A N N O X V II - N . 3 5 2 1 5 A p r ile 1 9 4 1 - X I X L lM ^ ^ n ^ F T R ft T fl" D FftuCiuUu AP^clI _ f l i i i m & m q u in d ic in a le d i commedie d i grande successo d ire tto da l u c i o f 1 r id e n ti * « * ® f W * 0 “RKoiM0 eqa?t,to a,t>- ________________________ R - a cura di GIUSEPPE ORTOLANI è in corso di pubblicazione M nella Collezione “ I Classici Italiani „ edita da Mondadori È u s c ito in q u e s ti g i o r n i i l Q U IN T O V O L U M E co n te n e n te le segu enti com m edie: II goloso avaro - La donna di testa debole La cameriera brillante - I l filosofo inglese - I l vecchio bizzarro ■ I l festino - L’impostore La madre amorosa - Terenzio - Torquato Tasso • I l cavalier giocondo - Le massère - I malcontenti - La buona famiglia - Le donne de casa soa - La villeggiatura. Volume in pagine XII-1416, rilegato im tutta pelle azzurra, con impressioni in oro, segna libro, sopracoperta e custodia. - L. 75 nette. L’intera collezione è in vendita anche a rate mensili. Chiedere opuscolo gratuito alla CASA EDITRICE A. M O N D A D O R I V IA CORRI D. O N 1, 39 * M IL A N O J d a a e IL f o r n M E G L IO a t a a PER E F O T O G R A F IE «M AR C A LA A l i t o d a P R IM A V E R A ; D IS E G N I O R IG IN A L I C O L O R I; O RO », m i R IV IS T A l l a D E L L E « C O L L E Z IO N I» CHE I S A R T I H A N N O PREPARATO LA d DELL’ A LTA CO M ITA TO D IR E T T IV O : GIO P O N T I - L U C IO M O D E L L I P R E M IA T I NEL TERZO F A S C IC O L O m MODA CON DI i E DI V IT A IT A L IA N A C IP R IA N O E. OPPO, PRESIDENTE R ID E N T I - A LB E R TO F R A N C IN I U n a c o p ia L . 15 Abbonamento annuo L. 150 Abbonamento trimestr. L. 40 Per i versamenti servitevi del conto corr. postale N. 2/23000 CHI PROCURA TRE ABBONAMENTI NE RICEVE UNO IN OMAGGIO e d itEr ic . Me . S . A . * VIA ROMA; 24 * TELEF. 53-425 * TORINO B I B L I O T E S C T A R S A N A N I E S R O N I A N A A V o lu m e tti in -1 6 ° p ic c ., co n c o p e rtin a in c a r ta a m a n o s ta m p a ta a d u e c o lo ri. - V e rs io n i, in tr o d u z io n i e note. BYRON (Lord): Caino. Versione di P. Milone, introduzione e note di G. De Lorenzo (in ristampa). — Parisina, Il prigioniero di Chillon. Versione di A. Ricci . . . L. 7 — Aroldo («Childe Harold»). Versione di A. Ricci. Voi. I, II, HI - L. 10 cadauno. —Manfredi. Versione di G. Ferrando L. 10 La Castellana di Vergi. Poemetto fran cese del secolo XIII. Versione di C. Pellegrini................... L. 8 CERVANTES (DE) MICHELE: Don Chisciotte della Mancia. Versione di A. Giannini. Voi. I L. 7, voi. n, ni, IV - L. 10 cad. —Le peripezie di Persile e Sigismonda. Versione di L. Banal . . . . L. 10 I Dialoghi di Confucio («Lun Yiì»). Versione di A. Castellani (in ri stampa). CONSTANT BENJAMIN: Adolfo, Let tera su Giulia (M.me Talma), Il racconto di Giulietta (M.me Récamier). Versione dì M. Ortiz L. 7 CYNEWULF: Il Segno della Croce, Cristo. Antichi poemetti anglosas soni. Versione di A. Ricci . L. 10 L’Elegia Pagana Anglosassone. Versione di A. Ricci................... L. 7 EMINESCU MIHAIL: Poesie. Versione di R. O rtiz ................... L. 10 Epica e Romanzo nel Medioevo Per siano. Versione dì A. Pagliaro L. 9 FRANKLIN BENIAMINO: Autobio grafia. Versione di G. Fornelli L. 8 GOETHE (von) J. W.: Le elegie, Le epistole e gli epigrammi veneziani. Versione di G. Manacorda . L. 10 — Arminio e Dorotea. Versione di A. Carata. Seconda edizione (in ri stampa). —Werther. Versione di L. Graziani L. 10 — Torquato Tasso. Versione di A. Ca rata ............................... L. 10 — Goetz di Berlichingen.Versione di N. De Ruggiero........... L. 12 —Ifigenia in Tauride. Versione di N. Terzaghi..................L. 7 —Viaggio in Italia. Versione di E. Zaniboni. Voi. I, II, III. I tre volumi L. 30 IBSEN HENRIK: La Donna del mare. Versione di A. Ahnfeldt, prefazione di G. Manacorda........... L. 6 — Rosmersholm. Versione di P. Faggioli, prefazione di P. E. Pavolini L. 6 Kalevala, Poema Nazionale Finnico. Versione di P. E. Pavolini . . L. 12 KEATS JOHN: Iperione, Odi e Sonetti. Versione di R. Piccoli . . . L. 8 LAO-TSE: La Regola Celeste («Tao Tè Ching»). Versione di A. Castellani L. 10 LESAGE A.-R.: Turcaret. Versione di C. Levi............................ L. 6 LESSING G E.: Laocoonte. Versione di E. Sola............................ L. 12 LOPE DE VEGA: U miglior giudice è il Re. Versione di A. Monteverdi L. 6,50 — La Stella di Siviglia. Versione di A. Giannini......................L. 7 MARIA DI FRANCIA: Eliduc. Versione di E. Levi......................... L. 8 Mille Sentenze Indiane. Versione di P. E. Pavolini...................L. 10 MISTRAL FEDERICO: Calendau. Ver sióne di L. Graziani . . . L. 6,50 MOLIÈRE: Don Giovanni o II convitato di pietra. Versione di C. Levi L. 6 — Le Preziose ridicole. Versione di F. Picco..........................L. 7 — H Borghese gentiluomo. Versione di C. Levi..........................L. 7 — Le Saccenti. Versione di F. Picco L. 10 Le più belle poesie liriche della lettera tura tedesca dall’XI al XX secolo. Versione di G. V. Amoretti . L. 10 PUSKIN ALESSANDRO: Eugenio Onjéghin. Versione di E. Lo Gatto L. 10 SHAKESPEARE W.: Giulio Cesare. Ver sione di A. Ricci............... L. 7 — Romeo e Giulietta. Versione di C. Chiarini ......................... L. 10 — Re Lear. Versione di C. Chiarini L. 7 —Macbeth. Versione di C. Chiarini L. 10 — Il Mercante di Venezia. Versione di G. S. Gargano...................L. 10 — Coriolano. Versione di G. Ferrando L. 10 — Amleto. Versione di R. Piccoli L. 10 —A piacer vostro («As you like it»). Versione di G. S. Gargàno . L. 10 — Antonio e Cleopatra. Versione di A. Zanco......................... L. 10 — La Tempesta. Versione di G. S. Gar gàno, introduzione e note di G. Ferrando......................... L. 10 — La notte dell’Epifania. Versione di A. Zanco......................... L. 8 — Sogno d’una notte d’estate. Versione di G. Celenza, introduzione e note di G. N. Giordano-Orsini . L. 12 S N A N S O I - F I R — Otello. Versione di R. Piccoli, intro duzione di G. Ferrando . . L. 12 —Misura per misura. Versione di M. Praz..........................L. 13 — Troilo e Cressida. Versione di M. P raz............................. L. 15 I quindici volumi già pubblicati, rilegati in tela rossa con impres sioni in oro, in elegante custodia L. 200 SHELLEY P. B. : Liriche e frammenti. Versione di C. Chiarini . . L. 10 — Prometeo liberato. Versione di R. Piccoli................... .. . L. 8 — Poemetti («La Sensitiva» - «La Ma ga dell’Atlante» - «Adonais»). Ver sione di R. Piccoli . . . . - . L. IO STENDHAL (Henry Beyle): La Cer tosa di Parma. Versione di M. Or tiz, due volum i............... L. 12 STRINDBERG AUGUST: La Storia d’un’anima. Versione di A. Ahn__ feldt, introduzione di G. ¡Mana corda ............................ L. 8 TIECK LUDOVICO: Il gatto con gli stivali. Versione di E. Maddalena L. 7 TOLSTOI LEONE: Infanzia e Adole scenza. Versione della Duchessa D’A n d ria ......................... L. 9 VAUVENARGUES: Riflessioni e Mas sime. Versione di P. Serini . L. IO WAGNER RICCARDO: Rienzi. Versione di G. Manacorda . . . . L IO — L’Olandese volante («Il vascello fan tasma»). Versione di G. Manacorda L. 6 — Tannhàuser. Versione di G. Mana corda ................................L. 10’ — Lohengrin. Versione di G. Manacorda L. 10 — Tristano ed Isolda. Versione di G. Manacorda . . . y. . . . L. T — I Maestri Cantori di Norimberga. Versione di G. Manacorda . . L. 10 — L’Oro del Reno. Versione di G. Ma nacorda .......................... L. 7' —La Walkiria. Versione di G. Mana corda ............................ L. 10 —• Sigfrido. Versione di G. Manacorda L. 12. — Crepuscolo degli Dei. Versione di G. Manacorda...................L. 10 — Parsifal. Versione di G. Manacorda L. IOTUTTO WAGNER. Undici volumi rile gati in tela rossa con impressioni., in oro, con elegante custodia L. 150 E N Z E f ia t e , a a n o l e l l o ............ l { a 2 a n o d o Anche quest’anno la Fiera di Milano richiama nella metropoli lombarda gli uomini Intelligenti di tutta Italia. Le donne che restano a casa attendono con ansia febbrile un ricordo di Milano. Cosa c’è di più utile e più gradito di un cofanetto di calze «Mille Aghi »? Donne, prima che il vostro uomo si allontani da casa, fategli un nodo al fazzoletto, istruitelo per chè non confonda 11 negozio Franceschi di via Manzoni 16, con altro negozio di calze; racco mandategli di chiedere calze «Mille Aghi », e di assicurarsi che queste portino Impresso il marchio di garanzia «Mille Aghi », altrimenti ditegli di ■*1fi11vin MILLE AGHI TEATRO SCALA - Tenuissime: giuoco d’ombra e di luce sul color della pelle. Due pesi: Serata, leggerissime come il respiro. Mattinata, sensibilmente piu resistenti, il paio L. 39. MILLE AGHI, QUIRINALE - Vaporose, evanescenti, senza peso, quasi impalpabili di prefe renza sovrana, il paio L. 50. MILLE AGHI, PRENDIMI (trittico) - Sottilissime, diafane e luminose, conferiscono alle gambe femminili, gioventù e snellezza. Geniale trovata di Franceschi^ per la tranquillità delle donne. Le calze «Trittico » anziché a paio si vendono a gruppi di tre unita, cioè un paio e mezzo, allo scopo di fornire una calza di riserva per l’eventuale sorpresa delie smagliature, il trittico L. 70. I MILLE AGHI VALCHIRIA (trittico) <- 11 fior fiore deUe «Mille Aghi», pellicola lievissima e trasparente, ciprigna al tatto come ala di farfalla. Il realizzato sogno di un poeta. Le più belle del mondo. Eseguite in collaborazione Italo-Germanica, telaio 66 gg. procedimento «Mille Aghi », il trittico L. 95. I MARATONA (Ricordano le «Gui ») - Pesanti, ermetiche, resistenti di lunga durata, le uniche calze con le quali si può camminare per dei mesi; sfidano le smagliature, il paio L. 45. C IV IC O N E G O Z IO D I V E N D IT A I1V I T A L I A F R A N C E S C H I * V ia M a n z o n i 1 6 * M ila n o Per riceverle fuori Milano inviare l’importo delle calze a mezzo vaglia postale o bancario, più L. 1 ogni paio per le spese postali, e saranno consegnate a domicilio, franco di ogni spesa, il giorno successivo all’ordine. ...... Tutti gli uomini che acquisteranno le calze «Mille Aghi » riceveranno in omaggio 1artistico cofanetto porta-calze che eleva le meravigliose guaine all’altezza di un dono principesco e gradito da tutte le donne. d La casacca CIT e la camicia d'organza CIT nel mentre segnano un autentico pro gresso nella confezione della biancheria e camice ria maschile di lusso, costi tuiscono due geniali crea zioni che per qualità, buon gusto e signorilità, non debbono mancare nel cor redo di un uomo veramente elegante. u < C I T 1 8 1 S. A. C O N F E Z IO N I ITALIAN E TESSILI - V IA S. V IN C E N Z O , 26 - M IL A N O ' / f i n e u ic lu m e n ic r M 0 N 0 P 0 L pelle soffre il freddo e il vento: si altera, si avvizzisce, si screpola. Le creme e soprattutto i ceroni da teatro, per le attrici e gli attori, cbiudono i pori, nè basta un emolliente o un detersivo per ridare all’epidermide il respi ro necessario. È indi spensabile un sapone al latte purissimo che dia nutrimento, be neficio e gioia alla toletta. II sapone al latte “ Viset,, è un pro dotto “ llum ianca,, : un prodotto perfetto. M A R T IN A Z Z I GUARISCE LA NOSTALGIA DEI LIQUORI STRANIERI K I V I S E T ESTRATTO DEL REGOLAMENTO L’ « Illustrazione del Popolo » ha bandito un Concorso, de nominato MILLE PER DIECI. Tutti possono parteciparvi col semplice possesso di un bi glietto da dieci lire. Si tratta di sommare le cifre che com pongono la SERIE ed il NU MERO del biglietto di StatoSe l’addizione di tutti i nu meri dà un totale la cui cifra corrisponde al numero segnato sul tagliando della « Illustra zione del Popolo » della setti mana, si trascrivono i numeri del biglietto sul tagliando che si trova sempre a pagina due del settimanale, e — col pro prio nome e indirizzo — si invia il tagliando stesso, in collato su una cartolina po stale, alla S. I. P. R. A., Casella Postale N. 479 - Torino. Fra tutte le cartoline pervenute, ogni settimana, entro le ore 12 del giovedì successivo alla vendita del giornale, vengono estratti a sorte — con i termini di legge — tre pre mi, nell’ordine di estrazione: MILLE LIRE al primo vin cente; CINQUECENTO LIRE al secondo vincente (in Buoni del Tesoro) ; un abbonamento alla rivista dell’alta moda e di vita italiana «BELLEZZA » al terzo vincente M i l l e , j ’ ì ] - D i e c i 1 ILLUSTRAZIONE dei POPOLO I I premi verranno assegnati ai biglietti e non alle persone, perciò verranno consegnati a chiunque presenti un biglietto vincente. Sono utili 90 giorni per la riscossione. I risultati si leggono soltanto sulla «ILLUSTRAZIONE DEL POPOLO» Il concorso si ripete ogni settimana * Il tagliando si trova a pagina 2 della IL X /U S T R ,A Z IO N E D E L P O P O L O Supplemento della «GAZZETTA DEL POPOLO» (Organizzazione SIPRA - Torino) a m d p n Sottile, delicato, persistente, Tabacco d’Harar, il nuovo Profumo G I.V I.E M M E che tanto successo ha incontrato, ha un carattere che dona singolare personalità a chi lo usa. A ll’estero è considerato uno dei migliori profumi oggi esistenti e conferma al nostro paese il diritto al posto che sta conquistando nel campo delle creazioni di profumeria. Tabacco d Harar, adatto per uomo e signora, è posto in vendita in eleganti botticelle di larice na turale solamente presso i principali profumieri. ► k. ■Gl VI PROFUM I E PR O D O TTI DI BELLEZZA - M IL A N O A M O X V II m 15 A p rile 1941 - X E X m m q u in d ic in a le X. 3 53 m d i c o m m e d ie d i g r a n d e s u c c e s s o , d ir e tto d a L U C IO R ID U R T I l i t i c i c e n s o » a lu o c c o , a - T o r in o - Te». 40-443 OH FASCICOLO !.. Ol i; - ADDOfrAMENTO ANNUO I . 40 - ESTERO L. 70 In anni lontani, quando noi era vamo compagni di Guglielmo Barnabò, Gino Cervi, Nerio Bernardi, ★ Giuseppe Porcili, Francesco Coop, tutti riuniti sotto la bandiera au G U G L IE L M O dace di Alda Borelli che già a quell’epoca recitava e ci insegnava R A R A A R Ò {Disegno di Onorato). O’ Neill, Amiel, ecc., Bamabò era esattamente come adesso, con qualche capello bianco di meno, naturalmente. Vogliamo dire che era già « caratterista », poiché per la sua figura da « Flambeau » — parte che infatti recitava magnificamente nell’« Aiglon » — era entrato in arte non come generico (gerarchia che allora si rispettava rigorosamente) ma carat terista. Avevamo anzi! la convinzione che Bamabò fosse nato caratterista. Ed ora che ha stabilizzato con successi continui e personali, da anni, la sua celebrità, non si potrebbe imma ginare ima grande formazione senza Bamabò in questo suo « ruolo » così specifico. Non lo si potrebbe immaginare, non più — come allora — per il suo fisico soltanto, ma per la sua bravura, per una personalità che lo individua e Io rende caro al pubblico. Nella Compagnia diretta da Sergio Tofano, anche quest’anno, in ogni commedia alla quale ha preso parte, i consensi per Guglielmo Bamabò, da parte della cri tica, sono stati unanimi ed entusiastici. C O P E R T IL A nANNO COLLABOBAT» A QUESTO FASCICOLO: ( ; iO V \ \ \ l M A R C E L L III con i l d ra m m a in q u a tt r o a t t i , un p r o lo g o e d ie c i q u a d r i B I A N C O E R O S S O ( d a l ro m a n z o d i S te n d h a l) . D I1 V O D I c o n l a c o m m e d ia P R IM O P R E M IO L U C A in u n a t t o A L L ’ A M O R E A MARIO CORSI: GLI ATTORI VIVONO TROFEO RENE * ALBERTO SAVINIO : LA PARTE DEL PUBBLICO A R1D. : PICCOLO RICORDO A ENRICO FULCIIIGNONI : FUORI SPET TACOLO A ENRICO ROCCA : IL DOVERE DEL CRITICO * ENRICO ROCCA : TEATRO PER DIECIMILA * CLARINO : IL SOLCO MAGICO A COMMEDIE NUOVE E RIPRESE ♦ TEATRI ED ARTE (CRONACA DI VECCHI GIORNALI) * VARIE * CRONACHE FOTOGRAFICHE * TERMOCAUTERIO. i m g B B O l j ★ La Compagnia del Teatro Eliseo concluderà nel prossimo giugno, in ohbedienza ai con tratti, la sua attività, e in au tunno non tornerà più a riunir si. Una delle nostre migliori fo rm a z io n i e precisamente quella che attraverso un trien nio è riuscita ad avere un suo spiccato carattere, a raggiunge re una sua sostanziosa e fresca fusione, ad ottenere nelle pla tee italiane una larghissima cer chia di simpatie, ed è riuscita ad andare avanti, anche in mo menti non facili come quelli di oggi, col vento nelle vele, è dunque condannata a sparire. Condannata: perchè? per colpa di chi? Nessuno ve lo saprà dire; e tu tti — chi più, chi meno — se ne mostrano dolentissimi. Desolati addirittura, se parlate con loro, gli impresari della Compagnia, che durante tre an ni hanno visto i loro sforzi co ronati dai m igliori successi, le platee costantemente affollate e i borderò con cifre tra le più alte che si siano verificate ne gli ultim i anni nei teatri italia ni. Dolentissima la grande maggioranza degli attori, i qua li nell’eccellente Compagnia dell’Eliseo hanno combattuto e vinto delle belle battaglie di arte e visto salire sempre più, nel termometro dei valori sce nici, il loro prestigio, la loro notorietà. Dolentissimi parec chi autori, che in questi comi ci hanno trovato degli interpre ti conscienziosi e lodevolissimi delle loro commedie, e con essi i critici che — bisogna ricono scerlo — non hanno lesinato mai incoraggiamenti e lodi; e dolentissimo soprattutto il pubblico, che ha dimostrato di essersi affezionato in modo spe ciale alla Compagnia dell’E li seo. Tuttavia è stato fino ad oggi impossibile indurre impresari ed attori a trovare un terreno di comprensione e di accordo perchè un’istituzione dramma tica nata sotto i migliori auspici e che ha dato così proficui fru t ti e che pareva dovesse ripor tare il nostro Teatro di prosa alla tradizione di una volta — quella delle grandi Compagnie di complesso che per trienni e trienni andavano avanti immu tate —-, mantenesse nelFAnno X X e poi nei successivi la sua solida struttura e svolgesse an cora quel programma con cui nel nome di Shakespeare prese lietamente le mosse tre anni or sono. Per la verità, il primo colpo di piccone alla solida compa gine di questa Compagnia fu dato, lo scorso autunno, dalFèsodo volontario e inesplica bile — così vogliamo giudicar lo — di Andreina Pagnani, che per due anni aveva diviso con Rina Morelli, Amelia Chellini, Gino Cervi, Paolo Stoppa, e nel primo anno anche con Carlo Ninchi e con gli altri, tanti suc cessi. Disertati i ranghi, que st’anno Andreina Pagnani è r i masta lontana dalle ribalte. Gli esempi — si sa — nel teatro sono contagiosi : Carlo Ninchi ha recentemente richiesto alla impresa dell’Eliseo e alle orga nizzazioni sindacali dello spet tacolo di potersi allontanare dalla Compagnia per accettare allettevoli offerte cinematogra fiche; e Gino Cervi attende — dicono — ansiosamente il ter mine degli impegni contrattua li con l ’Eliseo per rituffarsi, anima e corpo, nei teatri di posa. I l cinematografo continua ad essere, con le sue vistosissime paghe, la grande maliarda degli attori della nostra scena di prosa. Ma, forse, se così spesso il Teatro si trova in tante difficol tà, la causa — non diciamo la colpa — non è sempre e princi palmente il cinematografo. Otto volte su dieci i nostri attori ob- bediscono ad una legge di ata vismo, giacche hanno nel san gue — proprio