F a l c e » » Dicono che la grande fortuna di Armando falconi conquistatore, sla in virtù della sua celebrità di attore. Non è vero. Se Armando Falconi non JV L E $ R E N A R D fosse stato attore, ma pescatore di balene, domatore di belve, prestigia «ZI s i()n i!r V«rne» tore, acrobata al trapezio, professore di filosofia, avrebbe avuto la stessa fortuna con le donne, mettendosi in gara — oome ha fatto — con Gigetto Glmara, e battendolo, dicono, oon la sua ultima avventura. E’ un segreto; ma fra poco non lo sarà più. Tutti conosceranno le fol lie amorose di Armando Falconi; ognuno potrà giudicarle. DI una cosa certi: che sono divertentissi L U C IA N O R A M O slamo me. Lo garantiscono i complici di r{fà Selle ¿ambe può fare Armando Falconi per la spontaneità della sua arte, per la si gnorilità del suo portamento, per la eua sorridente freschezza. Unire questi elementi In uno spetta colo, voleva dira oreare una perfe zione: ciò ohe è etato fatto con « Rubacuori ». G IA C O M O G A G L I A N O b e ffe rà a I> ì »» a G a l l i T L R M O C A U f JL_5L I O i%ace%o G u e r r i e r e ) la d’armi. P £ R $ O N A & & l ! I l «i^ttcì* V e ra c i r E n ric o G e ra rd r Cruz r I l signor Vernet — i ' * c itfa o ra V e ra c lc P a o lia a »M a r^ itc r iia r M a d a n ta Cruz v O n o rin e Prima di tutto, la no stra non è molto ca A Parigi.. Sono /e /ione di una sera qualun ra perchè molte cose della Sala le pago io, di que. Un salottino i cui mobili dimostrano che tasca mia. Adesso contiamo di trasformare la il signor Fernet, quarantacinquenne, nonostan sala in uni circolo vero e proprio, con i soci, il te la sua ricchezza ha un certo gusto. A sini presidente e le palle nere. I l signor Enrico mi stra, su un cavalletto, il ritratto della signora aiuta a trovare dei soci. Ha molte relazioni. La Vernet. A ll’alzarsi del sipario Fernet passeg Sala d’armi, per me, è una bellissima cosa. Alla gia stupidamente su e già per la stanza. La si sera, quando esco dal negozio, ne ho abbastan gnora Fernet, trentenne, sfai riordinando il con za di inghiottire della polvere. Vado alla Sala, tenuto di un cassetto della scrivania. prendo una doccia, tiro un po’ di scherma e mi sento meglio. Certo, ingrasso ancora, ma I l signor Vernet — Hai detto a Ouorina meno in fretta di prima. Stasera ho tirato con che aspettiamo qualcuno? Enrico e l ’ho battuto. La signora Vernet — Sei sicuro che il signor La.SIGNORA Vernet — Lo chiami addirittura: Enrico verrà? Enrico. JULES RENARD I l signor Vernet — Cosa vuoi, quel ragazzo mi è simpatico: è giovane, è allegro. La signora Vernet — Io invece quello che trovo interessante in lu i è la sua tristezza... Le sue tristezze improvvise... Ogni tanto, mentre sta parlando, tutto in un momento, si fa triste. I l signor Vernet -— Io invece trovo che è al legro. Meglio così. Allegro e triste. Così ci ac contenta tutti e due. La signora Vernet — Credo che tu ti illuda un poco, a proposito della sua allegria. Non credo che il signor Enrico sia così felice. Come vive? I l signor Vernet — Come vuoi che viva? Vive come tutti i giovanotti per bene, che hanno molta istruzione, ma che non hanno ancora un impiego. Probabilmente riceve un po’ di soldi da casa. Poi dà delle lezioni. Poi lavora un po’ per conto suo. La signora Vernet — E che cosa fa, per con to suo? I l signor Vernet — Non lo so. Cosa vuoi che sappia? Probabilmente, continua i suoi studi. Sai che io non m’intendo di queste cose. La signora Vernet — Io credo che sia un ar tista. I l signor Vernet — Artista... Cosa vuol di re: « artista »? In che arte? La signora Vernet — Non so: artista. E’ co sì magro. I l signor Vernet — I l fatto di essere magro non vuol dire proprio niente. Alla sua età ero magro anch’io. Più magro di lui. Ventidue an ni è l ’età in cui un uomo finisce di svilupparsi. La signora Vernet — Qualche volta è l ’età in cui un uomo comincia a non pranzare tutti i giorni. E tu credi che il signor Enrico mangi tutti i giorni? I l signor Vernet — Lo spero. Certo non mangerà bene come noi. La signora Vernet — Quante volte in tutto lo abbiamo invitato a pranzo? I l signor Vernet — Una, e mi ricordo che lo abbiamo fatto mangiar male. Sempre ]a so lita storia. Quando si invita qualcuno, che sap piamo clic è povero, non si fa preparare nien te di speciale. Dovrebbe invece essere il con trario. Lo inviterò un’ altra volta e lo farò man giar bene. La signora Vernet — Stai attento. Tu sei troppo buono. I l signor Vernet — Nou sono certamente uno stupido. E poi io sono di quelli che sanuo fermare tutto a tempo. La signora Vernet (guardando il ritratto) — 111 ogni modo, stai attento. I l signor Vernet — Non vorrai mica dire che il signor Enrico ha una faccia da avven turiero ? Sarà povero, ma è sempre piuttosto ben vestito. La signora Vernet — Io lo trovo elegante. Hai mai osservato le sue scarpe? Deve cammi nare molto. Tutto il giorno. I l signor Vernet — E’ triste. Io vorrei fare qualcosa per lui. Ma che cosa? Un posto nei miei uffici, non ho il coraggio di proporglielo. Denaro non me ne ha mai chiesto, perchè al trimenti gliene avrei dato. G li darei volentieri mia figlia, ma non ne abbiamo nemmeno una. Alla sua età io ero piò povero di lui. Glielo direi volentieri: prendete mia figlia e la dote. La signora Vernet —- Avresti il coraggio, se avessimo una figlia, di darla così ad un uomo che non ha mia posizione? I l signor Vernet —- Una dote è una posizio ne. Si direbbe che, a forza di vivere con mi grasso borghese come me, ti sei a poco a poco riempita la testa di idee borghesi. La signora Vernet — Lasciami la mie idee borghesi. Tu stasera hai delle idee così gene rose, così eccentriche... I l signor Vernet — Sono le idee che mi hai date tu. (Suonano) E’ lui. Onorina... (La do mestica compare) Onorina, non avete sentito? Onorina — Vado, signore. I l signor Vernet — Avete preparato tutto in cucina? Portate del tè e della cioccolata, in modo che il signore possa scegliere o prendere un po’ di tutt’e due. Andate. (Onorina esce). E’ una gran brava ragazza, ma è così tartaruga! Enrico Gerard (entra. Ha un pacchettino fra le mani) — Buona sera, signora. Come va? La signora Vernet — Bene, grazie. Enrico — E voi, signor Vernet? I l signor Vernet — Benissimo. Del resto, ve ne sarete accorto questa sera, durante l ’assalto. Enrico — Ma sapete che vostro marito diven ta terribile alla scherma! La signora si interes sa di scherma? La signora Vernet — Trovo che la scherma è un esercizio così brutale... Enrico — Ah no, signora... La scherma non è quasi piò uno sport fisico. E’ una specie di sport intellettuale. E’ una scienza... Un’arte, se volete... E poi, senza la scherma io non avrei mai avuto il piacere di conoscere il si gnor Vernet. I l signor Vernet — Siete molto amabile. . IL SIGNOR VERNET Enrico — Io avrei potuto conoscervi sola mente in una Sala d’armi. I l signor Vernet — Perchè, poi, solo in una Sala d’armi?... Io sono così semplice... Enrico — Già, ma siete anche un uomo mol to ricco. Sono io, che sono mia persona di im portanza secondaria. Perciò, dico, solo la scherma poteva mettere a contatto due persone così diverse come me e voi, provenienti da due ambienti sociali così lontani, così opposti... I l signor Vernet — Questo è vero. Enrico — E poi, quel che c’è di bello nella scherma, sono quelle strette di mano dopo ogni assalto. Sono quelle strette di mano, che crea no a poco a poco l ’amicizia. Del resto l ’amici zia non è altro che un numero molto abbondan te di strette di mano. I l signor Vernet — Hai capito adesso, Giu lia, che cos’è la scherma? La signora Vernet — E va bene, mi riconci lierò anche con la scherma. I l signor Vernet — Hai sentito, Giulia, co me il signor Enrico ha rigirato bene la faccen da della scherma? E’ straordinario. Enrico — Ho detto quel che pensavo... Na turalmente... Mi piace dire quello che penso. I l signor Vernet — Lo so... Dicevo così per dire. Enrico — Dunque, partite? I l signor Vernet — Sì, domani. La signora Vernet —• Abbiamo già chiuso tutti i bauli. I l signor Vernet — E quel pacchetto?... Po satelo, se vi dà fastidio. Enrico — No, è per voi... V i prego di accet tarlo, in nome delle belle ore, molto brevi, molto rare, ma molto belle, che abbiamo pas sato insieme. I l signor Vernet — E che cosa c’è nel pac chetto? Enrico — Guardate. I l signor Vernet (apre i l pacchetto) — Un libro... Henri Gerard... Ma è un vostro libro... Rime... S’intitola Rime... Dei versi... Non sa pevo che foste anche poeta. La signora Vernet — Io l ’ho sempre pen sato. I l signor Vernet — E con tanto di dedica. Senti, Giulia: è per te... « Alla signora Ver net, il rispettoso omaggio dell’Autore »... Enrico — Si poteva trovare qualcosa di più intelligente, di più sensazionale, ma non mi sono •neppure permesso di cercare. • I l signor Vernet — E perchè? Enrico — Per discrezione. I l signor Vernet — Senti invece quello che ha scritto a me... et A l signor Vernet, il mio m i gliore nemico alla spada »... E ’ spiritosissi mo... Io lo sapevo che voi non eravate una per sona qualunque. Supponevo anzi che foste un artista, ma non pensavo mai che eravate poeta. Enrico — Mi vergogno a dirlo. E’ una pro fessione così poco quotata al giorno d’oggi... I l signor Vernet — Sapete, è la prima volta che uno scrittore mi offre il suo libro con la dedica... Voglio sperare che non sia l ’ultima. La signora Vernet — Leggeremo il vostro l i bro in riva al mare. Enrico — Ah, andate al mare? La signora Vernet — Come tutti gli anni. I l signor Vernet —■ Preferisco il mare alla montagna, n mare è più grandioso. E’ il vo stro ultimo libro, questo? Enrico — E’ il primo. I l signor Vernet — Lo lesserò con attenzio ne, ma vi avverto che noi siamo profani. Enrico — I profani sono i m igliori giudici di queste cose. I l signor Vernet — Per lo meno, io sono un profano... La signora Vernet •— Nemmeno io me ne in tendo molto... Però leggo spesso... Mi piace molto leggere. I l signor Vernet — n contrario di me... Io invece non compero mai dei lib ri. Enrico — Per principio? I l signor Vernet — No. Enrico — Per economia? I l signor Vernet —- Nemmeno. Non ne com pero, per abitudine... E poi mia moAie è ab bonata a una biblioteca circolante. Riceve tut te le novità. Sapete, nel suo genere, mia mo glie è artista anche lei... Capisce tutte le arti, fuorché la scherma... La signor* Vernet — Ma siccome sono deci sa a riconciliarmi anche con la scherma, posso dire di capirle tutte... Non date retta, signor Enrico... Io noni ho affatto l ’anima di artista. I l signor Vernet — Mia moglie è una don na modesta... Figuratevi, che disegna molto bene e che suona il piano con una velocità straordinaria. La signora Vernet -— Signor Enrico, mio marito scherza! I l signor Vernet — Va bene... Lesseremo il vostro libro, e vi diremo il nostro parere. Enrico — A che spiaggia andate a prendere i bagni? jui.es renard La signora Vernet — A Fleuriport, sulla Manica. Enrico — Per molto tempo? La signora Vernet — Due mesi. Enrico — Siete fortunati ad andar via da Parigi. I l signor Vernet — Soprattutto con questo caldo... E voi?... Non avete delle vacanze? Enrico — Io sono disgraziatamente in va canza dal primo dell’anno fino al trentun di cembre; perciò non ne ho mai. I l solito inci dente delle professioni libere. Debbo stare a Parigi per tenermi al corrente... La vita di Parigi... La signora Vernet — Una vita da nevraste nici... Enrico — E poi, dove andrei, anche se po tessi partire? I l signor Vernet — Venite con noi, a Fleu riport. La signora Vernet — E ’ una spiaggia mo destissima. Un buco. Pochissimo mondana. Non vi piacerebbe? I l signor Vernet — I l mare è il mare, da per tutto. Sentite, Enrico... Signor Enrico. Enrico — Ve ne prego. I l signor Vernet — Allora, leviamo di mez zo una volta per sempre il signore. Sentite, En rico... Non vorrete farmi credere clic il vostro lavoro di poeta vi costringe a rimanere a Parigi tutta l ’estate? Voi siete padrone di voi stesso. Dunque, venite con noi a Fleuriport. Enrico — A Fleuriport? I l signor Vernet — S’intende, che quando dico Fleuriport, voglio dire nella nostra villa, rostro ospite. Abbiamo molto posto... Enrico — Signor Vernet... I l signor Vernet — Di buon cuore... Se vo lete, c’è una stanza per voi. Enrico — Va bene, se; avrò un paio di gior ni liberi, verrò a Fleuriport, ma naturalmente scenderò all’albergo. I l signor Vernet — A ll’albergo? Ma se non ce n’è! Fleuriport è un buco, vi ho detto. Enrico — Andiò in una locanda qualsiasi: ce ite sarà certamente una. a Fleuriport. I l signor Vernet — Va bene, ma io non po trei mai permettervi di andare alla locanda. E’ sudicia, inabitabile. E poi, perchè non vo lete essere mio ospite? ( Il signor Vernet fa un cenno alla signora e questa esce) Del resto, sen tite, Enrico, possiamo fare un’altra cosa. Voi mi avete detto che date delle lezioni. Delle le zioni di che cosa? Enrico — Di tutto, di qualunque cosa. I l signor Vernet — Benissimo. Ora mia ni pote passa le vacanze con noi, a Fleuriport. Date delle lezioni a mia nipote. Lezioni di let teratura, dal momento che siete poeta. Enrico — Certo, lezioni di letteratura ne posso dare. I l signor Vernet — E in compenso delle le zioni, avrete il viaggio e. la mia ospitalità. Va bene? Enrico — Mi tentate. Ma ci sono tante altre cose... I l signor Vernet — Quali cose? Nessuna. Sono stato anch’io giovane come voi e povero come voi. Pili povero di voi. Capisco che la poesia non rende molto. Cosa vi rende la poe sia? Forse i soldi delle sigarette. Enrico — Quelli sì, me li rende... Me li ten de, perchè non fumo mai. I l signor Vernet — il la vostra famiglia? Enrico — Qualche piccolo vaglia... I l signor Vernet —• Capisco... Vi lascia pa tire la fame... Tutte così, queste famiglie di artisti... Voi mi fate ricordare quella che era, vent’anni fa, la mia miseria... Anch’io, allora, ero come voi riservato, timido... Eppure, vi ga rantisco die, se a quell’epoca avessi trovato un uomo di buon cuore che mi avesse detto: « Ve nite al mare con me », ebbene, malgrado tutta la mia timidezza, ci sarei andato... E io, per esempio?... V i ho forse pagato il vostro libro? Eppure l ’ho accettato subito... Voi accettate il mio invito... Saremo pari. Enrico — Aia il vostro non è più in invito: è un rapimento. I l signor Vernet — Va bene, è un rapimen to... Giulia, noi abbiamo rapito Enrico. La signora Vernet (rientrando) — Tanto meglio... Mi unisco al rapimento. Enrico — Allora, se vi unite anche voi, mi lascio rapire senz’altro. Grazie, signora, ma ad una condizione: mi darete una stanza qua lunque, una soffitta, un solaio, niente lusso... Un letto, una tavola e una sedia. La signora Vernet — Ma è un mobilio as surdo. I l signor Vernet — Avrete una camera co me gli altri. La signora Vernet — La camera verde. Enrico — Grazie, signora. I l signor Vernet — Con due grandi finestre, che danno su] mare. La signora Vernet — Una sola dà sul mare. I l signor Vernet — Sì, ma l ’altra dà sulla IL SIGNOR VERNET campagna: così vi riposate della vista del ma re. E’ meglio. Enrico — Ma è un sogno tutto ciò. Grazie. Grazie. I l signor Vernet — E finitela con i vostri grazie. Cominciano a darmi sui nervi. Piutto sto, ricordatevi che partiamo domattina. Siete pronto? Enrico — Prontissimo. Possiamo partire an che subito, se volete. I l signor Vernet — Non esageriamo. Do mattina. Sapete, mia nipote e Paolina vengo no con noi. La signora Vernet — Paolina è la mia sorel la maggiore. Dirige un convitto per signorine, in cui Margherita sta terminando i suoi studi. Del resto la vedrete, perchè verrà questa se ra qui. I l signor Vernet — Vi avverto che mia co gnata è una donna insopportabile. Io la sop porto, proprio per spirito di famiglia. La signora Vernet — In fondo, è una buo nissima donna. E ’ soltanto una donna che non è stata troppo felice nella vita. I l signor Vernet — Figuratevi che ha avu to, nella sua vita, perfino un piccolo romanzo d’amore. Voi che fate dei lib ri, vi assicuro che ci tirereste fuori di che scrivere per un anno. La signora Vernet — Vittorio... Andiamo... Sono cose che non interessano il signore. Tl signor Vernet — De] resto, ve Io dico su bito in quattro parole. Paolina ha amato un si gnore, ohe invece non ha voluto saperne di lei., e allora Paolina, dal dispiacere, si è data dei piccoli colpi di temperino nel cuore. Enrico — Povera donna. E non è morta? I l signor Vernet — No, dal momento che la vedrete qui fra poco. Enrico — Scusate... Non ci pensavo più. I l signor Vernet — No, non è morta... Si è data dei colpi di temperino sul cuore, ma ha colpito un po’ più in giù e, ir realtà, si è fatta solo qualche piccolo taglio su di una gamba. Gosa ne dite di c]uesta storia? Farebbe un bel romanzo, non è vero? La signora Vernet — Non date retta a quel ohe dice mio marito. V i assicuro che Paolina ha sofferto moltissimo. Enrico — Io non sono di quelli, signora, che ridono delle delusioni amorose di una donna. La signora Vernet — E’ una vecchia zitella, un po’ maligna, un po’ inacidita: ecco tutto. I l signor Vernet — E’ un serpente, vi di co... Un serpente con gli occhiali, perchè fra le altre cose è anche miope. (Si ode rumori! in anticamera). La signora Vernet — Ma sta’ zitto una buo na volta. (Entrata di Paolina, cinquantenne, e di Margherita, diciottenne. Le donne si abbracsiano fra di loro. Enrico si tiene in disparte). Paolina — Hai una visita? La signora Vernet — Sì, un giovanotto mol to distinto... Venite che vi presento. (A Enri co) Mia sorella e mia nipote... Il signor E nri co Gerard. I l signor Vernet — Un poeta. Paolina — Ah. La signora Vernet — Si, cara, il signor En rico Gerard è poeta. I l signor Vernet — Del resto, ecco la pro va. (Mostra il libro a Paolina). Paolina — La copertina dà molto nell’oc chio... Lime... Strano titolo... La signora Vernet — Non lime... Rime... Enrico ;— Con una erre, signorina... Rime. Paolina — Perdonate, ma sono così miope. I l signor Vernet (sottovoce, a Enrico) — Vi assicuro che lo ha fatto apposta a non veder bene. La signora Vernet — Hai fatte le valigie? Paolina — Oh, non credere che io porti mol ta roba con me. La signora Vernet — Chi te lo impedisce? Paolina — Me lo impedisce la povertà del mio guardaroba. La signora Vernet — Tl signor Enrico ci fa il piacere di essere nostro ospite. Paolina — Ah ah!... I l signor Vernet — I l piacere e l ’onore. Forse vi stupisce che un poeta... Paolina — Non mi stupisce affatto. (A Enri co) — Mia sorella ha un debole per gli artisti. I l signor Vernet — E’ vero: io e mia moglie con possiamo farne a meno. Paolina — Voi non siete mica il primo ar tista che mi presentano in questa casa. Ho già avuto il piacere e l ’onore di pranzare qui con il pittore che ha fatto quel ritratto. (Tutti guardano il ritratto). I l signor Vernet lì pittore Morneau. Lo conoscete? Enrico — No. I l signor Vernet — Come vi sembra il r i tratto ? Enrico — Non c’è male. La signora Vernet — Come lo dite senza en tusiasmo, che non c’è male. Enrico — Lo dico con lo stesso tono di voce «■ JULES RENARD con cui lo penso... I l ritratto è un po’ manca to... La vostra fronte, per esempio... Voi ave te una fronte netta, decisa, una fronte a cui non è possibile far pensare ciò che si vuole. In vece, nel ritratto... I l signor Vernet — Lo senti, Giulia, che po’ po’ di fisionomista è Enrico? Paolina — E gli occhi. Che cosa avete da di re a proposito degli occhi? Enrico — G li occhi sono le cose più difficili da fare per un ritrattista... Scusate, signora Vernet, ma una donna come voi è rara, anche in pittura. I l signor Vernet — Ho bell’e visto. L ’anno venturo, quando mi farò fare il ritratto, chia merò un altro pittore. Paolina — Sarà meglio. (Onorino, porta il tè). Enrico — E questo signor Morneau viene an cora a trovarvi? La signora Vernet —- No, non viene più... Lo avevamo conosciuto a una vernice... I l signor Vernet — E poi il signor Morneau si è comportato così poco correttamente con... Paolina — Si è comportato come un artista. Enrico — La signorina Paolina detesta gli artisti. Paolina — Sì, ma un pittore non è un poeta. I l signor Vernet — E reciprocamente... E tu, Margherita, non dici niente? Sei contenta di passare due mesi con un poeta? Enrico — La cosa non fa molto effetto alla signorina Margherita. Margherita — I l signore è poeta? Enrico — Sì, ma perchè me lo domandate? Capisco... Voi immaginavate che un poeta fos se un’altra cosa. Margherita (ironica) — Piuttosto. Enrico — Immaginavate che fosse un giova notto molto pallido, con i capelli lunghi e neri. Margherita — Bianchi, magari. Enrico — I poeti ron hanno i caoelli bian chi, che quando sono vecchi. Prima, li hanno neri. E qualche volta, corti, come li1ho io. Margherita — E che cosa significano i ca pelli corti?... Una nuova scuola poetica? Enrico — No, è semplicemente una nuova scuola di taglio dej capelli... Capisco, vi ho de luso... I l poeta dei vostri sogni non porta il gilè, ha un’abito nero tutto sbrindellato, e io, invece, ho tanto di gilè, con la catena e l ’oro logio. Non solo, ma quando non so che ora è, guardo perfino l ’orologio. Capisco là -vostra grande delusione... Capisco... Margherita — Mi ci abituerò... Bisogna dar mi il tempo. La signora Vernet — Margherita, finirai con l ’indisporre il signore... M argherita — Ma io non domando nulla al signore. I l signor Vernet — Va bene, ma potresti an che ricordarti di aver ricevuto un’educazione. Paolina — Ha ricevuto l ’educazione che io le ho data. I l signor Vernet — Allora, se è così, non mi stupisco più di nulla. La signora Vernet — Dovete scusare mia n i pote, signor Enrico... Più che una signorina, è una specie di ragazzo impertinente. Enrico — Ma questo è molto bello da parte sua. La signorina al naturale, senza misteri, senza ipocrisie... E’ bellissimo. I l signor Vernet — Sentite, Enrico... Sen tite piuttosto i l programma della nostra vita a Fleuriport... Ogni mattina, un’ora di scher ma... Divertimento per soli' uomini... Poi, ba gno... Sapete nuotare? Enrico — Sì. I l signor Vernet — A l pomeriggio, passeg giate. Si va, per esempio, a visitare una chiesa. Intanto Paolina si riposerà nel cimitero della chiesa... E ’ un’abitudine da prendere. Enrico — Siete lugubre, signor Vernet. I l signor Vernet — Io non domando alla fa talità la morte di Paolina. Domando solo che muoia prima di me. Come vedete, non ho poi grandi pretese. La signora Vernet — Non vi scandalizzate, signor Enrico... Quest’odio è la manièra con cui mia sorella e mio marito hanno preso la abitudine di volersi bene. I l signor Vernet —- Giulia scherza... Io e Paolina ci detestiamo cordialmente. Enrico —- E la fine del programma? I l signor Vernet — Si cena alle sette... Si fa un piccolo giro intorno al porto. Si dà una occhiata alle stelle, se ci sono, e poi a letto. V i va? Enrico — Sì, ma vi siete dimenticate le mie funzioni. I l signor Vernet — E ’ vero... Margherita, il signor Enrico ti darà nel pomeriggio delle le zioni di letteratura. La