A N N O IX - N . M i L i f e 1 P lft* E D IT R IC E . “ L E G R A ) 5 0 » • O T T O B R E 1 9 3 3 -X X Ut « * * È N D I F I R M E ” . T O R I N O C A ^ f ï T E 1 o H < © M t í A A E> & O £ w 4 t í H « t í W A t í 2 ) 2 © « t í t í 1 . Antonelli: ¡1 dramma, la 58 - Chiarelli: La morte degli 112 - Wexley: Keystorio. amanti, 113 - Engel e Grunwald: Dolly e ÍÍ oommedia e la farsa. suo ballerino. 2 ■Alvarez: Il boia di Siviglia. 59 - Vanni: Hollywood. 60 - Urvanzoi: Vera Mirzeva. 3 - Falena: Il buon ladrone. 114 - Herczeg: La volpe azzurra. 4 - Giaehetti: il cavallo di Troia. 61 - Saviotti: li buon Silvestro. 115 - Falena: Il duca di Mantova. 62 - Amiel: il primo amante. 5 - Goetz: Ingeborg. 116 . Hatvany: Questa sera o mai, 63 - Danza: il peccato. 117 . Quintero: Tamburo e sona S . Bernard: Tripeplaite. glio. 7 - Ganciera e Geyer: L’amante 64 - Birabeau: il sentiero degli scolari. immaginaria. 118 - Frank: Toto, 6 5 . Cenzato: La moglie incarno. 8 . Molnar: L’ufficiale della guar 119 - Maugham: Vittoria. rata. dia. 120 - Casella: La morte in vacanza. 9 - Verneuil: Signorina, vi vo 66 - Romains: Il signor Lè Trou- 121 . Quintero: Il centenario. hadeo si lascia traviare. glio sposare. 122 - Duvernois: Cuore. 10 - Gandera: 1 due signori deila 67 - Pompei: La signora che ru 123 - Fodor: Margherita di Na bava i cuori. signora. varra. 11 . Amante: Gelsomino d’Arabia. SS - Ciapek: R. U. R. 124 - Veneziani: La finestra su] 69 - Gian Capo: L’uomo in ma. 12 . Conti e Codey: Sposami! mondo. schera. 13 - Fodor: Signora, vi ho già vi 125 - Kistemaekers. L’istinto. sta in qualche luogo! 70 - Armoni: Audace avventura. 126 - Lenz: Profumo di mia moglie. 14 - Lotliar: Il lupo mannaro. 71 - De Angelis: La giostra dei 127 - Wallace: l| gran premio di 15 - Rocca: Mezzo gaudio. peccati, Asoot. 16 - Delaquys. Mia moglie. 72 - Ostrovski; Signorina senza 128 - Suiliotti, Fiorita e Carbone: '17 - Ridenti e Falconi: 100 donne dote. L’armata del silenzio. nude. 73 - Mazzolotti: Sei tu l’amore? De Benedetti e Zorzi: La re 18 - Boneili: Il medico dalia si 74 - G. Antona Traversi: I giorni 129 . sa di Tifi. gnora malata. più lieti. - Falena: La Corona di Strass. 19 - Ferdinand: Un uomo d’ero. 75 - Natanson: Gli amanti ecce 130 131 - Gherardi: Ombre cinesi. 20 - Veneziani: Alga marina. zionali. - Maugham: Circolo. 21 - Martinez Sierra e Maura: 76 - Armoni e Gerbidon: Una don. 132 133 . Sardou: Marchesa! nina senza importanza. Giulietta compra un figlio! 134 . Gotta: Ombra, moglie beila. 77 - Rossato e Gianeapo: Delitto e 135 22 - Fodor: Amo un’attrice. - Molnar: Qualcuno. castigo. 23 - Cenzato: L’occhio dei re. La signorina Chi 24 - Molnar: La commedia de! 78 - Chlumberg: Si recita come si 136 - Mazzolotti: mera. può. buon cuore. 137 - Benavente: La señora ama. 25 . Madis: Presa ai laccio, 79 - Donaudy: La moglie di en. 1 38 . Harwood: La vìa delie Indie. tramò i. 26 - Vanni: Una donna quasi one. Maugham: Colui che guada 80 . Napolitano: li venditore di 139 - gna sta. il pane. fumo. 27 - Bernard e Frémont: L’atta140 Coward: La dolce intimità. 81 - Devai: Débauché. ché d’ambasciata. 1 4 1 . Hart e Braddel: Nelle miglio 28 - Quintero: Le nozze di Qui- 82 - Rocca: Tragedia senza eroe, ri famiglie. 83 - Lonsdale: La fine della sinita. 142 . De Stefani: L’amore canta. gnora Chéyney, 29 - Bragaglia: Don Chisciotte. 143 - Fodor: Roulette. 84 - Falena: Il favorito. 30 - Boneili: Storienko. 144 - Amiel: Tre, rosso, dispari. 31 - Mirande e Madis: Simona è 85 - Chiarelli: Le lacrime e le 145 - E. García e Muiioz-Seca: I stelle. fatta cosi. milioni dello zio Peteroff. 32 . Molnar: Prologo a re Lear . 86 - Cenzato: La vita in due. 146 . Gordin: Oltre l’oceano. Generalissimo - Violetta di 87 - Achard: Non vi amo. 88 . Ostrovski: Colpevoli senza 147 - G. Zorzi e G. Sclafani: La bosco. fiaba dei Re Magi. colpa. 33 - Veneziani: Il signore è ser - Halàsz: Mi amerai sempre? 89 - Cavacchioli: Cerchio della 148 vito. 149 - Maugam: Gran mondo. morte. 34 - Blanchon: Il borghese ro 150 - John Colton: Sciangai. 90 . Tonelli: Sognare! mantico. 1 51 . E. Carpenter: Il padre celibe. 35 - Conty e De Vissant: Mon bé. 91 - Crommelynck: Lo scultore di 152 . Eger e Letraz: 13 a tavola. maschere. guin piazzato e vincente. 153 - De Benedetti: Non ti conosco 92 - Lengyel: Beniamino. 36 - Solari: Pamela divorziata. più. 37 - Vanni: L’amante del sogno. 93 - Rèpacii L’attesa. 94 . Martinez Sierra: Dobbiamo 154 - Fodor: il bacio davanti allo 38 . Gherardi: Il burattino. specchio. esser felici. 39 - Paolieri: L’odore del sud. Jerome K. Jerome: Rebina in 40 - Jerome: Fanny e i suoi do S5 - Rosso di San Secondo: Le 155 - cerca di marito. esperienze di Giovanni Arce. mestici. 96 - Bajard e Vailler: La tredice 156 - Alessi: Il colore dell’anima. 41 - Colette: La vagabonda. 157 - Ladislao Bus Fekete: La ta sima sedia. 42 - Antonelli: La rosa dei venti. baccheria delia Generalessa. 43 - Cavacchioli: Corte dei mira. 97 - D’Ambra: Montecarlo. 98 . Mancuso e Zucca: Interno 1, 158 - Cesare Vico Lodovici: Ruota. coli. 159 - Michel Mourguet: Amicizia, iruerno 5, Interno 7. 44 - Massa: L’osteria degli irti160 - Molnar: Armonia. 99 - Apel: Giovanni l’idealista. mortali. 100 - Pollock: Hotel Ritz, alle otto! 161 - Enrico Roma: La corsa dietro 45 - Borg: Nuda. l’ombra. 101 - Veneziani: L’antenato. 46 . Boneili: li topo. 162 - Ferdinando Nozière: Queila 102 . Duvernois: La fuga. 47 - Nivoix: Èva nuda. vecchia canaglia... 103 - Cenzato: La maniera forte. 48 - Goetz: Giochi di prestigio. 163 . Lonsdale: Aria nuova. 104 - Molnar: 1, 2, 3 e Souper. 49 - Geyer: Sera d’inverno. 164 . A. Debenedetti: M. T. 105 - Sturges: Poco per bene. 50 - Savoir: Passy: 08-45. 106 - Guitry: Mio padre aveva ra 165 - André Birabeau: Baci perduti. 51 - Birabeau: Peccatuccio. 166 - Luigi Antonelli: Avventura gione. 52 . Giaehetti: II mio dente e il sulla spiaggia. 107 . Martinez Sierra: Noi tre. tuo cuore. 167 . Chiarelli: Fuochi d’artificio. 53 . Falena: La regina Pomarè. 108 - Maugham: Penelope. 1 6 8 Galar e Artù: I! trattato 109 - Vajda: Una signora che vuol 51 - Gabor: L’ora azzurra. scomparso. divorziare. 55 . Molnar: Il cigno. 56 - Falconi e Biancoli: L’uomo 110 - Wolff: La scuola degli a. 169 - Giuseppe Bevilacqua: Not turno del tempo nostro. manti. di Birzulah. 170 - Barry Conners: Roxy. 111 . Renard: Il signor Vernet. 57 - Amiel: Il desiderio. I numeri arretrati dai N. 1 al N. 100 costano lire cinque la copia; dal N. 101 al N. 150, lire tre la copia; tutti gli altri una lira e cinquanta la copia. I numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 23, 24, 32, 33, 37, 40, 42, 49, 65, 73, 74, 77, 83, 95, 101, sono esauriti. Ogni richiesta di copie arretrate dev’essere ac. oompagnata dall’importo anche in francobolli, ma non mai marche da bollo. Non si spedisce assegno, 1 N E L P R O S S IM O N U M E R O P U B B L IC H E R E M O o r c a o j C O M M E D IA IN D F I N O f o TRE A L C ATTI O N DI I R a p p re s e n ta ta c o n g ra n d e s u cce sso da A R M A N D O F A L C O N I Commedia poliziesca con personaggi co mici, talora caricaturali; con episodi sen. sazionali, vicende a sorpresa, investiga zioni e interrogatori dai quali si attende la scoperta della traccia o la rivelazione del mistero intorno al furto di un celebre qua. dro del Murino, avvenuto nella famiglia dei duchi di Sandelle-Lafitte, in circostanze nesplicabili, tra persone di alto lignaggio e superiori ad ogni sospetto. L’autore si è servito nella costruzione della commedia, nella figurazione dei tipi e nella forma del dialogo, di molti elementi di saporosa co micità. Abbiamo la nobiltà francese, orgo gliosa del casato e della tradizione, spre giatrice della libertà morale e sociale por tata dagli americani in seno all’aristocra zia, la quale, dietro il formalismo e la ri gidezza di casta, nasconde Vizi, peccati e debolezze. Dei Sandelle-Lafitte, l’autore presenta un quadretto ironico e mordace, gustoso e ben riuscito; abbiamo poi al con trapposto, i personaggi americani: la gio vane duchessa Marta, di New-York, sposata al duca Stefano di Sandelle-Lafitte e lo zio di Marta, JOe Mark, detto il rosso, uno della malavita newyorkese, celebre nelle cronache nere e ricercato dalla polizia in ternazionale per 1 numerosi suoi misfatti. Anche di questi personaggi, l’autore ci of. fre un profilo divertente. A rendere più pit. toresca e vivace la favola, concorre la reci. fazione di Armando Falconi arguta, spas sosa, chiassosa, e quella degli altri attori che collaborano con intelligenza al succes so del lavoro applaudito tre o quattro volte dopo cigni atto. 2 A rm o IX ú L U d i c p 1 - « é iv b r e 1 0 3 S - X I jr u Á r o u ix Á n / n o J k , c U L U j m C c ^ Y x I O N . 1 *1 ^ R , c I D ¿ E N t o T n o p e r t i n t o t f t o U j L o í a I O F F IC I. V IA . G IA C O M O B O V E , 3 - T O R IN O U N FASCICOLO L. 1,50 - A B B O N A M E N T O A N N U O L. M C m . - T • 1. « S -0 < « ESTERO L. M a P IN A . R E N Z I E’ la più vivace interprete della com A. V A R A L D O media musicale, di quel genere di A . Gr. B R A G A G L I A ajil i&ftpicia »«fde spettacolo che per sembrare — come IU e a fro d e g li a u ic r i ilj.lij.m i deve infatti essere — facile e lieve, ha bisogno di molta sicurezza e pre cisa abilità: quanta ne ha —» forse sola — Pina Renzi fra tutte le at trici nostre, li «genere» è importato, ha avuto la sua voga maggiore du. rante il tempo della formazione ZaE N R IC O R O M A bum, della quale faceva parte, con M A R I O BONNARD OCna p a rie «Utficate Melnati e De Sica, anche la Renzi. «sio moa «orno io j B o a u t r i Oggi questo genere si sostiene sol tanto in virtù di interpreti eccezio nali, m'a la preziosità del canto, del ballo, e di una recitazione apparen. temente facile perchè spigliata, è ri masta agli attori che abbiamo no minato. Sono perciò passati all’inci. G IU S E P P E S E R R A sione S ¿ E dei dischi, al microfono del E D M O N B ¿ /^iiu a liiA d e lla danza <&1 vello muovo film parlato. Pina Renzi, dopo gli Spettacoli Meda, ha fatto l’uno e l’al tro: i dischi a Milano, un film a Berlino con Sergio Tofano ed ora è ritornata alla ribalta: con Maresca. Il nome del capocomico può far pen sare, per tradizione, all’operetta di stantia, sorpassata, ma non T E R M O C A U T E R I O L E O N A R D O M E R R I Í K èmaniera, così: ta presenza di Pina Renzi vuol élfilaceismia ¿’im p e ffìn e n ze jBa. d e n tie ra del pirante a ¿tare significare spettacoli ariosi, leggia dri, divertenti. ---- 1■-1n i-T ............. ......................... . ..... ....... La nostra copertina è stata eseguita col nuovo sistema TIPOC.iLCQN dalla Zincografia GONFALONIERI di Torino, Via Vincenxo Monti, 11 3 , % r %m ' ^ ajt -fi,® V ^>jJ‘^>^^'Íp^'¡''^:-¿¿' ( ^ \ S | S r IL TAPPETO VERDE F R R S O M A & C rS I l Coxnstoisig&af’icf * Oìscaffy «£$».<»are àa&o e calvo *■Uara ^¿ajvasie ele^aa»4e A.llegxi*o r Ui» ^icvà ne ele^aja^e JÉspasife *■ Fawm/ *■ Cra^slie ^ a x L a vecciata jcsaaspclaesa r ]La Ibaar&f-» nessa *■ R ai^aella BV^Jsf&asao ♦ In tana fisratsasle caiià «3a*ala/3flaqi*£— Banco di seimila lire! (Mentre sta per dar le carte si bussa violente- IL TAPPETO VERDE mente alla comune: tutti si alzano di sopras salto). Una voce di dentro — Aprite in nome della legge! (Momento di panico : sussurri). — Non aprite! — Dov’è l ’altra porta! — Prima io! -—• No, prima io! -— M i lasci o mordo! (E’ la marchesa, che dice quest’ultima bat tuta al signore dignitoso che l’ha afferrata per il polso respingendola. I l giovane triste getta qualche cosa sotto la tavola. Oscar si mette fra il gruppo e la porta di sinistra). Oscar (a voce bassa) — E ’ inutile: la polizia conosce questo passaggio! E poi... non viene certo per il gioco... Stiano calmi! Rispondo io! La voce di dentro — Aprite sì o no? Badate che è peggio! Oscar (va alla porta) — Apro, signor com missario! (Apre: alla tavola non è rimasta che Fanny : Giulietta è sul divano, Raffaella d’Urbino sul davanti a sinistra, anche a sinistra tut ti gli a ltri in un gruppo: il giovane allegro è vicino alla baronessa). I l commissario (è un uomo ancor giovane, con la barba bionda e gli occhiali : tiene la r i voltella nella destra e una grossa borsa sotto il braccio sinistro) — Le mani in alto! Meno stretti, prego! Le signore a destra, gli uomini restino pure a sinistra! (Con le mani in aria il gruppo obbedisce : Fanny va accanto a Giuliet ta) Non temete: non è i l giudizio universale, ma una piccola formalità. ( Il signore dignitoso abbassa le braccia) Le mani in alto! I l signore dignitoso (obbedisce) — Ma io mi st anco ! I l commissario — Si abituerà. 