• AH H O w X V II 3 0 0 -S^VB-S TO A g O S tO 1 9 4 1 “ X I X s s f l q u in d ic in a le d i cammsdip O c /? a W : L i r e ‘T fc l'T ’Si® U JCl s E , SOCIETÀ EDITRICE to rin e s e -T O R IN O SPEDIZIONEIN ABBONAMEN TO POSTALE(Secondo Gruppo) P a Iu c ÌD r id e n ti ~r in qujiJbto & b ù x jò ù y = ^ LA COMMEDIA DI COLUf CHE SPOSÒ UNA DONNA MUTA Commedia In due atti di a v v io gk fr a n g e Traduzione di GIOV. MARCE1LINI IL RAMOSCELLO D’OLIVO A R IA P A E S A N A STORIA VECCHIAEGUALEPERTUTTI IL GRANDE ATTORE Tre a t t i u n ic i di PEPPINO DE FILIPPO ^ - si# ' m M O S T E A d e lT K S I L E e o d l l G U A I M O A U T A R C H IC O V E N E Z IA - C f i G IU S T IN IA N A G O S TO 5ETTEMBQE I9 4 I-X ÌX 6 - 7 S e tte m b re : M a n ife s ta z io n i di A lta M o d a s o tto g li a u s p ic i d e ll’ E n te N a z io n a le d e lla M o d a c m IL a F A S C IC O m L O i / y D O P P IO D I m i R IV IS T A D E L L ’ A L T A M O D A E D I V IT A IT A L IA N A COMITATO DI DIREZIONE: CIPRIANO E. OPPO, PRESIDENTE GIO P O N T I - L U C IO R ID E N T I - ALBER TO F R A N C IN I IN V E N D IT A T IE N E PER IN Q UESTI T U T T A LA P R IM A R IV IS T A GRANDI MONDO, LA DI M O DA VO LTA M ODA, I C O L O R I, LE I CAPPELLI FOGGE, ED I IT A L IA A LLA IN PAR I DEL A R IT I, UN M ESE MODA IL LA M ESSA IT A L IA N A F A S C IC O L O D U EC EN TO PER LA A LE P E L L IC C E , D E L L 'A U COSÌ NUOVA D I O LTR E DELLA S T A G IO N E D I CO STA NEL L IN E A , PUNTO D O P P IO , P A G IN E , DELLE LA P A R T IC O L A R I T U N N O - IN V E R N O ; A N T IC IP A N D O UNA GENERE AGOSTO: G LI CON D 'A U T U N N O IN P U R R L IC A Z IO N I PRESENTA G IO R N I, Q U A S I 20 L IR E Un numero L. 15 - Abbonamento annuo L. 150 - Abbonamento trimestrale L. 40 Per I versamenti servitevi del conto corrente postale N. 2/23000 CHI PROCURA CINQUE ABBONAMENTI NE RICEVE UNO IN OMAGGIO e d it r ic e E. M . S . A . ★ VIA ROMA, 24 ★ TELEF. 53-420 ★ TORINO l a s a . I N D U S T R P R E S E N T A I E IL C I N P R IM O E M A G R U P P O FILM DI PR O D UZIO NE IT A L IA N A J O tc /tm n M J b L P .e fjrd jci Produzione S. A. GRANDI FILM STORICI d iu r n i Produzione S. A. GRANDI FILM STORICI O n 9: U lz ju m z d i (b iim m c L Produzione MANENTI FILM ( ~ jfh n (D ic u w L ò - (TòutuuitUo- - con ALIDA VALLI - FOSCO GIACHETTI VIVI GIOÌ - CAMILLO PILOTTO - OSVALDO VALENTI Regìa di CARMINE GALLONE tnmuiah. - con LEONARDO CORTESE VALENTINA CORTESE - VIVI GIOÌ - GIUSEPPE PORELLI - LUIGI ALMIRANTE - LUIGI CIMARA Regìa di CARMINE GALLONE 0ò»ìixuiti£fr - con ALIDA VALLI - ANDREA CHECCHI ÈVA DILIAN - BIANCA DELLA CORTE - GIUDITTA RISSONE - CARLO CAMPANINI - SANDRO RUFFINI Regìa di MARIO MATTOLI c&MMitlLMiO- - dal celebre dramma storico di BONELLI e ROMUALDI Produzione FOTOVOX Produzione A. FANK d i LüJJÛ- ^ollwuixlU. - con OTTO WERNICKE - GERTRUD MEYEN - ANNA DAMMANN - MARIA KOPPENHOFER - dal famoso dramma di SUDERMANN Regia di A. M. RABENALT @amiea. - con GUSTAV FROELICH - FITA BENKHOFF THEO LINGEN Regia di CHARLES KLEIN (lòrnuutdeo- - con HILDE KRAHL - GUSTI HUBER GUSTAV FROELICH - THEO LINGEN Regìa di THEO LINGEN (DmmmaticO- - con HERBERT A. E. BOEHME - MARIE LUISE CLAUDIUS - MARTIN BAUMANN RICKELT Regia di ARNOLD FANK ApaLLo- - con KATE VON NAGY - PAUL HOERBIGER Regia di PAUL VERHOEVEN Produzione DEKA FILM Q ^ a n d lm i g in U n . Produzione F. D. F. n . g jw n m i. Produzione KLAGEMANN FILM O re h ljd jU L U d ò -u iL Produzione F. D. F. 3 / d i i am.04'1. d llitlo - Produzione ROLF RANDOLF FILM t¿ál UM Œ tMlCL Produzione SVENSKA FILM ^ ^ n g ln n e . d ’a m n w . Esclusività ATLAS rDwjmtiatLe& - con HANS ALBERT - OLGA TSCHECHOWA - DOROTHEA WIECK Regia di GHERARD LAMPRECHT 5 P e i l ’u o m o e p e i m o d e r n a , e u e 'ig ic a la e b ig a m ia d m a m ic a La Superlavanda Piemonte Reale è un concentrato di lavanda alpestre ad alta gradazione, d’un tono partico lare, che differenzia questa nuova specialità da tu tti i prodotti del genere. E’ adatta per uomo ed anche, parti colarmente, per la signora moderna attiva ed energica. jf . t? , / f a ¡ G l. V I. EMME - PROFUM I E PR O D O TTI DI BELLEZZA - M IL A N O m A M O X V II n H 15 A gosto 1941 - X I X m s q u in d ic in a le s d i X. 3ttO s m c o m m e d ie d i g r a n d e ¡s u c c e s s o , d ir e t t o d a L U C I© R I D I A T I U n t i tUKSU lA L I IV tt O , ÌC ■ lO HllVO - le i. 4«-44» Kit FASCICOLO L. Ol ii - AHHONAMENTO ANNUO L. 40 - BSTEBO L. 70 La nostra copertina vuole, fascicolo per fascicolo, fare opera di volgariz zazione degli attori. Una vetrina, dun que, che può essere utile a coloro che -k sono già apparsi, riapparsi, o certa mente appariranno, appena il loro no me meriterà questa nostra attenzione, che è naturalmente sempre il riflesso L U I G I del consenso detlla critica e della simpatia del pubblico. C A R I N I Ma il nostro Teatro si onora soprat (Disegno di Onorato). tutto di alcuni nomi per i quali il nostro ricordo, non potendo più essere valorizzazione — consacrati come sono dalla celebrità — diventa automaticamente ammirazione. E’ dunque con tale intenzione, che la mordente matita di Onorato ed il nostro affetto ricordano questa volta Luigi Carini che la cronaca di queste ultime settimane ha riportato alla popolarità per la sua interpreta zione di «Triangoli » di Falconi e Biancoli, al Teatro Nuovo di Milano — con Luigi Cimara ed Isa Pola — curioso esperimento di teatrorivista, piacevole, disinvolto e divertente. Luigi Carini, per il nuovo Anno teatrale, reciterà con Andreina Pagnani e Renzo Ricci, dando così col suo autorevole pome maggior lustro di consensi alla celebrità dei due bravissimi capocomici. C O P E R T IN A IM P O R T A N T E Il fascicolo di « II Dramma» dei 1° settembre non uscirà, perchè forma FASCICOLO DOPPIO con quello del 15 settembre, contenente il capolavoro df E U G E N IO O ’ N E L L E ! y ? f u U o a d d ic e s i a d E l c l l r a Il 15 settembre voi troverete in ven dita, perciò, un fascicolo che segna I numeri 361 e 362 e porta le date 1° e 15 settembre. Alla rappresentazione al Teatro delle Arti di Roma diretto da A. G. BRAGAGLIA BASSO COLLABOKATO A QUESTO FASCICOLO: A N A T O L E T R A N C E c o n la c o m m e d ia in d u e a t t i L A C O M M E D IA CHE C O L E I SPOSÒ ENA DO NN A M ETA Traduzione di GIOVASSI H A IIC K L U S I l’ E P P U N O con i tre IL D I RAM O SC ELLO D E F IL IP P O a t ti u n ic i D ’ O L IV O ♦ A R IA PAESANA ♦ I l GRANDE ATTORE GI!VO DAMERINI : “ II, POETA FANATICO „ E “ I MASSA■m iti A VENEZIA * ENRICO ROCCA : LA VILLEGGIA TURA E GOLDONI * ACHILLE FIOCCO: CESARE LODOVICI, UNO E DUE * DINO FALCONI: IL “ SCO,, PRODUTTORE E IL “ SUO., REGISTA * MARIO CORSI: CONOSCERE I GRANDI ATTORI DEL PASSATI» * LOTTE WEGE : OTTO COMMEDIE IH AUTORI ITALIANI RECITATE A RERLINO * RII» : PIC COLO RICORRO * COMMEDIE NUOVE E RIPRESE * VARIE* TEI! MOCAUTERIO. G i u l i o a d d ic e s i a d d e l i r a è durata dalle 17 alle 22,30. Il testo di cinque ore e mezzo di spettacolo, composto per la pubblicazione, richiede Io spazio maggiore di un nostro fascicolo. Per non spezzarne la continuità, abbiamo riunito due iascicoii in uno * Ma oltre la « più bella, vasta e profonda opera che mente umana abbia concepita » - per espri merci con le parole di A. Savinio il fascicolo conterrà anche le crona che, i notiziari abituali, le più ampie informazioni del nuovo Anno teatrale. £ nn fascicolo di eccezione e poiché riunisce due numeri costa quattro tire. a d d E l T R E E U G c e IL O « O i G e t IA D I C E N IN I a t r T R E Q I O U © A ’ d a P A R T I D N R I E I L D I E P a r te P r im a : IE R IT O R N O A Z IO X E I A Q U A T T R O A T T I P a rte A Z IO S econda : E ’ A G G U A T O A K I A C IN Q U E A T T I P a r te T e r z a : E ’ IN O tB O AZIONE IN QUATTRO ATTI E CINQUE QUADRI R APPR ESEN TATA AE TEATRO DEELE A R T I R I R O M A , D IR E T T O D A A N T O N G II I.IO R R A G A G E IA , I E 3 8 M A R Z O X I X R E G IA D I G IU E IO P A C E A IO ^ DIANA TORRIE1II nella parie di Uavinia in “ Il lutto si addice ad Elettra vista da Onorato. ¡ ( c k i c w o s n H m e a J d s i a m i c o m l u u i t a J * ia n c & ly ia jd ju f y io r v z d i Q ìx x x in s iC Una sala del pianterreno nella casa di Leonardo p o r jo n o g g i Botai. A sinistra, Tingresso sulla via LEONARDO BOTAL, giudice - Dauphine, a Parigi: MASTRO ADAMO FUMEE, avvocato - MASTRO SIMONE quando l’uscio si aCOLLINE, medico - MASTRO pre, si scorge il GIOVANNI MAUGIER, chi Ponte Nuovo. A de rurgo-barbitonsore - MASTRO stra, una porta che SERAFINO DULAURIER, spe immette nella cuci ziale - GILLES BOISCOUR na. In fondo, una TIER, segretario di Leonardo scala di legno che Botai - UN CIECO, che suona conduce alle camere la piva - CATERINA, moglie di Leonardo Botai - ALIZO- del primo piano. Al NA, fantesca di Leonardo Bo le pareti pendono tai - MADAMIGELLA DELLA ritratti di magistrati GARANDIERE. in toga e sorgono vasti armadi pieni e sovraccarichi di borse, libri, carte e pergamene. Una dop pia scala, a rotelle, permette di raggiungere la parte alta degli armadi. Una scrivania; seggiole e poltrone tappez zate: un filatoio. Gilles (è occupato a scribacchiare e a sbadigliare quando entra la fantesca Alizona, con un paniere ap peso a ciascun braccio. Appena la vede, Gilles si slan cia su di lei). Alizona — Santa Vergine, è permesso gettarsi come un lupo mannaro «ni cristiani, in nna sala aperta al primo che passa? Gilles (cava da uno dei panieri una bottiglia di vino) — Non gridare così, piccola oca. Nessuno pensa a spen narti. Non ne vale la pena. Alizona — Vuoi lasciar stare il vino del signor giu dice, ladrone! (Posa i panieri a terra, riafferra la botti glia, schiaffeggia il segretario, riprende i suoi panieri e passa in cucina, di cui si vede il camino dalla porta socchiusa. Entra mastro Adamo Fumèe). Mastro Adamo — E’ qui che abita il signor Leonardo Botai, giudice civile e penale? Gilles — Qui egli abita, signore, e voi parlate al suo segretario, Gilles Boiscourtier, per servirvi. Mastro Adamo — Ebbene, ragazzo mio, vai a dirgli che il suo antico condiscepolo, mastro Adamo Fumee, avvocato, vorrebbe parlargli d’una certa faccenda. (Si ode, dal di fuori, una voce che canta: « Un po’ di mordigallina per gli uccellini »). Gilles — Signore, eccolo in persona. (Leonardo Botai discende dalla scala interna. Gilles si ritira in cucina). Mastro Adamo — Salute a voi, signor Leonardo Botai. Sono felice di rivedervi. Leonardo — Buongiorno, mastro Adamo Fumee. E’ assai tempo che non ho avuto il piacere di vedervi. Come state? Mastro Adamo — Benissimo. E anche voi, spero, si gnor giudice. Leonardo — Qual buon vento vi mena da queste parti, mastro Adamo Fumee? Mastro Adamo — Vengo espressamente da Chartres per consegnarvi una memoria in difesa di una giovane orfana, la cui... Leonardo — Vi ricordate, mastro Adamo Fumèe, del tempo in cui si studiava insieme diritto all’università d’Orléans? Mastro Adamo — Se me ne ricordo! Si suonava l’o carina, si merendava colle dame, e balli dalla mattina alla sera... Io vengo, signor giudice e caro condiscepolo, a consegnarvi una memoria in difesa di una giovane or fana, la cui causa è presentemente pendente dinanzi a voi. Leonardo — Dà sportule, costei? Mastro Adamo — E’ una giovane orfana... Leonardo — Capisco. Ma dà sportule? Mastro Adamo — E’ una giovane orfana, spogliata di tutti i beni dal suo tutore, che non le ha lasciato che gli occhi per piangere. Se essa vince la causa, tornerà rioca e vi darà grandi prove della sua riconoscenza. Leonardo (prendendo la memoria che gli tende ma stro Adamo) —- Esamineremo la sua causa. Mastro Adamo — Io vi ringrazio, signor giudice e caro ex condiscepolo. Leonardo — La esamineremo senza avversione nè favore. Mastro Adamo — Voi non avete bisogno di dirlo... ANATOLE FRANCE Ma, rispondetemi: tutto vi va bene come desiderate? Mi «ombrate preoccupato. Eppure avete una buona carica. Leonardo —- L’ho pagata coirne buona, e non sono stato affatto imbrogliato. Mastro Adamo — Forse siete stanco di viver solo? Non pensate a pigliar moglie? Leonardo •— Come, mastro Adamo? Voi ignorate che mi sono ammogliato di recente? Ho sposato, il mese scorso, rana giovane provinciale di buona famiglia e assai ben fatta, Caterina Momiohel, la settima figlia del luogotenente criminale di Salency. Disgraziatamente essa è muta. Ed è questo che mi affligge. Mastro Adamo — Vostra moglie è muta? Leonardo — Ahimè, sì! Mostro Adamo — Completamente muta? Leonardo — Come un pesce. Mastro Adamo — E non ve ne siete accorto prima di sposarla? Leonardo — Era impossibile non accorgersene. Ma allora non me ne sentivo afflitto come oggi. Conside ravo ch’era bella, che aveva una buona dote, e pensavo solo ai vantaggi Che mi recava c al piacere che avrei preso a vivere con lei. Ma oggi queste considerazioni non hanno lo stesso peso su me, e vorrei che sapesse parlare: vi troverei un piacere pel mio spirito e un vantaggio per la mia casa. Ohe occorre nella casa idi un giudice? Una donna avvenente, che riceva con genti lezza i -litiganti e, con accorti ragionamenti, li induca pian piano a portar regali perchè «’istruisca la loro causa con maggior cura. La gente non -dà ohe quando è inco raggiata a dare. Una donna, ingegnosa nel parlare e prudente nell’agire, ottiene dall’uno un prosciutto, dal l’altro una pezza idi panno, -da un terzo, vino e caccia gione. Ma questa povera muta di Caterina non busca mai niente. Mentre la cucina, la cànova, la stalla e il granaio dei miei colleghi rigurgitano d’ogni ben -di Dio, grazie alle loro idonne, io ricevo appena -di che far -bol lire la -marmitta. Vedete, mastro Adamo, come mi pre giudica avere una moglie muta. La mia abilità ne resta diminuita di almeno la metà... E il peggio si è che di vento malinconico e come smarrito. Mastro Adamo — Ma non ne avete motivo, signor giudice. A ben considerare, il vostro caso offre vantaggi tutt’altro che -disprezzabili. Leonardo — Voi non potete capirmi, mastro Adamo. Quando io tengo Caterina fra le braccia, la -mia Caterina la quale è tanto bella quanto la -più bella statua, almeno così a me sembra,, io provo un bizzarro turbamento e uno strano malessere; giungo persino a domandarmi se non mi trovo dinanzi a un idolo, a un automa, a una bam bola magica, a -qualche -macchina infine -dovuta all’arte d’un mago, invece che dinanzi a una creatura del buon Dio ; e talvolta, al mattino, sono tentato di saltar fuori dal letto per sfuggire al sortilegio. Mastro Adamo —- Quali fantasie! Leonardo — E questo non -è tutto. Vivendo accanto a una muta, divento muto anch’io. Spesso mi sorprendo a esprimermi come lei, -con dei segni. L’altro giorno, in tribunale, mi accadde -di emettere una sentenza in pantomima, e di condannare un uomo alla galera coi gesti e colla mimica. Mastro Adamo — Non avete bisogno di aggiungere altro. Si comprende facilmente che una donna muta sia d’una povera conversazione. E, certo, non si ama parlare quando non si riceve risposta. Leonardo — Ora sapete qual è la causa della mia tristezza. Mastro Adamo — Non voglio -contrariarvi, e consi dero quindi questa causa come -giusta e «ufficiente. Ma forse esiste il mezzo di farla cessare. Ditemi: vostra moglie, oltre Che muta, è anche sorda? Leonardo — Caterina non è più sorda di voi nè di me; oso dire che lo -è meno. 'Sentirebbe crescer l’erba. Mastro Adamo — 'In questo caso, c’è da ¡sperar bene. I medici, gli speziali e i chirurghi, se arrivano a far parlare un sordomuto, è sempre quando la sua lingua è sorda come il suo orecchio; cioè quando egli non intende nè -ciò che igli vien detto nè ciò che -dice lui medesimo. Ma la cosa lè diversa per i muti -che ci sen tono. E’ -un gioco, per un medico, scioglier loro la lin gua. L’operazione costa così -poco, -Che giornalmente la si fa ai cagnolini che tardano ad abbaiare. -Ci voleva dun que un provinciale come sono io -per insegnarvi che un famoso medico, che abita a pochi passi da casa vostra, al quadrivio de’ Buci, mastro Simone Colline, è rinoma tissimo per tagliare lo scilinguagnolo alle dame pari gine. In un attimo egli farà sgorgare -dalla bocca della signora vostra sposa un flutto chiaro di parole -ben so nanti, come girando -un rubinetto -si -dà -corso a -un ru scello che scorre -con un -dolce mùrmurc. Leonardo —- Voi dite il vero, mastro Adamo? Non m’ingannate? Non mi parlate come quando difendete una persona? ’* ’"Mastro Adamo — -Io vi parlo da amico e vi dico la pura verità. Leonardo — Farò venire questo celebre medico. E senza tardare d’un istante. Mastro Adamo — Come volete! Ma prima di chia marlo riflettete attentamente su quel che vi conviene di fare; giacché, tutto sommato, se una -donna muta ha i suoi inconvenienti, ha pure i suoi vantaggi. Buona sera, signor giudice ed ex condiscepolo. Credetemi vo stro amico, e leggete la mia memoria, ve ne prego. Se eserciterete la vostra -giustizia in favore d’una -giovane orfana privata de’ -suoi beni da un tutore avido, non avrete a pentirvene. Leonardo — Tornate presto, -mastro Adamo Fumèe : troverete la -sentenza preparata. (Mastro Adamo esce). Leonardo (chiamando) — Gilles!... Gilles!... Non mi 6ente, lo sporcaccione! Come al solito, è in cucina, -a rovesciare la marmitta e la -serva! E’ un crapulone, un libertino! Gilles!... Gilles... Canaglia! Gilles — Eccomi, signor -giudice. Leonardo — Amico mio, corri da quel famoso medico che dimora al quadrivio de’ Buci, nella casa del Dra gone, mastro Simone Colline, e digli -che venga subito a prestar qui le sue cure a una donna -muta. -Gilles — -Sì, -signor giudice. Leonardo — Segui direttamente la tua strada e non andare al Ponte Nuovo a vedere i saltimbanchi : giacché LA COMMEDIA DI COLUI CHE SPOSO UNA DONNA MUTA io ti conosco bene, volpone mio. Ti conosco, masche Caterina (si mette a danzare la «bourrée » col cieco). rina. Nessuno sa rubar meglio idi te sulla spesa. I l Cieco (riprendendo). Gilles — Signore, voi mi giudicate male... Trovammo la mugnaia, Leonardo — Va’, e conduci qui questo (famoso medico. Ché con noi ballò! Gilles — Sì, signor giudice. (Esce). Lerallò ! Leonardo (seduto davanti al suo tavolo, coperto d’in (Interrompe di suonare e di ballare per dire con voce cartamenti procedurali) — Ho quattordici sentenze da cavernosa e stentorea) La carità per amor di Dio, miei emanare oggi, senza contare quella relativa alla pupilla buoni signori e dame! di mastro Adamo Fumèe. Il lavoro non è poco, giacche Leonardo (immerso nelle sue carte, non ha veduto una sentenza fa onore a un giudice solo quando è ben niente, scaccia il cieco chiamandolo) — Accattone! Leb composta, fine, elegante e munita di tutti gli ornamenti broso! Malandrino!... (e lanciandogli i fascicoli dei pro dello stile e del pensiero. Bisogna che le idee vi scher cessi sulla testa. Poi, a Caterina che è tornata al filatoio) zino e le parole vi giuochino dentro. Dove mettere lo Amor mio, dacché siete discesa vicino a me, non ho per spirito se non in una sentenza? duto il mio tempo: ho mandato alla gogna quattordici Caterina (scende dalla scala interna, va a sedersi di uomini e sei donne, distribuito fra diciassette individui fronte al filatoio, vicinissima alla scrivania. Sorride al (fa il conto) sei... ventiquattro... trentadue.. .quarantamarito e si prepara a filare). Iquattro... quarantasette e nove, cinquantasei, e undici, Leonardo (interrompendo di scrivere) ■ —- Buongiorno, amor mio... Vi avevo appena sentita. Voi siete come feessantasette, e dieci, settantasette, e otto, ottantacinque, quelle figure delle favole che sembrano trasvolare nel e venti, centocinque... perfettamente, centocinque anni l’aria, o cerne quei sogni che gli dèi, al dire dei poeti, di galera! Ciò non dà un’idea del potere di un giudice, inviano ai felici mortali. (Si ode un villico che passa e, posso io non risentirne un certo orgoglio? Caterina (che non fila più, s’appoggia alla scrivania nella strada cantando : «Del buon crescione di fontana, salute del corpo! A sei centesimi il mazzo! A sei cen e guarda il marito sorridendo; poi si siede sulla scri tesimi il mazzo! »). Amor mio, voi siete una meravi vania coperta d’incartamenti processuali). Leonardo (fingendo di trarre gl’incartamenti sotto il se glia della natura; un essere perfetto; non vi manca che la parola. Non sareste contenta di acquistarla? Non dere di lei) — Amore, mio, voi volete sottrarre i grandi sareste felice di far passare sulle vostre labbra tutti i colpevoli alla mia giustizia. Si tratta di ladri, di assassini. leggiadri pensieri che s’indovinano nei vostri occhi? Ma io non li perseguiterò : quel luogo di rifugio è Non sareste soddisfatta di dimostrare il vostro spirito? sacro. (Si ode uno spazzacamino che grida dal di fuori: Non sarebbe per voi cosa ambita dire al vostro sposo «Spazzate i vostri camini dalFalto al basso, belle che l ’amate? Non vi sarebbe caro chiamarlo tesoro e dame! ». Leonardo e Caterina si baciano al disopra della vostro cuore? Sì, senza dubbio!... (Si ode un venditore scrivania. Ma vedendo entrare la 'Facoltà, Caterina ambulante che passa nella via gridando : «Candele di scappa dalla scala interna). cotone! Candele che fan luce meglio di qualunque Gilles — Signor giudice, ecco quel gran dottore òhe stella! »). Ebbene, vi annuncio una buona notizia, amor avete fatto chiamare. mio. Tra poco verrà qui un gran medico che vi farà Mastro Simone — Sì, io sono mastro Simone Colline parlare... (Caterina manifesta segni di soddisfazione) in persona... Ed ecco mastro Giovanni Maugier, chi Egli vi scioglierà la lingua senza farvi alcun male. (Ca rurgo. Voi avete richiesto il nostro ministero? terina esprime la sua gioia con una graziosa impazienza Leonardo -— Sì, o mio signore, l’ho richiesto per dare delle braccia e delle gambe. Si ode un cieco che passa la parola a una donna muta. nella via cantando la «bourrée » sulla piva). Mastro Simone — Benissimo. Ora aspettiamo ma I l Cieco: stro ¡Serafino Dulaurier, lo speziale. Come sarà qui ope Nell’acqua il pesce 'guizza reremo tosto secondo il nostro senno e sapere. Chi lo pescherà? Leonardo — Ah, occorre proprio uno speziale per far Lerallà ! parlare una donna muta? Nell’acqua il pesce 'guizza Mastro Simone -— Sì, o signore, e chi ne dubita Chi lo pescherà? ignora completamente le relazioni che esistono fra i Voi sì, fanciulla 'bella, vari organi e la loro mutua dipendenza. Mastro Sera Qualcuno v’amerà! fino Dulaurier non tarderà a venire. (Con voce lugubre) La carità per l’amor di Dio, miei Mastro Giovanni Maugier (interloquendo con voce buoni signori e buone dame! (Si mostra sulla soglia e alta e stentorea) — Oh, dobbiamo essere riconoscenti ai continua a cantare) sapienti medici che, come mastro Simone Colline qui Avvinti sotto il 'braccio, presente, lavorano a conservarci la salute e ci curano Andando verso il fiume, nelle nostre malattie. Oh, essi sono degni d’ogni lode Lerallà ! e d’ogni benedizione, questi buoni medici ohe si con Avvinti sotto il braccio, formano nell’esercizio della loro professione alle regole Andando verso il fiume, d’una sapiente fisica e d’una logica esperienza. Trovammo la mugnaia, Mastro ¡Simone (inchinandosi leggermente) — Voi Che con noi ballò! siete troppo buono, mastro Giovanni Maugier. Lerallò ! ANATOLE FRANCE Leonardo — Aspettando il signor speziale, volete rin frescarvi, signori? /Mastro Simone — Volentieri. Mastro Giovanni — Con piacere. Leonardo —• Dunque, voi farete, mastro Simone Col line, una piccola operazione che farà parlare mia moglie? Mastro Simone — Vale a -dire che io comanderò l’o perazione. Io ordino e maestro (Giovanni Maugier ese guisce... Avete i vostri stromenti, mastro Giovanni? Mastro Giovanni — Sì, maestro. (Mostra una sega lunga tre piedi con denti alti due pollici, coltelli, teJ naglie, forbici, uno spiedo, un trapano, un gigantesco succhiello, eoe. Entra Alizona col vino). Leonardo — Io «pero, o «ignori, ohe non adopererete tutti cotesti arnesi. Mastro Simone — Non bisogna mai trovarsene sprov visti quando si va a curare un malato. Leonardo ■ — Bevete, signori. Mastro Simone — Questo vinetto non è malvagio. Leonardo -— Voi siete troppo buono. Esso viene (dalle mie vigne. Mastro Simone — Allora me ne manderete un barile. Leonardo (a Gilles, che si versa un bicchiere colmo) — Io non t’ho detto di bere, furfante. Mastro Giovanni (s’affaccia alla finestra che guarda nella strada) — Ecco mastro Serafino Dulaurier, lo spe ziale! (Entra mastro Serafino). Mastro Simone — Ed ecco la sua mula!... No, è sol tanto Serafino Dulaurier. Ci «’inganna sempre. Bevete, mastro Serafino. E5 fresco. Mastro Serafino — Alla vostra salute, maestri. Mastro Colline {ad Alizona) — Mescete, bella fi gliuola. Mescete a dritta, mescete a manca, mescete qui, mescete là. Da qualunque parte essa ®i volti mo stra abbondante attrattiva. Non andate superba, figliuola mia, d’essere così ben fatta? Alizona — Per il profitto che ne traggo, non è il caso di andarne (superba. Le attrattive non fruttano niente quando non sono ricoperte di seta e di broccato. Mastro (Serafino —• Alla vostra salute, maestri! Alizona — Gli uomini amano ridere, con noi. Ma «gratis prò Deo ». {La Facoltà beve e fa bere Alizona). Mastro Simone — Ora che siamo al completo pos siamo salire dalla malata. (Leonardo — Io vi precedo, o signori. (Sale la scala interna). Mastro Simone — - Passate, mastro Maugier: a voi l’onore... Mastro Maugier {col bicchiere in mano) — Passo, pur sapendo bene che l’onore è d’essere l’ultimo. Mastro Simone — Passate, mastro Serafino Dulaurier. (Mastro Serafino sale, con una bottiglia in mano. Mastro Simone, dopo essersi cacciata una bottiglia in ogni tasca della sua toga ed aver abbracciato la fantesca Alizona, sale le scale cantando): Da bere! da bere! da bere! Lasciarci senza bere? I buoni amici sì pazzi non sono, D’andarsene senza bere un bicchier di vin buono! Alizona (dopo aver dato uno schiaffo a Gilles che vuole abbracciarla, sale per ultima). Tutti (riprendendo in coro): Da bere! da bere! da bere! FINE DEL PRIMO ATTO S S k a B o La scena è come al primo atto. Mastro Adamo — Buona sera, signor (giudice. Come state? Leonardo — Abbastanza bene. E voi? Mastro Adamo — Del mio meglio. Scusate se sono importuno, signor giudice e caro ex condiscepolo: avete esaminato la causa della mia giovane pupilla derubata dal suo tutore? Leonardo — Non ancora, mastro Adamo Fumèe™ Ma die cosa (dite? Voi avete derubato la vostra pupilla? Mastro Adamo — Non ci badate, signore. Io dico «mia pupilla » per puro affetto. Io non sono il suo tutore, grazie a Dio, sono il suo avvocato. E se ella recupererà i suoi beni, che sono grandi, io la «poserò: ho già avuto la precauzione di innamorarla di me. Per ciò vi sarei riconoscente se esaminerete la sua causa al più presto possibile. Voi non avete, per far ciò, che leg gere la mia memoria, la quale contiene tutto ciò che occorre sapere. Leonardo — La vostra memoria, mastro Adamo, è qui, sul mio tavolo. Ne avrei preso cognizione se non avessi dovuto occuparmi di ben altre faccende. Ho ricevuto in casa mia il fiore della Facoltà di medicina, e fu per vostro consiglio che m’è capitato questo guaio. Mastro Adamo — Che intendete dire? Leonardo — Ho fatto chiamare il famoso medico di cui mi avete parlato, mastro Simone Colline. Egli è ve nuto con un chirurgo e con uno speziale, ha esaminato mia moglie Caterina, dal capo alle piante, per accer tarsi «’era proprio muta. Poi il chirurgo ha tagliato il filetto alla mia cara 'Caterina, lo speziale le ha dato un certo rimedio, ed essa ha parlato! Mastro Adamo — Ha parlato? E per far ciò le occor reva un rimedio? Leonardo — Sì, a causa della simpatia degli organi. Mastro Adamo — Ah!... Insomma, l’essenziale è che abbia parlato. E che cosa ha detto? Leonardo — Ha detto: «Portatemi uno specchio!». E, vedendomi tutto commosso, ha soggiunto : «Bamboccione mio, per la mia festa mi regalerete un abito di raso e un cappuccio orlato di velluto ». Mastro Adamo — E ha continuato a parlare? Leonardo — Non s’è più arrestata. Mastro Adamo — E non mi ringraziate del consiglio che vi ho dato, non mi ringraziate di avervi fatto cono scere questo gran medico? Non siete contento di sentir parlare la vostra sposa? LA COMMEDIA DI COLUI CHE SPOSO UNA DONNA MUTA Leonardo — Sì, sì, io vi ringrazio di tutto cuore, ma stro Adamo Fumèe, e sono contento, contentissimo di sentir parlare la mia cara sposa. Mastro Adamo — No, voi non dimostrate abbastanza la vostra soddisfazione. C’è qualche cosa che non vo lete dire e che vi affligge. Leonardo —- E da che cosa lo arguite? Mastro Adamo — Dal vostro viso... Che cos’è che vi fa dispiacere? Vostra moglie non parla bene? Leonardo — Essa parla bene e molto. Vi confesso che l’abbondanza dei suoi discorsi m’infastidirebbe assai se continuasse ancora per lungo tempo come ha fatto in principio. Mastro Adamo — Ne avevo avuto poco fa qualche sospetto, signor giudice. Ma non bisogna disperare così presto. Forse questo flutto di parole decrescerà a poco a poco. E’ il primo gorgoglìo d’una sorgente brusca mente aperta... I miei complimenti, signor giudice. La mia pupilla si chiama Ermelina della Carandière. Non dimenticate il suo nome: siatele favorevole e non avrete a che fare con degli ingrati. Tornerò questa sera. Leonardo — Mastro Adamo Fumèe, mi metterò subito a studiare la vostra causa. (Mastro Adamo Fumèe esce). Leonardo (leggendo) -— Memoria per madamigella Er melina Giacinta Marta della Garandière. Caterina (è venuta a