23° ANNO - N. 49 - 15 NOVEMBRE 1947 I L D R A LIRE 125 M M A QUINDICINALE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI Jl\ profumo è l’espressione artistica che accentua la personalità, la pennellata che sa dare risalto in modo inimi tabile al nostro gusto ed alle nostre predilezioni. Questo il motivo per cui nel film Universale «Damele Cortis», tratto dal romanzo -di Fogazzaro, edizione Mondadori, per entrare maggiormente nello spirito del personaggio di «Elena di Santagiulia » ha scelto il profumo : R ic o r d o d ’A u tu n n o che insieme a: RICORDO DI PRIMAVERA * RICORDO D ESTATE * RICORDO D’INVERNO completa le nuovissime creazioni luori serie LE Q U A T T R O S T A G IO N I „„ f i . P i. f i n Quattro prolumi luori serie dalla tonalità originale e raffinata intimamente uniti alla stagione di cui portano il nome, in vetri di Murano iridati, eseguili a mano e numerati. Anche le confezioni sono decorate a mano. T ^ m n m N O V IT À MONDADORI P n r p __________ U I SU PPLEM EN TI D I « IL i r a d e l l o DRAMMA» SONO DEI FASCICOLI CHE CONTENGONO, COME UN LIBRO, N O V E L L E PER UN A N N O UN’OPERA CELEBRE DI TEATRO CHE, PUBBLICATA NELLA VOLUME I di pagine 728 L. 1.600 NOSTRA RIVISTA, FU PRESTO ESAURITA E RISTAMPATA VOLUME II di pagine 736 L. 1.600 A DIAMO UN ELENCO DEI SUPPLEMENTI CHE ABBIAMO A DISPOSIZIONE E COSTANO OGNUNO CENTO LIRE Le N. 2 - DEBENEDETTI E ZORZI: LA RESA D I TITV, commedia in tre atti N. 8 - BONELLI E DE BENE DETTI: L’UOMO CHE SORRIDE, commedia in tre atti * N. 9 - GIOVANNI CENZATO: HO PERDUTO MIO MARITO, commedia in tre atti afe N. 12 - GUGLIELMO GIANNINI: GRATTACIELI - MIMOSA, due commedie in tre atti ciascuna if. N. 13 - EUGENIO O’NEILL: IL LUTTO SI ADDICE AD ELETTRA, trilogia tra gica in tre parti e quattordici quadri ^ N. 15 ■ v e c c h ie d e lle e d iz io n i O p e re P ir a n d e llo di (e L u ig i c io è i due v o lu m i d i N o v e lle , i due d i R o m an zi e i d i e c i d e l T e a t r o ) n on s a ra n n o p a te p iù r is t a m n e lla v e s te p re c e d e n te . r is t a m p a , La n u o v a om ogenea e EUGENIO O’N E ILL: ANNA CHRISTIE, commedia in quattro atti; seguono, nel medesimo fascicolo, i due d e f i n i t i v a , s a rà f o r drammi marini in un atto ciascuno : LA LUNA DEI CA- m a ta R A IB I - VIAGGIO D I RITORNO * "O m n ib u s ", d i c u i q u a t N. 16 - ALLING- TON MARTIN: CATENE, commedia romantica in un prologo e tre atti + N. 17 - MICHELE CARAMELLO': LE TRE MARIE, commedia in tre atti. Da questo annuncio è stato tolto il «Supplemento n. 14» conte nente: MOSCA: «EX ALUNNO», perchè esaurito. tro da d i e c i di u s c iti i v o lu m i dei le due e q u a ttro TEATR O che E VI ACCORGE RETE CHE CON CENTO LIRE POTETE AVERE L’INTERA TRILOGIA TRAGICA D I EUGENIO O’ N E IL L : IL LUTTO SI ADDICE AD ELETTRA, COME PURE ALTRE OPERE TRA LE MAGGIORI DELLA LETTERATURA DRAMMATICA D I GRANDE SUCCESSO NO VELLE, d i ROMANZI del v o lu m i * due Sono p r im i q u a ttro r a c c o g lie r a n n o N o v e ll e . n e n te È l'u s c it a im m i dei p r i m i due d e l T e a t r o . A ARNOLDO MONDADORI EDITORE L C E S A T I MILANO - VIA S. TOMASO, 4 g Ì> M \ e ^ d o ^ G u ) o g o o v U , RACCOLTA DI COMMEDIE DI OGNI EPOCA, DIRETTA DA LUCIO RIDENTI * Al Casino Municipale di S. Remo ROMANO CALÒ. NELLA BONORA, RENATA NEGRI, GINA SAMMARCO, GIORGIO P IA M O N T I ed altri, hanno interpretato L E D E L V IE C U O R E COMMEDIA IN TRE ATTI DI DARIO CESA HE PIPERNO RIPORTANDO UN GRANDE SUCCESSO * IL VOLUME È IN VENDITA ALLA LIBRERIA CESATI, AL PREZZO DI L. 175 INDICE DEI FASCICOLI ARRETRATI Le continue, insistenti richieste di fascicoli arretrati (Prima Serie) ci hanno indotti a pubblicare un « In dice » dei numeri che abbiamo an cora disponibili. Questa specie di catalogo, che il lettore interessato conosce già dai precedenti nella sua disposizione (numero, data, titolo dell’opera, autore, specifica) porta, questa volta, anche il prezzo di cia scun fascicolo. Noi abbiamo sempre dato gratuitamente questo «Indi ce », ma chi desidera il nuovo già pronto, dovrà inviarci un’oblazione a beneficio della nostra sottoscri zione per la Casa di riposo degli Ar tisti Drammatici. Non è una spe culazione, come si vede, ma un ri chiamo ai nostri lettori per asso ciarli nella nostra opera di bene. SONO G l A S T A T I M E S S I I N V E N D IT A VEN TO TTO VOLUMI, DEI QUALI DIAM O L’ELENCO N. 1. COMMEDIA DELL’ARTE, canovacci -inediti raccolti e pre sentati da Anton Giulio Bragaglia - N. 2. LA VITA E’ UN SOGNO di Calderon de la Barca, versione di Corrado Pavolini, Cesare Vico Lodovici e Giulio Pacuvio. Presentazione di Corrado Pavolini - N. 3. L’OPERA DEI MENDICANTI (L’opera dei quattro soldi) di John Gay (1728), versione e presentaz.one di Vinicio Marinucci - N. 4. LA CASA NOVA di Cario Go.doni, versione italiana dal dialetto e presentazione di Renato Simoni N. 5. GLI SPIRITI di L. Tolstoi, versione e presentazione di Lorenzo Gigli - N. 6. LA MALQUERIDA d. Giac.nto Benavente, versione e presentazione di Ruggero Jacobbi - N. 7. L’EGOISTA di Carlo Bertoiazzi, presentazione di E. Ferdinando Palmieri N. 8. LE METEMPSICOSI DI YO TCHEOU di Ju-pe-tuen, ver sione e presentazione di A. G. Bragaglia - N. 9. NANA’ d Emi.io Zola, versione e presentazione di Lina Costa - N. 10. LA TRI LOGIA DI LUDRO di Francesco Augusto Bon, presentazione di Gigi Michelotti - N. 11. LA VENEXIANA di ignoto c nquecentista, presentazione di Emilio Lovarini - N. 12. CLAVIGO di G. W. Goethe, versione e presentazione di Aiessandia Scalerò N. 13. LA TRAGEDIA DI AMLETO PRINCIPE DI DANIMARCA d; Shakespeare, versione e presentazione di Alessandro De Ste fani - N. 14. LE MISERIE ’D MONSSU’ TRAVET di Vittorio Bersezio, versione italiana (col testo piemontese accanto) e pre sentazione di Renzo Laguzzi - N- 15. E’ BUONO? E’ MALVAGIO? di Denis Diderot, versione e presentazione d Lorenzo Gigli N. 16. RAPPRESENTAZIONE DI «SANTA » ULIVA di Ano nimo del secolo XV e presentazione di Andrea Lazzarin' - N. 17. LA NOTTE VENEZIANA ovvero LE NOZZE DI LAURETTA di Alfred De Musset, veisione e presentazione d; Gino Damerini IL CANDELIERE di Alfred De Musset, versione di Aldo Franci N. 18. GRINGOIRE - LE FURBERIE DI NERINA di Teodoro de Banville, versione e presentazione di Giovanni Marceilini N. 19-20. L’AJO NELL’IMBARAZZO - DON DESIDERIO DI SPERATO PER ECCESSO DI BUON CUORE di Giovanni Giraud, presentazione di Lucio Ridenti - N. 21. LA FOLLE GIORNATA ovvero IL MATRIMONIO DI FIGARO d P. A. Caron di Beaumarchais, versione di Gino Damerini e presentazione di Renato Simoni - N. 22. RICCARDO III di Shakespeare, versione di Odoardo Campa - N. 23. LA CARROZZA DEL SANTO SACRA MENTO - LA DONNA E’ IL DIAVOLO - L’AMORE AFRI CANO - IL CIELO E L’INFERNO di Prosper Mérimée, versione e prefazione di M. Damer.n, Bressan - N- 24. SACUNTALA di Calidasa, versione e presentazione di Giulio Pacuvio - N. 25. IL DISSIPATORE di Ferdinand Raimund, versione e presentazione di G. e F. Di Giammatteo - N. 26. LA VERITÀ’ SOSPETTA di Juan Ruiz De Alarcón, versione e presentazione di P ero Rai mondi - N. 27. HINKEMANN di Ernst Toller, versione di L. e V. Pandolfi, con un saggio introduttivo di V to Pandolfi N. 28. IL POVERO A CAVALLO di George S. Kauiman e Marc ConneLIy, versione di Vinicio Marinucci. SONO ESAURITI I VOLUMI: N. 1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 -8 -9 -1 3 IM M IN E N T E I V O L U M I N. 29 E G T jD < 7 p 3 30 D I ró ò d o ¿ ^G O C O G O C o lo 'd o ' RACCOLTA DI COMMEDIE DI OGNI EPOCA DIRETTA DA LUCIO RIDENTI C O N T E N G O N O L A D A M A B (L A S C IO C C A ) O B A » Co- wi-ìcz COMMEDIA IN TRE A T T I D I L O P E D E Y E G A 1562-1635 PRIMA VERSIONE E PRESENTAZIONE DI PIERO RAIMONDI Questa commedia —una delle più famose del repertorio lopiano — si imposta sul vecchio tema dell’amore che risveglia l’intelligenza negli sciocchi: ma l’arte briosamente vivace e genialmente fanta stica di Lope sa dare al tema una spiccata originalità di sviluppo •eù una comica dinamicità di azione. L’indimenticabile figura di Finea, La «boba », vive attraverso la commedia con intensa- ric chezza psicologica ed emotiva, passando da toni caricaturalmente comici a venature intime di sentimento, tanto che basterebbe — da sola — a giustificare il grande successo del lavoro. Lope ha dato con questa commedia una delle prove più schiette ed alte della sua eccezionale personalità di scrittore teatrale. La tradu zione che presentiamo è la prima che appare in Italia ed è con dotta sull’edizione critica del manoscritto. A N T O N Y DRAMMA IN CINQUE A T TI D I ALESSAN DR O DU M AS PADRE: 1803- 1870 VERSIONE E PRESENTAZIONE DI ALESSANDRO DE STEFANI Antony è il grido più appassionato e spontaneo del Romanti cismo; Antony è la bandiera di Alessandro Dumas. Gir altri spie gavano in prefazioni e chiose (Hugo; De Vigny) 1 loro intenti: Dumas non spiegava; dimostrava. Egli combatteva due rivoluzioni; per le strade per cacciare Cario V, e nelle lettere per l’avvento del nuovo credo. Dumas era il solo che passava dalla penna al moschetto con uguale disinvoltura, ed a volte credeva di scrivere una pagina di storia quando sparava, o sparava anche con la penna. Tutta la vita di Dumas è un atto di Romanticismo. La sua rivolta contro la società è Antony, scritto in una frenesia improv visatrice, in pochi giorni. Amore e morte, i due temi fondamen tali, sostengono i cinque rapidi e brevi atti che conservano ancora il brivido di un non spento calore. La sera del 3 maggio 1831, Antony, interpretato dal giovane Bocage, fece andare in estasi le donne di Parigi, che sognarono tuue dt poter Incontrare nella loro vita un pallido fatale amante di quel temperamento: tutto cuore ed eroismo. L’entusiasmo fu grandissimo. Non ancora trentenne, Dumas, aveva riportato il più grande successo teatrale che Parigi ricordasse; ed il famoso finale «mi resisteva, l’ho assassinata » fece andare in visibilio tutti i romantici. o/Vf(Z-CTi-oe/cIz-/! FRANCESCHI * Voglio rin g ra zia re , vo g lio b a c ia re , le l e t t r i c i d i IL DRAMMA le q u a li approffitta n d o d e lla vendita s tra o rd in a ria dei m iei e sp e ri menti d i calze "M ille Aghi Nylon" mi hanno incoraggiato a perseverare riconoscendo le mie "Nylon, M ille Aghi" le m i g l i o r i c a lz e d e l mondo. Io debbo q u e s to la v o r o t a n to n o b ile e tanto severo, questo poema fiammeggiante d i fuoco so la re , queste guaine ohe r i vestono come una carezza le gambe fe m m in ili, a lle gen t i l i l e t t r i c i d i IL DRAMMA. ★ Prezzo delle calze Mille Aghi perfette (ogni venditavieneconsegnatainartisticocofanetto) Mille Aghi Atomiche(setapura) il paio L. 1000 MilleAghi Grand’Hòtel (Nylon) »► » 2000 CONFEZIONE A TRITTICO Mille Aghi Atomiche (setapura) trittico L. 1500 MilleAghi Grand’Hòtel (Nylon) » » 3000 Colori di ultima moda: NUBE D’ORO - TERRA D'OMBRA- FUMODI LONDRA- AEROEBAI\0 UNICO NEGOZIO D I VENDITA P IL A D E F R A N C E S C H I VIA MANZONI, 16 - MILANO Per riceverle in tutta Italia, franco di porto, o farle giungere di sorpresa al domicilio di una donna, semprecontenute nell’artistico cofanetto, inviare l’importo a mezzo cartolina vaglia po stale, o bancario; oppure servirsi del Conto Corrente Postale N. 3/32295, aggiungendo (da uno a sei capi) L. 50 per le spese postali. CO p j ora C p 'O 'C jO G jp C Q G p ^ G ~ \ CO § es K j& b é D Q jh a J e j^ e J 'K M V a )e s W < 3 COLLANADELLBOPERETEATRALI DI AUTORIDI RISONANZAMONDIALEDIRETTADALUCIORIDENTI IttT I JiW IN EDIZIONE COMUNE ha già raggiunto quattro edizioni: la) marzo 1945; 2a) aprile 1945; 3a) maggio 1945; 4a) settembre 1946. Poche volte un volume di opere teatrali ha avuto maggiori consensi dì studiosi e più largo interesse di pubblico. Quattro edizioni in così poco tempo costituiscono un successo editoriale tra i più significativi: vuol dire che il volume era desiderato ed atteso; dimostra una perfezione editoriale della quale siamo orgogliosi. Ricordiamo le opere del grande norvegese che il volume stesso contiene: La commedia dell'amore (1862) - Brand (1866) - Peer Gynt (1867) - Le colonne della società (1877) - Casa di bambola (1879) - Spettri (1881) - Un nemico del popo10 (1882) - L’anitra selvatica (1884) - Rosmersholm (1886) - La donna del mare (1889) - Edda Gabler (1890) 11 costruttore Solness (1892) - Il piccolo Eyolf (1894) La lega dei giovani (1896) Quando noi morti ci destiamo (1900). Ogni opera è preceduta da una introduzione, e la presentazione generale «Ibsen e l’Italia », dotta ed esauriente, è dovuta a Lorenzo Gigli. Il volume in edizione comune costa 1500 lire. * /é w ^ A M W L A ^-V Ì / \\ \ f [\ \ \ \\ \ I ( \ \ Il ) ])] \ \ | H ÌL/Jy jìì /))) / sfl ------- "-s. / v ' V/ HI J / \ \/\\ ----' -,—,M Y fiK7Ì1 \V \ \ A / \ Si— / y /[ \ \v \ / ^ =5:::5^ / /U ( V y V)\ \ >— Xo l / I \ ./A* v—[!\ / f \ V a----- 1] / ‘ I \}j \ /^vl 11/ \ I |[ ' ((\ A V *^E==J \ \\\ \ /\ \ \ \y\\ 11 ( v i__ \ / h\ Uil \ x / )! Nv\ ' \ y /Ai /( \ s~ — \ ^ ( \ C T \‘ <$A \ fi ) \ \, \ f ( J )) 1 \ ì \ \\ yfol l / \ |\X\ VI \ \ \ Aj/ii I YsA fy j f \ \ ^ ) ----\ V \\ \ u\\ \ \ j \ W yA\ \ / / ATsAU \j// / /'TN, / i / / N. - /jji ///¡i j / (Ji / f / / "— S /l\ vyX/ /\H V Del voluim€ sono stampate, sulla prima edizione, un limitato numero di copie per gii amatori del libro. Ne abbiamo ancora pochissime a disposizione del pubblico. Si tratta di cosa pregevolissima, una vera rarità bibliografica: mille pagine su carta speciale appositamente fabbricata, con nitidi caratteri ed una rilegatura da amatore in mezza pelle fregi oro. Ogni copia porta l’ad personam e perciò il nome del compratore viene stampato ad ogni richiesta. Le rispettive edizioni contengono una bibliografia particolarmente interessante: sono elencate le «prime rappresentazioni dei drammi di Ibsen» nel mondo, dal 1850 al 1899: sono elencate le «prime edizioni delle opere di Ibsen», da quella di Copenaghen del 1871 ai giorni nostri. Infine, 1’ «Indice » è fatto con il riferi mento ai singoli atti di ogni opera pubblicata. L’edizione dì lusso costa tremilacinquecento lire. E’ il volume più indicato come dono di Natale. Il lettore che vuole regalare un esemplare da amatore a persona che abita in qualsiasi altra città, non avrà che da indicarci il nome della persona, ordinando la copia e versando l’importo. Noi stamperemo quel l’esemplare «ad personam » e faremo recapitare il libro, accuratamente spedito per posta raccomandata, avvertendo con una lettera all’interessato, del dono e del gentile donatore. Le richieste vanno indirizzate alla Società Editrice Torinese* in corso Valdocco, 2 - Torino. Per maggior rapidità e sicurezza, servirsi del C. C. Postale, intestato a Set, N° 2/6540 SS B I m ■ I jSf B m 1 9H BHt wl n ■ H I I M■ S e B ■ B^ ■ B ^ B VN INEDIZIONE DI LUSSO ANNO 23 - NUOVA SERIE - N. 49 , ] H M S M I M M I I QDINDIOIÌJALK DI OOMMBDIB DI GRATTOSIRT1RS3SK DIRITTODALUCIORIDERTI 15 N O V E M B R E 1947 Uffici: Corso Valdocco, 2 - Torino - telef. 40.443 - Un fascicolo costa L. 125 Abbonamenti: Anno L. 2600; Semestre L. 1340; Trimestre !.. 680 - Cónto cor rente postale 2/6540 - Estero: Anno L. 3600; SemestreL. 18*10; Trimestre ! .. 930 Pubblicità: S.I.P.R.A., Via Arsenale 33- tei. 52.521- Uff. concess. tei. 48.416- 48.417 Per un amico. ^ U commediografo Luigi Chiarelli, al quale siamo legati da antica ed affettuosa amicizia, è ammalato da un anno: una paralisi lo immobilizza, nel suo letto di dolore. A conforto delle sue sofferenze, noi gli diciamo pubblicamente il nostro augurio di grandissimo bene. E poiché la speranza è più forte della sofferenza stessa, non possiamo nemmeno pensare che Luigi Chiarelli — il carissimo Gigi dei nostri anni giovanili — non debba e non possa guarire. Guarirà certamente, ritornerà alla sua arte ed al suo lavoro, dimenticando questa paurosa parentesi buia. Luigi Chiarelli è il primo commediografo d’Italia, dopo la scomparsa di Pirandello. Una recente espressione di Thomas Mann «il dramma idi domani dovrà seguire le grandi vie tracciate da due autori italiani: Pirandello e Chiarelli » ha confermato, come già aveva fatto ampiamente Manlio Lo Vecchi Musti, con la sua opera critica e biografica sui due autori italiani, il riconoscimento dei valori del nostro teatro novecentesco. Teatro che parte, appunto, per strade diverse ma con uguale espressione creativa, da Pirandello a Chiarelli. Forse, non pochi connazionali saranno sorpresi di questo, ma i due autori hanno il posto che loro compete nella considerazione universale, ed un giorno lo si riconoscerà anche da noi senza riserve mentali. La t a c c u in o critica disserta ancora oggi — dopo tTent’anni — sulla «grandezza del Maestro » e Pirandello è rimasto nella comune coscienza al punto di prima, o quasi: un enigma, esattamente come trent’anni fa, e lo si applaude senza comprenderlo. A Roma, poche settimane fa, per «Così è (se vi pare) »; a Milano, poche settimane fa, per «I giganti della montagna » applausi larghi e denti stretti. A Luigi Chiarelli, invece, è toccata, da noi, sorte ancora peggiore: lo si è lasciato dimenticare. Per il creatore della più originale commedia italiana dopo la cinquecentesca «Mandragola » è ingrato ed in giusto. «La maschera e il volto » si rappresenta continuamente in Europa ed Ame rica; abbiami sulla tavola le foto della più recente rappresentazione a Varsavia, e Franzero ci scrive che a Londra è stata ripresa «La maschera ». Purtroppo la com media è sempre nelle mani di quell’impresario che non sappiamo per quale scamottaggio non versa neppure uno scellino a Chiarelli e che prima della guerra, non versò il mezzo milione (di allora) che spettava al Nostro. Ma Luigi Chiarelli, dal suo letto, guarda con gli occhi della mente in casa nostra, e non riesce a collocare neppure una delle sue commedie nuove. I capocomici lo hanno dimenticato? gli attori lo ignorano? Siamo forse diventati tutti crudeli? Lo renzo Ruggì, a che servono due Compagnie che vivono col denaro dello Stato, cioè dei contribuenti, se si lascia languire l’ideatore del grottesco, il pioniere della «farsa eroica », il geniale creatore di Scaramanzia? Ruggero Ruggeri, Laura Adani Sarah Ferrati, che cosa avviene, che cosa è dunque avvenuto, se non si trova vo lontà tempo e modo di rappresentare Chiarelli? Il pubblico dimentica facilmente; ma la colpa è nostra che per primi, tanto facilmente, lasciamo tutto cadere nel di menticatoio. E nei vari piccoli teatri, i teatri delle sovvenzioni a stillicidio, dove imperano i giovani monopolisti della cultura mondiale che chiamano maestro Paolo Grassi, sanno che il primo autore italiano è Luigi Chiarelli? Nell’attesa che sui nostri grandi palcoscenici si rappresenti una nuova opera di Luigi Chiarelli, la Radio Italiana — che si propone di mettere in onda, in questa stagione teatrale, nuove commedie di autori italiani, come leggiamo nel proprio cartellone —incominci con un’opera nuova di Luigi Chiarelli. Questa preghiera è per Sergio Pugliese che potrà senz’altro farla approvare dal proprio direttore; mentre una preghiera rivolgiamo noi a tutte le filodrammatiche italiane — sono migliaia — perchè onorino Chiarelli, mettendo in scena una commedia di repertorio dell’illu stre autore. Pubblicheremo l’elenco delle filodrammatiche che lo avranno fatto. Forse tutto ciò sarà il «balsamo sublime » per il nostro caro amico ammalato; è vero Gigi? CO LL AB O R A T O R I CESARE GIULIO VIOLA: POVERI DAVANTI A DIO, tre atti * MAURICE MAETERLINCK : IL DOLORE GIUNGE DALL’ALTRA PARTE, un atto, versione italiana dì Micaela De Pastrovich. Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubblicazione) di REMIGIO PAONE; GIGI CANE; FERNAND CROMMELYNCK; ANTON GIULIO BRAGAGLIA ; VITO PAN.DOLFiI ; RENATO SIMONI ; ADOLFO LOZANO BORROY; MARCEL LE DUC; JOHN H. SEYLLER; FERNALDO DI GIAMMATTEO; GINO CAIMI * Disegni di BIANCONI; FRATEILI; TÒFANO; WILD * Copertina: STROPPA (sintesi della commedia: Poveri davanti a Dio) * Seguono le rubriche varie e le cronache fotografiche. I L « G R I D O D ’ A L L A R M E » ^ iLucio Ridenti mi ha chiesto una presentazione alla mia commedia Poveri davanti a Dio. Avrebbe potuto dai ritagli dei giornali comporre in redazione uno di quei mosaici che spesso servono a redigere un lasciapassare di critica sì e no veritiero, ma tale mosaico avrebbe forse travisato il successo che la mia ultima opera ha riscosso dal pubblico di Milano. Per evitare inesatti e ingiusti rendiconti, Ridenti ha voluto che io scrivessi poche righe di prefazione. Lo ringrazio per la sua precauzione delicata. C è stata, dunque, tra il giudizio della critica e quello del pubblico, qualche discordanza? Sissignori. La critica ha rispettato in genere lo scrittore: ma ha fatto le sue riserve per l’opera. Il dramma, tuttavia, è andato a gonfie vele, con folte e numerose repliche. Allora io mi domando: «Chi ha ragione? La critica o il pubblico? ». Per mio conto, e l’una e l’altro. Rispetto tutte le opinioni, anche quelle che, a volte, per un certo loro linguaggio, potrebbero apparire offensive. (Ma qui entreremmo nel campo dello stile: non tutti quelli che praticano la penna usano lo spazzolino per le unghie. Ed è pur vero, che il sapone si paga, oggi, a caro prezzo in Italia). Il pubblico! Quale pubblico? Una sera, mentre rincasavo, a tarda ora, in camionetta, ho ascoltato, non visto, ì commenti di un signore, intorno a una recente novità italiana, data in un teatro romano. Il signore d’improvviso passò a parlare di Poveri davanti a Dio, e disse: « Viola si accontenta della cassetta! ». Quel signore era uno del pubblico? Lo conoscevo di persona. Lo incontrai il giorno seguente, e gli dissi: «Non ho mai pensato, in trenta anni di lavoro, alla cassetta. Ma che posso farci se il pubblico gremisce il teatro a una mia novità, e applaude? Lei ha ascoltato, a Milano, la mia commedia? — No! — E allora perchè parla? Dovrebbe essere contento d’un successo italiano. E, invece, pare che le faccia dispiacere. E non sapendo come denigrare uno scrittore, gli attribuisce pro positi speculativi! »■ Quel signorenon apparteneva al vero pubblico: a quel pubblico che va a teatro e paga il suo biglietto: e se si diverte, o ride, o piange, o si emoziona, ci torna o consiglia l’amico a recarsi allo spettacolo. Quel signore, forse, era un epatico del teatro, che sognava forse fiaschi e fischi purché l’opera rispondesse a ima sua ideale visione d’arte. Rispetto anche lui, e la sua opinione. E dica pure che «Viola si contenta della cassetta ». Io, invece, dirò che ho scritto, ormai, venti commedie, che si rappresentano in Italia e all’estero. E credo di non aver disonorato con la mia fatica la scena italiana. Dopo alcuni unni di silenzio, cui sono stati costretti i nostri autori, mi sono riaffacciato alla ribalta e ho detto la mia parola. Questa parola ha trovato un consenso nel cuore della folla: dunque, quale che sia la forma in cui è stata detta, deve avere una sua virtù convincente. A parte ogni giudizio estetico, sul quale nonintendo polemizzare, io credo di aver toccato, col mio recente dramma, talune preoccupazioni che sono nell’aria, e che rispondono a qualche problema che investe la vita morale degli uomini d’oggi. Ho messo il dito su una piaga. Ho dato un «grido d’allarme », come benissimo ha scritto Eligio Possenti sul Corriere della Sera. Non vi pare, quando altro mancasse, che questa sia cosa degna d’uno scrittore di teatro contemporaneo? E questa ricchezza che, oggi più che mai fa, in buona o in mala fede, padroni del mondo gli uomini che la detengono, non è forse l’elemento che gravita a deformare quella che dovrebbe essere la legge che regola la giustizia? Poveri davanti a Dio è il dramma della responsabilità dei ricchi. Responsabilità dei padri di fronte ai figli: dei figli di fronte alla vita cui la irresponsabilità dei padri li ha condotti. Quando la ricchezza non conta più poiché viene spazzata da una folata purificatrice e livellatrice, per la quale padri e figli si ritrovano nudi e schietti al cospetto della propria coscienza — tutti apoveri » — ecco che l’equilibrio morale si determina nella necessità di caricarsi ognuno del proprio fardello, e di accogliere in dolorosa serenità la condanna che la vita impone. In questa epoca in cui il delitto si è fatto episodio che più non ci sorprende, e si tira all’uomo come contro l’innocente fringuello a caccia; in cui la vita — la sacra vita umana — è esposta al ghiribizzo o alla ferocia del primo che passa; e si assolvono assassini che si dovrebbero condannare, e si condannano innocenti che dovrebbero essere assolti; in questa confusione di valori morali, per la quale ogni giudizio è compromesso da forze che nulla hanno a che vedere con la giustizia, credo che la rappresentazione di quell’abisso — o d’un settore di esso — sul cui ciglio corre oggi l’umanità, sia doveroso compito dello scrittore con temporaneo. Io seguiterò su questa strada. Poveri davanti a Dio è il primo esperimento, col quale tento di mordere sulla vita d’oggi, con problemi attuali, con posizioni in cui tutti gli spet tatori possano riconoscersi. Non so se in questa prima prova io mi sia espresso piena mente■ Non vuol dire: il primo segno c’è. Verranno col tempo gli altri. Voglio ringraziare l’aIstituto nazionale del dramma italiano », che ebbe fede nella mia opera, ed ha fede nella vitalità del nostro teatro. Giunga a Ruggero Ruggeri, cui questo dramma è dedicato, e a tutti i suoi attori, il mio grato saluto. Cesare Giulio Viola T R E A T T I D I C E S A R E A RUGGERO RUGGERI L E P E R S O 2V E GIORGIO STEVENS — ALICE STEVENS, sua moglie — DOROTHY, loro figlia — RALPH, loro figlio _ STEFANO, loro figlio — GIACOMO STEVENS, fratello di Giorgio — LOUIS DE COURSAC, marito di Dorothy Stevens — LAVERY, giornalista — RANDFELLER — LA SIGNORA CORVIN — UN MAGGIORDOMO — UN CAPO OPERAIO — OPERAI — UN USCIERE Un sontuoso salotto nella casa del miliardario Gior gio Stevens, a New York. (Dopo il desinare. Uomini e donne in abito da sera. Giorgio Stevens, soltanto, veste un abito scu ro da pomeriggio. Quando s’alza la tela Louis De Coursac è sdraiato in una poltrona e fuma. Pausa. Dalla destra sopraggiunge Dorothy). Dorothy — Ah! Tu stai qui? De Coursac — Come vedi... Dorothy — Ti annoi? De Coursac — Moltissimo... Dorothy — Questo ti capita sempre, quando ve niamo in casa di nostro padre... Vogliamo andare? De Coursac — Hai parlato a tuo padre? Dorothy — Non ho avuto occasione... Non mi pareva che questa fosse la sera più adatta... De Coursac — Allora che siamo venuti a fare? Dorothy — Gli parlerò domani... Andrò a tro varlo in fabbrica... Qui, sai, stasera... De Coursac — Già, stasera... E’ l ’ultima volta che mi ci prendete... Da stasera, stop... Io capisco che si festeggi un compleanno, un onomastico, il G I U L I O V IO L A Natale, la Pasqua, la fondazione della Repubblica degli Stati Uniti... Capisco che si festeggi il giorno in cui tuo padre ha messo da parte il primo milio ne di dollari, anche perchè a quelli ne son seguiti molti... Ma, ogni anno, al ventotto settembre, assi stere alla rievocazione di lui che torna a casa in « tuta » con la borsa dello stagnaro sulle spalle : di tua madre che ogni mattina si reca alla lavanderia : di te che porti gli zoccoli : dei tuoi fratelli, eccetera, eccetera... Mi pare una cosa umiliante... Si fa tanto per salire... E quello ogni anno torna al primo gra dino... (Con altro tono) Beh! Del resto son cose che non mi riguardano... Mi riguarda invece.... Siamo al ventotto del mese, le «Atlantic » non c’è peri colo che salgano... Perchè, sai, sempre fortunato io... Se le avesse giocate tuo padre... Dorothy —■Mio padre non le avrebbe giocate... (Interrompendo il discorso) Taci: c’è zio Giaco mo... De Coursac — Ora ci voleva anche zio Giaco mo... (Entra dalla sinistra Giacomo Stevens). Giacomo — Buona sera, Dorothy... (Stringe la mano affettuosamente a Dorothy, e fa un cenno di saluto a De Coursac). De Coursac (corretto) — Buona sera, signor Stevens... Giacomo — Buona sera, De Coursac... De Coursac — Andiamo, Dorothy? Giacomo — Uscite? De Coursac — Abbiamo già fatto il nostro do vere... Ora c’è una partita di bridge che ci at tende... Dorothy — Del resto ci sei tu con papà... E c’è anche Lavery. De Coursac — I due satelliti... Giacomo — Questo si può dire di Lavery, non di me... Vengo qui una volta all’anno, in questa gior nata, dopo pranzo... E sono come una di quelle stelle che appare nel cielo una sera, ogni tanto, /CESARE GIULIO VIOLA tre ore: poi non la si vede più per mesi e mesi... Va, Dorothy, non voglio trattenerti... (Entra dalla sinistra Alice Stevens. E’ una bella donna, ancora fiorente; veste con una eleganza eccessiva). Alice — Oh! Ragazzi: siete pronti? Vengo con voi... Addio, Giacomo... Giacomo — Buona sera, Alice... Alice lai De Coursac) — Mi date un passaggio in macchina, fino al «Metropolitan»?... Giungerò con ritardo, non vuol dire, ma almeno sentirò due atti... ICon altro tono) Perchè, io, non vado più sola in giro... Eh! Alla larga!... IA Giacomo) Hai saputo? Giacomo — Che cosa? Alice — Il figlio di Randfeller... Assassinato... Non si vive più! Ma pensa: esci di casa e ti fanno la pelle... Giacomo — Io non so niente... Alice — Ma non leggi i giornali?... Giacomo — Io, no... Leggo riviste d’astronomia... Alice — A Dovery... L’hanno trovato in un fosso, lui e la sua Pakard... E’ proprio la caccia ai figli della gente ricca... Perchè qui si tratta dei soliti banditi... Io, quando l’ho saputo, - ognuno ha i suoi ragazzi - il mio Ralph, mi è parso di vedere il mio Ralph, proprio come se fosse toccata a lui... Ho messo in moto mezza America per aver subito notizie... Per fortuna Ralph ha telefonato in serata... Dorothy — Ma che idee, mamma... Ne abbiamo già