signora Vernet — Margherita, ti farà piacere prendere delle lezioni? Margherita — Non lo so. I l signor Vernet — Enrico, se Margherita non le vuole, le lezioni le prenderò io. Vi as- siouro che non saranno in nessun caso perdute. Enrico — Del resto, signorina, tranquilliz zatevi... Sarò un professore tu tt’aìtro che ter ribile... Sarò un camerata, più che un profes sore. Margherita Sarà molto meglio. I l signor Vernet (a Paolina) — Ancora una tazza di tè? Paolina — Grazie, non ne voglio più. Mi impedirebbe di dormire. I l signor Vernet — Lo so benissimo clic vi impedirebbe di dormire... Altrim enti non ve l ’offrirei. Paolina — A forza di frequentare degli arti sti, finirete persino con l ’avere dello spirito. I l signor Vernet — Quel giorno, guai a voi. Paolina -— Signor Vernet, è tardi e voi avete probabilmente bisogno di riposare. La signora Vernet — Anch’io vi lascio, si gnor Enrico... Sono un po’ stanca e poi ho qualcosa da dire a quattr’occhi a mia sorella. Permettete? Enrico — Ma signora, ve ne prego. La signora Vernet — Intanto, tenete anco ra un poco compagnia a mio marito. P u r ncn estende us» prcfuMt®, l ’Arcigna «1» Colonia “ G vtactni® in n a itic r& Ii >, Ssa ¿ci prciuinc ila ili s i^ n o riliià e la persisiente soavità. Se avete u n a c a e n a zione iiiv a ia e urna pelle a^ciuda, ver satene ale te11e (focee n e ll’ acqua e cg-ui«<•'.» lavatevi come al .ve'lite . Se invece avete u n a c a r a f t^ io n e (fpa.iia e «iti a pelle untuosa , s p t u ii a te v e n e s u lla f a c cia, sul collo, sulle B a lle , sull® m a n i I l signor Vernet — Ancora cinque minuti... Parleremo in libertà, fra uomini... A domatti na, mia cara cognata, alla stazione... E non dimenticate di portare con voi la vostra m ali gnità. Paolina — Contateci. I l signor Vernet — Ci conto. (La signora Vernet, Paolina e Margherita escono) V i assi curo che la porterà. Enrico —- Avete una cognata un po’ irritan te. Ma in compenso avete una moglie deliziosa. I l signor Vernet -— E che mi adora... Ci adoriamo dal giorno del nostro matrimonio... Quando l ’ho conosciuta, mia moglie teneva con sua sorella un convitto per signorine e lavora va tutto il giorno. Io avevo già creato il inio commercio della seta. Guadagnavo già molto bene. Tutte e due le sorelle erano in cerca di marito. Non avevo che da scegliere e ho scelto. Naturalmente, Paolina non mi ha mai più per donato la mia scelta... Come se avessi potuto esitare... Enrico — Bisognava essere molto miope, per esitare. I l signor Vernet — Così, ho tolto Giulia JULES RENARD dalla miseria... Giulia me uè è stata mollo r i conoscente e adesso siamo felici... Non ci man ca che un piccino... Ma non ne abbiamo, chis sà poi perchè? Enrico — Nc avrete. I l signor Vernet — Dopo nove anni di ma trimonio!... Enrico — Conosco degli sposi1che dopo nove anni di matrimonio... I l signor Vernet — Li conosco anch’io, que gli sposi... La conosciamo tutti quella famosa coppia di sposi, che ha avuto un bambino do po nove anni di' matrimonio. Dev’essere sem pre la stessa coppia... Da per tutto... Io inve ce non spero più. Ecco perchè, qualche volta, pur essendo felici, io e Giulia ci annoiamo Enrico — Annoiarvi?... Eppure siete tutti e due in così buona compagnia. I l signor Vernet — Giulia mi è molto supe riore, in fatto di cultura... Io ho le mie qua lità, beninteso, ma quanto a cultura non sono gran che... Faccio tutto il possibile per miglio rare... Per esempio, prima di sposare Giulia, detestavo tutti i pianoforti... Adesso, basta che Giulia si sieda a] piano e suoni qualcosa, io chiudo gli occhi e sogno... E ’ stupido, non è vero? ma è cosi. Enrico — No, signor Vernet, non è stupido. I l signor Vernet — E laggiù, a Fleuriport, alla sera, mi diverto già a guardare il cielo e a l raltare la luna conte se fosse una vecchia ami ca, una confidente. Insomma, faccio quello che posso, ma sento clic la mia conversazione molto spesso non basta a Giulia... Ed è proprio quan do io sento di amare, Giulia più del solito, che ho l ’impressione di non aver niente da dire. Spiegatemi un po’ questo mistero voi che siete poeta. Enrico — Sono cose che non si spiegano: sono così e basta. I l signor Vernet — Spero che sarete alle ilo , a Fleuriport... Spero che il mare non vi dia delle idee malinconiche. Enrico — Non lo so... Non l ’ho inai visto. I l signor Vernet — Come, non avete mai vi sto il mare? Enrico — No, mai. I l signor Vernet — Coin’è possibile? Voi non avete mai visto il mare? Enrico — No, perchè nascondcrvelo? Non l ’ho mai visto. I l signor Vernet — Mai? Enrico — Mai... Non so se la cosa dispiace molto al mare, ma so che dispiace molto a me. I l signor Vernet — Onorimi... Onorino... (Gnorina compare) La signora è già coricata? Onorina —- Non ancora, signore. Ir, signor Vernet — Allora, ditele di venire subito qui... Una comunicazione urgente. (Onorina esce) Giulia rimarrà sbalordita... Una persona che non ha mai visto il mare... Un poeta... La signora Vernet (in pigiama) — Cosa suc cede? I l signor Vernet — Figurati che non ha ma.! visto il mare. Enrico — Ed è per una sciocchezza simile, che avete disturbato la signora? La signora Vernet — Ma come, non avete inai veduto il mare... Per quali misteriose ra gioni non lo avete mai visto? I l signor Vernet — Adesso, coi direttissimi, si può andare al mare in meno di tre ore. Enrico — Non sono le tre ore che mi sono mancate... Ma in compenso ho visto il ¡ago di Ginevra... I l signor Vernet — I laghi sono la carica tura del mare... Non contano. La signora Vernet — Ma il signor Enrico avrà visto il mare attraverso la sua immagina zione... Probabilmente, in immaginazione, >1 mare è ancora meglio. Come i viaggi. I l signor Vernet — Sono cose che si dico no quando non si possono fare dei viaggi. La signora Vernet — Del resto, vedrete, Fleuriport vi piacerà... Vi entusiasmerà e noi saremo contenti del vostro entusiasmo. Ti, signor Vernet — Se potessimo almeno fargli vedere una bella tempesta. Ce ne sono di bellissime, a Fleuriport. La signora Vernet — Signor Enrico, voi mi scuserete se sono venuta così... I miei vestiti sono già tutti nel baule. Enrico — Il vostro nigiama è graziosissimo e noi voi lo portate deliziosamente. I l signor Vernet — Vai pure, Giulia. (La bacia sulla fronte. La signora Vernet esce) An diamo, Enrico, potete fare dei complimenti a mia moglie, se volete... Io non sono geloso. Enrico — No? Tl signor Vernet — La gelosia è l ’unico sen timento. che non ho mai provato. E poi, per chè dovrei essere geloso?... Io le voglio bene... e sono un galantuomo.. Lei mi vuol bene ed è ima brava dorma. Di questo, ne sono sicuro. Enrico — E’ un vero piacere sentirvi parla re così, signor Vernet. I l signor Vernet — Vi assicuro che non se IL SlONOH VEKNET ne fa più della gente così, nè come me, nè co* me lei... Non voglio mica dirvi con questo che Giulia è buona ed è onesta perchè sono io che t’ho sposata... Sarebbe stata buona e onesta, anche con mi altro, con chiunque altro... E’ buona e onesta, perchè è buona e onesta e per chè non le sarebbe possibile non esserlo... E’ venuta al mondo con la sua bontà e con la sua onestà, come è venula al mondo con il suo na so o con le sue mani. Enrico —- Già, ma ammettiamo che non ave ste sposata vostra moglie, che ne aveste spo sata un’altra e che quest’altra vi tradisse. Che cosa fareste? I l signor Vernet — Sparerei. Enrico —- Sulla donna? Su di lei? I l signor Vernet — Su lei e su lui. Su tutti e due... Consumerei tutte e due le cartucce del mio fucile... Perchè io non sono un raffinato... Non uso la rivoltella come gli snob di oggi. Enrico — E siete un buon tiratore? I l signor Vernet —- Ho uccìso intere popo lazioni di uova nei tirasegni delle fiere. Enrico — Sì, ma tra un uovo vuoto c un uo mo pieno, c’è un po’ di differenza. I l signor Vernet — Non molta... Se la cosa succedesse, io sparerei prima nella vostra schiena. Enrico — Nella mia schiena? Che cosa den ti a la mia schiena? I l signor Vernet — Dico nella vostra schie na, come direi quella di qualunque altro. Co sì, per dire... Ma a proposito, se parlassimo di qualche cosa d’altro? Enrico — Parlavamo, così, per ridere. I l signor Vernet — Allora, sono costretto a lasciarvi ridere da solo. A me queste cose non fanno affatto ridere. Enrico — Scusatemi, signor Vernet... E’ sta ta l ’abitudine... L ’abitudine letteraria di esa minare le possibilità delle cose, di deformar P R O D U Z IO N E D E L L A le... Una stupida abitudine e uno stupido me stiere. I l signor Vernet — V i capisco e vi scuso.., Eh, chissà quante idee vi devono passare per la testa a voialtri poeti... Enrico — Esagerate... I l signor Vernet — Poco fa avevate degli scrupoli per accettare ii mio invito... Adesso, avete delie inquietudini, delle preoccupazio ni... Nessuno di noi è libero di agire come vuo le... E poi, cosa volete che mi importino, gli altri... Enrico —■ E a me, che cosa volete che im portino? Dal momento che non importano nep pure a voi. I l signor Vernet — La nostra amicizia non riguarda che noi due. Io vi offro la mano, voi o: mettete dentro la vostra mano. Io vi apro la mia porta e vi dico: entrate. V i presento la cosa che mi è più cara in questo mondo, vi presento mia moglie. Io e mia moglie vi acco gliamo come im fratello. Che cosa posso sape re, io, se questo fratello sarà o no un falso fra tello? Enrico — Io... I l signor Vernet — Sì, voi... Quanto a me, non ho dubbi, purtroppo... Lo so che sono uu galantuomo... Mi conosco bene. Enrico — Anch’io mi conosco. I l signor Vernet — Rispondetemi franca mente : sareste capace, sì o no, di essere un falso fratello? Enrico — Non ]o so, ma non credo che sarei capace. I l signor Vernet — Sì o no? Enrico — No. I l signor Vernet — No... Avete detto questo no molto bene... Bravo... Vi credo. Ho voglia di credervi... (Offre la mano) A domattina, e puntuale, mi raccomando... a m ® F A B B R IC A «Sei IT A L IA N A p r im o & f i ts A Fleuriport. Le cinque di sera. In riva al mare. Una terrazza, nella villa del signor Fer net : balaustrata, panchina, sedie di ferro, una tavola, degli alberi. Una scala di legno scende dalla terrazza al mare. Cruz, il pescatore, sta tagliando dei pezzi di legno. Sua moglie annaf fia dei garofani. Madama Cruz — Vai a pescare questa notte? Cruz — Sì, e il signor Enrico vuol venire con noi... Metterà, come tu tti i dilettanti della pesca, una grande quantità di provviste in fon do alla barca. Poi avrà il mal di mare e io e i miei marinai dovremo far la fatica di mangiare tutto. Madama Cruz — Non ti vergogni? Cruz — Vergognarmi? E che cosa vorresti? Che dessimo tutta quella roba ai pesci? Poveri pesci, finirebbero col fare una indigestione... Madama Cruz — E poi tu tratti il signor Enrico un po’ troppo familiarmente. Cruz — Quel giovanotto mi piace e io non sono or goglioso, per temperamen to. Del resto, piace a tutti in questa casa. Non si par la che di lui, non si hanno premure che per lui. Madama Cruz — Tu fare sti molto bene a fare meco chiacchiere che puoi. E ad occuparti solo dei soldi che puoi guadagnare. Cruz — Già, io li guada gno e tu te li prendi. Madama Cruz — L i prendo, perchè non voglio che tu l i spenda male. Cruz — Ci tieni tanto a me ? Madama Cruz — Tengo molto alla tua pesca, sopra tutto quando frutta bene. I l signor Vernet (compa re, in cima alla scala, se guito da sua moglie, Enri co, Paolina e Margherita) — Madama Cruz, andate a prendermi una bottiglia di ^ cedro. Madama Cruz — Vado... Han