sedersi davanti al filatoio, con tro la scrivania. Con volubilità) — Che cosa state fa cendo, amico mio? Sembrate molto affaccendato. Voi lavorate troppo. Non temete che ciò vi faccia ammalare? Bisogna pur riposarsi di tratto in tratto. Ma non mi dite che cosa state facendo? Leonardo — Amor mio, io... Caterina — E’ dunque un gran segreto? un segreto ch’io non debbo sapere? Leonardo — Amor mio, è... Caterina — Se è un segreto, non me lo dite. Leonardo —- Lasciatemi almeno il tempo di rispon dervi. Istruisco una causa e mi preparo ad emanare una sentenza. Caterina —• E’ cosa importante emanare una sentenza? Leonardo — Senza dubbio. Non soltanto l’onore, la libertà e talvolta la vita ideile persone dipendono da essa, ma dà modo al giudice di dimostrare la profon dità della sua mente e la forbitezza del suo linguaggio. Caterina — Allora istruite la causa e preparate la vostra sentenza, amico mio. Io non parlerò più. Leonardo — Così va bene... Madamigella Ermelina Giacinta Marta della Garandière™ Caterina — Amico mio, secondo voi, mi si adatte rebbe più un abito di damasco, oppure un tutto di vel luto alla turca? Leonardo — Non so... Caterina — A me sembra che il raso a fiori convenga meglio alla mia età, soprattutto se è chiaro e i fiorel lini... Leonardo — Forse... ma... Caterina — E non credete, amico mio, che sarebbe disdicevole spingere all’eccesso l’ampiezza del guardin fante? Senza dubbio è necessario che una gonnella sia gonfia, altrimenti non sembrerebbe neppure che si è vestite1,; perciò non si deve lesinare sulla circonfe renza d’una veste. O vorreste, amico mio, ohe nascon dessi due nastri sotto il guardinfante? Questa moda cadrà: verrà un giorno in cui le dame della nobiltà l’abbandoneranno e le borghesi seguiranno l’esempio. Non lo credete? Leonardo —- Sì, ma... Caterina — Quanto alle pianelle bisogna cnrarne la fattura. E’ dal piede che si giudica una donna, e la vera elegante si riconosce dal modo come calza le sue estre mità. Non siete del mio stesso avviso, amico mio? Leonardo — Sì, ma... Caterina — Fate la vostra sentenza. Io non parlerò più. Leonardo —- Così va bene! (Leggendo e prendendo delle note) Ora, il tutore di detta madamigella, Hugues Thomassin, signore di Piédeloup, ha derubato a detta madamigella il suo™ Caterina — Amico mio, se si deve credere alla mo glie del presidente di Montbadon, il mondo è in piena corruzione e corre verso la rovina. I giovani d’oggidì preferiscono a un onesto matrimonio il commercio delle veochie dame cariche d’oro; e intanto le ragazze vir tuose restano a bocca asciutta. E’ possibile ciò? Rispon detemi, amico mio. Leonardo — Amica mia, abbiate la compiacenza di tacere un momento, oppure andate a parlare altrove. Io non capisco più niente. Caterina — State tranquillo, amico mio : non dirò più una parola. Leonardo — Alla buon’ora! (Scrivendo) «Il detto signore di Piédeloup, tanto in falciatura di prati che in ceste di mele... ». Caterina — Amico mio, quest’oggi avremo per cena un ammorsellato di montone e il resto dell’oca che ci è stata regalata da un cliente. E’ abbastanza, vero? Io detesto la spilorceria ed amo l’abbondanza della tavola, ma a che serve comprar roba quando ce ne portano a sufficienza quelli che han bisogno della vostra giustizia? La vita è diventata assai costosa. Al mercato del pol lame, a quello delle erbe, dal beccaio, dal fruttivendolo, tutto è talmente rincarato, che ben presto sarà miglior partito ordinare i pasti alla locanda. Leonardo — Ve ne prego... (Scrivendo) «Orfana dalla nascita... ». Caterina — Vedrete che non passerà molto tempo dbe arriveremo anche a questo. Un cappone, una per nice, una lepre, costano meno, lardellati e arrostiti, che a comprarli vivi al mercato. E ciò perchè i rosticceri, che li prendono all’ingrosso, li hanno a minor prezzo e possono rivenderli vantaggiosamente. Con questo non voglio dire che bisogna far venire le nostre pietanze dal rosticcere; è sempre preferibile far bollire la mar mitta in casa propria; ma quando s’invitano amici, quando s’offre un pranzo a persone di riguardo, la cosa più spicciativa e meno dispendiosa è di ordinare il pranzo fuori. I rosticceri, i pasticceri, in meno di una ora, vi preparano un pranzo per dodici, per venti, per ANATOLE FRANCE cinquanta persone; il rosticcere vi fornisce la carne e il pollame, il cuoco la galantina, le salse, i manicaretti; il pasticcere le paste, le torte, gli antipasti, le frutta. E’ una gran comodità. Non siete anche voi di questo avviso. Leonardo? Leonardo — Di grazia, amica mia! Caterina — Del resto non bisogna stupirsi se tutto rincara. Il lusso della tavola diventa ogni giorno più insolente. Quando s’invita un parente o un amico non ci si contenta più dei soliti tre serviti, bollito, arrosto, frutta; si vuole ancora vivande di cinque o sei dif ferenti maniere, con parecchie salse, ammorsellati e prodotti di pasticceria da farne un vero guazzabuglio. Non credete che tutto ciò sia eccessivo, amico mio? Io non concepisco il piacere che si trova a impinzarsi di tanti cibi. Non già ch’io disdegni i buoni piatti; anzi, sono buongustaia. Mi contento di poco, purché sia squi sito. Soprattutto, mi piacciono i rognoni di galletto e le cime dei carciofi. E voi, Leonardo, non avete un debole per la trippa e i sanguinacci? Vergogna, prefe rire i sanguinacci! Leonardo (prendendosi la testa nelle mani) — Io di vento matto ! Sento che divento matto ! •Caterina — Amico mio, non dirò più niente, perchè parlando potrei disturbare il vostro lavoro. Leonardo — Meno male che lo capite! Caterina — Non aprirò bocca. Leonardo — A meraviglia! Caterina — Vedete, amico mio, -io non parlo più. •Leonardo — Sì. Caterina •—• Vi lascio lavorare tranquillo. •Leonardo — Sì. •Caterina — E redigere in pace la vostra sentenza. Sarà presto latta? Leonardo -— Non lo sarà mai se voi non tacete. (Scri vendo) «Item, centoventi lire di rendita che questo indegno tutore ha sottratto alla povera orfanella... ». Caterina •— Ascoltate! Zitto! Ascoltate! Mi è parso di sentir gridare «al fuoco! ». ¡Ma forse mi sono ingan nata. Non c’è niente di più spaventevole che un in cendio. Il fuoco è anche più terribile dell’acqua. L’anno passato ho veduto bruciare le case al Ponte del Camino. Ohe disordine! Quanti danni! Gli abitanti gettavano i mobili nel fiume e si precipitavano essi medesimi dalle finestre. Non sapevano più quel òhe si facessero: la paura toglieva loro la ragione. Leonardo — Signore, abbiate pietà di me! Caterina — Perchè vi lagnate, amico ¡mio? Ditemi, che cosa avete? Leonardo — Ho che non ne posso più! Caterina •— Riposatevi, Leonardo. Non bisogna stan carsi così... Non è ragionevole, e avreste torto di... (Leonardo — Ma dunque non tacerete mai? Caterina — Non v’irritate, amico mio. Non par lerò più. Leonardo — Che il cielo lo voglia. Caterina (guardando dalla finestra) — Oh, ecco la si gnora La limine, moglie del procuratore, che si avvicina: porta un cappuccio orlato di seta e un ¡gran mantello color pulce ¡sopra l’abito di broccato. E’ seguita da un lacchè più secco d’un’aringa affumicata. Leonardo, essa •guarda da questa parte: pare che vénga a farci visita. Leonardo, spicciatevi a mettere in ordine le poltrone: bisogna accogliere le persone secondo il loro stato e il loro rango. Ecco che si ferma davanti alla nostra porla. No, passa; è passata. Forse mi sono ingannata; forse non ¡è lei, è iqualcuna che le assomiglia, e che le asso miglia molto, anche. Quando ci penso, son certa ch’era lei, giacché non si trova in tutta Parigi una sola donna così somigliante alla signora La Bruine. Amico mio... amico mio... dite, sareste stato contento che la signora La Bruine ici avesse fatto visita? (Si siede sulla scrivania) Voi non amate le donne ciarliere, ed è una fortuna che non abbiate sposato la signora La Bruine: essa cinguetta come una gazza, e non fa che cicalare dalla mattina alla sera. Che pettegola! E racconta talvolta delle storie che non le fanno certo onore! Leonardo (fuori di sè, sale sulla scala portatile con una tavoletta, si siede su un piuolo di mezzo, e tenta di scrivere). Caterina — Anzitutto enumera tutti i doni che suo ma rito riceve. E’ un conto fastidioso. (Ella sale dall’altra parte della doppia scala e si siede di fronte a Leonardo) •Che cosa può interessare a noi che il procuratore La Bruine riceva tanta selvaggina, tanta farina, tanto pesce, ovvero un solo pan di zucchero? Ma la signora La Bruine si guarda bene dal dire che suo marito ha ricevuto un giorno un gran pasticcio d’Amiens, e che, quando l’aprì, non vi trovò che due corna grosse così! Leonardo — La mia testa scoppia! (Si rifugia sopra l’ar madio con la tavoletta per scrivere e le carte). ¡Caterina (salendo in cima alla scalai - Avete veduto questa procuratrice... giacché alla fin fine essa che cos’è? la moglie d’un procuratore!... Porta un cappuccio rica mato, come una principessa. Non trovate ciò ridicolo? Ma oggi tutti vogliono mettersi al disopra della propria con dizione, gli uomini come le donne. I giovani chierici del palazzo di giustizia vogliono passare per gentiluomini: portano catene d’oro, ciondoli d’oro, cappelli colle piume; ma nonostante ciò si vede bene quel che sono. 'Leonardo (sull’armadio) — Io non rispondo più di me stesso! Mi sento capace di commettere qualunque delitto. (Chiama, urlando) Gilles! Gilles! Gilles! Ah, canaglia! Gilles! Alizona! Gilles! Gilles! (Entra Gilles) Vai subito da quel celebre medico del quadrivio de’ Buci, mastro Simone Colline, e digli che torni all’istante per un’opera zione ben altrimenti necessaria e urgente della prima. Gilles — Subito, signor giudice, (Esce). Caterina — Che avete, amico mio? Sembrate eccitato. E’ forse il tempo che è un po’ troppo pesante? No?... E’ il vento dell’est, non credete? o il pesce che avete man giato a pranzo? Leonardo (dando sull’armadio segni di frenesia) — «Non omnia possumus omnes ». Spetta ai guardaportoni di vuotare i vasi da notte, ai mereiai di misurare col me tro i nastri, ai monaci di mendicare, agli uccelli di «pan- LA COMMEDIA DI COLUI CHE SPOSO UNA DONNA MUTA dere il proprio sterco dappertutto e alle donne di ciancia re sino all’infinito. Ah, come mi pento, pettegola mia, di uverti fatto tagliare il filetto. Ma stai pur tranquilla, quel gran medico tra poco ti renderà più muta di prima. (Prende a bracciate i fascicoli dei processi accumulati sull’armadio dove s’è rifugiato e li scaraventa sulla testa di Caterina, che discende in tutta fretta la scala, e, spa ventata, fugge dalla scala interna, gridando). Caterina — Aiuto! Mi ammazza! Mio marito è diven tato matto! Aiuto! Leonardo — Alizona! Alizona! (Entra Alizona). Alizona — Ma che è vita, questa! Signore, siete dun que diventato un assassino? Leonardo —- Alizona, seguitela, statele sempre vicino, e non lasciatela scendere. Se vi è cara la vita, Alizona, non lasciatela scendere! Giacché se la sento ancora par lare io divento idrofobo e potrei uccidervi tutt’e due! Andate! (Alizona sale le scale). Mastro Adamo —- Permettete, signor giudice, che per intenerire il vostro cuore e commuovere le vostre visce re, io vi presenti questa povera orfanella che, privata dei suoi beni da un tutore avido, implora la vostra giustizia. I suoi occhi parleranno alla vostra anima meglio della sua voce. La signorina della Garandière vi porta le sue preghiere e le sue lacrime: vi aggiunge un prosciutto, due pasticci d’anitra, un’oca e due mùggine, ed osa spe rare, in cambio, una sentenza favorevole. Leonardo — Signorina, il vostro caso mi sta molto a cuore. Avete qualche altra cosa da aggiungere per la difesa della vostra causa? Madamigella della Garandière — Voi siete troppo buono, signor giudice: io mi rimetto a quanto ha detto il mio avvocato. Leonardo —- flE? tutto quel che avete da dire? Madamigella della Garandière — Sì, signor giudice. Leonardo — Essa parla poco, ma bene. Questa orfa nella è commovente. (Al servo) Portate eotesta roba in cucina. (Il servo esce. A mastro Adamo) Mastro Adamo, quando voi siete entrato stavo appunto redigendo la sen tenza che emetterò tra breve sulla causa di questa fan ciulla. (Discende dall’armadio). Mastro Adamo — Come, è ®u quell’armadio che voi studiate le cause? Leonardo — Io non so più dove mi trovo! Ho la testa malata! Volete sentire la sentenza? Ho per l’appunto bisogno di rileggerla: (Leggendo) «Attesoché madami gella della Garandière, orfana di nascita, ha sottratto fraudolentemente e con premeditazione al signor Piédeloup suo tutore, dieci falciature di prato, ottanta libbre di pesce idi stagno... attesoché non c’è niente di più spaven tevole che un incendio... attesoché il signor procuratore ha ricevuto un pasticcio d’Amiens, dentro il quale c’erano due corna... Mastro Adamo — O cielo! Ma die co-sa leggete, si gnor giudice? Leonardo — iNon me lo domandate. iNon ho più la testa a posto. Mi pare Che un diavolo, da idue ore, mi tenga il cervello stretto in un mortaio. Sono diventato idiota... E per colpa vostra, mastro Adamo Fumèe... Se quel buon medico non avesse ridato la favella a mia moglie... Mastro Adamo — Non incolpate me, signor Leonardo, io vi avevo prevenuto. Vi avevo detto che bisognava pen sarci due volte prima di far sciogliere la lingua a una donna. Leonardo — Ah, mastro Adamo Fumèe, come rim piango il tempo in cui Caterina era muta! No, la natura non ha flagello più terribile d’una donna linguacciuta. Ma 10 spero bene che i dottori revocheranno il loro crudele benefizio. Li ho fatti chiamare, ed ecco, per l’appunto, 11 chirurgo. (Entrano mastro Giovanni Maugier, poi ma stro Simone Colline e mastro Serafino Dulaurier, seguiti da due garzoncelli di farmacia). Mastro Giovanni — Signor giudice, ho l’onore di sa lutarvi. Ecco mastro Simone Colline che giunge sulla sua mula, seguito da mastro Serafino Dulaurier, lo speziale. Intorno a lui si riunisce una popolazione idolatra; le cameriste, succingendo le gonnelle, e gli sguatteri, che recano una cesta sulla testa, gli fanno ala. (Entra mastro Simone Colline, col seguito) Oh, è giusto che mastro Simone Colline formi l’ammirazione del popolo quando va per la città indossando la toga, il berretto quadro, lo zamberlucco e la baverina. Oh, bisogna esser riconoscenti a questi buoni dottori che lavorano a conservarci la sa lute e a curarci nelle... Mastro Simone — Basta, mastro Giovanni; basta, avete parlato giustamente e a sufficienza. Leonardo. — Mastro Simone Colline, io avevo urgenza di vedervi. Ho bisogno sull’istante del vostro ministero. Mastro Simone — Ber voi, signore? Qual è il vostro male? Dove soffrite? Leonardo — Non per me; per mia moglie. Quella che era muta. Mastro Simone — Soffre essa per qualche indisposi zione? Leonardo — Lei no. Io sono indisposto. Mastro Simone —■Come? L’indisposto siete voi ed è vostra moglie dhe volete guarire? Leonardo —• Mastro Simone Colline, essa parla troppo. Bisognava, sì, darle la parola, ma non così tanta. Dacché vai l’avete guarita dal suo mutismo essa mi fa impazzire. Io non posso più sentirla. E vi ho chiamato per farmela ridiventare muta. Mastro Simone — E’ impossibile. 'Leonardo — ¡Ohe dite? Voi non potete toglierle la pa rola che le avete dato? Mastro Simone —- No, che non lo posso. La mia arte è grande, ma non giunge sino a tanto. Mastro Giovanni — Sì, ci è impossibile. Mastro Serafino — Ogni cura riuscirebbe vana. Mastro Simone — Noi abbiamo dei rimedi efficacis simi per far parlare le donne; ma non ne abbiamo nes suno per farle tacere. Leonardo — Che cosa mi dite? Non ne avete proprio nessuno? Ma voi mi fate disperare, «ignori! Mastro Simone — Ahimè, signor giudice!, non c’è elisire, balsamo, magistero, oppiato, unguento, empiastro, topico, elettuario, o panacèa per guarire nella donna la intemperanza della glottide. La teriaca e l’orvetiano non ANATOLE FRANCE hanno alcuna virtù in simili casi, e tutte le erbe descritte da Dioscoride opererebbero senza risultato. Leonardo — Dite il vero? Mastro Simone — Voi mi offendereste, signore, dubi tandone. Leonardo — In questo caso, io sono perduto. Non mi resta che appendermi una pietra al collo e gettarmi nella Senna. Io non posso più vivere tra questo baccano. Se non volete che mi anneghi sull’istante, bisogna, signori medici, che mi troviate un rimedio. Mastro Simone — Non ce n’è nessuno, vi ho detto, per per vostra moglie, Ma ce ne sarebbe uno per voi, «e con sentite a prenderlo. Leonarddo — Spiegatevi, ve ne prego. Voi mi ridate la speranza. Mastro Simone — Al troppo parlare della moglie non esiste che un solo ed unico rimedio : la sordità del marito. Leonardo — Che cosa intendete dire? Mastro Simone — Intendo dire quel che ho detto. Mastro Adamo — Ma non avete capito? E’ la più bella invenzione del mondo. Non potendo rendere vostra mo glie muta, questo gran medico si offre a far diventare voi sordo. Leonardo — Completamente sordo? Mastro Simone —- Senza dubbio. Io vi guarirò solle citamente e radicalmente dall’incontinenza verbosa di vo stra moglie con la còfosi. Leonardo — Con KTeofosi? E che cos’è la còfosi? ¡Mastro Simone — E’ quel che si chiama volgarmente la sordità. Trovate qualche inconveniente a diventar sordo? Leonardo —Certo che ne trovo; e mi sembra che ce ne siano parecchi. Mastro Giovanni — Credete? 'Mastro Serafino — Quali? Mastro Simone — Voi siete giudice: quale inconve niente può derivare dal fatto che un giudice sia sordo? Mastro Adamo — Nessuno. Mi si può credere: sono avvocato. Nessun inconveniente. Mastro Simone — Qual danno la vostra sordità può cagionare alla giustizia? Mastro Adamo — Nessun danno. Al contrario, il si gnor Leonardo Botai non sentirebbe più nè le difese degli avvocati nè le lamentele dei contendenti, e non ri schierebbe così d’essere ingannato dalle menzogne. Leonardo -— E’ vero. Mastro Adamo — E ¡giudicherà solamente col proprio senno. Leonardo — E’ possibile? Mastro Adamo — Non c’è dubbio. Leonardo — Ma come si opera quella... Mastro Giovanni — Guarigione. Mastro Simone — La còfosi o sordità si può ottenere in parecchie maniere. Si ottiene sia con l’otorrea, sia con gli orecchioni, sia con la sclerosi dell’orecchio, sia con l’otite, oppure con l’anchilosi degli ossicini. Ma questi diversi modi son lunghi e dolorosi. Leonardo — Li respingo!... li respingo con tutte le forze. Mastro Simone — Avete ragione. Val meglio ottenere la còfosi con l’influenza d’una certa polvere bianca che ho nella mia borsa: una piccola presa, introdotta nell’o recchio, basta a rendervi sordo come un orciolo, o come il cielo nei suoi ¡giorni di collera. Leonardo — Grazie tante, mastro Simone Colline: ser bate la vostra polvere. Io non voglio diventai sordo. Mastro Simone — Come? Non volete diventar sordo? Come? Voi respingete la còfosi? Fuggite la guarigione che imploravate dianzi? E? uno spettacolo troppo fre quente e fatto apposta per cospargere di dolore l’anima di un onesto medico, quello di vedere un malato indo cile ohe respinge il rimedio salutare... Mastro Giovanni — Che si sottrae alle cure che alle vierebbero le sue sofferenze... Mastro Serafino — ...E rifiuta la ¡guarigione. Mastro Adamo — Non vi decidete così presto, signor Leonardo Botai, e non respingete così deliberatamente un male Che vi preserva da un male maggiore. Leonardo — No, non voglio diventar sordo; non vo glio di cotesta polvere. Alizona (si affaccia sulla scala tappandosi le orecchie) — Io non ci reggo più! La mia testa scoppia! Non è umanamente possibile udire una tale fiumana di parole! Non la smette più! Mi par d’essere da due ore nella ruota d’un mulino! Leonardo — Disgraziata! Non lasciatela discendere! Alizona! Gilles! iChiudetela! Chiudetela a chiave nella sua stanza! Mastro Adamo -— Oh, signore, ma che cosa dite?! Madamigella della Garandière — Oh, signore, con che cuore vorreste sequestrare quella povera signora? (Entra Caterina). ¡Caterina — Che bella e numerosa compagnia! Vi son serva, signori! (Fa la riverenza). Mastro Simone — Ebbene, signora, non siete contenta di noi? Non vi abbiamo ben sciolta la lingua? ¡Caterina — Abbastanza, signori, e ve ne sono ricono scentissima. Nei primi momenti non potevo articolar bene le parole; ora invece parlo con sufficiente facilità. Ma ne uso moderatamente, giacché una donna ciarliera è un flagello domestico. Io sarei desolata, signori, se voi mi sospettaste di loquacità e se pensaste che una folle mania di discorrere mi divori. Perciò vi chiedo licenza di giustificarmi subito agli occhi di mio marito, il quale, non so su quale apparenza, predisposto contro di me, ha potuto pensare che le mie parole gli cagionassero delle fastidiose distrazioni mentre redigeva nna sentenza... Era una sentenza in favore di una giovane orfana, privata nel fiore degli anni dei suoi genitori. Ma non importa. 10 ero seduta accanto a lui e non gli rivolgevo, si ¡può dire, la parola. Il mio solo discorso era costituito dalla mia presenza. Un marito può lamentarsi di questo? Può trovar deplorevole che una sposa se ne stia accanto a lui e ricerchi la sua compagnia, com’è suo dovere? (Al marito) Più ci ¡penso e meno posso concepire la vostra impazienza. Quale ne è la causa? Cessate d’accampare 11 pretesto del mio chiacchiericcio. Amico mio, bisogna che voi abbiate contro di me qualche torto che io ignoro, e vi prego perciò di dirmelo. Voi mi dovete una spie gazione, e quando saprò la causa della vostra collera, LA COMMEDIA DI COLUI CHE SPOSÒ UNA DONNA MUTA farò in maniera di risparmiarvi per l’avvenire la contra Caterina — Ma lo farò sentire bene io. rietà che mi avete fatto conoscere, giacché mi sta assai ■Mastro Simone — Voi non otterrete alcun risultato, a cuore evitarvi ogni motivo di malcontento. Mia madre signora. E’ impossibile. diceva: «Fra marito e moglie non ci debbono essere Caterina — Lo vedrete... (Al marito) Amico mio, mio misteri ». E aveva ragione. Spesso un marito e una mo adorato, mio amore, mio cuore, mia metà... Non mi sen glie, per non essersi confidati, l’uno con l’altra, hanno tite? (Lo scuote) Stordito! Erode! Barbablù! Cornuto! attirato sulla loro casa e su se stessi le più terribili ca Leonardo •— E’ vero che non la sento più nelle orec tastrofi. Come è accaduto alla moglie del presidente di Beaupréau. Per fare una piacevole burla a suo marito, chie; ma la sento anche troppo nei bracci, nelle spalle, essa pensò di rinchiudere in una cassa ch’era nella sua nella schiena. Mastro Simone — Essa diventa idrofoba. camera un porcellino da latte. Il marito lo sente grugnire Leonardo —- Fuggiamo! Fuggiamo! Mi ha morso, e mi e, credendolo un amante nascosto, afferra una spada e colpisce al cuore la consorte prima di udire le spiega sento diventare idrofobo come lei. (Si ode, di fuori, il zioni dell’infelice donna. Ora giudicate voi quale fu la canto del cieco). I l Cieco (entra nella sala, cantando): sua sorpresa e la sua disperazione quando aprì la cassa. Avvinti sotto braccio, Questo episodio dimostra che non bisogna lasciarsi tra sportare dall’ira, anche quando si crede di aver ragione. Andando verso il fiume, Voi potete spiegarvi davanti a questi signori, lo non Lerallà ! ho alcun torto da rimproverarmi, e tutto quel che voi Avvinti sotto braccio, potrete dire non farà che rendere più manifesta la mia Andando verso il fiume, innocenza. Trovammo la mugnaia, Leonardo (che già da qualche istante tenta invano con Che con noi ballò. gesti e grida d’arrestare le parole di Caterina, e che ha Lerallò! già dato segni d’uà’estrema impazienza) — La polvere! Trovammo la mugnaia, La polvere! Mastro Simone Colline, per pietà, la vostra Che con noi ballò! polvere, la vostra polvere bianca! (Caterina e Leonardo, cantando e danzando, vanno a Mastro Simone — Giammai polvere per render sordi diede miglior risultato di questa. Compiacetevi sedervi mordere tutti i presenti, i quali diventati idrofobi anche su questa seggiola, signor giudice. Mastro Serafino Du- essi, cantano e ballano furiosamente, e non si arrestano laurier v’insufflerà la polvere assordante nelle orecchie. che per dire, per bocca di Leonardo Botai). Leonardo — Signore e signori, scusate gli errori del Mastro Serafino — Ben volentieri, signore. l’autore. Mastro Simone — E’ fatto. Caterina (a mastro Adamo Fumèe) — Fate intender FINE DELLA COMMEDIA ragione a mio marito, signor avvocato. Ditegli che è ne cessario che mi ascolti, che non si condanna una sposa prima di ascoltar la sua difesa; ditegli che non si lan ciano gli incartamenti dei processi sulla testa di una m PROSSIMO FASCICOLO donna — perchè egli m’ha lanciato gl’incartamenti dei processi sulla testa — senza essere a ciò spinti da un vio lento impulso di cuore e di animo... Ma no, voglio par largli io stessa. (A Leonardo) Amico mio, rispondete: ho io mancato in qualche cosa? Sono una malvagia donna? Una cattiva moglie? Sono rimasta sempre fe dele ai miei doveri; e vi dirò anche che vi ho amato... Leonardo (con un viso che esprime la beatitudine, tran b i n i l o s i quillamente, si gira i pollici) ■ —- E’ una cosa deliziosa. Non sento più nulla. Caterina — Ascoltatemi, Leonardo : io vi amo tene ramente. Vi offro il mio cuore. Io non sono una di quelle donne leggere e frivole che si affliggono per un non a d d i c e a d nulla, e die con un altro nonnulla si consolano e si rallegrano d’ogni sciocchezza. Io ho bisogno d’affetto. Sono nata così: in età di sette anni avevo nn cagnolino, un grazioso cucciolo giallo... Ma voi non mi ascoltate... Mastro Simone — Non può ascoltare, signora, nè voi E l e t t r a nè alcun altro. Egli non sente più. Caterina — Come? Non sente più? Trilogia in (re parti e dodici quadri di Mastro Simone -— Sì, non ode più per effetto d’un me dicamento che ha preso testé. Mastro Serafino — E che ha prodotto in lui una E U G E N IO © ’ N E 1 E L dolce e sorridente còfosi. I l POETA FANATICO d i G o ld o n i e I MASNADIERI d i S c n ille r : c o m m e d ie r a p p r e s e n t a t e a V e n e z ia i l 29 e 31 l u g l i o . 