0, se prefe risce (apre la borsa, ne cava una catenella) può abbassarle, ma con questo braccialetto... I l signore dignitoso — M i meraviglio! I l commissario ( l’osserva con attenzione) — Ah! è lei, commendatore? Un banchiere si me raviglia! Oibò! Più scostati l ’uno dall’altro, prego! E anche le signore! Hanno delle armi? (Tutti negano) Meglio dirlo prima per evitare cose spiacevoli. No? Bene: nessuno si muova! (Siede alla tavola al posto di Fanny) Ciri di voi è il tenutario di questo locale? Oscar — Non tenutario... direttore... mag giordomo, signor commissario I l commissario — Come si chiama, caro di rettore maggiordomo? Oscar — Oscar. I l commissario *— E poi? Oscar — Oscar. I l commissario — Oscar Oscar? Oscar — Oscar Oscar. I l commissario — Paternità? Oscar — Nè paternità, nè maternità. I l commissario -— Ah! Lei è... Oscar — Ho quest’onore! I l commissario — Si rallegri: nasce certo di buon sangue! Oscar — E’ l ’unica soddisfazione dei miei simili, signor commissario. I l commissario -— Bene, Oscar. Frughi code sti signori e raccolga le borsette delle signore. E disponga tutto qui separatamente. (Mentre Oscar eseguisce, siede e nello stendere le gam be urta nel revolver gettato dal signore digni toso: chinatosi lo raccatta) Oh! Oh! (Cava dalla busta dei fogli, apre la stilografica, scrive, men tre Oscar finiscei la sua incombenza). I l signore dignitoso — Io protesto alta mente ! La vecchia marchesa — Io ricorrerò in alto luogo ! I l commissario — Benissimo: prendo nota della protesta e del ricorso. Oscar, ha finito? Oscar — Sì, signor commissario. (Pone la mano in tasca) Questo è il mio portafoglio. Non ho armi. I l commissario — Ottimamente. (A l signore dignitoso ed alla marchesa) L ’esempio dovreb be discendere (indica Oscar) non salire. (Pau sa) Mi ascoltino, signore e signori. E’ inutile urlare, protestare e reagire. L ’appartamento è pieno di agenti. Ce ne sono (indica la comune e la porta a destra) dietro queste due porte e persino sulle scale. A l primo gesto dubbio, sen za badare a sesso, a proteste o a ricorsi, faccio ammanettare e portare in camera di sicurezza. Invece, se le brevi formalità saranno compiute normalmente, prometto la libertà e il modo di uscire incogniti. Patti chiari. D’accordo? (Tut ti approvano) Restino distanti gli uni dagli al tri, ma abbassino pure le mani... no, eh! no, in tasca, no! Le signore possono sedere. Oscar, prego! (Oscar porta sedie alle dame) E comin ciamo. A chi appartiene questo revolver? (Si lenzio) V i premetto, signore e signori, che so no educatissimo. Sono anche gentiluomo. I l no stro Capo ci raccomanda sempre: « Cortesia e discrezione: è la divisa della Polizia ». Ma rna, presuppone deit cortesi... e dei discreti... in chi... non è della polizia, copie loro, ìii que- ALESSANDRO VARALDO sto momento... o almeno, non sono ancora del cevute nella borsetta di Fanny) — C’è qualcun la Polizia, proprietà della Polizia. (Girci gli oc altro che non ha firmato... di questa roba? chi intorno) Oh oli! Raffaella d’Urbino! Il, giovane allegro — Io... e Nicoletta. R a ffaella d’Urbino (lusingata) — I l signor I l commissario — Chi è Nicoletta? commissario mi conosce? .La baronessa —- Sono io! I l commissario — Non come Polizia... Amo I l commissario — Benissimo! (Alza gli oc le belle arti. Qual’è la sua borsetta? chi e squadra il giovane) Guarda, chi si vede! Come sta il senatore? R affaella d’Urbino — Eccola! C’è più nulla. I l commissario — ... Fuorché le armi di Ve I l giovane allegro (ride) — Papà sta benis nere. Ecco la sua borsetta ed ecco (fruga nella simo: ho bussato a danari e me li ha dati. Deve essere in conquista. busta) qualche cosa che produrrà un eclisse di sole. (Svolge dalla carta velina una bautta). I l commissario ( mostra il revolver) — E’ R a ffaella — Una maschera? suo? I l commissario — Fio promesso che ciascuno I l giovane allegro — No: il mio l ’ho con di loro potrà uscire indisturbato e irriconosci segnato ad Oscar entrando. (Oscar approva. bile. 1 miei agenti hanno l ’ordine di lasciar Ride) Credo che non mi prenderà per un ar¡tassare chiunque uscirà con questa bautta. Vada maiolo. pure, signorina. Non incontrerà anima viva. I l commissario — E di chi è allora? (Silen R a ffaella d’Urbino (mette la bautta) — zio) Mi dispiace, ma sarò costretto a fa rli tra durre tu tti al Commissariato. Commissario mio, siete un amore! I l commissario — Molto obbligato! Oscar, I l signore dignitoso — Potrebbe essere del apra alla signorina la piccola porta... (Mostra la signorina, che lei ha messo in libertà... così la porta a destra) Un momento. Ha giocato del cavallerescamente. I l commissario — E’ un’idea! (Porge un, denaro o ha firmato delle obbligazioni? (Mostra la borsa di Fanny aperta) Ne vedo qui un fascio. pacchetto al giovane allegro) Ecco la maschera! La BARONESSA (porge la mano) — E la mia? R a ffa e lla d’Urbino — Mi meraviglio! So che Sono con lui, io. cosa costa il denaro... e gioco franca, io! I l commissario (a Fanny) — Non ha ricevu I l commissario — Di lei ho ancora bisogno. te della signorina? (A l giovane allegro) Le dispiace? I l giovane allegro (che ha messo' la masche Fanny — Non mi pare... No... non ne ho. I l commissario (a Raffaella) — Può andare! ra) — Sotto la maschera posso dire che me ne infischio ! Buona notte! R a ffaella d’Urbino — Buona notte! (Salu La BARONESSA — Mascalzone! (Fa per lan ta pure Fanny, Giulietta, il giovane allegro) ciarsi). Buona notte! (Ha in risposta dei cenni di ca I l commissario — Niente effusioni di tene po) Buona notte, Oscar! rezza! (Porge il portafoglio al giovane allegro) Oscar — Buona notte, signorina. (Raffaella Ha firmato ricevute alla signora? (Indica d’Urbino esce da destra). Fanny). I l COMMISSARIO (mentre sta sfogliando le riI l giovane allegro — Avevo i denari di papà! I l commissàrio — Può andare! (Indica la A B IT A T E IN P R O V IN C IA ? porta, che ha dietro le spalle) Oscar! (Oscar aDifficilmente vi sarà consentito di ascol pre la porta : i l giovane allegro dice « Buona tare dopo poche settimane dalla prima notte » ed esce). rappresentazione le commedie nuove più I l commissario — Ed ora a noi ! Chi di loro importanti che ie Compagnie di primo ordine rappresentano con successo nèi ha fretta? (Fanny s’avanza) Prego: lei si fermi teatri di grandi città. Perchè aspettare un momento ancora : ho bisogno del contenuto dei mesi e forse anni per essere al cor delia sua borsetta, e della sua testimonianza. rente delle novità teatrali di tutto i! (A Oscar) Oscar, lei che lo sa, di chi è questo monde? Dopo poche settimane IL DRAM. MA vi porta a casa, in un fascicolo ric revolver? co anche di articoli, scene, confessioni, Oscar (indica il giovane triste) •— Di costui. cronache, indiscrezioni e notizie, la li, GIOVANE tris te — Oscar, siete agènte giu commedia nuova desiderata. rato? . ...... Abhonàìevi a IL DRAMMA: 30 ¡ire Oscar — Rinaldo, non fate dello spìrito, og- IL tappeto verde gi che siete sotto la bandiera americana, a re gime umido! (A l commissario) Si chiama Rinaldo Pozzetto, sei condanne, cinque anni a Oneglia e sei a Civitavecchia. Oggi si chiama Rinaldo Lewis e si dice americano di Baltimo ra. Quello è il suo portafoglio. (Lo indica sul la tavola). I l commissario — Chi vi ha presentato il si gnor Pozzetto? Oscar —>La signora baronessa. I l giovane tris te (alza le spalle) — Barones sa! E’ Filomena Cornacchia, quella che « fa le cravatte » al sessanta per cento il mese. La baronessa — Mascalzone anche tu! Gli uo mini... puah! (Si avventa). I l commissario — Baronessa! La prego di r i cordarsi che, almeno questa sera, è baronessa! Oscar (che trattiene la donna) ■ —- Buona, buona, Filomena! La baronessa (a Oscar) — M ’hai da capitare sotto, sbirro della malora ! I l giovane tris te — Servo, baronessa! Mi r i cordi al baroli... marito! I l commissario (sceglie qualche foglietto nel la borsa di Fanny) —- Baronessa, spero che lei vorrà riconoscere la firma del signor Pozzetto e la sua! (Le porge la penna) Metta pure Filo mena Cornacchia! La baronessa — E perchè anche le sue rice vute, poi? I l commissario — Non l ’ha presentato lei? E chi sa... questo revolver... hum! bum! Mi puz za di bottega sua. (La baronessa firma). I l giovane tris te — E a ben cercare è ricet tazione di refurtiva. I l commissario — Firm i! Firm i, non si faccia pregare. E lei firm i questo verbalino. (A l gio vane triste). I l giovane tris te — Che cos’è? I l commissario (legge) — Dichiaro che mi chiamo Rinaldo Pozzetto e ch’ero in possesso... (Il, giovane triste alza le spalle e firma). Oscar, faccia uscire dalla porticina Baronessa e... Ba rone! Non ci sarebbe bisogno di maschera, vero? Ma la prendano per gli agenti ; questione di pu dore. (Indica la porta di destra). Intendiamoci però: se fra due m inuti non hanno preso dire zioni opposte, i miei uomini li acciufferanno. Per questa notte... indulgenza! I l giovane tris te — Buona notte e grazie, signor Commissario! (Si dirige a destra spin gendosi innanzi la Baronessa). Baronessa, Irò l ’onore di seguirla! (Escono). I l ^commissario (sfoglia sempre le carte della borsa d i Fanny: poi apre il portafoglio del si gnore dignitoso). I l signore dignitoso — E’ un arbitrio. I l commissario ■ —■Non ho chiesto il suo pa rere. (Trova dei biglietti di visita). Silvio Ricliter! (Cerca nelle carte di Fanny) Silvio Richter! Lei firma col nome di mi altro... o con uno pseudonimo... i suoi debiti, Commendatore! | I l signore dignitoso — Non è vero ! La marchesa — Mente come una trota, signor Commissario. I l COMMISSARIO (fruga nella borsetta della Marchesa: ne escono delle carte da gioco) —Otto... nove... Re... Equipaggiata anche per Vecarté, marchesa? La marchesa — Bisogna dare una mano alla fortuna. E ’ forse un reato portare nella bor setta... un Re? I l commissario — Nel codice non esiste. La signora Marchesa può ritirarsi... (Rimette le carte nella borsetta e gliela porge)... con le pro prie opinioni. La marchesa — Grazie! (S’avvia verso de stra). I l commissario — Un momento! (Le offre la maschera) Nasconda anche lei le sue opinioni, marchesa, per pudore. La MARCHESA (dispettosamente gli strappa la maschera) Grazie! (Se la mette e va verso de stra: Oscar apre la porta: esce). Fanny (sostenendo Giulietta) — La prego, si gnor Commissario! Mia sorella non regge più. I l commissario — Già: troppe emozioni. For se non è abituata. Eccole, signora, la sua bor setta e il danaro che conteneva. Trattengo que ste carte die la prego di venire a riprendere do mani al Commissariato. I l mio ufficio è proprio sopra la sede: interno cinque. Oscar, accompa gni le signore e cerchi loro un tassi. (Offre due bautte) Queste maschere saranno il ricordo della serata. Buona notte, signore! Fanny — Buona notte! (Esce dalla comune con Giulietta, precedute da Oscar che apre la porta e se la rinchiude dietro). I l commissario (rimasti soli si alza, va a un armadietto che sarà in un angolo qualsiasi, ne prende una bottiglia e due bicchieri) — Un sor so di whisky? I l signore dignitoso ■ —■Volentieri. (Bevono) I l signore è rimasto contento? I l commissario — Soddisfattissimo. Facciamo i conti. F i ® e 1 a* i ssa © tu à &0 S E C O N D O A T T O ( Una stanza elegante e semplice. Nulla di ga lante, nè l ’ampio divano basso, nè lo specchio tripartito. Solo qualche quadro, e un tavolinetto per il telefono coperto da un tappeto verde: due poltroncine ai lati. La comune in fondo : a de stra una porta, al lato opposto una finestra). Oscar (sfa accomodando i mobili e spolve randoli, sempre col suo aspetto distinto e grave e il palamidone chiuso : si sente bussare nell’in terno. Oscar va alla comune e dice) — Avanti : la porta è aperta! (Rientra e apre dall’interno la comune in modo che resta quasi nascosto dal la porta) Prego, signora! Fanny (entra con qualche circospezione: sguardo circolare: vede Oscar) — Mah!... Oscar? Oscar ( inchino) — Agli ordini della signora! Fanny (rimettendosi dalla sorpresa) — E’ per. messo chiedervi chi siate, Oscar? Oscar — Tutto è permesso alla signora. Fanny — Qual’è il vostro vero impiego? Lag giù o qui? Oscar — La signora sa che oggi non basta fare una cosa sola. Fanny — Quello di ieri lo facevate assai be ne. V i ringrazio ancora dei vostri consigli e del vostro aiuto, Oscar. Oscar — Ringrazio la signora del premio che mi dà. Fanny — Ma debbo anche, adesso che ci pen so, rimborsarvi i l tassì con cui ci avete accompa gnate a casa. Oscar (rifiutando col gesto) — Spese d’uffi cio... del signore. Prego la signora di conside rarsi in casa propria. Se permette vado ad av vertire i l signore. Fanny — Ve ne prego, Oscar! (Oscar s’inchi na ed esce dalla destra: Fanny siede sopra una delle poltroncine). Oscar {dalla destra) — I l signore verrà su bito... Fanny —■Ditemi, Oscar, chi è il signore? Oscar (apre le braccia e crolla) il capo). Fanny — Oscar lo sa... ma noi dirà. Oscar ( mano sul petto) —- Oscar sa di essere agli ordini della signora. (S’inchina) Ecco il si gnore! Con permesso! (Esce dalla comune). I l commissario {dulia destra) — Buon giorno, signora ! Fanny {si volta di scatto) — Buon giorno, Commissario ! I l commissario {le offre una poltrona: sie dono) — Prego ! I l Commissario ha cessato dalle sue funzioni ieri sera. Qui oggi non c’è che un amico della signora. Fanny — Amico ignoto... I l commissario — I veri amici sono sempre ignoti. Fanny — E potrei sapere chi sia... codesto amico ignoto e perchè?... I l commissario — Scusi... non parliamo di perchè. L ’amico ignoto è colui che le ha fatto recapitare ieri mattina una lettera... Fanny {la cava dalla borsetta) — ... contenen te