portato ima lettera pei voi. (Dà la lettera, esce). I l signor Vernet — E’ il sindaco di Fleuri port che ci invita a fargli una visita per dome nica sera... Ci andremo. Enrico — Non possiamo... Abbiaina già pro messo una visita al curato. I l signor Vernet — Andremo da tutti, con tenteremo tutti... Se no, non varrebbe la pena di avere con noi un poeta che viene da Parigi. Enrico — Dite addirittura che io sono la cu riosità della spiaggia, il numero di attrazione. I l signor Vernet — Lo siete e dovete rasse gnarvi... Voi declamerete dei versi, di quel poe ta che avete sempre in tasca. Enrico — Verlaine? I l signor Vernet — No, quelFaltro... Nel l ’altra tasca. Enrico —- Baudelaire? Signor Vernet — Sì, quello lì... Ho notato che fa sempre più impressione di quell’altro. IL SIGNOR VERNET Enrico (si avvicina a Margherita) — Siete gra ziosa, con quella ciliegia che avete sempre fra le labbra. Margherita — Quale ciliegia? Enrico —• La vostra bocca! Margherita — Siete un bel tipo. Ma non po treste parlare come tutti gli altri? Enrico —- No, è più folte di me. I l signor Vernet (a Paolina, offrendo un canocchiale) — Guardate un po’ se sono di buonumore quest’oggi. Paolina — Sempre spiritoso. I l signor Vernet — Perchè ridete, Cruz? Cruz — Io rido sempre quando sono a terra. I l signor Vernet (a Enrico) — Dunque, que sta sera, voi affiderete la vostra vita di poeta a Cruz... E ’ imprudente, vi avverto. Enrico — Voglio vivere ima notte di pesca. I l signor Vernet — Io ho provato l ’anno scorso e non mi pigliano più... La barca sola, nella notte, in mezzo al mare: una cosa si nistra. Enrico — Dev’essere bello. La signora Vernet — Dev’essere molto bello. Enrico — Venite con noi, signora. La signora Vernet — Verrei, ma mio marito non vuole. I l signor Vernet —- Non dò il permesso che a Paolina. Paolina — Naturalmente, con la speranza elle la barca si capovolga. I l signor Vernet — E poi non ve lo consi glio, per la questione del mal di mare. La volta che ci sono stato io, ho restituito al mare tutti i pranzi che ho fatto nella mia vita. Tutti. Cruz — No, quello che è veramente perico loso sono i piroscafi. Se c’è la nebbia, vi fanno la barca in due pezzi, senza nemmeno doman darvi scusa. I l signor Vernet -— Che costumi! Cruz — Ma io non ho paura, per questa not te... Io morirò solamente a quarant’anni. I l signor Vernet — Chi è che ve lo ha pre detto?... Una cartomante? Cruz — Peggio: lo sento io. I l signor Vernet — E ne siete sicuro? Cruz — Così come sono sicuro di tornare do mattina 6ano e salvo... I l signor Enrico duo es sere tranquillo. Questa notte possono venire tut te le tempeste del mondo. Niente da fare... Enrico — Ma quanti anni avete? Cruz — Non ne ho che trentotto. I l signor Vernet — Allora avete ancora di ritto a due anni di coraggio. Enrico — Ma allora, Cruz, dal momento che lo sapete, non avete che da fare una cosa: fra due anni, smettete di andare per mare. Cruz — Ci andrò lo stesso... La morte, tutti la sanno, ma nessuno vuol mai credere che sia vera. La signora Vernet — Avete notato, signor Enrico, come sono strani questi pescatori? E che contrasto fra la psicologia del pescatore e quella, per esempio, del contadino. Enrico — I l contadino non vede mai più in là del suo aratro... I l pescatore, invece, vede l ’infinito tutte le sere... I l marinaio è un po’ eroe tutti i giorni. La signora Vernet — E credete che i mari nai se ne accorgano di essere degli eroi? Enrico — Gli eroi non se ne accorgono mai dj esserlo... Se ne accorgono gli altri per loro... Cruz, non è vero che voi sentite spesso tutta la nobiltà della vostra vita? Cruz — La nobiltà non la senio mai... Ma sento qualche volta l ’odore che c’è in fondo alla mia barca e vi assicuro che non sempre quello che sento è odore di rosa. Enrico — Cruz fa confusione fra sentire e sentire. La signora Vernet — Signor Enrico, guar date com’è bello ij mare questa sera. I l signor Vernet — Bello e calmo... Si di rebbe verniciato... Ma non bisogna fidarsi. La signora Vernet — lo, però, il mare lo preferisco a marea alta. I l signor Vernet — Adesso è a bassa marea, ma l ’alta marea non tarderà a venire. Paolina — E ’ il dovere dell’alta marea, quel lo di farsi viva ogni tanto. I l signor Vernet — Paolina, vedo che state diventando spiritosa anche voi. Enrico — La signora Paolina ha ragione, si gnor Vernet... Voi non la guardate neppure... Non le dite mai niente... Paolina — E’ meglio che non dica niente... Così le mie orecchie fanno economia di stupi daggini. I l signor Vernet — Cosa volete, Paolina mi irrita, quando dice male del mare. (A Onorino che interrompe) Che cosa c’è? Onorina — Nulla, signore... Un uomo che domanda la carità. La sicnora Vernet — Dài qualche cosa. I l signor Vernet — Dove diavolo ho messo il portamonete? Enrico — Eccolo. Ho dimenticato di resti tuircelo, quando ho pagato il caffè, poco fa. JUUSS RENARD I l signor Vernex — Grazie.,. Stava benissi mo nelle vostre tasche, come nelle mie. Onorina, date questo a quell’uomo... Un franco basterà... La signora Vernex — Dai un po’ di più, ca ro. Non ti vergogni? Onorina — Non c’è bisogno, signora... L ’uo mo è già venuto ieri e gli abbiamo dato qual cosa anche ieri. I l signor Vernex — Bella ragione, e voi man giate forse soltanto ogni due giorni? E poi non siamo mica a Parigi... Qui, un povero è vera mente un povero. Enrico — I poveri esistono apposta, perchè i ricchi possano credersi felici. I l signor Vernex — Come dite? Non ho ca pito bene. La signora Vernex — I l signor Enrico ha vo luto dire... I l signor Vernex — Ho capito... E ’ quello che dicevo anch’io... A Parigi, non si sa mai. Qui, quando si fa. un soldo d’elemosina a qual cuno si può essere per lo meno sicuri di non aver fatto l ’elemosina a un milionario... Pao lina, guardate un po’ nella vostra borsetta se avete qualcosa da darmi per quel poveruomo... Un bottone, per esempio. Paolina — No, sono senza soldi. I l signor Vernex — Allora metterò io un franco per voi, va bene? Enrico — E datene uno anche per me, giac che ci siete. I l signor Vernex — Lo sapevo che eravate un generoso voi, Enrico... Del resto, da quan do voi vivete con noi, siamo ■diventati tutti un po’ poetici... (A Paolina) Che cosa avete da scrollare le spalle? Paolina — Ho una zanzara nel collo. I l signor Vernex — Povera zanzara! Non ho parole per compiangerla. La voce di Cruz — Signor Vernet, venite a vedere, c’è un transatlantico che passa. I l signor Vernex — Vengo... Margherita, vai a cercare il mio berretto da ammiraglio. (Margherita esce di corsa). Paolina — i l suo berretto da ammiraglio!... I l signor Vernex — Quello che mi rattrista, caro Enrico, è il pensiero clic un giorno fa rete. finta di non avermi mai conosciuto, quan do sarete un uomo celebre, mi ministro. Enrico — Cosa c’entra un poeta con un m i nistro ? I l signor Vernet — Un poeta può sempre diventare ministro delle Belle arti... Ma io ho già avuto un’idea... Ve la dirò tra poco... P ri ma, il transatlantico. L ’idea non se ne va... H transatlantico, invece, passa... (Si allontana). La signora Vernet (a Margherita) — Mar gherita, avrai crudo con questo corsetto. Per chè non vai a cambiarti? ^ Margherita — Prima voglio vedere anch’io il transatlantico, poi vado a cambiarmi. La signora Vernet — Margherita ha la pel le così bianca. Enrico — E così delicata, line... Paolina — Non trovi che anch’io avrei biso gno di vestirmi più leggeia? La signora Vernet — No, perchè? Paolina — Io invece credo di sì e perciò sal go in camera mia. La signora Vernet — Come vuoi. Paolina (allontanandosi, a bassa voce, a Enrico) — Poi direte che io non sono una per sona gentile. Enrico — Si direbbe, signora Vernet, che avete scelto apposta una sorella così, per met tervi in evidenza. La signora Vernet — Non esagerate, ve ne piego... Noi tutti abbiamo molta riconoscen za per voi, signor Enrico... Avete movimentato un po’ , con la vostra presenza, le nostre va canze. Enrico — Anch’io vi sono molto riconoscen te... A l signor Vernet, alia signora Paolina, a Margherita. La signora Vernet — E a me no? Enrico — Senza di voi, tutti gli altri non avrebbero nessun valore per me. La signora Vernet — Chissà se ritonien te con noi l’anno venturo? Enrico — Non credo... Le buone giornate, nella vita, non amano mai ricominciare. La signora Vernet (al signor Vernet, che è rientrato) — Già di ritorno? I l signor Vernet — E’ ancora lontano, ma ledetto transatlantico... Ma dimmi, cara, dal momento che siamo soli, potremmo mettere Enrico al corrente del nostro progetto. La signora Vernet — M i pare ancora un po’ presto. I l signor Vernet — Presto o no, almeno sa premo una volta per sempre che cosa ne pen sa Enrico. Enrico -— Voi mi incuriosite. I l signor Vernet — E io non voglio farad languire... Enrico, che cosa pensate di nostra nipote Margherita? Enrico — Signor Vernet, mi è molto facile IL 9KN0R VBBNE'í' rispondervi che la signorina Margherita è mol to graziosa. La signora Vernet — La credete capace, sì o no, di diventare una buona moglie? Enrico — Perchè no, anche una buona mo glie... Ma non sapevo che voleste maritarla. E con chi? I l signor Vernet — Con voi, se volete. La signora Vernet — Sì, signor Enrico... Mio marito si è messo in testa che voi forme reste a fianco di Margherita la coppia ideale... Io, lo confesso, ho i miei dubbi... Non credo che Margherita sia la donna che vi occorre. I l signor Vernet — Questo lo dici tu, cara, ma Enrico non lo dice. Non dice niente. Enhico — Sto zitto, perchè ho come l ’im pressione di non aver capito troppo bene quel lo che mi avete detto. I l signor Vernet — Non ho mica voluto di re, con questo, che dobbiate sposarla subito. La signora Vernet — I l signor Enrico ha probabilmente altri ideali. I l signor Vernet — Ideale, ideale... Che cosa vuol dire « ideale »?... Per il momento, basta che Margherita non gli dispiaccia... a innamorasene, c’è sempre tempo. La signora Vernet — Va bene, ma le quali tà di Margherita possono benissimo non conve nire a un uomo come il signor Enrico, a un poeta... Un poeta ha probabilmente bisogno di una donna superiore, che lo ispiri, che lo ca pisca, che partecipi alle sue aspirazioni, ai suoi sogni. I l signor Vernet — Ecco precisamente do ve sbagli, mia cara... Quello che occorre a un poeta è ima piccola donna, molto casalinga, molto qualunque, che stia sulla terra, mentre il marito è nelle nuvole, e che lo lasci tran quillo, quando lu i scende giù, dai suoi cieli. Enrico — Signora Vernet, mi permettete di rispondere in tutta franchezza? La signora Vernet — Bene... Ve ne piego. Enrico — Ecco: quello che occorre a un poeta, come moglie, sono due mogli. Una che si curi del poeta in basso e l ’altra che lo ac compagni in alto. I l poeta dovrebbe vivere con la prima e sognare con la seconda, mi spiego? I l signor Vernet — Due mogli «Ha volta non è una cosa pratica. Enrico — Lo so e me ne dispiace. I l signor Vernet — Dovreste finire, prima o poi, col sacrificare una delle due, e io so già a priori quella che finireste con sacrificare: lo so per esperienza personale. La signora Vernet — Che cosa diavolo di ci?... Lo sai per esperienza personale? I l signor Vernet — Sì, cara, l ’esperienza personale che io ho fatto con te... Senza esse re una artista, come Enrico, tu hai un cervello 10 molto al disopra del mio... Ed è precisamente per via di questa tua superiorità, che io ti ho amata e che ti amo. La signora Vernet — Ti prego, cambiamo discorso. I l signor Vernet — Terminiamolo prima... E siccome tu non mi fai mai sentire tutta la distanza che ti separa da me, noi siamo per fettamente felici. Non so se m i spiego. La signora Vernet — Tu sei il migliore degli uomini e ti spieghi benissimo, ma in que sto momento non si tratta di noi... Si tratta del signor Enrico. I l signor Vernet — Per il signor Enrico è 11 contrario, ma in fondo è la stessa cosa... E* sempre ima questione di equilibrio... Lui, uo mo superiore, deve sposare ima donna inferio re, come Margherita... E così si costituirà una felicità dello stesso tipo della nostra; enlámen te, con le parti invertite, perchè nella nostra felicità la persona superiore sei tu. E’ chiaro? Signora Vernet — Ammettiamo che lo sia. I l signor Vernet — Nel caso del signor En rico, invece, la persona superiore è lui. E ab biamo uni altro matrimonio perfetto. De] re sto, di matrimoni me ne intendo. Da solo, so no riuscito a fare un buon matrimonio: il mio... Ho quindi un po’ il diritto di occupar mi di quello degli altri... E poi, il signor En rico non deve dimenticare che Margherita è la nostra unica erede. La signora Vernet —- Cosa vuoi che interes sino i nostri soldi al signor Enrico? I l signor Vernet — I soldi sono i soldi... Lo so che, per i poeti, i soldi sono mia cosa disprezzabile... Lo sono qualche volta anche per me... E per me, è una cosa ancora più dif ficile che per un poeta, quella di disprezzare i soldi, per il fatto che io soldi ne ho... Ma se Enrico è poeta in una soffitta, al sesto piano, potrà a maggior ragione essere poeta in un bel l ’appartamento al secondo piano con tutto il conforto moderno... Non credo che la poesia dipenda dal numero di scalini che bisogna sa lire per rientrare in casa. Enrico — Voi siete infinitamente buono, si gnor Vernet... Io sono confuso. I l signor Vernet — E tu, Giulia, non dici nulla? JULES RENAS© La signora V'ernet — Guardo il signor En rico... E siccome non mi sembra entusiasta del la tua proposta... Margherita (entrando) — Zio, i l transatlan tico... (Esce). I l signor Vernet —- Vengo... Insomma, per concludere... Adesso Enrico deve scegliere lui, fra la donna chimerica introvabile che egli spera e la donna vera ricca e semplice, che io gli ho proposto. Margherita (daiVinterno) — Zio, se non fai presto se ne va. I l signor Vernet — Dunque, capito? Biso gna scegliere... Vengo, cara, vengo. (Esce). Enrico — Ciò che dice il signor Vernet è pieno di buon senso... Con lui, tutte le cose della vita vanno da sè... Tratta gli affari senti mentali come quelli della seta. Senza mai per dere del tempo con ipocrisie. La signora Vernet — Ma in somma, Marghe rita, vi piace sì o no? Enrico — Sapete, non ho mai amato molto le donne troppo giovani. La signora Vernet — Che cosa avete da di re contro le donne troppo giovani? Enrico — Niente, parlavo in generale. La signora Vernet — Insomma, trovate che Margherita è un po’ banale? Enrico — Ahimè. La signora Vernet — Che cosa vuol dire questo cc ahimè a? Enrico — E’ un ahimè pieno zeppo di do mande... D i domande che vorrei fare a voi. La signora Vernet — Fatele, cercherò di r i spondere. Enrico — Dite, signora Vernet... Franca mente... Siete felice? La signora Vernet — Sì, lo sono. Enrico — Felice col signor Vernet? La signora Vernet — Sono felice con mio marito. Enrico — E anche se non lo foste effettiva mente, sarebbe la stessa cosa, dal momento che voi non sapete mettere la felicità al di fuori del matrimonio. La signora Vernet — Ma dal momento che 10 sono maritata. Enrico — Credete alla morale, insomma? La signora Vernet — Sono stata educata molto bene. Enrico — Siete una donna virtuosa. La signora Vernet — Lo sono e ho perfino 11 coraggio di non arrossirne. Enrico — Insomma, non siete di quelle che, sotto i l pretesto che non sono felici con un uomo, cercano subito di esserlo con un 'altro. La signora Vernet — No. Enrico — Insomma, siete fedele al vòstro dovere o a vostro marito? La signora Vernet — A ll’uno e all’altro. Enrico —- Lo sapevo. La signora Vernet — E allora perchè me lo avete domandato? Enrico — Per assicurarmi un’ultima volta che è perfettamente inutile da parte mia dir vi... perchè tutto quello che succede da un me se succede... dirvi che nella vita tutto quello che deve succedere prima o poi succede... dir vi insomma che... La signora Vernet — Perchè dirlo, dal mo mento che è inutile? Enrico — Credete proprio che se lo dicessi non servirebbe a nulla? La signora Vernet — Ne sono sicura. Enrico — Sentite, e scusatemi. M i spiego male... Vorrei essere chiaro, ma non ci riesco... Signora Vernet, c’è una parola che si dice tan to spesso, che la gente dice tanto spesso, una parola che tutti scrivono, che si legge ogni mo mento, una parola che si è talmente consuma ta a forza di essere ripetuta da tutti, che io non ho quasi il coraggio di servirmene per mio uso personale... Avevo giurato a me stesso che se un giorno fossi stato costretto a dire a una donna quella parola, ebbene, per pudore non l ’avrei detta... M i ero proposto di cercare qualche cosa d’altro, qualche cosa di nuovo da dire a una donna... Sono stato orgoglioso. Ho avuto troppa fiducia in me... Adesso, il mo mento è venuto. E per dire quello che voglio dire, nonostante tutti i miei propositi, non tro vo un’altra parola da adoperare al posto di quella che non volevo adoperare, al posto di quella di tutti... E debbo dire quello che pen so, con la stessa parola che usano tutti. La signora Vernet —• Ebbene, voglio rispar miarvi la fatica di dirla quella parola. L ’ho già capita. Enrico — E’ una parola che non vi piace, non è vero? La signora Vernet — E ’ il suo significato, soprattutto, che non mi piace. Enrico — Ma è una parola che non significa nulla... V i amo. La signora Vernet — Perchè l ’avete detta? Enrico — M i è sfuggita, perchè l ’ho pensa ta troppo forte, probabilmente. V i amo, ma non vi chiedo nulla: nemmeno di amarmi... IL SIGNOR VERNET Però, come vedete, mi è impossibile ritornare qui con voi l ’anno venturo. La signora Vernet — L ’anno venturo voi non penserete nemmeno più a quello che mi avete detto quest’oggi. Enrico —- Lo spero... Un anno è una cosa lunga... E’ la vita che è corta, ma gli anni so no lunghi. La signora Vernet — E poi, quello che mi avete detto non è vero. Credo che vi siate in gannato sulla natura dei vostri sentimenti. Enrico — L i conosco molto bene. Non posso essermi ingannato. La signora Vernet — Avete per me un po’ di simpatia... E avete esagerato questa simpa tia, perchè siamo in riva al mare, soli, senza niente da fare... Pagate i l vostro contributo al paesaggio, ecco tutto, e vi credete innamorato. Enrico — Lasciate il mare tranquillo e r i spondete alla mia domanda: mi amate un p oco ? La signora Vernet — Poco fa, avete avuto la delicatezza di dirm i: « Non vi domando niente, neppure di amarmi ». Enrico — E non mi amerete mai? Ne sie te sicura? La signora Vernet —- Sicurissima. Enrico — Anche se sapeste di farmi soffrire? La signora Vernet — Essendo costretta a far soffrire qualcuno, ci tengo a non far sof frire mio marito... Perchè far soffrire mio ma rito, che invece vi vuole tanto bene? Sarebbe ingiusto. Enrico —- Voler bene. Sempre queste stupi de eterne parole di tutti, che tutti adoperano, tutti i giorni. La signora Vernet -— I l vostro atteggiamen to nei riguardi di mio marito vi sta malissi mo... Voi che cercate sempre del nuovo, non fate altro che servirvi di mezzucci vecchi e stu pidi quanto il mondo... E ’ indegno di voi. Enrico — Non so esprimermi, ve l ’ho detto, perchè sono sincero... La sincerità è un senti mento malaccorto. La signora Vernet — Ebbene, anch’io vo glio essere sincera con voi... V i compiango... Enrico — E non potete fare assolutamente nulla di più? La signora Vernet — Nulla. Enrico — Siete scoraggiante. La signora Vernet — Ci tengo a esserlo, con tutte le mie forze. (Fa dalla terrazza dei segni al signor Vernet, che è lontanor in mare, nella barca di Cruz). Enrico — Chiamate al soccorso? La signora Vernet — No, è mio marito che mi fa dei segni... Eccolo che viene... Enrico — Arriva a tempo... Siete salva... La signora Vernet — Non siate così ama ro... Sorridete a mio marito... Non è colpa sua quello che succede. E’ colpa mia. I l signor Vernet (compare, tutto affannata) — Mi chiamavi? La signora Vernet — No, e tu? I l signor Vernet — Io, niente... T i facevo dei segni, così, per farti dei segni. La signora Vernet — E io rispondevo ai tuoi segni. Enrico — La telegrafia coniugale... I l signor Vernet — Ci telegrafiamo così dal giorno del nostro matrimonio. Enrico — E credo che vi telegraferete così ancora per molto tempo. I l signor Vernet — Tutta la vita... Ah, il transatlantico... Bellissimo. Grosso come un mostro... Magnifico... La signora Vernet (maternamente) — Co me mai sei tutto così arruffato! (G li rifà il no do della cravatta). Enrico (ironico) — Volete che vada a pren dere una spazzola e imo specchio? I l signor Vernet —• Grazie. (Abbraccia la signora Vernet). Enrico — Signor Vernet, abbracciate spesso vostra moglie? I l signor Vernet — Se non volete vedere, chiudete gli occhi. Enrico — Sarebbe inutile. Avete il bacio molto rumoroso e poi avete odore di pesce... Vi vedrei lo stesso con gli orecchi e col naso. I l signor Vernet (a sua moglie) — Trovi che puzzo di pesce? La signora Vernet — Non troppo. Enrico — E’ vero che l ’amore non ha naso. I l signor Vernet — Io credevo, cara, che i tuoi segni volessero invece dire che tu avevi convinto Enrico ad accettare il mio progetto. La signora Vernet — Impossibile... I l si gnor Enrico non è libero. I l signor Vernet — Un’amante? Lo suppo nevo. Enrico — Se avessi avuto un’amante, ve lo avrei detto subito. I l signor Vernet — Allora preferisce la don na ideale. La signora Vernet — Preferisce l ’impossi bile. I l signor Vernet — Chi preferisce? JULES HKNAfii) La signora VernEt —- Un segreto, l ì signor Vernet — Un segreto? Allora deb bo stare in guardia? La signora Vernet — Non ti dare pensie ro... Sto in guardia io. (Si allontana). I l signor Vernet (stupito) — Bene, bene... Io credevo che la mia proposta fosse vantag giosa per voi... Scusatemi... (Passa Paolina) Quello che mi dispiace è che credendo la cosa possibile, ne avevo parlato a quella lì... E si era messa a ridere, non è vero, Paolina? Paolina — Quando si parla di matrimonio non capisco perchè poi si dovrebbe piangere... E poi siete stato troppo gentile a farmi Ponore di consultarmi, a proposito del matrimonio di Margherita. I l signor Vernet — Non volevo consultar vi... Volevo avvertirvi. (Vernet esce). Paolina — Povero Vernet... Non ha oramai più niente da offrirvi: non è vero?