'fa La Biennale, superando tutte le difficoltà implicite nel momento attuale, tiene nobilmente e permanentemente fede, anche quest’anno, al suo complesso pro gramma d’arte. Mentre si lavora alla organizzazione del Convegno cinematografico e del Settembre musicale, ha avuto inizio, con la prima rappresentazione del Poeta fanatico di Goldoni, il breve ciclo dedicato al teatro di prosa. Com’è ovvio, tutte le manifestazioni in corso di attuazione hanno una base comune: sono cioè partico larmente ispirate, come un patto di alleanza culturale, alla solidarietà d’armi e di sangue italo-germanica : per questo, alla scintillante commedia del poeta veneziano farà seguito uno dei più popolari ed acclamati capo lavori della letteratura drammatica tedesca del secolo XVIII, I Masnadieri di Schiller. Significativa è al ri guardo la presenza alle recite del Direttore generale del Teatro germanico, dott. Schlòsser. Gli spettacoli della Biennale partono da un presup posto estetico che conviene tener sempre presente se si vuole apprezzarne la portata: essi tendono, cioè, ad intonare nei mezzi della regìa e della scenotecnica con temporanee le opere prescelte per la rappresentazione; più 'dhe sulla ricerca assoluta di stile essi si basano sulla sensibilizzazione di determinati elementi esteriori, in relazione, appunto, al gusto moderno; e se ne deriva, evidente, il pericolo di sconfinare in travisamenti discu tibili delle opere, non è men vero òhe si raggiungono effetti di colore ed amplificazioni interessanti e gradite al pubblico. Anche il Poeta fanatico, ambientato dal commediografo in un mondo piccolo borghese, donde la più vivida efficacia parodistica della sua materia co mica, ha subito, pertanto, in questa rappresentazione, la sua fastosa amplificazione coreografica riuscita, però, indubbiamente dilettosa e piacevole all’occhio. Goldoni scrisse questa sua commedia, che ha giusti centonovant’anni, in margine alla fatica insigne delle «Sedici nuove » e mentre stava per passare dal campo di battaglia del Teatro di iSont’Angelo a quello di San Luca ove si consolidò la sua gloria immortale. Se vogliam credere a ciò che ne scrisse egli medesimo nei «Mémoires », egli non la tenne in soverchia conside razione; anzi la riguardò come una delle più deboli sue; nè ad esaminarla oggi senza preconcetti feticisti si può dargli torto; essa ci apparisce infatti priva di uma nità, statica nell’azione e unilaterale, perfino, negli ele menti della sua comicità che si ripetono eguali di atto in atto. Ma il Poeta fanatico, di argomento tutt’altro che nuovo sulla scena italiana e su quella straniera, e che per certe somiglianze non dubbie si direbbe, in parte al meno, derivato da una commedia del ferrarese Girolamo Baruffaldi; venuto immediatamente dopo la furiosa ed astiosa baruffa letteraria scatenata dal Chiari, e dopo l’affermazione del grande scrittore nel confronto col suo buffo rivale, ha un valore specifico, sottaciuto dal l’autore, in quanto riecheggia l’accennata polemica, e ridicoleggiando attraverso quella dei «novelli » le acca- demie, l’accademomania e la versimania del tempo, intende colpire proprio il Chiari nel protagonista Otta vio, tronfio versificatore nello stile detto eroico. Ma v’ha di più: la commedia, nel riprendere la so pita polemica, si serve precisamente delle maschere, care ai rivali del Goldoni perche da costui ripudiate con la sua riforma, per porre in evidenza la incoerenza verbosa e scempia degli atteggiamenti in nome de’ quali egli era stato combattuto; ragione questa per cui non m’è dispiaciuta la accentuazione vivacemente carica turale data alle sconnesserie — piene però, sotto sotto, di malizia furbesca — delle maschere di Brighella e di Arlecchino. Nel 1748 — il Poeta fanatico è del ’51 — s’era costi tuita a Venezia l’Accademia dei Grane.le-rhi. divisa fra la furia sghignazzante e schernitrice di Carlo Gozzi e la bonomia e la comprensione filosofica ed umoristica di Gasparo; da ciò e dal ricordo di quel che per la famiglia, appunto, dei Gozzi, invasata in tutti i suoi componenti, uomini e donne, dal furore delle Muse, il sospetto spesso affacciato che il Goldoni col Poeta fana tico abbia voluto colpire e l’Accademia e, dei Gozzi, almeno Carlo suo nemico. Contro questa supposizione e l’ipotesi della derivazione dal Baruffaldi sembra stare l’affermazione del poeta che egli si servì, al suo scopo, di tipi e di fatti osservati dal vero, ma l’una cosa, a parte la inevitabile reticenza, non esclude l’altra. Certo la commedia, nelle sue intenzioni satiriche e nella si gnificativa contrapposizione Iche vi si fa tra l’aecademismo dei poeti paludati, pretensiosi e fatui, e la poe sia limpida, spontanea e semplice degli improvvisatori vernacoli — allusione evidente alla poesia propria del l’autore — fu pel suo tempo una commedia letteraria a chiave; onde, come avviene in genere per le opere d’arte a chiave, la sua intrinseca debolezza postuma e la scarsa presa esercitata sul pubblico, dopo il primo battesimo, e fino all’esumazione tentata da Ferruccio Benini; con che non si vuol dire che l’abile congegno delle strampalerie rimate che le sostiene non diverta ancora e non induca spontaneamente al riso. Divertì infatti e indusse alla più schietta ilarità, grazie ad una recitazione ricca di coloriti e talora intenzionalmente rivolta, per certe intonazioni, alla farsa. L’allestimento del Poeta fanatico è stato affidato dalla Biennale al regista Orazio Costa il quale ha dovuto superare una prima difficoltà. La commedia e una com media da camera, e si svolge tutta in interni di modeste proporzioni: come trasportarla all’aperto e darle il tono conveniente, e non lasciarla evaporare? S’è rimediato con la costruzione dì un vero e proprio palcoscenico a ridosso della esedra colonnata del Padiglione delle arti decorative, a SantTllena, che gli ha imposto il suo elegante andamento curvilineo; e con un sistema di piattaforme girevoli, inquadrate da due larghe quinte, s’è ottenuto un movimento di pareti rococò idoneo alla rapida formazione e successione delle scene, ideate da Valeria Costa e realizzate da Emilio Toti. Il Costa s’è servito, poi, con molta intelligenza, della Compagnia messa a sua disposizione, conducendo gli interpreti ad un lepido e animato concerto caricaturale: da ricordare Annibaie Ninchi nella parte svagata e truculenta insieme di Ottavio; il Baseggio comicissimo in quella di Brighella servo di Ottavio ed inventor di ottave balzane; il Ludovici, Arlecchino di eccellenti risorse, il Tornmei nella parte tutta veneziana di To nino, il Crast (Lelio) e Gino Sabbatini sospiroso ma oculato ed assennato Fiorindo. Danliela 'Palmer, Èva Ma gni e Andreina Carli sono state bravissime nelle rispet tive vesti di Rosaura, Beatrice e Corallina. ¡La recita zione del Poeta fanatico, con la profluvie di composi zioni poetiche declamate da quasi tutti i personaggi, può ingenerare, a non controllarle e caratterizzarle una per una, una pericolosa monotonia; il Costa è riescilo con giusta differenziazione ad evitare tale pericolo. Le tornate dell’Accademia al secondo e al terzo atto ed il richiamo di Ottavio ai sonatori ed alla loro sinfo nia alla fine del secondo atto, hanno fornito il pretesto al regista per sbizzarrirsi nella introduzione di balletti e di musiche di un gusto prettamente moderno e corri spondente alla intenzionalità della interpretazione; il Costa ha fatto di più, ha fatto recitare cantando perfino qualcuno degli attori, ¡dando qua e là alla commedia, con una licenza ragionevolmente ostica ai goldoniani puri, il tono di «vaudeville ». Le musiche di Gino Gorini, di un cristallino e ben dosato sinfonismo, sono state molto apprezzate ed applaudite. I costumi, dise gnati anche questi da Valeria Costa, concorrono all’in tonazione generale, piuttosto accesa, dello ¡spettacolo accolto, dal fittissimo pubblico che gremiva tutti i posti, con clamorosi applausi dopo ogni atto ed alla chiusura delle scene di effetto più immediato. ★ Da quante decine d’anni non si rappresentavano 1 Masnadieri in Italia? Da quando il Maffei, dopo averlo così roboantemente tradotto, lo ridusse a libretto d’o pera per Verdi, le edizioni del celebre capolavoro schilleriano sulla nostra scena si mantennero scarse e senza continuità, non ostante il partito ic'he gli attori di grido potevano trarne; indice evidente delle difficoltà cli’esso medesimo sempre oppose alla sua realizzazione, con il massiccio della composizione, con l’esuberanza delle pro porzioni, con l’incalzare dei suoi numerosi episodi che, distribuiti nei lunghissimi e pletorici cinque atti, do mandano un allestimento complicato e pesante. La sua stessa intelaiatura drammatica raggruppata in due gruppi alterni di azione attorno a due antagonisti di egual for midabile risalto, i quali mai si incontrano fra loro, rese impossibile alle Compagnie di giro raffrontarne le esi genze immense: che raramente esse si trovarono in con dizione di assegnare le due monumentali parti di Carlo e Francesco Moor a due attori di eguale levatura e di egual capacità. Ben si spiega, dunque, indipendentemente da ogni altra considerazione, Tinteresse suscitato dalla iniziativa della Biennale; sotto l’aspetto culturale e spe rimentale si può dire che questa edizione de I Masna dieri costituisca lo spettacolo di gran lunga più istrut tivo fra quelli organizzati dall’Istituto veneziano. Quando si parla di Schiller e de I Masnadieri riaffio rano le circostanze, dirò così biografiche, che contrasse gnarono gl’inizi della vita artistica del grandissimo poeta tedesco e la nascita di questo poema che gli procurò di colpo celebrità e fastidi, e nel quale ¡si vuol generalmente vedere il grido di rivolta di un giovane pensatore esal tato dalla lettura di Shakespeare, di Rousseau e di Goe the, contro la tirannia del potere politico feudale che pretendeva di tenerlo schiavo nei lacci indissolubili di una carriera militare obbligatoria. In senso più lato, Schiller e I Masnadieri esprimono quella cultura filoso fica sociale ed artistica e quello stato d’animo passsionale che rispecchiarono, in Germania, lo ¡spirito rivolu zionario del tempo; tale interpretazione del capolavoro fu data concordemente dagli uomini di Governo che per seguitarono, perciò, l’autore e la sua prima opera di teatro ; dalle folle che accogliendola con frenetico entu siasmo se ne immedesimarono l’anelito confondendolo con le proprie aspirazioni; e perfino dalla Convenzione di Parigi che nel 1792, dieci anni dopo il clamoroso bat tesimo nel teatro di Mannheim, proclamò Schiller, in sieme ad altri sedici stranieri «amici della libertà e della fratellanza », cittadino francese, senza prevedere ch’egli sarebbe divenuto uno degli eroi e dea santi di quel mo vimento culturale di assalto e di penetrazione (Sturm und firang) ohe rinnovò l’intelligenza dèlia nazione germanica e fie sancì nel mondo la figura spirituale uni taria. .Oggi tutto ciò non è che storia; storia a cui I Ma snadieri sopravvivono non per ciò che significarono polemicamente allorché comparvero, ma per l’afflato di poesia universale, per il palpito lirico che ancora ,ne arroventa la sostanza drammatica. Il carattere romantico della quale (da non confondere col romanticismo pro grammatico germanico del secolo XVIII verso cui Schil ler fu, anzi, in opposizione) può bensì farci sorridere con molti dei suoi particolari oramai incompatibili con la nostra sensibilità; con le spasmodiche esagerazioni del chiaroscuro dei personaggi principali, con la ingenuità di certi trapassi dell’azione; ma non diminuire la impo nenza delle linee maestre dell’opera e la presa dantesca della sua umanità travagliata e lutulenta. Grosso modo ci accade, ascoltando I Masnadieri, quel che ci accade ascoltando il Trovatore; l’essenza della loro inesauribile vitalità è comune e si comprende benissimo che prima di volgersi a Shakespeare, Giuseppe Verdi trovasse in Schiller il presupposto della sua musica più tempestosa e più tesa. , Il compito di metter in scena I Masnadieri aH’aperto in un recinto d’alberi dei giardini della Biennale, è toc cato a Guido Salvini; terribile compito, non potendo di sporre di un palcoscenico e ¡della sua attrezzatura, a cui il regista ha pensato di adempiere con accorgimenti in parte, almeno, già sperimentati nell’allestimento di Giu lietta e Romeo nel cortile di Palazzo Foscari. Anziché semplificare, prese a una a una le indicazioni scenogra fiche, riducendo del pari il peso delle quattordici mu tazioni meccaniche suggerite dal testo, egli ha immagi nato di presentare allo spettatore il complesso dei luoghi dell’azione ripartendoli su tre podi, destinati i due laterali alle 9cene che anche nel dramma si svolgono all’aperto, destinato, invece, quello centrale alla rotazione degli interni. A questa proiezione orizzontale del poema schilleriano, il Salvini ha aggiunto una proiezione scenica verticale interpretativa, addirittura, del valore etico dell’opera: ponendo in basso tre caverne per la recitazione delle scene dominate dall’orrore e dal l’odio; mentre i luoghi sovrastanti sono riservati alle scene ispirate dai sentimenti più nobili e più gene rosi. Non saprei dire quanto questa simbologia visiva risulti evidente: non credo tuttavia che la presenta zione quasi contemporanea su un vasto quadro pla stico della topografia scenica aiuti a comprendere meglio un’opera drammatica la cui vita e il cui mistero sono sempre ¡connessi alla evoluzione degli ambienti non meno òhe alla evoluzione dei fatti e delle idee. Il concetto di Guido Salvini è stato realizzato, con l’audacia costruttiva che gli è propria, da Aldo Calvo, suo inseparabile colla- boratore. Nella regìa, intesa in senso globale, di Salvini c’è sempre un nobilissimo sforzo di superamento e di estrinsecazione, influenzato però dalla tendenza al mac chinoso e ad un soggettivismo interpretativo talora in contrasto con l’evidenza, anzi con l’immanenza dell’opera allestita. Vi sono drammi che parlano da sè: aperti alla più immediata comprensione; I Masnadieri è di questi, come dimostrano i suoi folgoranti successi popolari; e in tali casi la regìa dovrebbe evitare sovrapposizioni non necessarie. La recitazione del capolavoro schilleriano è stata af fidata ad un complesso eccezionale d’attori. La parte di Carlo Moor, il giovane idealista che la perfidia del fra tello e la disperazione spingono al delitto ed al sovver timento dell’ordine sociale, nella persuasione di correre dietro alle seduzioni di una vendicativa ma generosa giu stizia superiore, è stata affidata a Renzo Ricci; quella di Francesco Moor, intessuta di reale ribalderia, di cinica perfìdia, di bassezza morale, di repugnante pessimismo, di codardia feroce, è toccata al Benassi; entrambi questi valentissimi attori hanno scolpito pezzo a pezzo, con grande efficacia e con sicuro rilievo i loro personaggi senza diminuirne così nel bene come nel male gli impeti primordiali; Laura Adani rese la dolcezza e l’amore, già così convenzionali, di Amalia con ^,1 patetico ricco di grazia e 'di pietà. Anche tutti gli altri interpreti — e sa rebbe troppo lungo nominarli partitamente — sono ap parsi all’altezza del loro compito. Felice e suggestiva la coralità di talune scene tra i briganti. Il dramma, pur con i gravi sacrifìci e i molti adatta menti suggeriti dalla sua lunghezza, che incide sul suo lirismo e sui suoi adattamenti filosofici, è risultato in tegro nella forza delle sue situazioni, nella bellezza della sua eloquenza che il calore differenzia sempre dalla rettorica, nella pienezza, infine, del dolore che l’attanaglia, suscitando ondate di commozione e di applausi. Lo spet tacolo si è giovato della consueta ricchezza veneziana e del pittoresco dei costumi, nonché del gioco complesso e suggestivo delle luci. Di grande effetto è riuscita la fin zione dell’incendio del castello dei Moor. Nel melo dramma la parte musicale è costituta da brani tratti dalle sinfonie di Beethoven e da alcuni eccellenti canti corali composti dal maestro Sante Zanon. Alla regìa hanno con corso come aiutanti alcuni allievi -dell’Accademia d’Arte drammatica di Roma; altri allievi dell’Accademia hanno partecipato all’azione scenica come capi gruppo delle masse, disciplinandone e conducendone i movimenti. Così gli spettacoli della Biennale, dotati di mezzi d’eccezione, adempiono anche, nella pratica, ad una funzione educa tiva ed addestrativa di chiara importanza. La rappresentazione ha dato luogo ad un’austera ma cordiale manifestazione italo-tedesca, per la presenza del Ministro dell’Educazione Nazionale Bottai, dell’Ambascia tore Von Mackensen, del direttore del teatro germanico dott. Sehlosser e del direttore del teatro italiano De Pirro. Gli ospiti (germanici furono vivamente applauditi e fe steggiati. Erano presenti i Duchi di Genova, il presidente della Biennale conte Volpi di Misurata e il segretario generale Marami, numerosi Accademici e una folla di personalità dell’arte e del mondo politico convenuti da tutta Italia. Lo spettacolo ha riportato un successo clamoroso ; i re gisti, gli interpreti, gli scenografi e tutta la massa im pegnata dei loro collaboratori sono stati ripetutamente acclamati alle luci della ribalta. G ino D a m e rin i C Q Á / m f ü l E ir -La sera del 30 luglio, al Teatro Eliseo di Roma, la Compagnia del Teatro delle Arti, diretta da Anton Giulio Bragaglia — recitando fuori sede secondo la consuetudine estiva — ha rappresentato la commedia di Edwin Cerio Il caso della signorina Springfield. «E’ una vicenda grottesca imbastita su un motivo ne crologico ; si svolge a Capri, nel tempo presente. Le ceneri di una signorina irlandese, affidate a una ” fìlantropa ”, devono essere degnamente sepolte nell’isola, secondo i voti più ardenti dell’estinta. Ma nel cimitero cattolico non è possibile, avendo la cremazione del cadavere an nullata la religione della defunta; nel cimitero acattolico è parimenti impossibile accogliere la richiesta della ” fì lantropa ” essendo la morta di religione cattolica. Se fos sero state le ceneri di un eroe, sarebbe stato facile di sperderle sulle onde; ma i resti mortali di una povera donna bisogna pur sistemarli in un posto ben definito, e nei termini prescritti dalla legge. E poiché nessuna tomba vuol degnamente accogliere quel pugno di ceneri, lo spettro della stessa defunta andrà, di notte, a pren derle e portarle con sé. La caprense vicenda, da un avvìo farsesco e parodistico, si conclude con una visione da Piccola città. «I tre atti del Cerio non hanno mancato di suscitare più volte l’ilarità, battute umoristiche e situazioni co miche non difettano. Ma l’estro satirico dell’autore si esercita su un motivo che non ci sembra di grande at tualità, così che l’aspetto grave e -pensoso del lavoro — ohe il Cerio ha voluto -definire ” dramma ” sia pure in tre farse — è sfuggito, o quasi, all’estiva platea. L’atten zione -della quale ha preferito soffermarsi sulla mac chietta della guardia municipale piuttosto che sulle mo ralistiche considerazioni dell’incompresa e ingiustamente bistrattata signora Carter ” fìlantropa ” . «L’interpretazione è stata efficace; tutti — dalla Volonghi al Delfini, allo Scepi, al Diaz, al Della Noce, per dire solo di alcuni — sono stati volenterosi. Applausi alla fine di ogni atto ». ^ La sera del 29 luglio, al Teatro Nuovo di Milano, la Compagnia degli «Spettacoli Errepi », ha ripreso — per la quinta settimana della Festa della Prosa — la rivista di Falconi e Biancoli: Triangoli. Questa rivista a suo tempo piacque ed ebbe gran nu mero di repliche: è varia, gaia, garbata, spesso trapunta di fine umorismo, e tra -danze, canti-cori, piccole scene di genere riesce sempre a divertire. Anche a questa ri presa eccezionale, come al suo primo apparire, si è avvalsa poi di attori di eccezione, e basta nominare fra essi Luigi Carini, Luigi -Cimara, Isa Pola. Rinnovata in moltissime parti, ringiovanita e rinvigorita, sostenuta da suadenti musichette di Ermete Liberati nella nuova ri duzione musicale di Luigi Malatesta, messinscena su originali bozzetti e figurini di Onorato, ritmata accor tamente dalla regìa di Luciano Ramo, essa è stata viva mente applaudita alla fine idei -due tempi e spesso a scena aperta. Immaginate Luigi Carini cantare e prestidi gitare, qui nella parte di un don Abbondio del tutto riveduto e corretto e là in quella -di Re Sole; Luigi Cimara, ridivenuto «amoroso» per forza, ora nella parte di moderno Dongiovanni ora in quella di languida mezzaluna sospiroso alle svenevolezze della campanula; Isa Pola, tutta grazia e leggiadrìa', ora nella parte di Ines de Ulloa, ora in quella tutta festante e primaverile di rondine; e arie di vecchie e famose romanze d’opera e stornelli agresti, quadri insomma di un ben do sato brio. Hanno recitato ugualmente bene e cantato e danzato Ernesto Calindri, Giulio Oppi, Nedda Franci, Mirella Pardi, Ave Ninchi, Renata Negri, Tino Carraro, il Ciampini, il Lazzarini. Ma tutti gli esecutori bisognerebbe citare, che tutti hanno contribuito al successo della serata. ^ La sera del primo agosto, al Teatro Eliseo di Roma, la Compagnia del Teatro delle Arti, diretta da Anton Giulio Bragaglia, ha ripreso il dramma di F. Grommelynk Le cocu magnifique, riportando un vivissimo suc cesso. Anton Giulio Bragaglia, presentando questo lavoro che vent’anni fa fu rappresentato come esperimento di «teatro audace », l’ha rimessa a fuoco, invece, nella sua vera essenza, cioè di un capolavoro poeticamente umano. Ed il « dramma » è, infatti, risultato vivo e vitale. L’amore di Bruno e di Stella non si racconta: non si « racconta » mai l’amore. E il poeta canta, nella prima parte dell’opera, che è come un preludio lirico appas sionato, questo totale abbandono che è come una adora zione che trascende il piacere per diventare gioia. Ed è tale la gioia nell’uomo da sembrare pazzia: la bellezza, la purezza della sua donna! Ma come non sentirla in ogni fibra, come non esaltarla, dipingerla! Guardate, guardate, ascoltate! E la mostra. Ed è qui, nello sguardo impuro che sembra posarsi sulla creatura amata, che s’i nizia il suo dramma, il suo tormento, la sua più vera pazzia. « Mi potrebbe tradire... mi ha tradito... ». L’ansia, il disperato furioso inclemente delirio non lo abbandonano più. Sapere, essere finalmente certo. Ma nes suna certezza potrà ormai più avere, nessun sacrificio di lei potrà alleviare il tormento. Nel suo animo le furie scatenate non gli concederanno tregua. Il dramma non si risolve. C’è qualche cosa d’inumano in questa esasperazione d’amore, e maggiormente s’avverte là dove il dramma accoglie le voci del mondo che cir condano il delirante, quel mondo così lontano dal suo tormento, così pianamente normale. E un’obiezione resta da fare: nell’animo di queste creature non vibra mai una nota pietosa: l’amore è troppo tremendamente umano, senz’ombra di pietà cristiana. Adolfo Geri aveva un grande compito da assolvere, ed ha fatto del suo meglio, con le sue giovani forze: è stato applaudito anche a scena aperta per le sue felici disposizioni, per la dimostrazione delle sue possibilità artistiche che non sono poche. Bene la Volonghi, che era Stella, Bonamano e gli altri tutti. Applausi ad ogni atto, ripetuti e convinti da parte del pubblico intelli gente; meraviglia da parte di quel pubblico che non sa peva niente nè del lavoro nè dell’autore. Ma questo pubblico aveva evidentemente sbagliato teatro. La sera del 4 agosto, al Teatro Odeon di Milano, la Compagnia diretta da Giulio Donadio, con Antonella Petrucci, ha ripreso il dramma in tre atti e quattro quadri di Max Dreyer L’età critica, riportando un vivissimo suc cesso. Dice, infatti, Renato Simoni : « Quando questa commedia, che fu molto applaudita (sei o sette chiamate dopo ogni atto e un applauso a scena aperta al Donadio), è apparsa per la prima volta alla ribalta, forse è sembrata un postumo, un po’ meno brutale, del teatro libero. Certo l’autore ha voluto descrivervi drammaticamente una crisi dell’adolescenza. E’ vero che queste crisi dell’adolescenza erano, in quel tempo, rappresentate dal Wedekind con una acerbità nuda e disperata, di fronte alla quale L’età critica diventa una commedia di color di rosa; ma, in ogni modo, Max Dreyer, il tema del ragazzo nuovo al l’amore, incantato da esso per misteriosi presentimenti, l’ha affrontato. In questo ragazzo il risveglio fisico, quel l’ansia o-scura del desiderio che accompagna le prime idealizzazioni dell’anima, mancano. Federico, nell’età c. itica, non ha mai avuto un pensiero impuro. E’ fresco e nuovo e canoro; s’innamora con letizia di una giovanis sima cugina di sua madre. Quando questa Erica, creatura istintiva e ardente, lo bacia per gioco, il primo bacio ch’egli riceve e dà non lo turba, non gli fa intuire de lizie che gli sono ignote; è un episodio idilliaco, una promessa e un patto castissimamente nuziali. «Ma un giorno Federico «’accorge che Erica, che ha giocato con lui, è innamorata di suo padre, Werner, un genialoide che da prima ha ammirato da artista la fio rente bellezza della fanciulla, e poi, tentato da lei, aiz zato da lei, sì lascia travolgere da un impeto di cupidigia e le dà notturno convegno in un villino disabitato poco lontano. Dopo quel bagliore di fiamma, Werner sarebbe disposto a ritornare ad essere l’uomo serio e affezionato alla moglie che è sempre stato. Ma Federico ha udito le parole dell’appuntamento; e la sua fede ingenua, l’im magine pura e felice della vita ch’egli candidamente va gheggiava, sono distrutte. Soffre tormenti indicibili che nessuna esperienza tempera, che altre esperienze non so piscono. Dall’idealità assoluta, egli piomba nell’assoluta disperazione; e perciò va ad uccidersi sulla soglia del villino dove l’orribile tradimento doveva essere con sumato. «Questa parte della commedia è la meno interessante e la più invecchiata, perchè quel ragazzo ha una inno cenza di maniera, una lilialità che sfiora il grottesco, e il suo dolore si esprime o con puerilità di pianto o con parole convenzionalmente femminee. Il ragazzo, in quell’ora della vita in cui avvampa il primo amore, in lui è superficialmente espresso; manca, nel disegno del perso naggio, l’acutezza dell’indagine, manca la complessità del tormento. «Vivo è rimasto il dramma che lo circonda ; un dram ma che sta a mezza via tra Sudermann e Hauptmann, più pencolante verso Sudermann. E5 il dramma di Werner, di sua moglie, di tutta la famiglia. Werner, pittore e musi cista, corre il pericolo di perdere la vista. La perderà se si conturberà, se patirà. Ed ecco che egli, pur non sa pendo che suo figlio ha scoperto la voglia turbinosa che egli ha avuto di Erica, sospetta che di lui Federico sia ingelosito; ma non dà importanza alla tristezza che vede nel figlio, come ad essa non ne dànno la pur amorosis sima madre e l’ambigua Erica. Nessuno dei tre suppone che l’amore possa avere sì tremende radici in un ra gazzo. Sanno che Federico è innamorato di Erica, ma pensano che a quell’età la prima passione sia un gioco di sole e d’ombre, mutevole e lieve. E invece tutti, o colpevoli o incolpevoli, hanno determinato la catastrofe, che poi acceca Werner. La parte più bella del dramma è questa scarsa conoscenza che dell’anima del fan ciullo hanno quelli che gli vogliono più bene; scarsa co noscenza che fa la solitudine intorno a lui e della quale egli è la vittima. <(Il Donadio ha interpretato con sincerità colorata e con vibrata drammaticità la parte di Werner; per quel pec cato-re galantuomo, quel mezzo adultero che adora la moglie vecchia, quel padre tenerissimo e tuttavia, nel l’ora della tentazione, egoista, per quell’infelice che si sente reo della morte del figlio, il Donadio ha trovato espressioni ed accenti vivi e commoventi. Antonella Petrucci ha rappresentato con fresca animazione la inco scienza romantica e sensuale di Erica ». IO litui lettrice ci ha ..«dritto : aNella bella rivista ” Cinema ” leggendo una’^biografia di nberto Melnati, trovo queste parole che vi riguardano : ” Il primo contatto col mondo cine matografico Melnati lo fa a Torino, a diciotto anni, alla Pasquali film, nel tempo del muto. Inteqpreta^ii Figlio! prodigo, del quale era protagonista Lucio Ridenti”. E’ vero? ». vero. A noi stessi sembra oggi impossibile, ima un giorno corremmo questa avventura. Il biografo di Melnati ci colloca «nel tempo del muto » a Torino, quando questa aristocra tica città, che noi molto amiamo, era permeata di celluloide. Anche a quel tempo, un attore di teatro, come noi eravamo, durante il riposo della propria Compagnia, vacanze retribuite con venti lire il giorno, poiché i contratti erano triennali, rifugiandosi a Torino, era Oerto di guadagnarne altre dieci facendo del cinema. Un film durava poco, qualche volta soltanto dieci giorni, e la realizzazione era affidata — come adesso — alle più strane persone, con la sola differenza che il direttore di oggi si chiama regista ed allora (( meUeur ere scène ». Noi conoscemmo il nostro «metteur ere scène » frequentando il Caffè San Carlo, e più esattamente il balconcino di questo caffè, dove uno strano tipo, a nome Agostino Borgatto, trascorreva intere giornate davanti al bicchiere vuoto di un latte-corretto, ingombrando il tondo tavolo di marmo con giornali e libri, matite colorate e stilografica. Borgatto lavorava all’aperto. Non era un uomo da poter passare inosservato: età giudicabile secondo l’umore, poiché i capelli e barba, che aveva foltissimi e incolti, variavano sui vari toni di grigio è bianco secondo se il pettine era stato usato o no. Le labbra aveva grossissime, e sotto gli occhi le lunghe borse di chi conosce la sofferenza dell’insonnia, le lenzuola delle camere d’affitto e le latterie dove si servono anche delle uova. Si sapeva essere un attore, ma avrebbe potuto fare Velettrotecnico o il chiromante: era lo stesso. La sua arte era tuffa nella vitalità di quel molto pelo ; come uomo «già truccato » non era sfuggito a Fiero Fosco, il « mago del cinema » di allora, Ohe se ne era servito in Cabiria e per tutti i derivati di quel film. E questo, allora, era più che sufficiente per essere attore. Al Caffè San Carlo, alle sette di sera, attendevamo di sapere dai vari «segretari » degli innumerevoli capannoni di vetro sparsi alla periferia, chiamati teatri di posa, l’ultima stranezza di Ghione, la più recente prodezza di Maciste, quante rose aveva strappato in un giorno, da vanti alla macchina di presa, Pina Menichelli. Al teatro Carignano, il «mago » Fregoli, reduce dall’America, dava l’ultima «tournée ». Agostino Borgatto, imbastita una trama intitolata «Il figliol prodigo », cercava non un attore che servisse al suo film, nut un giovane che piacesse, come compagno di lavoro, all’in terprete femminile della pellicola, una ragazza alla quale un commerciante di non sappiamo più quali commestibili «voleva togliere il capriccio di fare l’artista». Noi piacemmo alla mocciosa. Si doveva lavorare alla Pasquali film, e la pellicola cominciava l’indoniani. Lavo rammo con Agostino Borgatto una quindicina di giorni, e di questo uomo singolare apprez zammo la cultura e la bontà, conoscemmo, per sue confidenze, la vita tormentata e le umilia zioni; sapemmo di fatti straordinari occorsogli in vari paesi del mondo. Conosceva alcune lingue; ogni cosa lo interessava, ed era convinto che un giorno il cinema avrebbe parlato. In così breve tempo trovammo un nuovo amico ed esaurimmo la pellicola avuta in dotazione. Il film giunse così all’ultimo fotogramma don sopra impresso in due righe aFine. Arrivederci e grazie » tra la maggiore nostra indifferenza e la completa incoscienza della giovinetta alla quule, finalmente, avevano tolto il capriccio di essere diva. Una settimana dopo, sotto i portici di via Viotti, allora malfamata come varie altre tra verse della secentesca via Roma, in una sala per domestiche e militari di bassa forza, il Figliol .prodigo denunciava al pubblico — che non se ne accorgeva — come il nostro cinema fosse in agonia. Fu quella stessa notte che rincontrammo Borgatto, e fino all’alba passeg giammo con lui, ascoltandolo. Ci salutammo infine, noi per andare a dormire e Borgatto per andare ad Hollywood. Era convinto che avrebbe trovato laggiù la ricchezza e la gloria. Da allora, 1919, e fino al 1939, ritornando spettatori al cinematografo, tutte le volte che si proiettava un film con Greta Garbo, eravamo quasi certi di vedere per un attimo Agostino Borgatto, ora come gondoliere, ora contadino, ora gaudente, ora principe indiano. Ma non riuscivamo a capire perchè lavorasse, quale comparsa, solo nelle pellicole di Greta Garbai^ Il mistero ci fu poi svelato, per caso, da un giornale italiano che si pubblica a Nuova York. Una notizia da Hollywood avvertiva che in quella città si era spento un italiano pel quale Greta Garbo aveva particolare benevolenza : certo Agostino Borgatto, inserviente di un reparto della «Metro » comprendente il camerino dell’attrice. rid. ISA MIRANDA, la maggiore nostra interprete cinematografica, inizierà un nuovo film, diretto da Alfredo Guarini: «Documento Z 3». (‘Foto Hwcos) Una scena dì «Il poeta fanatico» di Goldoni, rappresentato a Venezia, con la regìa di Orazio Costa. ISA POLA, LUIGI CIMARA e LUIGI CARINI, nella rivista di Falconi e Biancoli «Triangoli», rappresentata al Teatro Nuovo di Milano, per la «Grande Festa della Prosa». Una scena di «I Masnadieri» di Schiller, rappresentato a Venezia con la regìa di Guido Salvini. MARGHERITA BAGNI, ANNIBALE BETRONE, GIULIO PAOLI e GASTONE CIAPINI, in «L’Arzigogolo» di Benelli, rappresentato ai Teatro Nuovo di Milano, per la «Grande Festa della Prosa i xgg “ Alessandro Magno,, di HansBaumann a l T e a tr o d i S ta to d i B e r lin o G U STAVO G R U N D G EN S n e lla p a r te di A le s s a n d ro Magno In dito: ANTONELLA PETRUCCI e GIULIO DONADIO. In homo: ISABELLA RIVA e ANTONELLA PETRUCCI. Sono due scene dell’ « Età Critica» di Dreyer, rappresentata al Teatro Odeon di Milano. II giovane poeta drammatico Hans Baumann, pro veniente dalle file della « Gioventù Hitleriana », è una delle grandi speranze del teatro germanico. La rappresentazione del suo dramma ha costi tuito uno dei maggiori successi della stagione teatrale berlinese. Hans Baumann si serve idei coro greco, ma non si ferma alVunità di tempo e di luogo, adottando, invece, una tecnica shakespeariana. Il suo lin guaggio, che sfoggia immagini e sentenze rievo canti spesso Vepoca nostra, s’eleva felicemente a un tono corale e di cantata. Molte scene, come quella della cospirazione, della grandiosa adunata e della condanna a morte, assumono un signifi cato simbolico e rivelano un poeta non solo lirico, ma fornito anche di promettenti doti drammati che. Una nuova monumentalità tenta qui di aprir si un varco. Tale monumentalità è apparsa attra verso la grandiosa regia di Gustav Griindgens, che incarnava anche il protagonista, facendone un eletto dal destino. Il coro era costituito da gruppi della «Gioventù Hitleriana ». L’imponente e sug gestivo spettacolo è stato molto applaudito e fer vide ovazioni hanno accolto l’autore, in uniforme d’ufficiale, Griindgens e gli altri eccellenti in terpreti. k < J P f a C o m m e d ia m in t O u n f k a tto d d i La scena è la sala da pranzo in casa del ragioniere Pa-t p e n o n a iig i squale Pezzillo, ar NICOLINO PASTIERA - PA redata con eleganza SQUALE PEZZILLO - BIA e buon gusto. Maria (entra dal GIO SAGRESTANO, ostetrico - GIOVANNI DE LUCA - la destra e dice ad GIORGIO, cameriere - MARIA Assunta che è inten PEZZILLO - TERESA SA ta ad apparecchiare GRESTANO - ELENA DE la tavola per il LUCA - ASSUNTA, cameriera. pranzo) — Sei pron ★ ta, Assunta? Assunta — Tutto A Napoli - Oggi. pronto, signora. Maria (guardando la tavola apparecchiata per sei per sone) — Faremo una bella figura! Assunta — Certamente. Maria •— Bella questa nuova tovaglia... Assunta — Bellissima. (Indicando un fascio di rose che è in un vaso in fondo a destra sulla servante) Stanno bene quelle rose lì sopra? Maria — Sì, stanno bene! Assunta —■Sono belle! Le avrà pagate molto care il signore! Maria — Se pure le avesse pagate mille lire, cosa ci sarebbe di strano? Sono fiori destinati a me, in occasione poi della mia festa! Assunta — Certamente. Maria — Il mio signor marito, potrebbe anche ritor narsene a casa adesso! M’ha detto che m’avrebbe portato l’abito nuovo, ma quando? A momenti arrivano gl’invi tati, bella figura ci farò così combinata (alludendo l’abito che indossa). Assunta —• Vedrete che il signore manterrà la pro messa, vi vuole tanto bene. (Campanello elettrico in terno) Permesso signora! (Esce per il fondo mentre Maria va alla finestra a sinistra e guarda fuori). Pasquale (entra dal fondo e scorgendo Maria alla fine stra, sulla punta dei piedi le si avvicina, e coprendole gli occhi con le mani, la bacia sul volto). Maria (con tono di spavento) — Chi è? (Poi libe randosi dall’abbraccio di Pasquale gli dice ridendo) Sei tu!? Finalmente. Pasquale — Solo adesso sono riuscito a liberarmi! Maria — E’ diventata opprimente questa Banca! Pasquale — E’ vero! Maria (sedendogli vicino amorevolmente) — A causa di quest’impiego non puoi starmi un minuto vicino. Pasquale — Mia cara Maria, il mio non è un impiego qualunque, coprire la carica di vicecassiere... è una re sponsabilità. 