così, cara An dreina Pagnani, proprio così caro Gino Cervi, e voi tanti, tantissimi altri — quell’irre quietezza indomabile, quel bi sogno di vita mossa e avventu rosa per cui i loro antenati dei prim i del Seicento andavano a portare ai quattro punti cardi nali d’Europa i l genio improv visatore dal quale tutti i teatri presero qualche cosa e Molière trasse le prime ispirazioni dei suoi capolavori. E sapete che cosa ha notevol mente acuito ai giorni nostri questa congenita tradizionale irrequietezza, fonte di tanti in convenienti, di tante sorprese, di tanti errori? I l benessere. Nel teatro è molto più facile guadagnare, e guadagnare di più, di una volta. Comici a spasso di qualche merito non se ne incontrano davvero. I l ci nematografo, il « doppiaggio » dei film stranieri e la radio ( ed aggiungiamoci pure anche la rivista) hanno bisogno di una manodopera artistica — chia miamola così — di giorno in giorno maggiore; ed è soprat tutto alle porte del Teatro di prosa che si batte. E poiché si batte con moneta sonante, le porte facilmente si aprono, e le file degli esuli s’ingrossano. Troppo benessere! Un non nulla basta a far disertare la r i balta: la scelta del repertorio, che una volta era prerogativa assoluta e insindacabile del ca pocomico; la distribuzione del le parti; la presenza nella Com pagnia d’un elemento che dà ombra al prestigio d’un altro; la convinzione di non trovare nelFimpresario, o nel regista, o in un critico un adeguato rico noscimento dei proprii. meriti artistici; i l desiderio di vivere più a lungo in questa o quella città, dove magari Fattore pos siede la sua bella casetta e rap porti cFamicizia, ecc., ecc. In fine, Firrequieto attore, Fattri ce irrequieta sanno benissimo che alFuscita del palcoscenico c’è pur sempre un produttore od un regista che aspetta con un allettevole contratto in ma no. Dunque, niente più rischi. E’ la storia d’ogni giorno; ed è anche un po’ la storia della Compagnia del Teatro Eliseo. Troppo benessere! Questo il tarlo della nostra scena di prosa. M a rio C orsi G R A T IT U D IN E A l T E A T R O D E L I E A R T I ^ Abbiamo avuto l’onore di udire una delle opere più vaste e profonde che mente umana abbia concepita. ' Questa trilogia in tre tempi del grande trageda americano, è comin-' ciata alle 17 ed è terminata alle; 22,30. Entrando a teatro, gran, parte del pubblico, e noi con esso, ci eravamo ripromessi di abbandonare il teatro alla fine del secondo, tempo, ossia all’ora regolare della cena. E invece, arrivati alla fine del secondo tempo, nessuno di noi si è voluto muovere dal suo posto, e tutti siamo rimasti fino alla fine dello spettacolo, per non perdere una sola battuta di questo /testo denso di pensiero e di poesia. Esprimiamo la nostra profonda gratitudine alla Direzione del Teatro delle Arti, che ci ha dato il modo di ascoltare questa altissima tra gedia di Eugenio O’Neili, in una versione impeccabile e integrale. Esprimiamo la nostra ammirazione al regista Giulio Pacuvio, che, nell’allestire scenicamente questa tragedia, ha compiuto una specie di miracolo. Diamo la nostra lode piena e incondizionata agli interpreti, tutti bravissimi e coraggiosi, e soprattutto alla signora Lola Braccini, regale, tragica e profondamente Clitennestra nella parte di Cristina; alla signorina Diana Torrieri nella parte di Lavinia, che nei due primi tempi è stata un poco «monachella », ma ha saputo trovare nel terzo atto accenti di alta tragicità; a Salvo Bandone, ottimo in tutta quanta la lunga e difficilissima parte, che nella scena della pazzia del terzo tempo si è dimostrato attore grandissimo. Molto belle, molto suggestive le scene di Enrico Trampolini. Spettacoli colile questo, onorano il nostro Teatro. ALBERTO SAVIKIO (Dalla critica ai dramma di O’Neill: E lutto si addice ad Elettra). n p D ra m m a in q u a ttro a t ti, u n p ro lo g o e d ie ci q u a d r i «li G I O V A M I 11A I I 1'1.1, I l A I (dal romanzo di Stemlhal). * Rappresentato per la prima volta a Roma il 3 febbraio 1041 -XIX dalla Compagnia del Teatro delle Arti. Ad Anton Giulio Bragaglia, che tanto affettuosamente ha spronato la mia pigrizia •— a Diana Terrieri e Lina Volonghi, a Salvo Bandone e Adolfo Geri, e a tutti i bravi interpreti che hanno contribuito al successo di questa mia fatica — con animo sinceramente grato. sr. m. PRO LO G O Chiesa di Verrières e tratto della f c a i a g g i piazza prospiciente. GIULIANO SOREL - GIAN Giungono Giuliano CARLO RENAL, sindaco di Sorci 0 il suo amico Verrières - VALENOD, diret Fouqué, conversan tore delle carceri e deU’ospizio do. Giuliano ha l’a di Verrières - FOUQUÉ’ - spetto di un contaMarchese LA MOLE - Abate dinello vestito a fe CHÉLAN - Papà SOREL - sta: una camicia CHARCOT DE’ MAUGIRON, bianchissima e, sotto sottoprefetto - Conte NOR il braccio, una giac BERTO LA MOLE - Marchese ca di stoffa ruvida DI CROISENOIS - FALCOZ color viola e un far- SAINT-GIRARD - STANI delletto con la sua SLAO, figlio di Giancarlo Re roba personale. Fou nai - ANTONIO, cameriere di qué veste come un casa Renai - LUISA RENAL borghese di provin - MATILDE LA MOLE - Si gnora DERVILLE - SOFIA, cia dell’ epoca, un cameriera di casa Renai - La po’ trasandato. I due prima vecchia - La seconda giovani giungono da vecchia - Personaggi che non vanti alla chiesa. Giuliano — Eb parlano: Signora VALENOD ARSENIO, cameriere di casa bene, addio, buon La Mole - Un sacerdote che Fouqué. celebra la Messa - Passanti Fouqué > — Addio! Folla in chiesa. La corriera sta per partire... Io me ne ★ torno alla mia mon Epoca 1830. - L’azione si svolge in tagna. Buona fortu Francia, nella Franca Contea e a Parigi. Tra il secondo e il terzo na, Giuliano. (Fou atto sono passati due anni. Musica qué si allontana. d’organo nel prologo e nel quadro ottavo. Musica leggera, in lonta Giuliano entra nella nanza, nel quadro secondo. chiesa, scruta due vecchie che sono li a pregare, cerca cogli sguardi tra i banchi, ne sceglie uno sul quale è impresso uno stemma, vi prende posto e resta assorto cogli occhi fissi sulValtare). La prima Vecchia (sottovoce, all’orecchio della vicina) — Si è inginocchiato sul banco della signora Renai, quel contadinello. La seconda Vecchia (imitando la compagna) — E’ il figlio di papà Sorel, che studia per diventar prete col curato Chélan. Charcot (giungendo nella piazza con Valenod) — Si gnor Valenod, se questa sera andrete dai Renai vi tro verete delle novità. Il sindaco ha preso un precettore per i suoi figli. Valenod — Le pensa tutte, Renai, per ostentare la sua ricchezza. Charcot —• La signora Renai presenterà il precettore a tutta la società di Verrières. Essa sarà più affascinante che mai, e voi ne godrete, signor Valenod. Valenod — Non meno degli altri invitati, e di voi, signor sottoprefetto. Se non m’inganno, piace anche a voi. Charcot •— Non lo nego... ma io non ho la vostra abi lità di conquistatore infallibile. La signora Renai vi teme forse perchè non è troppo sicura di potervi resi stere più a lungo. Valenod — Essa ha un cuore eccellente, ma è tutta per Renai e per i suoi figli. Per gli altri è una fortezza. Charcot — E mentre stringete d’assedio la signora, non trascurate la cameriera... Ma bravo, signor Vale nod, bravo! Valenod — Sofia? Se non fosse una semplice dome stica, sarebbe un bocconcino da principe quella ragazza. Charcot — Avete proprio giurato di sconfiggere Renai in tutti i campi : nel nido domestico, nella carica di sindaco, presso le autorità della provincia, e presso il governo di Parigi... Siete veramente diabolico, signor Valenod. (Dal fondo della chiesa appare l’abate Chélan. Egli si avvicina a Giuliano e gli parla sottovoce, pater namente). Valenod — Aspetto la mia ora, signor Charcot, e ne affretto, come posso, la venuta. (Valenod e Charcot si allontanano dalla scena). Chélan (a Giuliano) — Sorvegliate bene ciò che av viene nel vostro cuore, Giuliano, e non vi fate troppe illusioni su ciò che vi aspetta nella vita di prete. Se pensate di corteggiare i potenti, potete esser certo di perdere la vita eterna. Potrete far fortuna, ma bisognerà far del male ai poveri, adulare i personaggi importanti e mettersi al servizio delle loro passioni. Questa con dotta, che nel mondo si chiama « saper vivere », può forse per un laico non essere del tutto incompatibile colla salvezza dell’anima; ma nella nostra condizione oc corre scegliere. O far fortuna in questo mondo, o nel l’altro; non c’è via di mezzo. Ed ora andate, figliuolo. GIOVANNI MARCELLINI Il signor Renai vi aspetta. E che Iddio ispiri ogni vostro atto. (Giuliano gli bacia la mano. Chélan scom pare verso Voltare). Giuliano (le parole del curato lo hanno commosso. Nell’atto di allontanarsi dal banco scorge un pezzo di carta, in terra, vicino all’inginocchiatoio. Lo prende, legge) — «Particolari dell’ esecuzione e degli ultimi istanti di Luigi Jenrel, decapitato a Besançon... ». Di sgraziato!... Jenrel... Sorel... Curioso, il suo nome fa rima col mio... (Cincischia la carta e la getta; poi si avvia verso l’uscita della chiesa. Presso la porta, si china ad osservare vicino alla pila delVacqua santa alcune mac chie che sono in terra, e ché gli sembrano sangue) San gue?... (Gira gli sguardi intorno alla chiesa) Ah, è la vetrata... Ma perchè ho avuto un brivido di paura?... Quando Bonaparte faceva parlare di sè, la Francia aveva paura d’essere invasa... il valore militare era allora ne cessario e di moda. Oggi, un ambizioso, per arrivare, bisogna che si faccia prete... La tonaca è l’uniforme del secolo... ¡Non c’è via di scampo!... Papà iSorel (spunta nella piazza. Veste come un conta dino facoltoso. Si avvicina alla chiesa. Scorgendolo, Giu liano affretta il passo) — Spicciati, animale! Credi che il signor sindaco aspetti i tuoi comodi? Ora te la ca verai la voglia di leggere sui tuoi libracci! (Brusca mente lo afferra per il braccio, e gli parla duro, cogli occhi fissi negli occhi di lui) Tu aspettami al cancello... Debbo ancora regolare qualche questione col signor sindaco... V h i m r Q H o P R IM O QUADRO Casa Renai a Verrières. Salone a pianterreno. In fondo, una porta a vetri che dà sul giardino. Altre porte late rali. Sono in scena Giancarlo e Luisa Renai. Renal (passeggiando nervosamente per il salone) — ... Ma potrebbe anche pentirsene, questo bel parigino. Se lui ha la protezione del marchese La Mole, pari di Francia, il più ricco proprietario della provincia, nep pure a me mancano amici in alto, a Parigi. Luisa — Ma che male può farti questo bel parigino, dal momento che tu amministri i beni dei poveri con tanta scrupolosa onestà? Renal —■E’ vero, io non ho niente da rimproverarmi... Valenod e qualche altro possono aver paura che si fac ciano inchieste, non io... Tutt’al più, io ho chiuso un occhio; ma ho nello scrittoio tanto di lettere che mi obbligavano a chiuderlo. Luisa —• E allora? Renal —'■Costui, vedrai, farà stampare degli articoli Bui giornali liberali. E’ dalla stampa, l’ho sempre detto io, che vengono tutti i mali di cui soffre questa povera Francia. Se il primo ministro del Re mi facesse l’onore di consultarmi, la prima cosa che gli direi sarebbe questa: «Rovinate senza pietà tutti gli editori di gior nali e mettete la stampa sotto monopolio, come il ta bacco ». Oh, questa non gliela perdonerò mai al curato Chélan. Luisa — Ma che cosa doveva fare quel povero vecchio? Renal — Doveva opporsi alla curiosità di questi su scitatori di scandali. Invece, con la scusa ch’egli può entrare a qualunque ora tra i detenuti e gli ammalati, ha accompagnato questo signor Appert, e gli ha fatto fic care il naso non soltanto nelle cose della prigione e dell’ospizio, che appartengono a Valenod, ma pure in quelle dell’ospedale, amministrato... gratuitamente... da me e da altri cittadini di Verrières della più specchiata probità. Oh, Valenod è su tutte le furie, e giura che farà destituire il curato. (IDall’interno giungono grida di ragazzi). Luisa (annoiata) — Oh, questi ragazzi! Non ti dànno un momento di pace! Renal — A proposito, volevo dirti che ho scelto de finitivamente il figlio di Sorel il legnaiuolo come pre cettore dei nostri figli. E’ un giovane prete, o qualcosa di simile, ma tutti dicono che sa il latino come un an gelo. Gli darò trecento franchi l’anno e il vitto. Deve venire questa mattina, sono già d’accordo col padre. Che te ne pare? Luisa — Mah!... Renal — Quel che mi preoccupava è che il giovane è stato educato da un suo cugino, chirurgo militare, che partecipò alle campagne di Bonaparte in Italia e aveva tutta l’aria d’essere un agente segreto dei liberali. Ma poiché studia teologia con l’intenzione d’entrare in se minario, non può essere un liberale. Che ne dici tu della mia idea? Luisa (timidamente) — Io?... Renal — Valenod è orgoglioso dei due cavalli nor manni che ha comperato per il suo calesse, ma non ha precettore per i suoi figli. Quisa — Se lo sa, è capacissimo di portarti via questo. Renal — Io penso che farà un bell’effetto sulla po polazione veder passare i figli del signor sindaco con dotti a passeggio da un precettore... Chissà se porterà la sottana come nn prete! Papà Sorel (entra accompagnato da Sofia. S’arresta impacciato sulla soglia e si sprofonda in ripetuti inchini a Renai e a Luisa. Sofia esce) -— Servo vostro, signor sindaco... Servo umilissimo, signora Renal. Renal — Avanti, Sorel. Papà Sorel — Buongiorno, signor sindaco. (A Luisa, con un nuovo inchino) Buongiorno, signora Renal. (A Renai) i— Ho parlato col ragazzo... Quel poltrone fa delle difficoltà. Dice che non vuol fare il servitore, signor sindaco. Renal — Chi ha detto servitore? Precettore... e pre cettore dei miei figli. Papà Sorel — E’ ben quello che gli ho detto anch’io, signor sindaco. Ma lui ha domandato con chi starà a tavola. Renal — Ma con mia moglie e con me, diamine. E quando ci saranno invitati di riguardo in una stanza a parte coi ragazzi. Papà Sorel — Bene, bene, signor sindaco. E quale ve- ROSSO E NER,0 stito dovrà indossare? Potrei vederlo, se non vi di spiace? Renal (cava un foglio da cento franchi e lo porge al vecchio) — Ecco... con questo vostro figlio andrà dal sarto Durand e si farà fare un completo nero. Papà Sorel i—* Bene, grazie, signor sindaco. E per il salario? Renal — Siamo già d’accordo sin da ieri. Trecento Panno, più il vitto. Papà iSorel — Non nego che questa è stata la vostra offerta. Ma troviamo di meglio altrove, signor sindaco. Renal (sorpreso, e un poco agitato) — E quanto vi hanno offerto? Dieci, quindici franchi di più? Papà Sorel — Di più... parecchio di più. Quattrocento... signor sindaco. E mensili anticipati. Renal — E chi è questo nababbo che può permet tersi il lusso di pagare un salario simile a un precet tore? Quanti figli ha? Papà Sorel — Questo lo sa lui, il mio ragazzo. Mi ha detto che c’era una persona disposta a spender tanto, e io non gli ho chiesto altro. Renal (a Luisa) — Scommetto che è Valenod!... Spac cone!... (A Sorel) E vitto e vestiario compresi? Papà Sorel —■ Signor sì, compresi. A parte, voglio dire... Quattrocento, più il vitto, più il vestiario... signor sindaco. Renal (a Luisa) — Non c’è dubbio, è lui!... (Nuova mente dall’interno si ode il chiasso dei ragazzi) Sentili... sentili!... Ma Sofia che cosa fa?... Dov’è?... (A Sorel) Ah, starà preparando l’appartamento per vostro figlio. (A Luisa) Vai tu a farli smettere! (Luisa esce. Sorel si sprofonda in inchini al suo passaggio. Renai riprende con Sorel) Ebbene, dò anch’io quattrocento franchi. (Prevenendo un’interruzione del vecchio) E vitto e ve stiario compresi... Gli darò trentacinque franchi ad ogni primo di mese. Papà Sorel — Per arrotondare la somma, un uomo ricco e generoso come il signor sindaco arriverà certa mente sino a trentasei. Renal — Vada per trentasei. (Gridando) Ma ora fi niamola! Papà Sorel — Adesso va tutto bene, signor sindaco. Non resta che... Renal — Che altro c’è? Avanti, parlate. Papà Sorel — Che mi versiate il primo mensile. Renal —* E perchè? Papà Sorel — Ma perchè è nel patto, signor sindaco. Renal — Ma è vostro figlio che io assumo al mio ser vizio, non voi. Papà Sorel —• Quello che dite è giusto, signor sin daco, ma finora il figlio l’ho nutrito, vestito e alloggiato io. Quello che mi mangiano e mi costano, i suoi fratelli me lo ripagano col lavoro... Io spero, signor sindaco, che avrete un po’ di compassione per un povero vecchio padre e mi darete questi trentasei franchi del primo mensile. Renal (autoritario) — Niente affatto... E vi prego di non insistere. (Resta un po’ soprapensiero ; poi di scatto) Anzi ridatemi quei cento franchi. Durand è mio debi tore. Andrò io stesso con vostro figlio a ordinare l’abito. Papà Sorel — Signor sindaco, ci penso io, subito... Mio figlio è giù al cancello; lo porto subito da Durand. Renal —■ No, date qua. (Gli strappa il foglio dalle mani). Papà Sorel —• Ma, signor sindaco... Renal — Basta: ho detto! O così o niente! O così, o potete mandare vostro figlio a fare il precettore da chi volete (Con aria affaccendata) Arrivederci, Sorel. (Rientra Luisa). Papà Sorel — Vi mando subito mio figlio, signor sin daco... Servo vostro... Vostro servitore umilissimo, si gnora Renal... (Esce profondendosi in inchini). Luisa —• Senti, Giancarlo, io non riesco più a frenarli questi ragazzi. Adolfo è salito sul parapetto della ter razza e vi stava correndo, come fa nel viale; se non arrivavo in tempo a fermarlo cadeva sicuramente nel giardino, da più di tre metri di altezza. Mi sono sen tita gelare il sangue!... Giancarlo, vedi un po’ tu che cosa si deve fare per farli stare un po’ quieti!... Renal — Ora ci penso io. (Esce. Luisa si mette a passeggiare per la scena. Davanti alla porta a vetri si ar resta. Ha scorto qualcuno. E’ Giuliano Sorel, vestito come nel prologo, che è fermo dinanzi la porta a vetri, ed esita ad entrare). Luisa (apre la porta, e con voce dolce) — Chi cercate, ragazzo? Giuliano —• Vengo per fare il precettore, signora. Luisa (resta per un attimo piena di stupore; poi esclama) — Oh, bravo... Ma entrate... Così giovane, sa pete già il latino? G-iuliano —• Sì, signora. Luisa — Io immaginavo che foste un giovinetto che veniva a implorare una grazia dal signor sindaco. Che età avete? Giuliano i— Diciannove anni, signora. Luisa —• Il mio maggiore, Adolfo, ne ha nove. Sarà quasi un camerata per voi. Ma sarete buono con i miei figli, vero?... Non li picchierete, anche quando non sa pranno la lezione? Giuliano — Io, picchiarli? E perchè? Luisa — Come vi chiamate? Giuliano — Giuliano... Giuliano Sorel, signora. Tremo entrando per la prima volta in vita mia in casa di estra nei. Ho bisogno della vostra protezione signora, e che mi perdoniate, i primi giorni, molte cose. Non sono mai stato in collegio, ero troppo povero; ma il curato Chélan vi dirà di me. I miei fratelli mi hanno sempre maltrattato... Mi odiano... Anche mio padre mi odia... Se vi parlano male di me non credete loro. E scusate le mie mancanze, signora; non saranno mai commesse con cattiva intenzione. Luisa (commossa) — Vi credo. Giuliano (con impeto) — E mai, signora, mai bat terò i vostri figli, ve lo giuro. (Fatto ardito dalla foga con cui ha parlato, afferra la mano di Luisa e la porta alle labbra. Luisa ha lasciato