mille lire e l ’invito di recarmi a giocare in un circolo privato. I l commissario — E lei ha obbedito. Sarebbe la mia volta di chiedere perchè. Fanny —• Potrei anche non farne mistero. Ma preferisco restituire intanto la somma che mi fu inviata. I l commissario — E chi le prova che quella somma è mia? Fanny — Come autorità deve sapere a chi re stituirla. I l commissario {prende i l danaro) — Adem. pirò l ’incarico. {Pausa). Ha guadagnato molto ieri sera? Fanny — Guadagnato no... vinto... I l commissario — Si vince sempre il danaro che si intasca. Fanny — Eh no... quando si lavora. I l commissario — Gli orientali dicono : tutto ciò che m i leva dal letto ove son coricato è la- IL TAPPETO VERDE VOTO. E chi, del resto, può giudicare se un lavoro valga più o meno il guadagno. C’è sempre un rischio dall’una o dall’altra parte. E chi rischia gioca. Fanny — Lei se ne deve intendere di rischi. I l commissario — Perchè ho assunto le spo glie di un commissario di polizia, ieri sera? Ne ho visto delle peggiori. Sono un avventuriero, cioè rischio sapendo di rischiare. Quanti invece rischiano crédendo di vivere nella pace e nella legalità! I l ricco ad esempio, che ha investito dei capitali, il potente che compie atti d’auto rità di cui è regolarmente investito, chi affida il proprio onore ad una donna, se uomo; chi ha cieca fiducia in un uomo, se donna, chi si fida, chi non si fida, chi risparmia, chi non rispar mia: tu tti al mondo si rischia. Meno di tu tti io che almeno ho elevato i l rischio a regola di vita. Sono come immunizzato e pronto a tutto. Fanny — Allora... Commissario, no? I l commissario —■No... Commissario, no. Fanny —- E ha preso alloggio proprio sopra un Commissariato di Polizia? I l commissario — Chi ama le donne ahita sempre nelle scale d’una sarta o d’una sonnam bula. Chi ama il rischio si mette sotto l ’ala pro tettrice della polizia. Da che mondo è mondo si cercano soltanto le cose nascoste, non quelle che si hanno quotidianamente sotto gli occhi. Fanny -—■Ingegnoso. Dunque la lettera famo sa —i questa — è sua? I l commissario — Mia. Fanny — M i prometteva una vincita sicura. E se avessi perduto invece? I l commissario — Sarei intervenuto prima. Oscar e Marco erano lì per qualche cosa. Fanny •— E... lo scopo di tutto ciò? I l commissario — Lo scopo?... Scopo non è la parola. Fanny — La ragione allora? I l commissario —■Ecco: la ragione. Sicuro, avevo ed ho una ragione. Ce n’è sempre una in quello che si compie. Incosciente spesso, e la si chiama destino. Per me no: cosciente, libero arbitrio. Fanny — Ah! Sarei curiosa di conoscerla. I l commissario —■Non curiosità, diritto. Na turalmente. E’ per questo che ho dato qui ap puntamento alla signora. Fanny — Ed è onesta... la ragione? I l commissario — Tutto ciò che si compie in buona fede è onesto. Fanny —• Eh! no! I l commissario — Ma si, signora. L ’onestà come assoluto non esiste: ha bisogno d un controtermime. Secondo la legge, è onesto chi non ruba. Ma una donna... di buon cuore, non ruba, eppure non è precisamente qualificata onesta. E ’ onesto chi non intasca con inganni il danaro altrui. Negli affari è una scherma d’inganni e non si crede d’esser disonesti. E ’ onesto chi vive solamente del proprio lavoro. Vuol sostenermi che un ladro non lavora con almeno egual r i schio d’un banchiere o d’un chirurgo? E ’ dun que onesto, relativamente all’individuo, ciò che si compie in buona fede, cioè in tranquillità di coscienza. Che colpa ha i l gatto, che ruba, se la coscienza non gli rimorde? Fanny — Ingegnoso... e divertente, se si vuole. I l commissario — Non c’è che l ’inusitato, il raro, al mondo, di divertente. Che più di raro e d’inusitato della verità? Dunque la verità è divertente. Fanny ■ —• Scusi... mi ha fatto venir qui per sentire una lezione sulla verità o l ’onestà? I l commissario — Lezione, no, protesto. Ma per la verità... o l ’onestà, forse. Fanny •— Ah! si? Dica, m ’interessa. I l commissario —■E’ la signora che interessa me. La prego di non trovar nulla d’offensivo nelle mie parole. Fanny — Non cercherò. E perchè, e come l ’interesso? Forse come una donna interessa un uomo? Ma dovrebbe avermi incontrata o ve duta. E per quanto frughi nella memoria, le confesso (sorride) che la sua barba bionda ed i suoi occhiali non hanno mai fermato la mia attenzione. I l commissario — Un cinese direbbe: quell ’infimo calpestarle verme ch’io sono ha veduto una stella! Quando? La stella non può aver in dividuato il verme. E’ inutile precisare. Mi r i cordo che il sedici maggio, ranno passato, voi mutaste la foggia dei capelli... Forse non fu il sedici maggio... ma lei non se lo ricorda e quin di è 'inutile... No, scusi, non sono qui per offen derla, ripeto. Sono un avventuriero, non una persona per bene. Ed ho rischiato per una ra gione... Fanny — Sua? I l commissario — Mia... ma anche sua... Fanny — E allora parli, signor avventuriero. I l commissario — Ecco: è da oltre un anno che la Signora è oggetto di giornaliera atten zione... Fanny — Da parte sua... o della polizia? I l COMMISSARIO — Della mia polizia privata. Io non sono giunto che da pochi giorni... ALESSANDRO VARALDO Fanny — E che le ha riferito la sua privata polizia? I l commissario — Quanto ha potuto scopri, re. Fin dalla più tenera infanzia lei... Fanny —- Lasci la mia tenera infanzia. Inco minci dal giorno in cui ho preso marito. I l commissario — Poco merito ne avrei... per chè l ’ho conosciuto, suo marito. Fanny — Ah! E dove si trova? I l commissario —• L ’ho conosciuto a Mel bourne. Siamo stati amici. Fanny — E non lo sono più? I l commissario — Credevo che non igno rasse... Fanny — Si, tre anni or sono mi vemie dal1 Australia la notizia che il povero Giorgio era morto... I l commissario — Nelle mie braccia... dopo lunga malattia, quando stavamo per vincere... Causa la vita di miseria... si, signora, di mise ria... Non è sempre lieta l ’avventura. Mi narrò tutto di se... di lei... Fanny •—>E cioè? I l commissario — Che s’erano sposati giova nissimi, lu i vent’anni, lei diciassette... Orfani, padroni d’una discreta sostanza... ragazzi am bedue, senza freni, con l ’illusione della vita fa cile... fino alla rovina. Un risveglio terribile, una decisione inconsulta. Cercare la fortuna ol tremare, come se, lavorando, non la si potesse trovare anche in patria. Confidò lei al vecchio tutore, presso cui si trovava ancora una sua so rella più giovane, e partì... quindici anni fa, mi pare... Fanny — Quindici anni! I l commendatore — Non era uomo, Giorgio, da resistere troppo... Fanny — Aveva una risorsa di energie che non sospettava... j I I commissario — Troppo giovane, troppo solo. Andò alla deriva. Da quanto tempo non ne ha notizie?... Fanny — Da quattro anni... I l commissario — Da quando 1’incontrai a Honolulu... ridotto un cencio. E potei condurlo con me in Australia. Strappammo a brandelli un’esistenza da naufraghi, finche ci aggregammo a una spedizione di cercatori d’oro e di pietre preziose. E laggiù il povero Giorgio fu da noi sepolto in una fossa di quarzo... Fanny — Da voi... chi? I l commissario — Da me, da Oscar, da Mar co... il giocatore dismitoso di ieri sera... (Pausa). Fanny :— E poi? I l commissario — E poi... non so se posso continuare... Fanny — Perchè? A l punto in cui siamo. I l commissario •— amanti del lavoro concretato, perfezionato, f i sità di uno O nito. z S P E R IM E N T A L E D I S T A T O Quindi un altro gusto, un diverso carattere, ◄ che spetta di diritto ad A. G. Bragaglia. uno stile pulito, vorranno esser perseguiti dal C ominciamo col dire che per noi teatro « spe lo sperimentale di domani. La rivoluzione e rimentale » non è più sinonimo di « scena di l ’esperimento ci saranno ancora, ma in forma avanguardia », per quanto la sua funzione, ne diversa da quelli di un tempo. L i richiederanno gli anni passati, si sia identificata con l ’« avan gli stessi generi. Ieri, infine, lo sperimentale per duecento spe guardia », essendo allora questo i l movimento più attivo, che offriva a una scena d’eccezione il cializzati non pensava troppo al gusto della fo l maggiore e più importante repertorio. Resta, la, non cercava di incontrarsi con la mentalità comunque, teatro per esperimenti poetico-tec- popolaresca: anzi mirava al contrario. Ciò che era fatto per degli iniziati, non poteva esser nici. E ’ buffo d’altra parte tracciare dei lim iti, e preventivato per la massa. E’ questo il principio che nello siperimentale fissar la morte di generi per se stessi indefiniti o promiscui. Mentre noi diciamo, genericamen di domani decade in parte, tornando sulla scena te, che l ’avanguardia è finita, può saltar fuori l ’universalità del problema umano, che interessa un tipo d’eccezione con un lavoro ancora eccen il popolo quanto gli specialisti. La tendenza trico, ma geniale; ed ecco di nuovo l ’avan che nell’ultimo anno degl’« Indipendenti » noi guardia! Ma, è vero, che allora la si chiamerà definimmo « neorealistica », con esempi dram matici di Marcello Gallian e Gian Gaspare Na con un nome speciale: un ismo nuovo. Intanto però è vero che è morto i l genere di politano che, tra gli autori italiani moderni, A. G. BRAGAGLIA riportarono l ’uomo umano sulla scena nostra, fecero sentire di nuovo il sentimento senza sen. timentalisnio (e senza, contraddire i l lavoro an tiromantico da noi compiuto per tanti anni), questa tendenza sarà forse la più notevole del nuovo sperimentale che, per essa, potrà con tare, talvolta, anche sul giudizio di molti, e non già su quello dei pochi iniziati di ieri. Questo, però, badiamo bene, non vuol disto gliere dai fin i per se stesso aristocratici, del concetto di « sperimentale ». Dopo una rivoluzione intransigente per i di ritti di una minoranza illuminata ■ — che gui. da la folla* e non la segue — oggi, nel caso del teatro, non possiamo orientarci verso un’arte democratica, che attende il verdetto plebiscita rio irei- essere degna. Nè è questa conclusione che noi si aspetta da una rivoluzione come quella fascista! Dunque lo sperimentale del domani vorrà esperimentare un genere di teatro umano che potrà interessare ogni ceto di persone; ma non per questo esso intenderà correre incontro ai bassi gusti popolareschi, i quali sappiamo bene cosa sono. Non equivochiamo tra Shakespeare e Forzano col dire che esiste un bello che lo è insieme per la gente colta e per quella igno rante. E non confondiamo la. platea religiosa dei teatri] di grandi masse (Grecia e Medioevo) con le eventuali p i atee di oggi il cui punto religioso, sia pure in senso vasto, è ancora da scoprire. Ma qui intendiamo studiare soltanto i l teatro sperimentale negli attuali suoi aspetti. Sono due cose diverse che, per metà opposte, possono trovare, per un’altra metà, molti punti in co mune. Qtiesti punti si vedono a esperimento avvenuto. Adesso che il Duce s’è espresso per i l teatro di grandi masse, ai corti di cervello sembra già lettera morta il concetto del teatro per quattro o cinquecento posti. Stanno tu tti con un palmo di lingua fuori ad affannai si in favore della tesi popolare, come se quella del teatro cosidetto « sociale » dovesse necessariamente distruggere l ’altra delle scene cosidette « d’arte ». Essi non rammentano che il primo che ha sa puto distinguere subito i fin i di uno sperimen tale da quelli di un teatro popolare, è stato proprio Mussolini, al quale si deve che il teatro degli Indipendenti è vissuto nove anni! Per le menti elastiche e competenti è chiaro che la recita del teatro piccolo potrà, per molti casi, essere anche il modellino di quella grande; e quel che pacifico resta è i l diritto, che gli artisti hanno, di far teatro senza servizi appli cati e fin i aggiunti; e pur sempre interpretando il nostro tempo, e perfino investendo la rappre sentazione stessa della Rivoluzione Fascista, tan to in senso vasto, quanto anche in soggetto di retto e episodico. Saran forse queste le occasioni che faranno del teatro piccolo la scena di prova di quella grande, i l quale potrà domani contene re quindici o ventimila persone, ma oggi è anco ra tutto da preparare, dovendo anche noi risol vere il problema della visibilità dell’attore e quello della sonorità della voce umana. Per teatri di circa cinquemila posti gli antichi do vettero ideare i coturni altissimi e le maschere gigantesche, che avevano il fine di ingrandire la figura dell’attore, i l quale già davanti ad una platea di cinquemila posti diveniva un moscerino ed essi dovettero inventare i mega foni nella bocca delle maschere, per dirigere la voce verso gli spettatori, e non farla sperdere dietro la scena. La scienza moderna potrà au mentare con gli altoparlanti il volume e la diffu sione della voce ma resterà da risolvere la visi bilità dei personaggi e le loro proporzioni in rapporto al volume della voce. Anche questi sono problemi sperimentali, in teressanti in ogni modo. Ma per ora noi vor remmo fare una cosa più piccola: i l teati-o de gli autori italiani e soprattutto di quelli nuovi, che non si sono ancora provati al teatro. Come però parlarne senza timore di far progetti a vuoto ? Dirò soltanto che la cosa più necessaria oggi, da