2800 lire di stipendio, poi, devi convenire che è un grande aiuto finanziario. & b c / Ò 1* E P P I W O J D E ^ / ò o F IL IP P O Maria — Certamente! E l’abito nuovo me lo hai com prato? Pasquale — Scusami tanto, Maria, ma non ho potuto. Avevo in portafogli solamente cinquecento lire ed allora essendomi ricordato di dover pagare il trimestre antici pato alla Società dei Telefoni, per potere avere in setti mana l’apparecchio, così ho preferito pagare e fra giorni inaugureremo il telefono. In una casetta moderna come la nostra e con tutte le amicizie che abbiamo, il telefono si era reso indispensabile, non ti pare? Maria (poco convinta) — Già! Pasquale (si alza ed avvicinandosi alla parete di fondo a destra) — Lo faremo mettere qui... che ne dici? Maria (distratta) — Cosa? Pasquale — L’apparecchio... il telefono! Maria (c. s.) — Sì... dove vuoi tu! Pasquale (andandole vicino) — Cos’hai, Maria? Maria — Niente! Pasquale ■ — Sei dispiaciuta, perchè non t’ho com prato l’abito che ti avevo promesso? Maria — No! Pasquale — Hai ragione. Ma sai... non avevo il danaro sufficiente. Stai tranquilla però, che manterrò la promessa! Del resto, il regalo per il tuo compleanno te l’ho fatto?... Non ti è bastato forse l’anello col bril lante? Maria — Sì, però sapevi benissimo che dell’abito ne avevo bisogno... data l’occasione... e siccome me lo avevi promesso... Pasquale — Ed io ti ripeto: manterrò la promessa. (Campanello interno) Per oggi pensiamo a stare allegri e quello che conta è di volerci sempre più bene. (La stringe a se e la bacia). Maria — Stai fermo! Pasquale — Affatto! Sei la mia cara mogliettina e voglio baciarti quando mi pare e piace. (La bacia mentre sotto l’uscio di fondo appare Nicolino il quale vedendo i due che si baciano si ritira subito, ma Pasquale lo scorge e gli dice) Entra pure! (A Maria) E’ Nicolino! Maria — Sempre puntuale lui! (E si allontana da Pa squale). Pasquale (a Nicolino che non sa decidersi se entrare o andare) — Vieni pure... Nicolino — Fate, fate pure!... (Fa per andarsene). Pasquale — Ma no, entra! Nicolino (entrando e tenendo le mani nascoste dietro la schiena) — Grazie! (Ammirando la tavola da pranzo riccamente imbandita) Bene! La tavola apparecchiata è una vera gioia a vederla, mette l’allegria nell’animo. (Facendosi avanti con fare volutamente cerimonioso) Si gnora Maria i miei rispetti, i miei ossequi e tutta la mia devozione di amico, di compagno, di fratello. Possa il vostro cuore... PEPPINO DE FILIPPO Pasquale (con tono ironico) —- Bene, il discorsetto rio... per questo pranzo sei in agitazione da tre giorni. di occasione! Cosa c’entrano questi cartellini? Nicolino (a Pasquale) — Ti prego. (Poi continuando) Nicolino — Si usano in tutte le grandi case! Possa il vostro cuore vivere sempre in pace... (Non ri Pasquale — Ma la mia... corda più quello che si era preparato di dire)... Nicolino —- La tua è degna delle altre! (Legge i car Pasquale (divertito) — Sei il solito distratto. tellini) Comm. rag. Pasquale Pezzillo. Nicolino (a Pasquale) — Lasciami dire! Dunque di Pasquale — Ti prego, togli quel cartellino... Io com cevo: ...Vivere sempre in pace... e... se la sventura dovesse mendatore non lo sono. un giorno colpire la vostra casa... ossia se la morte vi Nicolino — Stupido. Di cosa hai paura? Io ho segnato dovesse ghermire... il mio augurio sincero, disinteressato, et oomm. »... è quello che il vostro ultimo respiro lo possiate esalare Pasquale —- Ebbene? unito a quello del vostro caro, impareggiabile, tanto Nicolino — Ebbene, se qualcuno dovesse chiederti: amato indimenticabile consorte Pasquale Pezzillo. scusate voi non siete commendatore, come vi siete per Pasquale (con ironia) — Le esequie muoveranno alle messo di scrivere su questo cartello « comm. »? Tu ri ore dieci di domani dalla casa dell’estinto! (A Maria) E’ sponderai: «Piano, piano... io ho scritto: cccomía. »... un tipo! (A Nicolino) Ma ti sembra questo un augurio vale a dire 'commensale! ». adatto per l’occasione? Sei il solito scombinato! Pasquale — Sei uno sciocco, questo sei. Nicolino — Perchè? E’ così logico e naturale! Intanto Nicolino (leggendo gli altri cartellini e deponendoli vi prego di accettare, signora, questi pochi fiori in segno ai loro posti) — Signor Biagio Sagrestano, ostetrico; si di stima e riconoscenza. (Porge a Maria un modestissimo gnora Teresa Sagrestano; Nobildonna (Maria Pezzillo, la fascio di fiori che finora ha tenuto nascosto dietro la tua signora, e il mio cav. Nicola Pastiera. schiena) E’ modesto lo so... ma si nota il pensiero. Pasquale (ridendo) — Sei cavaliere tu? Pasquale (con tono scherzoso) — Bellissimi! Nicolino (con falsa modestia) — E non lo sai? (Indi Nicolino — Vuoi scherzare, non sono bellissimi, ma cando un piatto sulla servante in fondo) Ecco l’antipasto! pure, così come li vedi, li ho pagati dodici e cinquanta. (Lo osserva) Bene, bene: olive, acciughe, prosciutto cotto Maria (prendendo i fiori e deponendoli sgarbatamente e crudo, burro... c’è tutto, tutto. E’ proprio vero che in sulla servante in fondo) — Grazie! (Ed entra a destra). casa tua non manca nulla! (Non veduto da Pasquale Nicolino (a Pasquale) Non è rimasta contenta... prende delle olive, le mangia e butta i noccioli a terra). Pasquale —• Tutt’altro. Assunta (entra dal fondo) — Permesso? Nicolino — Non le sono piaciuti. Pasquale — Cosa vuoi? Pasquale — Ma sì! Assunta -—11 signor Sagrestano e sua moglie. Nicolino — Un’altra volta cercherò di accontentarla. Pasquale — Avanti! (Assunta esce). Hai notato, tra i miei fiori, il particolare del ramoscello Biagio (entra avendo in mano un ramoscello d’olivo) — d’olivo? Pacem hoc domns! (E porge a Pasquale il ramo d’olivo). Pasquale — Lo vedo... ebbene? Pasquale — Grazie. Nicolino — Il compleanno di tua moglie cade il giorno Teresa (seguendo Biagio) —- Buongiorno. (Anche lei della Domenica delle Palme, ed allora era necessario il con ramoscello d’olivo). simbolico ramoscello... Pasquale — Signora Teresa i miei rispetti. Pasquale — Giusto. Nicolino (che nel frattempo ha mangiato altre olive Nicolino — A noi dunque: è tutto pronto? Manca buttando i noccioli di queste a terra) — Signora Teresa. niente? (S’inchina) Signor Biagio. Pasquale —- Niente! Biacio (con tono di rimprovero) —■Buongiorno. Nicolino — Ho fatto fare una cosa che ci voleva, sai? Teresa — E Maria dov’è? (Prende dalla tasca un cartoncino stampato) La lista delle Pasquale — In camera da letto, forse. vivande! Teresa — Permettete allora! (Esce per la destra). Pasquale — Era proprio necessaria? Pasquale — Prego. (A Biagio) Accomodatevi don Nicolino — Certamente, senti se va bene! Antipasto Biagio. Cos’è? Non siete di buon umore. (Siede). assortito - Timballo di lasagnette - Pollo abburrato in Biagio — Un po’ nervoso. cazzeruola e contorni diversi: piselli, patate, cipolli Nicolino — Difatti si vede. (Dopo d’aver mangiato ne, ecc. eoe.... - Spigola con maionese - Insalata : radicchio inosservato altre olive). o nocchette romane o indivietta o lattuga - Frutta fresca Biagio (sedendo) — Sono nervoso proprio per causa - Imperiai torta nazionale 1941 - Vini: Brolio rosso. vostra! Capri Scala, Sorriso d’Italia - Liquori: Anisetta, Mara Nicolino — Mia? (Siede). schino di Zara, Triple secco, Strega - Caffè! Biacio — Sicuro! Pasqualino mio, quest’uomo è un Pasquale — Non bai dimenticato nulla, anzi hai ag castigo di Dio! Stamattina alle sette mentre dormivo, ho giunto... sentito il campanello del portone suonare insistentemente, Nicolino — Niente affatto! E’ tutto quello che si ma con tanta insistenza che io ho pensato: sarà una stabilì 1’ altra sera. (Mettendo il cartoncino al centro della chiamata urgente che riguarda qualche partoriente. Mi tavola) Mettiamolo qua ! Più ancora, ho fatto fare i car sono alzato con premura, mi sono affacciato al finestrone tellini con i nomi degl’invitati. (Li mostra). del ballatoio... e chi era? (Indica Nicolino) Lui! (Imitando Pasquale — Senti, Nicolino, sei il solito confusiona- il tono della voce di chi parla dal basso in alto) Don IL RAMOSCELLO D’OLIVO Pasquale —• Signora Teresa, ci dispiace... del resto Biagio... Don Biagio!... Cos’è, ho risposto io, qualche disgrazia? Macche... ricordatevi che oggi siete invitato, c’è tanta amicizia tra noi e voi che potevate rimanere con vostra moglie, a casa di Pasqualino... e ci sarò pure a casa tranquillamente, sarebbe venuto vostro marito. io!... Imbecille... ho risposto io! Comprenderai, non (Preme il bottone di un campanello a mano). Teresa — Niente affatto; a casa io, a casa pure lui! perchè il tuo invito a pranzo non avesse avuto la dovuta Biagio (contenendosi) — Già, a casa lei a casa pure io. importanza per me... ma svegliarmi a quell’ora... e nel Giorgio (dal fondo a destra) — Comandate? chiudere con forza il finestrone... s’è rotto un vetro... A Pasquale — E’ pronto? questo mia moglie s’è svegliata. Che hai fatto... hai rotto Giorgio — Quando volete, signore. un vetro... sei il solito sbadato... adesso si dovranno Maria — Bene, fai portare in tavola allora. spendere venti, venticinque lire... e si spendono, cosa fa? Giorgio — Subito. (Esce). E si capisce, ha risposto lei, a te non interessa, perchè Nicolino (sedendo mentre tutti gli altri seggono) —la dote l’ho portata io!... Da questo poi... ne puoi imma ginare il resto! (A Nicolino) Che diavolo... quando si Bene, bene! Prego... un applauso alla festeggiata! (Batte tratta di mangiare... per Dio, passereste sul cadavere di le mani ed anche Biagio, Teresa e Pasquale). Maria —- Grazie. (Campanello interno). vostra madre. Nicolino (a Maria) — Signora, facciamo girare subito Nicolino — Non esageriamo! Biagio —- Io poi già ero nervoso a causa di un parto l’antipasto? Maria (seccata) — Un^ momento! difficilissimo che mi capitò l’altra notte. Ti assicuro, caro Nicolino — Quando volete! amico, me la vidi brutta... io poi ho una certa età... Assunta (entra dal fondo e si dirige verso Maria di Pasquale — Perchè continuate? Biagio — Così vuole mia moglie!... Dice che lei ha cendole) —• Signora, di là c’è la signora Elena, la vostra portato una dote... per questo io devo lavorare. Pasqua amica. Maria (a Pasquale) — L’hai invitata? lino mio non ne posso più! La mia è una vita d’inferno... Pasquale — Neanche per sogno. quella non è una moglie, è una strega. Ma ora sono Maria — Ed allora? stanco... chissà... Nicolino (a Maria) — Signora, se è venuta qui per Pasquale —- Un po’ di pazienza e pensate invece a mangiare, come si fa? Noi siamo ospiti e l’ospite è sa stare allegro. cro... io specialmente poi, non posso cedere niente perchè Nicolino — Proprio, oggi è giornata di allegria. Maria (seguita da Teresa la quale è senza cappello, fui il primo ad essere invitato. Biagio — Siete nauseante, stomachevole addirittura... dalla destra) —■Vi è piaciuta? Assunta (a Maria) — Cosa devo fare? Teresa — Veramente bella, è un regalo magnifico! (A Maria — Falla entrare! (Assunta esce). Pasquale) Ho ammirato il vostro regalo! Pasquale — Io mi domando cosa è venuta a fare qui!... Biagio (avvicinandosi a Maria, Teresa, Pasquale e Ni Maria — Per farmi personalmente gli auguri, forse! colino i quali sono a destra della scena) —- Che dicevi? Elena (entra agitatissima e dirigendosi verso Maria) Teresa (con sgarbo) — Niente! Biagio (salutando Maria) —- Signora Maria, i miei mi — Buongiorno, amica! (Pasquale si alza). Maria (andandole incontro) — Elena cara! (Si abbrac gliori auguri... e cento di questi giorni. Maria — Grazie! (Nicolino intanto, inosservato, ha ciano). Pasquale — Buongiorno, signora. preso ancora qualche oliva, la mangia e getta il noc Elena — Gentile signora Teresa, signor Biagio... (Siede ciolo a terra) Anche a voi! Biagio (fregandosi le mani come fanno i bambini di al posto dov’era Pasquale e scoppia a piangere). fronte ad una ghiottoneria) — Bene, bene... così oggi Maria — Elena? Pasquale — Signora? Cosa v’è accaduto? passeremo una giornata veramente divertita. (E mentre Elena (agitatissima) — Per poco non m’è venuta una si allontana dal gruppetto scivola su di un ossicino di convulsione. Ma voi eravate a tavola? oliva e cade pesantemente a terra). Pasquale —- Già... oggi è il compleanno di mia moglie! lNicolino (rivolgendosi a Teresa, la quale, conversando Elena — Avete invitati? con Pasquale e Maria, non si è accorta che Biagio è ca Nicolino -—■Siamo tre invitati... tre!! duto) — Signora, è caduto vostro marito. Elena — Scusami, allora, Maria... non me ne sono ri Teresa (indignatissima) •—• Così? Da un momento al cordata! Non ne posso più... quell’uomo è il mio car l’altro? Biagio (aiutato da Pasquale e Nicolino si rialza) -— nefice! Maria — Tuo marito? Sono scivolato! Ci sono degli ossicini di olive!... (Rac Elena — Precisamente! cattandone uno) Lo vedete? Teresa — Avete litigato? Nicolino —- Come mai, non hanno spazzato bene sta Elena —■E’ un volgare e volgare resterà tutta la sua mane?... Biagio — E’ mancato poco che non mi spezzassi una vita. Perdonami, Maria, se son venuta a disturbarvi... ma tu mi sei amica e devi perdonarmi. La mia vita è gamba! (Si pulisce). Teresa (a Maria) — Io ti dico francamente, cara Ma diventata un inferno! Maria — Pure avete quella gioia di figlio e solo per ria, che oggi sarei rimasta volentieri a casa, sono così indisposta con lo stomaco che avrei preferito digiunare questo dovreste vivere sempre in accordo. Elena —• Appunto per questo mi tortura. Non posso tutta la giornata. Siamo qui proprio per te, Maria! PEPPINO DE FILIPPO uscire, non posso più muovermi... per causa di quel bambino sta facendo diventare la mia vita un purgatorio. Allora io non sono una moglie... (Rivolgendosi a Nico lino) Sono una schiava? Nicolino — Signora, l’ospite è sacro ed io non so pro prio cosa dirvi. Maria — Ma dimmi: sempre per la solita gelosia? Elena — Ha cominciato con le sue solite idee... ed io ho cercato di convincerlo... e sembrava convinto, ma quan do gli ho detto che questa sera avevo desiderio di usci re... per quale ragione... il bambino a casa solo non può rimanere... Pasquale — E’ logico questo! Elena (con sgarbo) —- Sarebbe restato lui a tenergli compagnia!... Vi pare? Ma questo lui non lo capisce ed è logico, perchè lui di divertimenti non se ne fa man care... ed io me ne sono uscita e l’ho lasciato a casa solo col bambino. Teresa —- Ma no... ritornate a casa da vostro marito... il piccolo può avere bisogno della mamma. (Campanello interno). Elena > — Non sento ragioni, sono decisa a tutto, anche a dividermi legalmente. (A Pasquale) Se poi disturbo... Maria —■Ma no, resta pure, mi fai tanto piacere. Giovanni (entra dal fondo e dice ad Elena, mentre stringe tra le braccia un bimbo (finto) in fasce con man tellina lunga ricamata e cuffia) Lo avevo immaginato che tu eri qua. (Biagio, Teresa, Elena si alzano mentre Nico lino, anche lui alzandosi di mala voglia, abbassa sul ta volo la spalliera della sedia dov’era seduto, come per in dicare che il posto è occupato). Elena — Cosa cerchi? Perchè sei venuto qua? Giovanni (categorico) — Vai a casa immediatamente! Elena (decisa) — Non ci vado a casa, non ci vado! Giorgio (dal fondo fermandosi sotto l’uscio) — Il pranzo è pronto! (Entra Assunta con un grande piatto nel quale vi sarà un grande timballo di maccheroni). Pasquale (a Giorgio) — Un momento. Riportate in cucina, vi chiamerò io! (1 due escono seguiti da Nico lino, il quale va loro dietro attratto dall’appetitoso odore del timballo). Giovanni (rabbioso) — Insomma oggi vuoi farmi com mettere una sciocchezza? Agisce così una buona madre? Abbandona il bambino e se ne va? Elena — Con te così bisogna agire. Sono stanca, ca pisci, stanca! Giovanni —- Sei stanca? (Rivolgendosi a Pasquale che gli sta proprio dietro) Scusate! (Gli mette il bambino tra le braccia, rivolgendosi poi ad Elena) Insomma?.., (Incrocia le braccia assumendo un atteggiamento di sfida). Elena — Insomma, che? Perchè hai portato il bam bino? Giovanni — Avrei dovuto lasciarlo solo a casa? Elena — Ti servirà di lezione. Non voglio più saperne di te, è chiaro? Giovanni — Ma tu devi pensare che hai un figlio. Elena — Io ho il diritto, come le altre, di godermi un poco la vita. Non posso sacrificarmi una giornata intera. Giovanni — Ma se non ti sacrifichi tu che sei la ma dre, chi vuoi che debba sacrificarsi? Nicolino — E’ giusto! Elena — Fate silenzio, voi! Pasquale (sempre tenendo il bimbo tra le braccia) ■— Signora Elena, perdonate. (Rivolgendosi a Biagio che gli sta alle spalle) Scusate don Biagio... (Gli mette tra le braccia il bimbo, poi dice ad Elena) Se vostro marito vuole che stiate a casa è solamente per il bambino. (Si unisce a Teresa, Maria, Nicolino e Giovanni resta con questi a parlottare a sinistra della scena, mentre Biagio dall’altro lato cerca di calmare il bimbo che piange, pas seggiando su e giù come si fa quando i bambini devono addormentarsi, ma nel passeggiare scivola di nuovo e cade a destra della scena mentre il bimbo piange forte. Nella foga della discussione, però, nessuno si avvede della caduta di Biagio e tutti restano a parlare fra di loro). Biagio (gridando, sollevando il bimbo) — Aiuto!... Aiuto! (Poi più forte) Aiuto!... Aiuto!... Nicolino (accorrendo verso Biagio) — Don Biagio?! (Poi, subito ritornando dov’era, dice a Teresa) Signora, è caduto vostro marito! Teresa — Un’altra volta? La seconda caduta?! Elena (accorrendo) — Mio figlio... dov’è mio figlio!? Nicolino (che nel frattempo ha preso il bimbo e lo tiene sbadatamente tra le braccia con la testa in giù) — E’ salvo signora! Elena (vedendo il bimbo con la testa in giù) — Gesù mio! (Lo prende subito tra le sue braccia, dicendo) Oh!... Oh!... Oh!... (Il bimbo tace). Biagio (che si è alzato aiutato da Pasquale) — Per mi racolo non mi sono spezzato un braccio! Teresa — Che modi di stare in piedi! Biagio (esasperato indicando il pavimento) — Qui è pieno di ossi di olive! (Ne prende uno) Lo vedete? (E va a sedere al suo posto). Elena (a Maria) — Lui deve convincersi che io non mi sono maritata per fare la bambinaia. Anch’io ho di ritto ad uno svago, un divertimento. Giovanni — Che forse te lo proibisco? Pasquale (intervenendo per calmare) —- Riappaciatevi, finitela e restate a pranzo con noi. Se il ragazzo deve dormire, mettetelo sul nostro letto. Elena (con sopportazione) — Non ne parliamo più. (A Pasquale) Se non vi dispiace allora, lo metto a dor mire sul vostro letto. Maria — Fai pure il tuo comodo. (Elena esce a de stra col bambino). Giovanni (seguendola) — Tante scuse, signora... (Esce.) Pasquale — E’ ritornata la calma!... Sedete, signori. (Biagio, Teresa e Maria seggono mentre Nicolino ripren de subito il suo posto). Giorgio (entra dal fondo e si ferma sotto l’uscio) — Si può portare in tavola, signore? Pasquale (alquanto nervoso) — Sicuro... e porzioni per sette. Giorgio — L’avevo immaginato. Aspetterete un poco, signore, perchè il timballo l’ho fatto mettere in caldo nel forno. Pasquale i— Va bene, aspetteremo! (Giorgio esce). Nicolino (a Maria) — Signora? Maria — Cosa volete? IL RAMOSCELLO D’OLIVO Nicolino — Facciamo girare l’antipasto? Maria (nervosa) — Un momento!... Nicolino — Quando volete! Maria (dopo breve pausa, la quale è necessaria all’ef fetto delle battute che ne seguono, ed a bassa voce, ma con parole chiare, dice a Pasquale, alludendo a Giovanni ed Elena) — Ma che tipi!... Litigare in casa d’altri come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Biacio (con lo stesso tono di Maria) — Il marito, don Giovanni, ha ragione, però. Teresa (con tono normale, però astioso) — Era logico. Sarebbe stato illogico se tu avessi dato ragione alla moglie. Bugio — Certamente. Avere un figlio, non è una bella ragione perchè il marito debba sacrificarsi anche lui in casa tutto il giorno. Teresa — Certo, perchè chissà quanto pagheresti per fare quello che fa don Giovannino, se per poco ti la sciassi le briglie sciolte, chissà quante ne combineresti... pure essendo vecchio e rammollito come sei. (Entra dalla destra Elena seguita da Giovanni e tutti e due seggono ai lati di Nicolino, dove Pasquale, un momento prima, avrà messo le sedie). Bugio (alzandosi) — Prima di tutto io non sono ram mollito, tanto meno sono vecchio, io sono invecchiato... mettiamo le cose a posto. Maru — Ma vostra moglie ha scherzato. Biagio (c. s.) — Ed anche per ischerzo non si dicono certe cose. Quando siamo soli... va bene... ma in pre senza di persone estranee, no; perchè io sono nervoso e rispondo male!.. Teresa — Rispondi? E cosa puoi rispondere?... Ri dicolo ! Bugio — Teresa bada come parli, non fare la tiranna, quella che sei!... Teresa (offesissima) — Io tiranna?!! Bugio (scoppiando in lacrime come un bambino e dando con la mano un colpo forte sul tavolo) — Non ne posso più, signori miei, non ne posso più! (E si allon tana dal tavolo. Internamente il pianto forte del bimbo che si è svegliato. Maria si alza per confortare Biagio. Elena e Giovanni entrano preoccupati a destra, mentre Nicolino, al colmo della rabbia, si alza ritornando ad ab bassare sul tavolo la spalliera della sua sedia allonta nandosi verso sinistra) Questa donna vorrebbe vedermi distrutto. Non posso muovermi, non posso respirare, continuamente un controllo su tutto quanto io possa pen sare o immaginare. Teresa — Io?!!! Bugio — Ma basta sai!?... E’ finita! Elena (seguita da Giovanni entra dalla destra col bim bo tra le braccia cercando di tranquillizzarlo) — Oh ! ... Oh!... Oh!!! Bello... bello!... Bucio (continuando) — E’ finita!... Ti lascio!... Non voglio vederti più! Teresa — Neanche io... sai... Biagio —' Me ne andrò a Milano da mio fratello, me ne starò con lui... Mostro che sei !... Teresa — Io mostro? La dote te la sei presa, però... Biagio — Trentasettemila lire, signori miei... Trentasettemila lire!... Questa sera partirò senza perdere tempo. Teresa — Puoi andartene anche adesso. Bugio (a Maria baciandole la mano) — Scusate, Ma ria... perdonate... vado a casa a farmi le valigie! Giorgio (seguito da Assunta entra dal fondo con piatto largo nel quale vi sarà il timballo, dice forte) II pranzo è pronto! Pasquale (a Giorgio) — Un momento!... riportate via tutto! (Giorgio e Assunta escono seguiti da Nicolino cui ancora una volta non è permesso assaporare finalmente quel magnifico timballo). Teresa (al marito) — Ed io ti seguo, caro mio... voglio vedere cosa ti porti nelle valigie. Bugio — La tabacchiera oro e argento, l’ombrello col manico d’avorio, il medaglione con la miniatura... sono miei... Teresa (forte) — No... è tutta roba mia! Bugio —■ Mia!... Mia!... (Ed esce sempre gridando, mentre Nicolino rientra). Teresa (a Maria con premura ed agitazione) — Scu sami, Maria, corro a casa... devo vedere cosa prende dalla mia casa!... (Agli altri) Avete visto che facchino... che mascalzone? Ci vedremo, Maria, ci vedremo. (Esce se guita da Maria e Giovanni, mentre Assunta le porge cap pello e borsa). Nicolino (ad Elena la quale e andata a sedere presso il tavolo cercando di calmare il bimbo che di tanto in tanto piange) — Avete visto cosa è accaduto per colpa vostra, signora? (Azione di Elena) Già, perchè il signor Biagio, per difendere vostro marito, ha litigato con sua moglie. Pasquale (a Maria che ritorna dal fondo) — Be’?... Maru —- Non hanno voluto sentire ragioni... Giovanni — Sembrano impazziti! Nicolino — Poco male, noi siamo ancora qua e ci re steremo. (Sedendo) Sediamo, mangiamo e non se ne parli più! (Tutti seggono. Giovanni siede al posto dov’era Biagio, Elena resta dov’è, cioè al lato destro del tavolo accanto a Nicolino). Pasquale (con tono di rimprovero a Giorgio ed As sunta) — E voi cosa fate lì impalati? (Più forte) Cosa fate? Giorcio — Aspettavamo ordini! Pasquale — Non ci vedete seduti?... Servite il pran zo! (Giorgio ed Assunta escono). Elena (dopo breve pausa, durante la quale Maria, Gio vanni, Pasquale e Nicolino discutono sottovoce, si don dola sulla sedia cercando di tranquillizzare con i soliti «Oh!! Oh!... Ah!...» il suo bimbo che piange sempre più forte quasi come se soffrisse di qualche improvviso fastidio viscerale, suscitando in Nicolino, che le è se duto accanto, sempre maggiore esasperazione). Giovanni (con ansia ad Elena) — Perchè piange? Elena — Non so! (Il bimbo strepita addirittura, al che spaventati Maria, Giovanni, Pasqtmle si alzano avvicinan dosi ad Elena che si trova a destra della scena. Anche Nicolino si alza al colmo dell’esasperazione, appoggiando con forza la spalliera della sua sedia sul tavolo) Gesù mio!... (Spaventata) Come si fa rosso!?... (A Giovanni) Perchè?... Perchè?... Giovanni — Non digerisce bene il latte... gli si do------------------------------------------------------ a»-------- PEPPINO DE FILIPPO vrebbe fare una pompetta di olio e camomilla! (Il bimbo piange sempre più forte). Maria — Io non ho niente di tutto questo! Giovanni — Presto, andiamo a casa... (A Pasquale) Scusate, ma non è possibile proprio rimanere. (Ed esce con Elena per il fondo mentre il bimbo piange sempre più forte). Nicolino (a Maria e Pasquale dopo che non si sentirà più la voce del bambino) — Santo Dio... che stordimento ! (Pasquale e Maria seggono intontiti ai loro posti). Pasquale — Cose da pazzi! Nicolino — Proprio! Caro Pasqualino, io te l’ho detto tante volte: non devi invitare mai nessuno. Stiamo