fare e guarda ora Giuliano come rimproverandosi internamente di non riuscire a mostrarsi offesa o indignata del gesto. Rientra Renai). Renal (a Giuliano) — Ah, siete già qui?... (A Luisa) Quel discolo l’ho rinchiuso nella camera dei giochi! (A Giuliano) E’ essenziale che vi parli prima che i ragazzi vi vedano. Il signor curato mi ha detto che siete una brava persona. Ciò mi fa piacere e mi rassicura sui GIOVANNI MARCELLINI vostri sentimenti. Spero che non sarete nè liberale nè bonapartista. Giuliano (con perfetta ipocrisia) — Signore, il solo nome dell’usurpatore mi suscita un profondo disgusto. Renal — Benissimo! Ciò vi fa onore, giovanotto. La famiglia nella quale entrate si è da secoli distinta per la sua fedeltà alla nostra santa religione e al trono dei legittimi Re di Francia. Voglio che anche i miei figli siano allevati cogli stessi sentimenti. Nella mia casa, sotto la mia protezione, troverete quanto di meglio un giovane può desiderare. Giuliano — Non ne dubito, signore, e vi assicuro che cercherò di rendermi degno della vostra benevolenza. Renal — Esigo che non vediate nè parenti nè amici: le loro maniere sarebbero di pessimo esempio per i miei figli. Giuliano — Farò come mi comandate, signore. Renal —.Vi darò al più presto i trentasei franchi del primo mese; ma dovete promettermi di non dare un soldo di questo danaro a vostro padre. Giuliano —• Ve lo prometto, signore. (Pausa). Renal — Conoscete Orazio? Giuliano (con perfetta ipocrisia) — Di latino, io non conosco che quello della mia Bibbia. Il santo ministero cui mi destino mi proibisce di leggere un poeta così profano. Renal t—. E su quali testi insegnerete il latino ni miei figli? Giuliano — Sulla Bibbia, signore. Renal — Fate come volete... purché essi traggano pro fitto, ed io non spenda inutilmente il mio danaro. Giuliano (leggermente risentito) — Farò del mio me glio perchè non corriate questo pericolo. Renal — Tutto sommato, credo che andremo d’ac cordo... Penso che potreste firmare con me un impegno per due anni. Giuliano (freddo) — No, signore. Se voi voleste li cenziarmi, dovrei andarmene. Un impegno che lega me senza obbligare voi a nulla, non è equo; non Io accetto. Renal — Comunque abbiamo tempo di ripensarci... Ed ora, signore... perchè per mio ordine tutti vi chia meranno « signore », e con ciò voi sentirete tutto il van taggio di essere entrato in una casa come la mia... ed ora, signore, non è conveniente che i ragazzi vi vedano vestito a cotesto modo. Venite, andremo insieme da Durand per l’abito che dovrete indossare. (Renai esce con Giuliano dalla parte del giardino. Luisa resta per alcuni istanti assorta, appoggiata alla porta a vetri, il suo sguar do è fisso sul giardino, dove |è scomparso, dietro il ma rito, il giovane precettore. A un tratto si scuote udendo delle voci nell’interno). Voce di Sofia — Il signor sindaco non c’è... Ma state fermo con le mani, signor Valenod... Lasciatemi! (Ap pare sulla scena da una porta laterale; scorgendo Luisa fugge vergognosa, lasciando sulla soglia Valenod, tutto confuso. Luisa finge di non essersi accorta di nulla). Luisa — Cercavate di mio marito? E’ andato da Durand. Valenod (imbarazzato) — Lo aspetterei, ma ho fretta. Mi è stata annunciata una visita importante e debbo tor nare subito all’ospizio. Sono passato perchè volevo com piacermi con voi e con Renai per aver dato un precet tore ai vostri figli. Luisa — E’ stata un’idea di mio marito. Valenod — Eccovi disimpegnata dalle cure più diffi cili che richiedono i ragazzi. Avremo così il piacere d’incontrarvi più spesso alla passeggiata... Posso sperare di vedervi questo pomeriggio al Belvedere? Luisa —- Credo che oggi non uscirò di casa. Valenod — Ieri ci siete andata. Vi ho visto col sotto prefetto, e ne ho sofferto. Che vi diceva quell’imbecille? Luisa — Suppergiù le stesse cose che mi dite voi, o che leggo nelle vostre lettere. Valenod — Luisa!... Luisa (offesa dal tono di confidenza di Valenod) — Signore!... Valenod — Voi sapete che io vi adoro, signora...'Non vi fa piacere di essere adorata? Luisa — Lo sono abbastanza adorata. Valenod — Da vostro marito? Luisa — Dai miei figli. Valenod — E’ un’altra cosa... Soprattutto non basta... Luisa —■Io mi accontento. Valenod — Dite piuttosto che vi rassegnate... inutil mente. Voi annegate la vostra anima nel tedio, nella monotonia, questa è la verità. Una donna giovane, bella, sensibile come voi, ha bisogno di ardore, di slancio, di passione. Luisa — Signor Valenod, perchè dite proprio a me queste cose? Valenod (sconcertato) — E a chi dovrei dirle? Luisa — A mio marito... o a vostra moglie. Ma non avete più fretta, signor Valenod? Vi rammento che siete aspettato all’ospizio... Una visita importante... Chissà, forse un altro parigino del genere del signor Appert... Valenod — Siete cattiva, signora. Luisa i—* Scusatemi... sono nervosa... Vi sarei grata se mi lasciaste. Valenod — Mi congedate senza una parola di spe ranza? Luisa — ¡Signor Valenod, vi prego, ho bisogno di re star sola. (Entra il domestico Antonio. Valenod si ritira). Antonio —• C’è il signor Moirod che chiede del signor sindaco. Luisa — Fatelo aspettare nello studio. Il signor sin daco sarà di ritorno tra poco. L’appartamento del pre cettore è pronto? Antonio — Vi stiamo trasportando i lettini dei ragazzi sotto la sorveglianza di Sofia. Luisa -— ¡Dite a Sofia che sorvegli anche il loro ab bigliamento, perchè tra poco dovranno essere presentati al signor Sorel (Rientra Renal. Il domestico si ritira). Renal — Be’, che ne dici del nostro acquisto? Luisa (col tono di chi mentisce sapendo di mentire) —• A dire la verità, io non sono entusiasta quanto te di questo contadinello. Le tue premure ne faranno un im pertinente che dovrai licenziare in meno di un mese. Renal — Ebbene, lo licenzieremo... Mi sarà costato un centinaio di franchi, ma il paese si sarà abituato a vedere un precettore pei figli del signor Renal. Piuttosto bisogna stare attenti che non prenda delle arie. Gli da remo e gli faremo dare del «signore» da tutti; ma non ROSSO E NERO bisogna dimenticare che chiunque vive nella nostra casa e riceve un salario, è sempre un servitore. (Rientra Sofia). Sofia — Ho accompagnato il signor precettore nel suo appartamento. Renal — Tutto a posto? Sofia :— Vi abbiamo trasportato i lettini di Adolfo e di Saverio. Luisa — Ho fatto lasciare nella mia camera quello di Stanislao. Temo di non potermi abituare a restar sola la notte. Renal —• Niente affatto. Portate nell’appartamento anche il lettino di Stanislao. I ragazzi perderebbero il rispetto. E lo stesso precettore non lo consentirebbe. C’è qualcuno nel mio studio? Sofia > — Il signor Moirod. Renal >—. Ah, benissimo! (A Luisa) Gli farò coman dare la guardia d’onore... Ah, ma tu non sai? Presto avremo la visita del Re del Portogallo a Verrières. Il marchese La Mole arriverà tra una settimana per pre parare il programma dei festeggiamenti. {Esce). Sofia (a Luisa) — Dio, signora, che bell’abatino ! SECONDO QUADRO Casa Renai a Verrières. Appartamento di Giuliano Sorel. Camera da letto. Sofia è in scena e sta riponendo nel cassettone la biancheria del precettore. Il domestico Antonio si affaccia all’uscio, vede Sofia ed entra. Antonio — Ci avrei giurato che vi trovavo qui! Vi ha stregato colla sua scandalosa civetteria, questo prete senza sottana! Sofia — Sto riponendo la biancheria che il signor Giuliano mi ha incaricato di far lavare. Che male c’è? Non ne ha molta, poverino! Antonio :— Un servo che si fa servire... Parola d’o nore, questa non s’era ancora vista. Sofia |—■Un servo il signor Giuliano?... Antonio — Allora è un milionario. Sofia — Ma siete matto? Se fosse un servo, non mangerebbe alla tavola dei padroni, ed ora non starebbe giù al ricevimento dei signori. Antonio — Il padrone lo liscia e ¡gli lascia fare l’ar rogante perchè teme che Valenod glielo porti via. E anche la signora ci si commuove... Avete visto com’era agitata l’altro giorno quando lo trovarono disteso a terra perchè i suoi fratelli l’avevano bastonato a sangue? Nep pure per uno dei suoi figli avrebbe avuto tanta cura. Sofia — Quei malvagi l’avevano così mal conciato, che chiunque ne avrebbe avuto compassione. Antonio — Per conto mio dovevano accopparlo, do vevano. Sofia —• Ma vergognatevi di dire certe cose!... An date via!... Antonio (avviandosi per uscire) — La conclusione è che voi non volete più saperne di me da quando è en trato in casa questo sudicio precettore. (Entra Giuliano ansimante per la corsa fatta salendo le scale. Ha udito le ultime parole del domestico e lo fissa con aria severa e idi sfida. Il domestico si ritira guardandolo torvo). Sofia i— Signore, stavo mettendo a posto la vostra biancheria. Giuliano (freddamente) — Grazie... Sofia —• Quel villanzone era entrato per parlarmi male di voi. Mi perseguita. Se non la smette sarò costretta a rivolgermi al padrone. {Pausa. Giuliano non risponde). Ho rammendato quel piccolo strappo al petto della ca micia bianca. Ora non si scorge più. Volete vedere? Giuliano — ,Ora no... Grazie... (Pausa). Sofia (tremante ed esitante insieme) — Il signor cu rato vi ha parlato? Giuliano |— Sì... (Pausa). Sofia — E non avete nulla da dirmi, signore? (Pausa). Giuliano |(con accento non troppo duro, ma fermo) ■— Soltanto questo: non dovete più pensare a me, signo rina. La mia vocazione non mi consente di accettare i sentimenti che nutrite a mio riguardo, meno ancora di contraccambiarli. Sofia (allibisce; poi col singhiozzo in gola) > — Avete altro da comandarmi, signore? Giuliano i— No... Grazie... (Sofia sta per scoppiare in pianto, ed esce. Giuliano si precipita allo specchio) Su dicio!... Anche questo mi tocca sopportare... Giù, a ta vola, mi confinano aH’ultimo posto... salgo qui, e un servo geloso mi chiama sudicio precettore! (Si guarda nuovamente allo specchio) Canaglie!... Mostri!... Se non fuggivo da tutta quella gente, mi sarei certamente tra dito... E non devo, no, non devo tradirmi... (L’uscio si spalanca e appare Luisa Renai in uno sfarzosissimo abito da cerimonia). Luisa — Perchè siete fuggito? I nostri amici si di spiaceranno della vostra assenza. Giuliano —- Non ne potevo più di sentir pontificare quel vostro Valenod... Parla di probità... lui! E tutti applaudono, come se tutti non sapessero che ha triplicato le sue sostanze da quando amministra i fondi destinati ai trovatelli... (Forte) Anch’io sono una specie di tro vatello... Fatelo sapere al signor Valenod... fatelo sa pere a tutti... Luisa —• Ma calmatevi... Capisco... a voi, che non ci siete abituato, che per i vostri studi perseguite altri ideali, queste riunioni mondane debbono produrre un effetto penoso e irritante. Giuliano — E su voi, signora Renai, quale effetto producono? Lo stesso che producono sulla signora Va lenod, che non può nominare un oggetto senza farvene notare il prezzo? Luisa —• Il paragone non è per nulla gentile, ma ve lo perdono... In questo momento siete troppo agitato... Sappiate che neppure a me piacciono certi discorsi di mio marito e dei suoi amici; ma penso che sia un er rore giudicare coi nostri sentimenti personali la loro naturale insensibilità per tutto ciò che non sia interesse di danaro, prevalenza di partiti, cariche ed onorificenze. Giuliano — Ma è l’animo che istintivamente si ri bella contro questi miserabili rappresentanti di tutti i ricchi e di tutti gl’insolenti della terra. Che cosa diven terebbero se mi fosse dato di combatterli con armi uguali? Non sono gl’ingegni di cotesta fatta che mi fa rebbero ostacolo. Luisa i—- Vi credo... Ma state calmo... Tra giorni la fa miglia, come tutti gli anni, si trasferirà in campagna GIOVANNI MARCELLINI per passarvi l’estate. Laggiù queste riunioni saranno meno frequenti, e forse le troverete più tollerabili con l’abitudine. Conoscete Vergy? Giuliano — No, signora... Ma il signor Renai mi ha descritto il castello colle quattro torri che vi possiede... il giardino disegnato come quello delle Tuglierì... il grande albero di tiglio piantato da Carlo il Temerario... Luisa —■In verità il luogo è incantevole, e il pae saggio non ha nulla da invidiare alla Svizzera e ai laghi italiani. La vostra anima, così sensibile al bello, se ne sentirà commossa ed esaltata. Ci terremo buona com pagnia, laggiù. Giuliano (vinto dalla dolcezza di Luisa) — Yi sono assai grato, signora, per quel che mi dite. Luisa — Quest’anno inviterò a Yergy la signora Derville, mia cugina. E’ una donna molto intelligente. Vi troverete bene con essa. Giuliano -—■Lo credo, signora; ma forse io non sono degno di tanta bontà da parte vostra. Luisa —- Avete un carattere molto diffìcile... ma siete poi così buono, così generoso e umano coi ragazzi... Tutti i nostri amici c’invidiano. Trovano che non pote vamo fare scelta migliore per la loro educazione. Di cono che c’è in voi la stoffa per un grand’uomo. La moglie del sottoprefetto vi vede già primo ministro come Richelieu. Anch’io condivido questo suo parere: la Mo narchia e la Religione ne avrebbero veramente bisogno. Giuliano —■Tutto ciò, più che rendermi orgoglioso, m’impegna a cercar di meritarmi sempre più la vostra stima, signora. Voi siete la sola persona che sappia comprendermi in questa casa. Luisa — Ho molta amicizia per voi... (Pausa). Ho cercato Sofìa e l’ho trovata che piangeva. Mi ha detto ch’era stata da voi. Spero che non l’avrete maltrattata. Giuliano — Essa vuole sposarmi, ed ha incaricato il curato Chélan di parlarmene. Ho risposto al curato che la proposta non mi conviene. Luisa — E’ una ragazza nata da genitori indubbia mente umili, ma ha avuto un’eredità che le frutta un migliaio di franchi di rendita. Potreste trovare la vo stra convenienza sposandola... farvi una posizione da queste parti: a Eray, ad esempio, a due leghe da qui... Giuliano —- Credo che la signorina Sofia potrà tro vare un partito migliore nel domestico di vostro ma rito, che è geloso di me e mi odia. Luisa —• Ma essa è innamorata di voi... pazzamente innamorata. Giuliano — Si hanno anche dei doveri verso se stessi. Io chiedo ben altro al mio destino, signora. (Pausa). Luisa — E il curato, che cosa vi ha detto? Ha ap provato? Giuliano — Al contrario, egli vedrebbe con gioia questo matrimonio. Luisa — Davvero? Giuliano (sorridendo) — Il povero vecchio non è troppo convinto che io possa diventare un buon servo della Chiesa, e trema per la mia salute spirituale... Luisa —- Ha dei motivi per... tremare? Giuliano —- Non so... Comunque non credo di aver gliene forniti. (Pausa). Luisa — In verità, io credevo che foste fuggito per incontrarvi con Sofia. Giuliano i—• Credevate anche che l’amassi?... Crede vate a una tresca? Luisa —- ¡Sì. Giuliano (amaro) '—• E siete subito salita... per sor prenderci? Luisa (risentita) — Sono salita perchè i nostri ospiti chiedevano insistentemente di voi. Giuliano ,— Ed io sono fuggito perchè non vedevo intorno a me che facce false, e non mi sentivo disposto a subire i loro ipocriti sorrisi di protezione. Luisa — Cosicché anche nella mia faccia avete no tato la stessa falsità... vero? Giuliano (mortificato) — Perdonatemi... Voi eravate naturalmente esclusa... Siete così diversa da tutti... Solo con voi mi sento tranquillo, sicuro... Per voi farei qua lunque cosa... potete credermi, signora. Luisa (ambigua e ironica) ■ — Sposereste perfino Sofia se ve lo comandassi! Giuliano — Non posso pensare che voi, così buona con me, vorreste turbare la mia coscienza e compro mettere il mio avvenire. Luisa (lo fissa) — Siete uno strano ragazzo... (Pausa). A proposito, volevo dirvi una cosa... I miei figli fanno progressi così straordinari, che vorrei pregarvi di accet tare un piccolo regalo, come segno della mia ricono scenza. Si tratta di qualche scudo per la vostra bian cheria... ma... Giuliano (rabbuiandosi in volto) — Ma... che cosa? Luisa —■ Non è necessario parlare di questo a mio marito. Giuliano > —• Sono umile, signora, ma sarei qualcosa meno di un servo se mi mettessi in condizioni di na scondere al signor Renai qualunque cosa che si riferisca al mio danaro. Luisa —- Non intendevo umiliarvi... credetemi... Giuliano (amaro) — Forse anche voi trovate, come il vostro domestico, che sono sudicio? Luisa — Ma che cosa dite, Giuliano!... (Ha pronun ciato il suo nome con tale accento di tenerezza, che subito la turba e la spaventa come una confessione). Giuliano — Se fossi nato vent’anni prima, oggi non mi troverei di fronte a voi, signora, o mi ci troverei in ben altre condizioni. Luisa — Che cosa intendete dire? Giuliano — Intendo dire che da vent’anni è passato per sempre il tempo in cui poteva incominciare per me una vita eroica: ucciso in battaglia o promosso generale a trent’anni. Luisa — Napoleone?... Giuliano —■Questo nome vi spaventa? Egli era dav vero l’uomo mandato da Dio per i giovani francesi. Il suo ricordo c’impedirà per sempre d’essere felici. (Pausa). Ma forse questo mio modo di pensare vi deve sembrare degno d’un domestico... ROSSO E NERO Luisa > — Non dico questo... Ma mi stupisce e mi spa venta... Giuliano — Voi siete stata allevata nel campo nemico e su questo argomento non potete avere le stesse idee del figlio del falegname Sorel... (Bussano alla porta. Giu liano apre) Tu qui, iFouqué? FouquÉ (sulla soglia) — Passavo da queste parti, ho visto la tua camera illuminata e sono salito. (Saluta con un inchino Luisa). Luisa (a Giuliano) — Non venite in giardino?... I no stri ospiti chiederanno di voi... Le signore sono ansiose di sentirvi recitare qualche componimento in latino. Giuliano — Non mi piace dare spettacolo... Andate voi, signora. (Luisa esce visibilmente contrariata. Giu liano e Fouqué salutano inchinandosi) — Ecco come sono questi ricchi: vi umiliano e poi credono di rime diare con qualche smorfia... Fouqué — Se non sbaglio, sono capitato in un mo mento poco opportuno... Mi rincresce... Giuliano — Non darti pensiero... Anzi, pon potevi ca pitare meglio. Fouqué — Scusa se sono indiscreto... ma che è suc cesso? Giuliano — Sono nauseato di questa umanità da sa lotto che sono costretto a servire e ad ossequiare. Nes suno in questa casa mi può soffrire. Poco fa un dome stico mi ha chiamato sudicio precettore, capisci? Fouqué — Non c’è male! Giuliano — Questo perchè è geloso della cameriera della signora Renai, la quale è innamorata di me e ha confessato al curato Chélan che vorrebbe sposarmi. Fouqué — Accidenti! Siamo già agli intrighi amorosi! Giuliano — Dopo è venuta la signora Renai e mi ha offerto del danaro di nascosto dal marito per compe rare la biancheria da sostituire a quella scarsa e logora che posseggo. Fouqué — E’ di cuore generoso, la sindachessa! Ac corto, Giuliano : anche costei vorrà attirarti in qualche sua trappola. Giuliano —• Mi domando se potrò mai amare questa donna... Senza dubbio essa mi disprezza... e anch’io la disprezzo... Ma è bella, e debbo riuscire a conquistarla... e cosi, schiacciarne l’orgoglio. In fondo, un amoretto con la padrona di casa mi distrarrebbe dalle miserie in cui sono costretto a Vivere. Sa il cielo quanti amanti ha già avuto !... Fouqué —• Da quel che vedo non hai migliorato gran che separandoti da tuo padre e dai tuoi fratelli. Giuliano — Ora capisco come si possa diventare dei Robespierre... E