parlato a tavola: dovresti esserti calmata... Alice — Che idee, che idee. To’... Ti accoppano e addio... Io non porterò più i miei gioielli addos so... E sì che ne ho di bellissimi... Questi che vedi al collo, tutti falsi... Certo, nella mia posizione, non posso mostrarmi in pubblico nuda e cruda... De Coursac — Il bello sarebbe che un giorno credessero che sono veri... Alice — Sarebbe il colmo... Lasciarci la pelle per quattro pezzi di vetro... Ragazzi, andiamo... C’è Gigli che mi attende... (A Giacomo) E tu, con le tue stelle? Giacomo — Cara Alice, sono gli unici gioielli che non fanno gola a nessuno... Alice — Si capisce: non costano niente... Addio... Tienmi compagnia a Giorgio... Giacomo — Sta bene... Buona sera a tutti... II tre escono. Giacomo li accompagna fino alla porta, a destra. Quando si volge già entrano dalla sini stra Giorgio Stevens, Lavery e Stefano. Li segue il maggiordomo). Giorgio (che precede i due) — Venite, Lavery... (A Giacomo) Oh! Giacomo... Immancabile tu, eh! IA Stefano) Ora hai visto anche lo zio Giacomo... Salutalo... (Stefano esegue) E va a letto... Tu sai che questo è stato un giorno di vacanza eccezio nale, e che domattina alle otto dovrai già essere in collegio... Stefano — Sì, papà... (Stefano saluta i presenti ed esce per la sinistra). I l Maggiordomo — Debbo servire i liquori? Giorgio — Sì... Dite: c’è della grappa? I l Maggiordomo —• C’è tutto ciò che desiderate... Giorgio — Allora: tre grappe! Va bene per voi, Lavery? Lavery — Grazie, sì. Giorgio (a Giacomo) ■ — E per te? Giacomo — Tu sai che io bevo acqua... (Al mag giordomo) Acqua minerale per me... I l Maggiordomo — Sta bene... Giorgio — E noi, due grappe... (Il maggiordoma s’inchina ed esce) La grappa fa parte della ce rimonia di stasera... C’era in fondo alla strada, dove abitavamo, un piccolo spaccio. Ci andavano i marinai, i facchini, gli scaricatori del porto, gli autisti... E c’era, al banco, Madama Corinne, una francese: grassa come un otre, i capelli tinti, an nodati sul sommo del cranio, come una ciambellina... Rossa: con un volto tutte venuzze... La r i cordo. E’ morta sette anni fa... Volli pagare le spese del funerale... Perchè, allora, mi faceva cre dito... La sera, dopo una giornata di fatica, pas savo da lei, un paio di grappini, e mi rimettevo in gamba- per la nottata... Quanto ho lavorato, allora... Lavery — E anche oggi mi pare che non vogliate smetterla... Giorgio — Sì, anche oggi: forse più di prima: perchè, oggi, forse potrei riposarmi... Ma come si fa: è un vortice: quando ci sei dentro... Ma è bel lissimo... Del resto tutta la colpa è vostra, caro Lavery... Lavery — Già: voi date sempre a me la colpa della vostra fortuna. (Al maggiordomo che, intan to, è tornato e ha servito la grappa e l’acqua mi nerale) Volete portarmi quell’involto che ho la sciato in anticamera? (Il maggiordomo s’inchina ed esce). Giorgio — Che c’è? Lavery — Niente... Una cosa che spero vi sarà gradita... Una piccola sorpresa per voi, Giorgio... E ve la presento ora che siamo soli... (Il maggior domo reca l’involto) Grazie. (Il maggiordomo esce), Giorgio — Vediamo... Lavery (apre l’involto e ne trae una scatola che contiene una teca di vetro, fra le cui lastre è chiuso un foglio di giornale) — Sono riuscito a procurarmi il numero del giornale dove fu pub blicata la mia intervista, con le due vostre foto grafie... Giorgio •— Oh! Lavery — Sì... Vedete: la firma: «Antonio La very»... Il titolo: «Alla ricerca degli inventori»... L’ho fatto chiudere fra questi due cristalli... E’ vostro... Giorgio — Grazie... E’ un pensiero gentile... Lo terrò nel mio studio: in fabbrica... Lavery — Mi ha dato una certa emozione a ri leggerlo... Fu un’idea mia... Ero un povero croni- POVERI DAVANTI A DIO sta... Ricordo che non sapevo come mettermi in luce col direttore del giornale... Un giorno stavo in un bar e ordino un wisky... Mi portano il sifone per la soda... E, osservando il sifone, dico: — Ma guarda un po’... Noi, in fondo, ci siamo abituati... Si preme questo cosino e la soda schizza dal bec cuccio... Eppure... E’ una cosa ingegnosa... Chissà chi l ’ha inventata... D’improvviso mi guardai at torno, e osservai tutte le cose che stavano in quel bar... Dal tappo delle bottiglie per la birra, all’in terruttore della luce... E vidi che noi, in fondo, vi vevamo di piccole invenzioni... Allora nacque l ’idea luminosa : recarsi all’ufficio dei brevetti, e con trollare tutti i brevetti che erano stati depositati... E intervistare tutti gli inventori sfortunati: quelli che avevano inventato cose inutili... Divertentis simo... Quando feci la proposta al mio direttore mi guardò, mi mise la mano sulla spalla, e disse: « Voi avete fantasia... Voi diventerete un grande giornalista »... Giorgio — Infatti... Lavery — Lasciamo andare: se non fosse stato per voi... Giorgio — E anche io debbo dire : « Se non fosse stato per voi! ». (Guardando la pagina del giornale) Forse starei ancora come son qui, con la cassetta a tracolla, a controllare di giorno i contatori del gas, e a sognare sogni impossibili la notte... Ero molto magro... E’ logico... Tutto il giorno in moto, e la notte non dormivo... Vi ricordo: sulla soglia di casa mia, la prima volta: con quel cappelluccio calato sugli occhi e la pipetta... Lavery — Io avevo già preso qualche appunto per l ’intervista: la vostra casa alla periferia: la vostra famiglia: la signora Stevens e i vostri tre ragazzi. Ralph aveva cinque anni, Dorothy sette e Stefano era appena nato... Un pezzo di colore... Oggi l ’ho riletto; non è male... Sì, insomma... (Leg gendo il giornale) «Ecco Giorgio Stevens che viene lento per la strada deserta, dopo la sua giornata di lavoro. E’ un uomo alto e forte: il tipo classico del nostro operaio. Apre il cancelletto del breve giardino che recinge la sua modesta casa, lo chiude con cau tela, poi si ferma, curioso per la presenza d’un estraneo...». L’estraneo ero io... Giorgio — Già... Vi avevo preso per un agente della polizia in borghese... A proposito di polizia... Ma sapete che quella storia del figlio di Randfeller non ci voleva? Randfeller non è certo un mio amico... Tuttavia se penso... Hai saputo, Giacomo?... Giacomo — Sì, mi ha accennato tua moglie... Ma, sai, io vivo un po’ fuori del mondo... Giorgio — Per ora si tratta d’una prima notizia... E’ vero, Lavery? Lavery — Sì... Io ho detto in redazione che mi telefonino pel caso che sopraggiungano nuovi par ticolari... Ho già fatto partire in aereo un nostro inviato speciale: Kelly... Lo conoscete... Molto abile... E volevo, anzi, chiedervi, Giorgio, qual’è la linea di condotta da seguire nei nostri giornali... Il fatto è importante: e avrà certo una risonanza enorme, non solo in America, ma in tutto il mon do... Io, giornalisticamente, sono per lo sfrutta mento più vasto e clamoroso... Sarà per la pas sione al mio mestiere... Ma dati i rapporti tra voi e Randfeller, non so se sia il caso d’impegnarsi a fondo... D’altra parte certi avvenimenti, sieno pure di cronaca, se non si sfruttano a dovere... Giorgio — Che farà il gruppo dei giornali di Randfeller? Lavery — Ah! Non so... Io posso dirvi ciò che farei se stessi a capo del Gruppo Randfeller, come sono a capo del vostro... Giorgio — Che fareste? Lavery —■Io, per illuminare e aiutare la giustizia, mi batterei in una campagna senza quartiere... Non è possibile che la nostra civiltà debba ancora tollerare questo brigantaggio che si adopera spe cialmente a colpire le maggiori personalità del nostro mondo economico, politico, finanziario... Giorgio — Già!... Conoscevate Mix Randfeller?... Lavery — No... E voi?... Giorgio — Ah! No... Ma avete sentito come se ne parlava a tavola: da Dorothy, da mio genero, da mia moglie, che vivono la cosidetta vita di mon do?... Un ragazzaccio,-.. Ora Randfeller -corre1 il rischio di vedersi ribollire tutta una serie di rive lazioni intorno alla vita di suo figlio: il che non so se possa fargli piacere... Tranne che non vo gliano presentarlo come un santo... Tutto è possi bile... E a questo potrebbero servire i suoi giornali... Lavery — E i nostri? Giorgio — La verità! Obiettivi... Basterà essere obiettivi... Randfeller non lo fu nei miei riguardi in altre occasioni... Ma non importa... Lì si trattava d’una lotta tra vivi: qui c’è di mezzo un morto... E’ vero, Giacomo? Dicci la tua opinione... Giacomo — Io? Non saprei: io prescindo dalla persona di Randfeller, industriale, milionario, ec cetera... Se gli hanno ucciso il figlio quest’uomo soffre lo stesso dolore che soffrirebbe un povero operaio... Quindi penso che, di fronte a questo do lore, è poco -essere obiettivi : bisogna stargli a fianco con una generosità senza limiti... Forse mi sbaglio, ma questo è il mio pensiero... , Giorgio — E’ giusto... Questa è la direttiva da seguire... Lavery — Allora? Giorgio — Affiancare Randfeller... Anzi: a parte ciò che scriveremo domani nei nostri giornali, è bene che io mi faccia vivo con lui... (Suona il cam panello. Appare il maggiordomo). I l Maggiordomo —■ Comandi? Giorgio — Carta e matita... I l Maggiordomo — Subito... (Esce). Giorgio (a Lavery) — Vi prego: stendete voi un telegramma... (Il maggiordomo ritorna con carta e matita, poi subito esce). 9 CESARE GIULIO VIOLA Lavery (dopo un po’ di tempo) — Dunque... Dun que... Un telegramma di condoglianze... Giorgio •— E già! Lavery (scrivendo) — Ecco : «Leggo grave scia gura che colpisce voi vostra famiglia prego acco gliere mie vivissime condoglianze». Vi va? Giorgio — Non mi pare molto originale... Ma in somma... Lavery — Già... Gli è che quando si tratta di con doglianze o d’auguri è difficile trovare una formula nuova... Tranne che non vogliate impegnarvi in una campagna di solidarietà che inciti il governo ad un’azione energica contro la delinquenza... Giorgio — Sì... Ma bisognerebbe credere nel go verno.... Lavery — Voi non ci credete? Giorgio — Io? No! Credo, invece, nella delin quenza... Giacomo •— Giorgio... Giorgio — Eh! Sì. caro... Poiché quella la cono sco... Sai, quando si è vestita la tuta, è facile es sersi trovato gomito a gomito con certa gente... Io, per esempio, ho conosciuto Jarry Tali: l ’ho cono sciuto che era meccanico in mi garage di Washing ton... Lavery — Anch’io l ’ho conosciuto, ma quando era già diventato «l’incendiario ». Ricordo che riuscii ad intervistarlo nello Stato della Virginia... Giorgio — Voi avete intervistato tutti: inventori e incendiari... Lavery — E presidenti del Consiglio... E ambascia tori... E condannati alla sedia elettrica... Giorgio — Beh, insomma; l ’uno va per l ’altro... Dunque: Jarry Tali, che allora era un bravo ragaz zo, vi assicuro che non avrebbe ucciso una mosca... Ricordo che le prime prove per la mia ruota Stevens, io le facevo sulle automobili che stavano nel garage dove era impiegato Jarry Tali... E lui mi aiutava, di notte... Era intelligentissimo: era l’unico a cre dere che quella ruota avrebbe avuto un avvenire... Poi finirono i risparmi ed io rimasi in asso con le mie esperienze, e perdetti di vista Jarry Tali... Come sia passato alla rapina, al furto, all’incendio... Ora lo immagino sempre con una faccia da bambino, come era allora, e un fiammifero in mano... Lavery — A me l ’ha spiegato come è giunto al fiammifero... Per una violentissima lite col proprie tario d’un garage... Per uno schiaffo... Si vendicò incendiandogli lo stabile... Da allora ci ha preso gusto e s’è specializzato, il che corrisponde a uno dei caratteri della civiltà moderna... Giorgio (come a sè stesso) — Ma il punto di partenza c’è... Era un ragazzo abbandonato a se stesso... Non aveva nè padre nè madre... Me lo ricordo... Lavery — Allora? Giorgio — Passate al telefono il telegramma, vi prego... Lavery — Vado subito... (Esce). - io Giorgio (molto affettuosamente al fratello) — E tu? Giacomo — Caro Giorgio, tu ogni anno arric chisci d’un nuovo strumento la mia baracca... Ora, con gli ultimi canocchiali che ho montato in que sti giorni, credo che la nostra specola sia una delle più attrezzate del mondo... Giorgio — Beh! Sono contento... Giacomo — Ti sarà costata moltissimo... E a volte mi dico: «Ecco, lui fatica giorno e notte ed 10 sto qui a contemplare le stelle... Sai che ho pen sato? Se riesco a scoprire una stella, la chiamerò Giorgio Stevens...». Giorgio — Sarebbe una stella con un nome ma schile... E’ vero che ce n’è qualcuna... Giacomo — Eh! Diamine... Sirio... Giorgio — Chi era Sirio? Giacomo — E’ il nome d’un cane... Giorgio — E allora se c’è il nome d’un cane ci può stare anche il mio... Scopri la stella... E non farti scrupolo... Basta che esca, ogni giorno, un certo numero di ruote in più dalle mie fabbriche, perchè io possa fornirti, ogni anno, di tutti gli strumenti che ti occorrono... E che sono di fronte alle migliaia che ogni giorno si mettono a correre per le strade del mondo con il mio nome sbalzato nel loro giro... Corri, corri, corri... Chilometri a non finire... Ed io a correre dietro di loro... Non ti dànno il tempo di voltarti a guardare ciò che accade intorno a te... L’altro giorno un impiegato che sta al nostro ufficio-statistica aveva preparato una di quelle pagine di reclame... Scemenze... Ma, insomma, era tale la ridda delle gomme, dei bul loni, dei mozzi, dei raggi, che a un certo punto gli dissi: «Per carità, fermatevi!... qui si tocca il moto perpetuo...». (Con altro tono) Eppure certe sere, Giacomo, vorrei tornare come ero allora... Ti ricordi? Quelle passeggiate sul fiume, alla dome nica? Senza un soldo in tasca... Giacomo — Ti capisco... Giorgio — Perchè mi capisci: sentiamo... Giacomo — Sai: io faccio una vita diversa dalla tua, e spesso mi dico, pensando a te... Giorgio — ...che infelice, con tutti quei dollari... Giacomo — No... Dico: «Giorgio ormai è come im vaso d’acqua saturo di sale... Il sale s’ammassa solido sul fondo, e Giorgio seguita a versare sale sale sale...». Giorgio — In altri termini sarei troppo ricco... Giacomo — No... Ma puoi col danaro allungare di un’ora la tua giornata? Puoi mangiare più di tre volte al giorno? Giorgio — Sissignore... Giacomo — Come? Giorgio — Allungo la mia giornata perchè ho 11 mezzo di sfruttare i miei minuti al cento per cento... E mangio più di tre volte al giorno perchè non mangio soltanto per me, ma per nostra madre, per nostro padre, e per tutti gli altri Stevens che ci hanno preceduti e che hanno fatto la fame... POVERI DAVANTI A DIO Noi che veniamo dalla gavetta abbiamo una fame arretrata di generazioni... Pensa se io potessi con vocare a banchetto tutti i nostri antenati poveri, e tutti i loro amici... Ecco, come si moltiplicano i miei pasti: mi nutro per tutti loro! (Con altro tono) Ed ecco perchè quando mia moglie e i miei figli si divertono, si coprono di bei vestiti, non badano a spese, io vedo in loro saziarsi secoli di miseria, di rinunce, di desideri... E lascio fare... A questo, forse, serve il danaro... Giacomo — Ma tu quanto ne godi? Giorgio — Ah! Io? Niente... Una macchina mi porta alle sette del mattino in fabbrica, e mi ride posita alle sette di sera alle soglie di casa.... Alle dieci a letto, e l ’indomani si ricomincia... Ma sai che, a pensarci, è un bel divertimento? Giacomo — Eh! Dico io... Giorgio — Senti a me: stai meglio tu con le stelle... (La conversazione è interrotta dall’arrivo di Ralph Stevens. E’ un bel ragazzo, elegantissimo: indossa un vestito chiaro, sportivo). Ralph — Buona sera... Giorgio — Oh! Ralph... Ce l ’hai fatta a venire... Grazie del telegramma... Ralph — Tanti auguri, papà... Buona sera, zio. Giorgio ■ — Meno male! Ti sei ricordato che que sta è una giornata in cui voglio che tutta la fa miglia mi stia intorno... Sei giunto con un po’ di ritardo, ma insomma... Ralph — Sarei giunto per l ’ora del pranzo, ma una «panne»... Giorgio — Non ti sarà mica scoppiata una gom ma... Ralph — No: le gomme Stevens non scoppiano... Mi si è rotto il tubo della benzina... Giorgio •—• Chissà a che velocità andavi... Ralph — Se si toglie la velocità all’automobile... E la mamma? E Dorothy? Giorgio — Tutti fuori, come al solito... Anche tu, naturalmente, ti cambi ed esci... Ralph — No... Sono un po’ stanco... faccio un bagno... (Ralph suona un campanello: appare il maggiordomo) Fatemi preparare un bagno... I l Maggiordomo — Subito... (Il maggiordomo fa per uscire. S’incontra in Lavery, gli cede il passo). Lavery — Fatto... Buona sera, Ralph.... Ho tele fonato al giornale... Kelly ha già trasmesso una prima colonna di cronaca... Ralph — Di che si tratta?... Lavery — Dell’assassinio di Mix Randfeller... Ralph — Ah! Lavery — Tu lo conoscevi, è vero? Ralph — Lo conoscevo... E dove l ’hanno accop pato? Giorgio — Ma non hai letto la prima notizia sui giornali del pomeriggio? Ralph — Sì... Ma Kelly... Che dice Kelly? L’a vrete mandato sul posto come inviato speciale... Lavery — Non so con precisione... So che ha promesso per la notte nuovi particolari... Anzi io, se permettete, vi lascio e corro in redazione, per vigilare personalmente la cosa... E’ un fatto di cronaca che minaccia di prendere vaste proporzio ni... Arrivederci, caro Giorgio... La linea di con dotta per il momento è quella che abbiamo de cisa, vero? Giorgio —• Assolutamente... Giacomo — E anche io ti saluto... (Guarda l’oro logio) Tanto: son quasi suonate le dieci... E tu, a quest’ora, vai sempre a letto... Grazie ancora di tutto... Giorgio — Addio, Giacomo... Giacomo — E se scopro una stella... Giorgio (ridendo) — D’accordo... (Lavery e Gia como, dopo aver stretto la mano a Giorgio ed a Ralph, escono dalla destra. Pausa, poi Giorgio si rivolge a Ralph) E tu? Ralph — Mi sdraio un po’ qui... (Si abbandona con una qualche pigrizia sopra una poltrona). Giorgio — Ma non avevi ordinato un bagno? Ralph — Sì... Vuol dire che se ne avrò voglia... Per ora mi sdraio un po’ qui... Giorgio — Grazie... Ralph — Di che? Giorgio — Grazie dell’onore... Ralph — Perchè? Giorgio — Perchè mi pare che dal giorno in cui hai acquistata la libertà di uscire la sera, è la pri ma volta che a quest’ora ti veggo seduto su questa poltrona... Non credere che mi faccia dispiacere... Anzi... Soltanto mi fa tanta meraviglia che sento il dovere di ringraziarti... Ralph — E’ un rimprovero, questo? Giorgio — No: è una constatazione... Del resto non sarebbe giusto che voi giovani vi infilaste a letto, come faccio io, all’ora in cui vanno a dor mire le galline... Di un po’ : non ti senti bene?... Ralph —• No... sto benissimo... Ma sai, quattrocento chilometri di automobile a tutta andatura... Anche quando ci si è abituati... Ho la testa che mi ronza come un alveare... Giorgio — Bevi qualche cosa: ti farà bene... Ralph — Hai ragione... (Suona il campanello. Appare il maggiordomo) Un wisky... I l Maggiordomo (s’inchina ed esce). Ralph — Ma se tu devi andare a letto, non preoccuparti di me... Giorgio — Io? Fumo un sigaro e ti fo compagnia finché non ti sarai deciso a fare il bagno... (Gior gio prende da una scatola un grosso avana', lo ac cende mentre il maggiordomo rientra col wisky. Ralph tracanna il bicchiere d’un sorso. Il maggior domo esce lasciando sul tavolino la bottiglia del wisky. il sifone, ecc.). Ralph (con altro tono) — E quale sarebbe la linea di condotta da tenere per la morte di Mix Randfeller? Giorgio — Morte? Pare che l ’abbiano ammaz zato... Ralph — Beh! Insomma, è sempre morto... Giorgio — Tu lo conoscevi bene? Ralph — Sì: era un bravo ragazzo... CESARE GIULIO VIOLA Giorgio — Che vuol dire un taravo ragazzo? Ralph — Un ragazzo che non dava fastidio a nessuno... Giorgio — Beh! Questa potrebbe anche essere una qualità: negativa, sì, ma una qualità... Io ho telegrafato a suo padre per fargli le condoglianze... Ralph — Ah! Sì?!... Giorgio — Sì, mi è parso doveroso, anche se tra me e suo padre non è mai corso buon sangue... In compenso tra te e Mix, a quanto mi dicono, credo che corressero rapporti di vero cameratismo. Ralph — Eravamo buoni compagni... Sai: quan do si è soci degli stessi clubs, si vive nello stesso giro di persone... Giorgio — Anche se tra i padri ci si guardi in cagnesco, i figli possono andar liberamente sottobraccio... Ralph — Dovrebbero forse accapigliarsi perchè i padri si azzuffano?... Giorgio — Dipende... Una volta tuo nonno... Ralph — Beh! mio nonno era un’altra cosa... Giorgio — Sta a sentire: tuo nonno ebbe a che dire con Michel Kenney, per certi bulloni che Ken ney gli aveva commissionati eppoi aveva rifiutati... Beh! La prima volta che ci incontrammo io e il figlio di Kenney si venne a una cazzottatura che, se non ci separavano, uno dei due ci lasciava la pelle... Ho ricordato questa mia avventura per dirti che noi, un po’ più semplici, ragazzacci di strada, sentivamo diversamente i rapporti tra padre e figlio... Ralph — Papà, stai in vena di prediche stasera : ci vediamo una volta tanto, e tu... Giorgio — Oh! Scusa... Hai ragione... (.Ralph si alza, va verso il tavolino, si serve un secondo whisky, tracannandolo amiche questa volta d’bn fiato. Giorgio lo osserva) Quanti ne berrai fino al l ’ora in cui andrai a letto? Ralph (non rispondendo alla domanda del pa dre: con un’aria trasognata) — Mix Randfeller quando attaccava non la smetteva più... Anche l ’altra sera credo che ne abbia tracannati una dozzina... Beveva... Beveva... C’era Dolly West, ac canto a lui... Sai, la divetta del Broadwaytheater... Giorgio — Non la conosco. Ralph — Neppure di nome?... Una bellissima figliola... bionda... alta... Stavamo nel bar dell’Astoria... E lui ad ogni bicchiere le consegnava cento dollari perchè tenesse il conto dei calici - diceva lui - che avrebbe vuotati... Alla fine voleva pic chiarla, perchè s’ostinava a dire che l ’aveva de fraudato d’un centone... (Sorride) Uffà... che cal do... Papà, va a letto... Buona notte... Giorgio — Non mi pare che ti abbia scosso ec cessivamente la morte di Mix... Vedi: noi non lo co noscevamo, ma appena ce l’hanno, annunciata, ci siamo commossi e abbiamo deciso una linea di condotta nei nostri giornali di piena adesione al lutto del padre... Credo che convenga, anche a te, telegrafare alla famiglia, se ancora non l ’hai fatto... 13 — Ralph — Che bisogno c’è... Chissà quanta gente telegraferà: uno di più uno di meno... Giorgio — Che c’entra: è un dovere sociale.... Ho telegrafato io e non telegraferesti tu?... Ralph — Beh! Tu sei Giorgio Stevens... Io, in vece, chi sono? Uno dei tanti amici di Mix... Giorgio — Di un po’ : c’era forse un po’ di rug gine tra te e Mix? Anche se così fosse, di fronte alla morte... E a quella morte, poi... Ralph — No, anzi... Si andava di perfetto ac cordo... Giorgio — E allora? Ralph (dopo una pausa) — Papà, vattene a let to... Non è il caso che tu rinunci a un’ora di sonno... Giorgio — Ma che dici?... Forse... questa storia... Capisco; quando si è amici... Ralph (cori una qualche concitazione) — Già! Tu sai la vita che conduceva Mix Randfeller? Era una vita strana, pazza, frenetica! Donne, gioco: ogni sera ubriaco... Tutto ciò che voleva, così, a portata di mano... Aveva dieci automobili... E se ne avesse voluto cento, cento ne avrebbe avuto... Vita senza limiti! La sazietà di tutto... E allora la ricerca di qualche cosa che gli desse « il brivido » : così diceva : «il brivido »... Giorgio — Che cosa? Ralph — Già: tu non puoi capire... Tu vivi una vita... Giorgio — No, seguita: m’interessa... Hai fatto male, anzi, a non parlarne alla presenza di Lavery: sono dati che forse gli potevano servire, così, per ima pittura d’ambiente... Ralph — Beh! Glie li dirò poi... (Tornando al suo linguaggio concitato, come se parlasse a se stesso) Capisci? Se perdi al gioco, è come se non perdessi: sai che la riserva è inesauribile... Le donne? Quante ne vuoi... Basta pagare... Nulla ti è vietato... E allora ti è necessaria «qualche cosa di più», che rappresenti un interesse quale che sia: un’emozione, più forte, che scuota finalmente questa carne inerte che non vibra più... Giorgio — E per questo ti fai ammazzare? Ralph — O ti fai ammazzare o ammazzi. Giorgio — Come? Ralph — Pare strano, eh! Infatti! Ma tutto ap parirebbe logico, conseguente, se si conoscesse la vita segreta dell’uomo. Il giorno in cui si palesa, tu ti chiedi: quello? Chi l’avrebbe mai detto! Lo vedi ben vestito, pulito, profumato, e dentro sente di cadavere! Lo vedi felice, appagato, e dentro è l’uomo più scontento del mondo... Giorgio — Non mi pare che Mix Randfeller avesse troppe ragioni per essere scontento del mondo. (Ralph ora tace. Poi d’improvviso parla con un tono diverso). Ralph — Papà... Io non ti ho parlato di Mix: ti ho parlato di me... Giorgio — Beh! E’ lo stesso. Ralph (fissando il padre : con voce rauca) — Papà: sono io che ho ucciso Mix Randfeller... POVERI DAVANTI A DIO (.Giorgio è come fulminato dalla confessione del figlio). Giorgio — Ma che dici? Sei impazzito... Ralph — Ieri notte, al bivio di Randem, dove l’hanno trovato nella sua automobile... Giorgio — E come? Perchè? Ralph — Papà... (D’improvviso, crollando, scon volto) Salvami, salvami... Salvami, papà... Giorgio (ritraendosi in un primo orrore) — Va via... via... E che ti arrestino per la strada... E che facciano giustizia di te... Come vuoi che ti salvi?... E perchè dovrei?... Ralph — Non ho che te, papà... Giorgio — E mi vuoi tuo complice? Ma come hai fatto?... Questa è una cosa assurda... Ralph •—• B’ la verità,.. (Come ossessionato) «Qualche cosa di più». Non ti bastano le orgie, le donne, l ’ozio, il giorno che si fa notte, la notte che si fa giorno... Nulla più ti diverte: nulla ti di verte... E allora cerchi: cerchi «qualche cosa di più»... Ma che ne sai tu, di me... Giorgio — Niente... Oh, certo, niente... Nè voglio sapere niente... Ralph — E allora come puoi capire... Giorgio — Non c’è nulla da capire... Ralph — Eh! No: c’è da capire... Come ci si ar riva, ecco : come ci si arriva... (Contraddittorio) Eppoi, dopo tanto coraggio, questa ignobile paura che mi fa battere i denti, e mi riduce come un cane frustato... E’ il segno più ributtante della mia miseria: perchè questo è davvero il fallimento... Giorgio — Di che? Ralph — Di tutto: di ciò che si è organizzato, qui, nella testa, lucidamente. Tutto premeditato. (Con un’ansia di liberazione e di confessione) Co me ci si arriva? Così. Due mesi fa in un teatraccio della periferia, una sera, a una partita di boxe. Il sangue! Eravamo seduti ai primi posti. Una folla di marinai, di scaricatori del porto, gentaccia, urlava. La partita pareva una rissa. Si era agli ultimi rounds. E Mix, ora, con quell’uragano alle spalle che pareva dovesse travolgerci, s’era levato in piedi, e gridava anche lui, ossessionato: - Dagli... Dagli... - Protendeva e agitava i pugni contro il ring, come se fosse lui a pestare sugli occhi, sul naso, sul grugno di quel disgraziato che grondava rosso e barcollava sotto la scarica dei diretti. Quando quello stramazzò sul tappeto, Mix mi cad de tra le braccia, sfinito. In macchina, al ritorno, tacevamo. Eravamo stanchi. Sentivo nel palmo delle mani il dolore e il segno delle unghie che mi si erano impresse nella carne, nello spasimo della lotta cui avevo assistito. D’improvviso Mix mi disse: - Dev’essere bello uccidere un uomo! Una frase, gittata così, nel silenzio. In quelle parole è l ’origine di tutto. (Passando rapido a un altro to no) Non è vero, sai, che ho avuto una panne... Giorgio — E perchè non sei venuto subito qui?... Ralph — Avevo bisogno di rifare i conti... E i conti non tornano, perchè, ora, ho paura... Ho paura che mi scoprano e mi arrestino... E invece, prima non avevo paura: per due mesi non ho avuto mai paura... Anzi: era come un’ebbrezza... (Tor nando al racconto) Quella frase si concretò, si pre cisò, ci scoprì, ci legò l ’uno all’altro : divenne l ’ar gomento della nostra vita segreta. Si andava pei circoli, nei teatri, si giocava, si ballava, e nessuno si accorgeva che, ormai, noi due eravamo due bel ve in agguato. Spiavamo il momento buono per il colpo maestro, che ci ponesse al riparo d’ogni insidia... Quindici giorni fa sulla via di Landspole, abbiamo fatto il primo esperimento: abbiamo fred dato il meccanico d’un autotreno... Giorgio — Come? Ralph — Uscendo da Landspole avevamo visto fermo un autotreno dinanzi a un bar. La via di Landspole è poco frequentata di notte. Abbiamo sopravvanzato l’autotreno di pochi chilometri. Poi ci siamo appostati lungo il margine della via per chè ci raggiungesse. Come si fa a caccia: così! Curvi sul cofano della nostra macchina abbiamo simulato un guasto al motore. Quando l’autotreno ci ha raggiunti abbiamo fatto segno al meccanico che si fermasse. D’improvviso gli abbiamo scari cato contro le nostre rivoltelle. L’abbiamo lasciato lì, nella notte... L’abbiamo fatta franca... Mix so steneva che era stato lui a colpire. La volta ven tura si farà a chi è più bravo! Iersera si parte in sieme da Goldwin alle otto... Cioè: lui parte nella sua macchina, ed io lo seguo con la mia... Allora un pensiero diabolico mi balena, mi ossessiona... - Ora si vedrà chi è più bravo. Ora si vedrà chi è più bravo!... - Ed io sono stato più bravo... Giorgio — E l ’hai anche derubato... Ralph —• Per deviare le indagini... Che se ne fa d’un portafoglio il figlio di Giorgio Stevens... Che se ne fa di quest’anello... (Ralph trae dalla tasca un anello e un portafogli', li poggia sul tavo lino. Giorgio li guarda, fa per toccarli, si ritrae. Entra d’improvviso il maggiordomo. Giorgio, istin tivamente, si appoggia al tavolo per nascondere gli oggetti). I l Maggiordomo — C’è il signor Lavery al tele fono... Giorgio — Ditegli che mi chiami domattina... I l Maggiordomo — Ha urgenza di parlarle... Giorgio — Allora, datemi la comunicazione... I l Maggiordomo — Subito. (Esce). Giorgio — Nascondi questa roba... Ralph — Non importa... (Giorgio prende il por tafogli e l’anello, apre il cassetto del tavolino, na sconde gli oggetti. Il maggiordomo rientra, innesta l’apparecchio telefonico a una presa. Esce). Giorgio (al telefono) — Pronto... Pronto... Oh! Lavery... Sono ancora desto, sì!... Non potete per telefono? Allora venite, venite pure... Tanto si trat ta di due passi... (Posa il ricevitore; a Ralph) Hai capito? Ralph — Che? Giorgio — Deve comunicarmi qualche cosa che non può dirmi per telefono... (Indicando U casset to dove ha nascosto gli oggetti) Prendi quella roba; via... nascondila... 