tanto bene noi tre solamente! (Brevissima pausa) Non ne par liamo più! (Siede al posto dov’era Biagio) Mangiamo noi. (A Maria) Facciamo girare l’antipasto? Maria (forte) — Un momento! (Dopo breve pausa da rispettare in modo assoluto, dice a Pasquale) E tutto questo che è successo... caro mio marito, lo devo a te! Pasquale (dopo una pausa, anche questa assolutamente necessaria all’effetto dell’azione espressiva di Nicolino che già intuisce un terzo uragano, risponde calmo e me ravigliato) — A me? Maria (c. s.) — Certamente. Se non avessi invitato don Biagio con sua moglie, tutto questo non sarebbe successo. (Battendo forte la mano sul tavolo) Ecco! Pasquale (dopo diaver guardato Nicolino) — Cosa c’en tra? Don Biagio e sua moglie hanno litigato, perchè Elena e suo marito hanno dato lo spunto. Vuoi dire forse che tu dovresti evitare certe amicizie. Ti avrò detto migliaia di volte che Giovannino e sua moglie sono due tipi che a me non piacciono. (Anche lui batte forte la mano sul tavolo e Nicolino sussulta). Maria (mal contenendosi) —- Elena è una mia buona amica. Sarebbe bello che, perchè non piace a te, me ne dovrei privare io... (Indicando Nicolino) Tollero tante tue stupide amicizie, io! Pasquale — Certamente, perchè io per te non rappre sento niente; sono zero! Maria (più forte) — No, caro... io non sono nulla per te, perchè un marito quando sa che sua moglie tiene molto ad una sua amicizia, non le pensa certe cose! (Battendo forte la mano sul tavolo) Ecco!! Pasquale (quasi esasperato) — Be’, senti: se hai in tenzione di litigare, io no. lo voglio stare tranquillo. (Batte la mano sul tavolo come prima). Nicolino (sincero) — Noi vogliamo mangiare. Pasquale (continuando) —- ... Però voglio essere ri spettato. (Categorico e deciso) Elena con suo marito, qui non verranno più! Non capisco perchè devi essere cosi egoista! Maria (scattando ed alzandosi) — Senti, se parliamo di egoismo tu sei il re dell’egoismo... e non farmi dire quello che non voglio dire... capisci? (Esce per la destra). Pasquale (seguendola subito e dicendo con forza) — Tu parlerai mia cara, parlerai, perchè io non ho niente da rimproverarmi... capisci? Niente! (Entra e dall’in terno continuerà a gridare). Nicolino (si alza al colmo dell’ira e gridando forte verso destra) — E’ un’indecenza questa! L’ospite è sacro, capite? Sacro! Sacro! (Va in fondo e prende dalla ser vente dei panini che sono in cestino e li mette in petto, in tasca). Giorgio (dal fondo entra seguito da Assunta e mette sul tavolo il timballo diviso in porzioni, mentre dalla destra si sentono forti grida e rumore di oggetti che vanno in frantumi) — Che succede? Maria (agitatissima entra dalla destra dicendo) — Bel compleanno! Bello veramente! (Passeggia nervosa). Pasquale (seguendola, anche lui nervosissimo) — Smet tila, sai! Altrimenti ti lascio e me ne vado! Maria —- Vattene!... Vattene!... Fai quello che vuoi! (Entra a destra). Pasquale — Lo vedrai... lo vedrai! (Passeggia agita tissimo, poi, rivolgendosi a Nicolino il quale è presso il tavolo guardando il timballo di maccheroni che ancora non ha potuto gustare) Tu lo vedi, Nicolino? Lo vedi cosa mi succede? Nicolino —■Quello che succede a me, nessuno lo vede, caro mio! Pasquale — Hai sentito cosa ha detto? Nicolino — Senti, Pasqualino, io ti sono amico ed ho il dovere di farti comprendere che quello che hai fatto non è bello. Chiama tua moglie, cerca di calmarla, e mangiamo... vedrai che mangiando tutti i crucci passano. Pasquale — Ma cosa dici? Cosa vuoi mangiare? Cosa vuoi mangiare? (Forte) Ancora vuoi mangiare? Nicolino — Ma non abbiamo mangiato! Pasquale — E vuoi mangiare? (Ripete scandendo le parole) Vuoi mangiare? Dopo quanto è successo? Nicolino — Non è che voglio mangiare... dovrei man giare, capisci? Pasquale — Dovresti mangiare, e perchè dovresti mangiare? Sentiamo. Nicolino (con impaccio) — Perchè... perchè... Pasquale (forte e categorico) — Parla dunque: perchè? Nicolino (forte con lo stesso tono) — Perchè ieri sera mi sono pure purgato, capisci? Pasquale — Vai al diavolo e non rompermi le scatole anche tu! Per te non esiste che il mangiare; sei addirit tura stomachevole, vai a sfamarti altrove, in casa mia non voglio vederti. Nicolino (offeso) — Caro Pasqualino, sai che ti dico? Che non è il caso di riscaldarsi tanto con me! Per sfa marmi non ho bisogno di venire a casa tua! Me ne vado e non mi vedrai più! Pasquale — Meno male! Sia lodato Iddio (Passeg gia nervoso su e giù per la scena, poi fermandosi presso Assunta, la quale è sotto l’uscio di fondo accanto a Gior gio) E voi cosa fate qui? State qui per sentire i fatti dei padroni, non è vero? Assunta — Signore... Pasquale — Silenzio, pettegola! Assunta (offesa) — Io? Pasquale — Voi proprio, e non aggiungete altro se volete rimanere ancora al mio servizio. Altrimenti, non ci penserò sopra due volte a licenziarvi, capito? Assunta — Ma... Pasquale —- Basta così, vi licenzio. (Ritornando a passeggiare nervoso per la scena) Non ho bisogno di tanta servitù. Non ho mica la Corte di Francia in casa mia! (Breve pausa durante la quale, mentre Pasquale passeggia, Nicolino in piedi accanto al tavolo, con un tovagliolo, dal suo posto, è intento a tenere lontano le mosche dalle porzioni di timballo che sono nei piatti) A te Giorgio... Giorcio — Comandate. (Si avvicina di un passo a Pa squale che gli è andato incontro). Pasquale (nervosissimo) — Dirai a mia moglie che questa sera non ritornerò a casa! (Esce dal ¡ondo). Giorgio — Va bene! Maria (entrando dalla destra con cappello in mano e borsa) — Assunta, dirai a mio marito che questa sera non sarò in casa! (Ed esce pel fondo). Assunta — Va bene! Giorgio — Cose da pazzi! Assunta •— Veramente cose da pazzi! Giorgio -— Un pranzo sprecato! Nicolino (al colmo dell’esasperazione) — Sprecato?! Come hai detto: sprecato? (Battendo forte la destra sul tavolo) Qua si deve mangiare!! Mi spiego?... Mangiare!! E mangeremo noi a loro dispetto! (Prendendo due dei piatti con timballo e rivolgendosi a Giorgio) Prendi, uni sci l’uno e l’altro, riscalda tutto, mettici ancora del sugo caldo e poi me lo servi! (Siede al centro della tavola di fronte al pubblico). Giorgio — Subito! (Fa per andare). Assunta — Cosa ha voluto dire il padrone quando ha detto: licenzio! Cosa ha inteso dire di potermi licenziare senza ragione. Giorgio (calmo) — Lui ha detto che non ha bisogno di avere in casa la Corte di Francia... e non gli puoi dare torto; quello che fai tu in casa, lo posso fare io senza bisogno di pagare due persone di servizio. Nicolino (a Giorgio) — Sei ancora qui? Giorgio — Vi servo subito. (Fa per andare). Assunta (a Giorgio) — Aspetta. Sicché dovrei essere licenziata, io!?... E perchè io e non tu? Giorgio (risentito, ritornando) — Sentiamo perchè do vrei andarmene io? Nicolino (togliendogli di mano i due piatti e dandoli ad Assunta) — Ti prego, Assunta... Assunta (prendendoli) — Date a me! Giorgio — Vorrei sapere cosa ci stai a fare in questa casa? Assunta — Ed è quello che domando a te. Marmotta che non sei altro! Giorgio (offeso) —- Io marmotta? Tu sei una povera servaccia. Assunta (forte e deponendo i piatti sul tavolo) — Bada come parli, sai... altrimenti dirò al padrone che sei un ladro. Giorgio (offesissimo e mentre Nicolino prende dal ta volo i due piatti, la bottiglia del vino, il cestino del pane) — Io ladro? Tu hai rubato le calze alla padrona. Nicolino (prendendo dalla servante anche il piatto con Vantipasto, mentre si avvia pel fondo, dice forte) — Me ne vado in terrazzo! (fuori di se)... in terrazzo!!! (Ed esce pel fondo, mentre Giorgio da un capo del tavolo ed Assunta dall’altro capo, continuano la lite con parole a soggetto... come a concerto...). F I ¡VE D E L L A C Ó !» ¡11 E D 1 A V / \ R f é Prima attrice della Compagnia che Giulio Donadio riunirà per il nuovo Anno teatrale sarà Laura Carli: ella si presenterà, fra l’altro, nella nuova edizione che Donadio darà della famosa commedia di Salvatore di Giacoma: Assunta Spina. Ed un’altra produzione di autore partenopeo ascolteremo da questa formazione che sarà gestita da Pastorino : un atto di Libero Bovio, intitolato II professore. X La speciale formazione che rappresenterà Vanniniziato spettacolo-giazz di Giannini e Ramo nel prossimo autunno, comprenderebbe, a quanto si dice, i nomi di Antonio Gandusìo, Dino Di Luca, Aristide Baghetti, Egisto Olivieri, Letizia Bonini, Tullia Baghetti ed altri attori ed attrici di prosa, con elementi di rivista fra i quali Lidia e Marisa Maresca, con Vanni e Romigioli. Un corpo di ballo ed un’apposita orchestra completerebbero i quadri per questo spettacolo, inti tolato La mano bianca. La Compagnia per l’arte drammatica sarà diretta, il prossimo Anno teatrale, da Marcello Giorda, che ne sarà anche il primo attore, con le regìe di C. Pavolini, E. Fulchignoni, G. Giannini, G. Forzano, ecc. Princi pali elementi, oltre il Giorda, Ortolani, Martelli, Tas soni, lotta e il giovane Otello Cazzola. Prima attrice sarà Lilia Cristina, una giovanissima attrice straniera che, innamoratasi dell’Italia, si e preparata durante cinque anni di studio. Tra le altre attrici figurano Donatella Gemmò, la Querio, la Bertoncello, la Sprovieri, la Galisa, ed una giovane reclutata nel campo cinematografico. Amministratore sarà Domenico Ra nieri. Il programma, vario ed eclettico, comprende fra l’altro: Pietro il Grande di Forzano, I Rantzau di Strikman, Il viaggiatore solitario di Lelli (novità), Giuochi di prestigio di Goetz, Le Torri di Babele di Giannini (novità), L’Imperatore di Bonelli, Mister Wu di Owen, I capricci di Susanna di De Stefani, Dinastie di Màrcheselli (novità), Interessi creati di Benavente, Un uomo allegro di Tieri (novità), La conchiglia di Pugliese, Orsa maggiore di Iovinelli (novità), La casa segreta di Niccodemi, L’egoista di Bertolazzi, Roberto, cosa hai fatto? di Cenzato (novità), L’avaro di Mo lière, Lucifero di Butti, Tutto per la donna di Manzari, che sta anche scrivendo per la Compagnia una com media nuova. La Compagnia inizierà la sua attività artistica il 1° ottobre. ^ La nuova formazione, annunciata per il prossimo Anno teatrale, e che assumerebbe il titolo di «Rappre sentazioni dirette da Tatiana Pavlova », vice-direttore Luciano Ramo, riunirà intorno a Daniela Palmer un gruppo di apprezzati attori ed attrici fra i quali sa ranno Esperia Sperani, Nedda Franai, Salvo Rondone, Mario Pisu, Mario Gallina, Adele Cruicchi, Pietro Masserano, Aldo Pieranioni, Pietro Minello, Alzelmo ed altri. La Compagnia, di cui sarà amministratore Paolo Raviglia inizierà le sue recite al Teatro Nuovo di Milano la sera del 1° ottobre, con la celebrazione del centenario di Achille Torelli, rappresentandone la gloriosa commedia I mariti. u y V u a p a e À a ^ S t o r ia , v e c c h ia e g u a le p e r t u t t i d i P E P P I N O La scena rappre senta una sala da pranzo, arredata con gusto antico e pro t a o i i a ® vinciale. In fondo, al VINCENZO - SALVATORE - centro, da un gran VITTORIO - GIOVANNI - de balcone pieno di piante e fiori, si ve TERESA - ORSOLA ANGELA - EGIDIO drà la campagna. Una porta a sinistra Voce interna. ed un’altra a destra. In fondo a destra in angolo, un piccolo tavolo con sopra un grammofono a cassetta, e tutto l’occorrente per dipin gere. Sulla parete (sempre in angolo a destra) vi saranno molti disegni di soggetti diversi, con prevalenza «nove centisti ». Accanto al tavolo un mobile a divisioni, con sopra molti libri, riviste, eoe... E’ un pomeriggio d’estate. (Il sipario si leverà lentamente sul motivo di un di sco— Vincenzo sarà in iscena seduto vicino al tavolo, sul quale vi è il grammofono, funui e fischietta lo stesso motivo del disco. Dopo poco dalla destra Salvatore, il vecchio servo di casa, entra avendo tra le mani una chicchera, si ferina un istante con curiosità presso il grammofono, ed esce poi per la sinistra, canticchiando comicamente e malamente lo stesso motivo del disco). Vittorio (dopo poco entra dalla destra ed annodan dosi la cravatta dice a Vincenzo, fermando il disco sul grammofono) — Immagino come ti sarai divertito... Vincenzo — Tanto!... Ho ballato tutta la notte. Que sta mattina, poi, ho preso il tram ed eccomi a Monte spina un’altra volta. Caro Vittorio, Napoli è veramente una grande città. Vittorio — Senza dubbio! Vincenzo — Mi sono divertito immensamente. Sono stato due giorni a Milano, un giorno a Roma e cinque a Napoli... immagina un po’ se potevo pensare a racco mandare i prodotti della mia Casa!... Credimi, non sono riuscito a vendere una sola penna stilografica... Cosa vuoi, troppa distrazione, troppi divertimenti... e nessuna volontà di fare il rappresentante... a me piace la vita libera, spregiudicata, allegra!... In questo paese è una vera sofferenza Vittorio — Per me, si tratta di poco altro tempo an cora... Vincenzo — Conoscerai la vera vita... imparerai a vivere!... Vittorio — Soprattutto voglio crearmi un avvenire, una vita indipendente. Vincenzo — Certamente... ormai sei un uomo. Vittorio (fa girare il disco sul grammofono) — Mi piace tanto questo motivo. x j C o D E F IL IP P O Vincenzo — Bellissimo! In America è l’ultimo suc cesso! Salvatore (entrando con premura dalla sinistra) — Basta, basta... smettetela di suonare. Lo zio è tornato proprio adesso dal giardino. Vittorio (fermando il disco) — Santo Iddio... ma è un vero martirio. Vincenzo — Che novità è questa? Non puoi neanche far suonare un disco quando ti pare e piace? Vittorio — Zio Giovanni £ fatto così... ha le sue idee! Salvatore — A me, invece piace tanto sentirlo suo nare! Come riuscite a farlo suonare, ancora non l’ho capito!... Vincenzo — E’ facilissimo... sei proprio un igno rante! (Istruendolo) Vedi, si sposta questa leva e il disco gira, poi si abbassa il diaframma e il disco suona! (Il grammofono suona). Salvatore — Che bello!... Giovanni (intenuimente) — Salvatore?... Salvatore?! Salvatore (spaventato) — H padrone ha sentito! (Vit torio ferma il disco, mentre Salvatore si avvicina alla porta di sinistra, dicendo verso l’interno) Subito, pa drone... Vittorio — Poteva mancare? Se questo grammofono fosse il diavolo, zio Giovanni ne proverebbe minore spavento. Sarà meglio scendere un po’ e fare quattro passi... vado a vestirmi e torno subito! Vincenzo — Ti aspetto... ma non vorrei che restando qui, i tuoi se la prendessero a male... lo sai che Io zio Giovanni e la zia Teresa credono che io ti porti per cattive strade. Vittorio — Non fare lo stupido. Io sono maggio renne e faccio il mio comodo... non temere e aspettami. Vincenzo — Fai presto! Vittorio — Cinque minuti. (Esce per la porta a destra) . Salvatore (indicando il grammofono) — A me, invece, piace tanto sentirlo suonare! E’ bello! Ma suona tanto forte... che se il padrone... Vincenzo — Si può anche farlo suonare in sordina... è facile... vuoi vedere? (Prende una tovaglia e l’infila nel grammofono, in modo d’attutime il suono) Senti!... (Fa girare il disco ed il grammofono suonerà in sordina). Salvatore (meravigliato) — Com’è bello! Vincenzo —- Sai ballare? Salvatore — No. Vincenzo — T’insegnerò io. (Sul motivo del disco, ac cenna qualche passo di ballo che Salvatore cerca di imi tare) Bravo... sempre così! Giovanni (entra dalla sinistra, inosservato, e si fernut un istante impazientito a guardare i due che ballano, poi avanza deciso verso il grammofono e lo fa cessare ARIA PAESANA di suonare. Nel mentre Vincenzo vede Giovanni e mor tificato si allontana da Salvatore, il quale, non essendosi accorto della presenza di Giovanni, continua tranquillo a ballare goffamente, finché, girandosi lo vede e spaven tato cerca di giustificarsi con mezze parole e con gesti confusi) — Quante volte ti ho idetto che quello stru mento non voglio sentirlo? Quante volte?! Salvatore —- Ecco, (padrone... (Vincenzo toglie dalVinterno del grammofono la tovaglia). Giovanni — Basta! (E come se fosse uti fatto abituale, gli dice con calma) Girati! Salvatore —- Scusatemi, padrone... non lo farò più! Giovanni (c. s.) —■Girati, ormai non è una novità. Salvatore — Ma io— Giovanni (severo e forte) —• Girati! (Salvatore, ras segnato, gli gira le spalle mentre Giovanni, dopo di es sersi bene messo in equilibrio, gli assesta un forte calcio nel sedere) — Ecco! Vai via! Salvatore (piagnucolando) — Eccomi! — Bella vitabella vita! (Esce per porta a destra). Giovanni (a Vincenzo, andando a sedere presso il bal cone, indicando il grammofono) — Questa pure fu una delle vostre belle idee!... Vincenzo — Vi sbagliate, fu Vittorio... che profittando della mia andata a Napoli, mi pregò idi comprargliene uno. Giovanni — Così, da due mesi, non sentiamo altro che sempre la stessa musica... la mia testa è diventata un pallone!... Ma già... quelle sono le macchine del pro gresso... come dice mio nipote... della modernità. Da die ha comprato quel grammofono, questo paese, per lui, è diventato l’inferno... se ne accorgerà! Vincenzo — Difatti... dice che deve andare a Milano— è vero? Giovanni — Sicuro... ha vinto un concorso importan tissimo... e non appena lo manderanno a chiamare— Vincenzo — ...Se ne andrà?! Giovanni >— Già!... Vincenzo — E voi?— Giovanni — Io cosa c’entro? Io sono vecchio ormai, lui è giovane ed ha diritto a vivere come meglio gli piace. Cosa c’entro io? Avrei dovuto ostacolare una sua aspirazione? Sarei stato un egoista... invece mi è pia ciuto raccomandarlo a persone influentissime— e sono riuscito a fargli ottenere quello che lui voleva! Certo, se gli amici non gli avessero parlato continuamente di Roma, Napoli, Milano... come le «Mille e una notte», locali notturni, donne, divertimenti... se gli amici aves sero parlato meno... Vincenzo (scusandosi) — Don Giovanni— se parlate degli amici... io posso garantirvi... Giovanni — Certamente, cosa c’entrano gli amici?!... Io parlo di voi; di voi! Io non gli ho voluto impedire questo suo grande desiderio, speriamo che gli vada tutto bene... perchè al contrario... la porta di casa mia è chiusa per lui... mi spiego?... Teresa (entra dalla sinistra avendo tra le mani una camicia pulita e stirata) — Vittorio? (Vedendo Vincenzo gli dice con tono poco gentile) Voi siete ancora qui? Vincenzo — Aspetto Vittorio— è in camera sua! Teresa (chiamando verso la porta di destra) — Vit torio? Vittorio?!... Vittorio (entra dalla porta a destra con altro abito) — Cosa vuoi, zia? Teresa — Volevo che ti cambiassi la camicia. Ieri sera, mentre giocavi a briscola col compare Egidio, m’ac corsi che avevi i polsini sporchi. Vittorio (guardandosi i polsini) —• Già!— Ma, sai— disegnando, si sporcano facilmente— Teresa — Vuoi cambiarla? Vittorio — Zia, mi sono vestito proprio adesso, me la farai trovare pronta domattina— (A Vincenzo, facen dogli ammirare l’abito che indossa) Ti piace il vestito nuovo?—Finalmente me lo ha portato! Vincenzo — Bene, bene. Vittorio — Guarda un po’ se ha tolto quel difetto sulla spalla. Vincenzo (osservandolo) — Va benissimo. Vittorio (alla zia) —■Ti piace, zia? Teresa — Tanto! E’ veramente bello. Giovanni — Fammi vedere. (A Vittorio che gli si av vicina ed osservandogli l’abito) — Mi sembra troppo attillato ! Vittorio — E’ la moda, zio! E poi senti che stoffa... Giovanni — Bella! Ma ti costa pure quasi mille lire!... Vittorio — E’ il primo sarto di Napoli—è vero Vin cenzo? Giovanni — Voi glielo avete procurato? (A Vincenzo). Vittorio — Macché, lessi la reclame sul giornale. Giovanni —- Il nostro sarto don Rocco ti ha servito per tanti anni... ed ora— Vittorio — Zio, non facciamo paragoni. Giovanni — Ma come? E’ pure cavaliere... Vittorio — Sarà cavaliere, ma per me non sa cucire! — Giovanni — Ormai con te non si ragiona più! Teresa — E va bene, non è il caso di farne una di scussione—è stato un capriccio—e la prossima volta Vit torio si farà servire di nuovo da don Rocco. Vittorio (per finirla) — Certamente. Teresa — Stai attento adesso a non sciuparlo! Vittorio — Stai tranquilla. Dov’è la paglia, zia? Teresa — In camera tua—te l’ho pulita io stessa sta mane con Tacetosella. Vittorio (a Vincenzo) — Torno subito. (Esce per la porta a destra). Teresa (con tono di ammirazione affettuosa) — Come è bello— come è elegante! Che bella figura! (Con un sospiro) E quanto ci costa! Giovanni — Sudori di sangue! Teresa — Sono venticinque anni che sta con noi, da quando morirono i suoi genitori. Lo prendemmo con noi— lo portammo qui— e da allora, quanti pensieri, quante preoccupazioni... (Come seguendo un suo pen siero fisso) Intanto— la ricompensa! (Imitando più o meno il tono categorico di Vittorio) Voglio partire... Devo andare a Milano, ho vinto il concorso... devo crearmi un avvenire!... Giovanni — Lasciagli fare quello che vuole... tu non capisci niente!... Vittorio (entrando dalla destra con paglia) — Eccomi pronto. Hai una sigaretta, Vincenzino? PEPPINO DE FILIPPO Vincenzo — No!... Teresa •— Non hai sigarette? (Si dirige al balcone e dice forte, mentre Vittorio resta a parlottare con Vin cenzo) Salvatore? Salvatore (di dentro) — Cosa volete? Teresa — Vai a prendere, per il signorino, un pac chetto di sigarette! (E ritorna). Vittorio — Lascia «tare, zia, adesso scendo e le com pero da me; andiamo Vincenzino. Teresa — Aspetta... dove vai? Vittorio — Al bigliardo, perchè? Teresa — Alle sei verrà qui Angela con la madre donn’Orsola... te ne rammenti?? Vittorio — E cosa c’entro io? Teresa — Bello mio, vengono per combinare il ma trimonio... Vittorio — Ormai te lo sei messo in mente... Teresa — Perchè?... Ieri sera c’eri anche tu quando stabilimmo con donna Orsola di decidere ¡’appuntamento per oggi. Vittorio —- Ma come si può discutere un matrimonio senza conoscere la sposa?... Teresa — La conoscerai oggi e vedrai che ti piacerà... è una buona e virtuosa ragazza, educata in collegio... Vittorio — Capisco, ma devi capire... (Ma osservando che Giovanni, non visto da Teresa, gli fa dei cenni come per dire: aLascia correre per adesso, io sono d’ac cordo con te », dice con falso tono di convinzione) Va bene, zia, farò come vuoi, alle sei sarò qui. Teresa (contenta) — Bravo! Vittorio (baciandola in fronte) — Vado allora! (Av vicinandosi a Giovanni e baciandogli la mano) A più tardi, zio! (Ed esce con Vincenzo per la porta a destra). Giovanni (notando l’espressione triste di Teresa) ■ — Vorrei sapere perchè tu devi prendertela tanto a cuore. Vuoi proprio prenderne una malattia? Vuole andar via?... Che vada! Ormai è un giovanotto... Teresa — Parli proprio bene tu!... lui vuole andar via e noi glielo permettiamo! Giovanni — Vorresti mettergli le catene al piede? Teresa — Dici davvero? Bisogna, invece, per il suo bene, fare tutto il possibile di non fargli commettere delle bestialità. Di questi tempi allontanarsi dal proprio paese... Oggi verrà qui anche il compare don Egidio... ed anche lui gli farà una parlatina come si deve. Giovanni (con falsa convinzione) ■ — Hai fatto bene! Teresa (dopo breve pausa) — Dio non voglia e Vit torio dovesse andar via... cambieremo casa... Giovanni — Sei pazza! Dopo trent’anni cambio casa? Che bella pretesa... Teresa — E come faremo? Giovanni — Ma cosa vuoi da me? Non lo so... lasciami in pace! Teresa (dopo pausa) — Ci trasferiremo nella nostra proprietà a Spinazzola! Giovanni (con tono paziente) — Andremo a Spi nazzola. Teresa — L’unica speranza è il matrimonio con An gela, come mi ha detto sua madre. Angela è una ragazza affezionata e chissà che non sia capace di fargli cam biare idea. Giovanni — Come ti piace perdere il tempo! (Si alza). Teresa — Perchè? Giovanni — Angela, come ha detto sua madre, è ap pena uscita di collegio, e vuoi die... abbia tanta fur beria? (Si avvia verso la porta di sinistra). Teresa — Chissà... (Lo segue) Tutto può succedere... è un tentativo! (Ed escono per la porta a sinistra par lando). Salvatore (entra dal fondo con il pacchetto di siga rette) •— Ecco le sigarette! (Ma notando che nella stanza non c’è nessuno, depone le sigarette sul tavolo e fa per uscire per il fondo, ma vedendo sul tavolino il gram mofono, gli si avvicina e si ferma ad osservarlo con cu riosità; egli vorrebbe farlo suonare ma non osa, finche involontariamente, abbassando il diaframma sul disco, questo comincia a suonare, resta li a guardarlo spaven tato, non sapendo più come fare per non farlo suonare, lo guarda prima con ansia e paura, poi, man mano at tratto dal motivo, con evidente allegra curiosità). Giovanni (entrando dalla sinistra seguito da Teresa) — Guardalo... è lui!... (E non visto da Salvatore gli dice alle spalle) Bravo! Salvatore (spaventatissimo) — Signor Giovanni... Giovanni (fa cessare di suonare il grammofono, poi con tono severo gli dice) — Girati! Salvatore — Ma padrone... io... Giovanni (c. s.) — Quante volte te lo devo dire che non mi piace sentire questo strumento? Devo proprio tollerare anche te oltre a mio nipote?... Girati! (Salva tore con rassegnazione gli volta le spalle in attesa della punizione, ma Giovanni questa volta, per dargli il so lito calcio nel sedere, non riuscendo a mettersi bene in equilibrio su di una sola gamba, gli dice) Per questa volta non fa niente... vai via! (E si allontana presso il balcone). Salvatore (quasi fra se) — Sono stato amnistiato! Teresa — Cosa volevi? Salvatore (indicandole sul tavolo) — Le sigarette. (Campanello interno). Teresa — Vai ad aprire. (Salvatore esce per il fondo poi torna). Salvatore (entrando dal fondo) — La signora Orsola con sua figlia. Teresa (premurosa) — Falle entrare. Salvatore (esce per il fondo e ritorna subito prece dendo la signora Orsola ed Angela) ■ — Accomodatevi. Orsola (entra seguita da Angela) — Grazie! (A Te resa e Giovanni) Salute e bene! Teresa — Buona sera, donna Orsola. (A Salvatore) Le sedie. Salvatore — Subito (Porge le sedie e seggono tutti intorno al tavolo di centro). Teresa — Donna Orsola, un bicchierino di nocillo, lo accettate? Orsola — Perchè tanto fastidio? Giovanni — Dovere, vi pare! (A Salvatore, dandogli una chiave) Apri la credenza e prendi la bottiglia già dimezzata! (Salvatore prende la chiave ed esce per la sinistra). Teresa — Vittorio a momenti sarà qui!... ARIA PAESANA Orsola — Mi dispiace, lui sapeva ohe saremmo ve nute? Teresa — Certamente! Orsola — Poca cortesia allora, verso di me e verso mia figlia. Teresa — Ha dovuto uscire per un affare urgente! Orsola — Lo aspetteremo allora. Teresa (a Giovanni) —- Vedi, Giovanni... (indicando Angela) che bella figliola. Tu non la conoscevi!... Giovanni — Veramente bella! Orsola —- Bontà vostra, rispondo io per lei! Giovanni (a Salvatore che entra con vassoio, bottiglia di liquore e bicchierini) ■ — Dai a me! (.Salvatore gli porge il vassoio nel quale vi saranno quattro bicchierini, in cui Giovanni verserà il liquore) A voi. (Dà ad Orsola un bicchierino). Orsola — Grazie. Prendo anche quello di Angela. (Ve prende un altro e lo porge ad Angela). Angela (prendendolo) — Grazie. (Beve ma è presa da un colpo di tosse). Orsola (battendole il palmo della mano sulla schiena ed indicandole poi il soffitto, le dice, avendo cura di scandire bene le parole) ■ — La Madonnina, guarda la Ma donnina! (Angela guarda in aria e cessa di tossire, mentre Orsola dice a Giovanni) E’ troppo forte per lei... non è abituata! Teresa — Povera creatura! Giovanni (a Salvatore) — Porta via! (Gli dà il vas soio con i bicchierini vuoti e la bottiglia. Salvatore prende tutto ed esce per la sinistra). Teresa — Dunque, cara donna Orsola, veniamo al ne cessario: voi siete veramente contenta se Vittorio sposa la vostra Angela? Orsola — Non trovo niente in contrario; sono con tenta, pur sapendo che maritando mia figlia resterò sola completamente. Sono vedova da diciotto anni... lo sa pete! Salvatore (entra dalla sinistra, dà a Giovanni la chiave, ed esce senza parlare per il fondo). Orsola —- Appunto per ciò, come prima condizione di questo matrimonio, è che maritandosi, mia figlia dovrà rimanere qui a Montespina. Teresa — Si capisce... questo è pure il mio desiderio! Vittorio porta cinquecentomila lire di dote, oltre le pro prietà... Orsola — Angela, quasi quasi lo stesso... Teresa — ... sono giovani tutti e due... chi potrà es sere più felice di loro? Orsola (a Giovanni) — Voi, don Giovanni, che ne dite? Giovanni — Cosa posso dire. Sono contento quanto voi, ma più di noi, lo devono essere i ragazzi. Come a voi. sta a cuore la felicità di vostra figlia, così a me quella di mio nipote Vittorio... tanto per essere chiatri... se non si dovessero piacere, amici più di prima! Orsola — Certamente: ...amici più di prima! Giovanni (rivolgendosi ad Angela) — Voi che ne dite, Angela? Siete contenta di sposarvi?... (Angela non gli risponde, nè gli volge lo sguardo) — Voi che ne dite, Angela? Siete contenta di sposare? (Angela c. s. men tre Giovanni dice piano a Teresa) Perchè non risponde? Orsola — Voi forse non sapete, signor Giovanni... che Angela... è un po’ sorda?! Giovanni — Amici più di prima!... (Poi guarda con intenzione Teresa) Non me lo avevi detto?! Orsola — Ma già da un mese la sto facendo curare... e migliora di giorno in giorno! (Rivolgendosi ad Angela e scandendo bene le parole) Angela, rispondi al signor Giovanni. (Angela ha capito e guarda Giovanni in at tesa della domanda). Giovanni (un po’ forte) — Voi... siete contenta di sposare?... Di sposare? Orsola (a Giovanni) — Non occorre parlare forte.» basta scandire bene le parole... capisce subito! Giovanni (scandendo bene le parole) — Voi... siete con tenta di sposare? (Angela non risponde e subito Gio vanni dice ad Orsola) Non ha capito! (Poi forte le ri pete e c. s.) — Voi... siete contenta... siete contenta... voi... Angela... (Poi rivolgendosi a Teresa con tono di rim provero) Ti pare possibile che Vittorio possa fare questo? (Poi ad Angela, accompagnando le parole con i gesti) Voi siete contenta di sposare?... Angela (finalmente comprende e rossa dalla vergogna abbassa il capo in segno di affermazione). Teresa —- Vedi?... Le fa piacere! Giovanni (con intenzione) — Allora tutto va bene! Teresa — La casa dove andranno ad abitare dopo il matrimonio, è lontana da qui non più di cento metri... dal balcone della nostra stanza da letto si vede benis simo. Giovanni l’ha fatta tutta rinnovare... venitela a vedere! (Si alza). ^ Orsola (alzandosi dice ad Angela) — Angela... vieni. (Angela si alza e segue Orsola e Giovanni che escono per la porta di sinistra) . Salvatore (entra dal fondo a destra e dice a Teresa che sta per uscire per la porta di sinistra) — Fuori c’è il compare, il signor Egidio!... Teresa (premurosa) — Fallo entrare. (Salvatore esce per il fondo a destra). Ecidio (entrando) — Comare, che novità vi sono?... Teresa — E’ il momento buono di dire a Vittorio quattro paroline come voi le sapete dire, caro compare. Ecidio — Non ha cambiato idea? Teresa — E’ più convinto di prima. Ecidio — Lasciate fare a me. Teresa — Andiamo, di là c’è pure donna Orsola con sua figlia. (E si avvia con Egidio parlottando). Ecidio —- Come volete. (Ed esce per la porta di si nistra). Vittorio (entra dalla destra) — Eccomi di ritorno, zia. Teresa — Bravo, Vittorio. (E dice forte verso la porta a sinistra) E’ ritornato Vittorio... Sta qua Vittorio. Vittorio (che nel frattempo si trova presso il gram mofono al quale carica tutta la corda) Chi è? (ET neces sario che solo a questo momento Vittorio dia tutta la carica alla corda del grammofono, perchè al finale del lavoro, dovendo il disco suonare a lungo, non ci sarebbe più tempo, nè sarebbe logico il farlo). Teresa — Donna Orsola con sua figlia Angela e com pare Egidio. Orsola (entrando dalla sinistra dice piano ad Angela PEPPINO DE FILIPPO la quale è seguita da Giovanni ed Egidio) — Deve salu tare prima lui a noi. Giovanni —■Vittorio? Saluta la signora Orsola, la si gnorina Angela. Vittorio (ad Orsola baciandole rispettosamente la mano) — Buona sera. Orsola — Buona sera. Vittorio (indicando Angela) — Vostra figlia? Orsola — Sicuro. Vittorio (con stupore) — Ah!... (E guarda con inten zione Giovanni, il quale comprende ed indicando col gesto Teresa, come per dire — Sì, me lo ha detto Salvatore. Vittorio —- Devo trovarmi a Milano il giorno sette alle ore'dodici. Vincenzo — Dopo domani. E non c’è tempo da per dere, devi partire alle sette e tre—arriverai questa notte a Roma e prosegui poi per Firenze, Bologna, Milano! Vittorio — Che ora è? Vincenzo — Sono le sei e dieci. Vittorio — Devo fare presto, allora! Teresa —- Ma come?... Non c’è altro treno? Vincenzo —Ce n’èun altro domani sera alla stessa ora— Vittorio — Non posso domani sera, immagina, zia, quanto piacere mi farebbe di rimanere ancora una gior nata con voi—ma arriverei con ritardo a Milano— ed il direttore non mi ha raccomandato altro che la pun tualità. Vincenzo — Allora sbrigati! Vittorio — Cosa devo fare allora? Vincenzo — Prepararti le valigie. Vittorio — Sicuro— una sola valigia però— C’è una valigia, zia? Teresa (confusa) — Una valigia? Vittorio (a Salvatore) — Una valigia? Salvatore (anche lui confuso) — Una valigia? Vittorio — Santo Dio! (a Giovanni) — C’è una va ligia, zio? Giovanni — Sicuro, che c’è! (a Salvatore) Vai a pren dere sull’armadio, in camera da letto, quella valigia di pelle nera— Salvatore — Subito!