quel che è peggio, mi comporto come un ragazzo. Non riesco ancora a (dare a questa gente quel tanto della mia anima quanta me ne pagano. Fouqué — Ma perchè non li mandi tutti al diavolo quanti sono e non te ne vieni a vivere con me sulla montagna? Lassù hai tutto: pane, aria, libertà... Giuliano — Oh, sì, sarebbe bello ! Lassù non mi sen tirei circondato di nemici come qui... Fouqué — Io guadagno molto nel commercio dei le gnami, e cerco per l’appunto un socio istruito e fidato che mi aiuti ad aumentare gli affari. Chi meglio di te potrebbe fare al caso? Giuliano — Tu sai Lene che per me non si tratta so lamente di danaro.. Ho vent’anni, e a questa età il pen siero del mondo e della parte che vi dobbiamo prendere vince su ogni altra considerazione. (Pausa). Certo, con te potrei mettere da parte qualche migliaio di franchi e poi riprendere con vantaggio il mestiere del soldato o quello del prete, secondo la moda che correrà. Fouqué —- Allora accetti?... Io non ho moglie, e non ho proprio nessuna voglia di prenderla. Sono stato trop po disgraziato coll’amore. Alla fine t’accorgi che tra te e la donna c’è sempre... un altro. Però la solitudine m’in tristisce. Vieni con me. Giuliano — E’ chiaro che se tu prendi un socio come me, senza un soldo, lo fai colla speranza di avere un compagno che ipoi non ti abbandoni. E’ appunto questo che non posso prometterti... Eppoi perdere così sette od otto anni... Arriverei ai ventotto... Ma a questa età Bonaparte aveva compiuto le sue imprese più grandi... Sa rebbe vile! Fouqué — Bonaparte!... Tempi ormai tramontati per sempre, caro Giuliano!... E così, tu continui a nutrirti la fantasia colle pagine del «Memoriale di Sant’Elena »? Giuliano •—• Come potrei separarmene? E’ il mio Van gelo. L’ho qui, nascosto nel saccone del letto, insieme col ritratto di lui. Il Giuliano vero che tu conosci è qui, quando è solo e si esalta recitando ad alta voce i bol lettini della Grande Armata! Fouqué — Allora vuoi rimanertene col tuo Renai, che ti tiene nello stesso conto del fango delle sue scarpe? (Vedendo Giuliano nervoso e agitato) Ma che hai? Giuliano — Sento che questa tua proposta mi toglierà la pace dall’animo per diverso tempo. Come Ercole, ec comi al bivio, non tra il vizio e la virtù, ma tra la me diocrità accompagnata dall’agiatezza e i sogni eroici della gioventù. Fouqué — Io credo che tu sia un po’ matto, caro Giuliano. Giuliano — Chissà, forse è proprio così. Fouqué (avviandosi per uscire) — E’ tardi... ti lascio... Addio! Giuliano — Addio! (Tlscito Fouqué Giuliano chiude la porta a chiave, disfa nervosamente il letto, e toglie dal saccone il «Memoriale di Sant’Elena » e il ritratto di Napoleone) Eppure la felicità potrebbe essere vicino a me. Posso, a mia scelta, sposare Sofia o associarmi con Fouqué!... Ma sarebbe vile... sarebbe capitolare prima di aver combattuto! No... da domani incomincia la mia (battaglia... Signor Valenod... ¿Signora Renai... a noi! (Prende il ritratto di Napoleone e legge ad alta voce le parole scritte nel retro di esso) « Come lo sparviero « che spiccando il volo dalle grandi rocce descrive si telente e solitario circoli immensi sul capo dei piccoli «uomini... ». (Parlando al ritratto) E’ Stato il tuo de stino... Sarà domani il mio? GIOVANNI MARCELLINI S m k Æ o TE R ZO QUADRO A Vergy, nel castello di Renai. Giardino di fronte al fabbricato. Nel centro della scena un grande albero di tiglio, con seggiole di vimini intorno. Pomeriggio d’e state. Durante l’azione la luce andrà gradualmente dimi nuendo, sino a fare sera completa. Al levarsi del sipario la scena è vuota. Dalla parte del giardino che non si vede giungono grida gioconde di ragazzi e risa squillanti di donne; poi la voce di Luisa Renai che domina il chiasso. Voce di Luisa — Ora basta, ragazzi! Giuliano, fateli smettere!... Sudano, e col fresco potrebbero prendersi un malanno... Adolfo, Saverio, ho detto basta... fate i bravi, ubbidite!... (I ragazzi riprendono il chiasso). Sono di nuovo scappati... Giuliano, fermateli!... ¡Sofia (entra accompagnando Valenod e Charcot de’ Maugiron) — La signora è nel giardino col precettore!... (A Valenod) Sono sempre insieme quando non c’è il pa drone!... Ed io che andavo sempre da lei a pregarla di parlare col signor Giuliano a mio favore... Che stu pida!... Ma lo dirò al signor curato! Voglio levarmi al meno questa soddisfazione! Così saprà perchè mi ha rifiutata ! Valenod (a Charcot) — Che vi dicevo, signor sottopre fetto? Charcot —• Io sono sbalordito, signor Valenod... Una signora del suo rango abbassarsi con un ragazzo che viene dal nulla... (A Sofia) Ma ne siete proprio sicura? Sofia — Altroché!... Valenod — Ma sì, è chiaro che ha perso compietamente la testa. Sofia — La signora Derville... Valenod — A proposito, che ne pensa l’austera signora Derville ? Sofia —• Fa ¡finta di nulla, ma io mi sono accorta che è preoccupata. Charcot — Ora capisco perchè la signora Renai ha vo luto che il piccolo ¡Sorel figurasse ad ogni costo nella guardia d’onore per la visita al Re del Portogallo a Verrières!... Sofia — Ma non sapete il resto, signore. L’uniforme colle spalline da colonnello che il signor Giuliano in dossava è andata a ordinarla lei, la signora in persona, dalla migliore sartoria di Besançon... Ci teneva che fa cesse più'bella figura di tutti gli altri, che sapeva figli di gran signori! Valenod — E a me? Non ha avuto la sfrontatezza di chiedermi per il giovanotto uno dei miei cavalli nor manni? Charcot — Per non farvi torto ha voluto che anche voi contribuiste al trionfo del vostro fortunato rivale! Sofia — Io vado... Se la signora mi vedesse parlare con voi, ¡Dio sa che cosa penserebbe... Già non mi può più soffrire... Volete salire, signori, o debbo avvertirla che siete qui? Valenod — Lasciate... Aspettiamo Renai, che è dal marchese La Mole. (Sofia esce). Oh, a Renai costerà ben caro questo capriccio della moglie. Non passerà molto tempo che tutta Verrières si farà le più grasse risate sulla sua disgrazia! (Entra Renai). Renal — Scusate, cari amici, se vi ho fatto aspettare... Ma il marchese La Mole mi ha trattenuto a parlarmi dell’andamento della nostra amministrazione... Sono certo che farà un ottimo rapporto al governo! Valenod —'Sapete, Renai, che ieri il precettore dei vostri figli ha destato l’ammirazione di tutti colla sua fiammante uniforme e col suo fiero comportamento? Renal — Davvero? E’ stata un’idea romantica di mia moglie!... Valenod — Ottima idea ! Renal — Debbo dare qualche ordine alla servitù... Il marchese [Diparte per Parigi, e passando ci farà una breve visita di congedo... Sapete? A Parigi si parla di lui come di un futuro ministro... La nostra provincia ne avrà molti vantaggi! Valenod — Allora, Renai, vi prego di presentarmi al marchese... Vorrei raccomandargli... Renal — Volentieri... Ma scusate, cari amici, scusate vi mando mia moglie... (Esce). Valenod — Signor Charcot, avete sentito?... Un’idea romantica di sua moglie!... Charcot — Se qualcuno non gli apre gli occhi Renai resterà cieco e becco per tutta la vita. Valenod — Vorrei raccomandare al marchese le sorti dell’ospizio... Ho bisogno di fondi per gl’indumenti dei trovatelli... Charcot (ironico e ambiguo) — Ancora!... (Entra Luisa). Luisa —• Cari amici... (Saluti. Baciamano). Signor Va lenod, vi ringrazio molto di aver accolto la mia pre ghiera di fornire la cavalcatura al signor Sorel. Valenod — Ogni vostro desiderio è ¡per me un ordine. Voi comandate, signora, ed io obbedisco. Luisa ¡(a Charcot) — Il nostro caro direttore non perde nessuna occasione per ¡fare della galanteria. Valenod — Sappiate, signora, che io vi sarò sempre devotissimo... nonostante tutto. Luisa — Nonostante che cosa? Valenod (guardandola, con un sorriso ironico e am biguo) — Tutto quel che può accadere. Luisa — Che cosa deve accadere? Non capisco... Spie gatevi. Charcot (intervenendo per dissipare l’imbarazzo) — Signora, voi siete oggi così affascinante e apparite così felice, che il nostro amico, vedendovi, è rimasto abba gliato e confuso. Non è così, signor Valenod? Luisa — Mi domando, signori, se oggi siate in vena di complimenti o di malignità. Charcot —- Che cosa dite mai? Ieri, al ricevimento, dopo il Re del Portogallo, la più ricercata siete stata voi. Valenod — E dopo di voi, il più ammirato è stato il signor Sorel. Mentre sfilava colla guardia d’onore tutti gli occhi delle donne erano su di lui. Charcot — E ¡quelli di lui su tutte le donne... natu ralmente. Luisa — Oh, guarda!... Io invece credevo che le donne ROSSO E NERO s’interessassero unicamente di voi, signor Valenod. Ma se il signor Sorel vi supera così, come dite, nel favore del bel sesso, doveva soltanto trattarsi d’ima vostra sciocca presunzione. (Entrano in scena Giuliano e la signora Derville. Valenod e Charcot s’inchinano salu tando la Derville). Sìcnora Derville — Luisa, sta venendo tuo marito col marchese La Mole. (A Giuliano) Avete raccomandato ai domestici di sorvegliare che i ragazzi non scappino di nuovo in giardino? Giuliano — Certo, signora Derville. Luisa —■Bisognerà incominciare a punirli, Giuliano, altrimenti non riusciremo più a farci ubbidire. (Rientra Renai col marchese La Mole). Da Mole (bacia la mano a Luisa) — Signora, siete veramente degna idi aver ospitato nella vostra casa un re. E quale re! Un discendente di Carlo il Temerario. Renal (presentando) — La signora Derville, nostra .cugina. (La Mole s’inchina e lejbacia la mano). 1 La Mole — V,i avevo già notata ieri, signora, al bal cone del municipio. (A Charcot, con un gesto benevolo della mano) Caro Charcot!... Renal (continuando le presentazioni) — Il signor Va lenod, direttore delle carceri e del ricovero di mendi cità... (Valenod fa un profondo inchino). La Mole — Valenod!... Ah, voi siete il signor Va lenod? Ma chi è che mi ha parlato di voi tempo fa? Ah, ecco, Appert... sicuro, il signor Appert... (Valenod si turba. Renai e Charcot si guardano imbarazzati. Luisa sorride) Ma perchè impedite ai detenuti di cantare quan do pranzano? Forse il cibo che servite loro è insuffi ciente ed essi cercano d’ingannare la fame col canto. Che fareste voi se vi trovaste al posto di uno di loro? Signor Valenod, lasciateli cantare liberamente. Valenod — Sì, eccellenza. Renal (additando Giuliano, che è rimasto in disparte) — Il signor Giuliano Borei, precettore dei nostri figli. La Mole (fissando Giuliano) — Vi riconosco... Voi siete il giovanotto che ieri era a cavallo nella prima fila della guardia d’onore? Giuliano — Sì, signor marchese. La Mole — Ho ammirato il vostro spirito marziale. Bravo, giovanotto! (Giuliano s’inchina). Signor Renai, ho fatto distribuire diecimila bottiglie di vino ai con tadini che ieri lungo tutto il percorso hanno acclamato Sua Maestà col più vivo entusiasmo. Renal — Ma si ubriacheranno, signor marchese. La Mole Meglio così, signor Renai, il ricordo di questa giornata resterà nella loro mente legato a quello di una solenne sbornia, e sarà tanto di guadagnato per la monarchia. Renal — Ma i liberali ne approfitteranno per criticare! La Mole — Non preoccupatevi... Dopo la caduta di Bonaparte, lo spirito di adattamento e di ipocrisia hanno fatto grandi progressi nel loro partito. Ve lo prova il fervore con cui hanno gareggiato con noi conservatori nel festeggiare un re che ai loro occhi passa per un tiranno dominato dai preti. Non vi saranno più rivoluzioni in ¿Francia per opera dei liberali. H governo è tranquillo. Renal — Ah, dimenticavo, signor marchese... Hanno portato al municipio questa lettera per voi. La Mole (a Giuliano) — Signor precettore, volete pren dere quella lettera e leggerla? Giuliano (legge); — «Signor marchese, ho sempre «avuto dei princìpi religiosi. Ero a Lione, esposto alle «bombe, al tempo dell’assedio del ’93, di esecranda me lemoria. Faccio la comunione e tutte le domeniche vò «a messa nella chiesa parrocchiale. Non ho mai man tecato all’obbligo pasquale, neppure nel ’93, di esecranda eememoria. La mia cuoca (prima della rivoluzione avevo eedella servitù), la mia cuoca fa di magro il venerdì. eeGodo a Verrières d’una stima generale e, oso dire, me teritata. Sto sotto il baldacchino nelle processioni, al tefianco del signor curato e del signor sindaco. Nelle etgrandi occasioni porto un grosso cero comprato a mie eespese. I documenti di tutto ciò sono a Parigi, al mini lestero delle finanze. Chiedo al signor marchese la con tecessione del lotto a Verrières. Vostro umilissimo sereevitore: De Cholin ». La Mole —■Poteva chiederla sin dalla prima riga!... (A Renai) La concessione è vacante? Renal — No, signor marchese, ma il titolare è molto malato... Eppoi, vota male alle elezioni... La Mole — Ah!... (Ironico) Allora se la merita!... (Il marchese prende congedo. A Luisa) Signora Renai!... (Le bacia la mano. Lo stesso con la signora Derville. A Charcot, col solito gesto amichevole della mano) Caro Charcot!... (A Giuliano) Giovanotto!... (Giuliano s’inchi na. Renai e La Mole escono). Luisa (a Valenod e a Charcot) — Vi fermate a pranzo da noi, signori? Charcot — Vi ringrazio, signora Renai, ma io sono atteso in città... Anzi, si è fatto un po’ tardi... Valenod (sempre imbarazzalissimo) — Anch’io signo ra... Grazie... (A Charcot) Vogliamo andare, signor sotto prefetto? Luisa — Volete che vi accompagni alla vostra car rozza? Valenod — Non incomodatevi, signora... Grazie... (Va lenod e Charcot escono dopo aver salutato e baciato la mano alle signore). Luisa — Finalmente se ne sono andati! Mai come quest’anno la campagna m’ha dato il piacere d’essere lon tana da questa gente. Signora Derville (a Giuliano) — Da ieri non fate che ricevere complimenti da tutte le parti. Giuliano — E’ stato il più bel giorno della mia vita, e lo debbo alla bontà della signora Renai. Luisa — Ho voluto vedervi, almeno per un giorno, senza quel vostro triste abito nero. Giuliano •— A cavallo, mentre lo squadrone prese il galoppo, mi sentivo un eroe. Mi sembrava d’essere uffi ciale d’ordinanza di Napoleone e di caricare una batte ria nemica. Signora Derville —- Tacete!... Non sapete che è proi bito parlare di Napoleone in casa Renai? Giuliano — Ho passato tutta la notte a sognare ad occhi aperti di campi di battaglia, di assedi, di vittorie, di trionfi! Signora Derville — E per questo vi siete levato a mez zogiorno, appena in tempo per essere a tavola per la co lazione. (Rientra Renal. E’ accigliato). GIOVANNI MAKCELLINI Renal (a Giuliano) — Signore, vedo che le cose non vanno bene qui come in città. Mi è stato riferito che avete passato tutta la mattinata senza occuparvi dei ragazzi. Giuliano ì— Sono rimasto nella mia camera, signore. Renal — Ma io non vi pago per poltrire. Giuliano (offeso, risponde con tono secco e aspro) — Mi sentivo male... ¡Non è forse permesso sentirsi male qualche volta?... E credete che con qualunque altro pre cettore i vostri figli avrebbero fatto gli stessi progressi che con me? (Senza dare a Renai il tempo di rispon dere) Se dite di no, come osate rimproverarmi che li trascuro?... E davanti alle signore, per colmo d’ingiu ria?... Sappiate che posso vivere senza di voi... So dove andare uscendo da casa vostra! (Esce irritatissimo). Renal — Non so chi mi trattiene dal licenziarlo su due piedi. Sentirsi rispondere su cotesto tono da un miserabile precettore... A questo siamo giunti! Luisa — Mi sembra che non era il caso— Renal —. Oseresti dargli ragione?... Luisa — Ma scusa... Renal — Basta!... Basta!... Ma non capisci che fa così perchè ha in tasca una proposta di Valenod?... Ma già, che cosa hai mai capito tu!... Adesso, vedrai, per tenerlo buono mi toccherà di aumentargli il salario!... Maledi zione! (Esce infuriato). Signora Derville — Giuliano è troppo violento— Mi spaventa... Luisa — Ha ragione di essere in coUera... Dopo i pro gressi che fa fare ai ragazzi, cosa importa che passi una mattinata senza occuparsi di loro? Signora Derville — Non dico il contrario... ma questo piccolo precettore m’ispira molta diffidenza. Mi ha l’aria di pensare troppo e di operare con politica. E’ un sor nione. Luisa — Ma che cosa dici? Signora Derville — Io trovo che ti compiaci troppo della compagnia di Giuliano, e lui della tua. Credi che stia bene? Luisa — Che male c’è? Alla fine, non è che un ra gazzo, che si è mostrato sempre rispettosissimo verso di me. Che importano a mio marito i sentimenti ch’io posso avere per questo giovane? Egli si annoierebbe alle conversazioni che ho con Giuliano: lui ha la politica, la fabbrica, gli affari... Oh, io non gli tolgo nulla per darlo a Giuliano... Signora Derville ■ — Ma qualche volta si ha l’impres sione ch’egli non esista neppure per te. Luisa •—• Si viene in campagna anche per isolarsi un poco dalle persone colle quali in città si è costretti a passare tutti i giorni e tutte le ore della giornata. Signora Derville ;— Non temi che ciò venga male interpretato dalla gente, specialmente dalla servitù? So fia è gelosa, e soffre quando Giuliano è con te. Luisa 1— Crederà che Giuliano si sia innamorato di me!... Che sciocca!... Ma perchè mi dici tutto questo? Signora Derville — Per metterti in guardia. Luisa ,— Contro chi? Signora Derville — Anche contro te stessa, Luisa. Luisa — Sciocchezze!... (Pausa). Ma io sento un po’ di freddo— Signora Derville — Vado a prenderti uno scialle. (Esce). Luisa (turbata) — Dio mio, che cosa succede in me?... Io, amerei?... Io, una donna maritata, sarei in namorata?... (Giuliano appare sulla scena non visto da Luisa. Scorgendo la donna sola si avvicina silenziosa mente alla seggiola dove essa è seduta, e risolutamente afferra il capo di lei, lo rovescia e lo bacia. Luisa lancia un piccolo grido di spavento). Lasciatemi, Giuliano, la sciatemi... Siete impazzito!... (E’ sorta in piedi, ma Giuliano la tiene stretta tra le braccia). Giuliano — Non mi respingete, signora... Vi amo— Luisa — Lasciatemi, vi dico... Giuliano — Vi amo... mi farete infelice! — Luisa — Ve ne prego, Giuliano, lasciatemi... Mio ma rito, mia cugina... possono tornare da un momento al l’altro... Sofia... Essa è gelosa e ci spia... Non compro mettetemi... Giuliano — Vi amo., vi amo... E’ più forte di me! Luisa — Per carità, Giuliano, lasciatemi... (Cerca di li berarsi dalla stretta; non ci riesce; priva di forze si abbandona) Io impazzisco, Giuliano—Lasciatemi... siate buono... (A un tratto, improvvisamente riprende energia) Basta... basta, sciagurato! (Si divincola dalla stretta} Andate via... mi fate orrore! — Giuliano (amaro) •— Ecco, ora tornate a disprezzarmi— I vostri pregiudizi di casta... Luisa (con voce di pianto) — Non dite questo—Ho orrore anche di me stessa... Mi avete messo l’inferno nel cuore— (Rientra la Derville. Dal contegno dei due ha intuito che qualcosa, che la preoccupa, è avvenuto fra essi. Porge lo scialle a Luisa). Grazie, cara— (Pausa). Signora Derville (a Giuliano, per rompere il silenzio che sta per diventare imbarazzante) — Vi siete riconciliato col signor Renai? Giuliano — Mi ha aumentato il Baiario a cinquanta franchi mensili. L’ho costretto a fare il sacrificio più grande. Signora Derville — Farete bene a moderarvi un’altra volta—Pensate che tutti abbiamo dei momenti di cattivo umore— Giuliano (sarcastico) — Vi ringrazio del consiglio., signora Derville. Se avessi cinquecento franchi di ren dita per continuare i miei studi, saprei cosa fare—(Rien tra Renai). Renal — Bisogna dire al giardiniere di sbarrare con: fasci di spine il sentiero che attraversa il frutteto. I con tadini vi passeggiano come in casa propria. Nessuno ha più rispetto per la proprietà degli altri; nessuno ha più rispetto di niente. Che tempi! Signora Derville — Signor Renai, calmatevi—Raccon tateci piuttosto che cosa succede a Verrières. Renal —- Nulla di buono, cara cugina. Nella nostra di sgraziata città tutti vogliono arricchire, il partito liberale aspira al potere e alle elezioni saprà farsi arma di tutto.. Corriamo verso il precipizio! Signora Derville — Per favore, signor Renai, lasciate la politica e parliamo d’altro... Dopo tutto, Bonaparte è morto e nessuno può farlo risuscitare. Renal .