noi, è quella di incoraggiare i giovani a scrivere delle commedie. Oggi in Italia si fa gran chiasso per il reper torio italiano. Dalia campagna di Mario Massa nel Tevere al congresso di Bologna, lo scanda lo è stato sollevato. Però dove si trova questo benedetto reperto rio nuovo? Se si cerca una commedia originale più o meno d’un giovane, si vede che questi nostri dannatissimi amici non hanno niente di pronto nel cassetto. Essi non scrivono — è seuqalice — perchè nessuno li rappresenta. Si provarono alcune volte: la commedia rimase loro nel gozzo! Ora, quella è invecchiata. Farne una nuova non me rita conto. Eppoi, per chi? Per ricominciare la mortificante via crucis dei palcoscenici, dove sembra che si vada a chiedere l ’elemosina? Do ve gli autori nuovi passano per vanesi, cretini, u ì l teatro degli autori ita lia n i petulanti ? Ma no, questi pensano : è meglio r i nunciare ! Così gli autori italiani non scrivono (per quanto seguitino —■ tanto per abitudine pre sa — a protestare, regolarmente, che non si presentano lavori nazionali). A loro volta i capocomici trovano un bellis simo a lib i: non ci sono novità. E’ forse colpa loro? Si faccian sotto, gli autori, con le com medie nuove, e le compagnie saranno pronte a metterle in scena. Ma gli autori pensano che i capocomici saranno ancora pronti a canzonar li: a fa rli ripassare, a addurre cento scuse, a far rifare dieci volte la commedia per guadagna re tempo. Da quando s’è chiuso il Teatro Sperimentale degli Indipendenti gli autori giovani hanno più che mai ripreso ad apprezzarne la funzione. Se oggi ci fosse un modesto incubatore di com medie, che coltivasse gli autori, questi avreb bero almeno un rifugio. Ora, invece, sono tutti senza tetto. Tanto più che, spesso, i giovani hanno intenzioni nuove; idee propriamente spe rimentali, che sovente mal si adattano alle sce ne popolari, cioè ad un pubblico ignaro. I l rin. novamento del teatro è, infatti, esclusivamente venuto dai teatri piccoli. Con vero compiacimento i più conservatori, tra gli pseudo storici ultim i, hanno accanitamente taciuto degli sforzi compiuti dai teatri sperimentali nei quindici anni di loro lotta per svecchiare i teatri. Eppure tutto ciò che di rinnovato oggi si vede, è venuto dagli spe rimentali. Si dice ch’essi facessero le cose som mariamente: e sono stati disprezzati per que sto. I l valore spirituale è valso meno, ai corti 'di cervello, che la perfezione formale. Siccome nei teatrini la rifinitura non poteva esserci: per questo quel che vi 6Ì faceva appariva spre gevole. Ma il bilancio generale del nostro sforzo non è ancora (fatto; e un giorno faremo i conti. Prima vorremmo fare un altro sperimentale per tu tti (per tu tti gli autori che abbiano idee, e per tu tti gli spettatori che, pur senza essere gli Ubriachi, sì, mi di divertimento ! Non ve lo potete nemmeno immaginare. Più parlo e più mi starebbero a sentire. Quando di co qualche cosa nuova, che non s’aspettano, mi chiedono sempre il bis. E che applausi! Camilla — Ma in che scuola insegna, pro fessore? Non ho mai sentito dire che una sco laresca abbia applaudito un professore. Serafino — Perchè sono professori cani! Specialmente nei paesetti di provincia... Che en tusiasmo! molto di più che in città... In pro vincia amano ancora il ... (starebbe per dire « il teatro » ma si trattiene) lo studio! Camilla — Hanno meno distrazioni. Capisco. Serafino — Meno cinematografo. Camilla — Eh già! Serafino — Meno campi sportivi... meno f i lodrammatiche. .. Camilla — Lo credo anch’io! Serafino — Le filodrammatiche. Sono la ro vina delle scuole! (A un tratto) Ma lei chi è? Camilla — La custode. Serafino — Ah! la bidella... Camilla -— No. La custode. Serafino (le dà la mano) — Molto onorato. E come si chiama? Camilla — Camilla. Serafino — Ah, è lei la signora Camilla? Camilla — Qualcuno le ha già parlato di me? Serafino — No. Intendevo dire: lei è la si gnora Camilla. (Guarda l ’orologio) Sono molti? Camilla — Chi? Serafino —- G li scolari. Camilla — Così così. Serafino — Cioè? Camilla — Tre. Serafino — Tre? In tutto? Che dicevo io? La città. Sì fa sempre forno. Camilla — Forno? Serafino — Sì. E’ una parola latina. Signi fica che non ci viene nessuno... Che si... parla alle panche! Per me, del resto... Poca brigata, vita beata! La paghetta c’è e non ci piove so pra... Anzi, scusate la confidenza, vi volevo do mandare... (Tace, con lieve imbarazzo, poi fa cenno, stropicciandosi indice e pollice, al dena ro) Quando si pigliano? Camilla — Che cosa? Serafino — I soldi? Camilla — Io non lo so. Dipende dai patti che ha fatto. Serafino — Oh! con me, patti chiari e ami cizia lunga! Sera per sera, subito dopo lo sp... subito dopo la lezione. Camilla — E allora l ’ avrà! Serafino — Da chi? Camilla — Dal signor presidente. I l signor conte in persona. Serafino — Ah è lu i che fa la paga? Funge anche da amministratore? Fa bene, sa. Con gli amministratori non c’è da fidarsi. T i cambiano le carte in tavola che è una bellezza. Una volta, ce n’avevo io uno, sembrava che le medaglie al valor civile le avesse inventate lui. Be’ , una sera scappò via con tutto l ’incasso... Camilla — Che incasso? Serafino — L ’incasso delle lezioni. Facevo l ’impresario. G li studenti, siccome non mi fi davo, pagavano prima d’entrare in classe, (bre ve pausa) Ma... e dove sta il signor conte? Camilla — Verrà più tardi. Serafino — E’ certo? Camilla — Certissimo. Se non altro, per la sorpresa. Serafino — C’è una sorpresa? Camilla — Sì, la sorpresa alla classe. Per accertarsi che si studi con zelo, che gli scolari stiano attenti, rispettino il professore, che non vi siano assenze ingiustificate, eccetera eccetera. Serafino — Ah! Camilla — Perciò, a un dato punto della le zione, arriva aH’improwiso. Fa la sorpresa. Serafino — E ’ una bella sorpresa. Camilla — Prima di salire, però, avverte. Serafino •— Ah! UNA PARTE DIFFICILE Camilla — Sì. Suonando quel campanello, in modo che se la classe sia disattenta o i l pro fessore stia, non si sa mai, schiacciando un son nellino, hanno tutto il tempo per darsi un con tegno. Per fingere di lavorare. Capisce? Quan do i l campanello suona, è come se i l signor presidente dicesse: cc Attenti che vengo a farvi la sorpresa! ». Serafino — Ottimo sistema. M i piace. La trovata del campanello è degna di Copernico, quello che scoprì il moto dei pianeti intorno alle stelle fisse. E’ prudente. Previdente. Evita, appunto, le brutte sorprese. Camilla — Ecco. Serafino — Bisognerebbe adottarlo in molte amministrazioni. Quando il capoufficio è in v i sta: drrrin! campanello. E meglio del sistema d’un amico mio, che era impiegato in una ditta importante. Siccome arrivava invariabilmente tardi all’ufficio, saliva le scale e faceva i cor ridoi, sempre rinculando, così se il padrone lo sorprendeva, poteva sempre rispondere: « An davo un momento in farmacia, perchè ho mal di denti! ». E usciva da capo. Camilla — Ben trovata! (Ride) Però, mi rac comando a lei professore, per la disciplina. Ha visto quel cartello? « Silenzio e raccogli mento ». H signor presidente tiene più al si lenzio... Serafino —-■ Che al raccoglimento. Camilla — Che allo studio. Serafino — Si potrebbe fare una cosa : star sempre zitti, senza studiare mai. Camilla — Forse sarebbe eccessivo. (S’odono voci in anticamera). Camilla — Eccoli. Serafino — Chi? Camilla — O li scolari. Serafino — Ah! finalmente si fa porta. Sono già le nove e dieci. Camilla — Appena dieci minuti di ritardo. La curiosità della prima lezione. Voce di Casimiri — E’ permesso? Serafino (va, con sussiego, dandosi proprio un tono professorale, al proprio posto e si met te a sfogliare i libroni, come se stesse prepa randosi. Circospetto, trae di tasca un foglio e lo nasconde sotto il registro, mentre, con l ’aria della designata vittima che consideri il proprio carnefice, squadra i sopraggiunti). Camilla — Avanti, siete già in ritardo. (En trano Casimiri e Andreotti: Sono due giovani studenti, un po’ male in arnese, dalla faccia scarna di saltatori di pasti). Andreotti — Eppure l ’orologio all’angolo... (Vede Serafino e s’interrompe, abbozzando un lieve inchino) Buona sera, signor professore. Serafino — L ’orologio di piazza non mi in teressa. E nemmeno gli orologi tascabili. Tant’è vero che io non ce l ’ho... non lo porto mai. La nostra ora è suonata! (Indica l ’orologio al muro) Questa! Siamo intesi? Casimiri — Sì, signor professore. Serafino — I ritardatari mi danno tremen damente ai nervi. Disturbano gli altri e poi pretendono di giudicare, senza aver capito niente. La puntualità e il primo dovere dello spet... del cittadino. (Alza il capo) Tutti qui? E gli altri? I loro compagni? ( I due si guardano, senza saper che rispon dere). Casimiri — Non sappiamo. Voce di Camilla (dall’anicamera) — Ma si spicci! Tutti gli allievi sono in classe. La le zione è già incominciata! Sì, di lì... (Entra trafelato, Castelli, altro giovinotto, vestito alla meglio. Dai gesti, dalla faccia, da come guarda e risponde, rivela subito di essere una speciedi ebete, uno di quei ragazzi che sono troppo cresciuti per la loro infantilità). C a ste lli (entrando) — Eccomi... eccomi... Scusino tanto. Per far presto son cascato per le scale. Mi devo essere ferito... Non è niente... (Richiude la porta). Serafino — Lei comincia male, ragazzo mio. Meriterebbe un bellissimo zero. Anzi glie lo dò... (Scrive) Ho già detto ai suoi compagni, che non tollero ritardi, nè accetto scuse. La disciplina innanzi tutto (Castelli fa per parlare) Silenzio e raccoglimento. Seggano pure. ( I tre si siedono uno accanto all’altro) No, no. Se parati, distanti uno dall’altro. Bisogna riem pire la platea, visto che siamo in famiglia! (Gli studenti si guardano, stupiti). Non c’è da me ravigliarsi. I l latino è una lingua di lusso... aristocratica e non può essere alla portata delle folle... Le cose veramente belle, non hanno mai un successo di folla... Meglio pochi, ma buoni... ( I tre ridono) Silenzio! Siamo seri, siamo seri! Oh! adesso facciamo l ’appello. (Apre il regi stro e chiama) Casimiri Giovanni, di Pietro, nato il 1914 a Molfetta. Casimiri — Presente! Serafino — Andreotti Giulio, del fu Gia como, nato nel 1914 a Frosinone. Andreotti — Presente! Serafino — Castelli Pierino, di... C a ste lli — Presente! ENRICO ROMA Serafino — Di? C a ste lli — Di? Serafino —• I l nome di vostro padre? C a ste lli — Non me lo ricordo. (Risate de gli altri). Serafino — Silenzio! Come, non ricordate il nome di vostro padre? C a ste lli — No, perchè non l ’ho mai cono sciuto. Serafino — Siete nato orfano? C a ste lli — o Z o o > Studio nell’ appartamento privato di Giacomo Le Blumel, nuovo sottosegreta rio di Stato. Nonostante i suoi quaran tadue anni, egli esercita un grande pre stigio alla Camera. Per la moglie, per il suo segretario particolare, Dautier, e per il figliuolo, egli è un maestro. (Quando s’alza il sipario, Le Blumel, Z D in veste da camera, detta al segretario la finale d’un discorso che dovrà solle vare molto rumore alla Camera, ma è bruscamente interrotto dal sopraggiun gere della giovanissima moglie). (L ’azione si svolge a Parigi, nel 1900). Signora Le B lu m e l — Ti disturbo... (A l segretario) Buongiorno, signor Dautier. Dautier (inchinandosi) — Signora... Le B lu m e l — Un momento : finisco di dettare... Signora Le B lu m e l — Sì... Ti doman do scusa, ma c’è di là un tale che chie de di te... Oh, un uomo dall’aria così buffa... E’ nell’anticamera... Siccome Maria è occupata col bambino, vengo io ad avvertirti... Le B lum el — E ’ un elettore? S'ignora Le B lu m e l — No. Sul p rin cipio, anch’io credevo che si trattasse di un eìettorè, nia poi hò capitò che ilòti è uno dei nostri. Dice di essere stato chia mato da te. Strano; ha un’aria così buffa... Si direbbe uno di quegli straccioni che corrono dietro le vetture. E ’ di là, in un angolo... Parla da solo... Borbotta non so che cosa... Mi fa paura. Le B lum el — Sei pazza. Signora Le B lu m e l — Forse hai ragione, ma è sempre meglio essere cauti... Quando si è in vista come te... Le B lum él —»Non esageriamo. Signora Le B lu m e l •— Del resto, non sarebbe il primo attentato. Le B lu m e l — Che bambina!... D’altronde, è semplice; Dautier non ha da fare altro che an dare da quel signore e chiedergli il nome. Signora Le B lu m e l — Ma io so già i l suo nome. Me lo ha detto. Si chiama Lambrouche... o qualcosa di simile. Le B lu m e l (sobbalzando) — Lambrouche... E’ lu i... Fàllo entrar subito... I I mio vecchio Lambrouche... Signora Le B lum el — Tu lo conosci? Le B lu m e l — Se lo conosco! E ’ il mio miglio re amico... Signora Le B lum el — I l tuo?... Le B lu m e l •—■Sì... da vent’amii. I l mio vec chio Lambrouche. Eravamo insieme al liceo. Poi, ci siamo ritrovati al Reggimento... Un tem po, vivevamo insieme, come fratelli. Lambrou che rappresenta i l miglior periodo della mia vi ta... Egli m i ricorda la giovinezza, l ’età dèi so gni... Povero Lambrouche! Vallo a cercare sùbito... T ’ha detto la verità; sono io che l ’ho invitato a venire... E sai perchè? Perchè riman ga qui, con noi... Signora Le B lu m e l — Con...? Le B