— (Esce per la destra). Vittorio (a Vincenzo) — Tu mi accompagnerai all3 stazione? Vincenzo — Fino a Napoli. Vittorio (contento) — Dici davvero? Vincenzo — Dico davvero, tanto avrei dovuto andarci domani per affari. Chissà se non verrò a trovarti a Mi lano—ed allora ci divertiremo! Vittorio — Certamente! (Notando che zio Giovanni è seduto in fondo della scena presso il balcone e zia Te resa a destra piagnucolando in silenzio, dice a quest’ultima in tono affettuoso) Zia?!— (Teresa lo guarda) Perchè questa malinconia? Credi forse, che non do vremo più rivederci? Teresa (con dolce rimprovero) — Vittorio?! Vittorio — Allora, coraggio ed aiutami a preparare la valigia! Salvatore (entra dalla destra con la valigia) — Ecco la valigia! (La depone su d’uno sedia presso il tavolo). Vittorio (a Salvatore) — Vieni con me, mi aiuterai a mettere fuori gli abiti, la biancheria— (Ed entra a destra seguito da Salvatore). Teresa — Vengo io, tu non sai dove mettere le mani. (Ed entra a destra). Vincenzo (a Giovanni dopo breve pausa) — Don Gio vanni— datevi coraggio— Giovanni — Per quale ragione, se io me l’aspettavoVincenzo — Vedrete che Vittorio ritornerà! Giovanni — E credete che ritrovi tutto quello che lascia? Vincenzo — Non capisco! Giovanni — Capisco io! Teresa (entra dalla destra avendo tra le mani: ca micie e calzini di Vittorio, dice quasi piangendo a Sal vatore che la segue) — Vai a prendere l’altra roba. ■(Sal vatore rientra mentre Teresa depone tutto nella valigia). PEPPINO DE FILIPPO Vittorio (entra dalla destra con cravatte e una cin ghia) — Queste le porto via... (Poi prendendone due e mettendole da parte) Queste no, son vecchie ormai... le prenderà Salvatore, ed anche questa. (Mette sul tavolo la cinghia e rientra a destra). Salvatore (dalla destra con abiti piegati) — Ecco l’al tra roba! (Depone gli abiti nella valigia, e poi dice a Vincenzo) E’ lontano Milano? Vincenzo — Circa sedici ore! Teresa vcon meraviglia) —- Sedici ore!? Sarà bene pre parargli un po’ di mangiare: salame, provolone, pane... (A Salvatore) Andiamo. (Ed entra con Salvatore a si nistrai. Vittorio (entra dalla destra con colletti e libri, e mentre depone il tutto nella valigia, dice a Vincenzo) —. Fammi il favore, vai a farmi il biglietto, così guadagno tempo, è già tardi. Vincenzo — Sicuro, ti aspetto alla stazione. Buona sera don Giovanni. (Entra a destra). Vittorio — Senti, zio, da Milano ti farò sapere se mi occorre del danaro e tu me lo manderai. Teresa (seguita da Salvatore il quale ha in mano un paniere con salame, provolone, pane ed un fiasco di vino) Qui c’è un po’ di tutto! Salame, provolone, pane, vino e una bottiglia di marsala. Vittorio — Troppa roba, zia, troppa roba! Teresa — Vedrai che non sarà troppa. Sono sedici ore di viaggio, capisci? Vittorio —■Bene. (A Salvatore) Chiudi la valigia e va a prendere il cappello ed il bastone dello zio e lo scialle della zia... corri perchè è tardi. Giovanni (a Salvatore che fa per allontanarsi) — Aspetta ! Vittorio (mettendo il cappello e cercando intorno con lo sguardo come chi vuole ricordare ed assicurarsi di non aver nulla dimenticato) — Perchè, zio? Giovanni —■ Ti accompagnerà Salvatore... a noi la sciaci qua... è meglio! Hai voluto partire... parti ed il Cielo ti benedica... ma ora lasciaci stare... Vittorio — Perchè? Non vi fa piacere accompagnarmi alla stazione?... E’ a due passi... Giovanni — Non è perchè non ci faccia piacere, anzi... ma sai... comprendimi... Per la zia sarebbe troppo do lore! Vai... con l’aiuto di Dio e con la nostra bene dizione! Vittorio —- Come volete! (Abbraccia la zia) Ci rive dremo, zia!... Teresa \non sapendo più contenere la commozione, piangendo gli dice singhiozzando) — Non dimenticarci, Vittorio... non dimenticarci! Stai sempre attento a non prendere freddo... hai la maglia di lana? Vittorio — Sì !... stai tranquilla! Teresa — In treno non metterti seduto accanto allo sportello... potrebbe aprirsi... e scrivi... scrivi, mi rac comando! Vittorio — Tutti i giorni, e appena sarò a Milano ti manderò un telegramma. Teresa —■ Se a Milano dovessi sentirti poco bene... fammelo sapere... ti manderemo subito il nostro medico! Vittorio — Va bene, zia! Giovanni — Lascialo andare, perchè è tardi. Teresa (baciandolo ripetutamente) — Vai... figlio mio! Vittorio (baciandola) —- Arrivederci! (Poi avvicinan dosi a Giovanni) Grazie, zio... di tutto quello che hai fatte per me. (Lo bacia) Arrivederci!... (A Salvatore) Andiamo (Ed esce per la destra seguito da Salvatore con valigia e paniere). Teresa (corre al balcone e poco dopo dice forte) — Buon viaggio. Vittorio (di dentro) — Grazie, zia!... Salutami tutti gli amici e il compare! Baciami zioT Teresa (sventolando il fazzoletto) — Buon viaggio! (Poi piangendo va a sedere vicino al tavolo e dopo poco dirà a Giovanni con tono di rimprovero) Sei stato tu.,, tu sei stato che lo hai incoraggiato a partire! Giovanni — Io?!! Teresa — Sì, tu... proprio tu! Tutto hai fatto, per con vincerlo, perfino la lettera di raccomandazione!... Giovanni — Sei sempre la stessa brontolona, ignorante, non capisci mai niente. Come puoi pensare una cosa simile? Non hai capito che ormai nessuna forza al mondo sarebbe stata capace di trattenerlo e che se io avessi, per caso, cercato di ostacolare i suoi desiderii, avrebbe finito con l’odiarci e questa casa sarebbe diven tata per lui una prigione, un luogo di torture! Teresa (per nulla convinta) — Io capisco solamente che un avvenire avrebbe potuto crearselo anche qui... occorreva proprio andare tanto lontano?! (Pausa) Se si ammalerà, se gli succede qualche disgrazia. (Copren dosi il volto con le mani) Dio, non voglio pensarci! (A Giovanni con tono di rimprovero) Tu sei stato, tu! Vittorio, se non fosse stato incoraggiato, non lo avrebbe fatto... è tanto caro povero figlio, tanto buono! (Pausa) Domani cambieremo casa... Giovanni — Come vuoi tu, purché finisca una volta e per sempre! Teresa —- Finirà... finirà, perchè qui non voglio rima nerci... vedrai! Giovanni —- Perchè non vai a letto? Tutte le sere a quest’ora sei a letto, questa sera no?... Teresa — Vado, vado! (Si alza e si avvia verso la si nistra) Povero Vittorio... caro Vittorio... (A Giovanni) Tu sei stato, tu!... (Entra). Giovanni (alzandosi) — Sono stato io, e non parlia mone più!... (Mette a posto le sedie, guarda l’orologio, pot va al balcone e guardando verso giù dopo poco dirà forte) Salvatore?... Salvatore (di dentro) — E’ partito... poco fa! Giovanni (dopo pausa) — Bene... chiudi il portone e vai a letto! (Rientra e lentamente si avvicina al tavolo di lavoro di Vittorio, osserva i disegni che sono attac cati alla parete, prende dalla scrivania qualche libro, lo guarda poi lo rimette al suo posto. Si guarda intorno, ogni cosa gli ricorda il nipote e la tristezza maggiormente apparirà sul suo volto. Trova le due cravatte lasciate da !Vittorio, quasi le accarezza, poi le piega con cura e le ripone in un tiretto del cassettone a sinistra. Lentamente poi si dirige verso il tavolo da lavoro di Vittorio e con nostalgico ricordo osserva tutto quanto vi si trova sopra, finche il suo sguardo si ferma sul grammofono ed è quest’ultimo oggetto che maggiormente lo rende coire- mosso ed allora ci si siede accanto osservandolo e quasi come per me glio ricordare lo fa suonare. Dopo poco, attratta dal motivo del disco, entra dalla sinistra Teresa e disil lusa, poiché credeva di ritrovare Vit torio, si avvicina a Giovanni, gli poggia con dolcezza la mano sulla spalla, come a volerlo confortare e gli siede quasi accanto, anche lei commossa e triste. Dalla destra, po co dopo, entra Salvatore che, con evidente ma contenuta commozione, siede in silenzio a destra della sce na asciugandosi col dorso della ma no qualche lacrimuccia mentre la tela si chiude lentamente. NB. — Per questa commedia oc corre che il motivo del disco non sia troppo triste, nè troppo allegro e necessariamente trovare un ritmo musicale variabile a sola orchestra o pianoforte, in modo che al finale Teresa e Salvatore potranno entrare in scena ognuno a tempo musicale e cioè ad ogni conclusione di ritmo o motivo e ciò perchè Fazione sce nica prenda solo dalla musica la parola ed il pensiero di ogni sin golo personaggio. iLa tela dovrà chiu dersi sullo stesso motivo sul quale si è levata al principio dell’atto. BIBLIOTECA SANSONIANA STRANIERA LE PIÙ BELLE POESIE LIRICHE DELLA LETTERATURA TEDESCA DALL’ XI AL XX SECOLO Pagg. XLIV-336 E. IO — Breveegiudiziosaautobiografia della letteraturapoe ticadi ungrandepopolo, chevuol soprattuttocostituire l’invitoadunindividualeaccostamentoaguestapoesia cosi riccaespiritualmentecosi diversadallanostra. GOETIIE ,1. «. V IA G G IO IN I T A L I A Tre volumi E. 30 — LamiglioretraduzioneitalianadeM’«ltalienischereise». Il compiantoZaniboni hadedicatoaquesto suo lavoro oltreunventenniodi faticheedèancheriuscitoaduna suggestiva rievocazionedei tempi edella cultura ita lianacoevi al Goethe. GOETHE J. W. LE ELEGIE, LE EPISTOLE E GLI EPIGRAMMI VENEZIANI Pagg. XX-246 E. 1©Èla prima traduzione integrale dei due libri delle ELEGIE,delleEPISTOLEedegli EPIGRAMMI,ampiamente emagistralmentecommentati daGuidoManacorda. SHAKESPEARE IV. ROMEO E G IU L IE T T A Pagg. XXXVIIt-244 E. 10.50 Il primo, inordinedi tempo, dei drammidella grande estatepoeticashakespeariana. Monumento della letteraturaamorosadi tutti i tempi, resoinitalianoconeccezionalefinezzad'arte. SHAKESPEARE W. G IU L IO CESARE Pagg. XLVIII-212 E. V — lapiùconosciutacertamentedelletragediedel grande drammaturgo, machepure si giustifica nella nuova versione italiana per l’industria squisita eraffinata del traduttore. "fa La « gran fersa dei di’ canicular » ha già fatto sentire i suoi primi saggi e la villeggiatura è affiorata refrigerante dal magazzeno delle associazioni d’idee. Ma devo dire che stavolta l’accoppiamento è stato anche favorito dal titolo di una commedia del Goldoni che ho trovata ultima nell’indice del volume V della flessuosa, raffinata e annoiatissima edizione completa delle opere dell’Avvocato veneziano edita dal Mondadori (Tutte le opere di Carlo Goldoni, a cura di Giuseppe Ortolani, volume V, pagine 1411, L. 75 —). La commedia si chiama infatti La villeggiatura. Non si tratta però, come i ben informati sanno, della trilogia famosa che s’impernia sulle Smanie per la villeggiatura, sulle Avventure della villeggia tura e sul Ritorno dalla villeggiatura. Il bel trifoglio goldoniano spunterà, cinque anni dopo, nel 1761. Questa di cui parliamo è una pregustazione, un anticipo del futuro capolavoro uno e trino. «M’ero imbattuto sulla mia strada — dice il Goldoni nelle sue Memorie ■ — in parecchie di quelle case di campagna che costeggiano la Brenta dove il lusso spiega il suo fasto. E’ là dove i nostri avi non andavano che per racco gliere i loro beni che oggi si va per dissiparli. E’ in campagna che si tiene giuoco grosso, mensa imbandita, e si dànno balli e spettacoli ed è là dove il cicisbeismo italiano, senza imbarazzo o costrizione, fa più progressi che dovunque altrove. Ho tracciato qualche tema in base a codesti diversi quadri nei tre lavori successivi di cui darò il riassunto nei prossimi capitoli. Nella presente commedia non faccio che sfiorare l’argomento della galanteria nella società in campagna ». Eppure, anche da questa lieve satira del cicisbeismo affiora la natura del villeggiare all’epoca del Nostro, in quella mania, più che altro mondana, ma anche arcadica e villereccia, la quale spinse il patriziato veneto a inca stonar di bianche e respirate e fastose ville la verde riviera della Brenta verso Padova o il Terraglio che va da Mestre a Treviso o gli aprichi colli d’Asolo e di Conegliano. Città nella campagna erano quelle ville perchè in essi si giuocava, si amoreggiava e ci si pavoneggiava: nella classica trilogia il giovane Leonardo, per la mondana smania villereccia, si rovina e sua sorella Vittoria morirebbe di spasimi o di vapori se non potesse gareggiare con la galante Giacinta nell’esibire i due nastri di diverso colore e di fan tasioso intreccio del suo « mariage ». Ne La villeggiatura donna Lavinia e donna Florida si contestano i loro dami mentre don Gaspare, marito della prima, si rifà con gli amori più consistenti delle villanelle. Come ne 11 ventaglio il profumo della mondanità soverchia gli effluvi campagnoli di una Lombardia di maniera, così qui, nella casa di villeggiatura di don Gaspare, il salotto, il ridotto e l’alcova tengono il campo a dispetto del titolo. Lo si sa bene: nel Settecento il senso del color locale e quello della natura passavano ancora per i mondanissimi e leccatissimi stazzi di Arcadia. Questo è palmare ne La villeggiatura che abbiamo sott’occhio e nella trilogia di cui l’anzidetlo lavoro, per un atto almeno gustosissimo, è come il garbato preludio. Noi, oggi, d’estate, corriamo al monte e al mare. Due secoli fa i nostri avi si accontentavan di una verzicante e addomesticata pianura. Noi gettiamo le vesti inutili per ritemprarci al sole e a contatto con le salsedini marine. O andiamo a respirare le pure aure dell’Alpe levando alto lo sguardo e i cuori verso le cime che accennano al cielo. La generazione di papà Goldoni non dimenticava nemmen nei dì canicolari il cilizio delle parrucche, il peso dei broccati, la ruota spaziosa dei guardinfanti. E la campagna, e il rezzo, e le fresche ville dalle grosse mura potenziavano anziché fugare le civilissime storture cittadine. Ad ogni secolo il suo bene e anche il suo male. Dagli scritti del nostro massimo commediografo settecentesco traspira una serenità che noi avevamo, già prima di nascere, perduta. In compenso questa nostra età ignora le costri zioni innaturali di una moda broccatesca e pesante e proclama il ritorno vero (e non soltanto enciclopedista e retorico) alle bellezze e ai liberi doni della natura. Ecco ciò che abbiamo potuto rilevare traverso un’opera di quel teatro che sempre un poco è specchio della vita, alla vigilia della seconda villeggiatura di guerra. Cosicché, con buona pace del secolo di Goldoni e di Mozart, siamo molto più lieti del nostro mare e delle nostre montagne che di una pianura troppo vicina alla città e trasformata nella sua mondana e incipriata succursale. Sulla Brenta noi ci vorremmo andare d’autunno a ripensare ai primi passi di Eleonora Duse, a perderci tra i labirinti di bosso evocati nel Fuoco, a raccogliere i nostri pensieri raminghi dentro le ormai deserte, fresche e suggestive ville settecentesche. E n ric o R occa ----------------------------------------------------------------------------- 39-------- a ' k M t j c k a K o l t C o m m e d ia i n u n a t t o d i P E P P IT V O D E F I L I P P O Un salottino ele gante di stile «No vecento ». L’azione p o n o n o p si svolge in casa di Roberto Daino, cir MORELLI - ROBERTO ca mezz’ora dopo la LILLY mezzanotte. Roberto (dalla porta del fondo entra seguito da Mo relli, e poiché la scena è buia, illuminata soltanto dalla luce che viene dall’ingresso, accende il lampadario di cendo) — Entrate, signor Morelli, vi prego. (Morelli en tra) Non potete immaginare come sono felice. Morelli — Troppo gentile! Roberto —■Accomodatevi! Morelli — Grazie! (Siede). Rorerto — Che onore per me poter ospitare, sia pure per poco tempo, in casa mia, un grande attore come voi! Morelli — Ma io non voglio dare fastidio! Roberto — Cosa dite!? Dieci minuti solamente, pren deremo un liquorino. (Apre un piccolo mobile-bar e pren dendo una bottiglia di liquore, dice all’attore) Anisetta?... Strega?... Maraschino?... Cosa preferite? Morelli — Anisetta. Roberto — Bene. (Gli avvicina il mobile-bar) Tutto a vostra disposizione. (Quasi ridendo) Mi crederete un pazzo! Morelli — Tutt’altro! Roberto — Scusate: un attore che dopo lo spettacolo, sta per andarsene tranquillamente, quand’ecco che alla uscita dal palcoscenico trova un ammiratore che lo af fronta, gli riempie la testa di complimenti per invitarlo poi a casa sua. Quest’uomo può sembrare un pazzo... in vece no: egli è semplicemente un fervido ammiratore che vuole avere il piacere di presentarvi sua moglie, la quale smania e muore dal desiderio di conoscere il grande, il celebre attore Silvio Morelli, il beniamino, l’idolo delle folle di tutta Italia. Morelli — Esagerate!... Roberto — E’ la verità !... Morelli > — Vi ripeto però: io non posso che tratte nermi... Roberto —• Siete stanco, lo so... ma perdonate che tanto vi ammiri; i fastidi della celebrità. Mi perdonate? Morelli — Certamente. Roberto —- Intanto vado a chiamare mia moglie. Morelli —- ... Avevate detto alla signora che mi avreste portato qua? Roberto —• No, sarà per lei una sorpresa. (Ride) Im magino come sarà contenta. Permesso. (Via prima quinta a sinistra). Morelli (si alza, gira per la scena osservando un po’ tutto, poi vedendo sul tavolino il telefono, forma un nu mero all’apparecchio e porta altorecchio il ricevitore) — Pronto?... Sono io, Maria... dalla casa di un tale che per forza ha voluto invitarmi a casa sua... credo una mez z’ora... non so se mi daranno da mangiare, certo che appetito ne ho... sicuro, tienimi qualche cosa pronto™ i soliti inconvenienti... sei una moglie ideale... Giannino come sta?... Dorme?... Alle dieci aveva trentasette e due?... Come vedi, la purga gli ha fatto bene... Sentiremo domani il dottore... Bianchina è stata buona?... E’ sempre la più cattiva... ora dorme anche lei?... Sì, ho la chiave... se m’aspetti mi farai piacere... Da Roma?... Sono le solite offerte per l’estero... ma io voglio starmene con te e non ho intenzione di viaggiare continuamente... bene... bene... lascia alla cameriera la sveglia per domattina alle nove, ho la prova alle dieci... arrivederci, Maria... un bacio, uno a te un altro a Giannino e un altro a Bianchina... ciao. (Rimette sull’apparecchio il ricevitore). Roberto (dalla sinistra) — Caro Morelli... scusatemi, mia moglie non voleva credermi... e mi è costato fatica!... Adesso viene... (Gli va a sedersi accanto sul divano) Voglio che mi trovi seduto vicino a voi... permettete? (Ride). Morelli —■Prego!... (Lunga pausa) Ma non viene? Roberto — Santo Dio! (Si alza) Non ci crede, non ci crede!... La vado a chiamare! (Via a sinistra mentre Morelli resta solo, dopo poco ritorna e sedendo di nuovo accanto a Morelli) Non ci credeva... ve lo avevo detto!... Adesso verrà! (Pausa). Morelli — ¡Ma non staremo tutta la notte qui... (Inter namente una forte risata). Roberto (contento) — E’ lei... vi ha veduto dal buco della serratura!... Morelli — E ride così?!... Roberto (alzandosi) ■ — E’ pazza per voi!... Vieni, cara, ecco il grande, il divino Morelli! Morelli (si alza e dice a Lilly) — Piacere, signora! Lilly — Grazie! (Fissa con lo sguardo Morelli, come chi osservi da vicino per la prima volta una cosa «rara ») —- Sedete! Morelli (siede) -—Perdonate se per causa mia... vi siete disturbata... Lilly (scoppiando improvvisamente a ridere) — Ah! Ah!... Per carità!... Roberto —■Per lei è stata una vera gioia. Vero, Lilly? Lilly — Già! E scusatemi... ma non posso proprio trattenermi ! Morelli — Prego... E voi, signora, non siete venuta a teatro questa sera? Roberto — Ma neanche io sono venuto... Da qualche giorno, mia moglie non sta complètamente bene... ed io, da solo, non sono capace di andare in nessun posto. Mi sono recato questa sera in casa di mia madre perchè è ammalata. (A Lilly) Sai, Lilly, sta molto, molto meglio mammà. (A Morelli) Ma parliamo di voi. Non potete IL GRANDE ATTORE immaginare l’aironirazione che io e mia moglie abbiamo per voi. (Osservando sul mobile-bar i bicchieri vuoti) Ma vede i bicchierini ancora vuoti. Morelli — Volevo avere il piacere di here insieme. Roberto (ridendo) — Guarda, Lilly! Tale e quale come parla e gestisce sulla scena... vero? Vi assicuro che non cambiate affatto... per questo riuscite ad essere così « umano », naturale e senza artifizio. Morelli (prendendo il bicchierino di liquore che gli viene offerto da Roberto) — Grazie! Roberto — E tu non bevi, Lilly? L illy — No, non ne ho voglia. (Guarda Morelli). Roberto (amoroso) — Perchè, cara? Un bicchierino solo! Lilly —■No, non ne desidero! (C. s.). Roberto — Ma se ti piace tanto l’anisetta. Ho capito: vuoi che te l’offra il signor Morelli. Morelli-—Volentieri. (Prende un bicchierino colmo di liquore) Prego. (L’offre a Lilly). Lilly (sorridendo) — Grazie! Roberto — E così? Cosa rappresentate di bello in settimana? Morelli —• Ancora fino a domenica lo stesso lavoro. Roberto —- Ha avuto un bel successo. E quando darete quel lavoretto... (A Lilly) Come si chiama quella com media dove lui... (indica Morelli) fa tanto bene quel tipo che, invitato a pranzo, non riesce mai a mangiare?... Lilly (sorridendo) — Ah... sicuro... Roberto — Vedete, signor Morelli... mia moglie, a solo pensarci, ride. Lilly (ridendo) ■ — Un invito a pranzo! E’ una com media graziosissima, piena di trovate comiche... Io ri cordo quasi tutte le vostre commedie, tutte le volte che siete venuto a Napoli a recitare! Amo molto il teatro, sapete? Roberto — Ed io pure... Ho anche recitato qualche volta... anche lei... e quasi tutte le sere noi eravamo in teatro. Lilly — Come sarei felice, qualche volta, di assistere alle prove... deve essere una cosa molto interessante! Morelli — Credete? Lilly —- Sì, perchè ho l’impressione che debba essere veramente interessante vedere come fate a provare un lavoro. Non vi viene da ridere? Morelli — Ci si fa l’abitudine. L illy — Ah!... La vita degli attori... Morelli — Vi piace? L illy — E’ una vita che affascina, una vita spensierata, priva di pregiudizi. E poi un attore come voi. chissà quante soddisfazioni e che vita avventurosa... Roberto ■ —- Raccontateci qualche vostra avventura... Morelli — Una vita piuttosto movimentata. Roberto —- Per forza! Un attore come voi! Abitate a Napoli? Morelli — Non ho casa, signora, vivo in albergo... e non sarebbe possibile... viaggio sempre... e poi adoro la vita degli alberghi. Io sono proprio come il pubblico vuole che sia un attore: Non ho fissa dimora, sono sca polo o, meglio - scusate -, sposo e divorzio come la pioggia e il bel tempo nel mese di marzo. Mi piace viaggiare, mi piace il gioco, il fumo, quasi sempre sono ubbriaco, bevo mollo. In fatto di avventure galanti, poi, ne ho passate di tutti i colori. In Francia, in America, in Germania. Ho girato tutto il mondo. Tre duelli e un colpo di pistola qui... (indica un punto del capo) E’ la vita degli attori, cari miei... Non potrebbe essere diversa da questa, altrimenti sarebbe una delusione tToppo forte. Ed il pub blico per questo ci ama, anzi, più ci sa spregiudicati e più ci segue 'con interesse; più 'c’invidia, mi permetto aggiungere. Roberto — E’ vero, è vero!... Sarebbe comico, un grande attore come voi, ammogliato con figli, metodico, assegnato, economico. Che non ama il giuoco, che ripudia le avventure galanti, o che scambia una donna per un prete. Sarebbe veramente un’eccezione! Finirebbe per non destare più interesse... è vero, signor Morelli? Morelli — Precisamente! (A Lilly) E voi, signora, vi interessate molto di teatro? Roberto — E’ la sua passione il teatro. Ha scritto anche tanti lavori, anzi se la cosa vi può interessare, domani ve li manderò tutti: sono diciotto. Morelli — Diciotto?! Roberto —■Fra drammi e commedie. E’ vero Lilly, sono diciotto? Lilly —• Mi pare!... Forse vi potrà interessare « Il soffio del diavolo ». Roberto —■E’ vero! Per voi sarebbe un lavoro meravi glioso, un grande successo. (A Lilly) E lui dovrebbe fare il diavolo, è vero? Lilly — Forse meglio il prete! Roberto — Credi? Io lo vedo più nella parte del diavolo, quando al finale del quarto atto dice: «Oh! femmina, sarà il mio soffio ad incenerirti, sarà il mio sguardo a pietrificarti, e pietra diverrai! ». (Soffia con la bocca) Voi avete un po’ l’espressione satanica!... Per lui andrebbe anche bene l’altro lavoro «Il frutto male detto ». (A Morelli) E’ l’ultimo lavoro di mia moglie, che forse, sarà rappresentato al Dopolavoro di Salerno. Ah! Sì, Lilly: «Il frutto maledetto » lo dovrebbe proprio rappresentare il signor Morelli. Lilly — Sarebbe pretendere troppo!... Roberto — Noi glielo faremo leggere e se a lui piace lo rappresenterà. (A Morelli) Che ne dite? Morelli — Mandatemelo, lo leggerò con piacere... senza impegno però. Roberto — C’è la scena centrale del secondo atto che è veramente, non per dire, un capolavoro. Lilly — Non vorrei che... Roberto (recitando) — «Alzatevi signora! (Morelli si alza) Non voi, signor Morelli!... E’ il fratello Bebé che parla alla sorella, alla quale chiede spiegazione della con dotta tenuta da lei, durante la 'sua permanenza all’estero, dove era andata per lavorare. Morelli (sedendo) — Io credevo... Roberto —- Adesso sentirete. (Ripete) Alzatevi, signora. (Lilly si alza) So tutto... tutto so! Lilly — Sì? Roberto — Sì. Lilly — Bebé! Roberto — Dov’è? Lilly —- Perchè? Roberto — Per te! PEPPINO DE FILIPPO Lilly — Non so! Lilly — Grazie... volete adularmi. Se volete ve lo Roberto — Non 6ai? manderò in lettura? L illy — Ahimè! Morelli — Come credete. Roberto (minacciandola) — Dov’è? L illy — E mi farete sapere il vostro parere disin L illy (spaventata) — Bebé! teressato ! 