— Sapete che sono stata lì lì per tradirvi, senza voler lo?... Quando mi ha parlato del suo progetto di matrimonio, stavo per scoppiare a ridere. Enrico — Perchè? Paolina — Non fate Pinnocente... Siete tra due fuochi, non è vero? E che cosa contate n«.,i 1iman> I l M arito — Preghiera, professore, umilis sima preghiera! Io rimpinzo lei di denaro, lei rimpinza me di Eternòl e quelle due streghe di veleno. I l Dottore — Vada, signore, vada... I l M arito — Non rifiu ti così, su due piedi. Ci pensi... Farà un favore anche a loro. Sono due vanitose, vogliono andare sempre in alto, in alto... Mandiamole in cielo addirittura! Mia moglie mi rimprovera che le avevo promesso il paradiso e non gliel’ho dato... Diàmoglielo!... A lei non costa niente. Un piccolo sbaglio : stric nina alle donne, siero a me... Ci pensi... Io aspetto di là... La riverisco! (Via da destra). I l Dottore — E ho detto che le donne fingo no? Ma gli uomini fanno peggio! E la mia testa comincia a girare come ima trottola! (Un gran fragore di cocci, a sinistra) Che diavolo c’è, ora? Cameriera! Assistente! C’è il finimondo in casa? L ’Assistente (accorre da destra) — Son qui... Ma dev’essere la signora di lì dentro. (Va alla porta di sinistra) Ecco, è lei che fra cassa tutto. I l Dottore — Telefoni al manicomio che ci mandino venti camicie di forza! L ’Assistente — Ne basterebbe mia. (Sem pre guardando nella camera a sinistra) — Ora ha aperto l ’uscio di cucina... C’è andata. I l Dottore — In cucina? Addio pranzo! (A ltri rumori, strepiti, vocìi, in fondo. La cameriera viene allarmata). La Cameriera — Signor dottore, la gente stre pita. Ce n’è ammucchiata in anticamera, per le scale, nel portone... Assistente (canzonandola) — Scommetti più che non viene nessuno, ora? La Cameriera — E’ il mondo sottosopra! I l Dottore — Vada lei, assistente, cominci col ricevere qualcuno, facendo la prima selezio ne. Non si debbono operare che individui prov visti dei requisiti fisici indicati da me. L ’Assistente — Naturalmente! I l Dottore — Corra e riceva nel gabinetto in fondo, dall’altra parte. L ’Assistente — Verrò a riferirle dopo il primo gruppo. Permesso. (Via dal fondo). I l Dottore (alla cameriera) -— Tu vai in cu cina... La Cameriera — Subito. (S’avvia). I l Dottore — Ci troverai la pazza. La Cameriera (indietreggia spaventata) — E debbo andarci io? I l Dottore — Che male c’è? La Cameriera — E’ un’ossessionata. l ’innesto d e ll’e te rn ità ’ I l Dottore — Sì, ma... ma senza alcuna os sessione... La Cameriera — Come no? I l Dottore — Basta trattarla con dolcezza. E’ buona, tranquilla... Sta rompendo tutto di là, dunque... La Cameriera — Debbo trattenerla? I l Dottore — No, lasciale fare quel che vuo le, purché caschi presto in sonnolenza. Allora vieni a dirmelo. La Cameriera (rassegnata ma tremante) — E va bene!... Ma... la gente che c’è di fuori? I l Dottore — Stia fuori. Aspetterà. Ci pen so io. La Cameriera (s’avvia, ma si ferma su la porta) — Non è tanto pericolosa, vero? I l Dottore — La gente? La Cameriera — La pazza. I l Dottore — E ’ piena di buon senso. Tutt ’al più ti ammazzerà. Vai. La Cameriera — Vergine del cocomero, aiu tami tu! (Esce facendosi il segno della Croce). I l Dottore — E ora bisogna sbrigarsi, per dinci! (Con gesto risoluto) Sbrigarsi con ener gia e rapidità! (Va in fondo, apre l'uscio) Avanti chi c’è! (Entra La segretaria, tipo maschio, tono de ciso). La Segretaria — I l dottore? I l Dottore (secco) — Sono io! Si spogli! La Segretaria — Non occorre, io... I l dottore (imperioso) — Si spogli, dico! Non faccio più domande, esamino senz’altro il soggetto e mi rendo conto da me. Giù il ve stito! La Segretaria — Mi permetto di farle osser vare... I l Dottore — Osservo da me, ripeto! Non ammetto repliche! Si spogli o vada via! La Segretaria — Oh, insomma, si può sape re quali sono le sue intenzioni a mio riguardo? I l Dottore — Si può sapere, invece, se lei è venuta per farmi perdere tempo oppure no? Chi è lei? La Segretaria ■La levatrice! I l Dottore (sorpreso) — lo non ho mai man, dato a chiamare la levatrice! La Segretaria — Eppure lei ha bisogno di me. I l Dottore — Ma non mi sgravo mica, io. La Segretaria — E chi lo sa? Con gli speci fici che va inventando lei... I l Dottore — Signora, venga al fatto! La Segretaria — Io sono anche la segretaria del Gioia. I l Dottore — Gioia? E chi è? .. La Segretaria —- Gruppo Levatrici, Ostetri ci, Infermieri, Affini. I l Dottore — E non è venuta da me per l ’Eternòl? La Segret.aria — Me n’infischio dell’Eternòl! I l Dottore -— Ah, non le serve l ’opera mia? La Segretaria —- Me n’infischio anche del l’opera sua! I l Dottore — Oè, signora segretaria! La Segretaria — Nonché levatrice. Ma par lerò prima come segretaria. In questa qualità sono incaricata di dirle che, col suo tentativo di abolire la morte, lei danneggia tutte le clas si sanitarie; lei è espulso dall’Ordine dei Me dici e Farmacisti; i l Corpo dei Beccamorti, Pompe Funebri e Affini chiede il suo cadavere; gl'impiegati e Addetti d’ospedali e cliniche lo hanno denunziato come uomo pericoloso, e in fine marmisti e scultori funerari hanno giura to di farle... I l Dottore — La pelle? La Segretaria — No, il monumento... I l Dottore (rassicurato e con una punta di vanità) — Aaah! La Segretaria — ... funebre! I l Dottore (con tono diverso, seccato) — Grazie, ma non ci tengo! La Segretaria — E allora lei deve smettere immediatamente le pratiche illecite del suo r i trovato. I l Dottore — E ’ una minaccia? La Segretaria — Un preavviso. Dottore — Io direi un ricatto! La Segretaria -— Esagerato! Tra la gente per bene non si dice ricatto. Si dice: avverti mento prudenziale. I l Dottore — Allora ascoltatemi, segreta ria... La Segretaria — Nonché levatrice... I l Dottore — Non m ’importa la levatrice in questo momento! La Segretaria — Sta bene, aspetterò un al tro momento. I l Dottore — V i prego di osservare il mio volto ! La Segretaria (lo fissa) — Non mi pare quel lo di un Adone. I l Dottore — No, ma io sorrido, col sorriso della serenità. La Segretaria — La serenità è degli inco scienti. I l Dottore — Degli uomini superiori, si gnora! CABLO VENEZIANI La Segretaria — Degl’illusi! I l Dottore — Avevo previsto anche questo, il dileggio dei danneggiati. Tutto ho previsto, io. Ma non torno indietro! lo ho raggiunto la più alta meta di tutti i tempi, ho sconvolto la più ineluttabile legge di natura, e tutti voi che pascete la vostra vita su la morte degli altri, ora vedrete la vita degli altri sorgere dalla vo stra morte! La Segretaria — Bum! I l Dottore — Uscite! La Segretaria — M i mette alla porta? I l Dottore — No! La Segretaria (rassicurata) — Ah... I l Dottore — Vi mando via dalla finestra. La Segretaria — A me? I l Dottore — Voi con tutto il Gioia! La Segretaria — Allora è guerra dichiarata? I l Dottore — A oltranza. La Segretaria — E sia! Ma vi avverto beni gnamente che le più implacabili saremo noi le vatrici, perchè sopprimendo il morire, lei sop prime anche il nascere. I l Dottore — E’ il mio scopo finale: non più salme e non più feti. La Segretaria — Ma, sciagurato, lei non pensa che noi viviamo di feti? I l Dottore — Io seleziono le razze fino a quando non ne rimarrà che una sola, perfetta e perenne! La Segretaria — Senta, se lei è cattolico, si ordini l ’olio Santo, si prenda le misure per la cassa e crepi! Addio! I l Dottore — Va’ all’inferno! La Segretaria (s’avvia, poi si ferma, viene avanti con tutt’altro viso e con tono suppliche vole) — Senta, dottore... la farebbe anche a me? I l Dottore — Cosa? La Segretaria — Un’iniezione di siero... I l Dottore (irritato) — Via, perdinci! La Segretaria (furiosa) —- Vado! Ma lei avrà bisogno della levatrice! Addio! (Esce diti fon do, con alterigia). I l Dottore (prendendosi il capo tra le ma ni) — La testa... la testa... (Compaiono da de stra, la moglie e il nipote, do sinistra la signo ra, dal fondo i due giovani sposi, tutti impa zienti). T u t t i — Dottore! Professore! I l Dottore — Eccomi! Un momento di r i fiato! La Moglie — Non lo consumi tutto il siero, si ricordi. I l Nipote (a lei, galante) —* Caso mai, le of fro la mia parte. La Moglie (gli sorride) — Com’è gentile. I Giovani Sposi — Noi aspettiamo da un ora! La Signora — Non si potrebbe intanto man giare qualcosa? Ho un certo languorino... I I Dottore — Prego, ancora due minuti... La signora -—- Se lei ci fa morire nell attesa, è inutile farci l ’iniezione per non morire! T u tti — E’ vero! Uffa! (T utti via). I l Dottore (rimasto solo, casca a sedere) Com’è difficile fare il bene, a questo mondo! L ’Assistente (trafelato, sudato, viene dal fondo) —- Corpo di Giuda, che fatica! E’ come se tu tti i dèmoni si fossero scatenati! Uomini, donne... I l Dottore — Ne ha visitati? L ’Assistente — Un mucchio, in pochi m i nuti Ne ho ricevuti d’ogni genere; ho ricevu to perfino dei pugni. C’è un industriale che fi sicamente mi pare idoneo, ma un suo concor rente mi ha dichiarato che se etermzziarao quell’altro, lu i ci scortica vivi. I l Dottore — Vivi? Non dev’essere molto Tpaiccvolc. L ’Assistente — Una diva di non so che co sa, mi ha avvisato che se, dopo di lei, diamo l’Eternol a un’altra diva... I l Dottore — Ci scortica anche lei ? L ’Assistente — No, questa ci spara. I l Dottore — Be’ , è già un progresso. L ’Assistente — Due coniugi sono venuti coi rispettivi amici... I l Dottore —- Siero per tu tt’è quattro? L ’Assistente — No, perchè l ’amica del ma rito vieta l ’innesto alla moglie e l ’amico della moglie... I l Dottore — ... lo vieta al marito! L ’Assistente — C’è di più! La moglie ei propone d’inoculare al marito i bacilli del co lera... I l Dottore — E il marito? L ’Assistente — Ci minaccia di bombe a ma no, qui dentro. I l Dottore — Sono tutti molto gentili. L ’Assistente — Dottore, la situazione va di ventando difficile: dietro ogni persona che viene per non morire, ne arriva un’altra che c’im pone di non toccarla! I l Dottore — Perchè chi muore fa comodo a chi vive, e qualcuno non vive finché un altro non muore. L ’Assistente — E ’ sempre la stessa legge, dunque? Mora tua, vita mea! L INNESTO DELL ETERNITÀ I l Dottore — Caro giovanotto, io avevo pre visto tutto, ma non il profondo egoismo del ge nere umano, l ’amor fraterno che c’è nel pros simo nostro! L ’Assistente — Come c’era tra Caino e Abele. (Dopo una lieve pausa) Dottore! I l Dottore — Dica. L ’Assistente — Se non innestassimo l ’Eternòl a nessuno? I l Dottore — Impossibile! Oggi voglio ope rare su almeno due soggetti, un maschio e una femmina. L ’Assistente —- A qualunque costo? I l Dottore —- Sì, e lei non vada più via, re sti qui e m’aiuti. (Dal fondo viene avanti L ’Eccellenza). L ’Eccellenza (cinquantenne, signorile nel gesto e nel portamento, piccola barba brizzola ta, personaggio serio, misurato) — E ’ permes so, dunque? I l Dottore — Avanti, ma chiuda l ’uscio! L ’Assistente — Vostra Eccellenza qui? I l Dottore (guardandolo adesso) — Quale onore! Un accademico! L ’Assistente — Un genio della meccanica moderna! L ’Eccellenza — Uno studioso soltanLo... I l Dottore — Che ha fatto delle invenzioni mondiali ! L ’Eccellenza — La vera invenzione fantasti ca, dottore, è la sua. Lei si è assunta un’im mensa missione: rendere eterni i meritevoli. I l Dottore — Tutti i viventi. L ’Eccellenza — No! Lasci perdere la za vorra. G li uomini che debbono rimanere sono quelli necessari allo sviluppo del mondo. I l Dottore — lo, infatti, faccio una cèrnita... L ’Eccellenza — So che lei sceglie i più ro busti. I l Dottore — Perchè si prestano meglio... L Eccellenza — Ecco l ’errore! Lei devè sce gliere i talenti, i geni, e renderli im perituri! Di quelli ha bisogno l ’umanità! I l Dottore — Ma anche dei riproduttori. L ’Eccellenza — Non serviranno più. Quin di la generazione destinata a essere sempreviva, si forma sotto la sua responsabilità. L ’Assistente -— Corpo d’un cane, è vero! I l Dottore — Zitto! L ’Eccellenza — Noi accademici, riu n iti in un consesso detto degl’immortali, siamo im mortali veramente? L ’Assistente — No! I l Dottore — Ssst! L ’Eccellenza — Lei deve renderci tali. Per chè soltanto i cervelli superiori spingeranno i popoli sempre più in alto, nell’avvenire. I l Dottore — Io mi sono già messo a dispo sizione del genio umano, eccellenza. L ’Eccellenza — E allora eccomi a lei. Io ho