1.1 (CESARE GIULIO VIOLA Ralph (smunto) —- Dove? Giorgio — E che so io? Qui no, ecco... Ralph (riprende gli oggetti, li rimette in ta sca) — Sì... Giorgio — Hai capito? Questo vuol dire che c’è qualche cosa di nuovo... Kelly avrà telefonato a Lavery... Ralph —■Tu credi che... (Ripreso dalla sua os sessione) Salvami... Salvami... Non voglio morire... Non voglio morire... Sono un vigliacco: non voglio morire... Ti ricordi, quand’ero bambino, che ricor revo sempre a te, mi rifugiavo in te... Vedi: è come allora... Tu puoi tutto: tutto... Giorgio (disarmato) —■Che posso io?! Ralph —■Tutto... Nascondimi... Difendimi... (Con abbattimento) Già: ma io sono un estraneo per te. Giorgio —■ No... Ralph — Anni che non ci parliamo: separati, lontani... E allora si capisce che tu non puoi... Perchè siamo stati tanto tempo, separati, lontani? (Il maggiordomo entra). I l Maggiordomo — Il dottor Lavery... Giorgio — Fatelo passare... (Dopo che il mag giordomo è uscito) E tu va... Va nella tua came ra... (Ralph esce rapido dalla destra. Dalla sini stra subito dopo entra Lavery). Lavery — Io credevo che voi foste già andato a letto... Giorgio (dominandosi) ■ —• No... Come vedete... Lavery — Del resto vi avrei destato... Giorgio — Ah! Lavery (incerto) — Si tratta di... di quella sto ria di Mix Randifeller... E’ stato utile che io mi sia recato subito in redazione... Giorgio •—• Beh! Che c’è di nuovo? Lavery —■ Vostro figlio Raplh è in casa?... Giorgio — Che c’entra mio figlio Ralph? Lavery — Ecco: Kelly mi ha telefonato... Voi sapete che Ralph era molto amico di Mix Randfeller... Pare che venga fuori tutta una faccenda nella quale potrebbe essere implicato anche vostro figlio... Indizi... Si tratta di indizi, che certo non hanno nessun fondamento... Ma dei quali è bene che voi siate informato... Giorgio —■ Parlate chiaro, Lavery: voi sapete che io sono un uomo cui si può parlar chiaro... Lavery — Insamma... Temo che da un momen to all’altro si possa determinare la minaccia d’un mandato di cattura... Giorgio (con ostentata calma) — Eh! Lavery, come correte... Un momento: chiamo mio figlio... (Giorgio esce per la destra. Lavery lo attende, leg ge alcune bozze. Va al telefono). Lavery (al telefono) — Pronto... Sono io, La very... Sta bene per l ’articolo di fondo... Ma atten dete il mio ritorno, prima di impaginarlo... Giorgio (dopo una lunga pausa, rientra dalla destra, padrone di sè) — Non c’è... E’ uscito... Lavery — Come?... Giorgio — Sì... E’ uscito... (Siede e invita con un gesto Lavery a sedere) Sedete, Lavery... Dunque: dicevate?... 14 Lo studio di Giorgio Stevens, nella fabbrica delle ruote Stevens (E’ arredato con molta semplicità. Tavola gran dissima: poltrone e divani ampi e comodi. In un angolo una lampada che riproduce, in vetro, una ruota Stevens. Telefoni sulla tavola, sgombra di carte. Scaffali colmi di libri ben rilegati. Dia*grammi alle pareti in cui è segnato il crescente sviluppo della industria Stevens. Una porta a de stra, una a sinistra. Quando s’alza la tela è il po meriggio. Sono in scena Giorgio Stevens, che siede dietro la tavola; alcuni operai in piedi in tenuta da lavoro, al di qua della tavola. E’ presente La very). Primo operaio — Ecco: io ho finito e vi saluto, signor Stevens... I miei compagni mi avevano in caricato di parlarvi a nome di tutti i vostri ope rai... Non so se ho parlato bene: l ’importante è che vi dicessi ciò che si doveva dire, così, alla buona... Giorgio (si leva da sedere) — Io vi ringrazio... Anche io non so fare discorsi... Ma io capisco le vostre parole: anche quelle che non avete dette... Perchè io, come voi, ho vestita in altri tempi la «tuta», e conosco il linguaggio degli operai... Sono davvero commosso da questo segno di soli darietà che mi viene dalle mie maestranze... Que sto vuol dire che mi vogliono bene... Direte ai vostri compagni che io li ricambio dello stesso affetto... Primo operaio — Grazie, signor Stevens... (Ste vens gira intorno alla tavola, raggiunge il gruppo, siringe la mano a tutti. Gli operai escono per la porta a sinistra. Stevens va verso la tavola, toglie da un astuccio un grosso avana, lo offre a Lavery; anche lui accende un sigaro). Giorgio — Beh? Lavery — Benissimo... Giorgio — Sono lieto che voi abbiate assistito a questo incontro... Lavery — Anche a me ha fatto piacere... Giorgio — Perchè? Lavery — Perchè anche a me, che in questo momento affronto la polemica, questo segno cor diale, spontaneo, che viene dagli uomini che vi vono del lavoro creato da voi, dà una forza che fa più saldi, se ce ne fosse bisogno, i miei convinci menti... In fondo che cosa vi hanno detto, oggi, in parole povere i vostri operai? - Giorgio Stevens, lasciateli dire, lasciateli fare, ci siamo noi alle vostre spalle... Noi vi conosciamo... Noi sappiamo ora per ora la vostra vita... Giorgio — E’ questo: ora per ora... Chi mi ha visto legato alla mia fatica, dalla mattina alla POVERI DAVANTI A DIO sera, ogni giorno, non si leva a giudice, e non grida: «Giorgio Stevens, tu per crescere la tua fortuna, per occuparti dei tuoi affari, per ammas sare il tuo danaro, hai mancato al primo compito del cittadino: quello di educare tuo figlio! ». Ora l’accusato son io... Si risale dal figlio al padre... E si vorrebbe portare il padre alla sbarra... Lavery — Vi faccio osservare, però, che se l'ago della discussione è deviato, forse non è un male... Nel primo momento la curiosità morbosa del pub blico si era tutta rivolta verso Raplh; ora, giacché Ralph è irreperibile, si sposta la rotta, ed entrano in lizza altre forze ed altri problemi... Questo ci fa buon gioco... Giorgio — Se non ci fosse di mezzo mio figlio vi confesso che mi piacerebbe questa partita... Mi ci divertirei... Io non so scrivere, ma potrei buttar giù qualche pagina sulla vita dei cosiddetti fortu nati, da mettere tutti knok-out... Lavery — Scrivetela, Stevens: è la più bella ri sposta che si possa dare a questi censori... Giorgio (seguendo il suo primo pensiero) —• Che c’entro io? Che sanno di me? Vengano qui: si met tano al mio posto... Gli è che è tutto un ricatto! Sapete che, ieri, è venuto da me Jarry Tali? Sì: quello del fiammifero... Non lo vedevo da dieci anni. S’è presentato d’improvviso: non l ’avrei ri conosciuto : s’è fatto più alto, veste come un gran signore, e porta al dito un brillante grosso così. Dice : « Giorgio Stevens, tre giornali vi fanno una campagna diffamatoria... Se non avete altri mezzi per farli tacere, servitevi di me... Incendiamo in ima notte le tipografie e bruciamo i depositi di carta... E’ un servizio che vi rendo gratis, data la nostra vecchia amicizia...». Lavery (ridendo) — E voi? Giorgio — L’ho ringraziato, e ho risposto che ho fiducia nell’intervento dei pompieri... Mi è parso più pratico l ’acquisto di tutte le carature dei tre giornali... Lavery — Vi pare una cosa facile? Giorgio —■ Facilissima: dipende dal prezzo... Lavery — Voi soffochereste così la libera discus sione: noi viviamo in un paese di libertà, caro Stevens... Giorgio — Loro sono liberi di attaccare me; ed io son libero di turar loro la bocca con i miei dol lari: la libertà è rispettata... Lavery — E se fosse Randfeller a muovere i fili di questa campagna? Giorgio — A che scopo? Lavery —■ Randfeller potrebbe essere convinto che siate voi a nascondere vostro figlio... Giorgio — Randfeller si sbaglia... Io non ho più notizie di mio figlio, da quella sera - ricordate? in cui voi tornaste da me e mi annunciaste... Voi siete il miglior testimone... No... No... Spazzare il terreno... Non voglio fastidì: ne ho già troppi: tanti... (E' interrotto dallo squillo del telefono) Alloh!... Sì, va bene... (Riprendendo il discorso) Ecco... Mia moglie e mia figlia: non hanno più pace... Ogni tanto me le veggo piombare qui... Ar rivederci, Lavery... Io vi ringrazio per la vostra collaborazione più che amichevole... Lavery — Ma, caro Giorgio... Giorgio — Sono due gli uomini che, in questo momento, mi danno forza e coraggio... Voi e mio fratello... Sapete come viveva solo, appartato, mio fratello Giacomo: ora viene qui, ogni sera, dopo il lavoro, a rilevarmi... E’ un grande riposo per me Ma gli altri: impazziti... Tutti impazziti... Per for tuna quel ragazzo in collegio sono riuscito a sot trarlo a questa marea... Beato lui, che ignora ogni cosa... (Lavery esce dalla sinistra. Subito dopo si apre la porta di destra, e appaiono Dorothy e Ali ce. Dorothy va rapida verso il padre e gli si getta fra le braccia. Alice stanca, cade a sedere sopra una poltrona). Dorothy (.emozionalissima) — Papà... Giorgio — Che c’è, dunque... Che c’è, Dorothy?... Dorothy — Papà... papà mio... Io non reggo più: 10 non so più che fare... Aiutami, papà... Giorgio — Ma parla... Calmati... Se sei venuta qui qualche cosa avrai da dirci, no? (E poiché Dorothy non riesce a vincersi, si volge alla moglie) Parla almeno tu.... Che cosa è accaduto... Alice (con una voce roca) — Quel mascalzone... Dorothy (di scatto) — No, mammà... Non dire così... Alice — E come vuoi che lo chiami? Quel man tenuto? Dorothy — Basta, mammà... Ti proibisco... Giorgio — Ho capito... Alice (quasi con ira, al marito) — Che vuoi ca pire tu... Tu che te ne stai qui e ti occupi dei tuoi affari... Io non so come tu ne abbia la forza: come tu faccia, ogni giorno, alle otto del mattino, a ve nirtene qui, e a tornare a casa la sera, sempre alla stessa ora, con una puntualità, come se nulla fosse accaduto... Ma io... Io che avrei bisogno di pace, di riposo, di rispetto, e debbo combattere, ogni giorno, ogni ora, con quel manigoldo... Fin ché non ho retto più, ecco, e -un’ocra fa gli ho detto 11 fatto suo... E sai come mi ha chiamata, quei rinsolente? Lavandaia... Giorgio — E questo ti ha offeso?... Dieci anni fa non lavoravi forse in una lavanderia? Se a me, mi avesse chiamato operaio del gas, gli avrei ri sposto : «Sissignore : avete bisogno di qualche ripa razione?... ». Alice — Allora, anche tu, come lei, mi dai torto: finisci col dire che sono io a non sapermi regolare... “Giorgio — No... Io vorrei che tu dominassi i tuoi nervi... Capisco, mia cara, che ce ne vuole, e nessuno lo sa “ meglio di me... Ma se, in questo momento, tutti perdiamo la bussola... Invece: con un po’ di calma... Alice (con emozione crescente) — Trovatela voi, la calma: per me è impossibile... Io ho un solo pensiero, qui, nella testa... Mi scoppia la te- CESARE GIULIO VIOLA sta... Non dormo più... Da venti giorni non chiudo più occhio... Giorgio — E da venti giorni giri fra le chiro manti, prendi sonniferi, tocchi appena cibo... Bi sognerà smetterla anche con queste storie... Che cosa è accaduto a Dorothy?... Alice — Fattelo dire da lei... Io sono venuta qui per accompagnarla... Dorothy — Vuole che io parta: con lui: subito... Vuole tornarsene in Europa... Ed io non posso al lontanarmi da voi, in questo momento... Lui non ■capisce che io non posso... Giorgio — E come gli è venuto quest’idea? Alice — E chi lo sa! Sono dieci giorni che batte sullo stesso chiodo... Tu lo vedi soltanto a pranzo... Si capisce: a pranzo è il cuoco che gli tura la boc ca... Dorothy (infastidita) — Mammà... Alice — Ma lasciami dire: io sono una lavan daia e parlo così... E lui chi è? Un De Coursac... Chi li conosce i De Coursac? Io non li ho mai co nosciuti! Se giunge in Europa, un Ford, un Rockfeller, un Giorgio Stevens sanno chi sono... Dorothy — Ma si sa anche chi sono i De Coursac. Alice —■ Sissignore: degli spiantati, che sono venuti qui a rifarsi la pelle da noi... E dopo che se la son rifatta, fossero almeno grati: no, alzano la cresta!... (A Dorothy) E questa stupida, perchè sei una stupida, che lo sta a sentire... E insulta mio figlio: quel mio povero ragazzo: quel disgra ziato... (E’ ripresa d’un tratto dall’idea del figlio) Rapili... Ralph... Povero Ralph... Ma ci sono io che ti difendo, sai? C’è la tua mamma che ti di fende... Dorothy (.accorrendo presso la mamma) — Mammà... Alice (esaltandosi) — C’è bisogno, forse, d’es sere una grande signora per essere mamma?... Lavandaia, sissignore, che parla come parla la gente del popolo, perchè non sa scegliere le parole, e dice quelle che vengono, così, sulla bocca... A me non importa più niente delle automobili, dei gioielli, dei vestiti... Io non ho più bisogno dei pa lazzi, delle scale di marmo, dei quadri... Che me ne faccio io? Sapete come sono io, ora? Come quel giorno, Giorgio, che Ralph era piccino, e si per dette, e noi lo ricercammo tutta la giornata, ed io girai, girai, per tutto il quartiere, chiedendo di lui, ad ogni policemen, ad ogni passante, ad ogni porta... E che sapevo se ero ricca o povera... Avevo perduto il mio bambino! (Con un temo più intenso e disperato) E ho perduto lui, ora... Me lo vogliono uccidere... Me lo vogliono giustiziare... (Con una crisi estrema) Salvatemelo... Salvatemelo... (Alice si è abbattuta sulla poltrona. Giorgio e Dorothy si sono avvicinati). Giorgio — E sta bene... Vedremo... E’ quello che tentiamo di fare... Alice (come a se stessa) — Eppoi... Chi ha detto che è stato lui?... ig Giorgio — Purtroppo, cara... Alice •— Io non ci credo, ecco... Io non ci cre do... Non ci crederei neppure se me lo dicesse lui... Giorgio — Calma, cara... Per ora tuo figlio è an cora a piede libero... Alice — E dove sta? Tu lo sai... E non me lo vuoi dire... Giorgio — Io non lo so... E se lo sapessi, forse non te lo direi... Alice — Sei cattivo: siete tutti crudeli con me lo impazzirò, lo sento, io impazzirò... Giorgio — Oh! Certo... Se seguiti così... Su Alice: credi che anche io non soffra come te? Ma io lotto, reagisco, mi batto: e mi batterò contro tutti, sai? (Ha stretto la mano di Alice, e la tiene affettuosamente, mentre si rivolge odia figlia) In quanto a tuo marito poteva parlare con me, no? Dorothy — E’ quello che vuol fare... E noi l’ab biamo preceduto: verrà qui quest’oggi... Giorgio — Sta bene... E io l’attendo... Dorothy — Papà, vedi: De Coursac non è catti vo... Forse in questo momento... Giorgio — No, no... E’ buonissimo... Dorothy •— Io gli voglio bene, papà: l ’ho spo sato... Giorgio — D’accordo... Dorothy — Ma voglio bene anche a voi due... E lui non capisce che mentre tutti ci abbando nano, mentre tutti ci assalgono... Giorgio •— Lui si aggiunge a quelli che diser tano il campo... (Un usciere appare sulla porta di destra, e annuncia l’arrivo di De Coursac). L’Usciere •— Il Conte... Giorgio — Un momento... (L’usciere esce). Alice (di scatto> —• Ah! Io non voglio vevderlo... Giorgio — D’accordo... Vi prego di passare da quella parte... (Giorgio accompagna Alice e Do rothy verso la porta di sinistra). Dorothy — Papà... Mi raccomando a te... Sii cauto... Giorgio — Ma sì... Sarò cauto. (Dorothy e Alice escono per la sinistra. Giorgio toma alla sua ta volai Suona un campanello. Appare sulla porta a destra l’usciere) Fate entrare il conte De Cour sac.., L’Usciere (esce. Dopo qualche istante entra De Coursac : elegantissimo). Giorgio — Buon giorno, De Coursac... De Coursac — Buon giorno, signor Stevens... Giorgio — Vi prego, sedetevi... De Coursac (esegue) — Grazie... Giorgio (dopo essersi seduto anche lui) — Dunque? De Coursac — So che Dorothy e sua madre sono venute qui, quest’oggi... Giorgio — Sì... De Coursac — Allora debbo pensare che voi POVERI DAVANTI A DIO siate già informato sulle ragioni che mi hanno condotto qui... Giorgio — Press’a poco... Ma, sapete, le donne parlano sempre, come dire, approssimativamente... E allora mi piacerebbe che voi precisaste un po’ meglio il vostro programma... De Coursac — Semplicissimo: ho deciso di tor nare in Europa con uno dei primi piroscafi in partenza... Giorgio — Questo è tutto? De Coursac — Già... A voi non pare una deci sione grave? Giorgio — In verità, no... Per me che voi stiate qui o a Parigi è la stessa cosa... 'Che fate voi qui? Niente... Voglio dire non avete impegni di lavoro... Andate a Parigi e seguitate la vostra vita... Siete quindi libero di domiciliarvi nel posto che più vi aggrada... Parigi, Londra, Shangay, Tokio... De Coursac — No: Parigi... Poiché io sono nato in Francia... Mi fa molto piacere che voi abbiate capito... Giorgio — Sì, sì... Ho capito... De Coursac — E allora?... Io ero venuto per annunciarvelo... Se siamo già d’accordo... (Fa per alzarsi). Giorgio — Un momento... De Coursac (risedendosi) — Prego... Giorgio — Quanti anni sono che voi siete giunto in America? De Coursac — Dieci anni, lo sapete... Giorgio — E da tre anni soltanto fate parte della mia famiglia... Mi piacerebbe sapere come vi siete trovato in casa mia... De Coursac — Benissimo... Giorgio — Non vi è mancato nulla... Rendite - diciamo così - abbondanti... Casa montata... Un yacht a mare... Una scuderia da corsa... D’estate, una magnifica villa in California, con la possi bilità di ospitare quanta gente si vuole... Maggior domo, camerieri, autista, cuoco, sguatteri neri e bianchi... Cucina francese, tanto per non dimen ticare le origini... Gioco a tavolino, gioco in borsa... De Coursac — Che c’entra il gioco in borsa... Giorgio — Mettiamo in conto anche quello, poiché... permettete... (Va verso uno scaffale, ne trae una teca che contiene un grosso incartamento) Qui è tutto registrato... Tutte le rimesse che sono state fatte da me a vostro nome... E’ una cosa che vi diverte, quindi perchè sottrarvi questo diverti mento!... Insomma, a conti fatti, un buon affare... Se si paragoni alla vita dei sette anni che hanno preceduto il vostro matrimonio, penso, un ottimo affare.... De Coursac — Questo vostro discorso, permet tete che ve lo dica, manca di eleganza. Giorgio — Infatti non è elegante... De Coursac — Voi non avete fatto altro che rispondere ai vostri impegni... Giorgio — Ecco: è quello che volevo dire... Io ho risposto ai miei impegni... Mi fa piacere che lo riconosciate... E voi? De Coursac —• Io?... Io ho dato un nome illustre a vostra figlia... Giorgio — Giusto: ognuno dà quel che può... E le cose sino a questo momento sono andate lisce.. 10 sapevo che a casa mia spesso vi annoiavate: ma eravate voi ad annoiarvi e non io, quindi... Ora però volete partire... De Coursac — Già... Giorgio — E volete condurre con voi mia figlia... De Coursac — Mia moglie... Giorgio — Già... E quindi la moglie deve seguire 11 marito ecc. ecc... Posso farvi una domanda? Vor rei sapere se siete voi che avete sposato mia figlia, o è mia figlia che ha sposato voi... De Coursac — Signor Stevens : voi riportate con tinuamente i vostri ragionamenti sopra un piano pratico... Voi, in altri termini, credete di avermi comprato e di poter disporre di me a vostro pia cimento... Giorgio — No : credo di aver offerto a mia figlia la possibilità di legarsi a un uomo che ha un bel nome. Le piacevate : l ’importante è che piaceste a lei. Ho detto: - Vada per il De Coursac! - Ma naturalmente in tanto il De Coursac ha un suo valore, in quanto deve servire a mia figlia e a me... D’altra parte voi, in tanto esistete, in quanto ac canto al vostro nome sta la fortuna di Giorgio Stevens... De Coursac (con molto sussiego) — E... le in compatibilità che si legano in questo momento a questa fortuna, voi non le contate? Giorgio — Sarebbero? De Coursac — Si tratta di una questione sottile che voi forse non potete comprendere. Voi, ame ricani... Giorgio — Questione di continente? De Coursac — Forse! Questione di sensibilitàdi stile... Giorgio — Il che vuol dire... De Coursac (con un tono sicuro) — Ecco: voi siete stato molto esplicito con me, io lo sarò con voi... La disgrazia che vi ha colpito è indiscutibil mente grave... Giorgio — Lo riconoscete? De Coursac — Lo riconosco... Ma il modo come si affrontano certi avvenimenti varia a secondo delle persone che li subiscono... Io non ho mai troppo legato nè con voi, nè con i vostri... Tuttavia il mio disagio non era di tale importanza da deter minare una insofferenza nei nostri rapporti... Oggi? Oggi, signor Stevens, io preferisco porre una qualche distanza tra noi, poiché non mi è possibile - ve lo dico sinceramente - tollerare le escandescenze di vostra moglie, e - permettete che ve lo dica la vostra... la vostra... Giorgio — Dite... dite... De Coursac — La vostra presunzione di poter dominare gli eventi perchè possedete la fortuna ----- IV CESARE GIULIO VIOLA di Giorgio Stevens... Voi ogni anno festeggiate rin contro donde ebbe origine questa fortuna... A me è parso sempre una cosa di pessimo gusto, anche perchè mi sa di convenzionale... Ma, ora, dopo gli ultimi avvenimenti, io ho capito: voi state ancora con la vostra mentalità a quel punto di partenza. Non bastano, infatti, pochi anni di ricchezza a creare una tradizione: e solo attraverso la tra dizione si forma quella - mi sia scusata la pa rola - educazione per la quale si affrontano in un dato modo certi avvenimenti... Educazione che con duce a quello che io chiamo lo «stile », la «linea », cui accennavo pocanzi... Mi pare che in questa ultima circostanza voi manchiate di «stile», di «lìnea»... Ecco: mi pare che si sia tornati alla «tuta»... Ed è questo che crea una certa incom patibilità fra me e voi... Giorgio — Non capisco... De Coursac — Non importa... (Con altro tono) Senza contare che per questo can-can che si fa in torno a voi, la posizione mia e di vostra figlia in società... Giorgio (quasi comicamente) — E’ scossa... De Coursac — Non dico questo, ma insomma... Giorgio — In altri termini, voi vi vergognate di esservi imparentato con noi... De Coursac — No... Preferisco, piuttosto, vivere in un ambiente, in cui sia più facile non dare troppa importanza, per il momento, a questa pa rentela... E non credo con questo di offendere chicchessia... E’ ima questione di opportunità... (Squilla il campa?iello che annunzia la fine della giornata di lavoro nelle officine Stevens. La ruota, a questo segnale si illumina per il tempo che dura il trillo del campanello). Giorgio — Le sei... A quest’ora s’interrompe il lavoro nelle officine di Giorgio Stevens... Mezz’ora fa un gruppo di operai era qui, al vostro posto, per testimoniarmi, in quest’ora grave della mia vita, la solidarietà di tutte le mie maestranze. Mezz’ora dopo siete venuto voi per dichiararmi la vostra defezione... (Con un tono deciso, dopo una pausa) Caro De Coursac, se dipendesse da me, vi direi: - Andate pure... Buon viaggio... - Non vi trovate bene in casa mia? La vostra tradizione, la vostra educazione, non vi consentono di amalgamarvi con la mia famiglia? Benissimo. Potrei anche dirvi: - Potevate pensarci prima! - Ma quello che è fatto è fatto. E poiché io sono abituato a guardare le cose sopra un piano di realtà, vi rispondo che voi avrete le vostre buone ragioni per partire, ed io ho le mie buone ragioni per non farvi par tire. Mi oppongo: sì, mi oppongo. E le ragioni son due: una di carattere interno, l’altra di carattere esterno. La prima è questa : mia figlia - sia pure con ima mentalità da punto dì partenza (in que sto forse è più figlia d’un operaio che d’un miliar dario) non è tanto evoluta da abbandonare la sua casa, in un momento in cui tutti - ognuno a suo modo - come ce lo consente la nostra na18 tura... «primitiva » - soffrono. Non si allontana nè dal suo papà, nè dalla sua mamma, perchè li ama: lì amerà come un cucciolo, come una piccola bestia, ma li ama. E tuttavia ama anche voi, e non può allontanarsi neppure da voi. Che volete farci: è una disgrazia. Potevate incontrarvi in un’americana, pronta a divorziare. Ce ne sono a migliaia, no? Seconda ragione: e questa riguarda me. Il nostro è un paese che vive di cronaca. Il giorno in cui voi vi imbarcaste per l ’Europa, cento « reporters » sarebbero pronti a fotografarvi sul vostro piroscafo, in cento pose: e a commentare la vostra partenza con cento interpretazioni... E al lora la defezione risulterebbe un fatto palese, che gioverebbe ad accrescere quel tale « can-can » che dà tanto fastidio a voi, ed anche a me... Conclu sione: non si parte, perchè non conviene nè a mia figlia nè a me... E neanche a voi, caro... Poiché se partiste solo, non ci sarebbe nessuna ragione che la fortuna di Giorgio Stevens vi seguisse, come un’ombra, nelle vostre peregrinazioni. De Coursac (con uno sdegno mal represso) — Questo si chiama ricatto... Giorgio — No: questo si chiama ragionare sopra, un piano pratico... Noi siamo gente pratica... De Coursac (insinuante) — E vi pare pratico, tutto ciò che voi fate in questo momento? Giorgio — Che intendete dire? De Coursac —• Voi temete lo scandalo, perchè.... Giorgio (tagliandogli la parola) — Vi ripeto: non lo temo... mi dà fastidio... E non voglio ag giungere altra esca al fuoco... De Coursac — Lo temete perchè disturba i vo stri progetti... Giorgio — Cioè?... De Coursac — Ma non vi accorgete, caro signor Stevens, che la campagna giornalistica nella quale si spostano le responsabilità che ha messe in luce’ Ralph col suo delitto ha fini più lontani: potrebbe condurvi a rispondere in un secondo tempo, se non di complicità penale, di complicità morale con vostro figlio. E’ un passo, sapete. E io voglio, allontanarmi perchè non desidero essere presente e partecipe a questa avventura... Sarà bene che non vi partecipi neppure vostra figlia, che porta il mio nome, e che il vincolo matrimoniale ha affi dato a me... Giorgio (con disinvoltura) — Oh! Questo è di vertente... Ma come mai avete potuto pensare che io... De Coursac —• Oh! Dio... Io ho sempre oziato: giustissimo... Ognuno nasce con una vocazione... Ma oziando si ha il tempo di osservare... Ed io vi ho guardato, spiato nei gesti, sorpreso nelle parole... E sono giunto a quella conclusione che vi ho mani festata... Sbaglierò... Vorrei sbagliarmi... Giorgio — Voi vi sbagliate... De Coursac — E’ logico che voi lo diciate ed è logico che io lo creda... Ma tanto basta a mettere la parola fine a questo colloquio, e a farvi com- POVERI DAVANTI A DIO prendere che dal mio angolo visuale qualche ra gione rabbia anche io... Io non oso darvi un con siglio... Ma oso dirvi che, come oggi ho visto io, domani altri potrebbero vedere... E allora? Giorgio — Voi non avete visto niente... De Coursac — D’accordo... Ho detto male... Ho intravisto... (Entra dalla porta di destra Giacomo Stevens). Giacomo — Buon giorno, Giorgio... Buon giorno, De Coursac... De Coursac — Buon giorno... (A Giorgio) Dunque? Giorgio — Per conto mio non ho nulla da ag giungere... De Cousarc (lentamente) — Allora non vi rin crescerà se da quest’oggi io non metterò più piede in casa vostra... Giorgio — Oh! Questo potete farlo benissimo... De Coursac — In quanto al mio punto di vista personale, vi dichiaro che è cosa che resta per me... Su questo potete contare... E’ l’unico modo per dimostrarvi che quella tal tradizione, in certe occasioni, non si smentisce... (.De Coursac s’inchina ed esce per la porta dì destra. Giacomo lo guarda meravigliato). Giacomo — Ma che accade? Giorgio — Niente!... Firmo la corrispondenza e si va via... (Suona il campanello e siede dietro la tavola) E tu? Come va? Giacomo (che si è seduto) —• Bene, grazie... Ma tu piuttosto che hai? Giorgio — Niente!... T’ho detto niente... (Entrano dalla porta di sinistra tre impiegati, con le cartelle per la firma. Giorgio, alla sua tavola, in silenzio, ha inforcato gii occhiali, legge le lettere, le firma. Dopo la firma, ai tre impiegati) Grazie... . I tre Impiegati (inchinandosi) — Buon giorno, signor Stevens... Giorgio — Addio, cari amici... I tre Impiegati (escono). Giorgio — Giornata campale!... Su, andiamo... Accompagnami fino a casa... Tu non puoi immagi nare che riposo sia per me sentirti al mio fianco, anche se non parli... Anzi, proprio perchè non parli... Tu zitto ed io zitto... Mentre gli altri par lano, parlano, parlano tutti... Giacomo — Io non so che cosa sia accaduto tra te e De Coursac... Ma proprie oggi non ci voleva... Giorgio — Perchè? Giacomo — Perchè io avevo un incarico per te... Giorgio — Dimmi... Giacomo — Ma vorrei che tu fossi calmo... Giorgio — Su... dimmi... parla... Che c’è, dunque? Giacomo — Niente : non t ’allarmare... Non è una cosa grave... C’è di là qualcuno che vuole vederti... Giorgio — Chi? Giacomo — E’ venuto un’ora fa a casa mia e mi ha pregato di accompagnarlo e di annunciarti la sua visita... Randfeller. Giorgio — Randfeller?... Giacomo — Sì... Proprio lui... Giorgio — Ma tu hai letto i giornali stamani? E sai che potrebbe essere lui ad ispirarli? Giacomo — Io non so... Ad ogni modo, se ha chie sto di incontrarsi con te, ho pensato che tu non possa rifiutarti di vederlo... Giorgio (dopo una pausa) — Infatti... Non posso... Giacomo — Ecco... E allora lo faccio passare... Io, poi, ti attenderò di là... Giorgio —■ Sta bene... Ma ti ha detto qualche cosa?... Che vuole da me? Giacomo — No... Niente... Nè io gli ho chiesto nulla... So soltanto che vuole parlarti... (Giaco mo esce dalla destra, Giorgio si è fermato presso la tavola e guarda la porta. Pausa. Appare sulla soglia della porta a destra Tomaso Randfeller, vestito a lutto). Randfeller — Caro Stevens... Giorgio — Buongiorno, Randfeller... Accomoda tevi... Randfeller (siede) — Grazie... (Dopo una pau sa) Voi certo siete un po’ sorpreso della mia pre senza qui... Giorgio — Oh! Dio!.., So che avete chiesto a mio fratello d’incontrarvi con me... Randfeller — Sì... A vostro fratello, poiché mi pare che sia la persona che