—. Ma ne potrebbero sorgere degli altri, molti BOSSO E NERO altri, non un solo Bonaparte, dal seno della plebaglia di cui si favoriscono così scioccamente le ambizioni... Giuliano (si sente toccato dall’allusione di Renai; con sforzo reprime lo sdegno e si avvicina a lui) — Signore— Debbo andare in città a parlare di cose spirituali con l’abate Chélan. Ho l’onore di avvertirvi che domani mi assenterò per qualche ora. Renal — Ma, caro signore, anche per tutta la gior nata... e anche posdomani, se volete. (Suona la cam pana del pranzo) Oh, andiamo a pranzo ! (Renai dà il braccio alla Derville, e avviandosi, le parla sottovoce) Questo sciocco si è fatto una specie di reputazione in casa mia e ne approfitta per spillarmi quattrini... (Spari scono dalla scena). Luisa (a Giuliano, con un filo di voce) — Pensate di abbandonare i vostri allievi per impiegarvi altrove? Giuliano — Mi darebbe molto dolore, ma forse sarà necessario. Luisa — Allora ci lascerete... partirete?— Giuliano — Bisogna ch’io parta... perchè vi amo troppo e sono infelice! Luisa (come in delirio) — No, Giuliano... Restate— fatelo per me! (Si abbandona a lui. Si baciano). Giuliano —■Ho molte cose da dirvi... da dirti, Luisa... Questa notte, alle due, sarò da te, nella tua camera... Luisa (spaventata, tremante e felice) i— Ma se mio marito sente, io sono perduta! Giuliano — Rimpiangeresti la vita? Luisa —• Molto in questo momento... ma non rimpian gerei di averti conosciuto! QUARTO QUADRO A Vergy, nel castello di Renal. Camera di Luisa. Nel fondo è l ’alcova, celata agli spettatori da tendaggi. Nella scena, un lettino, col piccolo Stanislao, malato. E’ notte alta. Vicino al lettino sono Luisa e Sofia. Luisa è in veste da notte alla foggia dell’epoca, e reprime i sin ghiozzi. Sofia è ¡china sul malato e l’osserva. Sofia — Si è destato... La febbre lo fa delirare... Non mi riconosce... Luisa (folle di disperazione) — Chiamate mio ma rito... subito, mio marito!... Andate... andate, fate presto! (Sofia esce. Luisa si china sul lettino) Bambino... bam bino mio... Sono io, tua madre, che ti uccide... (Solleva il volto devastato dal dolore e dal pianto) Signore, sal valo... fai morire cento volte me, ma salvalo!... Dio mio, perchè vuoi punirmi così! Sono colpevole, il mio pec cato è grande, merito la tua ira, Signore... ma non ven dicarti colla vita del mio bambino... egli è innocente!... (Entrano Renai e Giuliano. Appena essa scorge Giuliano, lancia un grido di forsennata) ¡Nb, no!... Signore, libe rami dal demonio! Renal (è in veste da camera, e parla a Luisa con tono sommesso) •— Calmati, cara— Luisa —■Giancarlo, ascoltami!... Renal — Sii ragionevole... Non è la prima volta che i bambini hanno la febbre alta... Ammalerai anche tu... Mettiti a letto, riposa— Luisa (si getta in ginocchio dinanzi al marito) — No, per carità, ascoltami!... Renal —■Ma che cosa fai... Alzati... (Cerca di solle varla). Luisa (restando sempre in ginocchio) — Devi sapere la verità... Sono io che uccido mio figlio. Gli ho dato la vita ed ora gliela riprendo. Renal — Ma che dici?!... Tu deliri... E’ la StanchezzaAlzati, santo Dio, vai a riposare... (Fa di nuovo per sollevarla, ma essa si aggrappa alle sue gambe). Luisa — No, bisogna che io mi perda, ch’io mi umilii, qui, davanti a te; forse questo sacrificio placherà l’ira del Signore— Renal (cominciando a dare qualche segno d’impa zienza) — Ma che storie son queste, Luisa... (Cerca di liberarsi dalla stretta di lei) Ma lasciami, santo Dio! — Luisa — Non te ne andare... Ascoltami... abbi pietà di me! Renal — Mi farai perdere la pazienza... (Si libera dalla stretta). Oh, ma che cosa ti succede?... (A Giuliano) Ap pena giorno fate chiamare il medico... (Esce. Luisa si abbandona distesa sul pavimento, singhiozzante. Giu liano le si avvicina. Essa balza in piedi, ieratica) Vattene! Giuliano — Te ne scongiuro, calmati... Fa che io sia il solo confidente delle tue pene. Luisa — — Lo indennizzerai con qualche scudo... Tro verà da collocarsi presso Valenod o il sottoprefetto, che hanno figliuoli... Renal —- Io mi domando se tu hai un briciolo di buon senso. Luisa —■ Appena ho letto quella ignobile carta mi sono promessa che lui od io usciremo da questa casa. Renal —- Ma vuoi suscitare uno scandalo!... Tutti i miei nemici canterebbero vittoria! Luisa — Quel giovanotto non ha tatto. Sarà istruito, tu te ne intendi, ma nel fondo è rimasto un vero con tadino. In quanto a me non ne ho avuto mai un buon concetto da quando ha rifiutato di sposare Sofia... col pretesto che qualche volta, in segreto, lei va a trovare 11 signor Valenod. BOSSO E NERO Renal — Come?... Come?... Giuliano ti ha detto questo? Luisa -— No, non precisamente... Mi faceva capire ab bastanza chiaramente che non ignorava quelle visite se grete. Renal —■Ed io le ignoravo! Avvengono dunque in casa mia cose che io ignoro?... Luisa — Eh, storia antica, amico mio... E’ cominciato quando al tuo buon amico Valenod non sarebbe dispia ciuto di avere con me un amoretto puramente platonico. Renal —■E tu non me ne hai detto mai nulla? Luisa — Dovevo guastare due amici per una piccola vampata di vanità del nostro caro direttore? Qual è la signora di mondo cui non sia stata indirizzata qualche lettera spiritosa e persino galante? Renal — Egli ti ha scritto?... Mostrami subito quelle lettere... Luisa .— Te le mostrerò, sì... ma un altro giorno, quando sarai più calmo. Renal — Subito, ho detto! Luisa — Giurami che non questionerai col direttore. Renal —■Questionare o non questionare, voglio imme diatamente queste lettere. Dove sono? Luisa — Nel cassetto della mia scrivania. Renal (si precipita fuori della scena e rientra subito dopo con un pacchetto di lettere) — Miserabile!... La dro!... Ah, ma gli dirò due paroline decise sull’affare delle forniture per i trovatelli!... Ladro!... Se tornasse la severa amministrazione di Napoleone... ah, che cosa mi fa dire!... in galera lo vedrei andare, in galera! Luisa — Io torno sempre alla mia idea. Occorre che Giuliano si allontani dalla nostra casa. Per quanto sap pia di latino, non è alla fine che un uomo venuto su dal nulla... Spesso, credendo d’essere gentile, mi rivolge complimenti esagerati e di cattivo gusto, che impara in qualche romanzo. Renal — Non ne legge mai, me ne sono assicurato. Credi che io sia un padrone cieco che non sa quel che avviene in casa sua? Luisa > —- Ebbene* se non li legge, li inventa, ciò che è peggio. Avrà parlato di me su questo tono a Sofia, che è press’a poco come se avesse parlato dinanzi a Valenod. Renal — Valenod!... j(Guarda le lettere, poi guarda Luisa) La lettera anonima e queste sono scritte nella medesima carta... E’ stato lui... proprio lui!... Canaglia! Luisa (un rapidissimo lampo di soddisfazione passa nei suoi occhi; ma subito si riprende, e fissa Renai tur batissima) — Ed ora che cosa intendi fare? Renal — Voglio portare queste lettere al Club dei No bili e mostrare a tutti che sono di quell’infame di Valenod che ho preso spiantato per farne uno dei più ricchi borghesi di Verrières. Lo svergognerò pubblicamente e poi mi batterò con lui. Luisa —'Non ritieni che fare una scenata senza prove sufficienti sia un gravissimo errore? Riflettici, Giancarlo. Renal — Devo dargli una lezione, devo!... Luisa — Ma parlare a Valenod delle sue lettere è proclamare in tutta Verrières, ma che dico? in tutta la provincia, che quel piccolo borghese, che molto impru dentemente tu hai ammesso nella tua intimità, ha tro vato modo di offenderti. Renal —■Allora dovrò sopportare che Valenod conti nui a farsi beffe della mia reputazione? Luisa — Se quelle lettere provassero che io ho corri sposto all’amore del signor Valenod, dovresti uccidermi, lo avrei meritato cento volte... ma fare uno scandalo, a quale scopo? In questo momento, poi... colle elezioni vicine, le probabilità che hai di diventare deputato, di entrare forse nella Camera dei pari, come del resto ne avresti tutto il diritto, se il Re fosse libero e potesse render giustizia alla nascita... Renal (sconfortato) — E’ vero... farei il gioco di quell’infame e dei miei nemici. Luisa — Ti ripeto che bisogna allontanare Giuliano... Renal —. Ma se allontano Giuliano, Valenod troverà da dire che la cosa era vera; se Giuliano resta mi addi terà come un marito compiacente. In tutt’e due i casi, io rischio di diventare la favola di Verrières. (Esaspe rato) Maledizione! Luisa — Calmati, e tieni conto che anch’io debbo avere voce in capitolo in questa delicata faccenda... Se poi a me, che sono la tua compagna da dieci anni, tu preferisci un Giuliano qualunque, sappi che sono dispo sta ad andare a passare sei mesi a Besançon da mia zia. Renal (si abbatte su una seggiola. Ha il volto profon damente torturato) — E sta bene... Allontaniamolo per qualche tempo... Ma a questi patti... A Verrières alloggerà nella nostra casa, e perchè io non abbia a spen dere inutilmente i miei quattrini, nelle belle giornate gli manderemo i ragazzi per le lezioni... e tu li accompa gnerai... Ma che cosa mi fai dire?... (Esce esasperato. Luisa si mette a passeggiare nervosamente per la stanza. Nel passare dinanzi alla finestra qualcosa attrae la sua attenzione e la turba. A un tratto esce in fretta dalla parte opposta da cui entrano Chélan e Sofia, e si na sconde visibilmente dietro l’uscio). Sofia — Vado subito ad annunciarvi... Ma per carità, non dite che sono stata io... Mi rovinereste... I padroni son tutti d’accordo nelle cose importanti... Non si per donano certe confessioni ai poveri domestici... Chélan — Tacete, figliuola, tacete... E chiamatemi prima di tutti il signor Giuliano... Sofia — Sì, è qui nello studio... Signor Giuliano! (Esce). Giuliano (entra; ha un attimo di esitazione; poi si precipita a baciare la mano di Chélan) — Padre... Chélan — Giuliano, ascoltatemi bene. Vi prego, e, occorrendo, vi ordino, di non muovere alcuna obiezione e di non chiedere spiegazioni su quanto vi dirò. Oggi stesso lascierete questa casa. (Turbatissimo, Giuliano china il capo). Avete inteso? Giuliano — Sentire è obbedire, padre. Chélan —- Verrete con me a Parigi, e non farete ri torno a Verrières almeno per un anno. Il marchese La Mole ha avuto la bontà di procurarmi una buona cura in quei dintorni, e poiché egli aveva bisogno di un segretario intelligente e attivo, ho fatto il vostro nome. Ed ora, aspettatemi qui. Vado io stesso ad annunciare ai signori Renai che partite immediatamente con me. (Esce). Luisa (entra precipitosamente dalla porta dalla quale poco prima è uscita) — Ho ascoltato tutto... Dunque, tu parti?... parti per sempre? GIOVANNI MARCEIAINI Giuliano — — —• Che questa pupattola parigina stia nuova mente istigando questi signori a prendersi gioco di me? (Si mette a rovistare tra le carte che sono sul tavolo, evidentemente sempre dominato da questo pensiero. En trano il marchese La Mole e Vabate Chélan). La Mole — Caro abate, io non trovo mai il tempo di occuparmi seriamente di una cosa molto importante. Giuliano, avete notizia se i due notai sono riusciti a met tersi d’accordo sul contratto per il matrimonio di mia figlia col marchese Di Croisenois? Giuliano — No, signor marchese. La Mole — Ebbene, sollecitateli. Caro abate, voglio maritare al più presto mia figlia Matilde. Essa ha biso gno di due cose: del titolo di duchessa, che erediterà subito dopo la morte del suocero, e ciò farà comodo a me, e di un marito energico, che farà comodo soprat tutto alla sua indole troppo cavalleresca. Giuliano, avete l’incartamento del contratto? Giuliano — E’ nel vostro studio, signor marchese. Vado a prenderlo. (Esce). La Mole — Caro abate, devo dirvi che in questi due anni mi sono molto affezionato a questo Giuliano. Qual che volta me ne vergogno persino... ma poi, mi dico, che c’è di male? Mi sarei potuto benissimo affezionare a un bel levriero... non vi pare? Chélan — Giustissimo, signor marchese. La Mole —- Giuliano è originale e pieno d’imprevisto... Tutto il contrario di mio figlio, che è sempre uguale a se stesso, e i suoi amici una copia perfetta di lui. Sì, ho detto bene, Giuliano ha dell’imprevisto. Ho scoperto in lui una scintilla di genio politico e diplomatico che non va trascurata. Potrà diventare qualcuno... Caro abate, ma siete proprio sicuro che Giuliano sia figlio di quel Sorel, legnaiuolo di Verrières? Io spesso mi domando se non sia per caso figlio naturale di qualche nobile esiliato tra quelle montagne al tempo di Bonaparte? Chélan — Sui registri della mia parrocchia venne bat tezzato così... ma non è improbabile, signor marchese. Non sarebbe il primo caso. La Mole —■Io lo tratto ormai come un figlio. Questo capriccio, se dura, mi costerà un regalo di diecimila franchi nel testamento. Voi forse troverete deplorevole che Giuliano abbia preso delle abitudini troppo mon dane... Chélan — No... non è prete. La Mole — La sua ambizione mi ha fatto buon gioco nelle missioni segrete che gli ho affidato a Londra e a Stra sburgo. (A Giuliano, che rientra) Oh, bene... Mi porte rete a firmare le lettere nella mia camera. Caro abate, una volta non pensavo che a curare i miei piaceri; ora l’età mi costringe a curare la gotta e altri dispiaceri... Volete venire a tenere un po’ di compagnia a un povero vecchio ammalato? Chélan — Sono ai vostri comandi, signor marchese. (Escono La Mole e Chélan. Giuliano si siede al tavolo e incomincia a esaminare le carte. Entra Matilde. Giu liano le fa un rispettoso e freddo inchino). Matilde — Posso rivolgervi una domanda? Giuliano (freddo, senza sollevare gli occhi su Matilde) —• Sono pagato per rispondervi, e vivo della mia paga. Matilde — Verrete domani sera al ballo del duca di Retz? Giuliano •—. Non ho ancora avuto l’onore di essere presentato al signor duca. Matilde — Ho incaricato mio fratello di condurvici. Giuliano — Non credo che il signor conte vorrà de gnarsi... Matilde —• Mio fratello fa tutto ciò che io voglio... Se verrete, mi darete dei particolari sulla campagna di Villequier. Si parla che vi andremo questa estate. Poiché sarò io in definitiva che deciderò, vorrei sapere se il castello è abitabile e se i dintorni sono belli come di cono. Ci sono tante fame usurpate! Giuliano — Il signor marchese mi ha affidato l’ammi nistrazione dei suoi possedimenti nella bassa Linguadoca. E’ necessario farvi un viaggio. Parto domani, signorina. Matilde — Siete appena tornato da Londra e da Stra sburgo e già vi rimettete in viaggio? Giuliano —- Sì. Matilde — La marescialla Fervaques troverà che avete un modo molto singolare di adorarla. Giuliano ,—• La signora Fervaques mi onora della sua benevolenza, ed io ho per lei molta gratitudine e de vozione. Questo è tutto, signorina. Matilde — Tutto? Giuliano —• I suoi occhi e il suo sguardo mi ricordano Ja donna che più mi ha amato al mondo. Matilde — Ah!... Interessante. Giuliano — Purtroppo l’idea che m’ero fatta di Parigi Imi ha scioecamente impedito di apprezzarla come me ritava. Matilde — Tutto ciò non è davvero molto lusinghiero per la marescialla. (Pausa). Volete darmi, per favore, la aStoria di Francia » del Vely? (Giuliano sale su una piccola scaletta, prende il libro richiesto da uno scaffale e lo porge a Matilde). Danton non era, come dicono, un macellaio? Giuliano —■Sì, per certuni; ma per le persone distinte era avvocato, cioè ha cominciato come molti nobili pari che vostro padre non trova abbastanza divertenti per es- GIOVANNI MARCELLIN! sere ammessi come subalterni a frequentare i suoi sa lotti. E’ vero che Danton aveva un difetto enorme agli Occhi della bellezza: era brutto. Matilde —■ Grazie... (Pallido, Giuliano rimane cogli occhi fissi nel vuoto) Perchè avete quell’aria ispirata come un profeta di Michelangelo? Certamente voi state pensando a qualcosa di grande... Sono ansiosa di sa perlo. Sarò discreta, ve lo prometto. Giuliano (fissando risolutamente Matilde e con voce dura) — La signorina La Mole ha qualche ordine da dare al segretario di suo padre? In questo caso egli deve ascol tare i suoi ordini, ed eseguirli rispettosamente; ma per tutto il resto non ha nulla da dirle. Non è pagato per comunicarle i propri pensieri. Matilde (violenta) — Siete insolente! Sapete che nes suno al mondo ha mai osato tanto? Giuliano — Non sono più disposto a tollerare questo vostro contegno. Matilde — Resta a vedere chi sarà più insolente di noi due... Sappiate che ho orrore di essermi abbando nata al primo venuto. Giuliano —• Al primo venuto? Debbo rammentarvi, signorina, che non sono stato io a salire sino a voi, ma voi a scendere sino a me. Matilde — Infatti... me lo rimprovero come se fossi caduta con uno dei miei domestici. Credete di avere dei diritti su di me? Se non siete un uomo d’onore potete rovinarmi, o almeno tentare; ma questo pericolo non m’impedirà d’essere sincera. Vi disprezzo! Giuliano — Qual è il vostro gioco? E fino a quando intendete farlo durare? Matilde — Voglio guarire per sempre il vostro me schino amor proprio delle pretensioni che ha potuto farsi sul mio conto. Giuliano — Quando entrai in questa casa e vi vidi per la prima volta rimasi, sì, colpito dalla vostra bel lezza, ma promisi subito a me stesso che voi non sareste mai stata una donna ai miei occhi. Matilde — Strano ritegno... Giuliano — Rispetto... Ero un povero segretario... Matilde — E aveste paura?... Voi! Giuliano — Sì. Matilde — Di chi? Giuliano — Di me stesso soprattutto... e di ciò che voi suscitavate in me... Io non vi avrei mai detto nulla... Ma che cosa spinse voi ad amare un uomo, che una così infinita distanza separava da voi? Matilde — Non certo le vostre qualità esteriori, la vo stra eleganza e la vostra grazia nel cavalcare... Ho cre duto di vedere in voi un’intelligenza superiore, un esem pio di energia, di fierezza... Ma mi sono ingannata. In fondo non siete che un uomo comune. Giuliano —- Se vi eravate ingannata, non dovevate tornare. Matilde — Siete infatti il grande errore della mia vita. Giuliano — Dimenticatemi. Matilde — Voi state recitando un’indegna commedia! Giuliano — V’ingannate ancora. Io non chiedo di me glio che di farla finire. Non mi sento un essere tal mente inferiore, dal quale ci si può fare amare a ca priccio... (Pausa). Matilde — Io vi ho amato con passione... Potete dire Io stesso della marescialla? Ha essa fatto tutti i miei sa crifici?... Rispondete. Giuliano — Con quale diritto mi chiedete un’indiscre zione indegna di un