cominciato a costruire l ’apparecchio che utilizza l ’energia infinita delle onde marine. L ’Assistente — Sangue di... I l Dottore — Zitto! L ’Eccellenza — Riuscirò con quell’energia a disciplinare la forza del sole. I l Dottore — E che succederà? L ’Eccellenza — Che noi un giorno distri buiremo la luce e il calore solare dove e quan do vorremo. L ’Assistente — In casa? L ’Eccellenza — E fuori! I l Dottore ■ — D’inverno? L ’Assistente — Di notte? L ’Eccellenza — Sempre! L ’Assistente — Anche al Polo? L ’Eccellenza — Dovunque! L ’Assistente — Càpperi! li, Dottore (per imporgli silenzio, con auto rità) — Oh! L ’Assistente — Dicevo... tra quanLo tempo? L ’Eccellenza — Perchè l ’apparecchio sia completo, mi occorre un centinaio d’anni di studi e di lavori. Tra un secolo io pollò dare alla Terra un benessere incalcolabile. I l Dottore — Perciò è necessario che lei non muoia? L ’Eccellenza — Almeno per cento anni. L ’Assistente — M ille anni in buona salute, eccellenza ! I l Dottore — No, lei deve vivere in perpe tuo! L ’Eccellenza — Troppa grazia, la perpe tuità ! I l Dottore — Lei è il soggetto che mi ci vo leva per primo. Sì, eccellenza, ho l ’orgoglio di dire che immortalando lei, l ’umanità mi deve essere riconoscente. L ’Assistente — Vostra eccellenza ha anche un’ottima costituzione fisica. L ’Eccellenza — Sono sanissimo, infatti. I l Dottore — Permetta una breve ausculta zione del cuore. Si accomodi qui. Eccellenza — Grazie. (Siede semisdraiato su di una poltrona, si lascia osservare). I l Dottore (all’Assistente, c facendo la rego lare visita medica alVeccellenza) — Lei, intan to, mi prepari l ’ago e la disinfczione. CARLO VENEZIANI L ’Assistente —- In un attimo! (Va al tavo linetto in fondo ed esegue l ’ordine) La boc cetta? I l Dottore — Sul tavolo. L ’Eccellenza ( osservando la boccetta che l ’assistente prende in mano) — I l siero del m i racolo è tutto lì? L ’Assistente — Ce n’è per venti esseri uma ni, tanto per cominciare. I l Dottore — Cuore sanissimo. Lei è di buo na tempra, eccellenza. Sentiamo i polmoni. (Gli poggia la testa su la spalla). L ’Eccellenza — Sa quanti anni lio? I l Dottore — Trentatrè. L ’Eccellenza — Magari! I l Dottore — No, dica trentatrè. L ’Eccellenza — A li sì... trentatrè... trentatré... Ma li ho compiuti da un pezzo i trenta trè... trentatrè... I l Dottore — Tutto sano, a posto! Non mi occorre altro. L ’Assistente (viene avanti) — Ecco l ’ago. I l Dottore — Bene! Un po’ d’ovatta. L ’inie zione si fa qui, eccellenza, in un punto sensi bile dietro l ’orecchio, con azione diretta e im mediata al cervelletto e alle meningi. (Fa la puntura). L ’Eccellenza — Ahi! I l Dottore — Le ho fatto male? L ’Eccellenza — Una lieve puntura. I l Dottore — Non sentirà altra sofferenza. L ’Assistente (riprendendo l ’ago e rimetten dolo a posto) — Uno è fatto! I l Dottore — Forse avrà un po’ di febbre, verso sera, e un certo stordimento, ma non se ne preoccupi. (In tono solenne) Ella, eccellen za, ormai non muore più! L ’Assistente (con uguale solennità) — F i nalmente il primo uomo perpetuo c’è. L ’Eccellenza (s’alza, vacilla, s’appoggia al la poltrona) — Non muoio più davvero? I l Dottore — No, eccellenza. Lei ha dato l ’addio definitivo alla morte, e se crede, può anche andare. L ’Eccellenza — Vado... Ma potrò andare... andare sempre? L ’Assistente — Dovunque, tranne all’altro mondo. I l Dottore — Rimane fisso qui, in pianta stabile nel nostro mondo. Può completare i suoi benèfici apparecchi. Lei è eterno, vedrà morire gli altri e rimarrà sempre vivo, senza paura di tomba, di riposo in pace... L ’Eccellenza (è come sperduto, disorienta to, ha. cambiato faccia, barcolla) — Senza r i poso... mai? L ’Assistente — Eh, mai più! L ’Eccellenza — Mio Dio! I l Dottore — Non è contento? L ’Eccellenza — E’ una grande tristezza! I l Dottore — Finita un’invenzione ne farà un’altra... L ’Eccellenza (sbarrando gli■occhi come per terrore) — Sì... ma senza mai più riposare? Dovrò vivere sempre? Vivere senza speranza che un giorno i miei occhi si chiudano, final mente, stanchi e tranquilli? Vivere... Vivere come per una condanna inesorabile! Restare qui, subire lo svolgersi uguale dei giorni e del le notti, all’infinito... Ma è spaventoso... è or rendo... I l Dottore — Eccellenza, è l ’eternità. L ’Eccellenza — Ma non avrò più la pro spettiva della fine, la tetra minaccia del mori re, che rende più hello il vivere... Mio Dio, dottore, che cosa mi ha fatto, lei? I l Dottore — Quel che lei mi ha chiesto! L ’Eccellenza — Io l ’ho chiesto, è vero... Ma soltanto adesso sento l ’enormità mostruosa della sua invenzione... Sento su le mie spalle il peso di tutto il tempo che verrà... E’ racca pricciante ! L ’Assistente — To’, ma non lo sapeva? L ’Eccellenza — Ci rifletto ora. Dover vive re in eterno la stessa vita, soffrire la stessa pe na... Ma è peggio dell’inferno, è il suicidio ca povolto! li. Dottore — Gliel’ho detto che avrebbe sen tito un po’ di stordimento, eccellenza. Forse le farà bene una boccata d’aria. Vada... L ’Eccellenza (rivoltandosi ostile) — Ma lei non si accorge d’essere un buffone? I l Dottore — Cosa? L ’Eccellenza — Noia s’accorge che il suo siero è uno scherno feroce? E’ una tragica bef fa! Abolendo la morte, lei m’ha tolto il piace re di vivere! Non sento più adesso il gusto di stare al mondo, d’essere malato, d’avere l ’aci do urico... I l Dottore — E w ia! L ’Eccellenza — Lei è un assassino! Lei uc cide la vita nel momento stesso in cui la ren de eterna! I l Dottore — E’ un paradosso! L ’Eccellenza — No, è un delitto! E non lo mandano in galera, lei? Lei ci guarisce per sempre... Ci strappa quei nostri malanni ai quali siamo affezionati... La gotta, il diabete, il 1/INNESTO DELL’ETERNITÀ’ cardiopalmo... Io soffrivo d’arteriosclerosi, ed ero così bene occupato a curarmela, a vincer la.., I l piacere della vita è quello di lottare con tro la morte ogni giorno... Se lei ci priva del nostro male, come facciamo a godere più il no stro bene? L ’Assistente — Delira? L ’Eccellenza — Lei ci ammazza al contra rio, ci finisce in senso opposto... I l Dottore — Vada, vada... L ’Eccellenza — E lei si crede un benefatto re? E’ un malfattore, un nemico dell’umani tà... Ci sopprime la dolcezza di compatirci scambievolmente per le infermità che abbiamo, il gusto d’essere un po’ coccolati e malati, la bella paura dell’al di là. Ecco, io non ce l ’ho più; io sono eterno, ho tutti i secoli per me... E quindi non ho più niente! Sono povero ades so, un miserabile, un oggetto eternamente stu pido! Ma lei lo sa che mi ha tradito, che mi ha truffato?... I l Dottore (offeso) — Oh, insomma, eccel lenza, misuri le parole! L ’Eccellenza — E non avendo più la pre occupazione d’ammalarci, di morire, vorremo tutti godere... godere fino all’abbrutimento, al la barbarie... I l Dottore (all'assistente) — Portatelo via! L ’Eccellenza (con immediato mutamento) — No, no, dottore, per carità, non m i scacci, non si offenda... Eccomi a lei... M i distrugga, la supplico di distruggermi l ’innesto maledetto! I l Dottore (asciutto) — Ormai è impossibile! L ’Assistente — E ’ troppo tardi. I l Dottore — Prenda un po’ d’aria... Vada di qua... Piano! L ’Assistente — E un’altra volta... ci pensi prima ! L ’Eccellenza (spinto verso l ’uscio, in fon do, se ne va smarrito) — Allora è finita?... Io resto vivo... vivo per sempre... Ma i vivi come me è peggio che se fossero morti... La nostra terra diventa la nostra tomba... Invece d’esse re al mondo di là, siamo al mondo di qua, ma siamo morti lo stesso. E ’ terribile! Io vado, sì, ma vado a denunziarti... Carnefice! Assassino di tutta l ’umanità! (Esce come un forsennato, dal fondo). L ’Assistente —- Pare ubriaco. I l Dottore — E’ la prima reazione del siero. Fra poco sarà felice d’essere un vero immorta le, mescolato alla moltitudine dei mortali... Però... L ’Assistente — Però? La caccia, questo bellissimo sport, tiene avvinti tutti i nostri sensi. Non si bada più nè al sole nè alla pioggia,nè alla polvere nè all'acqua. Ma poi si scontano le conseguenze con malessere generale, mal di capo, dolori alle membra ecc. La miglior cosa da fare è di prendere le C o m p re s s e d i A S P I R I N A il preparato indispensabile a dii si dedica agli sports perchè elimina in tempo brevissimo i dolori di ogni genere, le conseguenze dei raffred damenti, il mal di festa, l'emicrania, le nevralgie ecc. e regolarizza la circolazione senza danneggiare il cuore. CARLO VENEZIANI I l Dottore — Vorrei mandar via tutti, ora. Sono stanco. Continueremo domani. (Da sinistra vengono, quasi piombando in scena, la Cameriera e la Signora). La Cameriera (spaventata) —1 Dottore, si guardi! La Signora (è tranquilla ma s’è armata d’un coltellaccio da cucina) —- Senti, dottore delle mie galoches... I l Dottore (piano alla cameriera) — Chia ma l ’infermiere! (Cameriera via dal fondo). La Signora — Io sono stata nella tua cu cina... I l Dottore — Si vede. La Signora — M i sono rifocillata, perchè avevo fame... Ma il pollo era duro... Ora, o tu mi fai queU’innesto del diavolo o io ti faccio la barba. L ’Inferm iere (entra dal fondo) — Signora! La Signora — Che fate voi qui? Non vi ho ordinato di aspettarmi in anticamera? (A l dot tore) E ’ i l mio chauffeur. L ’Inferm iere — Credevo mi avesse chiama to, signora. La Signora — V i chiamerò tra poco. La co sa non è ancora fatta. I l dottore vuol farmela adesso, per forza, dice lui. E non vuol perdere tempo, dice lui... F,’ vero che non vuol per dere tempo? I l Dottore (piano a ll’assistente) — Che si fa? L ’Assistente — Non aveva stabilito di com piere due operazioni, stamani? I l Dottore — Un uomo e una donna. L ’Assistente — L ’uomo l ’ha operato, la donna eccola. I l Dottore — Una demente? L ’Assistente — Che importa? Vuol dire che i prim i due eternizzati saranno un genio e una pazza. Tanto meglio per il controllo scambie vole, nell’avvenire. L ’Inferm iere — Dottore, cosa vuol fare? La Signora — I l suo dovere, dice lu i! I l Dottore (deciso) — Sta bene! (A ll’assi stente) Mi prepari l ’ago. Segga, signora. La Signora — Oh, finalmente! (Siede can tando di gioia) Trallalà, là, là! L ’Assistente — E’ già visitata, è bell’e pronta. L ’Inferm iere — Vuol avere la cortesia di depositare quell’arnese, signora? La Signora — Sì, a voi. (G li dà il coltellac cio che l ’infermiere nasconde) Ora sono piena di gioia. Mi era necessaria. La gioia è un gran de rimedio; fa impazzire i savi 0 rinsavire i pazzi. Sé io sono pazza, rinsavisco; se sono sa via, impazzisco. Che cosa sono io? I l Dottore (facendole l ’iniezione) — Lei è eterna, da questo momento. La Signora (accarezzandolo mentre egli si curva su di lei, gli scocca un bacio). I l Dottore (rialzandosi) — Ecco, signora, l ’operazione è fatta! E t Signora — In un attimo? Non ho sentito quasi niente. L ’Assistente — Non c’è niente da sentire. La Signora -— E vivrò sempre come sono ora? I l Dottore — A ll’infinito. La Signora (ballando e cantando) — A ll’in finito! A ll’infinito!... Ah, dottore, ora bisogna che lei venga a casa mia: ho due gatti, tre ca ni, un pappagallo... Anche le povere bestie han no il diritto alla vita eterna. E i cavalli, le mucche, le pecore non sonò forse necessarie all’umanità? E i porci? Pensi ai porci... I l Dottore — Va bene, ci penseremo... La Signora —■Però un fuoco addosso me lo sento... Mi dia un bacio, dottore... (A ll’assi stente) Anche lei... L ’Inferm iere (piano al dottore) — Che fac ciamo ora? I l Dottore — Conducetela