più vi sta vicina in s questo momento... Giorgio — Infatti... Randfeller ■ — Eppoi; perchè ero certo che lui''' non mi avrebbe chiesto le ragioni di questa mia vista... E’ un uomo discreto, vostro fratello... Giorgio — In verità non so comprenderla nep pure io... Randfeller — Capisco... Voi vi chiedete: che cosa hanno a che dirsi due uomini, in una situa zione qual è la nostra... Tutto e niente, caro Ste vens... Vi prevengo, intanto, che se in altri tempi noi abbiamo avuto qualche contrasto, ora io con sidero quei contrasti così poveri, piccini, direi quasi stupidi... Ecco perchè se qualche rancore c’è stato fra noi, io lo ritengo superato, e in voi e in me.... E’ vero, Giorgio Stevens? Giorgio —■ Assolutamente... Randfeller — I nostri rapporti, oggi, sono di versi, poggiano su basi diverse, su fatti diversi: molto più importanti... In casi come i nostri si met tono di mezzo gli avvocati: gli avvocati servono ad alzare i muri tra le due parti... E non avviene mai che le due parti possano incontrarsi e parlarsi... Giorgio — Sono i procedimenti della giustizia... Randfeller — Ecco: e io parlo della giustizia... Del modo come procedono i fatti della giustizia... di questo bisogno che gli uomini hanno di affidarsi a terze persone perchè difendano le loro rispettive posizioni... Non vi pare, se si può, che sia più giu sto parlarsi direttamente, ognuno a nome proprio? A viso scoperto, Giorgio Stevens?... Di fronte a voi CESARE GIULIO VIOLA c’è un uomo che, prima di decidersi a far questo passo, si è spogliato dell’odio; del pianto; e s’è fer mato a un suo dolore freddo, pacato, che non dà più sussulti, ma che gli serve a dire le cose, senza tremare, come stanno dentro e fuori... Dentro e fuori: badate bene a queste due parole... E’ impor tantissimo... Perchè se non si scava dentro è inutile affrontarle certe situazioni... Giorgio — E allora? Randfeller — Allora... Io sono venuto per dir vi: «Che fate, Giorgio Stevens...». Anzi: «Che facciamo?... ». Giorgio —• Noi?... Randfeller — Sì... Io e voi... Perchè noi siamo intimamente legati a una stessa ruota... Siamo due uomini non dico colpiti allo stesso modo... Giorgio — Ma quasi... Randfeller —• Quasi?... A me era rimasto lui... Mia moglie l ’avevo perduta che lui aveva quattro anni... Voi avete una figlia e un altro ragazzo... La cosa è diversa... Giorgio — E’ la stessa... Randfeller — Sì... E tuttavia è diversa... Non c’è il vuoto intorno: tutto il vuoto... Come vedete, mi metto al vostro posto, e dico: dev’essere terri bile anche ciò che è accaduto a Giorgio Stevens. Giorgio — Lo capite?... Randfeller — Sì, sì: capisco tutto: voglio ca pire tutto! E tuttavia anche se io avessi altri dieci figli, il discorso che io debbo farvi non mutereb be... (Dopo una lunga pausa) Giorgio Stevens, io sono al corrente di tutto... Giorgio — Cioè?... Randfeller —■ Io so che la sera del ventotto settembre vostro figlio è tornato in casa vostra... Giorgio — Questo lo sanno tutti... Randfeller — So anche che quella stessa notte siete voi che gli avete indicato il posto dove per il primo momento doveva rifugiarsi! So che voi gli avete organizzato le varie tappe del suo cammi no: e finalmente gli avete procurato, due giorni fa, un asilo in una casa della periferia. Conosco la casa: Wellow Streat, n. 28, primo piano, seconda porta. Vostro figlio ora sta lì, in attesa di varcare il confine... So anche questo... Giorgio — E poi? Randfeller — Io potrei denunciare e fare arre stare vostro figlio oggi stesso... Giorgio — Esatto o no che sia ciò che voi affer mate, non capisco, caro Randfeller, perchè invece di passare da un posto di polizia, voi siate venuto da me... Randfeller — E’ semplicissimo: perchè io non denuncerò vostro figlio... Giorgio — Voi siete nel diritto di farlo: se non lo fate vuol dire che avete le vostre buone ragioni... Randfeller — Ecco: questo è il punto... (Con altro tono) Io non so se voi, in questo tempo, ab biate rifatto col pensiero la vostra vita. Io sì. Bisogna rifare, nei momenti gravi, il proprio cam mino a ritroso, per essere giusti di fronte a Dio e agli uomini. Ora, tanto a voi che a me, la vita fino a ieri non si può dire che abbia mentito. Chi eravamo noi? Due modesti operai... E oggi? Giorgio — Siamo quel che siamo... Ma dob biamo tutto al nostro lavoro... Randfeller — D’accordo! Ma tanti uomini la vorano ed hanno lavorato quanto e più di noi: ep pure chi sono? Che hanno ricavato dalla loro fa tica? C’era un certo Mattia Tolby, che lavorava con me, nella stessa officina, allo stesso banco: uno qua, l ’altro là. E sta ancora lì, allo stesso banco, con la stessa paga d’allora. Mattia Tolby! Conoscete questo nome? Giorgio — No... Randfeller — Ignoto, com’erano ignoti, allora, i nomi di Stevens e di Randfeller... Ora: state a sentire: ecco ciò che accade. Accade che tutti i Mattia Tolby, quelli che sono rimasti laggiù, ci stanno a guardare, in questo momento, e si dicono: «che faranno S'tevenls e Randfeller?». Dicono: « il nostro Stevens, il nostro Randfeller, che sono venuti su da noi, che Iddio ha prescelto fra noi: fra tanti milioni di uomini: soltanto uno, due, loro due». E ci indicano ai loro figli: «guardate: quello è Giorgio Stevens, quello è Tommaso Rand feller... quello è Morgan... quello è Ford... Erano come noi, bambini miei... Guardateli ora... Sono quelli gli esempi!...». Ecco: questo è il punto. Non vi pare che noi dobbiamo rispondere del credito ehe ci fanno i Mattia Tolby? Oggi essi chiedono una risposta. Credete voi di averla data, Giorgio Stevens? Giorgio — E voi come avete risposto?... Randfeller — Venendo qui, da voi, non più co me un uomo colpito ed offeso, ma col bisogno di suggerirvi qual’è la strada da seguire... Giorgio — E sarebbe? Randfeller (categorico) — Voi dovrete conse gnare con le vostre mani, vostro figlio alla giusti zia... (Giorgio Stevens a queste parole si leva di scatto. Pausa). Giorgio — E’ il padre di Mix Randfeller che mi chiede questo? Randfeller — No... Che ci guadagnerebbe il padre di Mix? Se vostro figlio fosse arrestato tor nerebbe, per questo, in vita mio figlio? E allora? E’ un uomo che chiede ad un altro uomo di com piere il proprio dovere... Non solo per se stesso, ma per gli altri: per i nostri creditori... Giorgio —• In altri termini io dovrei cogliere l’occasione per crearmi quella statua di cittadino, per la quale si dice: «guarda che eroe... ». Randfeller — Già! Se compiere il proprio do vere è un eroismo... POVERI DAVANTI A DIO Giorgio (coti coraggiosa lealtà) — Non sono un eroe... Randfeller — Lo so... Anch’io fino a pochi gior ni fa non ho avuto che un solo pensiero: denun ciare vostro figlio, e voi... Crollata la vita mia, logicamente mi pareva che dovesse crollare la vo stra! Poi? Quando sono stato nella possibilità di colpirvi, ecco, mi s’è sbollita l ’ira, e ho visto le cose secondo una legge morale, che riguarda più voi che me; anzi voi e non me. Io, ormai, sono fuori causa. Giorgio — Capisco ! E quando si è fuori causa è logico che si parli così! Ma io potrei rispondervi: Randfeller, non lo denunciate voi, ma volete che lo denunci io, mio figlio... E allora? Randfeller — No... Perchè? Voi potete anche fargli passare la frontiera... Dipende da voi... Giorgio — Invertiamo le parti, Randfeller: se voi foste al mio posto, ed io venissi a chiedervi ciò che voi avete chiesto a me, come vi regolereste? Randfeller — Voi volete che sia io stesso a for mulare la risposta che voi dovreste dare!... Non lo so... Non posso saperlo... La vita è come è, non come vorremmo che fosse... E ognuno deve stare sulle proprie posizioni, con le proprie responsabi lità! Giorgio (con impeto) — Insomma : se vostro fi glio fosse vivo, come vi comportereste?... Ecco: questo è il punto... E allora, forse, la risposta è diversa da quella che voi vi attendete... (Giorgio ora si muove nervosamente per la stanza-, poi si volge di scatto, e apostrofa Randfeller) Randfeller, voi sapete dove sta mio figlio: andate, prendetelo, conducetelo voi nelle mani della giustizia... Randfeller — Questo io non lo faccio... Non è questo il mio compito... Giorgio — E volete che lo faccia io?... Perchè poi? Per dare l ’esempio ai Mattia Tolby? Ma io l ’ho già dato agli uomini l ’esempio che serve loro. Lo seguano. Ho mostrato, come voi avete mostrato, che un operaio dal niente crea tutto ciò che io ho creato, e che voi avete creato. Non vi pare che basti? Randfeller -— Non basta... Non basta... Giorgio — Randfeller, io non so se voi fino a questo momento siete stato sincero con me... Av verto, nelle vostre parole, l ’eco di un’accusa che è nell’aria, in questi giorni... Lealtà per lealtà... Siete voi che avete scatenato contro di me la campagna denigratrice, che assale e sconvolge me e la mia famiglia? Randfeller — No... Ve lo assicuro... Ma quei giornali hanno ragione... E ciò che dicono contro di voi, va detto anche contro di me... Che abbiamo fatto noi pei nostri figli? Non siamo forse noi i responsabili? Giorgio — E allora, se è così, apriamo le fi nestre, sporgiamoci al balcone, tutti e due, io e voi : e gridiamo alla folla : « Siamo noi i respon sabili! ». Ma io, mio figlio, non lo consegno... Che ho fatto per lui? Ho costruito questa fortuna che mi consente di sottrarlo alla sedia elettrica. Chia ro: non ho peli sulla lingua, con voi. Sono io che l’ho nascosto, sono io che ho organizzato la sua fuga, sono io che ho già corrotta la polizia perchè mio figlio possa varcare liberamente, stanotte, la frontiera. La varcherà. Poi, fuori del pericolo, vivrà... L’importante è che viva! Non sono un eroe... D’accordo... Sono un padre che è pronto a bruciare tutta la sua fortuna per salvare il suo ragazzo... Anche questo può essere bello... E se non è bello, non importa: è umano... Ormai il proces so lo facciamo noi due: senza terze persone: senza avvocati... Giudice uno dell’altro... Condannatemi, se credete, Randfeller.., Complice? Sissignorei! Come sareste stato complice voi, se una sera vi foste visto cadere fra le braccia vostro figlio, e vi avesse implorato, vigliaccamente, miserabilmente: «Salvami, papà... Salvami... Non voglio morire!». In un primo momento, ah! sì, gli ho gridato: «Va via, via da me! » con ribrezzo. Un abisso tra noi due. Ma poi, appena ho visto che lui era tutto af fidato a me, solamente a me, a quel tanto che io solo potevo fare per lui, allora - la verità, Rand feller - io ho sentito che la mia potenza final mente mi serviva, era utile a qualche cosa. Ho sentito quanto valeva il mio danaro... E sono stato felice d’essere ricco... Mi son visto, come venti anni fa, operaio, e ho detto: - Ecco, se fossi ancora come allora, come il vostro Mattia Tolby, che potrei fare io? Niente. Le mani legate. - E ho pensato, giusto o non giusto che sia: - Ecco, questa fortuna che io ho ammassato in anni di fatica, e della quale non ho goduto - perchè io non ne ho goduto, come voi non ne avete goduto: tutto per gli altri, Rand feller - la Provvidenza ha voluto concedermela perchè era stabilito che dovesse aceadermi un gior no questa tremenda disgrazia, e perchè io avessi il mezzo di difendermi. (Con altro tono) So che queste mie parole possono suonarvi come bestem mie. Possono anche ferirvi. Non ho esitato a dirle, perchè voi, che avete sofferto quanto me e più di me, e che mi avete portato questa sera, la vostra verità, frutto di tanto dolore, meritate da parte mia una parola decisa, senza ipocrisie, vera. Ed è questa la mia risposta. Randfeller (.con molta calma) — Voi mi fate molta pietà, Stevens... Giorgio — Davvero? Randfeller — Tanta! Parlate come un bambi no! Voi credete ancora nel danaro? Infatti: col danaro si comprano le carature dèi giornali, è così? si compra la polizia: si comprano gli uomini, le cose, i popoli... Si dice: pago, e tutto è a posto! Eppoi? C’è qualche cosa che non si compra... Giorgio — Cioè? 21 CESARE GIULIO VIOLA Randfeller —■Dio... Giorgio — Oh! Dio è misericordioso... Avrà pie tà di me... Randfeller — Ve lo auguro... (Si alza) Io per conto mio non ho altro da dirvi... Ah! Sì!... Debbo dirvi che io mi ritirerò a vivere in una piccola casa di campagna... Così... Un giorno forse verrete a trovarmi... per ricambiarmi questa visita... Sen tirete il bisogno di riprendere questo discorso... E anche se ciò non accada, se non con me, lo ri prenderete con voi stesso; perchè questi sono di scorsi che si continuano... Addio, Giorgio Stevens... Giorgio —■ Addio, Randfeller.,.. (.Randfeller si inchina, voi si avvia verso la porta di destra per uscire. Quando è per girare la maniglia Giorgio lo ferma con la voce) Randfeller... Randfeller (si volge. I due uomini si fissano. Nello sguardo di Giorgio sta la domanda: «Tu non denunceraì mio figlio! ». (Egli scruta Randfeller che sostiene con lealtà il suo sguardo). Giorgio (chinando lo sguardo) — No... Niente... Scusatemi... (Randfeller ha capito. S’inchina. Esce). m La stessa scena del primo atto (E’ sera-, dopo l’ora del pranzo. Giacomo Ste vens sta in piedi e attende. Giunge dalla destra Stefano, che reca una scacchiera e una scatoletta per il gioco degli scacchi). Stefano — Ecco, zio... Allora vogliamo giocare? Giacomo (distratto, col capo altrove) —• Sì, caro... Un momento... Stefano — Perchè «un momento»... Ci sedia mo a questo tavolino... Iersera abbiamo giocato qui... Non vuoi la rivincita?... Giacomo (c. s.) — Sicuro che la voglio... (Sulle ultime due battute è entrata dalla sinistra Dorothy). Dorothy (intenzionalmente) — Qui, no... An date nel salotto rosso... Vi mettete in un angolo... Lì c’è il lume che pende proprio sul tavolino: gio cherete meglio... Giacomo (che ha capito) — Sì: Dorothy ha ra gione... Nel salotto rosso... (A Dorothy) E tu? Dorothy — Io vado su, dalla mamma... Starò su, con la mamma... Potrebbe venirle l ’idea di scende re in salone... E bisogna che non si muova... Stefano (ingenuo) — Perchè? Dorothy — Perchè è bene che la mamma ripo si... Avete capito, zio Giacomo? Voi due giocate... molte partite,- eh? Giacomo — Sì, Dorothy... (A Stefano) Andiamo, caro... (I due si avviano verso la porta di fondo. Do rothy e Giacomo si guardano con intenzione. Doro thy fa segno a Giacomo come per dirgli : « Trat tieni il bambino ». Poi, quando i due sono usciti, dopo una pausa tormentata, va verso il telefono). Dorothy (al telefono) — Volete chiamarmi il conte?... Sì: sono Dorothy... Volevo dirti che stasera tornerò a casa più tardi... Non mi atten dere... Beh ... Vai da Wallace... Fa le mie scuse... La mamma ha bisogno della mia presenza... Sì, ti prjego, Louis..1. Buona natte... (Dorothy dopo aver telefonato esce per la destra. Giorgio Stevens entra dalla sinistra: s’indugia sulla soglia della porta). Giorgio (volgendosi all’interno) — Vieni... Qui staremo più appartati... (Dopo qualche attimo ap pare sulla soglia Ralph. Sosta indeciso) Vieni... Vie ni... Siediti... Ralph (avanza muto. Siede sopra una poltrona). Giorgio (siede sopra un divano e indica a Ralph il posto vuoto accanto a lui) — No... Qui... Ralph (si leva e va a sedere presso il padre. Un penoso silenzio si fa tra i due). Giorgio — E ora? Ralph — Non avresti voluto vedermi, è vero? Giorgio — Ma no: che c’entra... Come puoi dir questo... (La mano di Ralph è abbandonata sul divano. Giorgio istintivamente gliela stringe con la sua destra. Poi la mano di Giorgio si lìbera dalla stretta, risale lungo il braccio del figlio, batte af fettuosamente sul’omero di Ralph. Come a se stesso) Ma perchè? Ecco: non capisco il perchè... E non capisco come tu abbia fatto a venire qui... Ralph —- E’ una cosa molto semplice... Ho ri passato il confine con gli stessi documenti che ave vo quando sono fuggito un mese fa... Eppoi: nes suno si è occupato di me... Giorgio — E non pensi al pericolo che corri? Ralph — Sì... Il pericolo si fa grave quando si ha paura. Ma quando un uomo è tranquillo... Giorgio — Tranquillo? Ma sai che basta ima telefonata del nostro cameriere che ti ha visto en trare... Ralph — Beh? Anche se la facesse? Giorgio —■ Senti: quando mi sei apparso mez z’ora fa ho avuto il sospetto che tu fossi impaz zito... Ora comincio a supporre che il pazzo sono 10... Perchè, con queste tue risposte, io non vedo dove si vada a parare... Ralph — No, papà... Non siamo pazzi nè tu nè 10... Siamo due uomini che dopo qualche tempo si rivedono, e non sanno ciò che è passato, in que sto tempo, nell’uno e nell’altro... Ti pare strano questo mio arrivo improvviso? Tutto ciò che ho fatto io è apparso sempre strano. E invece è tutto logico, papà. Logica quella mia fuga, logico questo mio ritorno. Eppoi: ormai è fatto... Giorgio — Che cosa è fatto? Ralph — E’ fatto che io sto qui con te, no? Come state, qui, a casa? s POVERI DAVANTI A DIO male, e che era chiamata nella casa di Giorgio Giorgio — Ma come vuoi che si stia... Stevens, per urgenti comunicazioni, s’è decisa... Ralph — Male?... La mamma... (Alla signora Corvin) Come vede... Giorgio — La mamma, sapessi... Dorothy non la La signora Corvin — Sì... Ma ancora io non rie lascia un minuto... Ralph — Lo so... Me l’ha detto... De Coursac sco a capire perchè lei sia venuto da me... E che che non ha messo più piede in casa nostra... Tu... cosa abbia da dirmi il signor Giorgio Stevens... Conosco di nome il signor Giorgio Stevens, e per Giorgio — Io? Oh! Io! Ralph — Già... Tu sei forte... E invece tu stai ciò questo fatto mi pare straordinario... Ralph (rapido) — La signora Corvin è vedova... peggio di tutti... Hai fatto bene a richiamare Ste fano dal collegio... Ebbene, non ti preoccupare, Da pochi mesi... La signora Corvin — Non sono stata fortunata, papà: ora vedrai che tutto si rimette a posto... signore... Giorgio — Io mi domando che vuoi fare?! Bada, Ralph — E già!... Dica... Dica al signor Stevens figliolo, io quasi vorrei che tu non mi rispondessi... che ¿osa le è accaduto... E’ proprio per questo: per Io non vorrei aver capito... Ralph — Non puoi capire ancora niente... Ca la sua disgrazia che lei è stata chiamata qui... La signora Corvin — H signor Stevens è infor pirai più tardi... (Si leva da sedere) Siamo soli, è mato? vero? Ralph — Sì... Ma ignora i particolari... Quelli Giorgio — Sì, perchè? che lei ha raccontato a me... Ralph — E allora vuoi aspettarmi un momen La signora Corvin —- Oh! Non sono particolari to?... (Fa per avviarsi verso la porta a sinistra). Giorgio (cui balena il pensiero che il figlio possa interessanti... C’è solo che eravamo tanto felici io e Giovanni, mio marito... Un brav’uomo... Cera allontanarsi per uccidersi) — Dove vai? Ralph — No, papà: non temere... Non sono uno vamo sposati da sei anni, ed erano venuti al mon di quelli, che tornano a casa, fanno un saluto alla do... Ralph — ...due ragazzi... famiglia, e si bruciano le cervella... No... T’ho det La signora Corvin — Sì... due ragazzi... Non per to: un minuto... Abbi pazienza... Devi avere un po’ di pazienza con me... (Prima di uscire) Io non vantarsi, ma... Ralph •— ...due bellissimi ragazzi... sono venuto solo stasera... Ho condotto con me una La signora Corvin — H signore li ha visti... Mio povera donna... Voglio che tu la vegga... E’ neces sario! Può molto aiutarci a capire... (Ralph esce. marito lavorava in una società di trasporti... Era Giorgio è solo, fissa intensamente la porta donde è un bravo meccanico... E una sera signore, non è tornato più, ecco... Io quella sera non avrei mai uscito il figlio, si passa sul volto le mani). Giorgio — Oh! Signore!... Oh! Signore!... (Ralph pensato che... M’ero detto: non rientra, beh, si rientra dalla sinistra. E’ seguito da una donna ve sarà fermato lungo la via... Gli era capitato qual stita modestamente: giovane, un po’ impacciata che volta... Ed ero andata a letto... Ma non dor nei gesti, intimidita dall’ambiente in cui si trova. mivo... Chissà perchè non dormivo... L’ho capito, Ma è una donna piacente che ha un bel sorriso). poi: al mattino dopo... E non s’è mai saputo perchè Ralph — Entri, la prego... Entri... Le avevo det e come l ’abbiano ucciso... Giorgio (rapido) — Ho capito... Ed io, per que to che l ’avrei condotta in casa del signor Giorgio Stevens... Questo è il signor Giorgio Stevens. (A sto, ho dato l’incarico di ricercarla... La signora Corvin —• Lei forse può dirmi chi... Giorgio) La signora Corvin... Lei può sapere tante cose, che noi povera gente... La signora Corvin — Buona sera, signore... Giorgio (tentando di deviare la piega che ha Giorgio — Buona sera... Ralph (alla signora Corvin) — Prego, s’accomo preso il discorso) — No... Ma io, quando mi accade di... (Offre da sedere alla signora Corvin) Biso d’incontrarmi in questi casi tristissimi, se ho la gna trattare molto gentilmente questa signora... possibilità di intervenire... Ecco... E allora io sono Accoglierla con molta ospitalità, perchè anche lei lieto di averla vista, signora, e la prego di passare, iersera mi ha accolto con tanta generosità, nella quando crederà, dal mio ufficio, dove si vedrà di provvedere per rendere meno difficile la vita, a lei sua casa... La signora Corven — Una casa modesta, signore. e ai suoi ragazzi... La signora Corvin — Oh! Signore... Come pos Ralph — Sì, semplice... Molto semplice... Ma, so io ringraziarla... (A Ralph) E lei chi è che è insomma, accogliente! La signora è mamma di due venuto a cercarmi come un angelo benefico? bambini... La sua casa sta dove finisce il paese Giorgio (rapido) — Lui?... Lui è incaricato... di New-Sey... Io, iersera, verso le nove, ho battuto La signora Corvin (a Ralph) — Siete molto alla sua porta... Ce n’è voluto a persuaderla per chè mi seguisse... Poi quando, finalmente, stamani buono... Ralph — Sì, sì... (A Giorgio, quasi con ironia) si è convinta che nessuno le avrebbe fatto del r CESARE GIULIO VIOLA E allora quanto avete deciso di darle, signor Ste vens... Giorgio —• Beh! Si vedrà... Parleremo... Io non conosco ancora le condizioni della signora... Ralph (come esaltandosi) — Una pensione di cinquanta dollari al mese? Di cento dollari? Si provvede perchè i due ragazzi sieno chiusi in un collegio e sieno inviati agli studi? (Con altro tono) E il morto? Il povero morto? Giorgio — Ma è inutile rivangare... Non è il caso... La signora Corvin — Oh! Era tanto buono... E se vi vede dai cielo vi benedice... Ralph — Già... Ma chi lo paga? E lei non ha mai tentato di sapere chi abbia ucciso suo marito? La signora Corvin — Oh! Sono tanti i malvagi che camminano sulle strade della terra... Ralph — E ce n’è uno che passa di notte, per una di quelle strade, e dice al primo che incontra: Basta con la vita! Poi scompare... L’autotreno è fermo nella notte! Silenzio! Non passa nessuno! Poi passa qualcuno e tira dritto! Lo chauffeur del l ’autotreno, che è fermo, si sarà addormentato: è probabile, anche, che sia ubriaco... Poi! Poi, al mattino, quando albeggia, gli uccelli di rapina si destano, guardano dall’alto, volteggiano in cielo, piombano giù, su Ignazio Corvin... La signora Corvin (con orrore) — Perchè dite questo, signore?! Giorgio — Insomma... tronchiamo questo discor so... Si farà ciò che si deve fare... Ralph —• Allora gli uomini si accorgono che Ignazio Corvin, suo marito, è stato assassinato... Dopo due mesi un signore si presenta a lei, si guarda intorno, carezza i bambini, parla, interro ga, le dà appuntamento in casa di uno degli uo mini più ricchi e più generosi d’America. E Gior gio Stevens soccorre la vedova Corvin, e salda il conto con la vedova Corvin, con i figli della vedova Corvin. E’ giusto! Questo deve fare il signor Giorgio Stevens... Giorgio (sconcertato, ma dominando la situa zione) — Io non credo di far nulla di straordina rio... Uno spirito di fratellanza deve unire tutti gli uomini... Ralph — Ecco... Giorgio — Sono lieto di esserle venuto incontro, signora, e di giovarle come meglio mi è possibile... Non credo che noi si abbia più nulla da dirsi... E’ tardi... Se crede la faccio accompagnare dalla mia macchina... La signora Corvin — Ma io sto tanto lontana... C’è un treno che parte nella notte e al mattino mi conduce a casa... Basterebbe che mi accompagnasse alla stazione... Giorgio — No, no... Fino a casa... Fino a casa... Direte voi dove vi si dovrà condurre... (Giorgio in- dica alla signora Corvin la porta. La signora Cor vin è interdetta, fa per avvicinarsi a Ralph. Gli tende la mano che Ralph non stringe). La signora Corvin (confusa) — Grazie... Anche per i miei bambini... (La signora Corvin esce da sinistra, accompagnata da Giorgio. Pausa. Ralph si butta a sedere sul divano. E’ stremato. Dopo qualche minuto torna Giorgio dalla sinistra). Giorgio (venendo risolutamente verso Ralph) — Ma che gioco è questo... Ralph (sempre buttato sul divano) — Ah! Lo chiami gioco? Giorgio — E come vuoi che lo chiami? E’ un gioco d’inferno... Ralph — Bruci, eh, papà... Giorgio — Io? Sei tu che bruci... Io sono a po sto... Io ho fatto tutto ciò che dovevo fare per te, intendiamoci... E da tre mesi stiamo tutti penando a causa tua... Io, tua madre, tua sorella, tuo zio... Se questo non ti pare che basti!... Ralph — Come sei stato abile, papà... D’improv viso ti sei insinuato tra me e lei, hai aperto la tua cassaforte e tutto, ecco, s’è contagiato... Io non ho gridato la verità: non mi sono inginocchiato e accusato di fronte a quella donna per paura che lei ormai non reagisse più, e non mi maledicesse... Ora quella donna viaggia, in una ricca automo bile... Le hai dato del danaro, è vero? Giorgio — Era il meno che potessi fare... Ralph — Un anticipo! E giungerà fra due ore nella sua casa dove dormono i suoi bambini. E li desterà. E dirà loro piangendo: «Sapete?... Siamo salvi...». E li foacerà. E al nome di Ignazio Corvin - del ” povero papà ” - avvicenderà il nome di Gior gio Stevens, il benefattore... E noi, abbiamo impu dentemente accettato i suoi ringraziamenti... Per poco non ci ha baciato le mani... Giorgio — Beh! Eppoi?... Tu credi che in questo momento, col pericolo che corri, io abbia voglia di discutere di queste cose? Ralph — Io, invece, sì... Giorgio — E io no, no, no... Ralph (con malinconia) — Non ne avrei voglia neppure io... Sapessi, quanto ne soffro, papà... Giorgio 0tentando di riscuoterlo) — E non bi sogna soffrirne! Bisogna invece raccogliere tutte le forze e riscuotersi e dominarsi! E se non l ’hai tu la forza, te la dò io... Ma hai coscienza di ciò che sta accadendo, in questo momento? Ralph — Sì, purtroppo! Giorgio — E invece no! Ed io ho il dovere di snebbiarti il cervello! Senti, Ralph: tre mesi fa una sera tu sei venuto qui, a quello stesso posto, mi hai detto tutto di te, hai implorato perchè io ti sal vassi... Ralph — Lo so, papà... Giorgio — Io ti ho salvato! Ma non credere che tutto quanto io ho fatto per te non mi sia costato... A POVERI DAVANTI A DIO Ralph — Lo so, papà... Giorgio — E allora, se capisci quale sforzo io abbia compiuto - anche di fronte a me stesso: dentro, eh! - quali che siano le ragioni che ti han no spinto a tornare - per noi, sai, per me, per tua madre, per questa casa - dovevi rispettarlo questo mio spaventoso sforzo... E invece mi accorgo che non hai pensato che a te, e non pensi che a te, prima e dopo... Ralph — No, papà... Penso anche a voi... Pen so a te... Giorgio (con uno scatto) — Insomma... Ralph — Tu hai detto la parola «salvare»... Salvare che cosa? Giorgio — La vita... La tua vita... Ralph — E che te ne fai della vita?... Che cos’è la vita?... Che ne sai della vita che io ho passato in questi tre mesi?!... Giorgio — E tu che ne sai della nostra vita... Ralph — E questa è la terribile cosa: abbiamo seguitato a vivere uno da ima parte, l ’altro dal l ’altra.... Come prima, separati, senza capirsi, sen za comunicarsi, estranei. E ora è il momento in cui bisogna trovare finalmente questo punto di con tatto, per ciò che si deve fare, tutti... Ecco : a tanto son serviti questi tre mesi... A capire questo... Per me, almeno... E sto qui perchè tutto è nato da me, tutto è dipeso da me, e tutto ancora dipende da me... Tu sei abituato ai bilanci, papà... Partita del dare e dell’avere... Ecco : pensa a un bilancio... C’è un deficit, papà... Bisogna colmare questo deficit... E tu non ci puoi far niente: tu puoi bruciare tutto il tuo denaro, fino all’ultimo soldo, che è una forza sì, lo riconosco, e ti è servito, anzi ci è servito... Ma il deficit non si colma... Si tratta d’un’altra partita... Ecco, bisogna capire che si tratta d’un’altra par tita... E’ vero, papà?... Dimmi che è così... Che, « dentro », è così... Giorgio (.dopo una pausa, con voce cupa) — Lo so... Questo lo so... Ralph (con slancio) — Ah! Lo sai... L’hai ca pito, papà?... E allora io ti posso parlare, come se parlassi a me stesso: col cuore in mano... Ecco: e vedrai che ti riconcilierai con me. (Pausa) Io ho vissuto, in questi tre mesi, un po’ di qua un po’ di là, e non uscivo mai... La sera, soltanto, per pren dere un po’ d’aria, e il resto del giorno fra quattro mura, come in una prigione... Voi stavate qui, tutti insieme, e potevate aiutarvi l ’uno con l ’al tro... Io ero solo... E quando si è soli, si pensa, non ci si distrae, e giunge la notte e non si dorme, papà... Giorgio — Ralph!... Ralph — Ma è un bene : perchè i pensieri si fanno lucidi, ordinati... Si cammina... Io ho camminato tanto... E sono giunto, così, alla casa di Ignazio Corvin... E ho condotto qui la moglie di Ignazio Corvin, la mamma dei figli dì Ignazio Corvin, per chè tu potessi vedere precisamente il mio punto di arrivo e il mio punto di partenza... Ecco: questo è quello che conta... E da questo punto bisogna rico minciare tutti: come ho fatto io... Vedrai che tutto è logico, semplice, sgombro... E si fa ciò che si deve fare, senza paura, con persuasione, con tranquillità: tanto dà tanto... (Con altro tono) L’avevamo di menticato, eh, papà, quel poveretto!... E’ la vera