'Roberto —- Mai sulla mia famiglia l’onta della ver Morelli — Certamente! gogna cadde! Orbene dimmi, o scellerata creatura: l’one L illy — Credete che per voi possa essere adatto? Io sto artigiano Aligi Medusa può ancora tener fede sul credo di sì... Tanto più che recitate tanto il comico che l’onore di sua sorella Licia? il drammatico Lilly — Bebé... Morelli — Già! Roberto — Dovrò considerare Licia morta o Licia Roberto (prendendo la bottiglia del liquore) — Ma viva ? bevete. (Mesce ed offre a Morelli)) Lilly — Bebé! Morelli —■Io sono dolente... E’ tardi. (Osserva l’oro Roberto — E’ viva? logio) E’ l’una! Lilly —- Fratello... ricordi tu il giorno di Pasqua? Roberto — Volete proprio andare? Roberto — E che mi sono rimbambito? Morelli —- Domani ho la prova di un lavoro nuovo. L illy — Cosa portasti a casa? (Mostra il copione che ha con sè). Roberto — Cosa portai?. . Roberto — E’ un lavoro comico? Lilly — Portasti con te la mala nuova che la povera Morelli — Comicissimo. mamma era morta all’ospedale. Dopo sette giorni ricordi Roberto — Andremo a sentirlo, vero Lilly? cosa ti disse il dottore Sardi?... Che tu non potevi più Lilly — Certamente. lavorare a causa del tuo tremendo catarro bronchiale, Roberto —- Anzi... giacché vi trovate qui, non sarebbe ed allora, visto che la miseria inesorabilmente batteva possibile avere due posticini? Noi abbiamo sempre pa le nocche della sua destra sull’uscio della nostra casa, gato... sarebbe la prima volta... visto che ormai al nostro focolare più non sorrideva un Lilly —■ Sì, sì, veramente, che piacere! Per do tozzo di pane, visto che alla nostra casa misera e fredda mani sera? era negato il dolce calore della felicità... visto che Morelli — Per domani sera? occorreva comprare le medicine per la tua grave ma Roberto — Scusate... Che stoccatori! lattia... o fratello... decisi di sacrificarmi contro il tuo Morelli — Per carità!... volere al conte Branzino, ed ecco la mia colpa! Roberto —- Chissà quante noie del genere! Roberto — Oh! Licia... hai venduto il nostro onore! Morelli — E’ un piacere. Delle volte però mi capita Lilly —- Ti sei mai domandato come sono riuscita a di andare in un negozio e dopo di avere speso 500, 1000 non farti mancare nulla... ed a paigare i nostri debiti... lire di merce, mi sento dire : « Signor Morelli, si po finora o fratello? trebbe avere un palco, due tre poltrone... ». Questo Roberto (confuso) — Credevo che... fatto mi dà ai nervi, perchè io penso: scusate, io non L illy — Credevi che cosa? Che facessi miracoli? entro in un negozio a dire: «Per piacere, regalatemi Roberto — Credevo che ancora ci facessero credito. due camicie... sei paia di calzini... ». L illy — Ingenuità di fratello. Lilly (ridendo) — Carina... Roberto — Follia di sorella invece. Perchè santo Dio Morelli —- Il teatro è un commercio come tutti gli non mi fulmini? Perchè ancora mi dài il dolore di altri. Sarà un divertimento... ma appunto perchè è un vivere? La mia casa, il mio onore... (L’afferra) Ti ma divertimento bisogna pagarlo! Non è il caso vostro, per ledico!... carità! Ma se nessuno paga, io gli attori come li pago? Lilly — Fratello, fratello! Roberto —- Giustissimo! Per noi però è un’eccezione. Roberto — Ti ammazzo... (Finge di avere in pugno la Morelli — Si capisce! Se mi procurate un pezzetto rivoltella). di carta, vi segnerò i posti. L illy — No!... Pensa cihe non ammazzeresti me Roberto — Ecco. (Gli dà penna e carta). sola!... sono madre! Sono madre! Morelli — Poltrone? Roberto — Tu?... Roberto (a Lilly) ■ —■Poltrone, Lilly? L illy — Sì ! ... Lilly — Un palchetto! In poltrona c’è quel continuo Roberto — Di lui? passaggio di gente... tanto noioso! L illy — Sì! Roberto (a Morelli) — Un palchetto con ingresso! Roberto — Ma... è un sospetto? Morelli (dopo scritto) — Ecco! Lilly — E’ una certezza! Roberto — E grazie! Signor Morelli sono ricono Roberto — Il figlio di Branzino... (A Morelli) Qui scente! finisce il secondo atto. Che ve ne pare? Morelli — Prego. (A Lilly) Tanto lieto, signora... e Morelli — Interessante!... Immagino tutto il resto del complimenti di cuore! lavoro ! Lilly — Grazie. Sono stata veramente felice, vi man Roberto —• Tutto così! Tutto così drammatico! derò «Il frutto maledetto ». Morelli — Complimenti, signora... anche come reci Morelli — Lo leggerò volentieri e vi farò sapere. tazione! Buona notte! IL GRANDE ATTORE Roberto — Vi accompagno? Lilly, fai salire l’ascensore. Lilly — Subito caro... (Via pel fondo). Roberto — Signor Morelli, non so proprio come rin graziarvi. Voi non potete immaginare quale contributo di pace avete dato alla mia vita! Morelli — Addirittura! Roberto — Ve lo posso dire: siete un uomo di spi rito, del resto è una cosa che torna a vostro onore e gloria. Erano tre giorni che stavo contrastato con mia moglie. Ha un carattere così strano... Be’, mi credete? Non ne potevo più... non sapevo che cosa fare per farle cosa gradita... per accattivarmela... finche stasera ho pensato : Qui ci vuole Morelli, la sua presenza in casa... certamente le farà gran piacere... e difatti, avete visto.» ha dimenticato tutto! Il leone è diventato pecora! Morelli — Ah, ecco! Perciò mi avete fatto venire? Il vero giullare, allora? Roberto —- Cosa dite? Il vero balsamo della moglie. Morelli — Per amor di Dio. Ottima idea! Siete furbo... bravo, bravo... perciò mi avete fatto venire? (Ride) Ma bene! Lilly (dal fondo) — L’ascensore aspetta, signor Mo relli. Morelli — Grazie, signora! Roberto — Arrivederci. Morelli — A domani sera. Conto sulla vostra visita in palcoscenico... Lilly — Senz’altro! Anzi vi porterò io stessa i lavori da sottoporvi in lettura. Morelli — Benissimo. (Si danno la mano) Buon ri poso. (Ma nell’andare si ferma portando le mani sullo stomaco, comprimendolo, mentre esclama piegandosi sulle ginocchia) Dio! Aiuto! Roberto (spaventato) — Signor Morelli, cosa c’è? Lilly — Roberto, che succede? Morelli (c. c.) — E’ nulla, non spaventatevi! (Corre a sedere) Scusate. (Lamentandosi) Ahi, ahi!... Muoio! Roberto — Ma cosa avete? (Gli corre vicino, pre muroso). Morelli (indicando lo stomaco) — Qui, qui... lo stomaco. Roberto — Prendete qualche cosa.» Lilly — Un cognac? Morelli — No, sarebbe peggio. (Lamentandosi) Ahi... ahi! Roberto — Chiamo un dottore! Morelli — No, no, passerà. Sono sofferente di sto maco. Ve lo avevo detto. Sono stati quei tramezzini al caviale che abbiamo mangiato insieme dopo lo spetta colo.» insieme a quelle due signore che mi avete pre sentato. Roberto — Quali signore? Morelli — Quelle due bionde! (Lamentandosi). Lilly (allarmalissima) — Tu? Con due signore? Sei uscito solo? Chi sono? Roberto — Ma è un errore. (A Morelli) Ma quali signore? Morelli — Quelle due che erano con voi ad atten dermi all’uscita del palcoscenico. Roberto — Ma sbagliate. Morelli — Come? C’era quella più alta che rideva tanto. (A Lilly) Scusate, signora. Niente di male... chissà voi adesso cosa pensate... sono delle amiche, ecco... (A Roberto) E’ vero? Lilly (a Morelli) — Vi prego. (A Roberto) Bravo, il maritozzo, fa il marito dispiaciuto, triste, quando la moglie gli porta il muso. Fa la cenerentola quando la moglie tratta con freddezza, e poi se ne va in giro per Napoli alle dieci di sera con due donne, una bionda e una delle due alta e magra. (Forte) Vizioso! Indegno! Traditore! Roberto — Ma ti assicuro... (A Morelli) Signor Mo relli, vi prego di smentire, è una falsità. E’ uno scherzo che avete voluto fare. Morelli — Già... (sempre un poco sofferente) ...sicuro, è uno scherzo! L illy — Uno scherzo? Questa volta, caro signor Mo relli, non riuscite a recitar bene. Conosco questo tipo. (A Roberto) Ma è finita, però... la prova volevo. Ti lascio, ritornerai il pezzente di una volta... perchè è bene che si sappia... (A Morelli) Con la mia dote si è salvato. Sposando me ha potuto farsi un vestito nuovo. Se l’aveste conosciuto prima, con le scarpe rotte cam minava. Roberto (offeso) — Io? L illy — Sì, tu! Adesso cambia vestiti, cravatte, ca micie e mangia bene! Era un morto di fame. Me lo diceva la buon’anima di papà: «...Vedi che questo ti sposa per la dote... questo s’aggiusta quattro uova nel piatto per lui e tutta la famiglia »! Roberto — Tu menti. La mia famiglia non aveva bisogno. Lilly — Cafoni! Roberto — Ti prego. (A Morelli) Ma come un uomo serio può dire certe cose... Signor Morelli... Morelli (gli dice piano) — Perdonate, senza volere... vi assicuro, non credevo.» Roberto — Ma cosa dite.» non si fa! Morelli (a Roberto, piano) — Ci penso io. (A Lilly) Signora, posso assicurarvi che quelle due signore erano due donne serie... mie ammiratrici! Roberto — Un momento! L illy -— Basta... buffone! Morelli — Signora! Lilly — Buffone anche voi! E voi più di lui! Già, lo siete di mestiere! Morelli (offeso) — Signora!? Voi offendete! Sono stato, è vero, poco furbo, perchè ho detto quello che un amico non deve mai dire... ripeto però che l’ho detto perchè vi credevo una signora di spirito... In fin dei conti erano due donne dall’apparenza onestissima. Dico anche che non è nel vostro diritto di offendere un galantuomo. Roberto (a Lilly) — Senti, Lilly... Lilly — Basta! Voglio dividermi. Sei un uomo ab bietto. Vedremo il signorino ritornare impiegato a 327 lire al mese, presso il notaro Ciappa. Roberto (esasperato) — Ebbene, sì! Vattene, fai quello che vuoi! Troppe umiliazioni. Ero impiegato a 327 lire al mese, e con ciò? Ero un onesto lavoratore e ritornerò a lavorare. (A Morelli) La dote... la dote... Quarantamila lire... quest’ìy tutto! Io ti tollero dalla mattina alla sera... i drammi, le commedie... Eh!... Da tre giorni non ne potevo più!... Lilly — Basta, basta! E che altro dovrei sentire? Sono una grande scrittrice. Collaboro su tutti, i mi gliori giornali... Dama di Picche è nota in tutto il mondo giornalistico. Roberto —■Chi ti conosce? Chi ti conosce? Lilly — Senti, adesso me ne vado in camera mia e tu via immediata mente... questa è di mia proprietà. E domani stesso: separazione! (Via a sinistra sbattendo forte Fuscio). Roberto (a Morelli con addolorata meraviglia) — Signor Morelli? Morelli (ritornando sereno e cal mo) — Mi sento meglio! Roberto — Ma voi avete mentito? Morelli — Certamente! Roberto —- Non è vero il fatto nelle due signore. Morelli — Ho recitato bene? E’ stato un vero saggio di recitazione. Roberto — Ma voi non immagi nate il guaio che mi avete combi nato! Perchè lo avete fatto? Io sono rovinato... questo non è umano! Morelli — Ed anche quello che avete fatto voi .non è umano. Voi venite ad importunarmi al solo sco po di servirvi di me per riappaciarvi con vostra moglie. Caro mio, sono un lavoratore io. Roberto — Ma voi... Morelli — Io adesso vado a ri posare, e voi per conto vostro anda tevi a cercare un altro « grande at tore » disposto a fare da giullare in casa vostra, e così la pace ritornerà sovrana in questa meravigliosa ca setta di stile novecento. Buona notte e buon riposo! Roberto — Ma... Morelli — Buona notte! Conto sulla vostra visita in palcoscenico, domani sera! (Via per il fondo). FINE D E L IA COMMEDIA G m e m I L « S U O » PRODUTTORE E I I m « S S O » REGISTA Che il variare dei rapporti di dipendenza influisca sul mutamento dei rapporti d’amicizia è un fenomeno constatabile di solito fra due comuni conoscenti quando uno di essi ha l’ingenua generosità di prestare denaro alValtro; di colpo il debitore, assillato forse e tormentato dall’idea dì dovere riconoscenza oltre che denaro, cambia totalmente d’umore nei riguardi del creditore. Quest’ultimo era una persona di garbo fino a ieri e oggi diventa misteriosamente un insopportabile esoso che si cerca d’i sfuggire ogni volta che lo si può e di cui non ci si perita di sparlare alla prima occasione. Ne viene di conseguenza logica che il debitore, appena divenuto tale, assuma agli occhi del creditore la parvenza del più ingrato ed infido degli uomini. E sono questi certi effetti dell’obbli gazione che la giurisprudenza farebbe bene a considerare. Ma a parte ciò, è raro che fra due persone i rapporti di simpatia cambino solo per il fatto che una di esse si serve dell’altra per un deter minato lavoro o si giovi, dietro compenso, di un’attività dell’altra, Non è perchè ci siamo fatti curare dal medico Tizio che il dottor Tizio ci diventa antipatico; non è perchè l’avvocato Caio s’è incaricato del nostro patrocinio dinanzi ai giudici che egli diventa per noi un individuo spre gevole e odioso; e non è neppure perchè il direttore della banca Taldeitali ci ha assunto ch’egli diviene il bersaglio dei nostri sentimenti più. bassi. In caso, queste sono anzi ragioni perchè i comuni sentimenti <£ami cizia si rafforzino. Così almeno si comporta la grande maggioranza della umanità. Ma nel mondo del cinema avviene esattamente tutto il contrasrio. Soprattutto fra produttore e regista. Il dissidio incomincia quasi subito dopo il primo giro di manovella. Fino a quel giorno il regista è andato attorno dichiarando anche a chi non lo vuol sentire che il suo produttore, bisogna convenirne, fa onore alla categoria; lui ne ha conosciuti, pur troppo, di produttori, tutta gente arida, che non capisce niente d’arte, che pensa soltanto a far quattrini, e, parola sua d’onore, questa è la prima volta che s’imbatte in un vero signore. Dal suo canto, il produttore non si perita ad affermare che stavolta spera proprio di essere cascato bene; il suo regista non è uno sciamannato come Coso o uno stravagante come Cosimo; gli ha espresso delle idee molto giuste ed ha avuta la netta sensazione che questo sia un uomo veramente in gamba. Dopo il terzo colloquio i due hanno di comune accordo deciso di darsi del tu e ormai ciascuno fruga nella scatola di sigarette dell’altro in assoluto cameratismo. Il regista spreca metri cubi di fiato per far sì che il protagonista accetti diecimila lire di meno dal produttore, che ringrazia il nuovo amico con un dolce sorriso, e il produttore non chiede di meglio che affidare la sceneggiatura a colui che il regista gli ha indicato, giurando e spergiu rando che nessuno meglio del regista si intende di queste cose e che' perciò dev’essere lui l’arbitro itisindacabile di ogni questione artistica. Si telefonano almeno due volte al giorno e nel microfono non risuonano che «caro » e «carissimo ». Quando il regista si presenta nell’affollata anticamera del produttore, l’usciere scatta in piedi e si precipita a spa lancare la porta dello studio «privato » col più deferente degli inchini. Si ha quasi l’impressione che il produttore rimanga d i:non avere figlie in età di marito che gli possano dare un giorno la gioia di avere per genero quell’essere eccezionale che è il regista; e ci sarebbe da credere che il regista aneli la nascita d’un altro figlio soltanto per avere la soddi sfazione che il produttore lo tenga a battesimo. Le prime visioni cinema tografiche, i caffè di via Vittorio Veneto, i corridoi della Direzione Generale del Cinematografo li vedono sempre assieme, pieni di attenzioni l’uno per l’altro... Oreste e Pilade, Achille e Patroclo, i Due Sergenti. Ahimè! «Cosa bella e mortai passa e non dura »... E viene il primo giorno di lavorazione. Il produttore arriva in teatro verso mezzogiorno. —• Beh? — chiede, dopo aver battuto affettuosamente sulla spalla del regista. — Come va il lavoro? Quante inquadrature avete girato? — Tre — risponde quello. — E mi par proprio che siano venute benino. Ma il viso del produttore si è leggermente oscurato. Roba da niente, intendiamoci. A volte, in montagna, d’estate, si guarda beati un cielo\ divinamente azzurro e ci si accorge che verso l’orizzonte c’è una nuvoletta non più grossa d’un bioccolo d’ovatta, sola macchiolina di bianco in quel meraviglioso celeste. Nella notte, invece, scoppia il temporale, furibondo, pauroso, cataclismico. Ma come? Il cielo era così bello al tramonto... E un vecchio valligiano vi chiede se vi ricordate di quella nuvoletta che 8 veleggiava pigramente all’orizzonte. Sì? Ebbene, è stata proprio quella che ha portato l’iradiddio della nottata. Ecco: la notizia che nella matti nata del primo giorno di lavorazione non sono state girate che tre solò inquadrature è la nuvoletta foriera di tempeste. Da quel momento la cordialità del produttore verso il regista comincia a raffreddarsi. C’era (Dis. di Onorato). per aria un invito a colazione; ma il regista, nel ristorante di Cinecittà, 8alvo Itandone, Diana Torrieri e mungerà quel giorno ad un tavolo, mentre il produttore consumerà il Lola Braccini, nella trilogia (li proprio pasto ad un altro tavolo. L’invito a colazione si muta nell’offerta O’ IVeill : “ I l lutto si addico ad di un modesto surrogato. E il produttore, prima di tornarsene a Roma, Elettra,, il capolavoro che Anton Giulio Bragaglia ha rappresentato non sa esimersi dal dire al regista, sia pure col sorriso sulle labbra: al Teatro delle Arti di Doma, c — E vediamo di lavorare un po’ di più nel pomeriggio... che leggerete nel prossimo fasci E9fatta. Ora è il viso del regista che si oscura; ora è la sua volta di colo doppio del «iiiindici settembre. vedere spuntare nella serenità del suo cielo la nuvoletta minacciosa. * Il terso e scintillante cristallo dei loro rapporti reciproci si è incrinato irrimediabilmente. Alla prima occasione, non c’è niente da fare, si spac A ltip ia n i» avuto l ’ onore «li cherà. E non ci sarà barba di vetraio che lo potrà ripristinare. Dopo una u d ire u n a «lidie opere p iù settimana di lavorazione, il regista non si riferirà al produttore che chia vaste e p ro fo n d e elio mente mandolo «cafone » e il produttore si sdebiterà parlando del regista come u m a n a a b b ia concepita. di «quell’incosciente ». Quindici giorni più tardi, il curioso passante che Questa trilogia in tre tempi del grande sostasse nei paraggi degli uffici della produzione udrebbe la voce del trageda americano, è cominciata alle 17 ed è terminata alle 22,30. Entrando a produttore, strozzata dalla collera, urlare che Vi ogni giorno se ne vanno teatro, gran parte del pubblico, e noi fior di biglietti da mille e che così non si può andare avanti, al che senti con esso, ci eravamo ripromessi di ab rebbe la voce del regista, arrochita dall’ira, ribattere che ognuno deve fare bandonare il teatro alla fine del se condo tempo, ossia all’ora regolare del il suo mestiere e che quando si ha un nome ed un passato da salvaguardare la cena. E invece, arrivati alla fine del non ci si può piegare alle esigenze degli incompetenti. E’ la fine. Il « tu », secondo tempo, nessuno di noi si è vo quel tu affettuoso ed espansivo, cede il posto ad un «voi » saturo di sar luto muovere dal suo posto, e tutti sia mo rimasti fino alla fine dello spetta casmo. Il regista dice ai propri colleghi che non augurerebbe neppure al colo, per non perdere una sola battuta proprio peggior nemico di avere a che fare con un maledetto rompiscatole di questo testo denso di pensiero e di come il produttore e il produttore asserisce a tutti coloro con cui ha degli poesia. Esprimiamo la. nostra profonda grati affari in comune che per conto suo quel regista ha cessato di esistere non tudine alla Direzione del Teatro delle appena gli avrà consegnata la copia campione del film in corso. E’ l’odio; Arti, che ci ha dato il modo di ascol è la guerra. tare questa altissima tragedia di Eu genio O’NeiM, in una versione impec E tutto questo perchè? Perchè l’ideale del produttore sarebbe un regista cabile e integrale. Esprimiamo la nostra che «girasse » quaranta inquadrature al giorno e che portasse a termine ammirazione al regista Giulio Pacuvio, che, nell’allestire scenicamente questa un film di duemiladuecento metri in tre settimane, senza mai gravare il tragedia, ha compiuto una specie di bilancio di una sola ora di lavoro straordinario e non sprecando un solo miracolo. metro di pellicola più dello strettissimo necessario, mentre il sogno del Diamo la nostra lode piena e incondi zionata agli interpreti, tutti bravissimi regista sarebbe un produttore che profondesse biglietti da mille con la e coraggiosi, e soprattutto alla signora stessa indifferenza di un distributore di volantini pubblicitari, che sorri Lola Braccini, regale, tragica e profon desse arrendevole quando un preventivo venisse superato e che dopo d’aver damente Clitennestra nella parte di Cristina; alla signorina Diana Torrieri visto in proiezione le scene girate saltasse al collo del direttore artistico nella parte di Lavinia, che nei due pri piangendo lagrime di commossa ammirazione e radunasse cortei inneg mi tempi è stata un poco «mona gianti alla sua arte insuperabile. chella », ma ha saputo trovare nel terzo atto accenti di alta tragicità; a Ma se invece, rinunciando l’uno a qualcosa, sacrificando l’altro un Salvo Bandone, ottimo in tutta quanta briciolo dei propri interessi, i due principali esponenti dello spettacolo la lunga e difficilissima parte, che nel cinematografico si decidessero a lavorare d’amore e d’accordo a qualunque la scena della pazzia del terzo tempo costo, non pensate che se ne avvantaggerebbe l’unico che in ogni spettacolo si è dimostrato attore grandissimo. Molto belle, molto suggestive le scene veramente conti, e cioè lo spettatore? di Enrico Prampolini. D in o F a lc o n i Spettacoli come questo, onorano il nostro Teatro. ALBERTO SAVIMO N. d. R. - Queste divertenti considerazioni di Dino Falconi, che hanno (Dalla critica al dramma di Eugenio tutta l’aria di voler sorridere, diventano invece serissime se si pensa che O’Neill chi scrive, essendo anche regista, — come tale — ha avuto più volte il «suo » produttore. Le esperienze sulla propria pelle sono sempre amare ma istruttive. Il lutto si addice ad Elettra CONOSCERE I G R A N D I A T T O R I D E L P A S S A T O : A D E L A ID E Come la Marchionni figlia di poveri comici vagabondi nei piccoli teatri di provincia, come la Marchionni en trata giovanissima in arte, dopo aver sostenuto a 13 anni il ruolo di « seconda donna » nella Compagnia del cele bre « Meneghino » Giuseppe Moncalvo, ed a 14 essersi visto affidare dal suo capocomico il ruolo di protagonista nella Francesca da Rimini del Pellico, Adelaide Ristori era entrata a far parte della Reale Sarda, diretta da Carlo Bazzi, ed aveva iniziato la sua rapida ascesa. Ma a spiccare il volo anche da questa Compagnia la Ristori non esitò quando — non aveva che 18 anni — si vide offrire una scrittura di prima attrice assoluta nella Com pagnia della Duchessa Maria di Parma, diretta da Ro mualdo Mascherpa. Nel libro de’ suoi Ricordi e studi artistici (Torino. 1888) Adelaide Ristori proclama Carlotta Marchionni sua « eccellente maestra ». Ma Ferdinando Martini af ferma invece che la Ristori « non ebbe altri maestri che se stessa »; ed aggiunge che essa operò una rivoluzione sulla scena, in quanto fu la prima ad uscire dalla con venzione, a forza di studio, di osservazione e d’intelli genza. « La Ristori non cercò mai, rappresentando i per sonaggi da lei prescelti, di confinarli nei limiti del pro prio temperamento e del proprio carattere; ma adattò invece se stessa al carattere e al temperamento dei per sonaggi. E non mai, come con la recitazione della mira bile artista, il vero fu espresso in un modo più scevro di artifizi ». Nella Compagnia Mascherpa — giova ricordarlo: a 18 anni — Adelaide Ristori affrontò per la prima volta quella che doveva essere la sua più grande e famosa interpretazione: la Maria Stuarda di Schiller. «Chi mai crederebbe — confessa l’attrice nei suoi Ricordi — che l’interpretazione di un personaggio così importante e complesso come quello di Maria Stuarda si potesse af fidare ad una giovinetta diciottenne, che per la prima volta assumeva le parti di prima attrice assoluta? Ep pure così accadde a me... Il Mascherpa era un eccellente vecchio, tagliato all’antica, ma non un’aquila in fatto d’intelligenza artistica. Egli sapeva essere nel suo diritto l’affidarmi tutte le parti per le quali mi aveva scrittu rata: per conseguenza io dovevo saperle rappresentare... Ma quando mi diede a studiare quella di Maria Stuarda (ciò accadde nella città di Trento) io mi credetti per duta. Nè valeva ad incoraggiarmi il crescente favore del pubblico, che io attribuivo in gran parte alle forme este riori ed alla giovinezza; nè gli incoraggiamenti degli amici e parenti valsero a rassicurarmi. Pure, non potendo mancare agli impegni assunti, mi rassegnai, raccoman dandomi a tutti i miei santi protettori per la buona riu scita dell’esperimento. Col massimo zelo e senza frap porre indugi, non solo mi diedi ad imparare i bei versi di Andrea Maffei, ma, per immedesimarmi sempre più nel personaggio, lessi anche un sunto della storia del l’infelice Regina... E la notte che precedette la prima rappresentazione, come ognuno può pensare, non chiusi occhio. Parevami aver la febbre; mi sentivo inferiore alla prova ». La temuta sera della recita giunse. Il pubblico s’ac corse subito dello studio che la giovanissima attrice aveva messo nel riprodurre il personaggio («studio che, secondo le usanze del tempo e delle Compagnie giro vaghe, si faceva a vapore ») e ricompensò la sua fatica con larghezza di applausi, specie dopo il terzo atto. Il portamento regale della Ristori, il suo costume e l’ac conciatura rigorosamente storica, l’ovale bellissimo del R IS T O R I viso, estremamente pallido per l’orgasmo di cui era in vasa, tutto l’insieme della figura che molto ricordava i ritratti dell’infelice Regina, ebbero il loro peso in quel successo. Soddisfatta dell’entusiasmo suscitato nella pla tea, alla fine dello spettacolo la Ristori corse incontro al Mascherpa e gli disse, con vanità infantile : «Spero che sarete rimasto contento di me! ». Il vecchio capoco mico si strinse nelle spalle, aggrottò le ciglia e con un mezzo sorriso d’indulgenza rispose: «Senti, bambina, tu hai una tendenza marcatissima per la commedia: ma la tragedia... lascia che te lo dica... non fa per te! Ti con siglio di lasciarla da parte... ». Povero Mascherpa! Aveva ragione la Ristori nel dire che non era un’aquila; egli non vedeva più in là del proprio naso. Non dovettero passare molti anni e Ade laide Ristori si sentì proclamare la più grande attrice tragica, non d’Italia, ma d’Europa e poi del mondo. Del resto, il Mascherpa non insistè nel suo errato giudi zio, e nei cinque anni che ebbe nella Compagnia la Ri stori, continuò a farle recitare la Maria Stuarda e altre tragedie ancora, tra cui la Mirra di Alfieri e la Francesca da Rimini del Pellico, che con pari bravura alternava con drammi romantici e lacrimosi e con commedie co miche di Goldoni, di Giraud e di altri. Fu appunto nella Compagnia Mascherpa che per la prima volta la vide recitare, al Teatro Metastasio di Ro ma, nel 1846, il marchese Giuliano Capranica del Grillo. Vederla, sentirla recitare e innamorarsene perdutamente fu tutt’uno, per il giovane patrizio romano. Adelaide Ri stori aveva 24 anni ed era bellissima. Il marchese Capranica fu presto corrisposto nel suo amore; ma l’opposizione della sua nobile famiglia alle nozze con la giovane attrice si dimostrò inflessibile. I due innamorati poterono rivedersi solo dopo innumere voli vicende. Viaggiavano insieme, quando sostarono in un piccolo paese. Era l’ora della Messa: si confusero in mezzo alla folla dei fedeli nella piccola chiesa, e in quella mistica atmosfera rinnovarono, con giuramento, il loro patto d’amore; e quando il prete ebbe pronun ciato Vite, missa est, si presentarono a lui e gli chiesero di essere uniti in matrimonio. Subito dopo furono co stretti a separarsi; ma non per molto. Travestito da umile barrocciaio, con un passaporto falso, il marchese Capranica riuscì a varcare il confine dello Stato Ponti ficio e a raggiungere Firenze, dove Adelaide stava reci tando. Poi, anche il veto opposto dai genitori di lui cadde, e il matrimonio regolare fu celebrato in Roma nel 1847 col consenso del marchese-padre. E da quel momento il patrizio romano non si distaccò più dal l’attrice, di cui fu il compagno fedele e affettuoso e il solerte amministratore, specie nei lunghi viaggi attra verso il mondo. Ma torniamo, dopo la breve digressione, a quella che fu la più originale e potente interpretazione di Adelaide Ristori: la Maria Stuarda. I significati e i valori di questa tragedia, rappresentata per la prima volta a Weimar nel 1800 e pietra basilare del nuovo Teatro germanico, si disvelarono alla Ristori in tutta la loro essenza e vastità con il procedere degli anni. Il personaggio dell’infelice Regina costò all’attrice italiana un profondo studio, che è documentato in un lungo capitolo de’ suoi Ricordi. Nella tragedia schilleriana il contrasto tra le due regine rivali, Elisabetta e Maria, era in sostanza un conflitto tra le due religioni e le due concezioni, la protestante e la cattolica. Alla maniera dei romantici, Schiller interpretava la prima come una regola farisaica, ipocrita e feroce, e la seconda come umana e pietosa. Tutte e due le donne erano col pevoli: ma Maria confessava alla fine i suoi errori, mentre Elisabetta —■espressione tipica della razza inglese, im mutabile attraverso i secoli — nascondeva le sue colpe sotto un’impassibile maschera puritana. Ed alla fine, la morte di Maria diventava un’apoteosi, la vittoria di Eli sabetta una sconfitta morale. Attenendosi fedelmente al testo del dramma tedesco, Adelaide Ristori costruì su questo piano la sua inter pretazione schilleriana, studiandosi che il suo volto bel lissimo portasse progressivamente l’impronta delle tor ture e delle persecuzioni che, tuttavia, non arrivavano mai a spegnere la sua forza d’animo e la sua fede, fino all’estremo supplizio. Nel 1853 Adelaide Ristori rientrò nella Compagnia Reale Sarda: questa volta come prima attrice. Aveva 31 anno ed era già un astro di prima grandezza. Maria Stuar da, Francesca da Rimini, Medea, Mirra, Fedra non ave vano in Italia un’interprete più poderosa, nobile, tragica. E fu appunto perchè nelle sue fila c’era la Ristori che la Reale Sarda due anni dopo (1855) osò avventurarsi a Parigi, dove si stava allestendo un’Esposizione interna zionale. Accolta da prima con grande diffidenza, appena segna lata dalla stampa parigina, Adelaide Ristori si presentò