via. L ’Inferm iere — Andiamo, signora? La Signora — Andiamo! Voglio baciare tutti quelli che trovo per la strada! I l Dottore — Faccia ima passeggiata a pie di, all’aria aperta, per la reazione... La Signora — Sì, vado a fare la reazione. Ma pensi anche alle povere bestie, dottore... sono felice. A rivederci a tutti... Perchè io rivedrò tutti, verrò ai funerali di tutti, mi divertirò moltissimo. Qua, mantello, cappello... Addio! Ma no, che addio? Non esiste più l ’andare a Dio, per me, e neanche l ’andare al diavolo... Vado, così, semplicemente... industruttibilmente, infinita... Fatemi passare, o mortali, esce l ’eternità! (Via dal fondo, gongolando, chiassosa). L ’Infermiere — Ossequi, dottore. (Via, die tro la signora). I l Dottore —- La tenga d’occhio e non la la sci sola. L ’Assistente — E due son fatti! I l Dottore — Ma il mulinello della mia te sta gira vorticosamente! Mandi tutti via, per amor del Cielo! E mi aspetti un attimo qui. (Via da sinistra. Da destra vengono lo zio, il nipote, il marito, la moglie, la suocera, spa zientiti). l ’innesto d e ll’eternità’ Lo Zio {urlando) Ma me la fa o non me la la? La Suocera — Non possiamo mica passar la giornata qui dentro! I l Nipote — Non dia retta, io aspetto volen tieri ! La Moglie (guardandolo teneramente) — An ch’io... dopo tutto... I l M arito — Dov’è questo dottore, che glie ne dico quattro? Oh, con me si fila! La Moglie (fissa il nipote) — Anche con me. L ’Assistente — Signore e signori, ini di spiace tanto, ma per oggi le operazioni sono finite ! T u tti — Finite? L ’Assistente — Assolutamente! Se ne han no voglia, tornino pure domattina e... vedremo! I l Nipote — Sta bene! La Suocera — Macché sta bene, è un imbro glio! Lo Zio (forte) — Cosa ha detto? I l M arito — Non è questo il modo di com portarsi ! La Moglie — Meglio così, torneremo do mani... (Nel vocio generale si sente un colpo di r i voltella, degli u rli fuori di scena. Un attimo di spavento in tutti, indi il dottore viene da sinistrat la cameriera e altra gente vengono dal fondo). T u tti — Mio Dio! I l Dottore — Cos’è successo? La Cameriera — Dottore... Dottore... (Ca sco a sedere emozionata). I l Dottore — Parla subito! L ’Assistente — Che c’è? La Cameriera —• Quel vecchio signore di po co fa, il primo che lei ha operato... L ’Assistente — Sua eccellenza! I l Dottore — Ebbene? La Cameriera — Di là, per le scale... L ’Assistente — Avanti! La Cameriera — S’è tirato un colpo di rivol tella... (Indica la tempia). I l Dottore (sbalordito) — Morto? La Cameriera — A ll’istante! (Ma — con altre voci d’orrore — Vinfermie re, i due giovani sposi e altre persone vengono ancora dal fondo). L ’Infermiere (disperato) — Ecco, ha visto? E’ successo... I l Dottore — Cosa? L ’Inferm iere — Non potevo prevederlo... L ’Assistente — Ma ohe? L ’Infermiere lo non ho nessuna respon sabilità,,, Ci sono i testimoni,.. I l Dottore — Di che cosa, in nome di Dio? L ’Infermiere — La signora andava, saltel lava, allegra, per la strada... L ’Assistente — E dunque? L ’Infermiere — Un tram... T u tti (inorridendo) — Eh? L ’Inferm iere — C’è andata sotto. I l Dottore — Morta anche lei? L ’Inferm iere — Sul colpo! T u tti (con raccapriccio) —• Oh! L ’Assistente (allibito) — Ma... ma allora... I l Dottore — Ma allora è il colmo ! L ’Assistente — Due sole persone lei ha re se immortali... I l Dottore — E sono morte tu tt’è due! T u tti — Alla larga! (Tutti si allontanano un poco). I l Dottore (furente) — Via tu tti! Via coi vostri odi ! Da quando vi ho dato la speranza deH’eterniià, vi siete ubriacati di basse passio ni... No, non potete vivere sempre, siete trop po cattivi! Soltanto la paura della morte può mettervi un poco di bontà nel cuore! Via! (Agita in alto la boccetta dell’Eternò!) S’io vi innestassi questo, voi non vivreste che d’egoi smo e di odio... Via tu tti! Non voglio più nes suno ! ( I due sposi si fanno avanti timidamente). Lei — Ma, dottore, lei aveva promesso a noi due che... per amarci sempre... I l Dottore — Chi siete voi? Lei —■ Due sposi... Vogliamo perpetuarci... I l Dottore (vibrando) — E fate dei figli, è l ’unica perpetuazione concessa da Dio! I figli continuano la vostra vita... Fatene a mucchi, a masse, a bizzeffe, che questa non servirà mai! (Fa per scaraventare in terra la boccetta). T u tti (con un urlo) — No! (Dal fondo viene, fuori, la segretaria). La Segretaria (forte) — Ah! Lo avevo detto che avreste avuto bisogno di me! I l Dottore — La segretaria? La Segretaria — No, la levatrice! I l Dottore —- Bene! Mettetevi a disposizio ne di questi signori, che l ’Eternòl è finito! (Getta in terra il f Inconcino che si frantuma). T u tti (sbalorditi) — Uh!... I l Dottore — E adesso potete vivere in pa ce! Crescete e moltiplicate! F itte d e lla . e o m a tte d ÌA I¿ s e ffe s is t e m ^ jga s i*a d a H d e lla ie l ie iih Mettiamo che un giorno T i zio Qualunqui, uno degli innu merevoli Tizii, uno degli in fi n iti Qualunqui che popolano la scena italiana con il preciso mandato di non varcare — « giammai della vita » —■quel la linea convenzionalo ma in negabile (una specie di meri diano del palcoscenico) che se gna il lim ite fra l ’oscuro e la luce, mettiamo che un giorno una di coteste sentinelle al mediocrità fosse tentata d; rompere la consegna. E, fatto audace dalla teme rarietà del disegno, messer T i zio indugiasse nell’affannosa ricerca dei mezzi. Nell ango scioso esame dei valichi meno consentiti. Nello scrupoloso collaudo dei ponticelli più au daci, gettati dal destino, fra la terra promessa e quella, ahi mè, mantenuta... Ma sì. E ’ persino probabile che il pove raccio perda, cominciando da quel giorno, un cospicuo de cennio in tentativi superflui. Oppure, accusato dal deside rio di passare, costi quel che costi, a ll’« altra riva », com metta qualche sproposito. Che so : cominci a « farsi una cul tura », a studiare, a sorvegliar si, a perfezionarsi nei canoni dell’Arte Scenica. No, senti, disgraziato. Ascolta, siedi, ascolta. C’è chi, rotto ormai ad ogni più duro travaglio in fatto di costumi, si è dato a raccoglie re, per suo diletto, gli usi del la buona società del palcosce nico. Si sa: usi e costumi... Vuoi, sciagurato che io ti i l lumini e ti guidi per le scorciatoié più « made-in-Italy » che conducono alla posterità? i p e r la c e le W a fa Seguendo i dettami di questo breviario dell’aspirante alla celebrità, scritto da Ramo — imo degli uomini più intelligenti ©he abbia il teatro italiano, quale réglss-eur — avrai il diritto, se venissimo a sa tinarti, di farci attendere mezz’ora in anticamera. (Sei asacdeííc ? ' Sjaaaraáá Comincia con 1 aborrire la modestia. Posto che adesso ogni virtù è un malanno, fai conto che la modestia è il te tano. Nei campi, le viole màm mole e i càvoli dividono la stessa sorte. Sotto forma di pe date. Ma provati a calpestare un papavero, un tulipano, un finocchio. Quando Victor Hugo sentenziò che ogni elefante teme la formica che « ce l ’ha con lu i », era, evidentemente, di buon umore. Conosco un attore — ma sì, lo conosci anche tu — che con tinua a dire: « Io, modesta mente... ». Oppure: « Secondo la mia debole opinione... ». 0, che so: «Forse mi sbaglio, ma... ». A furia di insistere su questo tono, è finito — lu i che non vale meno di cento altri — a recitare il Padrone delle Ferriere al giovedì e la Moglie del Dottore alla domenica. Probabilmente sai che costui non ha neppure una bicicletta, adesso che, in teatro, ogni più famoso imbecille ha almeno un’automobile. Bada che fra le celebrità in attività di servizio, ([nasi nes suna è nata sulle tavole. Per chè già, di un figlio d’arte che sia bravo, tu tti giudicano: « Bella forza! ». Ma, a sentir Gandusio, ognuno si fa un do vere di sbalordire. « E pensa re che era un avvocato...». 4 (Sii saevsrastenico a po e a 1ttafta Ragazzo mio, cerca di avere un « brutto carattere ». Fai mostra di arrabbiarti per nien te. Procura di passare per ne vrastenico. La paranoia, è un eccellente viatico per la cele brità. Se tu. insisti nell’essere quel che si dice « un buon compagno », addio. Passerai inosservato, fra le quinte della vita. Di Leopoldo Mugnone si ricordano più i momenti pe ricolosi che le virtù profes sionali, più le bestemmie che la direzione dellVlicùx. Garavaglia? Perbacco, un grandis simo attore. Ma, hai tu mai sentito parlar di Ferruccio senza l ’indispensabile : « Era un pazzo »? Chi parla mai dei tratti di bontà di Novelli? 'Ma tu tti sanno che Amedeo Chiaiitoni qg in v e n t a im c lii tirò una revolverata ad un at tore, che Tilo Ricordi calcifi Sei figlio d’arte? Beh, na cò un maestro, che Toscanini scondi con gelosa cura le tue accecò un primo flauto. origini. Niente mena più gra ai «u cu a re ¡1 mo, per un aspirante alla cele fi* s«aAEtdt«3ino e » d»***«*t~ brità, che l ’essere figlio d’arte. ¿icaffe i •&izn3ii sweupia Fabbricarsi dei natali posticci. Sai suonare uno strumento? Prendere a nolo le nascite più arbitrarie. I l papà? Una delle No? Impara. Quale, non im più belle figure della magistra porta. Uno strumento. De) re tura. I l nonno? Vecchio gene sto, chiunque sappia far qual che cosa che non è strettamen. rale borbonico. I SETTE SISTEMI PEU LA CELEBRITÀ’ te il suo mestiere, muove un passo verso l ’avvenire. Scom mettiamo che se Enrico Caru so non fosse stato, come era, un gustoso caricaturista, non avrebbe mai piantato in Ame rica il chiodo che piantò. Ora, immagina se il povero Guasti non avesse saputo suonar la chitarra? A Corte, non sareb be stato nemmeno ricevuto. Dimmi, a bruciapelo, in cpiale produzione ricordi con più vi vo diletto il Ferravilla. Lo sa pevo: Scena Musicale.., Le si gle che disegnava Ciro Galva ni sono... i numeri che più si ricordano dell’eccellente atto re. Ma, come dico, se sai suo nare, sei a posto. Intendiamo ci, se allo strumento puoi spo sare una bella voce, guardati dall’andare in operetta. In Ita lia, chi passa dalla drammati ca all’operetta viene conside rato come uno che, beccato dal controllore in prima classe, si sente dire: « Adesso, passi pu re in seconda, hanno attaccato una vettura... ». Mortificazio ne tremenda. Non ti scappi mai di rimpiangere il passato. Niente è più fuori moda e per conseguenza più spregevole che lodare il presente. Intesi? Ora se qualche malaccorto ti rammemora Gustavo Modena, la Ristori, tu, pronto, fermalo. Scantona. Vira di bordo e dop pia immediatamente paralleli più navigabili. Domandagli no tizie del cambio svizzero, l ’età esatta di Mistinguett, il costo dei diamanti di Tatiana Pavlova... Una volta che, bloccato mi in piena piazza della Scala, un tale mi applicava uno spa ventoso bottone a proposito di Alamanno Morelli, l ’incauto veniva investito da una biciclet ta con motorino. Pensa l ’ avvili mento d’essere investito, con fratture, da una bicicletta inasprita da motorino! Parlar male dei grandi tra passati? Ma che! Niente. Non parlarne affatto. Ostentare ignoranza per tutto ciò che r i sale a venti anni fa, a trenta, a sessanta. Ma chi era ’sto Tovagliari? Una sera che a Gabriele ¿’Annunzio fu annunziato : « Sapete, Maestro, è morto Fogazzaro... ». « Fogazzaro? (E il maestro ti scrutava, tra ciglio e ciglio). Ma sì, — r i spose, — non era uno di V i cenza?... ». Figliuolo mio, guai a quei comici che si sie dono a un tavolino e tirano fuori un mazzo di carte e Gio vanni Emanuel. d is p r e iz a ài sasso d

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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