uomo? In mancanza d’ogni altro sentimento, basterebbe la gratitudine a legarmi alla ma rescialla. Essa mi ha consolato quando mi si disprez zava... La vostra passione?... E’ durata esattamente quat tro giorni... Voi mi appariste come una sorgente limpida che veniva a soddisfare la mia sete nel deserto della me diocrità che attraversavo tanto penosamente. Avete mai pensato che cosa foste per me quella notte, nella vostra camera?... Poi non capii più niente, credetti d’impazzire. La donna che si era abbandonata nelle mie braccia, era la stessa che dopo mi trattava con l’impassibile alterigia d’un vecchio ritratto di famiglia?... Forse, dicevo, io ho sognato... non è stato che un sogno... No... Tornavate a offrirmi tutta voi stessa fino a} delirio della felicità... per poi ancora precipitarmi negli abissi della dispera zione. Io soffrivo e il mio dolore sembrava per voi un piacere vivo ; ero geloso e voi mi facevate voltar le spalle dai vostri corteggiatori; pensavo al suicidio, e mai come quando invocavo la morte come una liberazione voi mi apparivate più trionfante di vita e di bellezza... E ades so, che cosa volete ancora da me, signorina La Mole? Matilde (durante lo sfogo di Giuliano si è trasfor mata tutta; appare come una povera donna in preda a un’atroce lotta di sentimenti) — Che cosa voglio? So forse io stessa che cosa voglio?... Tutto è singolare nel mio destino... Ho vent’anni: l’età della felicità, come di cono gli sciocchi... Che cosa voglio? (Come irritata verso se stessa) Ecco, prendere questo orribile orgoglio che è dentro di me... che ha fatto tanto soffrire voi e anche me... prenderlo e deporlo ai vostri piedi, Giuliano, per chè possiate mortificarlo, distruggerlo... Vi ho sempre amato... vi amo ancora... non posso non amarvi. (Come Giuliano la guarda sorpreso dal suo accento dolorante, ma sempre un poco diffidente) Non mi credete?... E se vi dicessi... (S’interrompe. Un brivido la scuote tutta, e fissa intensamente Giuliano) Non mi giudicate male... Giuliano > — Perchè mi avete amato? Matilde —- Perchè senza una passione morivo di noia nel periodo più bello della mia vita. Giuliano — Ma come non credere che un uomo che ha le mie origini non sia per voi altro che il capriccio di qualche ora, quando state per diventare duchessa? Matilde — Non posso sposare il marchese Di Croisenois... E del resto non lo vorrei, quand’anche... (S’inter rompe e si passa una mano nella fronte) ¡No, no... Non è più possibile... Giuliano — E’ un giovane simpatico che ha tutte le doti che a me mancano: spirito pronto, nascita, ricchez za. Un discendente del famoso Guido Di Croisenois, che seguì San Luigi alle crociate! Matilde — Sì, è perfetto, troppo perfetto; un capola voro dell’educazione del secolo; ma mi annoia. C’è una ragione che debba annoiarmi meno quando avessi cam biato il mio nome in quello di Croisenois? Tra voi e me non ci sarà contratto, non ci sarà notaio... tutto sarà effetto del caso... Non leggete nulla nei miei occhi, Giuliano? ROSSO E NERO Giuliano — Ma chi mi assicura che i vostri occhi non esprimeranno domani il più gelido sdegno? Anch’io ho dell’orgoglio. Matilde — Ma guardatemi... Giuliano — Con quale garanzia dovrei trascinarmi an cora una volta alla felicità di amarvi? Matilde — Una garanzia?... Mi chiedete una garanzia? (Dopo un attimo d’incertezza) E’ giusto... (Pausa). Tuo figlio, Giuliano... Giuliano — Matilde! (E’ impallidito, le si avvicina, e la fissa con occhi interrogativi). Matilde ,— Si, Giuliano... Giuliano — Perdonami... Matilde —- Confesserò tutto a mio padre. Per me, più che un padre, è un amico... Troverei indegno di me e di te ingannarlo anche un solo momento. Giuliano (spaventato) — Ma pensa quale sarà il suo dolore! Egli vuol farti duchessa... Matilde — Non sarò duchessa... Sarò semplicemente la signora Sorel... Giuliano — Ma egli mi scaccierà ignominiosamente! Matilde —• E’ il suo diritto, bisogna rispettarlo... Io ti darò il braccio, e insieme usciremo dalla porta grande, in pieno giorno... (L’abbraccia). S E TTIM O QUADRO Casa La Mole, a Parigi. Camera-studio di Giuliano. Sono in scena Giuliano e Arsenio, il vecchio domestico del marchese La Mole. Giuliano raccoglie alcune carte, che di volta in volta consegna ad Arsenio, Giuliano — Ecco... Direte al signor marchese che que sti sono gli ultimi rendiconti dei possedimenti della bassa Linguadoea... Non c’è altro. (Arsenio muove per andarsene colle carte) Aspettate... Date anche questo al signor marchese: è il risultato dell’operazione di Borsa che lui sa. I titoli sono stati depositati alla Banca d’In ghilterra e verranno ritirati dal nostro corrispondente londinese. Il signor marchese troverà in questa cartella la lettera di autorizzazione. (Consegna ad Arsenio altre carte. Entra Matilde. Arsenio s’inchina e attende. Giu liano rovista ancora tra le carte) Non c’è altro, no... (Arsenio s’inchina ed esce. Giuliano si precipita ad ab bracciare Matilde) Cara... Hai visto tuo padre? Matilde — Vengo da lui... Non ha ancora deciso la nostra sorte, ma oggi era assai più calmo... Giuliano — Oh, Dio sia lodato!... Matilde — Gli ho detto che se mi accorda una piccola pensione sono disposta a stabilirmi con te in Svizzera, dove, data la modestia del nome, nessuno riconoscerebbe sua figlia nella signora Sorel. Giuliano — Immagino che avrà reagito brutalmente, come al solito? Matilde — Non ha detto nulla... Credo che cominci ad abituarsi all’idea che il nostro matrimonio è ormai inevitabile, giacché non ha fatto più allusioni, nè vaghe nè esplicite, alla possibilità di un mio parto clandestino. Giuliano — Ma perchè tuo padre rifiuta di vedermi? Matilde — Non possiamo fargliene un rimprovero, Giuliano. Si può dire che da quando sono nata non ha vissuto che accarezzando la speranza di vedermi un giorno duchessa. Se è stato difficile a me vincere l’or goglio e i pregiudizi di casta, per lui è quasi impossibile. Giuliano — Capisco... Mi odierà per tutta la vita! Matilde -— Mi ha chiesto che cosa faremo se verrà una nuova rivoluzione. Giuliano — E’ la sua idea fissa ormai!... Matilde — Ma sai che cosa gli ho risposto? Che tu farai la parte di Roland, ed io quella della signora Ro land. Mi ha coperta d’ingiurie, ma era un poco intenerito. Giuliano — Questa mattina è venuto da me l’abate Chélan... Era molto commosso e mi ha fatto tutto un lungo discorso pieno di circonlocuzioni... di perifrasidi cui non ho capito il significato, o credo di averlo ca pito anche troppo bene. Matilde — Che cosa hai capito? Giuliano — L’abate non è stato molto esplicito, ma io penso che tuo padre tenti di allontanarmi, di costrin germi a emigrare in America. Matilde — Sa bene che a questo mi ribellerei io. Giuliano — Se io dovessi allontanarmi, sarebbe un dolore per te, Matilde? Matilde — Immenso: il solo che mi metta paura, Giuliano. Verrei con te, dovunque... (Entrano il mar chese La Mole e l’abate Chélan). La Mole (a Giuliano) — Siete un miserabile!... Dun que, mia figlia dovrà chiamarsi la signora Sorel?... Mia figlia non sarà duchessa? Giuliano —- So che la mia colpa verso di voi, che siete stato il mio benefattore, non ha scuse. Vi ero ricono scente, ma ho ventidue anni e sono uomo anch’io... In questa casa nessuno aveva considerazioni per me all’infuori di voi e (accennando a Matilde) di questa ado rabile creatura. La Mole — Adorabile!... Adorabile!... Il giorno in cui la trovaste adorabile dovevate fuggire dalla mia casa. Giuliano — Ho anch’io un cuore... La Mole — Ecco, si chiama sempre in questione il cuore quando si commette un’infamia! Il vostro dovere era di fuggire... Giuliano — Mi crederò fortunato se un giorno potrò ricompensarvi di tutto il dolore che la mia follìa vi ha cagionato. La Mole > — Siete un mostro!... Un’ignobile canaglia!... Matilde — Signor abate, cercate voi di convincere mio padre. Chélan — Signorina, io ho già avuto l’onore di far considerare al signor marchese che qualunque partito all’infuori di un pubblico matrimonio sarebbe un delitto agli occhi di Dio. Per fortuna la morale mondana in que sto è d’accordo con la religione. Matilde — Noi siamo pronti, signor abate. La Mole (amaro, indignato e insieme un poco com mosso) ,— Pronti?... (A Giuliano) Eh, voi siete pronto a portarvi via mia figlia, dopo averla disonorata... vero? E domani quattrocento saloni di Parigi echeggeranno di epigrammi sulla mia sventura!... Giuliano — Amo vostra figlia, e senza di lei la vita sarebbe per me un inutile peso... Se credete, uccidetemi, o fatemi uccidere da un vostro domestico. La Mole —■Andate al diavolo!... Signor abate, dite voi a questi due sciagurati quali sono le mie volontà. (Esce). Giuliano — Signor abate, qualunque siano le decisioni che il signor marchese ha preso a nostro riguardo, desi- GIOVANNI MARCELLINI dero che sappiate subito che io non tollererò mai che mio figlio venga soppresso. Chélan ■ — Non fate supposizioni temerarie, e ascolta temi. (Parlando a ¡Matilde e a Giuliano insieme) Il si gnor marchese vi dona le sue terre di Linguadoca. Il no taio è stato incaricato di stendere due atti di donazione separati. Matilde —• Oh, che felicità, Giuliano! Ci stabiliremo nel castello di Anguillion. Dicono che il luogo sia bello come l’Italia! Chélan — Non è tutto, signorina. (A Giuliano, con segnandogli una pergamena) Ecco un brevetto di tenente degli ussari per il conte Giuliano Sorel de La Vernaye. Spero che apprezzerete quanto il signor marchese si è degnato di fare per voi, signore. Giuliano (commosso) —• Padre... Chélan — Ancora non è finito... Il signor marchese ordina al signor conte Giuliano de La Vernaye di partire entro le ventiquattr’ore per Strasburgo dov’è il suo reg gimento. Eccovi una tratta di ventimila franchi sul suo banchiere, danaro che spenderete in maniera da tenere ben alto il decoro del rango al quale il signor marchese vi ha così generosamente innalzato. Matilde — Ma il nostro matrimonio, signor abate, quando verrà celebrato? Chélan —■Il signor marchese si degnerà far conoscere tra quindici giorni le sue decisioni a questo riguardo al signor De La Vernaye... Ho poi finalmente convinto il signor marchese a transigere coll’abate Frilair la causa di divisione delle terre della Franca Contea. Il credito di quel potente gesuita presso i giudici è infinitamente troppo superiore al nostro. Il riconoscimento implicito della vostra alta nascita da parte di quell’uomo che go verna dispoticamente la provincia di Besançon sarà una delle condizioni tacite dell’accomodamento. Giuliano — Tre personaggi di «Rosso e Nero» di Giovanni Marcellini (dal romanzo di Stendhal):' Lulsa S a l f GUUianS Sorel e Sofia: li ritroverete nella commedia che leggerete m questo fascicolo. «Luisa Renai» è Diana Torrieri. La commedia ha ottenuto un grande successo al Teatro delle Arti di Roma. G I N O ^ '^C ^ R V ! è nato a Bologna il 3 maggio del 1901. Benché di famiglia d’origine rurale (i suoi eran ricchi proprietari terrieri del Cremonese), si può pensare che questo nostro giovane e bravo attore abbia ereditato l’amore per il teatro: il padre, Antonio, fu infatti per più di un trentennio critico drammatico del «Resto del Carlino» di Bologna, e vari volumi dedicò all’arte scenica; ■ alla suamorte, lasciò una pregevole raccoltateatrale tuttora conservata alla Casa del Fascio di Bologna. Antonio Cervi, che sapevaper espe rienza quanto fosse acre la polvere del palcoscenico, non volle che il figlio si desse al teatro; cosi Gino dovette contentarsi di recitare con i dilettanti, rubando il tempo agli studi liceali. A distoglierlo dalla latente passione, venne il Fascismo e le prime squadre d’azione bolo gnesi l’ebberotra i migliori. Fascista dal 1920, partecipò alla Marcia su Roma. È soltanto alla morte del padre ch’egli può realizzare il suo sogno e nel 1924 si scrittura nella Compagnia di Alda Borelli senza alcun ruolo. Maladirettrice avverte subito in lui qualità noncomuni e... Così principia la biografia di Gino Cervi e tutto ciò che riguarda la vita artistica di que sto nostro attore, come di cen tinaia e centinaia di altri attori e attrici, contemporanei e del passato, troverete nel 1° volume di questa «Enciclopedia » ne cessaria e dilettevole, curiosa e perfetta. L’opera è in due volumi di grande formato e rilegati arti sticamente; ogni volume costa 125 lire. Gli attori e gli autori hanno lo sconto del dieci per cento. L’Istituto Editoriale Italiano Bernardo Carlo Tosi è in via deali Orsini. 34 - Roma. T E A T R O P E R D I E C IM I L A Nella rubrica « Varie » del fascicolo scorso abbiamo annunciato il bando della Reale Accademia d'Italia, per « Un teatro alVaperto per diecimila spettatori ». Enrico Rocca, sul teatro per diecimila, fà queste interes santi considerazioni'. «Per le fortune del teatro all’aperto la guerra ha segnato, date le sue intuitive esigenze, urna pausa 'Che non lè un arresto. Troppo viva e feconda è stata questa presa di contatto con le origini stesse del teatro in un’epoca in cui la vita all’aperto tornava in così gioioso onore per immaginare che, dopo, la bella parabola non riprenda il suo corso in senso ascensionale. «Ed è per quel dopo, per il presentimento felice di questa sempre più forte esigenza collettiva di domani che la Reale Accademia 'd’Italia ha ban dito il suo concorso sul tema : «Un teatro all’aperto per diecimila spet tatori ». «Le ideali origini di questo bando non accademico '(poiché infatti il pro getto ha da esser realizzabile fin nei miniimi particolari), risalgono eviden temente a quel Convegno ¡Volta 1934 òhe, impostato sul Teatro drammatico, diede modo ,ai competenti di tutto il mondo (autori, registi, architetti) di discutere, tra l’altro, il problema del teatro di masse, di un teatro, cioè, come emerse dalla discussione seguita a una relazione di Massimo OBontempelli, che servisse alle masse piuttosto ohe far agire le medesime come protagoniste di nuove creazioni drammatiche. Come che sia, fosse il teatro per masse o di masse, si veniva così a porre il problema ambientale, della capacità tanto della sala che del palcoscenico. E fu questa la volta di spe cialisti nella storia dell’architettura teatrale, come il viennese Joseph Gregor, e di architetti e costruttori come il tedesco Walther Gropius e l’italiano Gaetano Ciocca, il quale ultimo esibì addirittura un suo dettagliato pro getto di teatro per masse. « Che ora il seme di quelle discussioni e di quei propositi dia frutto de pone bene per l’antiaccademicità dei lavori accademici, per il loro mor dente, per la loro viva aderenza alla realtà, per la loro antiveggenza che già oggi prevede quel che domani sarà richiesto e conseguentemente prov vede all’elaborazione preventiva di progetti traducibili in azione al mo mento opportuno. E il premio di ventimila lire è tale da incoraggiare, cre diamo, la buona volontà dei creatori. «Potranno obiettare i soliti inerti, che per le esigenze del teatro al l’aperto bastavano e avanzavano le nostre superbe rovine, i teatri greco romani sparsi da un capo all’altro della Penisola, e che, per quel che ri guarda l’ancora non nato repertorio a più largo respiro, inutile può sem brare mettere il carro innanzi ai buoi e creare, insomma, un ambiente prima che gli artisti abbiano 'spontaneamente indicato, con l’ispirazione e le proporzioni stesse della loro opera, di che natura e di che proporzioni i nuovi teatri all’aperto debbano essere. Belle ragioni che a tutta prima possono anche convincere e che risollevano l’imbarazzante problema della precedenza tra l ’uovo e la gallina e quello, non meno vessato, della fun zione che crea l’organo o dell’organo che crea la funzione. «Ma a tagliar la testa al toro, restan le stesse rappresentazioni all’aperto che tanto hanno incontrato presso il pubblico e presso la critica più guar dinga e difficile. Quelle rappresentazioni, comunque riuscitissime, sono «sem pre state frutto di un’organizzazione faticosa e costosa, fatta una volta tanto e appoggiata a mezzi di fortuna. Un problema turistico e di comunicazioni oltre che registico, artistico e finanziario. Un moderno teatro all’aperto che avesse già tutto il necessario — dai servizi per il 'pubblico ai camerini per igli artisti, dalla comodità degli accessi ai depositi per le scene, per «gli spezzati e per le architetture, dalle sale per le prove agli impianti elet tro-meccanici — dispenserebbe gli iniziatori dalla fatica inumana di far d’ogni «spettacolo un problema degno per mole di un’Intendenza militare in tempo di guerra. «Gli antichi teatri all’aperto possedevano, 'secondo le esigenze dei tempi, codesta attrezzatura di cui oggi, ridotti in rovina, man cano del tutto fuor «che nel tracciato. E perchè non provvedere allora, con mezzi moderni, a risolvere una quistione «così ovviamente e brillantemente risolta dagli antichi? «Va bene, si dirà, ima il repertorio? Rispondiamo: il nuovo teatro al1aperto «potrà sempre servirsi di quello che già ebbe tanto successo prima del settembre ’39 nel quadro dei teatri greco-roma«ni : tragedie e commedie classiche 'dell’antichità greco-romana, misteri e sacre rappresentazioni, opere drammatiche del Rinascimento elisabettiano o s«pagnuolo, drammi pastorali e rusticali del nostro Cinque e Seicento, melodrammi, opere liriche e così via. Il nuovo verrà poi quando gli artisti si saran persuasi della bontà del mezzo e quando avran trovato il fiato necessario a opere di così ampio respiro. «Intanto va encomiata la preveg genza dell’Accademia d’Italia e va espresso il voto che i progetti dei giovani creatori (perchè nessuno dei concorrenti dovrà superare i qua rantanni di età) riescano a darci un’opera degna del nostro miraco loso passato artistico e insieme ris pondente in tutto alla moderna sen sibilità e alle funzioni cui l’edifìcio deve rispondere ». S e g ìc c Accurata come sempre la regìa di Pietro -Sharoff, tranne nel se guente particolare: nel secondo atto, che avviene in una clinica, entra una infermiera regolar mente vestita di bianco, per an nunciare l’arrivo della signora Anita Bontay, ossia della signo rina Elsa Merlini; e infatti la signorina Merlini arriva senza por tempo in mezzo, ma vestita essa pure di bianco, il che lì per lì fa pensare a una seconda infermiera. T r a d u z io n e La traduzione italiana di «Giuoco pericoloso » (perchè «giuoco » era stato scritto nel programma con l’«u », e con l’accento grave sull’«i »?) brilla delle solite preziosità, come «at tendere» per «aspettare», «giun gere» per «arrivare », «compren dere » per «capire ». Ma anche noi abbiamo «compreso » ormai che queste parole eleganti sono quelle che bisogna usare sulla scena e al telefono. Infatti Lina, la nostra brava donna di tutto fare arrivata or non è molto dalla ferace Ciociaria, a voce di retta dice «aspettate », ma al te lefono preferirebbe morire piut tosto che non dire «attendete ». La scena del secondo atto, in cui Anita e Pietro «ritrovano di là dal dramma il loro amo re » (ecco come vien fatto di scrivere, dopo che si sono uditi certi dialoghi), Elsa Merlini e Renato Cialente l’hanno recitata con molta efficacia, e assieme con molta sobrietà. Alla fine il pubblico piangeva. (Dalla critica per la commedia di Andrea Hindy: Giuoco pe ricoloso). f