al pubblico della capitale francese nella Francesca da Rimini del Pellico, poi nella Locandiera di Goldoni e nei giorni successivi nella Suonatrice d’arpa del Chiossone, nella Mirra dell’Alfieri e finalmente nella Maria Stuarda. Fu un crescendo di successo di sera in sera, sino a toccare, nelle tragedie dell’Alfieri e dello Schiller, le vette del delirio. L’attrice italiana sorprese, sbalordì, sollevò ondate di fanatismo con la potenza tragica della sua recitazione. Ernesto Legouvé, Alessandro Dumas, Giu lio Janin, Teofilo Gautier le dedicarono articoli traboc canti di ammirazione e di entusiasmo. Parigi fu presa dal delirio per la Ristori, cui Alfredo De Musset e Lamartine dedicarono l’omaggio di versi famosi. Alla rap presentazione della Mirra assistè, mezza velata, in un palco col Principe Gerolamo Buonaparte, anche la Ra chel, attrice famosa e idolatrata sulle scene francesi. Quella sera la Ristori — lo racconterà più tardi — tutta accesa d’emulazione, recitò con forza e passione raddop piate. Finito lo spettacolo in mezzo a fragorosi applausi, apprese che la Rachel si era alzata, al quarto atto e, get tato via il libro della tragedia che teneva tra le mani,, era uscita piena d’ira dal palco e dal teatro. Poi, per quanto facesse, la Ristori non riuscì ad incontrarsi mai con la Rachel, che, disdegnosa, non cercò nemmeno di nascondere il suo rancore verso l’italiana che suscitava tra i suoi connazionali tanti entusiasmi. Di tutto essa fece per demolire il novello idolo del pubblico parigino. Ingag giò una lotta fatta di calunnie, di soprusi, di congiure. Ma tutto ciò non valse ad impedire che la «Casa di Molière », di cui la Rachel era il maggior vanto, offrisse all’attrice italiana un cospicuo contratto perchè restasse in Francia e facesse parte di quel teatro. Fu un colpo tremendo per la Rachel. Ma la Ristori rifiutò: non tanto, come affer marono taluni, per delicatezza verso la grande tragica francese, quanto perchè, italianissima di sentimenti, non intendeva disertare le scene del suo paese ed acqui stare una nazionalità che non era la sua, sopra un palcoscenico in cui si parlava una lingua che non era quella della Patria. Le recite della Ristori a Parigi furono molte e trion fali. Essa dovè replicare un numero considerevole di volte la Mirra e la Maria Stuarda. La Rachel, più che mai ge losa e furibonda, lasciò per qualche tempo la capitale francese, e quando qualche settimana dopo vi tornò, già ammalata, volle cimentarsi anch’essa, all’indomani della Ristori, nel personaggio di Maria Stuarda; ma non nella tragedia di Schiller, bensì in quella assai più modesta del Lebrun. Dicono che vi recitasse con un impeto e una forza tragica che *i suoi ammiratori non le avevano mai visto, e che, nel pronunciare il verso «J’ai plongé le poignard au coeur de ma rivale », essa si drizzasse furiosa, con la schiuma alle labbra, terribile, brandendo il suo pugnale verso la Ristori, che quella sera assisteva alla rappresentazione in un palco. Il gesto era così di retto, l’espressione così feroce, che molti del pubblico se ne accorsero e n’ebbero un fremito. Ma quella fu l’ul tima recita della Rachel: peggiorò e di lì a non molto ammalò gravemente e morì. Lasciata Parigi, Adelaide Ristori, visitò altre città della Francia, accolta dappertutto trionfalmente; e dopo il suo ritorno in Italia cominciò quel famoso giro del mondo che le valse il nomignolo di «instancabile viag giatrice ». Per lunghi e lunghi anni essa fu la grande « ambasciatrice » dell’arte italiana attraverso i paesi d’Europa e d’America; e Maria Stuarda e Mirra conti nuarono ad essere le sue maggiori e più ammirate inter pretazioni. E fu appunto con la Maria Stuarda, recitata in inglese al Teatro Talia di Nuova York a beneficio della colonia tedesca, che la somma tragica diede il suo addio alle scene, il 12 maggio 1885, dopo oltre mezzo secolo di lavoro incessante, di fatiche, di lotte continue, ma sempre vittoriose. M a rio C orsi (Dis. di Onorato). Salvo Rancione, Diana Torrieri e Lola Braccini, nella trilogia di O’ NEILL : I l lu tto s i a d d ic e a d E le ttra il capolavoro che Anton Giulio Bragaglia ha rappresentato al Teatro delle Arti di Roma, e che leggerete nel prossimo fascicolo doppio del quindici settembre. C E S A l ! E V . L O D O Nella pausa piena di, interrogativi e di attesa che ha seguito la morte di Pirandello, fra i non troppi autori italiani rimasti a /Coltivare il teatro puramente d’arte Cesare Vico Lodovici, del quale le Edizioni Italiane (Roma, 1941-XÍX) ristampano con, prefazione di Simoni le migliori/commedie — Ruota, L’incrinatura, La donna di^nessuno —, descj^e un arco consolante, an cora tutto in ascesa. j r Egli nacque all’arte in un mondo in cui l’ultima pa rola spettava agli artifici pirotecnici di un Bemstein, di un Kistemaekers, di un Niccodemi; la scena madre e la condotta parabolica della commedia erano i ca noni inderogabili accettati da tutti e ormai imposti dal pubblico. E il Lodovici reagì, con l’opera e con la pa rola; ebbe il cliiscliiottesco ardire di reagire; nè fu il solò, ina fu il più conseguente, il più rigido, epperò commercialmente il più sfortunato. Solo negli ultimi tempi — dopo il successo della Ruota e più dell’Incri natura (Isa, dove vai?) che cronologicamente viene prima — le sue commedie, più volte rappresentate e da più Compagnie in Italia e all’estero, tradotte e ac colte ovunque con caldi riconoscimenti, han respirato liberamente, sono entrate, per cosi dire, nei gusti del pubblico. Fu detto, e a ragione, se si considera il dato di na tura quasi esclusivamente polemica dal quale è par tito, fu detto che il problema di Lodovici è un pro blema di tecnica. Ma a me sembra più giusto pensare che il suo dramma nasce come problema etico che la preoccupazione (o esercitazione) stilistica serve a ce lare. E in verità, nessuno che accosti il dramma di Lo dovici senza astrazioni o preconcetti, può non sentire, sotto l’apparente lotta formale, una lotta più dura e la volontà di affermare originalmente quel che origi nalmente è visto e sofferto di nodi ed eventi tradizio nali. La 'stessa cura del ritmo, la costante preoccupa zione del commediografo di serbare al dialogo, alla scena, all’atto, e ai dialoghi, alle scene e agli atti fra loro, una organicità, una continuità musicale, perchè si rispondano o s’intersechino come in una partitura, più che un programmatico formalismo attestano una visione tragica ed austera dell’arte; tanto è vero che l’autore ha sempre avuto bisogno di casi e sentimenti umani, della più nota umanità, per esprimersi. E che sia così è anche provato dal fatto che, quando la vicenda dram matica non ha un contenuto morale dove consistere, l’autore cade nel divertimento accademico fine a se stesso, come in quel Tobia e la mosca che, come scrisse nel ’23, egli vorrebbe dimenticato e che più che una imitazione goldoniana'è uri gaio rivagheggiamento, tra letterario e nostalgico, della Commedia dell’Arte. Alla base della poetica del (Lodovici c’è un dissidio morale. La nostra fragilissima natura ci porterebbe a seguire i moti sentimentali dell’io, le affinità spirituali; ma il nostro bisogno di comunione sociale, di compa gnia, di assenso ci indurrebbe alla rinuncia, vorrebbe imporci la sommissione alla regola. Come si vede, il contrasto ha, neanche a dirlo, alcunché di ibseniano. E, solo pensando alla condotta formalmente dispersa delle sue prime commedie, si comprende come si sia potuto parlare di cecofismo, a proposito di un autore dalla tempra morale così salda e virile. Tuttavia, è appunto questo un contrasto che in sè aduna la ca tarsi e la composizione: dalla idealistica volontà di evadere, da un lato, dalla visione eroica e realistica della vita, dall’altro, sgorga il problema etico che, in quanto è necessità di chiarirsi, è anche problema tec nico e dell’espressione. V I C I , V S O E O V E L’opera del Lodovici si può dividere in due fasi: la prima fase, prevalentemente polemica ■ — ma che pure ha opere di riposata stesura —, parte dalla Donna di nessuno per giungere all’Incrinatura; là seconda fase, in senso liricodantastico, fa capo alla Ruota. Dire e non dire, dire ciò che appare fùtile e tacere dell’essenziale, che pure luce attravèrso, fu t’aspetto stiI listico della prima fase: e chi la disse crepuscolare, e i chi la volle intimista. Crepuscolare? Intimista? Biso; gna intendersi. Al «crepuscolo» i personaggi lodovi• ciani appartengono fin quando, come osserva Simoni, « quelle ansie, quelle labilità dello spirito » proprie di essi non siano tratte alla luce della parola che «le con creta, le libera, e le rende pericolose a chi le portava in sè sospese e sopite»; ma quando la liberazione è avvenuta, quando il miracolo è compiuto e la crisi si svolge, i sentimenti che agitano quei personaggi si ri velano in sè chiari, anche se un po’ sfocati, e sono sentimenti gagliardi, consapevoli, tali da fare accet tare virilmente le proprie responsabilità, onde si rias sesti la vita. Nè intimista mi sembra, se tale è l’eroe (qui, l’eroina) che infrange per un attimo le barriere, è presso al sogno, e se ne ritrae per impotenza conge nita a spiccarne e goderne i frutti. La donna di questa poetica è l’oggetto della creazione che, una volta creato, si mette a funzionare da sè e a vivere di vita propria. Intravisto la scopo della loro esistenza, queste creature 10 perseguono senza indugi, vi si dirigono a occhi chiusi e rifiutano tutte le lusinghe, reprimono le stesse loro necessità spirituali per un bisogno più alto, il bi sogno di operare in accordo, talvolta formalistico, so stanziale talaltro, con la Legge, il bisogno di non sen tirsi soli nel mondo. Intimista, dunque, nel senso più proprio, di riposto, di intimo, che si svela, che viene in luce. E se, qui giunto, il Lodovici, accorgendosi di avere attinto l’estremo limite della polemica, oltre il quale non c’era che il letterario e il meccanico, placò il suo tormento in forme semplici e piane, seppure sempre aristocratiche, come nell’Incrinatura, o ruppe il cer chio, frantumò il dialogo, restituì lo sfogo ai suoi per sonaggi, come in Ruota, il fondo della sua arte, il suo mondo, permase identico e le conclusioni furono quelle. Che fa Isa, restando, se non servire la Legge, pur ser bando nell’animo la nostalgia di un sentimento più puro, che le consentirà di vivere, di non sentirsi’ to talmente sola? Che fa Maria, sopprimendosi, se non realizzare la sua verità di sogno, riaffermando se stessa nell’unico modo possibile? «Chi ci salva dai sogni? ». «Chi ci salva, interpreta Simoni, dalle primaverili co struzioni della nostra mente, da quel credere che tutto è bello, che la felicità sarà bellezza, che bellezza sarà 11 dolore, che il gran dono della vita noi lo potremo glorificare, non solo nei pensieri, ma con ogni nostro atto? ». Fra questi due poli, volontà, necessità di evadere, di ubbidire al più vero «noi 'stessi », e riconoscimento del mezzo sociale, della realtà circostante, si muove l’opera del Nostro: contrasto sempre drammatico, anche se a volte assuma liriche movenze; bisogno di comunione, di comprensione, d’amore. Dal 1938, a cui risale gran parte delle notazioni riferite, questo nucleo non ha subito variazioni sostanziali. Anche l’ultima espressione del dramma lodoviciano, dalle apparenze corali — Vespro siciliano (Ed. Italiane Roma, 194I-XIX) — at tinge qui le note più schiette. A c h ille Fiocco O tto c o m m e d ie d i a u to ri it a lia n i r e c ita te a B e r lin o e c h e c o s a d ic o n o i p r in c ip a li in te r p r e t i ^ Durante la passata stagione teatrale sono state rappresentate a Berlino con vivissimo successo ben otto commedie italiane: La bottega del caffè e Arlecchino, servo di due padroni di Goldoni; Villajranca (Cavour) e Un colpo di vento di Forzano; Gli uomini non sono ingrati di De Stefani; L’alba, il giorno e la notte di Niecodemi; Il pozzo dei miracoli di Corra e Achille e Nascita di Salomé di Meano. Nonostante i generi così diversi fra loro, il comune successo è dovuto alla loro acutezza, all’intelligenza delle frasi salienti, all’esuberante colore dello stile italiano, nel suo aspetto politico o grottesco, serio o brillante, mondano o lirico. Il pubblico ne rimaneva sempre avvinto, emozionato, divertito e portato in particolar modo all’applauso anche verso gli emi nenti attori berlinesi che ne incarnavano i protagonisti. Abbiamo così voluto interrogare alcuni di questi artisti su ciò che appariva loro l’attrattiva principale di tali parti, all’infuori dell’effetto generalmente prodotto. Werner Krauss, l’attore più grande, più versatile, mutevole e demo niaco delle scene germaniche, è stato da noi interrogato per primo, dopo una recita del Cavour, in cui egli interpreta la parte del protagonista. « Dietro la figura di Cavour io ho scorto quella del Duce. La sua per sona mi appariva dietro ogni parola della mia parte. Egli ci è più noto di Cavour, come grande uomo di Stato italiano. E così mi pareva di ripe tere le parole di lui e di portare sulle scene la sua stessa figura. I miei amici italiani hanno trovato la mia concezione interessante, ma un po’ sorprendente. Evidentemente essi fanno una maggiore distinzione tra le due figure che noi tedeschi e può darsi che io abbia avuto una visione più falsa o esagerata. Tuttavia essa ha avvinto non solo me, ma anche tutto il pubblico berlinese e ancor oggi non riesco a vedere diversamente tale parte ». Nello stesso spettacolo recitavano Paul Hartmann (Vittorio Emanuele II) e Aribert Wascher (Napoleone III). Hartmann possiede una nobile chia rezza, è più eroico che demoniaco; insomma è un vero gentiluomo, che s’era, appunto, appassionato per il lato nobile e cavalleresco della sua parte. Wascher, uomo dalla figura imponente e dall’anima complicata, che ottiene spesso incredibili effetti scenici attraverso una specie di paurosa secchezza, s’era invaghito del « decadentismo e della mollezza » del suo Napoleone III. Nel Un colpo di vento di Forzano, Emanuele, il protagonista era inter pretato da Paul Kemp, attore noto anche in Italia, attraverso numerosi film. Dopo vari anni di attività quasi esclusivamente cinematografici, egli era tornato alle scene per sostenere questa parte importante, ottenendo un clamoroso successo. «Raramente ho recitato una parte, che mi procurasse altrettanta gioia e raramente ne ho incontrata una, che contenesse tanta eccellente comi cità di carattere. Potevo mostrare così tutto ciò che metto volentieri in evidenza. Potevo apparire comico, commovente, efficace senza toni ecces sivi e interpretare finalmente una figura ricca di umanità. La commedia offre molte possibilità e può esser recitata in tono sentimentale o in tono farsesco. Sotto la regìa di Felsenstein, l’abbiamo rappresentata allo Schillertbeater come una commedia di carattere popolare evitando qualsiasi esagerazione. Il quadro che recitavo volentieri, era quello del Ponte Vec chio. Mi è sempre parso allora di trovarmi realmente in Italia e d’essere un buon diavolo che scopre il proprio cuore. Del resto, sono un entusia stico ammiratore dell’Italia. Il successo riportato in Un colpo di vento e che mi ha deciso a recitare più spesso in teatro per l’avvenire senza fare soltanto del cinematografo, ha ancora accresciuto il mio amore, se questo era possibile ». Nello stesso senso si è espresso Wilfried Seyferth, l’incantevole carat terista del Deutsches Theater, che aveva interpretato il Don Marzio ne La bottega del caffè. Egli è un uomo rubicondo (e spesso, tuttavia, com movente), un attore di straordinaria intelligenza, sveltezza, riservatezza e fantasia. « Sono stato spesso in Italia e vi ho incontrato nel Mezzogiorno molti tipi vivaci, ciarlieri, gesticolanti, proclivi alle esagerazioni; come Don Marzio. Ma sono dei così simpatici bugiardi! Li ho studiati con pas sione e me ne sono invaghito. Ecco perchè ho interpretato così volen tieri la mia parte ». Nella commedia di De Stefani Ida Wiist incarna la buona e brava si gnora verso cui gli uomini si dimo strano poi tutt’altro che ingrati. La Wiist è una donna risoluta, elegante, dotata di cuore e idi senno. Il pub blico berlinese ha una particolare predilezione per lei. « E’ chiaro che ho interpretato vo lentieri, anzi più 'che volentieri, il mio personaggio (così ci ha risposto la simpatica attrice). Io recito sempre con soddisfazione, del resto, le com medie italiane. Ho l’impressione che siano scritte espressamente per me. Gli italiani sembra non abbiano peli sulla lingua e io nemmeno. Forse per questo andiamo d’accordo e poi han no una specie di sentimento, che a me piace parecchio. Ma con il la voro di De Stefani ho avuto una fortuna speciale. L’ho dato per mesi e mesi a Berlino, sempre con sale esaurite (è logico, del resto, perchè un personaggio come il «mio conqui sta necessariamente tutti i cuori) e Fho portato anche in giro per le città minori. Ecco un tipo di com media dì cui nè il pubblico nè io ci stancheremo mai! ». Ci siamo rivolti, infine, a Ursula Deinert, che interpretava la giovane Salomè nella commedia di Meano. E’ una donna deliziosa dagli occhi neri. In origine era una danzatrice, ed ha debuttato con questo lavoro sulle scene di prosa, ottenendo vi vissimo successo. «Era una impresa ardua ma bella. Forse la più diffi cile da me affrontata. Ma ne valeva la pena! ». Tacque, dolce e delibata, poi rievocò i suoi piacevoli soggior ni in Italia, dove spera di recarsi presto per esibirsi nelle sue danze. L o tte IVegre IV E I P R O S S I M I F A S C IC O L I L’ U C C E L L IE R A - K CIÒ CHE NON SI DICE Due commedie in un atto dt STEFANO L A U D I y* Nel nostro fascicolo scorso, Io ago sto, abbiamo pubblicato la bella com media di Cesare Meano: «Millesima seconda », rappresentata allo Stadtische Schauspielhaus di Diisseldorf, nella traduzione di Kurt Sauer. Nei primi giorni del mese, mentre il fasci colo era già in vendita, alcuni giornali quotidiani hanno pubblicato che a Diisseldorf è stata rappresentata, il 10 agosto, una commedia di Cesare Meano «Milledue notti ». Molti lettori ci hanno domandato se è un’altra commedia. Non è un’al tra commedia: si tratta di un errore di trasmissione per «Millesima secon da ». La svista è dovuta all’interpre tazione della trasmissione telegrafica del titolo avvenuta per cifre in luogo delle lettere, e cioè: 1002. Il ’’ notte,, aggiunto al titolo tedesco (mentre in quello italiano è taciuto, perchè si sottintende, venendo dopo le ” Mille e una notte „), è divenuto ” notti „. 11 titolo originale tedesca è: «Die; 1002.e Nacht »: da qui l’equivoco, che ha spostato anche la data della prima rappresentazione perchè la notizia è stata trasmessa in ritardo da un’agen zia tedesca, senza specificare il giorno della ” prima,,. ^ Si ricostituirà quasi integral mente, per l’Anno teatrale XX, la Compagnia Viarisio-Porelli-Isa Pola, di cui farà parte, fra gli altri princi pali elementi, una notissima attricecaratterista, che il nostro pubblico ricorda nella Compagnia De Filip po: la signora Pica. Umberto Melnati, dopo una lun ga parentesi cinematografica, torna a recitare. Egli farà Compagnia con Eva Magni e Migliari, con la deno minazione: «Melnati-Magni-Migliari ». Sarà diretta da Gherardo Gherardi. lAr L’elenco degli attori e delle at trici che faranno parte della Com pagnia del Teatro delle Arti, per il prossimo Anno teatrale, non è ancora definito. Prim’attrice, è certo, rimane la 'Diana Torrieri che, dopo il con senso di critica e di pubblico anche a Milano, è ormai in primissimo piano fra le nostre giovani e migliori at trici. In quanto al prim’attore, Anton Giulio Bragaglia è entrato in tratta tive con vari attori (pare Giulio Sti vai, Mario Ferrari, Memo Benassi, Piero Carnabuci), senza venire tut tora ad una definizione. Com’è noto, Salvo Bandone farà parte della Com pagnia Palmer diretta dalla Pavlova. Per il repertorio dell’anno prossimo Anton Giulio Bragaglia conta molto sul dramma di Eugenio O’ Neill: Strange Interlande, del quale in Ita lia già si conosce la versione cinema tografica, Strano interludio (1932), nell’adattazione di Bess Meredith e C. Gardner Sullivan, regìa di Robert Z. Léonard e interpretazione di Nor ma Shearer e Clark Gable. Nella rappresentazione teatrale i pensieri dei personaggi sono espressi in parole dette con tono di voce più basso del normale, come se Fattore parlasse con se stesso; in quella cinematografica i pensieri dei personaggi furono espres si in parole mediante sovrimpressione sonora, senza che gli interpreti apris sero le labbra. ^ Sulle scene americane sta succe dendo un fatto singolarissimo. In a parte giudicata troppo faticosa per una sola interprete è stata affidata a due attrici, che recitano una setti mana ciascuna. Si tratta di una com media di Elmer Harris, Johnny Belinda, attualmente rappresentata a Broadway. La creatrice del perso naggio principale — Elena Graig — che ha ottenuto due medaglie in premio per la sua bella interpreta zione, spossata dalla fatica, cadde ammalata e il medico le ordinò un lungo riposo. Per evitare che un si mile grave incidente si ripetesse, co me era possibile, il direttore del tea tro ebbe l’idea di affidare la parte a due sorelle, le signorine Giovanna e Luisa Piati. Le due attrici si ras somigliano in modo tale che il pub blico non sa mai se applaude Gio vanna o Luisa. lAr In questo stesso fascicolo, nelle cronache fotografiche, diamo notizia del successo ottenuto al Teatro di Stato di Berlino, da Hans Baumann, col suo « Alessandro Magno ». Ag giungiamo che nella grande arena di Passavia, davanti a seimila spet tatori, in un magnifico paesaggio presso il Danubio, si è dato, per la prima volta in Germania, il nuovo dramma Corradino di Svevia dello stesso giovane poeta Hans Baumann. Nella figura del giovane e ultimo rappresentante della dinastia degli Hohenstaufen, Baumann ha evocato un destino, che deve necessariamente commuovere e infiammare la gioven tù germanica attraverso la tragica lotta di Corradino a favore dell’idea imperiale. Baumann concepisce la vicenda in tre tempi: l’appello ri volto al re giovanetto dagl’inviati del Reich e dell’Italia; l’ardita calata a Verona e la ferma sua decisione, nonostante la pusillanimità e la de fezione di molti seguaci; l’incontro col sinistro Angioino dopo la batta glia di Tagliacozzo. Il drammaturgo fa qui di Corradino il profeta della sua missione di vessillifero della gio ventù e di fiero vincitore sia del pro prio destino, sia della mentalità e dell’odio nemico. Egli esclama alla fine: «Chi vuol destare la vita, deve struggersi! ». E il coro dei giovani (che era composto da seicento mem bri della « Gioventù hitleriana »), conclude: « Corradino lancia, audace, il falco verso il firmamento. La giovinezza fiorisce, dove il desiderio arde lim pido nei cuori ». Il folto pubblico ha accolto con entusiasmo il dramma di questo pro mettentissimo poeta, che combatte ora sul fronte orientale. ★ L’autore de La Padrona del mondo, di Io fui, sono e sarò... e di Girandola, tre commedie tra le più fantastiche e paradossali degli ul timi anni, si converte al romantici smo. Sappiamo che Giuseppe Bevi lacqua sta infatti approntando per la prossima Ricci-Pagnani un aadat tamento » del Padrone delle ferriere, il dramma di Ohnet che tanti sospiri e tanti applausi ha strappato ai no stri nonni e padri. L’idea ci sembra indovinata perchè tanto Renzo Ricci quanto Andreina Pagnani vantano tutte le corde per essere due prota gonisti di eccezione : il primo nei panni del generoso e fiero Filippo, la seconda in quelli dell’orgogliosa ed aristocratica marchesa Clara. Ma Bevilacqua ci promette que st’anno, per la stessa Compagnia, an che qualche cosa di suo: Casseforti, tre atti dei nostri tempi e di certi ambienti. ^ A presidente della « Camera in ternazionale del film » è stato eletto il senatore conte Volpi di Misurata. A suo sostituto è stato designato il dott. Etel di Monaco. A vice-presi denti sono stati nominati il prof. Karl Froehlich (Germania), il dott. Balog (Ungheria), il dott. Anderson (Sve zia) e il dott. Puscariu (Romania). ^ Si è svolto a Berlino un Con gresso internazionale cinematografico indetto dalla «Camera internazionale del film » costituita nel 1934. Tutti i paesi finora membri della Camera internazionale del film hanno con servato i loro seggi. Sono stati nomi nati nuovi membri, su loro doman da, i seguenti paesi: Slovacchia, Croazia, Ungheria (che aveva ab bandonato l’Ente nel 1939), Romania, Bulgaria, Turchia e Portogallo. XT Dal 30 agosto al 13 settembre al cinema San Marco di Venezia si svolgerà la IX Mostra internazionale di arte cinematografica alla quale parteciperanno : Italia, Germania, Giappone, Ungheria, Romania, Sve zia e Svizzera. E’ incerto l’interven to dei film spagnoli e sudamericani. Dal 14 al 28 settembre si svolgerà, nel palazzo Vendramin e al Teatro Ea Fenice, la VII Festa internazionale di musica con concerti e rap presentazioni di opere liriche. I mu sicisti rappresentati saranno: Wag ner, Mozart, Rossini, Cimarosa, Tommasini, Dallapiccola, Gavazzenì, Ghedini, Previtali, Malipiero, Pizzetti, Petrassi, Casella. X Ecco l’elenco definitivo degli at tori che interpretano il grande film della « Lux », I promessi sposi : Gino Cervi (Renzo), 'Dina Sassoli (Lucia), Ruggero Ruggeri (Cardinal Borromeo), Armando Falconi (Don Abbondio), Louis Hurtado (Fra Cri stoforo), Enrico Glori (Don Rodri go), Franco Scandurra (Conte Atti lio), Ines Cristina Zacconi (Perpe tua), Gilda Marchiò (Agnese), Dino di Luca (il Griso), Giacomo Moschini (Azzeccagarbugli), Enzo Bilioni (Antonio Ferrer), Lauro Gazzolo (Ambrogio Fusello), Carlo Duse e Bruno Calabretta (i due bravi), Olin to Cristina (Ambrogio Spinola) e infine Loris Gizzi, Pio Campa, De Macchi, Capecchi, ecc. I promessi sposi sarà pronto per la fine dell’anno corrente. ^ Il primo gruppo dei film italiani che TE.NJ.C. presenterà nella nuova stagione, è il seguente: La corona di ferro, Non mi sposo più, Un ma rito per il mese di aprile, La cena delle beffe, Il chiromante, Il vaga bondo, Turbine, Con le donne non si scherza, Il vespro siciliano, Avanti c’è posto, Se non son matti non li vogliamo, La scuola dei ti midi, Ultimo ballo, Giuoco perico loso, Via delle cinque lune, La boc ca sulla strada, L’allegro fantasma, Gente dell’aria. Un’avventura di Salvator Rosa, di Blasetti, è stato proiettato a Ber lino con pieno successo di pubblico e di critica. ^ La moglie di d’Artagnan ovvero venti giorni dopo è il titolo d’uno gu stosa satira dei dumasiani Tre mo schettieri, che Metz, Marchesi e Ste no hanno ceduto alla «RomulusFilm »; la quale, sembra, ne affiderà a Tofano la realizzazione in film. T E R M O C A A1YG KLO F R A T T IK I O O S P O S A R M IV I I U T E R I O ■ Dopo venti repliche di una com media, il solo che ne reciti fedel mente il testo è il suggeritore. ■ Il vero dramma dell’attore, è che a forza di fingere di fronte al pub blico finisce col non credere più nep pure a se stesso. ■ Le attrici e gli attori non sono mai «innamorati »; sono «pazzamen te innamorati ». Cosi, ciò che per qualsiasi altro si risolverebbe in un incidente diventa per essi una cata strofe. H Certe donne somigliano ai cori nelle opere di Verdi: continuano a dire che se ne vanno e non se ne vanno mai. ■ Non si può giudicare una donna mentre si sta vestendo, come non si può giudicare una commedia mentre si sta provandola. ■ In teatro, gli assidui guardano con aria di superiorità il resto del pubblico, i critici guardano con aria di superiorità gli assidui, e gli inservienti guardano con aria di su periorità tutti quanti. ® Le vecchie pellicole deteriorate, piene di sottili striature grige lon gitudinali, fanno piovere anche nel le sale da pranzo, sui commensali, E IV T E Lire 15 COBDACCIO H A L L ’ OBLIO E d it o r e ■ Angelo Frattini, critico drammatico del quotidiano « Il Sole », pubblica un suo nuovoedivertentissimo volume il cui titolo e le indicazioni per comperarlo abbiamo dato sopra. Buona parte di questo libro ha un sottotitolo: «Logica del paradosso». Dalla logicafrattiniana togliamo i seguenti paradossi teatrali: ■ Il Teatro e il Cinematografo: la valigia di cuoio e la valigia di fibra. ■ Poche cose mi fanno diventare più triste del vedere un attore che da un quarto d’ora.si prodiga oltre misura, si infervora alza la voce la riabbassa la sfuma, la rialza di scatto, moltiplica i gesti, si affanna su e giù per la scena, dà fondo a tutti i mezzi, a tutti i segreti, a tutte le infallibili risorse dell’arte sua per ottenere un applauso a scena aperta, e finisce per uscire «dalla comune » senza che a un solo spettatore venga neppure in mente di mormorare: « Bravo ». M Nelle commedie scritte in collabora zione, come nelle pas p e r fa seggiate in tandem, uno dei due soci suda g io ia anche per l’altro, il d e i v o s tr i quale, senza parere, si fa trascinare amabil occhi mente. ■ Gli attori si divi dono in due catego rie: quelli che, evo cati alla ribalta, rin graziano il pubblico sorridendo, e quelli che lo ringraziano ser bando una faccia im passibile e magari ac cigliata. Questi ultimi si ritengono infinita mente più grandi de gli altri. ■ Certe attrici me diocri recitano la pro pria parte con tanto zelo, da dare a se stes se e al pubblico l’il lusione di capire in vendite presso i miqlUrri ottici. quello che dicono. B’o

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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