vittima: è la sola vittima... Tra me e Mix, sì, po teva capitare a me ciò che è capitato a Mix... Il gioco era alla pari... Ma l ’altro, l’altro che se ne torna a casa, dove l ’aspettano la moglie, i ragazzi, per la cena... Il conto da saldare è tra me e lui... Tra noi e lui!... Mix ha già pagato... Ora spetta a me... E’ come se, tanti anni fa, mentre tu torni a casa, una sera, con la tua cassetta dei ferri a tra colla, e il figlio di Morgan e il figlio di Rokfeller, per divertimento ti accoppano per la strada... Poi. quelli, lassù si mettono a giostrare al si salvi chi può... E tu?... La mamma vedova e noi tre orfani... Quelli con la borsa piena mettono in moto la ma cina e se la fanno franca! E tu? E noi?... Giorgio (disperato) — Anche se tutto questo è giusto do non posso vedere: non voglio vedere... Ralph — Devi vedere, papà!... Tutti dobbiamo vedere... E come io rispondo di me a Ignazio Cor vin, così tu devi rispondere di te a me... Che hai fatto di me, papà... Giorgio — Ho creduto di essere sempre un buon papà per te... Ralph — E che vuol dire essere un buon papà?... Non lo dico per me: ormai la mia partita è gio cata... Lo dico per l’altro... Papà: fanne un uomo... E’ l ’unica cosa che importi... Tutto il tempo che non hai dedicato a me, trovalo per lui... Giorgio — Sicché anche tu mi fai responsa bile... Ralph — No... Povero papà... Pareva che la vita fosse tutta fatta... Eh!... No... Non era fatta den tro... E quando non è fatta dentro, tutto il resto è inutile... Vedi a che son ridotto io, e a che sei ridotto tu?... Siamo i più poveri uomini del mon do... Ma io diventerò l’uomo più ricco, tanto più ricco di te, quando sarò uscito da questa casa, mi sarò presentato dove debbo presentarmi, e avrò detto: - Eccomi qui... Giorgio — Sicché?... Ralph —• Coraggio, papà! La penultima tappa è fatta... Ora resta l ’ultima. E’ bello, papà... Non ti commuovere... Devi essere contento di me... Devi dire: - Bravo Ralph - Dillo! Dammi questo con forto... Giorgio (dopo una lunga esitazione) — Oh! Ralph... r CESARE GIULIO VIOLA Ralph — Ecco... (Il momento è emozionantis simo. I due tacciono. Poi Giorgio si passa una mano sul volto, come a cancellare le lacrime che gli sono ■affiorate). Giorgio — Ecco... Ralph (un po’ trasognato) — Bisogna sbrigarsi, papà... Giorgio ■ — Perchè? Ralph — Non abbiamo più nulla da dirci... E allora sono inutili gli indugi... A che servirebbero: a pestarci il cuore... (Risoluto) Voglio baciare Ste fano, zio Giacomo, Dorothy... Voglio baciare la mamma.... Giorgio •— No, Ralph... Ralph — Perchè no? Giorgio — Tu vuoi ucciderla... Ralph — Immagina che domani la mamma sa pesse - prima o poi lo saprebbe - che io, questa sera, mi sono fermato qui, e che non sono salito ad abbracciarla... Lo so: è una pena terribile: può parere anche una crudeltà... Ma queste sono posi zioni che bisogna affrontarle fino in fondo... E’ ne cessario che io la vegga, papà... Debbo vedervi tut ti... Se no: sarebbe facile per me e per voi... So che ti costringo a cose che ti sembrano insoppor tabili, e non lo sono... Tu devi aiutarmi... Come vedi, ti chiedo ancora qualche aiuto... Tu puoi darmi, ancora, qualche aiuto... Chiama lo zio Giacomo... E Stefano... E Dorothy... Giorgio (dopo una esitazione : deciso va verso la porta di fondo, l’apre) — Giacomo... Stefano... (En trano Stefano e Giacomo dalla porta di fondo) Ecco: Ralph vuole salutarvi... Stefano (accorrendo verso il fratello) — Oh! Ralph... Ralph (con simulata disinvoltura) — Come va, giovanotto... Stefano — Bene, e tu?... Ralph (intenzionalmente) — Benissimo! Studi a casa, ora, eh!... Niente più collegio... Stefano — E papà e la mamma hanno voluto che venissi qui, perchè tu eri partito... Ralph — Il papà e la mamma hanno fatto be nissimo... Stefano — Ma ora tu sei tornato... Ralph — Sì, ma per questa sera soltanto... Non temere: tu resterai col papà e con la mamma... Devi volere molto bene alla mamma e al papà... Ricordati, sempre, che t i chiami Stevens, e che quando si porta il nome del nostro papà bisogna essere... molto bravi... Com’è bravo il nostro papà!... Zio Giacomo!... Quando io ero piccino voi non ve nivate mai a casa nostra... Ora, invece, dacché è tornato Stefano... Stefano — Viene per giocare a scacchi con me, ogni sera... 2ti Ralph — Ecco... Dovete promettermi che verrete ancora... Sempre... Stefano deve diventare un bravo giocatore di scacchi... Giacomo — Sì, Ralph... (Ralph strìnge la mano a Giacomo). Ralph — Dorothy è su, dalla mamma; è vero, papà? Giorgio — Sì... Ralph —• Vado a raggiungerla... (Ralph esce ra pido per la sinistra. Restano solo i tre. Giorgio è come assorto). Giacomo (meravigliato che Ralph si sia recato presso la madre) —- Giorgio!... Giorgio — Che? Giacomo — Mah! Giorgio — Sì... (A Stefano) Va di là, Stefano; ti chiamerò io più tardi... Stefano — Sì, papà... (Esce per la porta dì fondo). Giorgio — Ecco: il bambino non sa e non deve sapere... Ma noi? Noi non possiamo più sottrarci alla realtà delle cose: come sono, come debbono essere... Sento che ognuno in questo momento si carica del proprio peso... Giacomo... Giacomo — Dimmi... Giorgio — Tu ci sei stato vicino in questo tempo... Ti pare che ogni cosa fosse veramente al suo posto, nella nostra vita? Giacomo (deciso) — No, Giorgio... Giorgio — Ecco... Mi fa piacere che me lo dica tu, che sei un onesto uomo... E mi conosci... (Come a sè stesso) Questi sono discorsi che si continuano... Randfeller non ha più bisogno di aspettare la mia visita... Giacomo (preoccupato) — Ma che farà, ora, Ralph... Giorgio — Ciò che si deve fare quando d’improv viso raggiungiamo la nostra verità. Porse bisognava preparare sua madre a questo incontro... Giacomo — Vuoi che vada io, Giorgio? Giorgio — No..^ Ormai... Tutti dobbiamo cari carci del nostro peso... Anche lei... Non c’è scam po... Ma le mamme s’illudono... Credono nell’impos sibile... Porse non capirà... Speriamo che non ca pisca... F IN E ® Questa commedia è stata rappresentata la prima volta al Teatro Nuovo di Milano, il 7 ottobre 1947, dalla Com pagnia «Città di Milano» dell’Istituto nazionale del Dram ma, diretta da Ruggero Ruggeri. Le parti sono state cosi distribuite: Ruggero Ruggeri (Giorgio Stevens); Lia Zoppelli (Alice Stevens); Olga Carera (Dorothy); Mario Colli (Ralph); Franco Tommei (¡Stefano); Annibaie Betrone (Gia como Stevens); Roberto Bruni (Luigi De Coursac); Mario Pucci (Lavery); Mario Felicani (Randfeller); Lina Bacci (la signora Corvin); Aldo Gazzini (il maggiordomo); Gianni Marchesini (il capo operaio); Aligi Vicini (l’usciere). ® Tutti i diritti riservati; copyright Cesare G. Viola 1947. m a ' a M a L A V E R A S IT U A Z IO N E A T T U A L E D E L T E A T R O D I PR O S A Si è tenuta recentemente a Roma una riunione dei rappresentanti di tutte le categorie dello spettacolo per discutere lo schema di una legge per la riforma del Teatro. Tale riforma è basata su motivi artistici e sociali. Ma poiché si vorrebbe elevare il contributo statale per aver modo di poter sempre e meglio favorire la lirica e i concerti, i convenuti, e primo fra tutti i’on. Andreotti, si sono preoccupati anche del Teatro di prosa, parente poverissimo di quello lirico. Remigio Paone, indubbiamente il maggior esperto di teatro che abbiamo in Italia, ha difeso gli interessi del Teatro di prosa con le parole che riportiamo. La sua enunciazione è molto importante, perchè è dalle sue parole che apprendiamo la vera situa zione attuale del Teatro di prosa, senza preconcetti nè interessi personali. Alternando occhiali neri e rosa, Remigio Paone ha mostrato il vero volto della situazione. * Credo di poter dire senza retorica che oggi è un ottima giornata per il Teatro italiano, poiché dalla liberazione di Roma è la prima volta che possiamo incontrarci con un rappresentante dei governi democratici. Le categorie del teatro 'infatti' non hanno mai avuto la fortuna di poter 'far sentire la loro voce ad un rappresen tante del Governo. Premetto che in questa Commissione io non rappresento alcuna categoria : sono stato invitato come tecnico per cortese designazione dell’Associazione Generale dello Spettacolo. Il rappresentante del Ministero del Tesoro mi diceva l’altro giorno di aver bisogno soprattutto della nostra comprensione; domando se per concedere tale comprensione dobbiamo decisamente morire. Non si tratta di fare un programma di massimo o di minimo; la situazione del teatro di prosa è questa volta effettiva mente grave; sono costretto a ripetere una frase fatta « il teatro di prosa è mori bondo» dal momento che corrisponde, ora, esattamente alla verità. Da venti anni ho sempre sentito dire che il teatro è in crisi; lo era — può darsi — mentre viveva magnificamente. Si ripetè il caso della favola del lupo, che a forza di gridare alla crisi siamo davvero giunti al «punto di morte » e nessuno ci ascolta e probabil mente ci crede. Riferiamoci al 1938. A quell’epoca, un biglietto di teatro costava dalle 20 alle 25 lire; oggi dovrebbe costare 1200 o 1300 lire, ma poiché nella crisi generale come fenomeno sociale, il teatro non costituisce una spesa necessaria, molti l’hanno dovuta cancellare dal proprio bilancio. Per indurli a rifrequentare il teatro, siamo costretti a far pagare un biglietto da 400 a 500 lire, senza la minima proporzione tra il vecchio e il nuovo costo. Il Teatro è divenuto così passivo cd antieconomico. Le Compagnie di prosa costavano nel 1938 da due a tremila lire il giorno; oggi costano da ottanta a centoventimila. Nel periodo prebellico i teatri erano molto frequentati; oggi non lo sono più, per le ragioni stesse della crisi generale. Crisi mondiale dal lato economico; crisi mondiale dal lato artistico; in una parola: repertorio. Non funziona il teatro in Italia, ma funziona poco in tutto il mondo. Noi avremmo bisogno di almeno venti Compagnie per sostenere una Stagione Tea trale, ed invece per la Stagione iniziata da un mese o poco più, ne abbiamo forse otto o dieci, ed anche queste — data la nostra particolare situazione rispetto ai teatri stranieri di non formare le Compagnie per i teatri, ma per il giro nelle varie città — sono costrette a cambiare repertorio almeno ogni settimana. Una Compagnia deve allestire da dieci a quìndici spettacoli; avendo dieci Compagnie occorrerebbero almeno centocinquanta commedie nuove. Non ci sono. Ci sarebbero, ed anche tutte italiane, se si volessero fare soltanto degli esperimenti, ma qui parliamo di teatro regolare, e centocinquanta commedie nuove non si possono avere nemmeno attingendo ai repertori di tutti i Paesi, giacché anche la loro produzione o non è tutta valida o non è tutta di esportazione. Questa è la seconda causa della crisi del Teatro■ Contro di essa abbiamo già cercato di rimediare in qualche modo, allettando il pubblico con la messinscena e la regìa. Si sono spesi e si spendono molti milioni, ma è una forma di esasperazione che coopera a far diventare il teatro maggiormente antieconomico. E’ dunque necessario imporsi dei sacrifici; ma non deve sacrificarsi qualcuno e per ragioni particolari, ma tutti. Indistintamente. Devono sacrificarsi gli attori rinomati (non i piccoli, giacché questi non riescono a percepire Ohe le non sufficienti millecinquecento lire di «minimo » al giorno), quelli che percepiscono dalle otto alle dodici e fino alle ventimila lire al giorno, giustifi cando tali richieste con le spese di abbigliamento, e citando a loro difesa il cinema, a cugino spauracchio della scena. Quando noi ci rivolgiamo agli attori di maggior richiamo, essi rispondono che non possono lavorare se non alle cifre indicate; a meno, sarebbe un vero sacrificio, e come tale insopportabile ed inaccettabile. A questo punto, noi cresciuti nel teatro, sentiamo il bisogno di ricordare con am mirazione gli attori del teatro italiano, e specie quelli non più giovani, da Dina Galli a Ruggeri, dalla Melato ad Emma Gramática a Gandusio e così via, che recitavano e recitano prima di tutto per la passione che li anima, e per i quali il teatro è davvero «un grande amore che dura tutta la vita », parole testuali del testamento spirituale di Federico Garcia Lorca. Oltre agli attori dovrebbero essere animati da uguale spirito di sacrificio i capo comici'. nessuno dì essi certo forma compagnia soltanto animato da scopo di lucro; la sola preoccupazione è quella umana e logica di non rimettere o rimettere il mìnimo possibile, e vìvere, ma i capocomici non dovevano umiliare gli autori italiani. Secondo me essi nel dopoguerra hanno creduto troppo ciecamente ed esclusivamente nelle novità straniere, hanno creduto troppo nel « tesoro » del repertorio non italiano, hanno creduto infine che bastasse una firma straniera per risolvere la crisi. E così hanno costretto i nostri autori a difendersi e praticamente a difendersi male, chiedendo cioè e ottenendo dallo Stato una somma che da sola basterebbe ad integrare la vita di quattro o cinque Compagnie primarie con repertorio ugualmente diviso fra autori italiani e stranieri, e limitando le possibilità di allestimento delle novità italiane a quelle produzioni ohe si adattano a Ruggeri per la « Città di Milano » e non si sa a chi per la « Città di Roma ». Quale apporto concreto potrà appunto dare il nostro ottimo e coraggioso Ruggì allo sviluppo della produzione italiana? Quante novità avranno date, a fine gestione le due Compagnie, se teniamo anche presente le « commemorazioni »i che invero ci sembrano un tantino esagerate nel numero perchè vorremmo che queste Compagnie fossero soprattutto Compagnie di polemica e di battaglia!? Dicevo per questo che se i capocomici italiani avessero inteso il dovere di non accantonare la produzione italiana avrebbero fatto i loro interessi, perchè lo Stato si sarebbe già interessato di essi ed avrebbero reso un servigio grande alla nostra arte drammatica. Una Compagnia se costa oggi dalle ottanta a centoventimila lire, ciò è anche per i trasporti, e questo è un punto importante del problema da risolvere. Già dal 1935 esistevano facilitazioni ferroviarie per il teatro, del 75%: ora ridotte al 50 %. Lo scarto di un terzo per una Compagnia formata da venti a venticinque elementi, con varie tonnellate di bagaglio, incide fortemente sulle spese generali. Il Ministero dei trasporti non se ne preoccupa. Non potendo sopportare tali spese, le Compagnie hanno ridotto i viaggi a stazioni fisse: Milano e Roma, o quasi; e vice versa. Tutte le altre città, e non sono poche, ed in gran numero importanti, non hanno teatro di prosa, soprattutto per questa ragione. Al Ministero dei trasporti non si riesce a far comprendere come accordando maggiori facilitazioni lo Stato non ver rebbe a perdere, ma forse bensì a guadagnare, dal momento che i viaggi divente rebbero automaticamente assai più numerosi, risolvendo, almeno per varie città im portanti, il problema locale degli spettacoli. Il Teatro, tutto il Teatro e l’attività concertistica sono, dunque, in condizioni difficilissime■ E’ necessario chiedere al Tesoro, almeno due miliardi. Immagino il volto del ministro Einaudi. Ma il ministro Einaudi si è domandato : che cosa rendono oggi gli spettacoli? Attraverso la tassazione lo Stato incasserà, quest’anno, con la tassa erariale, dai sette ai nove miliardi. Tre anni fa abbiamo detto : « le Compagnie di prosa non ce la fanno più » : ed avevamo ventisei Compagnie; l’anno scorso ne avevamo sedici; quest’anno non raggiungiamo il numero di dieci. Questa è la situazione del nostro teatro di prosa, e noi vorremmo poter dire a chi di ragione: Vanno venturo che cosa incasserà lo Stato di tassa erariale? Perchè dobbiamo fare la figura di pitoccare degli aiuti per il Teatro, quando sappiamo che tale aiuto non è che una pìccola parte di ciò che il teatro produce; quando sappiamo che il teatro ha funzioni di civismo e di cultura, e non soltanto per il nostro Paese, ma con i nostri attori all’estero. C’è nessuno che abbia letto le relazioni non soltanto artistiche, di successi entusiasmanti, ma le cifre riportate esattamente, da Mario Intaglietta in «Il Dramma», delle due Compagnie italiane che attualmente sono in Argentina? Non le abbiamo mandate noi all’estero queste ambascerie di italianità; le hanno richieste loro, le hanno for mate col loro denaro. Il teatro è anche merce di esportazione, e quale merce, come si vede, giacché oltre l’interesse economico e’é l’entusiasmo del pubblico, la cono scenza all’estero del repertorio italiano e relativi incassi di diritti d’autore, il tra- sporto di una massa verso un settore del nostro Paese, una conoscenza della nostra lingua che fa presa su spettatori numericamente imponenti, che in diverso modo non saprebbero mai nulla di noi. Noli dobbiamo tenere in nessun conto questi elementi di propaganda culturale, questo riaccostarsi della nostra lingua in Paesi stranieri? Ritorniamo dunque al marasma creatosi nel nostro teatro di prosa: esso è enorme perchè non si è fatto nulla per arginarlo mentre la marea saliva a poco a poco. Ora siamo giunti al massimo livello. In un primo tempo i capocomici hanno cercato di trarre utile, credendo di salvarsi, dal teatro straniero; quel repertorio era già sfruttato e, comunque, è già stato sfruttato. Le commedie nuove coprono appena l’uno per dieci del fabbisogno delle Compagnie; è necessario che gli autori italiani diano lavori nuovi, poiché correre dietro al passato e rifugiarsi nella tradizione è un nonsenso. Rappresentando gli autori nuovi vi potranno anche essere, anzi vi saranno certamente, anche degli insuccessi, ma se sono insuccessi intelligenti ci sarà battaglia, e se ci sarà battaglia funzionerà automaticamente il filtro della selezione e formeremo degli autori nuovi, e ricostruiremo il nostro teatro. Io credo che attraverso dei fischi e dei fiaschi il Teatro di prosa italiana tro verà nuove sorgenti di vita. E giacché siamo in tema di repertorio e soprattutto di commedie nuove, soffermiamoci sulla così detta « piaga dei registi » che secondo me va affrontata con animo sereno: non ci si può mettere ai poli opposti, degli interventi decisivi e dittatorii o delle inutilità o addirittura del danno della regìa. I registi però devono guardare al problema con occhi panoramici della tutela di tutti gli interessi, non con quelli del solo loro interesse; devono veramente colla borare con capocomici e attori, non devono dello spettacolo fare in partenza un prodotto antieconomico, perchè solo allo Stato — e non so nemmeno fino a quale punto — si potrebbe chiedere di sopprimere ogni problema amministrativo per l’affermazione soltanto di quegli estetici. Per un complesso non indifferente di ragioni siamo dunque ad una svolta pericolosa del teatro di prosa; al pericolo di questa svolta contribuisce — certo non volendo — anche il teatro lirico con le sue enormi richieste: un miliardo e trecentomilioni di lire hanno domandato gli Enti lirici per le loro stagioni, ed anche essi devono comprendere le gravissime difficoltà del Teatro di prosa. Non è possibile far vivere da gran signore l’uno, da poverissimo l’altro: la lirica e la prosa si devono vicendevolmente aiutare, e poiché è la prosa che stende la mano, la divisione deve essere proporzionata. E che sia soprattutto bene amministrato. Fin dal 1943, io proponevo di abolire le sovvenzioni; e il capo del servizio del teatro deve ricordare le mie proposte avanzate nelle riunioni preparatorie di quest’anno. Invece di dare delle sovvenzioni, proponevo dei premi; premi che diano la possibilità di selezionare anche dal punto di vista qualitativo i capo comici. Quando uno di essi sa che a fine stagione, se ha ben operato, verrà premiato, è logico che avrà tutto l’interesse di farlo e non soltanto per il bene economico che glie ne verrà, ma per quanto guadagnerà in considerazione morale, anche più utile agli effetti artistici. Per dare un quadro preciso, posso ricordare come nel 1943 ogni Compagnia aveva una sovvenzione dalle duecento alle trecentomila lire, pari oggi, a più di quei cinque o sei milioni che pure basterebbero a dar vita artistica ed economica ad una Compagnia primaria. , Infine la nuova legge prevede la pubblicazione dei bilanci preventivi e consun tivi: sapremo finalmente, ed esattamente come sojio stati spesi i denari dello Stato, e ci si renderà conto di quanto sono costati i diversi elementi che compongono lo spettacolo. Concludo ricordando con fraterno cuore un povero più povero di noi : Z’avanspettacolo. Sono migliaia di artisti di ogni genere a far parte di questa categoria : il 15 % lavora: l’85 % passeggia nelle due gallerie di Roma e Milano. E’ necessario toglierli dalla strada, e questo possono farlo — perchè è loro dovere — i noleggiatori di films e gli esercenti dei cinema. La storiella dell’avanspettacolo scurrile, ecc., è la solita mosca bianca presa a giustificazione di comodità; in genere l’avanspet tacolo è decoroso e dignitoso, ed eravamo giunti a far scrivere dei testi ad autori rinomati. Ricordiamo che tanti dei nostri maggiori attori di rivista o anche di prosa vengono dall’avanspettacolo. Domandiamo quindi al Tesoro di non ignorare la voce « avanspettacolo » nelle sue decisioni. Le categorie del Teatro e della musica di fronte alla realtà di un intervento governativo che vediamo oggi esplicarsi attraverso l’interessamento continuo ed energico del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha dimostrato di affrontare i nostri diffìcili problemi con giovanile ed intelligente vigore, devono sentire e sentiranno maggiormente il loro senso di responsabilità, dovranno dare e daranno prova di comprensione e di solidarietà verso gli altrui interessi in un’unica superiore visione : salvare il Teatro italiano. Remigio Paone nell’oscurità di Knorre; La Mi nistressa del serbo Nausic (3). Fra le produzioni in altri teatri, il pubblico sovietico ricorda con perdurante ammirazione II valo Y U R I Z A V A D S K IJ , R E G IS T A U M A N O roso Mstislav di Purt e, in col laborazione con E. Brill, La per dita dello squadrone di Kornei■ ' Dall’esperienza di Stanislavskij, maturata nei suoi ultimi ter mini in quel «naturalismo psicologico » onde l’espressione drammatica chuck, inscenati durante la guer vien riproposta attraverso la revisione della personalità dell’attore ra al Teatro Centrale dell’Arma da attuarsi in un processo di adeguamento spirituale non privo di ta Rossa. Fuori di Mosca diresse pericoli in quanto — come è stato più e più volte rilevato ■ — suscetti recentemente II lupo di Leonov al » di Leningrado. bile di sacrificare i dettati spontanei e talvolta geniali d’una libera « Lensoviet Nel 1942 gli fu conferito il ti creazione del personaggio alla preoccupazione di orchestrarlo nello spettacolo in una superiore consapevolezza, si stacca — verso il 1913 ■ — tolo di « artista del popolo delle l’opposizione di Eugenio Bogrationovic Vachtangov cercando di am R.S.F.S.R. per segnalati servizi morbidire nel calore di una umanità più sofferta e più tollerante svolti per la valorizzazione del {forse un poco ingenuamente entusiasta nella sofferenza e nella tol teatro sovietico ». Nel 1944 fu in dell’ordine di Lenin, una leranza) la fredda volontà del maestro di penetrare e di organizzare. signito delle più alte distinzioni russe. All’uno e all’altro — al rigoroso scientifismo di Stanislavskij e, Infine, nel 1946, a titolo di rico soprattutto, alla appassionata formulazione di Vachtangov secondo ufficiale dei suoi sin cui il teatro che finora non ha agito che come spettacolo dovrebbe noscimento meriti nel campo teatrale servire all’uomo di aiuto nella soluzione dei grandi problemi della golari educativo e in particolare per vita (1), Yuri Zavadskij va debitore di quella sua particolare tecnica ed la produzione dell’Otello, di In di regista, equilibrata fra gli estremi teoretici del primo e le cor vasione e di Incontro nell’oscu rezioni pratiche del secondo, da cui, oggi, il suo nome è posto fra i rità, gli fu solennemente attri più chiari del teatro russo. buito il premio Stalin di primo Zavadskij è nato il 13 luglio 1894 a Mosca dove, nel 1913, si grado. diplomò al Ginnasio Medvenikov dal quale passò poi alla Facoltà Sostanzialmente ortodosso nel di Giurisprudenza che frequentò fino al 1917 allo stesso tempo che la sua accettazione dei princìpi seguiva un corso di pittura nello studio del celebre Zhukovskij e politici del «realismo socialista » quindi di Kelin. Al 1915 risalgono i suoi primi contatti con Eugenio cui continua ad essere informata Vachtangov che, operando ancora al Teatro d’Arte, aveva da poco nel più e nel meno l’attività tea fondato il terzo « Studio » conosciuto allora dal nome della strada trale in Russia, Zavadskij ne ha ove si trovava, come lo « Studio Mansurov » e dal quale doveva poi però felicemente tentato l’inter trarre origine il « Teatro di Stato Vachtangov ». Qui, appunto, nel pretazione in una nuova chiave 1919, Zavadskij curò l’allestimento e tenne la direzione della prima che, mantenendo pressoché inal opera che gli fu affidata, un dramma del poeta Antokolskij guada terata la meccanica del linguag gnandosi l’attenzione di Vachtangov che lo volle con sè nelle rea gio ufficiale, dà alle sue espres lizzazione della Principessa Turandot di Gozzi e del Miracolo di San sioni un significato diverso, più t ’Antonio di Maeterlinck in cui, oltre che come assistente alla regìa, umano alla maniera di Vachtan Zavadskij comparve come attore. Dopo la morte del suo maestro, gov. L’umanità, si può dire, la nel 1924, diresse ancora per il terzo «Studio » Il Matrimonio di ricerca della varia umanità at Gogol quindi, avvertendo in sè i segni di una conquistata maturità traverso i testi drammatici costi da cui si sentiva legittimamente qualificato a lavorare fuori di ogni tuisce il mezzo ed il fine della tutela per la completa manifestazione del proprio ingegno, fondò sua opera di artista. Zavadskij un suo «Studio », un teatro sperimentale nei sobborghi di Mosca non è un teorico; quanto meno che visse fino al 1936. Ebbe così modo dì educare alla sua scuola non è un teorico logico e freddo tutta una generazione dì giovani attori che, fra gli altri, si onora come, per esempio, Popov. Il suo dei nomi della Maretskaya, splendida Mirandolina nella Locandiera interesse di regista non si orien di Goldoni, presentata al «Mossoviet »; di Mordinov, di cui le platee ta tanto alla invenzione di nuo moscovite ricordano la originale personificazione dell’Otello; di Abve formule e ricette quanto nel dullov, di Plyat. Contemporanea all’opera didattica, Zavadskij svolse l’applicazione di alcune fra esse, in questo tempo intensa attività creativa inscenando On ne badine della cui validità il suo istinto di pas avec l ’amour, di Alfred De Musset; Una cosa semplice, di Boris teatrante nato lo rassicura. Lavrenìev (2); The Devil’s Disciple, di G. B. Shaw e Lupi e agnelli, — Le nuove forme ■ — egli dice di Ostrovskij con cui affermò clamorosamente e definitivamente la — non sorgono per un processo validità della propria concezione scenica. Il successo di questa pre di generazione spontanea, e nep sentazione gli valse la nomina a direttore artistico del Teatro dram pure per le sollecitazioni di una matico di Stato della città di Rostov, uno dei più importanti di qualsivoglia eccitazione volonta Russia, distrutto poi nel corso della guerra. Nel ’40 fu chiamato al ristica. Sono contenute in poten «Mossoviet » di Mosca come direttore di scena e, l’anno seguente, fu za nella concezione del dramma nominato direttore dello stesso teatro dove lavora ancor oggi. Qui turgo e si rivelano, a volta a vol ebbe modo di dar piena misura del suo talento, curando una serie di ta, allorché questa viene ade allestimenti che, a buon diritto, si citano come esemplari: oltre la guandosi alle esigeiize ideali dei già detta Locandiera, ripresa in una recitazione amabilmente iro tempi. — Da questa considera nica eppure perfettamente aderente al testo e allo spirito della clas zione apparentemente facile, ma sica commedia, la Mashenka di A. Afinoghenov; Nadezhda Durova che si deve avere presente per di K. Lipskerov; Oleko Dundich di A. Rzheshevskij; Il popolo russo intendere -la posizione di Zavad di C. Simonov; Invasione di Leonov; Il gabbiano di Cecov; Incontro skij fra i registi sovietici con- temporanei, si fa urgente in lui la sovrastante preoccupazione ■ — pratica e non teorica — di ritro vare una forma specifica d’espres sione scenica singolarmente va lida per ognuno dei grandi scrit tori drammatici ai quali soprat tutto è volta la sua attenzione : Shakespeare, Lope de Vega, Mo lière, Goldoni, Ostrovskij, Cecov, Gorkij. — Ci sono nei testi di questi scrittori — egli afferma ■ — i dati di una logica interiore uni versale, fuori cioè dello spazio del tempo, Che riconosciuti dettano le norme per la loro realizzazione scenica. Norme immutabili nella loro intima struttura se pure, com’è naturale, superficialmente variabili a seconda degli anni e delle latitudini. Dalla linearità di questa for mulazione — come un invito al la modestia — discende lo sdegno di questo regista per tutto ciò che è esasperata ricerca dell’ori ginalità come fine a se stessa, innovazione gratuita, manierismo e presunzione. —■Non è necessario e non è intelligente sforzarsi di essere originali a tutti i costi — pro segue Zavadslcij. — L’ansia di dif ferenziarci dagli altri, di porre come fine della ricerca artistica l’affermazione della propria per sonalità in contrasto con quella altrui è inutile e dannosa ai fini della verità dell’espressione. L’o riginalità è un fatto spontaneo risiedente nella natura dell’arti sta, nella sua individualità che giunge a valere solo quando si ponga con l’agevolezza di una manifestazione immediata. Di qui la pratica