lL s s a llc La parte di Ebe si affà splen didamente alla signorina Laura Adani. Tanto bene che non mancò l’applauso a scena aper ta quando l’attore Leonardo Cortese, in ispecie di campione di calcio, assalta amorosamente la signorina Adani, e un suo amico «tifoso » gli grida di dietro una vetrata: «Forza, Pierino! ». Fu un delirio. Le nari del pub blico palpitarono. Salì odore di sangue dall’arena. ALBERTO SAVIIVIO (Dalla critica per la commedia di Luciano Folgore: Piovuta dal cielo). v ù ? J O Ó & W W & Ci è spesso accaduto, negli anni passati, di frequentare case di amici appassionatissimi di musica giazzistica, assistendo, con. un divertito stupore che scandalizzava gli anfitrioni, a strani riti. Ponevano, questi nostri amici, il disco sul piatto del fonografo con estrema delicatezza, quasi compissero un’offerta votiva, sussurrando esta siati: «F un Ellington... », oppure: '«E’ un Trumbauer... ». Poi, appog giando l’indice al naso, ci pregavano di sospendere la conversazione, onde assaporare in religioso silenzio i virtuosismi degli ottoni scatenati e dei contrabbassi impazziti. Molto spesso affermavano con serietà che «questo sassofono è soffice come un velluto prezioso ». In questi casi, i loro occhi luccicavano, e i loro cuori battevano perfino più forte, come di fronte •a un’amorosa rivelazione. Forse la nostra disposizione alVeuforia è scarsa; forse in materia senti mentale siamo troppo conservatori: fatto si e che non riuscimmo mai a condividere gli entusiasmi dei nostri amici, e mai, proprio mai, accen demmo luci sotto l’immagine della trombetta dorata del negro Louis Armstrong. Sempre, al cospetto della musica giazzistica, restammo freddi, un po’ diffidenti, colti dal sospetto che tanto ritmico e bene organizzato fragore nuli’altro fosse che un colorato paravento dietro il quale non c’era un bel nulla. Forse il giazz non costituisce, a conti fatti, che il comodo e redditizio rifugio delle ispirazioni fallite. Anche in letteratura, chi ha poco (o nulla) da dire, occulta la propria insufficienza nella trincea blindata dell’ermetismo. Nel campo musicale, il compositore che ha inutilmente^ tentato di varare un «Concerto in fa » per flauto e pianoforte al Poli teama di Vercelli, si rifa strumentando in istile abracadabrico un Qua lunque motivetto che gli piace tanto. Non gli sarà difficile, dopo, trovare qualche ingenuo che, al riguardo, discorrerà d’ispirazione genuina... La prudenza nell’acquisto dei dischi di giazz non sarà, dunque, mai troppa. A questo specialissimo genere e toccata, negli anni passati, una stre pitosa ed immeritata fortuna, dovuta in gran parte al facile esotismo, l’innocente mania rapidamente venuta di moda fra i giovinotti che lunghi ed incolti portano i capelli sul collo e le signorinette \che si ere-, dono raffinate soltanto perchè rifanno il verso ai Mili Brothers e sanno mescolare tre parti di vermut con una di gin. Adesso che la ventata è passata, non sarà inopportuno fare un po’ di selezione fra la zavorra, che è tanta, e il buono, che non è molto. Sul tema avremo tempo e modo di ritornare altre volte, indicando quale potrebbe essere, a nostro modesto avviso, il criterio nella scelta dei dischi di giazz. Per ora siamo lieti di suggerire al collezionista l’acquisto delle incisioni di Kramer, un italianissimo virtuoso di fisar monica dal nome piuttosto complicato. Kramer è un esecutore che allea ad una tecnica perfetta l’ispirazione più autentica. Non imbroglia le carte, come tanti fanno, «sfasando » senza discrezione il motivo, ma lo sviluppa logicamente, sottolineandone con gusto intelligente le frasi. Non è mai banale, non delude mai. Ogni facciata dei dischi da lui incisi ha, per lo meno, una «trovata ». Alberto Semprini, che lo accompagna al pianoforte, possiede come pochi Varte della misura: dotatissimo di buon mestiere, è il trampolino dal quale Kramer può lanciare tran quillamente i suoi razzi musicali. Semprini, musicista colto e sensibile, ha la civetteria del giazz, così come molti pittori famosi hanno?quella della caricatura. Ma le «carica ture » di questo squisito pianista costituiscono piccole opere d’arte. Di Kramer e Semprini consigliamo agli amatori: (.(.Dedicato a te»* ((Chiaro di luna», ((Addio tristezze», ((Cieli azzurri », «Mormorando», ((Giorgia del mio pensiero» Edizioni ((Foniti, numeri: 8026, 8508, 8535, 8536. C la rin o S ìz u o r p r o f a n e Se i sottotitoli usassero ancora, «La moglie e l’attrice » di Ro land Schacht si potrebbe sot tintitolare «Amor sacro e amor profano ». Questo sottotitolo non lo ab biamo messo a caso. C’è una certa analogia tra la moglie e l’attrice di questa commedia, e le due figure dell’alluso quadro della Galleria Borghese. I nostri lettori sono troppo do mestici con la pittura di Ti ziano, per non aver capito che l’Amor sacro iera sera era An netta, ossia Emma Gramática, mentre Silvia, ossia Franca Do minici, era l’Amor profano. Non vorremmo si credesse con questo che la signora Franca Dominici si fosse presentata ieri sera sulla scena dell’Argentina nella splendida nudezza di colei che nel quadro del Vecellio rap presenta l’amore profano; tutta via, e benché gli abiti, sia quello di casa,, sia quello da passeggio, fossero accollatissimi, c’era nel portamento di questa brava at trice, che in giorno in giorno cresce in virtuosismo scenico, il trionfante splendore della do rata creatura così magistral mente spennellata dal grande cadorino. f i m in a . Mirabile di naturalezza Emma Gramática nella parte di An netta. Ma quanto piccola que sta parte, quanto breve! La nostra Emma sembrava un’aqui la reale in una gabbia da ca narino. 2*czz>iz Guido Morisi: vorremmo che gli autori drammatici scrivessero delle commedie apposta per lui. In questa di Roland Schacht, Guido Morisi, aveva una pic cola parte in principio, ma la «lavorò » con tanta finezza, da farci desiderare di rivederlo pre sto sulla scena. Ahimè! i tre atti di «La moglie e l’attrice » volarono via in un soffio, ma il bravo Guido Mo risi non lo rivedemmo più. (Dalla critica alla commedia di Roland Schacht : La moglie e l’attrice). U m c v is m c I miei contatti con l’umorismo sono molto rari. Le mie mani non toccano umoristico foglio, se non quando le mie terga seggono nella poltrona del par rucchiere. Il che avviene molto di rado. Superbia no, ma prudenza. Conosco per esperimento che ciò che è fatto per far ridere, infonde nel mio animo tristez za e sconforto. E conoscendo d’altra parte che letizia non vtiene a noi se non dalle cose gravi, intelligenti e profonde, le mie letture si restringono ormai alla poesia di Lucrezio, all’«Eti ca Nicomachea », ai «Canti di Maldoror ». Se tutti facessero come me, il mondo sarebbe ben più gio condo di quanto non sia. ALBERTO SAVIMIO P r i m o { P r e m i o u C om m edia in u n a lio d i D I V O La scena rappre senta la sala di una villa di campagna. Sul fondo una ve f f m o i f f l trata che dà nel giardino. A destra ADELE - ELISA - VINCENZO una scaletta da cui - GASPARE - IL MAESTRO - si sale nelle stanze IL PASQUI - IL PODESTÀ’ superiori. A sini - IL POSTINO - UN CON TADINO - UNA GUARDIA stra un pianoforte che non parla - La voce di e accanto una ra dio. Nel mezzo un ANIMONA gran tavolo tondo. Sotto la scala una credenza. E9 un po Ai giorni nostri a Usigiiano, piccolo paese della Toscana. meriggio d’estate. Quando si alza il sipario Gaspare è seduto presso la veranda, suona la chi tarra e canticchia una canzone, le cicale fanno coro). Gaspare (sta cercando gli accordi e canta) E canta l’usignolo nella sera una canzone gaia, innamorata. Fiorita è dentro il core Primavera e la malinconia se n’è volata! La voce di Animona (da fuori) — O... Gaspare! Sbagli il motivo, in quel punto va in minore. Fa’ così... (Si ode la voce di un carrettiere che canta e a mano a mano si perde con il rotoVio del carro). Gaspare — Grazie, Animona. (Riprende a cantare). E’ una gran bella musica, non c’è che dire. (Canta ancora; dal cancello si sente lo strombettio di una automo bile, poi) I l Pasqui (da fuori, chiamando) — O Gaspare! Gaspareee!... Gaspare (come destandosi, esce) — Signor fattore, ven go, vengo subito. I l Pasqui (venendo dal giardino) — Dovevi stare un altro po’ ad aprire! Gaspare — Non avevo sentito... sensate, fattore. I l Pasqui — A rischio di farmi morire d’un colpo sotto questo sole. Gaspare (piano) — Sarebbe una gran perdita! I l Pasqui — Dammi qualcosa da bere. Gaspare (secco) — Acqua! I l Pasqui — Quella bevila tu. Dammi un po’ di vin santo. Gaspare (secco) — Neanche un goccio. I l Pasqui — Come sarebbe a dire? Gaspare — Finito. I l Pasqui — Salute. Avete già finita la damigiana che vi mandai un mese fa?! Gaspare — Ce ne sono rimaste dodici bottiglie, la si gnora padrona me le ha fatte mettere giù in cantina. I l Pasqui — Le serba per le grandi occasioni, quelle! l l / l m o r e D I LU C A Gaspare — Già. Allora volete un bicchiere d’acqua?... non è tanto fresca... ma è meglio, siete cosi accaldato, potrebbe farvi male. I l Pasqui — Come sei premuroso! Gaspare — Sicuro. Non ci vuole molto a prendersi un malanno... Vi ricordate come morì il povero Fustagno? Proprio così. I l Pasqui — Crepi l’astrologo! Va’ a chiamare la si gnora Adele. Gaspare — La signora padrona sta ancora facendo la siesta. I l Pasqui — Anche la figlia? Gaspare — Anche la signorina Elisa. I l Pasqui — Beata lei, si vede che non ha pensieri. Gaspare — O che pensieri volete che abbia? E’ un fiore! I fiori non hanno pensieri! I l Pasqui — Fammi anche il poeta ! Mi sembrate tutti ammattiti in questa casa. O musicisti o poeti. Se pensaste invece un po’ più agli affari! Gaspare — Perchè? Non vanno bene? I l Pasqui — Sono cose che non ti riguardano. E’ la tua questa chitarra? (Dà uno strappo alle corde). Gaspare -— Sì, signore. Ora non me la scordate. I l Pasqui — L’hai imparata anche tu la canzone? Gaspare — Sicuro! E chi non la sa, ormai? Anche i bimbi per la strada. Adele (dentro) — Gaspare, chi è venuto? I l Pasqui — Sono io, signora Adele. Adele — Vengo subito, Amerigo, scusate. I l Pasqui (mellifluo) — Fate pure con comodo, signo ra, non ho fretta. Gaspare — Signor fattore, mi raccomando a voi, aiu tatele, sono sole. Non fate che, Dio ce ne liberi, si deb bano trovar male. Sono tanti anni che servo in questa casa, ho tenuto la signorina Elisa sulle ginocchia, si può dire che l’ho cresciuta io... preferirei perdere un braccio piuttosto... (E’ commosso). I l Pasqui (durante la battuta ha seguitato a strimpel lare, poi troncando con tono di scherno) — Bella romanza davvero ! Bravo ! Tieni, riponi la chitarra. Gaspare (piano) — Brutto bifolco! Adele (entrando) — Buona sera, Amerigo, scusate se vi ho fatto aspettare. Non credevo che sareste tornato a quest’ora di città. I l Pasqui — Mi sono sbrigato presto, ho visto cibi dovevo vedere ed ho parlato. (Dal cancello si ode una scampanellata). Elisa (di dentro) —• Gaspare, andate ad aprire al maestro. Gaspare — Vado subito, signorina. (Via). I l Pasqui — Mancava il maestro! Adele — Avete ragione, qui non si può parlare. An diamo su nello studio. Elisa (scendendo) —■Buona sera, fattore. I l Pasqui — Buona sera, signorina Elisa. Vi ho por- DINO DI LUCA tato di città questi dolci. So che vi piacciono. (Le dà una scatola). Elisa — Grazie, fattore. I l Pasqui — E non chiamatemi sempre fattore. Ho anch’io un nome. Elisa —'Grazie, signor Amerigo. Adele — Allora venite? I l Pasqui — Eccomi, sono ai vostri comandi, signora Adele. (Escono. Il maestro organista entra dal giardino seguito da Gaspare). Elisa (con ansia) — Ebbene, maestro, dite, dite, cosa avete saputo? I l Maestro — Un momento figliuola, lasciami rifia tare un po’ ! Verdi dopo la prima della «Traviata» doveva essere uno scherzo in confronto a me. Gaspare — Sedete, maestro, bevete questo bicchiere di vin santo, vi rimetterà al mondo ! I l Maestro — Grazie, Gaspare. L’ho sempre detto che hai un’anima musicale. Elisa — Suvvia, maestro, non fatemi stare ancora in ansia. Che cosa vi hanno detto alla Radio? I l Maestro -— Il vincitore del referendum per la più bella canzone è il maestro Vincenzo Facillo! Elisa — Non c’è equivoco dunque, si tratta proprio di lui?! I l Maestro — Ma di lui chi? Se qui in paese nessuno 10 conosce, nessuno lo ha mai sentito nominare?! Gaspare — Questo non ha importanza. Può essere qualcuno che vuole serbare l’incognito... Elisa — E si è servito di uno pseudonimo. Ho sempre sentito dire che nei concorsi si usa questo. I l Maestro — A chi lo dite?! Se sapeste quante volte ho cercato anch’io d’impressionare le Commissioni ser vendomi di nomi roboanti, di motti latini! Questa volta proprio credevo si trattasse di uno sbaglio, perchè vedete da Vincenzo Facillo a Lorenzo Pacillo (indica sè) è breve 11 passo... Gaspare — Ma scusate, maestro, sapevate bene che la canzone vincitrice non è vostra?! I l Maestro — Chi può dirlo?! Io so soltanto questo: che fra il diluvio di note che ho in testa ci sono anche quelle. Quel motivo predominante (accenna il motivo) io lo conoscevo già! Si tratta dunque del solito plagiario così comune ai giorni nostri. Elisa — Può darsi, maestro, la vostra ispirazione sia rimasta inespressa. I l Maestro (deluso) — Era la gloria, la notorietà che sarebbe giunta finalmente anche per me. Elisa — Siete troppo modesto, maestro, il vostro ta lento non può fermarsi ad una canzone. I l Maestro — Avete ragione, signorina Adele. Ben altro, ben altro composi! Un giorno anch’io sarò celebre! Solo non so capire perchè il pubblico debba aspettare la mia morte per accorgersene!? Gaspare (sentenzioso) — E’ il destino di voialtri mu sicisti! I l Maestro — Già... (scongiurando) ma io ho ancora qualche speranza! Il vero guaio mio sapete quale è?... Di essere nato troppo tardi!... Perchè il genio, modestia a parte, ce l’ho! Ma è come dire?!... postumo! Perchè vedete per esempio... io compongo una sinfonia con una facilità straordinaria... Quando poi mi metto al piano e la suono... Buona notte! Mi vien fuori la «Semira mide »... il «Guglielmo Teli »... Gaspare — E’ il genio di Rossini che si diverte! I l Maestro — Eh! Se fossi nato... non dico molto... nel ’700, oggi vi assicuro non sarei qui... Gaspare — Lo credo anch’io ! ! I l Maestro — Invece sono finito qui organista, direttore di banda a 450 lire e rotti al mese! E una volta inco minciato un pezzo lo avrei finito io... non lo avrei lasciato a mezzo come ha fatto il signor Schubert. Ma un giorno o l’altro ci metto le mani io, così almeno si dirà : l’«Incompiuta » di Schubert compiuta dall’esimio maestro Lorenzo Pacillo ! (Elisa e Gaspare ridono). Elisa — Dovreste mettervi subito al lavoro, maestro, prima di arrivare troppo tardi anche questa volta. I l Maestro — Non c’è questo pericolo! La musica, la vera musica siamo in pochi a conoscerla. Elisa (quasi ispirata) — E che importa? ! Io credo invece òhe una bella musica possa nascere in chiunque, spontaneamente, come nasce un fiore dalla terra. Sorgere dall’animo in una notte di luna vicino alla persona amata... I l Maestro (dopo una breve pausa) — Dite delle cose belle. Si direbbe che anche voi... Elisa (ridendo) — No per carità, maestro, non fate supposizioni assurde! I l Maestro (dopo un attimo) — Signorina Elisa, non sareste per caso voi il maestro Vincenzo Facillo? Elisa —• Cosa dite maestro?! (Ridendo forzatamente) Che sciocchezze!! I l Maestro — Eppure... più ci penso... siete voi! Siete voi!... Gaspare — Brava, signorina! Corro subito a dare la notizia in paese. Elisa — Gaspare! Venite qua. Siete ammattito. I l Maestro — Perchè non volete dirlo? Elisa — Che cosa? Una bugia... non mi sono mai sognata di scrivere musica nè tanto meno di partecipare a concorsi. Finitela dunque, vi prego. (Vengono dalla scala Adele e il fattore). Adele — Siamo intesi allora, parlerò con l’avvocato e vedremo quello che mi consiglia di fare. I l Pasqui — Per conto mio vi consiglierei di non aggravarvi ancora. Adele — Lo vedremo. Arrivederci, Amerigo, a questa sera, venite dopo cena e portate i registri, faremo in sieme una verifica dei conti. I l Pasqui — Sta bene. Buona sera, signora Adele, buona sera signorina Elisa. I l Maestro — E non salutate me? I l Pasqui — Scusate, maestro, non vi avevo visto! Buona sera. I l Maestro — Buona sera, e... grazie. I l Pasqui — Grazie di che? I l Maestro — Vi ho pregato in città di darmi un passaggio con la vostra automobile. I l Pasqui — Scusate... avevo tanta fretta. I l Maestro — Ma avevo fretta anch’io ! Per questo vi ho pregato. I l Pasqui — Sarà per un’altra volta... del resto sono PRIMO PREMIO ALL AMORE stato punito. Vero Gaspare? A me niente vin santo! Non m’intendo idi musica io... Arrivederci. (.Via). I l Maestro — Me ne vado anch’io, signora, il dovere mi chiama. Fra poco incomincia la funzione e don Ro mualdo se non mi vede incomincia a tabaccare. Adele — Chissà cosa dirà di noi don Romualdo, sono già tante sere che non ci vede in chiesa. I l Maestro —- I buoni cristiani, pregano anche da soli! Adele — Buona sera, maestro, salutate don Romualdo, ditegli che ci ricordi nelle sue preghiere e che domattina vado da lui. I l Maestro > —• Glielo dirò. Arrivederci, signorina Elisa. Addio, Gaspare. Elisa — Arrivederci, maestro. Gaspare — Vi accompagno, maestro. (Via). Elisa — Che c’è mamma? Adele — Non sono tranquilla, cara. Il fattore mi ha l’aria di nascondermi qualche imbroglio... Elisa —- ...e sfacciato! La sua sfacciataggine non ha limiti. Figurati, mamma, sere fa ha avuto il coraggio di parlarmi con un tono... come dire... un tono così confi denziale che ho avuto paura stesse per farmi una dichia razione d’amore... Sono scappata via. Adele — Una dichiarazione d’amore?! A te! Ora capisco le sue allusioni... Elisa — Ha detto forse a te qualche cosa?! Adele — Sì... ma è furbo, meglio liberarsi di questo villano rifatto. Elisa — Ma ora su, mamma, non pensare più agli affari. Vuoi che andiamo fino dalla Beppina a vedere i suoi ragazzi? Adele — No, Elisa, sono stanca, non ho voglia di camminare. Va tu piuttosto, se ne hai voglia. Elisa i—• 1N0, preferisco tenerti compagnia. Adele — Ti annoi, cara, non sono allegra io, lo sai. Tu sei giovane, hai diritto ad un po’ di svago. Anzi, a dirti la verità, ho pensato anche alla possibilità di andare a vivere un po’ in città. Elisa — No, mamma, non ne ho nessuna voglia. Stiamo bene qui... abbiamo tanti ricordi. Adele — Ma tu non puoi vivere di ricordi, figlia mia, hai ancora tutta la vita davanti a te. Elisa — Oh! La vita, mamma! Adele — Ma quando io non ci sarò più?! Hai pensato a questo? (Pausa) Gli anni passano e ti Vedo sempre più sola, ogni giorno di più. A volte mi domando se tu non abbia dei segreti. Elisa — Che segreti vuoi che io abbia. Adele — E’ facile indovinarli in una ragazza della tua età! Sono stata giovane anch’io, sai? Elisa — Mamma... Adele — Su via, confidati con me... Una piccola delu sione d’amore?... Elisa — Ma che dici... Adele — E allora perchè sei così diversa? Mi ricor derò sempre di una sera, nel darmi la buona notte mi hai stretta forte forte e mi hai detto : Mamma, sono tanto, tanto felice! Con un tono così stranamente lieto... Elisa (inginocchiandosi dinanzi a lei piangendo) — Mamma ! Mamma cara. Adele — Queste non sono più lacrime di gioia! Ed 10 non voglio che mia figlia sia infelice. (Pausa) Non mi sono ingannata?! Elisa — E come poteva ingannarsi il tuo cuore di mamma? Quella sera avevo udito parole che non si di menticano più. Ora di quelle parole non è rimasto che 11 ricordo e una speranza. Adele —- Vuoi dirmi il nome della tua speranza? Elisa —- Il nome?... E’ così lontano... Adele — Tanto tempo è passato? Elisa — Tre anni. C’era il campo militare, rammenti? Venivano spesso alla villa gli ufficiali. Ce n’era uno fra questi, alto, bruno, bello come la sua Napoli. Mamma, tu hai già capito vero? Ci volemmo bene e io credetti che questa felicità dovesse durare per sempre e invece... la tromba suonò... il reggimento partì! (Ride nervosamente). Adele — E da allora non hai avuto più sue notizie? Elisa (con ironia) — Sì. Qualche cartolina illustrata! Ad una piccola provinciale, fanno sempre piacere le belle fotografie di città! Avrà pensato! (Si dirige al piano e suona un notturno). Adele — Sono io la colpevole! Non si tiene una ragazza qui, in mezzo ai boschi... vengono gli orchi e fanno paura! (Tutto ciò detto accarezzando i capelli di Elisa ch’è seduta al piano) Via, via! In città! In mezzo alla gente. Distrazione ci vuole. Andremo tutte le sere a teatro, feste, balli... (Apre la radio) Voglio svegliare questa piccola addormentata... (La radio suona musica allegra) Ecco senti! E’ un’altra musica quella che si suona fuori di qui. Elisa i— Mamma, mamma chiudi quella radio. Adele — Perchè? E’ ora di svegliarsi, piccina. Do mattina partiremo. Vado a dare gli ordini e disporre tutto per la partenza... (Si avvia). Elisa — Ma no, mamma, ascolta... Adele (sulla scala) — Non ascolto niente ormai, do mani si parte. (Via. Elisa è rimasta sola in scena, la radio continua a suonare, poi la voce dell’annunciatore-. «Ascoltate ora il successo del giorno! La canzone che tutti cantano... Comunichiamo che ancora il mistero na sconde l’autore della canzone vincente che ha ottenuto un così unanime consenso di pubblico ». Elisa con uno scatto chiude la radio, passeggia poi nervosa per la stanza, indi si siede al piano e suona la canzone. Appare Vin cenzo dal giardino che si arresta in ascolto senza essere visto, sul finire si avanza davanti al piano. Elisa senza) muovere ciglio lo fissa e seguita a suonare fino alla fine). Vincenzo (battendo le mani) — Brava, brava, tutti i miei complimenti! Elisa (come svegliandosi) — Voi! Vincenzo — r- L’autore della canzone in persona, per l’appunto. Elisa — Non è un sogno! Vincenzo — No, no affatto. Non è mia abitudine an dare in sogno alle fanciulle in abito da viaggio. Non mi prenderebbero sul serio. (Le si avvicina e le prende la mano) Come stai Elisa? Elisa — Vincenzo, ancora non posso credere... sei qui vicino a me... Vincenzo —■Non mi aspettavi!? DINO DI LUCA Elisa — Con tutte le mie (forze. Vincenzo — Cara... piccina, perdonami. Ho giuocato all’amore con te come un bambino che, raccolto un gioiello, lo getta poi inconsapevolmente per far paura ai pesci rossi della vasca. Elisa — Se tu sapessi Che gelo in quell’acqua! Vincenzo — Povero cuore. Ti ho fatto tanto male. (Pausa). Elisa — Ti ho atteso con la stessa ansia del moribondo che con gli occhi sbarrati nella notte aspetta l’alba per illudersi di vivere ancora un giorno di più. Vincenzo — Ma tu eri certa 'del mio ritorno? ! Elisa — Certissima. Vincenzo — Non hai mai pensato al peggio? Per esempio ch’io fossi... Elisa (subito) — Mai! Vincenzo (scherzoso) — Questo significa aver fede! Elisa !—• Non scherzare. Ero disperata. Non sapere più nulla di te, dov’eri?... Il caso mi venne in aiuto e presa quella musica un po’ ingiallita la mandai in cerca di salvezza. S.O.S. amore... Vincenzo — La nostra canzone! Com’è nata ricordi? Una sera nel parco. A vent’anni tutti siamo poeti, quando c’è la luna! C’erano tante stelle! Ad un tratto una he cadde, in un attimo si spense. Mi chiedesti: «Era il nostro amore? ». Ti rispose il canto di usignuolo. Restammo in silenzio ad ascoltare, poi sulle mie labbra affiorò timido e sommesso un canto... Elisa — Non l’ho più dimenticato. L’indomani con l’aiuto del mio buon maestro scrissi quelle note sem plici. Vincenzo -—Immagina la mia emozione quando potetti risentirla anch’io. Tutto si fece nuovamente vivo in me. Come un fiume che straripi quella musica mi seguiva dovunque, sempre incessantemente e pareva mi dicesse: «Ma non senti?! E’ un richiamo d’amore questo! Tor na... torna»... Piangi?! Elisa — Di gioia, vorrei poterla gridare a tutti. Vincenzo — Grideremo insieme. Vieni! Elisa — Non si può. La gente riderebbe di noi, di me soprattutto, per quello che ho fatto. Vincenzo — Riderebbe, perchè? Elisa — Non capisci? Tutto il paese è sottosopra! Tutti si domandano chi sia questo famoso maestro a cui il paese deve tanta popolarità! Vincenzo —■Ma sono davvero tanto celebre? ! (Ride). Elisa —- Incredibilmente. (L’ufficio postale è pieno di lettere, telegrammi che arrivano per te! Tu non sai che cosa sia la vita di un piccolo paese dove non succede mai niente. Dove non esistono che anime! Noi siamo un paese di duemila anime; che sa il mondo di noi? Niente. Non sa neppure che esistiamo. Poi un giorno il mondo «’interessa di noi, parla, scrive... il nome del l’umile paese viene ripetuto da tutti ! Ma c’è da fare impazzire d’orgoglio questa brava gente! Ed allora vuol sapere ad ogni costo chi deve ringraziare per tanto onore.E si domanda: «Chi è il maestro Vincenzo Facillo? Vincenzo (scherzoso) 1 — Ma sono io, signore e signori! Applaudite ! Elisa — E non pensi a me? A quello che accadrebbe dopo? Pettegolezzi, malignità, invidie... Vincenzo — E che importa? Serviranno a rompere la monotonia di queste povere anime! Elisa — Non scherzare, ti prego! A questo non ci ho pensato prima, ma ora... quando sarà scoperta la verità... avrò vergogna di quello che ho fatto, diverrò la favola del paese. Non voglio. Lasciamo che ritorni la calma, il silenzio... nessuno saprà del tuo arrivo. Vincenzo — Temo che sia troppo tardi, cara. Elisa — Troppo tardi, perchè? Vincenzo — Arrivando qui in automobile ho avuto un incidente. Elisa — Un incidente con chi? Vincenzo — Con due polli che attraversavano la strada ! Un contadino è sbucato fuori gridando come un ossesso. Che quella non era la maniera di correre per la cam pagna... che tanto non ci sono premi all’arrivo! Pove retto non sapeva il premio che m’aspettava! Insomma un sacco di storie. Io naturalmente a dirgli che intendevo rimborsare i polli o meglio lui perchè i polli poveretti erano già morti, ma lui duro. Alle grida è intervenuta una guardia campestre per sedare la disputa e, tirato fuori dalla tasca il suo taccuino, mi fa: «Signore, voi siete in contravvenzione per eccesso di velocità e sterminio di pollame! »'. Niente da obbiettare. Dico il mio nome. La guardia allora fa un passo indietro, intasca il suo tac cuino ed esclama: «Non polli, ma fiori sul vostro cam mino! ». Io guardo sorpreso la guardia impalata sull’at tenti e il contadino che si era chinato fino a terra, e convinto di avere a che fare con due pazzi, premo l’acce leratore e via. (Ridendo) Ora capisco, era stato l’effetto del mio nome fatidico! Elisa (paurosa) > —- Ma allora tutti sanno ormai, la guardia sarà corsa in paese a portare la notizia... ver ranno qui e troveranno... Vincenzo (divertito) — ...l’assassino dei polli! Gaspare (da fuori) — Signora Adele! Signorina Elisa! E’ arrivato... E’ arrivato in paese... Adele (scendendo) — Gaspare! Gaspare, cosa è suc cesso? Gaspare (entrando) — Una grande notizia, signora! E’ arrivato... Adele — Ma chi è arrivato?... Vincenzo (presentandosi) — Signora, permettete... Adele (fissandolo) — Voi siete? Vincenzo — Il maestro Vincenzo Facillo. Gaspare — E’ arrivato... lui! Adele —■Voi siete il maestro Vincenzo Facillo? Vincenzo I— Per l’appunto. I miei omaggi, signora. Adele ■ —• Non posso crederlo... voi siete... (guarda la figlia). Elisa (abbracciando la mamma) — Mamma, mamma, è lui... non chiedere, ti dirò tutto più tardi. Gaspare — Permettete, maestro, che vi stringa la mano? Vincenzo — Ma certamente. Gaspare — Grazie, non avrei mai sperato che questo onore fosse riservato a me per primo. (Dal cancello si odono voci e il campanello). Gaspare — Sono già qui, sentite? Si è sparsa la notizia in un baleno, tutti vogliono conoscervi, farvi festa. (Il campanello) Vengo... vengo... è qui... il maestro è qui. PRIMO PREMIO ALL’AMORE Vincenzo — Signora, vogliate scusarmi, non credevo che la mia popolarità giungesse fino al punto da provo care un’invasione della vostra casa. Perdonate. (Entrano il podestà, il maestro, l’ufficiale postale ed altri pae sani.), Gaspare — Da questa parte, signori, venite. Venite. Il maestro è qui. 'Il Podestà Innanzi tutto eccovi la posta in giacenza. (Il postino consegna a Vincenzo un pacco enorme di posta) Illustre maestro, >sono molto onorato, come primo citladino di Usigliano, di darvi il benvenuto. Mercè la vo stra arte, mercè il vostro talento musicale noi tutti siamo fieri ed orgogliosi. L’onore dhe avete fatto al nostro paese col vostro nome è grande. Vincenzo — Grazie, grazie, sono veramente confuso, ma io non merito tanto perchè vi assicuro che è ben poco quello che ho fatto. I l Maestro Permettete anche a me, modesto collega, di esternarvi la mia stima e la mia ammirazione. Vincenzo — Ed io pure vi stimo e vi ammiro, mae stro, ho avuto più volte occasione di ascoltare la vostra musica (Elisa lo fissa timorosa) e vi assicuro che è sem pre stato per me un vero godimento. I l Maestro — Avete ascoltato la mia musica? E dove? Quando? Vincenzo — Ebbi la fortuna qualche anno fa di tra scorrere in questo paese un breve periodo di tempo. Ero allora ufficiale. I l Maestro — Allora tutto si spiega! La vostra com posizione risale dunque a quell’epoca? Vincenzo — Non precisamente. I l Podestà — E quando allora? Dite... dite... è molto interessante per noi sapere com’è nata la vostra musica... Vincenzo — Ecco vi dirò... non è facile spiegare... Elisa > Certo, non bisogna chiedere alla fonte... I l Maestro — E perchè? Dite, dite... è venuta di getto!? Vincenzo (confuso) — Ecco, sì, appunto, di getto ! Adele Forse i ricordi che vi accompagnarono nella vostra partenza! Vincenzo — Sì, signora. Quei ricordi m’ispirarono. Un giorno per rivivere quel tempo felice domandai alla musica di venirmi in aiuto. E’ un prodigio ch’essa sola può compiere. Tutto mi riapparve innanzi come un mi raggio. La mia canzone era nata. Fu così che volli allora legare al mio nome quello del vostro paese! Elisa (divertita) — Che artista! Vincenzo (stringendole la mano) — Grazie, signorina, grazie. I l Podestà — Ed ora spero che non ci lascierete tanto presto. Vincenzo — Tutt’altro! I l Maestro — Bene! Bene, avrò così il piacere di farvi sentire qualche mia ultima composizione. Vincenzo — Il piacere sarà tutto mio, caro maestro. I l Podestà — Ci farete l’onore d’intervenire ad un ri cevimento nel nostro modesto Municipio. Vincenzo Su questo sono irremovibile. Niente ceri monie, vi prego. I l Maestro Ma voi siete proprio un artista eccezionaie!! Rifiutate gli onori. Vincenzo — Rifiuto gli onori! Elisa — Quanta modestia! Vincenzo — In Municipio ci verrò certamente e spero al più presto (guarda Elisa), ma in forma privata. I l Podestà (guardando i due) — Quando è così fatevi accompagnare da qualcuno... che v’insegni la strada... e avvisatemi in tempo, voglio essere io a ricevervi. Vincenzo — Vi ringrazio fin d’ora. (Si ode una voce e Gaspare). Adele (sulla veranda) — Gaspare, dhe succede? I l Contadino — Lasciami entrare, ti dico. (Entra) Signora Adele, servo vostro. Signori, i miei rispetti. Illustre maestro, i miei polli... Vincenzo — Ah, siete voi? Sono pronto a pagare, ve lo avevo detto. I l Contadino — Pagare?! Non ci mancherebbe altro! Sono venuto a domandarvi scusa se sono stato villano con voi. Ma chi poteva immaginare che voi eravate l’illu stre maestro di cui tanto si parla. Vincenzo — Davvero, chi lo poteva immaginare! I l Contadino — Pagare! Un corno! Non sia mai dette che il sottoscritto prima tromba Ballino Pietro si fa pagare i polli da un musicista del vostro valore! Lui ì polli li regala. Eccoli (tira fuori due polli vivi). I l Maestro — E poi dicono che la musica non rende! Vincenzo — Grazie amico, sono davvero commosso. Uno è per voi, maestro, prendete, lo sacrificherete a Euterpe ! I l Maestro — No, no... e perchè? Se proprio si deve sacrificare, me lo sacrifico io. Grazie, maestro. Vincenzo — Non chiamatemi così... li farete ridere... I l Maestro (sorpreso) — Chi?... Vincenzo (comico) — I polli. (Tutti ridono e si ode il coccodè. Quadro finale): Notte di stelle, luna d’argento, lieve le foglie hanno un sussurro dicono al cuore della mia amata: odi, diletta, la serenata. E canta l’usignolo nella sera una canzone gaia, innamorata. Fiorita è dentro il core Primavera e la malinconia se n’è volata! Io canto l’amor mio senza sapere se la musica e poesia si stanno insieme. I versi della canzone potranno essere musicati a piacere, tenendo conto che, trattandosi di un canto improvvisato, dovrà venire fuori un motivo semplice da canzonetta na poletana. r ----------------------------------------------------------" v A U Ch° ««oserete n 1T T 1 I1 f iN l i IvT iI prossimamente L A F IG L IA D E L R E di E. ItOBECCIlI-mtIVIO T R I O F U L G O R di VITTORIO V1VIAAI L ’ A M O R O S O S. O. S. di ES ILIO CAGL.1ERI L A S O N A T A I N D O M IN O R E ^ d i A T T IL IO C A R P I ^ I E c l M a u t t e r i o A Una giovane e candida attrice racconta a De Sica: —• Oggi ho trovato su una rivista il vostro ritratto; mi piacete tanto che l’ho baciato. —■E vi ha restituito il bacio? — domandò De Sica. — No. — Allora non ero io. A Armando Curcio prende lezione d’equitazione in attesa di comperarsi un cavallo con i denari che gli stan no rendendo le sue fortunatissime commedie. Ma, come succede a tutti i principianti, qualche volta cade da cavallo. Quindici giorni fa la caduta è stata un po’ più grave, poiché il cavallo, per solidarietà col cavaliere, nel saltare un ostacolo gli è caduto su una gamba. Per allietargli la cura e la convalescenza, tutti gli amici napoletani si diedero convegno in casa sua. Achille Vesce portò un grammofono, Lorenzo Giusso una chitarra, Gaspare Casella una radio. Un vecchio signore che abita al piano di sotto pazientò due o tre giorni, in attesa che quel baccano finisse. Ma vedendo che lo strepito aumentava, salì e, bussando timida mente alla porta, domandò: i— Che cosa c’è? Gli risposero in coro: —• Un malato. A A Palermo, sull’angolo del teatro dove recitava, tutte le mattine Maria Melato incontrava un mendicante che aveva sul petto un cartellino : « sordomuto ». Dopo qualche giorno, fermatasi per fare la carità al di sgraziato, nota con terrore che il mendicante ha cambiato la dicitura. —- Ma non eravate sordomuto? — domanda l’attrice. —• Cosa volete, signora, — rispon de il mendicante — appena si gua risce da una malattia se ne acchiappa un’altra! A Dino Falconi ha — agli occhi di Armando, suo grande genitore ■ — un grande difetto: il disordine. Appena gli si consegna un oggetto c’è da giurare che egli lo perderà. Una volta Armando regalò a Dino un magnifico berretto da viaggio. Na turalmente la prima volta che padre e figlio salirono su un treno, Dino sfoggiava il berretto nuovo. Da To rino, andavano a Roma. Durante il A Un’attrice che ha già sommato viaggio Armando dormì, secondo il solito, il più placido dei suoi sonni; due volte vent’anni soffre qualche arrivato a Genova, si accorse che il volta, in scena, di distrazione. Ecco perchè una sera non si accorse che figlio era a testa nuda. invece di dire: «Ho già passato un —■E il berretto? __ quarto di secolo », aveva detto : «Ho già passato il quarto secolo! ». — L’hai perso? Mormorio del pubblico in platea. — Scusa, papà, è persa una cosa — Cos’hanno da ridere questi quando si sa dov’è? idioti? — domandò adirata a Benassi — No. — E allora il berretto non l’ho che recitava con lei in quella scena. — Si compiacciono vedendo che perso, perchè so che è in fondo a quel tratto di mare che va da Ra voi portate bene gli anni!—rispose Benassi con grande candore, o gran pallo a Santa Margherita. de ferocia (che per Benassi è lo A Uno dei nostri commediografi aveva subito un infortunio sul la stesso). voro: una sua commedia era caduta A Luciano Folgore, tutti lo sanno, con i fischi più sibilanti. Cose che è un gran parlatore e parlatore bril capitano anche ai migliori scrittori lantissimo, sempre divertente e susci tatore di comicità. Di lui disse un di teatro. L’indomani, Mino Caudana, che giorno una signora sua ammiratrice: — Quel Folgore, bisogna sentirlo firma Clarino la nostra nuova ru brica «Il solco magico » (leggetela parlare! Qualche volta fa perfino non subito a pag. 46), incontra l’infortu ridere!... nato autore e per consolarlo gli A Cesare Zavattini incontra Um dice: Melnati che gli domanda: — Sii sincero, dimmi la verità: berto — Ma perchè hai quell’aria così la commedia di ieri sera vorresti che triste, abbattuta?... l’avessi scritta io ! — Ah!... A Sulla porta del Teatro Marghe — Suvvia! Non bisogna lasciarsi rita di Genova, alcuni attori atten vincere dalla malinconia; di ogni dono, insieme a Enrico Bassano, cosa, bisogna vedere non il lato l’ora della prova. Uno di essi, scor brutto, ma il lato roseo!... gendo un signore che si avanza verso —1Vorrei proprio sapere quale di loro, e riconoscendolo, dice a può essere il lato roseo del terribile Bassano: mal di denti come ho io in questo — Quello lì è un usciere! momento!... — rispose Zavattini. — Viene da voi? — domanda Proprietà letteraria eartistica riservate—Società Bassano. Editrice Torinese ('Gazzettadel Popolo - Illustra — Può darsi! zione del Popolo) - CorsoValdocco, 2 - Torino— — Hai paura tu? Ernesto Scialpi, responsabile. — Non viene certo per me! — E per chi allora? I manoscritti e le fotografie, anche se — Chi lo sa?! Tutti attori siamo! non pubblicati, non si restituiscono. ACQUA DI COLONIA G L O R I A SQUISITO PROFUMO ITALIANO Attrici, attori, filodrammatici, adoperatela nella vita © non dimenticatela a teatro : dopo ■truccati vi rianima, vi deterge il viso in modo perfetto, rende personale il vostro camerino PRESSOTini I PROFUMIERI EDA V I T A L E VIA CARLO FELICE, 41 - GENOVA LISTINO GRATIS A RICHIESTA Non invidiate le vostre amiche più belle, nè chiedete loro come fanno ad esaltare sempre più la bellezza del loro viso. Non è un segreto. Prima di incipriarsi esse mettono un tenue strato di crema sul viso massaggiando leggermente con la punta delle dita. Poi si incipriano. Voi potete fare altrettanto, ma per riuscire non dovete usare una crema qualunque che può farvi danno. Coty ha creato per tale cura del viso una speciale crema di bellezza che non affonda nei pori e che per i suol effetti, vi aiuterà ad essere più bella. La sera, prima di coricarvi, per togliere il belletto e le inevitabili impurità, usate invece l'astersiva Colcrema Coty. 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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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