lum el — Perfettamente... e che si occupi dell’educazione di nostro figlio... Poiché soffri all’idea di doverti separare da lu i, bisogna bene affidarlo a qualcuno che si consacri al suo in segnamento... Signora Le B lu m e l (delusa) — A quello là? Le B lu m e l — Sì... a quello là. Oh, non l ’ho scelto a caso, credimi... Non potremmo trovar di meglio. Del resto, lo conosco da vent’anni. Apprezzo il suo valore. Lambrouche conosce tutto; è profondo in tutto... Un pozzo di scienza. Del resto, i l suo mestiere è quello di insegnare. L ’ultima volta che l ’ho incontrato, per caso, oc cupava un posto di professore in uno dei m i gliori collegi di Parigi. Ma siccome non gua dagnava abbastanza, pensava di consacrarsi al- li. Volto nuovo l ’insegnamento privato. Cosicché, or sono tre giorni, passando davanti al liceo, ho pensato a lu i; ho chiesto al bidello il suo indirizzo... Ho sùbito scritto... Si vede che la mia lettera lo ha toccato. Quel vecchio Lambrouche! Deve essere sorpreso di vedermi così in alto... Deputato, sot tosegretario, prossimo ministro... Me lo diceva sempre che sarei andato molto lontano... ma certo non pensava a tanLo. Vado a cercarlo io stesso... Sicnora Le B lu m e l — No. Le B lum el — Perchè ? Signora Le B lu m e l — Non so. Ascolta... Non è possibile... Le B lu m e l — Che cosa non è possibile? Signora Le B lu m e l — Che tu installi qui quell’uomo, che tu gli affidi nostro figlio... Se vedessi il suo modo di vestire... T i giuro che non ha affatto l ’aria di un professore. Le B lum el — L ’aria... l ’aria... Ecco le don ne. Voiaitre non vi fidate che delle apparenze. Evidentemente, non è vestito come me. E’ forse un po’ trascurato. Signora Le B lum el — Oli, molto... Le B lu m e l —• Che vuoi! non naviga nell’oro, suppongo. L ’insegnamento non arricchisce. Ma un sapiente non ha bisogno d’essere vestito co me un uomo di mondo. Del resto, non sono un ragazzo, e so giudicar la gente. Dopo due minuti di conversazione, ti proverò che ho ragione. Per ora, lasciami solo con lui. Va’ a raggiungere tuo figliò in camera; poi, ti manderò a chiamare. Voi, Dautier, passate di là. Ricopierete la prima parte del discorso. (Dautier obbedisce. Alla mo glie) No, non una parola. Fa’ come ti dico... M i ringrazierai, dopo... Va’, va’, piccola, ,a presto... (La spinge verso la porta. Ella sem bra voler parlare, ma si riprende. Esce alzmulo leggermente le spalle). Ah, ora... (Si dirige ver so il fondo) Entra, entra, vecchio mio... (Lambrouche entra. E ’ un uomo piccolo di statura, magro, pallido, misero. Ha in mano un vecchio cappello d’un colore indefinibile. I l suo pastrano, al quale mancano due o tre bottoni, ha il colletto alzato). Le B lu m e l (che lo osserva con un po’ di sor presa) -— Eccoti finalmente, caro amico... E ’ molto tempo che non ci si vede... Lambrouche (parla con voce stanca, con to no basso, come coloro che non odono bene. Ascoltando, mette il palmo della mano dietro Vorecchio) — Molto, sì. Le B lu m e l — Ho veramente piacere di rive derti. Non sei affatto cambiato. inaili» »H Lambrouche (con un amaro sorriso) — Oh!... Le B lum el — Ecco, non troppo... Natural mente, gli anni pesano tanto su te che su me... Lambrouche —■G li anni e altro ancora... Le B lu m e l — Ma siedi, vediamo... Dobbiamo discutere. Vuoi prender qualcosa? Un bicchie re di Porto? Lambrouche — Di...? Le B lum el — ... Porto? Preferisci qualcosa altro ? Lambrouche — E’ lo stesso... Un po’ di co gnac, se ne hai. Le B lum el (sorpreso) — Sicuro che ne ho, e di quello eccellente. Non te ne offrivo perchè, a quest’ora... prima di mangiare... E poi, r i cordo che un tempo t i rifiutavi di bere alcool... Quando eravamo al Reggimento ti si lodava per la tua sobrietà... Anche tu sei mutato... Bravo. (Suona. Un domestico appare). Porta una bot tiglia di cognac con due bicchierini. ( I l dome stico esce, e ritorna quasi subito). Posa là... (Le Blumel riempie il bicchierino dv Lambrouche, poi il suo) Alla tua salute, vecchio mio. Lambrouche ■ — Alla tua. (Beve d’un fiato. Poi si versa un secondo bicchierino, poi un ter zo... Le Blumel lo guarda un po’ sorpreso) Ah, ora va meglio... (Tossisce forte) Questo male detto raffreddore... T i chiedo scusa... Ma tu tti gli inverni... Questa tosse m ’affatica e m ’ucci de... Una cosa antipatica, specie quando non ci si può curare... (Tossisce ancora più forte). Le B lu m e l — Ma perchè non ti curi? Lambrouche —• Oh, perchè... Ho forse i mezzi? Quando b fig n a correre a destra e a manca... lottare... 'battersi... per guadagnare la vita... E poi, 1 '.edicine costano un occhio della testa (tossiste Le B lu m e l (che lo considera con pietà) — Eppure, credevo... Un tempo, abitavi con tua madre... Essa aveva una certa fortuna... Lambrouche •—- Una volta, sì... Ma dopo, so no accadute tante cose... A un tratto, mia ma dre, che era vedova, si è rimaritata con un poco di buono, con un miserabile che le ha scialato tutto e che poi l ’ha abbandonata... In quel tempo, non vivevo con lei... No... Col mio pa trigno non andavo d’accordo... In casa, erano sempre scenate... M ’ero allontanato per vivere a modo mio... Anch’io mi sono sposato. Le B lum el — Complimenti. Lambrouche —. Oh, no, no... Non c’è di che. Le B lu m e l — Perchè? Non sei felice? Forse, la tua signora?... Lambrouche — Oh, la povera donna m i vuol ÉDMOND SÉE bene... Non è per questo... Ma non aveva un soldo, mi capisci... Era anche d’rrna condizione più modesta... E io, dopo essermi distaccato dalla famiglia... Oh, un tran-tran poco alle gro... Ma non voleva dir nulla... Ci si voleva bene, si era giovani... si sperava nell’avvenire... Le B lu m e l —'E poi... con la tua istruzione... Lambrouche — Era quel che mi dicevo... Cre devo togliermi d’imbarazzo. Disgraziatamente... Le B lum el — Disgraziatamente?... Lambrouche — T utt’a un tratto, mia moglie si ammala, sì... di tisi... Bisognò mandarla nel mezzogiorno... e spese su spese... Le B lu m e l — Ma non insegnavi in qualche Istituto?... Non davi delle ripetizioni? Lambrouche — Sì, insegnavo al liceo Cuvier... Tremila ottocento a ll’anno... Del resto, è sempre così, non è vero? E poi, davo lezioni in privato... al figlio del conte Vai,anca)', l ’antico ambasciatore. La sera, copiavo; insomma, me la cavavo... Fino al giorno in cui questa maledetta malattia... (Indica il suo orecchio). Le B lu m e l -— Già... M ’era sembrato di ca pire... Lambrouche — Sì, questo male è stato la fine di tutto... Capisci; quando bisogna farsi ascol tare e obbedire da trenta screanzati... e quando questi si accorgono che non sei più in grado di sorvegliare, di dominare, è la fine. Tu non ascolti più le loro insolenze, sorridi senza volere alle loro risposte maligne, e diventi lo zimbello, la favola di tutta la scolaresca. Ah, ine ne face vano vedere di tu tti i colori... Per concludere: dolio una o due scene scandalose — e molto pe nose, te lo giuro! — dovettero licenziarmi... E m i trovai sulla strada con una donna ammala ta... Oh, non per questo perdetti i l mio corag gio... M i misi a lottare, come potevo... Ho fatto tu tti i mestieri... Se t i raccontassi... M i sono impiegato da un sarto... Ho suonato i l piano forte in un cabaret di Montmartre... Sì, guada gnavo abbastanza bene. E poi, avevo diritto alle consumazioni. Ogni giorno, durante lo spetta colo, mi davano cinque o sei ciliege sotto spirito. Ciò rimpiazzava per me un pasto o due. E’ buo no l ’alcool. Riscalda... Ristora... (Si versa un nuovo bicchierino). Poi, per consolarmi di tut to... c’era sempre il mio cervello intatto... il mio lavoro... i miei versi... Le B lum el — Ah, tu hai continuato... Lambrouche — A scrivere... Perbacco. Che cosa sarei, senza questa soddisfazione? Non hai letto il mio ultimo poema nella « Verità Nuo va », di cui, ora, sono segretario? Te lo man- derò... Vedrai. Credo che quel poema sorpassi di molto tutto ciò che s’è fatto fino a oggi; è un Verlaine più semplice e più lirico. Del re sto, conto di riunire i miei ultim i versi in vo lume; e, quando sarà apparso, allora potrò an darmene in pace. Non rimpiangerò nulla... Ma abbiamo parlato abbastanza di me... E tu, mio povero vecchio? Le B lu m e l — Io? Lambrouche —• Sì, tu... Devi aver molto da raccontare... Va tutto bene? Sei contento? Le B lum el •— Contento... Sarei un ingrato, se non lo fossi... Lambrouche ( mettendo il palmo dietro Vorec chio) — Eh?... Le B lum el (gridando) — Dico che sarei un ingrato, se non lo fossi. Lambrouche — Bene. Allora, vivi solo... Sei scapolo... Le B lum el —• Scapolo? Ma no, sono sposato. Lambrouche — Sposato! Anche tu, povero vecchio mio. Le B lu m e l (un po’ nervoso) —■Non ho rim pianti. Mia moglie è carina, vedrai... Appartie ne a ottima famiglia... E’ la figlia di Marescot. Lambrouche — Marescot? Le B lum el — Sì, dell’Istituto. Lambrouche (alzando le spalle) —■Non lo co nosco. In che cosa commercia? Le B lu m e l — Come, in che cosa commercia? Si tratta dello storico... dello storico di fama mondiale. Lambrouche —■Allora, me ne guardo... Le persone che riescono come lu i, e delle quali i l mondo esalta la gloria, valgono generalmente ben poco... Del resto, ricorderai bene come trat tavamo in gioventù gli alti pontefici dell’arte e della letteratura... Ah, ah... eravamo felici al lora... Le B lu m e l •—■ No, no; ti assicuro che mio suocero... Mal poco importa; ciò non ha niente a vedere con... che cosa t i dicevo? Ah, sì, che sono sposato. Ho anche un bambino... Lambrouche — Tuo? Le B lu m e l — Si capisce. Un bambino deli zioso. Lambrouche — Oh, i bambini sono tutti de liziosi, in attesa che sì facciano uomini. Ma dim mi... povero vecchio... Un bambino è un peso. Le B lum el -— Oli, non troppo grave... Del resto, nelle mie condizioni... Lambrouche — Eh? Le B lu m e l — Dico, nelle mie condizioni... Con i l posto che occupo... Io sono... IL VOLTO NUOVO Lambrouche — Ah, ah... Vedo che hai trova to un buon impiego. Le B lu m e l (sorridendo verde) — Un impie go... Be’, ammettendo- quel che dici... sì, un buon impiego... E’ certo che alla mia età... ministro. Lambrouche — Ministro? Chi? Le B lu m e l — Ma, io... Lambrouche — Tu?... Tu sei?... Le B lu m e l •—- Ministro, sottosegretario di Stato... se preferisci. Ma sono io che. guido tut to... Come? non sapevi che ero...? Lambrouche — In fede mia, no. Le B lum el — Non leggi dunque i giornali? Lambrouche —• Qualche volta. Ma di p o liti ca, veramente... Le B lu m e l —- Come? E durante le elezioni? Lambrouche —■Oh, durante le elezioni, ero nel Mezzogiorno, presso la mia povera moglie che disperavo di salvare. Vegliavo notte e giorno al suo capezzale. Se ti dicessi che non ho votato? Le B lu m e l — Eppure, era i l tuo dovere... Lambrouche — I l mio dovere? T i assicuro c'he un dovere più urgente mi reclamava... E poi, se vuoi sapere quel che penso, t i dico che non ho alcuna preferenza. Che vada al potere Tizio o Filano, che cosa me ne viene in tasca? Non credo troppo all’importanza di quegli af fari... Immagino che, press’a poco, una Camera valga l ’altra... Le B lu m e l (ironico) — Evidentemente, è un’opinione... un’opinione da poeta... Perciò, ignoravi la mia entrata al Parlamento? I l mio ingresso al Ministero? Io debbo sorprenderti, allora... Perchè, nel mese di febbraio... Ma tu eri forse ancora nel Mezzogiorno... Lambrouche — No, nel mese di febbraio, mia moglie stava meglio... Eravamo tornati a Parigi. Le B lu m e l — Ah! E non hai visto nei gior nali che, tra i nuovi sottosegretari, figurava il mio nome? Avrebbe dovuto d irti qualche cosa... Lambrouche 1 —- Sì... sì... perfettamente... Ora ricordo... Una sera, al Caffè Procope, dove prendevamo l ’aperitivo con qualche camerata della Rivista... uno di noi... Rebertier... Rebertier... l ’hai conosciuto, ricordi?, ci ha annun ziato la formazione del nuovo Gabinetto e ha citato i l tuo nome... Le B lum el —- Ah ! Lambrouche — Sì... Le Blumel... Perfetta mente... Ha detto: « Le Blumel... ma non avete conosciuto un Le Blumel? ». E poi, ha aggiunIjlilTrtlt Tnr »|T- ~1* *V ................ . *. ■■IT | • ■Ti*-**flif to... ridi... ha aggiunto: « E ’ ben capace d’esser diventato ministro, quello là... ». Le B lu m e l — Ah, ali... Spiritoso, non c’è male... Lambrouche — Oh, tu sai, Rebertier è sta to sempre un uomo di spirito... Del resto non ha insistito. Si è parlato d’altro. Proprio quella sera, dovevo leggere un mio poema. E debbo dirti che la lettura di quel poema li 'teneva forte mente iin ansia... La verità è questa, caro mio: finora, non ho fatto niente di meglio. Se ti inte ressa, ti manderò i miei versi uno di questi giorni... Le B lu m e l —- Gol tuo comodo, perchè mo mentaneamente. .. Lambrouche — Sì, devi avere altro da fare... Devi maneggiare chissà quanta carta inutile... E devi ascoltare, chissà ancora, quante stupidaggi ni da certa gente che viene per incensarti, finché non abbia ottenuto quel che vuole... Poi, si ca pisce, una volta soddisfatti, dicono di te tutto o o m Z m S ■ E G N O Quando, ascoltando una commedia nuovissima, dite fra v o i: "F ra 15 giorni potrò leggerla in DRAMMA e gustare meglio tutte le sfumature del dialogo,,. Abbonatevi con 30 lire. Riceverete a casa la rivista cinque giorni prima che sia messa in vendita EDMOND SÉE i l male possibile... Come è diversa codesta vita qualcosa sepolto tra le carte, non esitare a man da quella che conducevi allora... Eh? Quando dare. Per te, c’è sempre posto. passavamo le notti a raccontarci quel ohe aveva Le B lu m e l — Troppo gentile. Allora, a r i mo scritto durante i l giorno, quando sognavamo vederci. Non ti trattengo più... E ti scriverò, si di diventare grandi uomini... grandi poeti del capisce, o verrò a trovarti... No, in fondo... hi l ’avvenire, la fiaccola della nostra generazione... porta piccola, sì... Non ti accompagno. (Pausa. Perchè tu eri i l più dotato, sì, i l più dotato di Le Blumel rimane un istante pensoso) Ah, quel noi. Ricordo quando pubblicasti la tua prima lo là, per esempio... raccolta di versi: « L ’anima sanguinante ». C’era Signora Le B lu m e l — Posso entrare? Sei del buono... solo? Le B lu m e l — Oh!... Le B lu m e l (sobbalzando) — Sì. Lambrouche — Sì, c’era del buono... Signora Le B lu m e l — I l tuo... amico è an Le B lum el —• Non parliamo di ciò. dato via? Lambrouche — Perchè? Le B lu m e l — I l mio amico? Ah, sì, Lam Le B lu m e l — Ma perchè ciò non esiste più. brouche, è andato via adesso. Sono 'Stupidaggini... Signora Le B lu m e l — E hai deciso qualcosa? Lambrouche (indignato) •— Stupidaggini?... Ti sei accordato sul conto di nostro figlio? Per gli imbecillii, forse, per i borghesi... Ma non Le B lu m e l (vivamente) — No, no. Ho rifle t per noi... Per me che ti ammiravo tanto e che tuto. Avevi ragione. I l bambino è ancora troppo speravo tanto da te. Non più tardi di avantieri, piccolo. E poi... (Dopo un’esitazione) non cre quando ricevetti il tuo biglietto, ho par do che quel Lambrouche faccia per noi. Quel lato con mia moglie, del passato. Essa non t i povero diavolo starebbe a disagio in questa casa. conosceva, e non sapeva quel che eri diventato... Signora Le B lu m e l— Vedi?... Te lo dicevo. Allora, le ho mostrato il tuo libro di versi e ho Le B lu m e l — Sì, hai ragione. (Si ode un ru cominciato a leggere... Forse, non sei disposto more nell’anticamera) Ohi c’è di là? (Appare a credermi, ma posso assicurarti che ho conti Dautier, il segretario) Che cosa c’è, Dautier? nuato a leggere fino alle due del mattino. Ab D autier — C’è gente che chiede di parlare biamo pianto, vecchio mio, sì, abbiamo pianto... col signor Ministro. Vengono per sollecitare al Poi, a letto, ho pensato a te, a noi, alla nostra cune loro pratiche... Me ne occuperò io... giovinezza. E mi dicevo che è grave cosa non Le B lu m e l — E perchè? Fateli entrare. mantenere fede al proprio temperamento... Tu D autier — Non preoccupatevene, Eccellenza. eri magnificamente dotato, vecchio mio... So Quella gente non ha altro scopo che quello di bene che quando la vita, eh, sì, questa infame abusare... vita... Be’, meglio dimenticare... Permetti? (Si Le B lu m e l (nervoso) — Di chi? Del mio tem versa ancora da bere) Pertanto, sono felicissimo po? E che ci sto a fare, allora? Sono qui, per d’averti rivisto... Ora, spero di rivederti sem tu tti coloro che hanno bisogno di me. Sono o pre... Ecco, ecco... (Pausa). Ma tu m’hai scrit non sono ministro? Allora, se sono ministro, to... che volevi, mi pare, parlarmi di qualcosa... vuol dire che ho una particella di responsabi Le B lum el — Sì, sì... si trattava di... (Esita lità... Bisogna sentirla, questa responsabilità... un istante) Ma t i spiegherò un’altra volta... C’è Bisogna ch’io provi a me stesso di esserne de tempo. Per il momento, sono molto emozionato. gno... (Con un po’ di amarezza) Altrim enti, fi D’altronde è naturale... E quel che debbo dirti nirò col dubitarne. E poi, ho bisogno di scuo non è urgente. termi un po’, di distrarmi... (Pausa) Ah! a pro Lambrouche — Come vuoi. Ma resto sempre posito: se quel Lambrouche ritorna qui... o al a tua disposizione. E se avrai bisogno di me, Ministero... gli direte che non ci sono... o che non so davvero in che cosa potrei esserti utile, sono occupato... o che... Ecco: che vada all’in ma dico : se avrai bisogno di me, non esitare a ferno... chiamarmi. D autier — Sarà fatto, Eccellenza. Le B lu m e l (amaro) — T i ringrazio. Le B lum el — E ora, fate entrare... (Si mette Lambrouche — Per carità! E ’ naturale. Due al tavolo e prende un atteggiamento ufficiale. vecchi amici, due vecchi compagni come noi. E Entra il primo visitatore, mentre cala la tela). quando puoi, passa a salutarmi alla Rivista. Sé® Non esco mai prima delle sette. T i farò vedere tante cose... Ti leggerò dei versi... E se hai (Traduzione di Enzo Gariffo). mi • mt • -iiift" v r ■• *• .............. . o Z o z c * O z o 6 : B O N N A R D Questo quarto d’ora di rin novata e piuttosto tardiva po polarità, Lyda Borelli ed io proprio non ce l ’aspettavamo. Chi si ricordava nemmeno più di Ma Vamor mio non muore? Un fìkn di quasi vent’anni ad dietro di quando cioè la cine matografia era bambinella an cora e non parlava... I pro prietari di questa vecchia e polverosa pellicola hanno sa puto farla da maestri con una abbondante, preventiva pub blicità di discutibile gusto, ma abilmente mascherata dal pre testo di far conoscere e valuta re al pubblico la grande evo luzione del cinematografo ne gli ultim i quattro lustri; così i l grosso pubblico ha abbocca to ed è accorso in folla a vede re i l film. Esito brillantissimo. G li in cassi sono stati ragguardevoli: gli spettatori si sono divertiti un mondo, abbandonandosi ai più svariati commenti, a motti di spirito, non tu tti di cattiva lega, e a larghe risate, specie ai quadri patetici e di più in tensa drammaticità. Buon umore, lazzi, giovanili squillan ti risate, tutto sarebbe finito lì, se alla proiezione non fossero accorsi quei benedetti autore volissimi critici e letterati, non uno dei quali ■ — posso giurar lo — si sarebbe degnato venti anni fa di occuparsi di un film nuovo, chè la cinematografia era considerata, allora, una contaminazione dell’arte e i giornali (come sono mutati i tempi!) a malincuore parlava no di film nelle rubriche pub blicitarie ad un tanto la linea. I critici e i letterati hanno dunque voluto dire la loro an che su questa pellicola appar tenente, nella storia della cine matografia, alla più remota età e lo hanno fatto con larghezza di colonne di terza pagina e con le loro accreditatissime fir me. Che sorpresa, per me, aprendo i giornali! Quando mai, al tempo in cui m i chiamava no un « divo dello schermo », mi si era data tanta importan za e fatto così grande onore? Letti gli articoli, m i sono pe rò accorto che c’era poco da menar vanto di così copioso e autorevole interessamento. Ac cidenti che sorbe, sul mio ca po e su quello biondissimo del la bella e indimenticabile at trice, al fianco della quale eb bi l ’onore di recitare! Pacchia ni è stato l ’epiteto più gentile. Per poco qualcuno non ha pro posto di deferirci tu tti quanti (attori, direttori, scenografi, operatori ed industriali) ad un tribunale (Speciale, quali col pevoli delle più obbrobriose colpe... Tutti se la sono presa con le nostre pose, col nostro modo di truccarci, di gestire, di cam minare e p artieoi aiimente con le fogge dei nostri abiti. Tanta concordia d i stroncature e di male parole ha finito per in durre anche me a recarmi al cinema, dove si proiettava il vituperato film. Timido e ver gognoso mi sono calato ben sugli occhi i l cappello e sono andato a rannicchiarmi nell’angolo più oscuro della sala. Co sì ho rivisto Ma Vamor mio non muore e mi sono rivisto in quel film che vent’anni addietro aveva segnato in Italia e fuori', il più grande successo della no stra cinematografìa ed aveva riempito me di uno sconfinato orgoglio. Voglio essere sincero : in quel signore presentato co me Mario Bonnard, con tanto dii fatali basette come n ’è r i masto solamente il ricordo nel l ’insuperabile Gastone di Petrolini, sempre con la testa bassa, preoccupato d i guardar si costantemente la impeccabi le piega de’ suoi calzoni e ve stito in così buffo modo — con una paglietta in capo al tissima, simile ad ima ciminie ra di transatlantico, ed un sot tile nastro all’intorno; col ba vero della giacca spiovente sul le spalle come i rami di un salice piangente e, in compen so, un colletto di tela che non finiva mai; con le maniche del la giacca strette e corte così da scoprire (almeno quindici centimetri dei polsi della ca micia — io non mi sono prò- MARIO BONNARD prio riconosciuto. E non per chè oggi abbia qualche annet to di più e isia meno magro di allora. Non mi sono ricono sciuto perchè la cinematogra fia di oggi non è più quella di vent’anni fa; perchè tutto in essa è mutano, nella tecnica e nella recitazione, nei mezzi e nella espressione, soprattutto perchè mutati radicalmente so no i l nostro modo di vedere e di pensare, i nostri gusti ed in fine la moda. / Signori miei, — come direb be Musco —■se Mario Bon nard tra il 1910 e il 1915 reci tava e vestiva a quel modo, gli è perchè seguiva di gusto, pes simo e falso quanto vorrete, del pubblico di allora, il qua le chiedeva a lu i di muoversi e vestirsi proprio così come chie deva a Lyda Borelli — consi derala unanimemente una del le più belle e brave attrici del la scema italiana — quegli at teggiamenti stilizzati che oggi si sono voluti condannare e r i coprire di ridicolo. L ’arte cine matografica (anche allora qual cuno la chiamava così) era fat ta di tanti elementi. Quei so spiri da cinematografo, che la macchina da proiezione acce lerava in modo da dare al se no della prima donna un mo vimento di mare in burrasca, {anno ridere oggi, siamo d’ac cordo : mia allora mandavano in visibilio le platee. Quale film, vent’anni addietro, avreb be mai potuto fare a meno di quei lunghi quadri in cui la sullodata prima donna doveva esprimere le « ore di suprema angoscia », e lo faceva entran do dal fondo di un immenso salone, tutta vestita di veli ne r i con grande scollatura, avan zando piano piano, in modo da potersi appoggiare agli stipiti di una porta, a qualche colon na, a due o tre m obili e final mente ad una finestra, da cui doveva penetrare l ’indispensa bile raggio di sole truccato da luna, e in quella posa, alzan do la testa al cielo, sospirando e sprofondando per ultimo la faccia in im immancabile maz zo di fiori, quasi avesse voluto divorarli tu tti quanti?... Sce menze, pacchianerie : sia pu re. Ma nei film il pubblico di allora voleva; vedere tutto que sto. E chi può dire che tra al tri vent’anni non si riderà del la recitazione e della moda di vestire dei nostri divii d ’oggi? Io mi vanto almeno di ave re avuto, una quindicina di an ni fa, la coscienza del mio io e di essermi accorto, allora, che la cinematografia avrebbe camminato e che sarebbero mutati i gusti del pubblico e la moda. N ell’immediato dopo guerra, benché i l mestiere mi rendesse ancora bene, sentii il pudore di piantare tutto in as so, di cambiare strada. Me ne andai a Berlino prima e poli a Parigi; e là, invece di sfrutta re quel po’ d i notorietà che mi ero fatto, m i feci passare per un novizio e da attore mi sono trasformato in direttore artisti co, o — come oggi si dice •— in, regista. Come regista m’au guro che non mi tocchino, tra una ventina d’anni, gli onori e i relativi benefici che mi so no venuti con la riapparizione sugli schermi italiani di Ma Vamor mio non muore. D H H ha pubblicato da Gennaio a set tembre le commedie nuove rap presentate con successo dalle maggiori Compagnie. Esse so no: IL BACIO DAVANTI ALLO SPECCHIO di Fodor; ROBINA IN CERCA DI MARITO di Jero me; IL COLORE DELL’ANIMA di Rino Alessi; LA TABACCHE. RIA DELLA GENERALESSA di Bus Fekete; RUOTA di Cesare Vico Lodovici; AMICIZIA di Mourguet; ARMONIA di Molnar; LA CORSA DIETRO L’OM. BRA di Enrico Roma; QUELLA VECCHIA CANAGLIA di Nozière; ARIA NUOVA di Lonsdale; M, T. di Aldo de Benedetti; BA. CI PERDUTI di Birabeau; AV VENTURA SULLA SPIAGGIA di Luijgi AntonelM; FUOCHI D’ARTIFICIO di Luigi Chiarel li; IL TRATTATO SCOMPAR SO di Calar e Artù; NOTTUR. NO DEL NOSTRO TEMPO di Giuseppe Bevilacqua; ROXY di Barry Conners; IL TAPPETO VERDE di Alessandro Varaldo. Questo vuol dire che la nostra rivista è la sola in Italia che offra il meglio della produzione teatrale europea. NEI PROSSIMI FASCICOLI PUBBLICHEREMO COMME DIE DI; D IN O F A LC O N I Joe il rosso LA D ISLA O BUS FEKETE F e r ik a LASZLO ALADAR Mancia competente nava nel suo sostituto un’ardente ambizione, si divertiva a giocargli una quantità di piccoli tir i maligni. Più di una volta era arrivato volonta D E L P R IM O A T T O R E riamente così tardi in teatro che il direttore di scena, in preda a giustificata ansietà, aveva I l paziente si alzò con riluttanza dalla sedia mandato a chiamare d’urgenza il secondo at d’osservazione. tore, ma, quando i l povero Bernier giungeva, — Sono molto dolente che lei non trovi nulla trafelato e felice, le risate sonore di Cucq e le da fare, — disse. beffe dei compagni gli rivelavano crudelmente — La sensibilità del suo dente, — replicò l ’o che l ’ora della sua rivelazione era ancora lon dontoiatra, > — non è dovuta che a