della sua regìa, vòlta non già alla realizzazione di «pu re forme », il che troppo spesso è venuto a significare « vuoti schemi » da spacciarsi sotto la seducente etichetta di « raffinato intellettualismo » e simili spec chietti, ma attuata come tramite di intelligenza, mediazione ideale fra la sensibilità della platea e l’ultima significazione del testo drammatico. In tal senso si può riconoscere una effettiva validità sociale nel l’attività di Zavadskij regista : perchè, non essendo suo fine quel lo malamente secentista di « me ravigliare » il pubblico ma quello ben più nobile di « educarlo », guidandolo alla comprensione dello spettacolo che pianamente chiarisce in termini di universale intelligibilità, la sua opera acqui sta genuina utilità « sociale » di elevazione popolare. Questo non significa che Za- vadskij voglia fare del teatro uno strumento di facile propaganda, avvilendolo inutilmente. Ciò che egli vuole — che volevano Stanislavskij e più ancora Vachtangov — è di rilevare la sostanza umana di ideali eterni (nel caso specifico, questi sono detti «.so cialisti » ma, altrettanto bene lì potremmo chiamare « cristiani » o meglio ancora « umani » sem plicemente), di aspirazioni in fer- A. AFINOGHENOV, unodegli autori russi citati in questo articolo, è morto nel 1941, durante un attacco aereo su Mosca. Era il più geniale dei drammaturghi sovietici eil suodrammaLapaura sullacrisi dell’intellettualenellaRivoluzioneresterà nellastoriadel teatrorusso. Lacaricaturaqui pub blicatarisaleal 1932,all’epocaappuntodeLapaura mento, di esigenze sempre rinnovantesi, attraverso la loro proie zione scenica. Ed è questa sostan za, sono queste aspirazioni e que ste esigenze, maturate e sofferte nella coscienza del regista, a sug gerire di volta in volta le vere forme della loro espressione. _____ C*igi Cane (1) Ettore Lo Gatto, Il Teatro Russo (Garzanti, 1944). (2) Boris Lavreniev ha recentemen te vinto un premio Stalin con il dramma di guerra Agli uomini del mare di cui ci occuperemo diffusa mente in un prossimo fascicolo. (3) V. la Ribalta Sovietica pubbli j cata su «Il Dramma » n. 45 del 15 set tembre scorso. La notte del 5 novembre, è morto a To rino, Umberto Mozzato. Aveva 68 anni ^ Ci conoscevamo dall’altro dopo guerra, e lo ricordiamo oggi — do lorosamente — come in tutti questi anni lo abbiamo rivisto con gli oc chi della mente: nel cortile dell’«Aquila Film », nella via Tiziana di questa nostra città, al tempo del «muto », seduto nel cortile, in attesa di «girare » insieme una scena. Ubaldo Arata, divenuto poi celebre operatore, preparava la cassetta a manovella, ed il regista Visalli ci scongiurava tutti di far presto, altrimenti avremmo cono sciuto le ire costernate del pro prietario dello « stabilimento », l ’ing. Pugliese, per il quale un film che durasse più di tre o quattro giorni voleva significare il falli mento e la sua personale rovina. Mozzato spiegava a noi principian ti prima di tutto le dottrine di Carlo Marx, date le sue idee ri voluzionarie, poi la «Lega » degli artisti drammatici, della quale era fondatore, con Gismano, Pradò e Cantinelli; infine infondeva nel no stro animo l ’amore al Teatro, la venerazione per Ermete Zacconi, nel cui nome egli compendiava tutti i maestri della scena di prosa dell’ultimo scorcio di secolo. Zac coni era il suo Dio, e lo imitava — certo inconsapevole — alla ri balta, e lo rifaceva nella vita, pur nella mitezza quasi lieve del suo temperamento. Dalla sua voce ap prendemmo, allora, i nomi di Go betti e Gramsci, e tutta la sua vita fu imbastita di «politici » che la sciava sulla soglia del proprio ca merino per ricordare, entro di es so, i «teatranti ». Mozzato ha re citato sempre ed è stato un ottimo e modesto attore: Zacconi lo ebbe allievo compagno ed amico per molto tempo; Tempesti e Tumiati lo condussero e ricondussero in ogni città e paese, ed infine, al l’estero. Ebbe una Compagnia pro pria per recitare un suo Dramma dì Cristo, che riprese in varie edi zioni, incominciando da quella, spettacolare, allo Stadio di Torino. Partecipò alla Santa Primavera di Benelli; recitò con fervore, con la passione dei veri credenti del Tea tro e faceva parte attualmente del la Compagnia di prosa della Radio di Torino. La storia del cinema lo ricorda come il protagonista ma schile di Cabiria. Ci siamo rivisti poche settimane fa: ci parve molto magro, aveva folti e candidi i capelli, ma gli occhi brillavano, come sempre, nel suo volto. «Si deve fare qualche cosa per il teatro... », disse ad alta voce, e le parole si spensero nel rumore della strada, allontanan dosi. Era per sempre. Ora abbiamo il rammarico di non averlo trat tenuto di più, molto di più. Addio, Mozzato. Rid. 31 N verità la mia giovanile ambizione fu di essere poeta drammatico. In età di otto anni recitavo lunghe e gravi tirate di Victor Hugo: mio padre, a quei tempi, si preparava alle grandi interpretazioni romantiche ed io lo aiutavo rispondendo alle battute e lo seguivo per quella strada. Poi, dopo una conversazione con Emile Vefhaeren intorno alla tecnica della pro sodìa che mi costò diciotto mesi di fatiche poetiche e produsse l’atto in versi di Le chemin des conquêtes scopersi che il me stiere di poeta è un mestiere da minchioni. Un métier de dupe. L’arte è lunga e breve la vita. Pensai che non era il caso di in sistere in un genere che altri avrebbero potuto far meglio di me o, comunque, almeno bene come me. E risolsi ohe la prova mi doveva bastare. Fu così che scris si un saggio importante, Trente ans de philosophie. Poi lo bruciai : « un feu magni fique! ». Ma la parte migliore di esso è an cora viva in me, e si agita e preme: Je ferai mieux. Ho dato alle fiamme, credo, più di cinquantamila versi nella mia vita. Versi come questi: « L’Italie est venue avec tous ses volcans, - De sa lave elle veut calciner tous les camps... », eccetera. Anche un romanzo: cinque volumi intorno ad una complessa vicenda ambientata nella Spagna dell’Inquisizione. Si chiama va Doña Pradilla. Con l ’Italia trovai la mia vena di scrittore di teatro, più tardi. (Disegno di Wild) . Ah! Les Italiens! C’est à Rapallo que j ’ai: écrit «Chaud et froid » qui est peut-être celle des mes pièces quii je préfère. Ma, per .tutta questa guerra, non ho più saputo scrivere una sola battuta. Come in queiraltra, mi sono imposto una missione: empêcher la flaminganìsation de la Belgique. Ho diretto il «Théâtre des Galeries », con Fonson, e insieme abbiamo conservato il repertorio francese, nonostante i tedeschi. Non A dirgli che è belga, Crcinme- è stato sempre facile. Mi è tornata utile la vecchia esperienza che mi ero lynck scatta: — Flamand, moi? fatto nel ’33 dirigendo il «Fontaine » dove soprattutto mi resi conto che l’arte Mais j’ai vu le jour, io sono nato nello stile e non, come vorrebbe qualcuno adesso, nella stilizzazione: il a Parigi, dans le XVIII arrondis risiede sement, il 19 novembre 1888. — pubblico d’allora m’insegnò, e quello di oggi mi conferma, che la validità Di madre savoiarda e di padre bor drammatica e comica non s’arresta alla forma ma pesca profondamente nella gognone: il Belgio non c’entra con sostanza. Le opere di teatro muovono, si svolgono e si risolvono nella interiorità Cromnielynck. Il teatro è la sua dei personaggi creati. Gli incidenti che occorrono a questi personaggi non mi patria: uno zio fu attore e recitò in Europa e in Asia; suo padre fu interessano, allo stesso modo che non mi interessano gli eroi di eccezione: la lodato per una interpretazione di scena vuole creature che siano umane nel cervello, nel cuore e nell’anima. E «La Cloître» di Verhaeren. Lui, pièce deve essere insieme scritta e parlata. Lo spettatore non è complice Cromnielynck, cominciò nel 1904chi la una tragedia di cinque atti in ver dell’autore: egli deve cogliere la bellezza dell’opera cui assiste come un étranger si cui seguì una «Nadia Dorsky», qui regarderait par le trou de la serrure. E’ per questo che, quant à moi, drame d’amour, in versi anche quel indipendentemente dalle volubili mode, ho sempre fatto come meglio ho cre lo. Poi altri cinque atti: l’«Arle quin», e ancora tre atti: «Mon-r duto dans un art dont je prétends connaître les lois et où je n’attends de sieur de Virebluneau ». In versi fu leçons de personne. L’opinion d’autrui ne peut m’emouvoir ni me touche nella sua stesura iniziale l’opera que venant de mes pairs, c’est-a-dire de ceux que j ’admire. Perciò, in questo che lo rivelò ai parigini nel 1911, naufragio di tetro dopoguerra, ho voluto scrivere un’isoletta umoresca per il «Le sculpteur de masques» (1). Infine, dono «Nous n’Tron plus au «Théâtre Hebertot » : Le Cimetière des Amours. Ed ho in mente altre cose: bois» e «Le marchand de re L’Auge qui pleure ohe, però, non ha ancora finito di piangere; Le Coeur vo grets», il trionfo di «Le cocu lant pensato per Pitoëff e forse morto con lui. Scrivo anche per il cinema, magnifique» (il 19dicembre.1920). Alti e bassi di Crommelynck, ma ora. Mia debbo rilevare ¡’influenza nefasta ch’esso ha sul teatro: dovrebbero segni di un’attività costante e fi ignorarsi l ’un l ’altro e seguire, differenziandole sempre più, le proprie strade. duciosa: «Tripes d’or» (1925); Oggi, però, regna dovunque confusione. Si amano le sovrapposizioni: ma si «Carina ou la jeune fille folle de sonâme» (1929) ; «Unefemme qui dovrebbe ristabilire m?i peu d’ordre, de goût et de mesure. In più, come non a le coeur trop petit» (1934); bastasse, on abuse du théâtre étranger : il teatro francese può e deve bastare «Chaud et ,froid » (1934) (2). Fernand t rommelynck Ora, a chi gli domanda del passato a^se stesso. C’est ce que je dis et répète. e del futuro, ricordi e progetti, (1) Lo scultore di maschere è stato pubblicato nel n. 91 di «Il Dramma », vecchia serie. Fernand Growimelynck dice: (2) Vedi «Il Dramma», n. 25, nuova serie, 15 novembre 1945. FILIPPO SCELZO ROMEO E GIANNETTA DI ANOUILH AL TEATRO NU( CON SARAH FERRATI, OLGAVILLI, FILIPPO SCELZO, LEOI • * R T P f * T B Ya V X (Vedi testo di «Questa GAscKs c O V i i e ld cad c / T o d D I SE GNI DAL VERO, E SE GUI T I D URA N TE LA RA P P RÈ SÉ NT A Z I ON E DA F U LV IO 1 La scena della seconda parte della commedia di Mario Ronco rappresentata dalla Compagnia diretta da Ruggero Ruggeii, al Teatro Nuovo di Milano. Attori: Lia Zoppelli ; Colli; Feliciani. Regista: Brissoni. LEGGERETE LA COMMEDIA NEL PROSSIMO FASCICOLO FRANZ THEODOR CSOKOR Il figliol prodigo è, con «Calipso», - lacommediacheleggeretenel prossimo fascicoloil più recente successo di Csokor. Messa in scena al Burgtheater di Vienna, Il figliol prodigo è stata recitata da Georg Filzer; Elisabeth Kaltina; Franz Meibeiich; Heinz Moag; Maria Eis; Èva Lissa; Helmut Kraus. {Foto VolkeU eseguite per noi) O PUBBLICO nei teatri regolari, »melica si recitano negre che raggiunhaia e migliaia eli ¡zioni, come Amia Philip Yardari, i •i di negri di Harlein. ;osi. Ecco, in unoeli Dee, la cui recita ta non sembra con fitto i suoi spettatori I l Vecchio —• No, non sa ciò che guarda; i suoi occhi sono immobili. Ella non può vederci; siamo nell’ombra dei grandi alberi. Ma non av vicinatevi di più. Le due sorelle della morta sono pure nella stanza. Ricamano lentamente, e il piccolo s’è addormentato. L’orologio nell’angolo segna le nove... Non sospettano di nulla e non parlano. I l Forestiero —• Se si potesse attirare l ’at < Q B f e L # R E tenzione del padre e fargli un segno. Si è voltato da questa parte. Volete che bussi ad una delle finestre? Bisogna pure che uno di loro, per pri mo, lo sappia... I l Vecchio — Non so chi scegliere... Occorre D A L L ’A L T R A P A R T E prendere molte precauzioni... Il padre è vecchio UN A TTO D I MAURICE M AETERLINCK e malaticcio... La madre pure, e le sorelle sono VERSIONE ITALIANA DI MICAELA DE PASTROVICH troppo giovani... E tutti la amavano come rara mente si ama... non avevo mai veduto ima casa più felice... No, no, non avvicinatevi alla fine stra; sarebbe peggio... Meglio annunciarlo il più LE P E R S O N E semplicemente possibile, come se si trattasse di Nella casa: cosa ordinaria; e non bisogna sembrare troppo Nel giardino: tristi, altrimenti il loro dolore vorrebbe sorpas IL P A D R E ) IL VECCHIO L A M A D R E [ tutti perso- sare il nostro e non saprebbero più che fare... IL FORESTIERO LE DUE FIGLIE l "aggi muti Andiamo dall’altra parte del giardino. Batte MARTA 1nipoti del remo alla porta, ed entreremo come se nulla IL BAMBINO I MARIA \ vecchio fosse. Entrerò per primo: non saranno sorpresi Un vecchio giardino. In fondo una casa, di di vedermi; vengo qualche volta, la sera, a cui tre finestre del piano terra sono illuminate. portar loro dei fiori o delle frutta e passare Si vede abbastanza distintamente la famiglia qualche ora in compagnia. che veglia sotto la lampada. Il padre è seduto I l Forestiero — Perchè devo accompagnarvi? accanto al fuoco. La madre, un gomito appog Andateci da solo; io aspetterò che mi si chiami... giato sulla tavola, guarda nel vuoto. Due giovi Non mi hanno mai visto... Non sono che un pas nette vestite di bianco, ricamano, sognano, sor sante, un forestiero... ridono alla tranquillità della stanza. Un bam I l Vecchio — E’ meglio ch’io non vada solo. bino dorme, la testa appoggiata alla spalla si La disgrazia che si porta in compagnia è meno nistra della madre. Si direbbe che quando uno cruda e meno pesante... Ci pensavo venendo d’essi si alza, cammina o fa un gesto, i suoi mo qui... Se entro solo, dovrò parlare fin dal primo vimenti siano gravi, lenti, rari e come spiritua momento: sapranno tutto in poche parole e lizzati dalla distanza, dalla luce e dalla vela poi non avrò più nulla da dire; ed ho paura del tura indecisa delle finestre. silenzio che segue le ultime parole che annun (.Il vecchio e il forestiero entrano con precau ciano una disgrazia... E’ allora che il cuore si spezza... Se entriamo insieme, invece, dirò loro, zione nel giardino). I l Vecchio — Eccoci nella parte del giardino ad esempio, e dopo lunghi giri di frase: l ’hanno che si stende dietro la casa. Loro non ci vengo trovata c'osi... ondeggiava sul fiume e le sue no mai. Le porte danno sull’altra facciata: sono mani erano giunte. I l Forestiero ,— Le sue mani non erano chiuse. Anche le persiane sono chiuse. Ma da giunte e le sue braccia erano distese lungo il questa parte non ci sono persiane e ho visto luce... Sì, vegliano ancora sotto la lampada. Per corpo. I l Vecchio — Vedete, si parla malgrado se fortuna non ci hanno uditi; la madre e le bimbe sarebbero uscite, forse, e allora, che cosa avrem stessi... E la disgrazia si perde nei dettagli... mo dovuto fare? senza di che, se entro solo, alle prime parole, conoscendoli come li conosco io, sarebbe spa I l Forestiero — Che faremo? I l Vecchio — Prima, vorrei vedere se ci sono ventoso, e Dio sa ciò che avverrebbe. Ma, se par tutti. Sì. Vedo il padre seduto accanto al fuoco. liamo a turno, ci ascolteranno e non penseran Aspetta, le mani sulle ginocchia... la madre è no alla cattiva notizia... Non dimenticate che la madre sarà presente e che la sua vita è le seduta vicino al tavolo. gata a un filo... E’ bene che la prima ondata I l Forestiero — Ci guarda... si infranga su alcune parole inutili... Bisogna parlare un poco, vicino agli sventurati, in modo che si sentano compresi. I più indifferenti reg gono senza saperlo, una parte del dolore... Si divide così, senza rumore e senza sforzo, come l’aria e la luce. I l Forestiero — I vostri indumenti sono ba gnati e gocciolano sulle pietre. I l Vecchio — Soltanto l ’orlo del cappotto è bagnato. Sembra che abbiate freddo. Avete il petto coperto di terra... Non l’avevo osservato lungo la strada, per via dell’oscurità... I l Forestiero — Sono entrato nell’acaua fino alla cintola. I l Vecchio — L’avevate trovata da molto, quando sono arrivato io? I l Forestiero — Soltanto da pochi minuti. Andavo verso il villaggio; era tardi e sull’argine si faceva scuro. Camminavo, gli occhi'fissi sul fiume più chiaro della strada, quando ad un tratto vedo una cosa strana a due passi da una macchia di canne di palude/ Mi avvicino- e scorgo la sua capigliatura che, rigonfia quasi a cerchio attorno al capo, roteava secondo la corrente... (.Nella stanza le due fanciulle si vol gono verso la finestra). I l Vecchio — Avete osservato che la stessa capigliatura trema sulle spalle delle due sorelle? I l Forestiero — Hanno volto la testa dalla nostra parte... Hanno soltanto voltato il capo. Ho parlato troppo forte, forse. (Le due fanciul le riprendono la posizione primitiva) Ma non guardano già più... Sono entrato nell’acqua fino allá cintola ed ho potuto prenderla per la mano e condurla senza sforzo alla riva... Era bella quanto le sue sorelle... I l Vecchio — Forse era più bella... Non so perchè ho perduto tutto il mio coraggio... I l Forestiero — Di che coraggio parlate? Ab biamo fatto tutto ciò che si poteva... era morta da più di un’ora... I l Vecchio — Eppure questa mattina era an cor viva!... L’avevo incontrata uscendo dalla chiesa... M’aveva detto che -partiva; andava da sua nonna dall’altra parte del fiume dove l ’ave te trovata... Non sapeva quando l’avrei rivista... Deve essere stata sul punto di chiedermi qualche cosa; poi non ha osato e mi ha lasciato brusca mente. Ma ora ci penso... E non avevo visto nulla!... Ella h-a sorriso come sorridono quelli che vogliono tacere o che temono di non essere compresi... Sembrava non sperare che con pena... i suoi occhi non erano chiari e non mi guar darono quasi... I l Forestiero — I contadini m’hanno detto di averla veduta aggirarsi lungo la riva fino a sera... Credevano -cercasse dei fiori... Può darsi che la sua morte... I l Vecchio — Non si può dire... Ma che cosa sappiamo? Forse era di quelle che nulla vogliono dire, e ognuno porta in sè -più di una ragione per non vivere oltre... Non si vede dentro l ’anima come in quella stanza. Si vive per mesi accanto a qualcuno che non è più di questo mondo e la cui anima non può più piegarsi; gli si rispon de senza pensarci: e poi vedete ciò che succede... Parlano sorridendo dei fiorì che si sono appas siti e piangono nell’oscurità... Nemmeno un an gelo potrebbe vedere ciò che si dovrebbe vedere; e l ’uomo non comprende che dopo... Ieri sera, ella era là, sotto la lampada come le sue sorelle, e voi, non le vedreste ora nella loro vera luce se tutto ciò non fosse avvenuto... Mi pare di vederle per la prima volta... Occorre aggiungere qualche cosa alla vita di tutti i giorni per arri vare a intenderla... Sono lì accanto a voi; i vostri occhi non le lasciano e non le vedrete veramente che nell’istante in cui partiranno per sempre... Eppure, la strana piccola anima che doveva avere; la povera e innocente e infi nita piccola anima che ha avuto la mia bambina se ha fatto ciò che sembra aver fatto... I l Forestiero — In questo momento, sorri dono in silenzio, nella stanza... I l Vecchio — Sono tranquilli... Non l ’atten devano stasera... I l Forestiero — Sorridono senza muoversi... Ma ecco; ora il padre si pone un dito sulle lab bra... I l Vecchio — Indica il bimbo addormentato sul cuore della madre... I l Forestiero — Ella non osa alzare gli oc chi, per paura di disturbare il suo sonno... I l Vecchio — Le bimbe non lavorano più... C’è un grande silenzio. I l Forestiero — Hanno lasciato cadere la rete di seta bianca... I l Vecchio — Guardano tutti il bambino... I l Forestiero — Non sanno che altri li os serva... I l Vecchio — Anche noi siamo guardati... I l Forestiero -— Hanno alzato gli occhi... I l Vecchio — Ma non possono vedere nulla... I l Forestiero — Sembrano felici, eppure, non si capisce che cosa ci sia... I l Vecchio — Si credono al riparo... Hanno chiuso le porte, e le finestre hanno le inferria te... Hanno fatto irrobustire i muri della vec chia casa; hanno messo i chiavistelli alle tre porte di quercia... Hanno previsto tutto ciò che si può prevedere... I l Forestiero — Bisognerà pur decidersi a dirlo... Qualcuno potrebbe annunciarlo brusca mente... C’era una folla di contadini nella pra teria dove si trova la morta... Se qualcuno di loro bussasse alla porta... I l Vecchio •— Marta e Maria sono accanto alla piccola morta. I contadini stavano prepa rando una barella con dei rami, ed ho detto alla maggiore di venire ad avvertirci in fretta, non appena si fossero messi in marcia. Atten diamo che venga; ci accompagnerà... Non avrem mo dovuto guardarli così... Pensavo che non avremmo dovuto far altro che bussare alla por ta, entrare semplicemente e cercare alcune frasi da dire... Ma li ho visti troppo a lungo vivere così, sotto la loro lampada. (.Entra Maria). Maria — Nonno, arrivano. I l Vecchio — Sei tu? Dove sono gli altri? Maria — Ai piedi delle ultime colline. I l Vecchio — Verranno in silenzio? Maria —• Ho detto loro di pregare a bassa voce. Marta li accompagna... I l Vecchio — Sono molti? , Maria — Tutto il villaggio è attorno ai porta tori. Avevano delle fiaccole. Ho detto che le spegnessero... I l Vecchio — Da che parte vengono? Maria •— Attraverso i sentieri. Camminano piano... I l Vecchio — E’ ora... Maria — Glielo avete detto, nonno? I l Vecchio — Vedi bene che non abbiamo detto nulla... Attendono ancora sotto la lampa da... Guarda, bimba mia: vedrai qualche cosa della vita... Maria — Oh, come sembrano tranquilli! Si direbbe che li vedo in sogno... I l Forestiero — Fate attenzione, ho visto le due sorelle trasalire... I l Vecchio — Si alzano. I l Forestiero — Credo che vengano verso le finestre... (Una delle sorelle di cui parlano, si avvicina in questo momento alla prima finestra, l’altra, alla terza; appoggiando le mani sui ve tri, guardano lungamente nell’oscurità). I l Vecchio — Nessuno viene alla finestra di mezzo... Maria — Guardano... Ascoltano... I l Vecchio — La maggiore sorride a qualche cosa che non vede, o le sembra di vedere... I l Forestiero — E la seconda ha gli occhi pieni di spavento... I l Vecchio — Fate attenzione; ¡non si può mai sapere fino a che punto l’anima si av volge agli uomini. (Un lungo silenzio. Maria si rifugia contro il petto del vecchio e lo bacia). Maria — Nonno! I l Vecchio — Non piangere, bambina mia... verrà anche il nostro turno... (Un silenzio). I l Forestiero — Guardano a lungo... I l Vecchio — Potrebbero guardare centomila anni, che non vedrebbero nulla, le povere so relle... la notte è troppo buia... Guardano verso di noi e non sanno che il dolore giunge dal l ’altra parte... I l Forestiero ' — Fortunatamente guardano dalla nostra parte; ma non capisco che cosa si avvicina dalla parte della prateria... Maria — Credo sia la folla... sono così lon tani che si distinguono appena... I l Forestiero — Seguono i giri del sentiero... eccoli che ricompaiono accanto a quella costa illuminata dalla lima... Maria — Oh, quanti sembrano... arrivano di già dai dintorni della città, quando sono ve nuta... Fanno un lungo giro... I l Vecchio — Verranno malgrado tutto, e li vedo... Sono in marcia attraverso la prateria... sembrano così piccoli che si distinguono appena fra l ’erba... si direbbe che siano fanciulli che giuocano al chiaro di luna; se essi li vedessero, non comprenderebbero... hanno un bel voltare la schiena, si avvicinano ad ogni passo e questa disgrazia procede da più di due ore. Non pos sono impedirle di avanzare, e quelli che la peri tano non possono più arrestarla... E’ diventata la loro padrona e devono servirla... Ha il suo scopo e il suo cammino... E’ infaticabile e non ha che un’idea... Debbono prestarle le loro forze. Sono tristi, ma vengono... Hanno pietà, ma deb bono avanzare... Maria — La maggiore non sorride più, nonno. I l Forestiero — Si ritirano... Maria — Baciano la madre... I l Forestiero — La maggiore ha accarez zato i riccioli del bimbo che non si sveglia... Maria — Guardate: anche il padre si pro tende per farsi baciare... I l Forestiero — Ed ora, silenzio... Maria — Ritornano accanto alla madre... I l Forestiero — E il padre segue con gli oc chi le sfere dell’orologio... Maria — Si direbbe che preghino senza sa perlo... I l Forestiero — Si direbbe che ascoltino la loro anima... (Una pausa). Maria — Nonno, non diteglielo questa sera... I l Vecchio — Manca il coraggio anche a te... Lo sapevo bene che non avremmo dovuto guar dare. Ho quasi ottantatrè anni, ed è la prima volta che guardare la vita mi colpisce. Non rie sco a capire perchè tutto ciò che fanno mi ap pare così strano e grave... Attendono la notte, semplicemente, sotto la loro lampada, come noi ¡’avremmo attesa sotto la nostra; eppure mi pare di averli veduti dall’alto di un altro mondo, soltanto perchè io conosco una piccola verità che essi ignorano ancora... E’ questo, forse, fi gli miei? Ditemi dunque, perchè anche voi siete così pallidi? Non sapevo che ci fosse qualche cosa di tanto triste nella vita, che facesse tanta paura a chi la guarda... E se nulla fosse acca duto, avrei paura di vederli così tranquilli. Hanno troppa fiducia nel mondo... E sono lì, separati dal nemico, soltanto da quelle povere finestre... Credono che nulla possa accadere perchè hanno chiuso la porta, ed ignorano che succede sempre qualche cosa nelle anime e che il mondo non si arresta sulla soglia delle case... Si sentono così sicuri della loro piccola vita, e non sospettano che tanti altri ne sanno più di loro; e che io, povero vecchio, stringo, qui a due passi dal loro cuore, tutta la loro piccola feli cità in queste mie vecchie mani che non oso dischiudere... Maria — Nonno, abbiate pietà... I l Vecchio —■Noi abbiamo pietà, piccola mia, ma non c’è pietà per noi... Maria —■ Diteglielo domani, nonno, ditelo quando farà chiaro... con la luce, certo si sen tiranno meno tristi... I l Vecchio — Forse hai ragione... Sarebbe meglio lasciare tutto ciò alla notte. La luce è dolce al dolore... Ma che ci direbbero domani? Il dolore rende gelosi; e coloro che il dolore ha colpiti vogliono conoscerlo prima degli estranei. Essi non amano che lo si lasci in mani scono sciute... Avremmo l ’aria di averli derubati di qualche cosa... I l Forestiero •—■ Non c’è più tempo, del re sto; odo già il mormorio delle preghiere... Maria — Eccoli... Passano dietro l’aia, (En tra Marta). Marta — Eccomi. Li ho condotti fin qui. Ho detto loro di attendere sulla strada. (Si sen tono degli strilli di bambini) Ah! i bambini gri dano ancora... avevo detto che non venissero... ma anch’essi vogliono vedere, e le loro madri non obbediscono... Vado a dirglielo... No; si cal mano. E’ tutto pronto? Ho portato il piccolo anello che aveva al dito... L’ho distesa io stessa sulla barella. Sembra che dorma... Ho dovuto faticare molto: i suoi capelli erano ribelli; non riuscivo a comporli dolcemente. Ho fatto co gliere delle violette; sono triste, ma non c’erano altri fiori. Che fate voi qui? Perchè non siete vicini a loro?... (Le due sorelle guardano verso le finestre) Non piangono? Non glielo avete detto? I l Vecchio — Marta, Marta, c’è troppa vita nella tua anima, tu non puoi comprendere. Marta — Perchè non dovrei comprendere?... (Dopo una pausa e in tono molto grave, di rim provero) Non dovevate fare questo nonno... I l Vecchio — Marta, tu non sai... Marta — Andrò a dirlo io, subito. I l Vecchio — Resta qui, bambina mia, e guarda un istante. Marta — Oh, come sono infelici... Non pos sono più attendere... I l Vecchio — Perchè? Marta — Non so... ma non è più possibile! I l Vecchio —• Vieni qui, bambina mia... Marta •— Quanta pazienza, hanno! I l Vecchio — Vieni qui bambina mia! Marta (voltandosi) — Dove siete, nonno? Sono così infelice che non vi vedo più... Non so più che fare... I l Vecchio — Non li guardare più, fino a che non sapranno tutto. Marta — Voglio venire con voi... I l Vecchio — No, Marta, resta qui... Siedi vicino a tua sorella, su questo vecchio sedile di pietra, contro il muro della casa, e non guar dare... sei troppo giovane, non potresti dimen ticare... Tu non puoi sapere ciò che è un viso nel momento in cui la morte passa nei suoi occhi... Si udranno forse delle grida... Non vol tarti, tu... Forse non succederà nulla. Soprat tutto non voltarti, se non odi nulla. Non si può dire prima quale sarà l ’espressione del dolore. Di solito, qualche sommesso singhiozzo che sale dalle radici più profonde, ed è tutto. Io stesso non so cosa dovrò fare, quando li sentirò... Tutto ciò è già di un’altra vita. Baciami, bam bina mia, prima che me ne vada... (Esce. Il mor morio delle preghiere si è venuto man mano avvicinando. Una parte della folla invade il giar dino. Si odono passi sordi e affrettati e parole dette a bassa voce). I l Forestiero (alla folla) — Restate qui... non avvicinatevi alle finestre... Dov’è? Un Contadino — Qui. I l Forestiero — Gli altri... I portatori?... I l Contadino — Arrivano dal viale che con duce -alla porta... (Il vecchio si è allontanato. Marta e Maria sono sediate sulla panca, la schiena contro le finestre. Piccoli rumori fra la folla). I l Forestiero — Zitti. Non parlate. (Nell’in terno la più grande delle due sorelle si alza e va a tentare il chiavistello della porta). Marta — Apre? I l Forestiero — Al contrario : chiude. (Una pausa). Marta — Il nonno non è entrato? I l Forestiero — No. Lei ritorna a sedersi ac canto alla madre... gli altri non si muovono, ed il bambino dorme sempre... (Una pausa). Marta — Sorellina mia, dammi una mano... Maria —■ Marta! (Si slanciano l’una verso l’altra e si baciano). I l Forestiero — Deve aver bussato... Hanno alzato la testa tutti assieme nello stesso mo mento... si guardano... Marta — Oh! Oh! Mia povera sorella... Pian gerò anch’io! (Soffoca i singhiozzi sulla spalla della sorella). I l Forestiero — Deve bussare di nuovo... Il padre guarda l ’orologio... Si alza. Marta — Sorella mia, sorella mia, voglio en trare anch’io... Non possono