una leggera tana. erosione. Così leggera, che mi stupisco come lei I l giardino del Lussemburgo essendo un luogo se ne sia accolto. molto adatto alle confidenze e la signorina Olga — Un’erosione? E’ grave? Potrei tornare Jibinsky avendo rabitudine di recarsi ogni sulla sedia? •—• domandò con avidità i l cliente: giorno a prendere una boccata d’aria, non passò — La scongiuro, non esiti: mi sottoporrò volen molto che la triste storia delle ambizioni deluse tieri al più severo trattamento. Lei non sa con di Bernier le divenisse familiare. Mentre Ber quanta gioia immaginavo questa visita : se non nier apprendeva a sua volta che i l padre della dovesse durare più di cinque m inuti sarei ama ragazza, valente dentista anche lui, le aveva la ramente deluso ! sciato in eredità, in mancanza d’altro, un certo — Signore, — rispose l ’odontoiatra con tono numero di affezionati clienti. Olga avrebbe po professionale, mentre il suo bel viso si copriva tuto aggiungere che André Cucq, i l grande atto di verginale rossore, — l ’unica cosa che potrei re, era uno di questi clienti : ma quando una ra fare al suo dente sarebbe di annerirlo, e sicco gazza è seduta accanto all’uomo che comincia a me è un incisivo, i l risultato mi sembra poco interessarla sul serio, non ha nessuna voglia di desiderabile. Lo bagni con un po’ di latte di mettersi a parlar di denti. magnesia, mattina e sera, ed eviti i gelati. Ora Cucq, che da qualche tempo lasciava in —■Le mie rendite non mi permettono di abu pace il suo sostituto, pensò un bel giorno di sarne. Non mi prenda per un milionario, si giocargli un tiro più maligno e complicato degli gnorina, perchè ho il colletto pulito! Ma mi per altri. Dichiarò al suo inseparabile amico Mivart, metta di esprimerle la mia ammirazione per la un altro attore della compagnia: scienza astrusa di cui ella dà prova: non avrei — Quel piccolo Bernier mi dà proprio sui mai sospettato di doverne approfittare, quando nervi! Sarebbe divertente indurlo a vestirsi e l ’incontrai per la prima volta, domenica scorsa, a truccarsi per la mia parte, una sera. Ma per nei giardini del Lussemburgo! L ’avrei sospet chè il gioco riesca, bisogna prolungarlo fino al tata piuttosto una poetessa! momento di andare in scena. Figurati la sua d i — Adoperi sempre uno spazzolino asciutto, sperazione, quando, pochi m inuti prima di pre — proseguì la ragazza imperturbabile, come se sentarsi al pttbblico, si accorgerà che io sono in non avesse notato anche lei il giovanotto, nei teatro ! giardini del Lussemburgo, e non lo trovasse Mivart si affrettò ad approvare entusiastica molto simpatico. — I l miglior sistema è di usar mente: « Sarebbe magnifico! Ma non ti sembra ne due, alternativamente. difficile sostener la finzione così a lungo? ». Così incominciò un’amicizia che doveva ave •— No, col tuo concorso. Dovresti recarti da re strane conseguenze. Osiamo affermare che un lu i in uno stato di turbamento e di ansietà estre appuntamento con un cliente non indusse mai mi, e annunziargli che io sono a letto con l ’in un dentista ad allonanarsi tanto dal geometrico fluenza. Gli dirai che ti ho mandato a scongvsentiero dell’onestà professionale. rarlo di sostituirmi. Non potrà nemmeno farti I l nome dell’innamorato paziente era Edmon un rimprovero: non sarà colpa tua se io avrò do Bernier. Dopo un tirocinio di qualche anno mutato parere all’ultimo momento. Potresti fin in teatri di provincia, egli apparteneva ora alla gere un tantino d’invidia: « Che splendida oc compagnia stabile del teatro «Duphot» col ruolo casione, per te, di rompere le gambe a quel vani di secondo attor giovane. Doveva anche tenersi toso di Cucq! ». Sarà una scena irresistibile: pronto a sostituire, in caso di bisogno, il primo mi pare di assistervi! * * * attore, vanitoso ed insopportabile individuo a nome Andrea Cucq. Ma la sospirata occasione Così fu che, un pomeriggio d’autunno, mentre non si presentava mai e Cucq, che indoviil primo attor giovane stava pensando a Olga JiL À D E N T I E R A LEONARDO MERRICK binsky, che egli sperava segretamente di chia mare presto Olga Bernier, sii udì un colpo secco alla porta e Mivart si precipitò nella stanza del suo collega, sudato e ansante. Bisogna render giustizia a Mivart : non aveva mai recitato me glio alla ribalta : « Parola d’onore, m i la i pena : non hai nemmeno il tempo di fare una prova! Al tuo posto perderei la testa. Ma non t i scorag giare, vedrai che andrà tutto bene. Chissà che la tua fortuna non incominci stasera! ». Quanto a Bernier, non ebbe un attimo di tu r bamento. La parte la sapeva alla perfezione da mesi. Mezz’ora dopo correva al Boulevard Montparnasse a comunicar la buona notizia a Olga Jibinsky. — Sapere che data è oggi? — le chiese, ap pena le fu davanti. — E’ per chiedermi questo, che siete ve nuto ? ■ — Certo. Questa data deve rimanere perpe tuamente incisa nella vostra memoria. Stasera mi presenterò al pubblico parigino in una parte enorme, di effetto sicuro. Non svenite, Olga: la mia ora è finalmente giunta! Se assolverò de gnamente il mio compito, tutti rimarranno stu piti, e stupire il proprio ambiente significa fare un gran passo avanti. Sul serio, non si po trà evitare di affidarmi parti più importanti, in avvenire, se questa sera avrò recitato bene. — Mi congratido con voi! — esclamò Olga, commossa. — Ditemi tutto, presto! Che è acca duto? Cucq è malato? Gravemente? — No, non ha che l ’influenza, ma dovrà r i manere a letto per due o tre giorni. Stasera dun que, .alle nove meno un quarto, voi, benché as sente (il sapervi nella sala mi metterebbe in soggezione) penserete un poco a me e mi au gurerete di riuscire. Volete darmi un portafor tuna? — Un portafortuna? Certo. Ma che cosa? — Quel mazzolino di violette e i l resto del vostro pomeriggio. •— E se arrivasse un cliente? — Che immaginazione avete! Ve ne scon giuro, lasciatemi restare, anche a prezzo di un cliente. I l cuore mi scoppia, oggi. Olga naturalmente finì col cedere e i due gio vani passarono un paio di ore felici alla « Ro tonde ». Incoraggiato da qualche bicchierino di liquore e dalla vicinanza della donna amata, Bernier allentò le redini della sua fantasia. Par tendo dalla convinzione che il suo salario sa rebbe stato presto raddoppiato, non gli fu diffi cile arrivare a vedersi « vedette » di un gran teatro dei Boulevards. Quale cosa più naturale, in circostanze sim ili, che confessine i l suo amo re? Affatto sorpresa della dichiarazione, Olga si lasciò facilmente commuovere, e, prima di separarsi, i due fidanzati discutevano già i l co lore della tappezzeria del loro futuro salotto. Con quanta emozione egli si accomiatò da lei! E con quale felice ansietà essa corse ad occupare una poltrona di platea per assistere, malgrado il divieto, al trionfo dell’uomo che amava! Tre mava, aspettando l ’entrata in scena del prota gonista e il cuore le batteva follemente. Naturalmente, fu Andrea Cucq a presentarsi come al solito alla ribalta. Olga fu sul punto di svenire, ana poi la sua indole animosa ebbe il sopravvento. Per ogni minuto di quei tre inter minabili atti, il suo odio contro l ’artefice della burla feroce (Olga aveva indovinato subito la verità) andò aumentando. Raramente un uomo ispirò a una donna avversione più profonda di quella che i l faceto Cucq destò nel cuore di Ol ga Jibinsky, in quella memorabile sera. Come fu delicato e tenero i l suo contegno verso Bernier, dopo la recita! A tal punto che, cinque m inuti dopo, nella complice penombra di un tassì, egli le confessava: cc Se la mia um i liazione è valsa a meritarmi tanta gioia, ti giu ro, Olga, che non rimpiango nulla! ». Considerate com’è intricata la tela del desti no! Sette anni addietro, un provinciale soffe rente di piorrea espulsiva era stato affidato, giunto di fresco a Parigi, alle cure del degno signor Jibinsky, ex-dentista alla Corte di Rus sia, il quale, estrattogli un buon numero di denti superiori, glieli aveva sostituiti con un’ar tistica dentiera. Il provinciale non era a ltri che Andrea Cucq. E, dal momento che Olga Jibin sky, nella sua qualità di assistente del padre, era al corrente dì tutto, Cucq aveva continuato a servirsi di lei, rassegnandosi ad affidarle la sua bocca ogni volta che un nuovo dente inco minciava a tentennare. Cucq, tenendo a mante nere intorno alla propria dentiera il silenzio più assoluto, è naturale che preferisse lasciare il suo segreto nell’ambito ristretto della fami glia Jibinsky. Poteva egli prevedere che Olga si sarebbe innamorata di un attore del « Duphot », anzi, del suo stesso sostituto? Poteva sospettare che egli era destinato a suscitare nel cuore del suo dentista un odio inguaribile? 't* •<* •!* Gli avvenimenti, intanto, seguivano il loro corso. Una nuova commedia ebbe gli onori della LA DENTIERA DEL PRIMO ATTORE ribalta, al « Duphot ». Questa volta Cucq vi so steneva addirittura la parte di un monarca, Casparillo I, e Bernier quella di un umile fante. -— Che atroce ingiustizia che quel tipo debba fare il re e tu il servo! — si lamentò Olga Jibinsky. — Ha una parte lunga, i l fante? — Ahimè! — le spiegò Bernier, — il fante parla spesso, ma soltanto per rispondere: « Sì Altezza », e « No, Altezza ». La « prima » della commedia venne final mente annunziata per il 7 gennaio. E la mattina del 7 gennaio Andrea Cucq, mentre faceva co lazione nel suo appartamentino della rue Cara bo, sudò improvvisamente freddo. Cessò di ma sticare e per circa dieci secondi rimase rigido, senza osare di precisare i suoi terrori. Quando finalmente la sua lingua portò alla luce il corpo duro avvertito poco prima, il sangue di Cucq diventò di ghiaccio. I l corpo estraneo era un dente artificiale: uno degli incisivi superiori. ■ —■Mori Dieu! — gemè Cucq torcendosi le ma ni'. — Come poffo ufire fulla iena con una bocca cofi conciata? Rifiutiamo di macchiare queste pagine con i commenti ulteriori di Cucq. Afferrato il suo cappello, egli si precipitò per le scale, fece cen no a un autista e pochi minuti dopo irrompeva come un pazzo nel gabinetto del suo dentista. ■ — Signorina, che catastrofe! — balbettò. — Dovete ripararmi i l dente entro stasera, altri menti non potrò presentarmi al pubblico! E’ la « prima » capite? Un vero disastro! Signorina, per pietà, dite che mi potete soccorrere! Per qualche istante Olga non rispose. La sua coscienza professionale lottava strenuamente contro l ’odio per Cucq e l ’amore per il disgra ziato Bernier. Infine l ’onestà trionfò. — Sì, posso aiutarvi, — ammise. -— Sia lodato il Cielo! Che sollievo! Come ho sofferto! E quanto tempo ci vorrà? — Sono molto occupata, — replicò lei fred damente. — Lasciatemi pure la dentiera e tor nate a riprenderla verso le sette. — Le sette? — protestò Cucq. — Ma stasera io devo arrivare al teatro prima del solito : vi ripeto che ho una « prima! ». Facciamo le sei, signorina. Ditemi di sì, via! — Temo di non potervi accontentare, — fu la gelida risposta. -— Uscito Cucq, Olga si lasciò cadere su una sedia. La dentiera, immersa in un bicchier d’ac qua, sembrava ghignare malignamente. I l de stino le metteva nelle mani l ’avvenire del suo innamorato; il prezzo della gloria di Bernier stava accanto ad Olga Jibinsky, in un bicchier d’acqua! Essa poteva restituire la dentiera trop po tardi, poteva invocare un accidente, dovuto, per esempio, al vulcanizzatore. Giusta vendetta, senza dubbio. Ma la sua coscienza si ribellava a quell’idea e la sua assoluta probità rifuggiva dalla menzogna. — Ab, Edmondo mio! — pianse la ragazza. Solo un dentista che sia pazzamente innamoralo può apprezzare l ’intensità di una simile lotta fra la passione e l ’onestà professionale. Durante il pomeriggio, Cucq, rimasto pruden temente in casa, fu allarmato da una comunica zione telefonica del suo dentista. Olga s’infor mava del momento preciso in cui Re Casparillo doveva fare il suo ingresso sulla scena del « Du phot »; suggeriva a Cucq di vestirsi per la parte prima di andare a riprendere la sua dentiera. Dopo veementi e in u tili proteste, Cucq telefonò a sua volta al vestiarista di portargli subito l ’u niforme che Re Casparillo doveva indossare nel primo atto. — Sono raffreddalo — bisbigliò po co dopo mentre il sarto lo vestiva — non mi co stringete a parlare. Sarò al teatro alle otto pre cise. Fatemi trovare tutto a posto, — mormorò quindi, pavoneggiandosi davanti allo specchio. •—■E ora chiamatemi un tassì. * * * — E’ pronta la dentiera? — domandò senza preamboli, appena fu davanti al suo dentista. — Pochi m inuti ancora, — rispose Olga Ji binsky suonando il campanello. ■ — Io mi domando se il sipario si alzerà, stasera! — mormorò l ’impaziente Cucq. — Ma perchè? Se non sbaglio, dev’esserci un attore pronto a sostituirvi, — dichiarò pacifica la signorina Jibinsky. — Chi, quell’asino di Bernier? — proruppe Cucq, imbestialito. — Bella rappresentazione davvero, con un protagonista come lu i! Ma co me fa caldo qui, — aggiunse, togliendosi il so prabito per mostrarsi ad Olga in tutta la sua magnificenza. — Come vedete, ho seguito il vostro consiglio, ma voi non immaginate il di sturbo che mi procurate. — E’ un bel costume, — osservò la signorina Jibinsky lanciandogli un’occhiata di critica. — Credete che andrebbe bene al signor Bernier? — E che volete che ne sappia? — replicò Cucq con un’impaziente scrollata di spalle. — Vi ripeto che ho fretta, signorina: volete r i darmi la mia dentiera, per favore? — Un momento, signor Cucq. Accomodatevi, vi prego. — E volgendosi alla cameriera, en- LEONARDO MERRICK trata in quel momento. — Accendete il gas nel l ’altra stanza, Ortensia. Poi prendete il vostro scialle. Vi manderò immediatamente a fare una commissione, in tassì. Cucq intervenne, irritato: — Signorina, ma io devo ancora truccarmi. Posso pregarvi di r i mandare le vostre faccende private a più tardi? Alle otto mi attendono senza fallo in teatro. — Un attore ha certamente bisogno di tem po per vestirsi e truccarsi, — replicò l ’odon toiatra pensierosa. — Chissà quanto ne occor rerebbe al signor Bernier? Quelle continue e strane allusioni a Bernier finirono col colpire Cucq. Un vago sospetto in cominciò a insinuarsi nel suo animo. Fissando intensamente Olga : — Non capisco, — proruppe, — perchè voi nominate sempre il signor Bernier. — Perchè penso sempre a lui, signor Cucq. E ’ il mio fidanzato. — Fidanzato? — fece eco Cucq, sempre più sconvolto. ■ — cattiva costella3- zione!... — Mah, — rispo V se De Sica — che -----------— - vuoi che ti dica? Sarai nato sotto la costellazione del Capricorno! ■f Guido Cantini si vantava di poter scrivere una commedia in una settimana. — A me — -diceva — scrivere una commedia non mi -costa nulla. — Certo — aggiunse Luigi Bonelli. — Ti costa quello che vale! tv Alberto Donaudy, l ’autore del « Fantasma di Canterville » che la Compagnia Spettacoli Gialli, formata da Enrico Raggio, rappresenterà in que sta stagione teatrale, vede roseo. Gentiluomo di antico stampo, napoletano amabile e felice, egli vive sul velluto di un ottimismo ammirevole. In un anticipo alle sue memorie, racconta que sto lieto aneddoto: « Nel maggio del 1914, uscendo un giorno dal palcoscenico del Teatro Valle, dopo una prova delle mie « Querce », insieme con Marco Praga — allora direttore della «Stabile » .del Manzoni — mi sembrò ch’egli fosse meno taciturno del so lito. Entusiasta, direi. E ciò non gli capitava spesso. Gliene -chiesi la ragione. Mi disse che aveva letto la sera prima una commedia nella quale aveva sentito una parola nuova, un tem peramento eccezionale di commediografo; ma non volle svelarmene il nome. «— Certo lo conoscete di fama — soggiunse — ma è ancora nuovo come scrittore di teatro. « Io già sapevo che Lucio d’Ambra gli aveva da to a leggere una commedia che Pirandello teneva nel cassetto da parecchi anni e non riusciva a far rappresentare; sicché, senza chiedergli altre spiegazioni, la sera stessa, incontratomi da d’Am bra con Pirandello, volli essere io il primo a dargli la lieta notizia. Fortuna che l ’avevo in. tuita bene... L’indomani mattina, infatti, essa era confermata da parte di Praga ed era anche fissata la data della prima rappresentazione al Manzoni di Milano. «Altri tempi? No. Tra colleghi (tra i migliori, s’intende) -c’è sempre stato e ci sarà sempre ca meratismo. Senza di che, quante belle comme die non sarebbero mal state rappresentate, e quanti autori sarebbero rimasti all’ombra! Y Pasquariello non è figlio unico. Ha un fratello e avaro più di lui, se fosse possibile concepirlo. U J B— 3 < u o e t m i8 p h Abitavano assieme durante un .periodo di villeg. giatura trascorso a Capri, fino a quando Pasquariello non fu costretto a partire per i suoi im pegni. Passò un anno senza che i due fratelli si ri vedessero. Quando si rincontrarono, Pasquariello, vedendo il fratello che sfoggiava una folta barba lunga lino al petto, esclamò sorpreso: — Ma come, ti sei lasciato crescere la barba? — Io non avevo nessuna intenzione di farmela crescere. Ma tu l'anno scorso ti sei portato via il mio rasoio!... f i Antonelli non è soltanto un infallibile caccia, tore, ma anche uno spietato pescatore ed alterna durante i suoi ozi abruzzesi l’uso del fucile a quello della canna con imparziale entusiasmo. Un giorno, Antonelli torna a casa armato di carniere e di schioppo e davanti ai suoi fami liari ansiosi cava fuori il frutto diuturno della sua abilità nembrottiea. Ma, a quella vista, il figlio Edoardo scoppiò a ridere: — Papà, oggi sei veramente distratto I Sei en trato in un negozio invece che in un altro. Infatti, Luigi Antonelli, armato di fucile e avendo ancora il cane a fianco, brandiva tre ma gnifici merluzzi! Mentre recitava al teatro Barberini con la Compagnia Falconi, Ugo Ceseri, una sera, ince spicò e cadde per la scaletta del palcoscenico con un gran tonfo. — Che è successo? — domandò Brizzolari. —. Ceseri è caduto! — informò un servo. Ma ecco il malcapitato, rialzatosi, urlare al servo di scena: — Che modo di parlare è il vostro? Avreste do. vuto dire: il signor Ugo Ceseri, attore brillante .con parti di caratterista, della Compagnia diretta dal grande ufficiale Armando Falconi, è sdruccio lato! Un po’ di rispetto, perdinci! $ Petrolini, durante il suo soggiorno a Londra, passeggiando per Piccadilly, si vede ad un trat. to fermato da un tipo dall’inequivocabile figura di scocciatore che l ’apostrofa con queste parole: — Commendatore, io scommetto che lei non mi riconosce... — Ha vinto la scommessa! — risponde Petro lini lasciandolo in asso. tv Un padrone di casa ossessionato dai rumori della città, riceve la visita di Alessandro De Ste fani il quale va a chiedergli in affitto un appar tamento. Dopo le prime trattative, il proprietàrio, prima di stringere il contratto, domanda: — Io desidero inquilini silenziosi. Avete un cane? — No. — Avete un apparecchio radio? — Neanche. — La sua signora studia canto? — Nemmeno per sogno. — Suona il pianoforte? — Mai visto un pianoforte! — Litigate spesso in famiglia? — Mai. Ho soltanto la mia penna stilografica die scricchiola un poco quando scrive... ac Ruggero Ruggeri si trovò un sera a pranzo in un ristorante che era molto affollato. Capitò un generico della sua Compagnia e Ruggeri non potè fare a meno di ospitarlo alla sua tavola ..... ....... .....................- ................................. TERMOCAUTERIO _i___ _____ _______________________________________________ ma si pentì presto di essere stato cortese perchè l ’ospite, oltre ad es sere molto ciarliero, mangiava in P e r d o n a te m i, m a a n c h ’ io un modo così scorretto da suscita re il disgusto. Mentre il generico rimirava sul h o l ’a n im a m e d it e r r a n e a . . . la punta della forchetta un pezzo Questo non vuole essere il primo capitolo di un libro di avventure afri di carne che gli avevano servito cane alla maniera di Stanley, di Liwingston, di Bianchi o di Bottego. In sotto il nome di braciola di maia Africa ci sono stato anch’io; e posso provarlo coi documenti alia mano: le, fece questa osservazione: ma non mi vanto e non racconterò, una volta vecchio, ai miei nipotini, — Che ne dice, è maiale? quando vorrò strabiliarli con la storia della mia vita teatrale, di essermi E Ruggeri, pronto: avventurato nel cuore del continente nero, di aver girato in lungo e in — Da quale parte della forchet largo il Sahara, di aver scoperto le sorgenti deU’Oino o di aver fatto, ta alludete? come Arnaldo Cipolla, il circuito automobilistico del Lago Ciad. Debbo •f Arturo Falconi stava ascoltan confessare che io ho l ’anima mediterranea (Rosso di San Secondo non do la lettura di una nuova com me ne voglia male, se gli usurpo questa prerogativa) ; e perciò, volendo media fatta dall’autore Giovanni andare in Africa, mi sono attenuto alla costa. Vale a dire, sono andato Tonelli. e mi sono fermato a Bengasi. Verso la metà del secondo atto, Falconi, non per colpa della lettu Com’è risaputo — per lo meno lo sanno i miei compagni d’arte — io ra, ma vinto dal caldo, s’addor ho fama di grande cacciatore. Nel campo dell’arte lascio agli altri, ai mentò. competenti, di stabilire il posto gerarchico a cui posso essere assegnato; ma tra i seguaci di Nembrod non riconosco superiorità e non esito a Tonelli se ne accorse, tacque un minuto, poi con un sonoro pugno mettermi alla pari di Renato Simoni e di Luigi Antonelli, i quali, fra sul tavolo, esclamò: parentesi, non lasciano sfuggirsi occasione per denigrarsi scambievol — Dunque, come vi dicevo ieri, mente: sempre, s’intende, in fatto di bravura cinegetica. Dovendomi, dun il secondo atto è diviso in due que recare in Africa con la mia Compagnia, mesi addietro, non vi dico quadri... con quanta gioia io riponessi in mi baule i miei due migliori fucili. Arturo, lo guardò con aria smar rita, temendo di aver davvero dor. Arrivammo a Bengasi. Il primo giorno fu tutto preso dall’emozione del mito ventiquattro ore. l ’arrivo e dalle accoglienze che il Governatore di quella Colonia, gene V Francesco Sapori va a trovare rale Oraziani, e il pubblico vollero amabilmente farci. Ma l ’indomani Silvio 'd’Amico e gli porta il suo mattina, fucile in spalla e spinone al fianco, all’alba, mi posi in cammino. ultimo volume. Dopo aver conversato un po’, Sa Lo confesso: ero trepidante. Avevo tanto sognato di vedere l ’Africa, pori offre il libro accompagnan quella vera, che m’ero sempre raffigurato piena di sorprese, di misteri, dolo con frasi di modestia... di avventure: l ’Africa col deserto, insomma... Cammina, cammina... Fi —- Caro! Ma perchè ti sei inco nalmente mi trovai fuori della città: una città tutta linda, moderna, con modato per farmi questo rega eleganti edifici, un magnifico teatro, un sontuoso palazzo governatoriale, lo?... — dice d’Amico, schermen una bella chiesa, alberghi, ristoranti, negozi all’italiana. Ora, pensavo, dosi. finalmente troverò l ’Africa!... Ahimè! Anche oltre le ultime abitazioni, — Figurati, te l ’offro con piace niente palme, niente dune, niente deserto: ma delie magnifiche strade re; ti prego: accettalo. asfaltate, dritte, interminabili nella sconfinata pianura, e da una parte — Va bene, ma tutto no: è trop. e daU’altra giardini, orti e poi distese verdissime di orzo e di grano. Più po grosso... io e il mio cane s’andava avanti, e più il paesaggio era lo stesso. Di E d’Amico, staccando dal libro tanto in tanto incontravamo delle automobili e degli autocarri che ci .un quinterno, aggiunse: sorpassavano come saette, o sentivamo sul nostro capo il rombo di qual — Ecco, bastano queste pagine, che aeroplano. Raggiungemmo anche una colonna di cammelli. Final tanto per gradire!.., mente un po’ d’Africa! Ma portavano sulla gobba delle mitragliatrici e tv Luigi Chiarelli, pugliese di delle casse di munizioni. Di bestie feroci, incontrammo soltanto una nascita, ha voluto andare a Bari, nuvola di piccolissimi ma terribilmente fastidiosi nioscerini. non solo per vedere la Fiera ma anche per respirare una boccata d’aria natia. Quando, a sera, rientrammo in Bengasi, eravamo stanchi morti. Il cane Seduto nel salone dell’albergo era triste, come me, e più di me avvilito. Non dissi nulla ai miei com Miramare, attendeva il comm. Gi pagni, e i miei compagni, che sapevano della gita, non osarono doman no Mazzoli, segretario della Fiera, darmi nulla. Avevano sicuramente indovinato. S’era parlato tanto, du che si era gentilmente offerto per rante la traversata del Mediterraneo, di Africa, di deserto, di cacce por accompagnare l’autore della «Ma tentose!... Però, ripensandoci sopra, quella sera, e ripensando a mente schera e il volto » nella visita calma ai pericoli della caccia grossa, specie quella ai leoni, forse qualche della mostra. mio attore dovette sorprendermi, tra un alto e l ’altro, dentro le quinte, a Nel frattempo entrò nel salone fregarmi le mani con una certa soddisfazione: non già per non essere Carlo Veneziani e vedendo Chia riuscito a trovare in Africa il deserto, ma per non essermi imbattuto in relli gli domandò: un leone. E credo che, in fondo, dello stesso parere dovesse essere anche — Che fai qui? il mio bravo spinone. E l’altro, cantando: *—Quell’uom della Fiera aspet to... miTrin n " u ^ìii. - - u m a i - - - - -aaein ir " " - ir - ir r — PROPRIETÀ LETTERARIA E ARTISTICA RISERVATE A-R-S (Anonima Roto-Stampa) Via Monti, 9 - Torino — ernesto scialpi, responsabile V E N T IM m e d ici italian i n ie r i anno c lie n ti A L S O e stra p r e s c r iv o n o ogni S IL A M le A ai lo r o c u re di G G N o n d im e n tica te la sen tenze d e ll'illu s tre P ro fessor M a cre z: "F in c h é il trattam ento term ale non è stato im p ie g a to , la m edicina non ha detto la sua ultim a L 'U ffic io d e lle parola P ro p a g a n d a Regie Term e di S A L S O M A G G IO R E invia gratuitam ente le t terature m edica, tariffe, e le n co 48 a lb e rg h i, ecc. i O R I d e f i I Il l M i : a f r r o n s a e t e s ii « « m i n t « U ¿ & n í ¿ C o rm a V i t e r i e E m a n w e l e , S I M I L A N O La s ig a r e t t a e g iz ia n a fa b b r ic a ta e s c lu s iv a m e n te a l C a ir o e in v e n d i t a p r e s s o l e p r i n c i p a l i r i v e n d i t e d i t a b a c c h i e l o c a l i d i lu s s o

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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