restar soli... Maria — Marta, Marta!... (La trattiene). I l Forestiero — Il padre è andato alla porta... Tira il chiavistello, apre prudentemente... Marta — Oh! Non vedete il... I l Forestiero — Che cosa? Marta — Quello che portano... I l Forestiero —• Ha appena socchiuso... Non vedo che un angolo dell’aiuola e il getto d’ac qua. Non apre del tutto la porta... si fa indie tro... ha l’aria di dire: «Ah! sei tu...». Alza le braccia... Richiude la porta con cura... vostro nonno è entrato... è lì, nella stanza... (La folla si è avvicinata alle finestre. Marta e Maria dapprima si alzano a metà, poi si av vicinano anch’esse, tenendosi strettamente ab bracciate, Si vede il vecchio avanzarsi nella stanza. Le due sorelle della morta si alzano; la madre pure, dopo aver deposto con cura il bam bino nella poltrona da cui si è alzata, di modo che, dal di fuori, si scorge il piccolo con la testa leggermente piegata, proprio nel mezzo della stanza. La madre avanza verso il vecchio e gli tende la mano, ma la ritira prima ch’egli abbia il tempo di prenderla. Una delle figlie va a to gliere il mantello al visitatore, e l’altra gli avvi cina una poltrona. Ma il vecchio fa un piccolo gesto di diniego. Il padre sorride, sorpreso. Il vecchio guarda verso le finestre). I l Forestiero — Non osa ancora dirlo... Ci ha guardati. (Rumori fra la folla) Tacete! (Il vecchio, vedendo dei visi alle finestre, ha vivamente stornato lo sguardo. Finisce col pren dere la poltrona che una delle figlie gli offre di nuovo; si siede e si passa più volte la mano de stra sulla fronte). I l Forestiero ■ — Siede... (Le altre persone che si trovano nella stanza, si siedono ugualmente, mentre il padre parla con volubilità. Infine il vecchio apre la bocca e il suono della sua voce sembra attirare l’atten zione. Ma il padre l’interrompe. Il vecchio ri prende la parola e poco a poco gli altri s’immobilizzano. Tutto ad un tratto, la madre, tra sale e si alza). Marta — La madre ha già compreso! (Si volta e nasconde il viso fra le mani. Nuovi ru mori fra la folla. Si urtano. Dei bambini stril lano e piangono e si arrampicano alle finestre per vedere). I l Forestiero — Silenzio! Non l ’ha ancora detto ! (Si vede che la madre interroga il vecchio con angoscia. Egli dice ancora qualche parola; poi, bruscamente, tutti gli altri si alzano e sembrano interrogarlo. Egli, allora, fa lenta mente con la testa un cenno affermativo). I l Forestiero — L’ha detto. L’ha detto tutto ad un tratto!... (Nella folla si ripete con voce sommessa: a. L’ha detto! L’ha detto!»). Non si ode nulla... I l Vecchio (alzandosi egli pure, si volge, e mostra con U dito la porta che si trova alle sue spalle. La madre, il padre, le due fanciulle, si gettano sulla porta che il padre non riesce ad aprire. Il vecchio vuole impedire alla madre di uscire). Voci (nella folla: parole smorzate; mormorii) — Escono! Escono! Eccoli! Vengono! (Confu sione nel giardino. Tutti si precipitano dall’al tra parte della casa e scompaiono, eccetto il fo restiero che rimane accanto alle finestre. Nellasala, la porta apre infine i due battenti: tutti escono insieme. Si intravede il cielo stellato, l’aiuola, ed il getto d’acqua sotto il chiaro di luna, mentre nel mezzo della stanza abbando nala, il bambino continua a dormire tranquil lamente nella poltrona. Silenzio). I l Forestiero — Il bambino non si è sve gliato! E’ tanto piccolo, che per lui - ancora per molto tempo' - il dolore sarà dall’altra parte. (Esce; si allontana; scompare). F IN E ¥ La stampa d’oggi non è più tanto favorevole a Maurice Maeterlinck: scrittore troppo colto, in tem pi idi trionfante disdegno per la cultura; troppo nutrito di solido pensiero, in epoca di pressoché universale imperio dell’istinto. A modo suo, troppo credente, anche: nella verità, nella poesia, nell’u manità. Cose fuori moda. Ai giovani, anzi ai «,giovanvsti » moderni non piace queisto vecchio scrittore — Maeterlinck è nato a Gand il 29 agosto 1862 — che non ama lasciare nulla al caso, nella sua pro fessione d’arte, che non si dichiara soddisfatto delle approssimazioni. Che scava la profondità dell’anima sua e degli uomini a trovarvi l’eternità del mistero universale replicato nel bene e nel male, piccolo e grande, di ogni giorno. E ne rimane pensoso o sgo mento, come in quei «Reflets» da Serres Chaudes: Sous l’eau du songe qui s’élève Mon âme a peur, mon âme a peur!... o come qui, nella brevità di quest’atto — Il dolore viene dall’altra parte — dove la serena tristezza di un antico stoico giunge a sciogliersi in un’ango sciata simpatia umana ove il pianto livella ogni solco. Premio Nobel per la letteratura nel 1911, Maeter linck è oggi poco più che un tollerato: dimenticate —• dovremmo dire, ignorate — opere della validità di Le trésor des humbles, La Sagesse et la Desti née, La Mort, L’Oiseau bleu, Pelléas et Mélisande. Ed è peccato. Perché se pur è vera certa sua indul genza al gusto del tempo, tanto non può bastare a render vana l’eco del messaggio di questo scrit tore, la sua feconda predicazione di profeta laico per un’umanità più consapevole. Danza di attori (pittura di un vaso greco) L 'eterno problema della collaborazione scenica delle arti e della conseguente sopratlazione ora di questa, ora di quella, è soggetto che ritorna regolarmente nelle polemiche. E' uso antico quello di rimaneggiare i lavori, se non per fini personali, almeno allo scopo di rinverdire l'intera commedia se antica, e nell'interesse di adat tarla a tutti i collaboratori, atlinchè risulti nel modo migliore e piaccia agli spettatori moderni. Quando ¡'idolatrato mattatore — detto oggi divo — tiranneg giava a questa maniera l'autom letterario, nessuno fiatava ai suoi tempi; e ci sera fatta l'abitudine. Oggi che le opere di Sofocle, Shakespeare, Goldoni, Molière, Beaumarchais, vengono ricucinate di bel nuovo, come s'usa fare con le commedie moderne, tutti strillano, scordandosi che il Grande Attore sparito faceva di peg gio: perchè il ¡suo rifacimento era tutto al proprio ser vizio personale, e non mirava soltanto al successo collettivo della Trinità Drammaturgica. Gli studi moderni sul teatro classico dònno oggi torto ai fanatici letteratomani, che, nella loro gelosia,. ve dono i teatratori quali mostri brutali, privi di sensi tività, sensualoni grossolani da scomunicare. Gli an tichi giganti del teatro sono tutti contro la critica di letteratura drammatica; la quale isi è impossessata del giudizio sui teatri reputando la rappresentazione tutt'una 1accenda che la parola scritta dall'autore della favola. Questa critica libresca, insensibile del teatrale, ci accusò di non voler dare la dovuta importanza al testo: come se Machbeth non fosse il monumento che è, pur se teatrato fortemente (come del resto voleva l'autore, al quale capitò di veder incendiato il suo tea tro, per aver voluto grandioso il fuoco delle streghe!). I letterati critici teatrali difendono letterati, autori e teatro per questione di razza. Dovrebbero andarsene a braccetto, per lasciar passare poeti da teatro e critici da teatro, invece che poeti a teatro e critici intrusi e ------- 43-------------------------------------------------------------- C O M M E D I E chiacchieroni. Ma abbiamo detto che la parte testo nei periodi migliori si è sempre raccomandata agli altri coeiticienti del suc cesso teatrale. Gli studi del Coen sull'alle stimento medioevale hanno rivelato quanto la collaborazione sensoria portasse al tea tro religioso. Le scoperte del Feuillerat sulla tecnica scenica del gran W ill diret tore, ci hanno presentato un nuovo teatro shakespeariano. Oggi, ancora, gli studi moderni sulla rappresentazione di Molière hanno con dotto allo stesso risultato della Commedia dell'Arte. Mentre gli storici della lettera tura drammatica guardavano Molière esclu sivamente nei suoi testi, senza pensare alla messinscena come aggiunta di balli e di apparati che si dicevano ornemens, anche B. Croce in un primo tempo giudicava nel testo dei canovacci la Commedia Improv visa, ma felicemente si ricredeva all'Ac cademia Pontaniana, dopo aver compreso cosa sia il teatro. Gli storici di Molière avevano dimenticato di tener d'occhio l'im portanza del contributo che, nella realiz zazione sulla scena, era portato dalla mi mica, dalla coreografia, dalla pittura e dalla musica: mimica appresa dai Comici del l'Arte, coreografia all'italiana, scenografia rinascimentistica, musica dell'origine del melodramma nostrano. 1 Sono stati i musicologi a studiare le trac ce di questi lati, che vengono dichiarati effimeri dai letterati, ma, che, pure, sono decisivi del successo teatrale, altrettanto che la parte letteraria. Romain Rolland, H. Prunière, L. de Laurencie e André Schaeffner hanno portato un chiaro con tributo di rilievi alla realizzazione scenica molièrana; e una moderna edizione delle opere di J. B. Poquelin dell'editore Fagot, riferisce un rapido riassunto della ricerche scenotecniche moderne sull' allestimento delle commedie del grande teatrista. Se di Molière si esamina soltanto il te sto, si vede una parte sola del teatro, e si dimentica Io spettacolo « dans un siècle où la musique et les Ballets ont des charmes pour tout le monde », quando « les spec tacles, qui en sont remplis, sont beaucoup plus suivis que les autres » (Doneau de Visé, 1672). Lo Schaeffner osserva che nelle storie deli'opera molièwsca « On oublie le rôle d'organisateur de spectacles royaux, même d'amuseur que dut tenir Molière. Il n'y C O N B A L L Ma l'azione, i recitativi, e i divertissements d'ogni sorta, con i balletti compresi, eran fatti soprattutto di mimica e, non raramente ricchi di vera e propria pan tomima. La Comédie mascarade di Molière, « Il malato immaginario », e la Comédie mêlée de musique et danse, sottotitolo, questo, de « Il malato immaginario », se erano « ornate » di musica e coreografia, ciò che interessa ai musicologi, erano sostenute da un gran giuoco mimico all'italiana, asilo della pantomima nei periodi di assenza, rifugio di piazza che durava già da dieci o dodici secoli. Come la « Commedia dell'Arte », Molière mescolava tutto, nella rappresentazione. Scri veva inlatti il «Mercurio Galante » del 1673: «11 a le premier inventé la manière de mêler des Scènes, de Musique et des Ballets dans les Comédies, et il a trouvé par là un nouveau secret de plaire, qui avait été jusqu'alors inconnu, et qui a donné lieu en France à ces fameux Opéra, qui font aujourd'huy tant de bruit, et dont la magnificence des Spectacles d'empesche pas qu'on le regrette tous les jours ». Ma « il a premier inventé » soltanto a Parigi. Aveva scritto il Trissino molto tempo prima: « nelle Commedie che oggidì si rappresentano, vi inducono suoni e balli et altre cose ». E di queste testimonianze se ne possono portar cento. Ma Molière non faceva tutto questo per far teatro O faut voir aucune basse servitude à laquelle l'auteur du Misanthrope se serait soumis de mauvais gré. Farces et comédies-ballets répondaient à l'esthétique théâtrale de l'époque; doit-on se plaindre si Molière les éleva jusqu'à portée de son genie? ». L'arte mimica che Molière apprese dagli italiani, era quella che in tutti tempi ha stupito gli antichi viaggiatori in Italia; ed è quella che li fa sorridere con meraviglia quando, stando all'estero, ritroviamo tra italiani la soddisfazione di esprimere le nostre sensazioni compiutamente: cioè con la mimica illustrata dalle parole. Fu la parte visiva italiana che trovò for tuna a Parigi, perchè nuova com'era, ap pariva curiosa quanto interessante; e per chè formava un linguaggio universale mi racolosamente comprensibile. « La comédie pour sa part — scrive an cora Schaeffner — n'aura pas eu de cesse en effet quelle n'ait absorbé les divers élé ments de l'ancien Ballet de Cour, que l'in fluence italiènne venait de regénérer. Lent effort dont il faudrait chercher le débuts auprès de certains spectacles pareils à ceux que la troupe italienne des Fedéli donnait à Paris entre 1620 et 1672 et où récitatifs, airs, divertissements de toute espèce (bal lets, etc.) étaient mêlés a l'action ». Commedia dell’Arte «Arlecchino danzante» 43 musicale, bensì pei sostenersi col teatro teatrale, il quale, avanti tutto, è latto dagli attori e dalla colla borazione delle arti. Scrive Romain Rolland nella « Encyclopédie de la Musique » (t. Ili): « Ce n'est pas à l'opéra comique, comme on l'a dit quelquefois, que s'acheminât Molière. Molière évitait, justement, l'écueil de l'opéra comique, le passage trop brusque du dialogue parlé au chant. Il introduisait de préférence dans ses comédies des scènes des aucteur que n'étaient pas ceux de l'action comique, mais des personnages accessoires, soit poé tiques, soit burlesques; dans les deux cas, c'était un élément de fantaisie et d’outrance qui s'introduissait avec la musique dans la comédie. On n'altérait pas la physionomie habituelle de la comédie parlée, mais ou l'enveloppait de musique, rendant possible toutes les audaces de la fantaisie. Elle permettait au " Bourgeois gentilhomme " et au " Malade imaginaire " de se ter miner en grandes farces rabelaisiennes. Si Molière eut vécu, il aurait été améné à doter la France d'une sorte d'épopée bouffe, rappelant la comédie aristophanesque ». E che cosa sarebbe, senza le arti visive del teatro, la commedia aristofanesca? ■ Nè, con questo, si vuol qui nulla dire che diminuisca la considerazione del testo, come fondamento della rappresentazione. Si vuol soltanto mostrare che, quan to più questo fondamento ha sentito bisogno delle altre arti, tanto maggiore successo teatrale ha avuto. Ed è curioso vedere che, s\e mai un autore poteva infi schiarsene degli ornemens, questi fosse proprio Mo lière, attore-autore che sapeva crear commedie di gran divertimento già col solo testo. Tanto più nell'antico erano grandi leali isti, quanto meno essi illudevansi d'aver pensato compiutamente ai fattori della teatralità, vale a dire del successo! Ma proprio coloro che ne avrebbero maggior bisogno, son quelli che sprezzano gli elementi teatratori! La super bia è figlia dell'ignoranza. Si può essere poeti sommi sulla carta e allo stesso tempo, asini fenomenali sul palco. I grandi autori teatrali non èrano letterati, ma scrih tori da teatro: gente di teatro, non gente di lettere. La loro spregiudicatezza apparente — nel tener le pa role scritte in conto di materiale scenico da utilizzare con gli altri mezzi, senza che nessuno faccia ombra al vicino — la loro indipendenza dal fascino di ciascuna arte collaborante veniva precisamente dall'essere, quelli, uomini di palcoscenico e non acchiappanuvole. Ecco perchè, nei grandi, si trova una varietà di pro duzione ch'è proprio frutto di una libertà, la quale, certe volte, riforma fin il tipo di lavoro scenico trattato. Casi vediamo in Molière una ricerca dei mezzi tea tranti, che è suo un desiderio sperimentale vivo e felice; la vediamo nelle varie direzioni prese dalle sue commedie e farse, molte commedie balletto e spetta coli di genere diverso. Schaetiner osserva che Molière, col dire « deux pa roles des ornemens qu'on amêlés à les comédies des Fâcheux », dichiara d'aver latto « un mélange qui est nouveau pour nos théâtres, et dont on pourrait cher cher quelque autorité dans l'antiquité, et comme tout le li monde Ta trouvé agréable il peut servir d'idée à d'autres choses qui pourraient être méditées avec plus de loisir ». Egli aveva compreso che senza danza, pantomima e musica i suoi lavori avrebbero interessato di meno; per questo lottò aspramente al fine di togliere ai concorrenti il privilegio d'avere l'orchestra; perciò chiese « de faire seul des dances.» e delle pantomime, ciò che egli diceva « ballets » con « concerts de luth, théorbes, violons et toutes sortes d'instruments de musique et autres choses et défendre à tout autres d'en faire, ni en jouer... ». Molière stesso era un mimo danzante, e sappiamo che ballò nel Ballet des incom patibles. Riflettendo su queste cose, ci si chiede: cosa sarebbe del resto la commedia d'Ari stofane nel solo testo recitato, senza gli « ornamenti », per dirla alla Molière, che integravano la sua satira e animavano tutta la sua festa teatrale? E cosa sarebbe apparsa l'opera del no stro geniale Petrolini se egli non avesse intuito, per processo di strafottenza più che per erudizione, come il teatro di Mo lière andava trattato e condito? Petrolini faceva bene Molière perchè lo lavorava con gli stessi ingredienti teatrali dei quali, a suo tem po, sapeva arricchirlo l'autore. Cosa avrebbe latto il nostro Ettore, se avesse temuto la sco munica per sacrilegio, pronunciata da qualche critico? Si sarebbe affogato anche lui in una pedanteria noiosa; e, per giunta, avrebbe tradito Molière. A chi l'accusò d'aver fatto Molière senza rispetto, solo per far successo, diremo che ogni buono e sano genere di teatro dev'essere eseguito con siffatta « strafottenza » per essere rivissuto nel clima teatrale proprio. Non siamo dunque contrari alle manomissioni. H Nello spettacolo de II Matrimonio di Figaro che nei 1946 fu annunziato a firma di Beaumarchais, perchè da questo ispirato, sull'esempio parigino di una nota « regìa creativa » di Charles Dullin, l'estroso direttore Luchino Visconti si sbizzarrì a darci una variazione dell'insigne opera, come una libera iantasia Coreica, su tessuto di parole. Egli forse volle, a suo modo, creare una « commedia a ballo » di genere secentesco, pure se di gusto mo dernista. Ma la « comédie-bailet » di Molière non era stato danzata, bensì testo recitato a parte e intramezzato da balletti. Soltanto la canzone a ballo rappresentava un'opera d'arte rego lane, iondata su leggi metriche, precisamente fissate hn dal Due cento. La poesia era qui composta per essere cantata a regolare la danza. Nella forma tradizionale ogni strofa recava la sua ri presa, non mai più lunga di un tetrastico, e ad essa seguivano nuove stanze di identica formazione, ¡sviluppate per due mutazioni e una volta, corrispondenti ai moti e alle fermate del ballo, e alle arie del canto, ciò che si vede nelle ballate letterarie del tempo di Dante. La pensata del Visconti di far parlare gli attori durante le gi ravolte e i passi della danza, intramezzando le battute con hgurazioni e movimenti di com mento plastico al senso del te sto, è trovata astratta e teorica che, nel latto pratico, si dimo stra in equivoco. Le parole della prosa non posseggono un ritmo sul quale appoggiare passi sin croni: esse non si possono bal lare senza discordia, li risultato è quello di cacciar negl impicci l'attore; il quale deve pensare a ballare più che a recitare, o a recitare più che a ballare, se condo la sua preferenza, non essendo facilitato da un pro cedimento unisono delle due espressioni. La canzone a bailo è tutta distribuita su metri precisi che sollecitano i passi, li condu cono favoriscono accompagna no, li sospendono e li ripren dono, li accelerano e li rallen tano, sicché tutto procede in in bell'ordine come una « ne cessità ». Ma essa è animata dalla mu sica. Il problema della danza senza musica è stato agitato in Eu ropa trent’anni or sono e vi partecipammo con gli scritti e con i balletti in teatro. Per parte sua Achilie Ric ciardi col « Teatro del Colore », realizzò danze sui ritmi della poesia di Mallarmée, declamata in particolar modo da Marinetti. Ma, se la danza senza musica ha i suoi punti nei colpi di gong o di cassa, quella con dotta dalla poesia è misurata sul metro. Le misure della poe sia ci dicono i suoi piedi e son proprio quelli sui quali proce dono le gambe dei danzatori. Nei Matrimonio di Figaro del Visconti la prosa non ebbe gli stessi mezzi. Fu danza senza piedi. Anton Giulio Bragaglia dramma Arthur Miller trova abi li soluzioni melodrammatiche, e soprattutto nel secondo atto, dà ♦ Al Teatro Quirino di Roma, esordendo il 4 novembre 1947, la Compagnia alla sua materia alternative av E\i Maltagliati - Vittorio Gassman, ha rappresentala, per la prima-,yo!ta in vincenti. Ma in realtà l ’esame è tutto in superficie, tanto che fi Malia, la commedia di Arthur Miller: TUTTI MIEI FIGLI. nisce per perdere anche quella A volte si nutre l ’illusione che davvero il tempo e il progresso che sembrava potere essere la raccorcino le distanze tra gli uomini. Invece le pareti, si ispessiscono, sua attività maggiore, la attua le ombre si addensano, e questi intervalli di solitudine e di malin lità. tesi s'accrescono. «Che ve ne sembra dell’America?» oggi ci chie-, I motivi e i caratteri si fanno diamo con ansia maggiore di quella che provò l ’Armeno di Saroyan. generici: ed anche il loro volen E la risposta si è fatta ancora più incerta. Una delle nostre nuove teroso moralismo non riesce a ri compagnie teatrali si è presentata con All my sons, l’ultimo grande scattarli dal sospetto di una successo americano, soddisfacendo alle nostre inoffensive e ormai drammaticità degna della cele tradizionali smanie d’aggiornamento. La rappresentazione ha con bre Fiammata. I personaggi di fuso ancora più le nostre idee: ma ci ha fatto capire quanto sia fianco ai due protagonisti sono necessario che divengano chiare, ora poi, che, da tante parti si convenzionali e irrilevanti. La tenta di legare le nostre sorti al carro del «Nuovo Mondo ». madre di Chris (interpretata con All my sons ha ottenuto ogni sorta di soddisfazioni: i più ambiti vera e dolente emozione da Evi successi critici (premio Pulitzer e Premio del Circolo dei Critici), Maltagliati) ha forse più spicco e trionfo nell’opinione pubblica sia progressiva che reazionaria, trion maggiore agitazione verbale: ma fo economico. Al Teatro Guild, il migliore di New York, si è tolta gli altri restano nei limiti del boz dal cartellone la novità di O’ Neill per far posto a questa sorta di zettismo. miracolosa riuscita. Solo Henry Miller, feroce e sarcastico nemico Per quanto il regista Luigi pubblico dell’ideologia americana, avrà certamente sogghignato del Squarzina si sia sforzato con abi suo fortunato omonimo. Come tutti i successi folgoranti, anche il lità di dare un senso compiuto successo di Arthur Miller, è assai più dovuto al particolare stato alla vicenda, concertandola con d’animo dei suoi sostenitori, che alle sue qualità intrinseche. Il suo scabra e vibrante recitazione, nel lavoro, per noi, non ha interesse artisticamente, perchè non si eleva la chiara scena di Polidori, il con al di sopra della produzione media di questi anni, ma ne ha invece trasto, tutt’altro che nuovo tra come sintomo di una' situazione, e dei particolari ondeggiamenti l ’una e l’altra generazione, tra dell’opindone pubblica americana. Si possono distinguere, attraverso due modi di concepire la vita e la il tèssuto di questo dramma, gli elementi negativi e anche quelli società umana, resta appena enunciato, e quelli che possono es positivi che la compongono. Si è parlato di ibsenismo. Sommariamente, la classificazione non è sere i suoi termini attuali negli sbagliata. Abbiamo un nucleo familiare, anzi due famiglie che vivono Stati Uniti, vengono spiegati solo legate da una sorte comune, ed il conflitto drammatico che sorge dall’esterno. Tanto che la conclu tra i loro componenti, viene determinato dai rapporti che esse hanno sione, il suicidio di Joe Keller, con la società. Joe Keller è il tipico mercante di cannoni (imper giunge inattesa, gratuita, e gof sonato da Tino Buazzelli con vigore e con giusta misura, anche se famente semplificatrice, così da il personaggio richiedeva una maggiore maturità artistica). E’ lo togliere al dramma ogni vera sug yankee per eccellenza: attivo, ■tenace, concreto nelle idee e nella gestione. Non si può non sorridere di loro realizzazione. La stessa natura del mondo « giungla » (come egli lo definisce) in cui vive, lo porterà a un gesto che è logicamente essa e non obbiettare che gli Joe inevitabile, ma che lo farà precipitare. Egli lavora ormai esclusiva- Keller solitamente amano la vita mente per gli aereoplani da guerra occorrenti al suo paese. Quando con frenesia. Qualcuno potrà sui gli si chiederà con estrema urgenza l ’invio di uno stock di cilindri cidarsi; ma sono i meno signifi per motori, darà ordine al suo socio di consegnare, camuffandoli, cativi e rappresentativi. Altri eun gruppo di cilindri avariati. Precipitano ventun aereoplani da viteranno di consegnare cilindri guerra. Scoppia lo scandalo. Keller viene processato, ma riesce a avariati, ma si preoccuperanno gettare la colpa sul socio, a cui aveva assicurato per telefono di invece di fabbricare cilindri in se volersi assumere tutta la responsabilità della consegna, e, corrom rie che diverranno portatori di pendo i magistrati, riesce a farsi assolvere e a riprendere la sua morte. Sarebbe troppo facile scon figgerli solo anatemizzandoli in attività meglio di prima, realizzando guadagni sempre più forti. nome dei principii che dovrebbe Tutto continuerebbe secondo le regole, e il sistema della « struggle ro reggere l ’umanità. Del resto for life » sarebbe definitivamente consacrato, se il gesto di quella anche Joe Keller è un col volta non finisse per rivivere ancora e in una forma tragica: nella pevole : egli non hanon fatto che por coscienza dei figli che vi si ribellano. Si crede che Larry, il mag tare alle estreme conseguenze gli giore, sia rimasto disperso in volo. Annie, la fidanzata, rivela im provvisamente che si è suicidato sotto il peso e la vergogna dello insegnamenti della società in cui scandalo. Il fratello minore, Chris (che Gassman ha reso con felice è vissuto. La colpa non è stata e perfetta evidenza) ha sempre voluto credere nel padre, ma soprat nel gesto di quella volta: nè neltutto, come Larry, ha sentito sorgere dentro di sè, nel quotidiano l ’ideo'logie e nella religione, con sacrificio della guerra, il senso della responsabilità che si ha verso scie o inconscia, in cui sono vissu di sè e verso gli altri, ed ha vissuto la prova spesso fortificante di ti i suoi concittadini. Non si può una volontà imanime, di una solidarietà senza limiti. Ma ora capisce negare che esse hanno fatto degli che il padre ha ucciso, che il padre, senza saperlo, è un nemico. Stati Uniti una grande potenza, Lo assale quando scopre l ’inganno del processo, e si dispera quando una salda e laboriosa officina. lo sa colpevole della morte di Larry. Per tutto lo svolgimento del Ma a quale prezzo? A quale scoQ U E S T A S T A G IO N E T E A T R A L E po? Chris sente indistintamente tutto questo deviamento. Il suo malessere lo pone in uno stato tragico d’angoscia. Vuole abban donare la casa paterna. Perchè? Dove si dirigerà? E’ ben lontano dal saperlo e solo a prezzo di nuo vi dolori potrà capirlo. Per ora tutto è vago e di certo non c’è che la durezza del conflitto, lo smar rimento che ha preso entrambi gli antagonisti. Eppure, alia co struzione del mondo yankee fu es senziale una forza genuina e fe conda, un istinto sociale che guar dava oltre al proprio successo e alla propria ambizione, per ve dere la civiltà crescere e conqui stare sempre nuovi orizzonti, così come le fattorie si moltiplicavano all’ovest, e le fabbriche si infit tivano, creando nuove ed aperte città; quel moto solenne e virile di cui Walt Witmann si è fatto il sincero poeta. L’amore al lavo ro, alla solida realtà umana dei cantieri e dei campì: il senso in nato della produttività della vita. Tutto questo ha potuto essere deviato verso la corruzione, l ’af farismo e una volontà di potenza da emporio standard, ma non po trà essere nè soffocato nè raffre nato, quando, vinta ogni tituban za, e scontati gli errori, ripren derà la sua via. Il dramma di Arthur Miller, per quanto debolmente, è un chia ro sintomo di tutta la lotta che si sta svolgendo airinterno di ogni yankee e fra tutti gli yankees; valgano le sue rappresen tazioni a farcene intuire la por tata. Vito 5*aiiTTÀ- E U R I D I C E ì À COMMEDIA IN QUATTRO ATTI DI fiibjiOI JE A N A N O L IC I! $ Afst Versione italiana, di ADOLFO FRANGI RAPPRESENTATA AL TEATRO NUOVÓ DI MILANO IL 5 MARZO 1947, DAL LA_C0 MJ>AGNI AD IR ETTA DALU CHI N0 VI SC0 N Tl7"c 0 N'R I NA“ jlf 0 RE L L l'E PAOLO STOPPA >>- Come in Antigone e in Medea. Jean Anoullh ha versato spiriti nuovi entro famose immagini tragiche; particolarmente in Euridice ha voluto infondere senso e poesia di leggenda in due amanti d'oggi. La scena è dunque trasportata nella vita odierna ed il tono eroi co della tragedia antica è mantenuto nel modernissimo ambiente. I L P IA T T O I DIECI QUADRI IN DUE TEMPI DI M A R I O R O N C O RAPPRESENTATA AL TEATRO NUOVO DI MILANO, DALLA COMPAGNIA «CITTÀ DI MILANO»,DIRETTA DA RUGGERORUGGERI, IL 28OTTOBRE1947 jj; Lineare e disadorna, scarna ed essenziale, profondamente lucida di notazioni umane e poetiche, uniiversalmente viva di sii è rivelata questa commedia di un giovane ventiquattrenne, operaio alla Fiat di Torino. La commedia, sotto un trasparentissimo velo Simbolico che nulla toglie al suo «pathos», adombra l’eterna vicenda degù uomini, che, compiutasi la prima volta nel Paradiso Terrestre, si ri pete co;< E’ l’opera più recente del drammaturgo austriaco. Nella lunga ed aspra fatica di quest’uomo che, per opporsi alla barbarie che montava inesorabilmente ai confini della sua patria, ha peregrinato e lottato per anni attraverso l’Europa, CaLipso rappresenta un mo mento dii sosta, un’oasi di tranquillità, un’evasione. Evasione par ziale però, giacche Csokor non avrebbe saputo annullarsi totalmente dalla fiaba. Per cui questo dramma, che sviluppa uno dei più poe tici episodi omerici, ed è soprattutto un’opera di poesia, è ancora impregnato di tutti i motivi umani che costituiscono il credo più .profondo dello scrittore. I personaggi hanno valore e suggestione di simboli. CaMpso è stata rappresentata il 5 giugno 194G al «Burgtheeter » di Vienna, ed il 25 giugno scorso al «Sohausplleihaus » di Zurigo — uno dei teatri internazionalmente più ’moorts-,*1 — ot tenendo in entrambe le rappresentazioni un successo entusiastico. I L C U O R E S M A R R IT O COMMEDIA IN SEI QUADRI DI N O E ! , C O W A R D Versione italiana di MARIO DELTRAM0 ^ Dicendo che questa nuova commedia dell’autore di Spirito al legro è un gioiello, è per non impegnarci a priori con un aggettivo scottante: capolavoro. Ma Noél Coward — il Coward di Cavalcata, di Intermezzo, di Quartetto per archi — è giunto ad una maturità artistica così profonda ed umana, una perfezione d’arte così cri stallina, da darne riprova con quest’opera veramente perfetta. C O P E R T IN A A C O L O R I D I A L I G I SA SS U l i i ' J M E M * Perdura questa malattia chia mata «dopoguerra » : Une Mort sans importance, di Yvan Noe e A. Linou, andata in scena al Tea tro della Potinière, è un altro se gno che questa malattia chiama ta « dopoguerra » è lenta a muo vere verso la guarigione. In questo senso è un segno ohe XJne Mort sans importance, condotta per nove decimi come commedia di genere giallo-rosa, sterzi brusca mente alla fine e si risolva con la morte dell’unico personaggio simpatico fra i tanti; quasi come un subitaneo scoraggiarsi degli autori dinanzi alla vita, una sconsolata dichiarazione di va nità della vita onde sono tratti a scegliere la scomparsa inopi nata del «personaggio buono». La morte come premio, forse. E’ una tesi come un’altra, e non ne faremmo meraviglia se non la trovassimo, come s’è detto, in una pièce che in genere non ha tesi da proporre. Ma probabilmente questa non è una tesi così come la si intende di solito. E’ soltanto il segno che la gente, anche la gente di costituzione ottimistica come gli autori delle commedie giallo-rosa, non crede ancora nel la vita. E’ ancora malata di que sta malattia chiamata « dopo guerra». Giudicate dall’argomentó e osservate, vi prego, il pro gressivo scivolamento pessimistico che informa questa commedia: André Gervais, perseguitato dalla miseria, risolve di por fine ai suoi giorni. Il primo atto, appunto, si apre sul suo terzo tentativo di pendaison che, come i precedenti, fallisce per un gioco di circostan ze. Ed ecco, una misteriosa voce gli spiega: — Inutile de perseverer, le nom d’André Gervais ne figure pas encore sur les listes. — Nell’attesa, la voce misteriosa, la Morte, gli propone di entrare co me infermiere nella casa dei Duvernay dove il vecchio nonno ha avuto un attacco che l ’ha lasciato paralizzato, e di scegliere —■ ’ lui, André Gervais — qual membro di quella famiglia dovrà prossi mamente morire. La famiglia Duvernay è alquanto bizzarramente composta: il figlio del paralitico, maniaco scienziato dilettante, ino cula malattie ai conigli, maneggia veleni con tale incoscienza da IN UNO DEI PROSSIMI FASCICOLI PUBBLICHEREMO D o è COMMEDIA IN CINQUE ATTI DI A N D R É O B E Y VERSIONE ITALIANA DI MAUD ED ALESSANDRO BRISSON1 ❖ Rappresentata al Teatro del vieux Colombier di Parigi, con le sceme idi Bansacq ed i costumi di Dasté, l’opera fu anche inscenata, per la prima volta iti Italia, al Teatro dell’Arte di Milano, il 23 novembre 194,6, con la regìa di Brissoni ed i costumi di M. Strutìthofl. André Obey, non è molto noto alla vita teatrale italiana, sebbene nessuno può aver dimenticato quel capolavoro del suo esordio, nel 1931, che è La sorridente signora Beudet scritta in collaborazione comil già celebre, allora, Denys Amiel. ¥ Renato Simoni ha scritto, l’indomani della rappresentazione: «Gen tilissima commedia, leggiadra come una fiaba, religiosa come una preghiera pronunciata da un fanciullo, viva di colori mat:utini, ep pure, in fondo, velata un poco di una mestizia vespertina. Essa ci presenta la semplice storia di Noè, presso a poco come la narra la Genesi, vissuta da uomini antichi e bonariamente leggendari ohe parlano pe.rò il nostro linguaggio ricco di cose e di esperienze mo derne: eppure, malgrado questo anacronismo, o forse per effetto di esso, che li scioglie da ogni solennità, restano gustosamente ingenui ». «Qual’è il segreto di freschezza e di grazia che rende mirabilmente interessante questa rievocazione biblica? Una specie di fanciullezza dei personaggi. Tutti, compreso il vecchio Noè, che al tempo del Di luvio aveva già qualche secolo sul groppone, vivono con anima ado lescente in un mondo che rinasce. La Bibbia ci dice che prima che Dio sterminasse l’umanità divenuta malvagia, vivevano, tra gli uo mini, nefandissimi i giganti. In questa commedia i giganti sono morti; e sono morti tutti gli! adulti; e sull’arca sono rimasti solo i cuori fervidamente giovanili. Il disastro che ha distrutto quasi tutto il seme d’Adamo, i pericoli che Noè e 1 suoi figli corrono, la gioia che provano quando torna il santo sole dopo le orribili pioggia, 1 loro sgomenti, le sorprese e il rapimento quando la colomba torna, la felicità di rivedere la terra e di ricamminarla, sono presentati, détt:, vissuti, con semplicità d’anima, con una felicità addirittura elemen tare che incita ai giuochi e alle danze. Questo fervore di vita iden tificato con la primitività che non conosce complicazioni spirituali, e che, anche del divino ha un senso tra riverente e confidenziale, ’ci ha sorriso con purezza gaia e lieve e trasparente. Ecco il perchè del successo vivissimo della commedia di Obéy ». COPERTINA A COLORI D I F U LV IO B IA N C O N I render diffìcile la vita ai fami liari. Costui ha in moglie un’opa ca bigotta che gli ha dato due figliole: Ginette, baciapile e pru de come la madre, e Suzy, un petit être délicieux qui n’aime que la clarté en lui et autour de lui, fidanzata ad un brutto tipo, un certain Maurice. C’è ancora una vieille tante, tetra ed egoista. An dré, naturalmente, pensa al ve gliardo come al più qualificato morituro : mais c’est qu’il n’est pas encore très bien renseigné; per cui non opera una scelta fe lice. Sopraggiunge, frattanto, dal l ’America un settuagenario gras souillet, frère del paralitico, che non lo vede depuis quarante ans. Costui, già détective private, è stato alerté da un telegramma del fratello: «0?i m’assassine', viens». Onde, ragiona Gervais delegato della Morte, non il vecchio deve morire, ma il suo assassino. Si tratta di scoprire quest’assassino ignoto. Tre volte, una mano mi steriosa tenta di avvelenare il malato ed ogni volta è mia mano diversa: il y a donc trois empoisoneurs dans cette maison. Il pri mo è la bonne Joséphine, pilastro della famiglia Duvernay, in fa vore della quale il vecchio ha fatto testamento, e gli altri due sono la bigotta signora Duvernay e la figlia ainée. Ormai scade il giorno fissato dalla Morte entro cui Gervais deve procedere alla scelta della vittima, ed egli, in un moto di carità, volendo evi tare all’angelica Suzy lo strazio di sapere assassine le persone ca re, segna il nome di lei. Fuori scena un grido: Suzy è caduta incidentalmente, uccidendosi. La morte come premio o, almeno, come salvazione. Ma il tono della commedia è leggero, quasi burle sco : perciò, in questo finale il se gno di una malattia che dura. ¥ Le Mascaret, di Pierre Brasseur, presentato all’« Œuvre'» : anche qui c’è un paralitico, il quale a differenza del precedente sta per ricuperare l ’usage de ses membres nella qual cosa, appunto, sta il senso del Mascaret. E che se ne farà, il miracolato, di queste r i cuperate forze? Se ne varrà per vendicarsi. Facciamo un passo in dietro, come si dice in questi casi, e diamo spiegazioni. Bisogna dun que sapere che Guillaume, l ’ex paralitico, aveva amato da gio vane la bella ma povera Emilie che poi aveva lasciata per spo sare la non bella ma ricca Alexandrine, da cui ebbe un figlio, Michel. Passano gli anni : la bella Emilie, ormai candida e tremo- lante vecchietta, viene a sapere che l ’antico amore è malato. E gli va a far visita e insieme r i cordano i tempi felici e il figlio che non hanno avuto ma che avrebbero potuto avere. Ora, Mi chel sta per sposarsi. Anche lui, come il padre, ama una bella Bianche, ma dovrebbe prender in moglie una brutta Denyse. Per sua fortuna il rinvigorito Guillaume prende posizione contro questo mercato non già per affetto al figlio, ma per odio alla moglie imposta e in un trapasso rapido ed alquanto confuso riesce a por tare in salvo il vero amore. In soprappiù scopre che Michel gli vuol veramente bene, da figliolo bennato e generoso. Così, Alexan drine, la fellona, si ritrae scor nata in un angolo del palcosce nico mentre Guillaume, Emilie, Michel e Bianche, come il grup po della virtù che trionfa, fanno riverenze oneste e liete. Partito con fiere intenzioni strindberghiane, Brasseur è arrivato, come si vede, col fiato grosso di un sen timentalismo stucchevole e rugia doso. Molto bene gli attori, so pra tutti il giovane Renaud Mary (Michel), squisitissimo,' veramen te esemplare nella dizione. V Jehan Bouvelet ha tentato, con Rendez Vous, di imitare in ter mini di teatro l ’andamento con citato pur nelle molteplici dira mazioni che, nella sua dimessa validità di arte commerciale, sem bra essere monopolio della produ zione cinematografica americana : naturalmente non ci è riuscito. Riassumiamo brevemente l ’azione principale che, non si sa bene per quale ragione, presenta personag gi convenzionalmente britannici: Daniel Shirwood è stato affidato dal padre ad un pastore (pare impossibile che i continentali non sappiano pensare all’Inghilterra senza tirare in ballo i pastori, quasi che l’isola non sia che una sola immensa parrocchia). L’im petuoso giovane s’innamora rapi damente della charmante Alice che, d’ailleurs, sembra prendre plaisir a Vallumer. Questa char mante fanciulla, evidentemente esuberante, è anche amante del pastore che, svagato come tutti i pastori innamorati, conserva le sue lettere in uno scaffale aperto a tutti. Il ragazzo s’impadronisce di queste lettere e, deluso nella sua amorosa attesa, propone al degno ecclesiastico un amabile ricatto: riavrà le compromettenti epistole lorsque Alice aura été à lui. Figurarsi il pastore. Vien pro vata la maniera forte; ma il gio- vine cocciuto resiste. Quindi ma neggi, allettamenti, promesse che vanno in lungo, finché la bella Alice infastidita taglia corto: — Eh bien, soit, prenez-moi! — Dinanzi a tanto sacrificio il gio vanetto si scioglie in commozione e in un nobile slancio depone le lettere ai piedi deiramata. Tanto può l ’amore! Tanto può, che la donna ci ripensa e scopre che Daniel est devenu intéressant, che a des muscles e anche dei beaux traits. Che, insomma, è assez fascinant- Perciò, un di manche matin, pendant que tout le monde est à l’église, Alice se donne al fortunato giovane: la virtù è ricompensata. E questo è tutto. Suzy Prim, da quell’attrice sensibile e intelligente che cono sciamo, si è trovata visibilmente imbarazzata a recitare un calte anglo-francese di questo genere: ha fatto del suo meglio, però, e soprattutto nel terz’atto è giunta a persuadere il pubblico fin qui restìo a farsi cogliere. Lodevole, accanto a lei, Guy Loriquet nella parte di Daniel. * Al Théâtre Sarah Bernhardt è stata ripresa Liberté provisoire, di Michel Daran, storia di un di sertore che fuggendo la polizia ripara presso una femme de mon de. Costei, com’è naturale, prima s’impaurisce poi resiste e infine — anche questo è naturale — è subjuguée par les charmants qua lités del giovanotto assai più ama bile e prestante del millionaire jaloux et irascible che la vorrebbe sposare. Si stabilisce fra i due una piacevole intimità che dura fino a quando l’irascibile milionario si scontra col rivale e, prendendo partito dalle circostanze, pone alla donna l ’aut-aut: o il matri monio sur le champ, ovvero il di sertore sera livré à la police. La ragazza sceglie le nozze, e il po tente plutocrate fa scortare l ’in traprendente disertore alla fron tiera da certi suoi amici. Sipario. Liberté provisoire non ha gran di ambizioni : vuol divertire e qua si sempre ci riesce. Ricordiamo, fra gli attori, Jean Max (il mi lionario collerico) e Simone Renaut, simpaticissima femme de monde. ÿ Naturalmente l ’attività teatrale di Parigi non è tutta qui e non è tutta a questo livello: la Co médie Française offre in un’edizione-gioiello il classico Misan thrope per la interpretazione di Pierre Dux in stato di grazia: un Alceste magnifico di slancio e di sensibilità, oltre che in tutto il quarto atto, nella scena del so- netto, resa con una delicatezza ed un’umanità veramente rare. Con lui ammiratissima Louise Conte come Arsinoe. Discussa la personificazione di Célimène di Annie Ducaux, cui qualche cri tico non risparmia appunti piut tosto aspri. ¥ Riscuotendo i consensi generali della stampa e del pubblico, Jean Vilar si è presentato nel shake speariano Richard I I I allestito con eccezionale ricchezza di mez zi e di intelligenza al Théâtre des Champs Elysées: uno spettacolo che onora veramente le scene francesi d’oggi. Gli attori, oltre a Vilar: Léone Nogarède, Mona Dol, Noël Bernard, Jean Violette, Jean Negroni, Hermantier, Ger maine Monterò. Costumi di Gischia. Motivi musicali di Libaize. Perfetta e vigorosa la traduzione di Jean Curtis. # Al « Saint-Georges » è stata ripresa Un Homme comme les autres, di Salacrou, che nono stante un’interpretazione alquan to rotta ed approssimativa si è confermata una delle più valide commedie del repertorio moder no: dura e comica, disincantata e poetica. Marcel Le Due Parigi, novembre 1947. w m m ♦ «Fra le altre cose, si suol dire che una commedia è ben fatta quando le entrate e le uscite di scena dei personaggi si effettua no naturalmente nel corso del l ’azione, cioè vengono a far par te costituzionale deU’azione nel senso che il pubblico non si ren de conto che il personaggio A è stato cacciato via dal palcosce nico soltanto perchè l ’autore ave va bisogno che in sua assenza il personaggio B facesse importanti rivelazioni al personaggio C. ». Sembrerebbe, questo periodetto staccato, un «fior da fiore » tol to di peso da una raccolta di norme pratiche per aspiranti au tori di teatro. E’, invece, ciò che un critico londinese dopo aver assistito a Cupid and Mars, di Rodney Ackland e Roberto G. Newton, che si rappresenta allo «’Arts», si è sentito in dovere di comunicare ai due autori i quali sembra ignorassero questa fondamentale se pur abbastanza accessibile regoletta della scrit tura drammatica. Ma, al solito, allo squallore della realizzazione fa riscontro l ’impegno delle in tenzioni. Perché è effettivamente un assunto impegnativo quello di dimostrare la verità ¡di una ve rità. Sono cose per cui occorre possedere o la splendida inco scienza di La Palisse ovvero il pa trimonio intellettuale di un ge nio: Cupid and Mars (credeva mo, però, che l ’avessero chiuse tutte le ¡botteghe dove si spaccia no i dolciastri titoli di deriva zione classica) muove con bel l ’entusiasmo a dimostrare che la guerra è madre di tutti i vizi e, nel caso specifico, della la scivia (d’accordo : lascivia è un vocabolo un poco fuori moda, ma esprime perfettamente il peccato sessuale come lo intendono gli autori di Cupid and Mars) oltre che deH’alcoolismo e di altri ¡compromessi morali Idi minore importanza. L’allestimento e la direzione di Peter Powell, vecchio uomo di teatro che per numerosi salvataggi operati nel corso del la sua carriera meriterebbe un pubblico riconoscimento ed una pensioncina annua, ha tratto a riva anche questo incauto: a P. P. e al volonteroso complesso che gli è stato di conforto nella pro va è andata la riconoscenza di Ackland e Newton. The Raven (Il corvo), dal t i tolo di una notissima composi zione di Edgar Allan Poe, si chiama la biografia sceneggiata del grande poeta bostoniano che Joe Bates 'Smith ha presentato al «Boltons ». Si sa come sia dif ficile mettere in scena, animan dole di una vitalità artistica che le giustifichi, le vicende dei gran di nomi della storia e dell’arte: e pur tuttavia c’è sempre chi r i tiene di avere in sè tanto vigore da risuscitare i defunti e ripro porli al mondo come creature di carne e di sangue a rivivere la loro vita terrena. Ora, poiché le poche figure storiche che si pre stavano con una certa buona gra zia a riesumazioni del genere hanno già visto sfruttata fino al limite estremo la loro ¡compia cenza, ritenevamo legittimo con siderare chiuso l’argomento e passare all’ordine del giorno. In vece no; il signor Joe Bates Smith doveva ancora sceneggia re la vita di E. A. Poe. Bene: quello che è stato, è stato. Con l ’autore, ad ogni modo, dovran no render conto del loro operato all’infelice poeta che dorme a Baltimora gli attori capeggiati da Richard Longman il quale, in considerazione dei suoi ottimi precedenti, potrà sperare in una certa clemenza. Molto bene, per contro, Hilda Schroder: se i suoi compagni avessero recitato con l ’impegno e l ’intelligenza di quest’attrice, oggi Joe Bates, in coraggiato del successo che quasi certamente avrebbe ottenuto, se ne starebbe forse scrivendo un dramma sulla vita di Beniamino Franklin. Un’altra attrice, Caroline Keitlh, ha salvato con la sua splendida interpretazione il giallo Murder witli Music di Jack Kent, andato in scena al « Gateway ». Sembra che gli autori drammatici di que sto dopoguerra, come le masse ¡po polari davanti alle urne, debbano polarizzarsi agli estremi: o po vertà assoluta di risorse teatrali o sovrabbondanza, pletora, spreco. Non c’è via di mezzo. Ammini strando con maggior saggezza i brividi di cui ha nutrito il suo Murder with Music, Jack Kent poteva scrivere non uno ma sei drammi gialli e terrorizzare il pubblico di dodici contee: invece per timore di non essere abba stanza « thrilling » ha dato fon do a tutte le sue riserve di «hor ror » in una volta sola : sinistri «cottages » perduti nella cam pagna notturna, donne pazze di perversa e segreta follìa, coltelli insanguinati, giardinieri ambi gui e misteriosi, porte che stri dono nell’ombra e gatti morti. Così è: gatti morti, anche. Il re gista, con deplorevole leggerez za, ha assecondato l ’autore. Onde è dovuta intervenire Caterine Keith che, con una recitazione singolarmente sobria, quasi rab biosamente sobria, ha rimesso le cose a posto. Qui giunti, «paulo rnaiora caìiamus », come si dice: You never can teli (Non si può mai dire) di G. B. Shaw ripresa al « Wyndìhams», ha costituito il com piuto esempio di uno spettacolo perfetto sotto tutti i punti di vi sta : dal testo — naturalmente — alla direzione, alla recitazione. Non staremo a ripetere l ’argo mento della commedia nè ci sof fermeremo a dichiarare le sue allusioni satiriche. Interessa in vece rilevare la raffinatezza della interpretazione di Harcourt Wil liam e Rosamund John, da cui appunto quelle allusioni satiriche sono state fatte affiorare con sin golare, quasi inavvertita felicità di tratto: come in una ispirata improvvisazione. Peter Ashmore ha diretto i suoi attori con fer mezza ed intelligenza evitando sia le secche della stilizzazione che i gorghi della farsa. Ottime le scene di Anthony Holland, ac corto nello sfrondare i motivi scaduti del « décor » e nel dare vita e rilievo a quelli tuttora va lidi. Veramente uno spettacolo da ricordare. In tono qualche poco minore, ma pur sempre ad un buon li vello di dignità, è stata un’al tra ripresa: Hinde Wakes di Stanley Houghton, inscenata dai Playmasters per la stagione del «Toynbee Hall Amateur». Seb bene posteriore di dieci anni, Hinde Wakes accostata a You neve can teli sembra più vecchia di un secolo : dove nella commedia di Shaw c’è estro, qui c’è esat tezza e volontà di esattezza. Men tre quella procede con la disin volta noncuranza di un’opera che ha dialogo, azione, situazioni e soprattutto spirito, questa muove circospetta, senza sbilanciarsi, sciogliendosi da una situazione certa solo quando il dialogo l ’ha guidata ad un’altra altrettanto sicura. E si capisce che con que ste preoccupazioni lil progresso drammatico sia lento fino a son necchiare talvolta in stagni di parole da cui solo a poco a poco riesce ad evadere mutandosi in «fatto » e quindi in emozione spettacolare. Al pubblico, natu ralmente, non gli è venuto in mente di fare il parallelo fra Houghton e ,Shaw: è stato alla finzione ed ha dato il consenso che, in verità, gli attori hanno meritato. Segnaliamo ancora fra le r i prese quella, al «Princes Theatre», di The Dubarry, una com media musicale vecchia di quin dici anni che, con tutta proba bilità, Henry Lane ha riesumata ritenendola — ingiustamente — adattatissima a far brillare il ta lento dell’americana Irene Manning. La decrepitezza, l’inevitabi le sensazione di artificio ormai scoperto che muove dall’opera ha vietato alla critica di formulare una valutazione su questa attri ce, nuova per le scene londinesi. E’ rimandata così ad altra oc casione la conferma di quel pre sagio di autentica attitudine tea trale Ohe già alcuni hanno cre duto di avvertire. John II. Seyller Londra, novembre 1947. >\< Fernaldo di Giammatteo, di ritorno da un recente viaggio in Austria, ci informa sui teatri di Vienna. La stagione teatrale si è aper ta in queste settimane con due opere di notevole valore a testi monianza della sempre viva at tenzione che i drammaturghi austriaci portano ai problemi della cultura, dell’arte e, in sen so lato, della morale. La nobilis sima tradizione del Burgtheater e del Josephstaedtertheater tro va oggi un’attesa ma non per questo meno apprezzabile con ferma. Il contributo di Franz Theodor Csokor e di Fritz Hoc>hwaelder (autori dei drammi del l ’inaugurazione) vale a precisar ne il significato con una singo lare chiarezza. La tradizione viennese non ha ceduto attraverso gli anni del l’occupazione tedesca e della guerra, mentre altre tradizioni, parimenti o forse più solide, hanno subito negli stessi anni, per effetto delle stesse cause, colpi irreparabili. Nel teatro eu ropeo è difficile oggi indicare un terreno così compatto come quello su cui poggia la scena viennese. Forse si deve allo spi rito di intelligente conservazio ne il fiorire odierno di Vienna come centro teatrale europeo. Alla sua altezza potremmo col locare Parigi e ci troveremmo imbarazzati se dovessimo cerca re altri esempi, sia pure sui pia ni inferiori. Già con la stagione dell’anno scorso s’era capito che i tea tranti viennesi (e lo vedemmo in un fascicolo di Dramma) non volevano seguire l’itinerario for zato che la posizione dei due loro massimi teatri sembrava suggerire. S’era capito che non volevano giurare sempre ed in condizionatamente sulle virtù taumaturgiche del magno Grill parzer o sul collaudato mestie re teatrale e sulla caricata fan tasia del veneratissimo Raimund. In definitiva che bisogno c’era di « conservare » Grillparzer e Rai mund (e aggiungete gli autori tedeschi: Goethe, Schiller, Lessing, Hebbel), quando, più che le opere del tempo felice, della «Welt von Gestern » c’era da conservarne lo spirito, la digni tà, la tanto discussa ma pur esi stente forza interiore? Ancora fra le macerie, i vien nesi assistettero (censura allea ta permettendo) alle «novità » di Csokor e di Zuckmayer, per non citare che i due nomi più ri levanti. Questo fatto ebbe una risonanza inimmaginabile. Si esploravano i nuovi campi del teatro senza buttarsi a capofitto sulla produzione straniera, co me è avvenuto altrove, si cerca va il nuovo in casa propria, ac cettando la prova più difficile, la creazione e non il rifacimen to, rischiando i presumibili colpi sulla propria pelle e non sulla pelle altrui. Anche se non si imposero al l ’ammirazione dell’Europa (chi poteva prestare orecchio alla pic cola Austria, nel momento in cui gli altoparlanti della cultura mondiale ripetevano illustri no mi americani e francesi?), i tea tranti viennesi ebbero il coraggio di non isolarsi e di pronunciare, per conto loro e di tutti gli altri che tacevano, una parola vera mente europea. Eccoli ancora alla prova que st’anno. Con Der verlorene Sohn di F. T. Csokor e Meier Helmbreclit di F. Hochwaelder. Au tore anziano ed affermato il pri mo, giovane e sconosciuto il se condo.. Si sono trovati sulla stes sa linea, certo senza volerlo o prevederlo, ma partendo da ba si comuni e da analoghe espe rienze personali. Entrambi dovet tero emigrare dalla loro patria al tempo dell’occupazione nazi sta e conobbero la vita dell’esi lio, come parecchi altri scrittori austriaci e tedeschi. L’esilio ali mentò in loro una potente cari ca di energie morali, della quale ora si vedono i frutti. Csokor scelse la via più avventurosa: Polonia, Romania, Jugoslavia e finì, dopo tanto vagare, nell’isoletta dalmata di Curzola. Hochwaelder trovò rifugio, invece, nella vicina Svizzera, e lì tra scorse tutto il periodo della guerra. Csokor fu solo e sbandato: co nobbe la disperazione e le ansie del fuggiasco. Hochwaelder, cui soccorse una tranquillità mag giore, ebbe la possibilità di ve nire a contato con un mondo culturale nuovo (in Svizzera erano confluiti intellettuali anti fascisti da tutte le parti dell’Eu ropa) e respirò un’aria satura di ossigeno. Non dovette, come Csokor, lottare, ma comprendere e darsi ragione di ciò che anda va conoscendo. La sua fu una esperienza riflessa; quella di Cso kor fu un’esperienza diretta e sofferta. Nelle loro opere questa diffe renza è palese. A parte la diver sità dell’epoca (Il figliol prodigo si svolge durante l ’ultima guerra, Meier Helmbrecht è un episodio di storia medievale, secondo un gusto non ancora spento nei pae si di lingua tedesca), il dramma di Csokor dà il risalto mag giore ai fatti e alle vicende dei personaggi e poco s’attarda nel trarre da essi valutazioni morali o considerazioni generiche, men tre il dramma di Hochwaelder è punteggiato di innumerevoli indugi razionali che, secondo le troppo scoperte intenzioni del l ’autore, debbono servire a lu meggiare gli eterni problemi del la colpa individuale e della col pa collettiva. Quindi, differenza profonda di linguaggio, da ascri versi non soltanto alle diverse esperienze umane e culturali ma anche al diverso grado di matu rità degli scrittori: Csokor fa parlare i personaggi di ciò che fanno e che vorrebbero fare; Ho chwaelder mette loro in bocca astratte divagazioni e discorsi più o meno filosofici. Per cui noi non possiamo non preferire il dramma di Csokor, riservandogli ora tutta la nostra attenzione. Per Hochwaelder ci limitiamo a registrare il succes so riportato un po’ faticosamen te dal Meier Helmbrecht al Jo- sephstaedtertheater (dove il com plesso artistico, omogeneo e pri vo di spiccate personalità di at tori — come ci fanno fede le cri tiche della stampa viennese ■ — non era il più indicato per por re in rilievo le non infrequenti impennate drammatiche dell’o pera) ed a formulare l ’augurio di ritrovarlo più incisivo ed im mediato alla prossima prova. Il figliol prodigo è Stipe, uno dei tre figli del contadino dal mata Otac. Dei tre egli è l ’unico che abbia saputo opporsi concre tamente alla occupazione stra niera e non per un atto di mag giore coraggio ma per una mag giore capacità di comprensione politica (si noti come l’istanza politica e l ’istanza genericamente morale quasi s’indentiflchino, se condo Csokor come secondo tut ti gli altri drammaturghi della resistenza). Il conflitto nasce più che dalla contrapposizione degli oppressori e degli oppressi, da questa diversa posizione degli oppressi dinanzi agli oppressori, riecheggiando un motivo caro ai drammi della resistenza (si pensi a Les nuits de la colere di Salacrou). ¡Stipe, figliol prodigo, ritorna, ed il padre gli dà ricetto con l ’a more e la trepidazione che si hanno per il figlio più caro. Otac non ha da perdonare nulla al fi glio smarrito: ciò che Stipe ha fatto non è una colpa, come vor rebbero che fosse gli altri figli. Ma Stipe torna con un terri bile mandato. Egli, a capo dei suoi partigiani, dovrà tra poco sferrare un attacco, contro i ne mici accampati nel villaggio. Vie ne per mettere al sicuro la fami glia prima che si inizino le rap presaglie. I fratelli rifiutano di accettare. «Noi conosciamo — essi dicono — un altro rimedio alle rappresaglie: che tu e la tua banda scompariate di qua. Nel caso contrario...». «Nel caso contrario — repli ca Stipe — tu vai dal coman dante e ci denunzi ». Un ultimo barlume di nobiltà e di fierezza in ohi non ha com preso da quale parte stiano la vera nobiltà e l ’unica possibile fie rezza : « Questo no — ribatte uno dei fratelli — Ma armi chie do! Gli sciacalli, vado a dire, ra pinano nei nostri campi: da quando cominciò la guerra non li abbiamo più sterminati. Quin- di raccolgo gli uomini del villag gio che pure non vogliono per dere il loro... e noi li cac ciamo... ». 'Stipe ha compreso e deve as solvere al suo dovere. E pone al padre la tremenda alternati va: «scegli: o io uccido loro, od essi mi denunciano e fanno uc cidere me. Tra noi non ci pos siamo conciliare ». Il dialogo da cui matura la decisione del padre è fra le pa gine più crudeli (e forse più toccanti) della letteratura e del la drammaturgia della resisten za. Così si conclude: Stipe — Se scegli loro, io non posso più tornare indietro. (Estrae la pistola e la posa sul tavolo) Prendi. Questa... ti salva da ogni vendetta. Otac (guardandolo fisso) ■ — Che cosa? Stipe — Meglio di tua mano... che di mano dei soldati cui do po mi consegneranno. (Pausa). Otac (con voce spenta) — Fa... quello che devi. Stipe -— Perdonami. Otac (amaramente) — Vuoi anche la mia benedizione? Stipe (rimette in tasca la pi stola) — No : Vado. Non temete per voi. Gli orfani delle no stre vittime saranno risparmiati. Quando sarà il momento, verrò a prendervi e vi condurrò con me. Otac — Me, no! Stipe — Se devi maledirmi, fallo subito. Che non mi tradi rai... lo so. Otac (fa con la mano un gesto sconsolato). Stipe — Non darmi la mano, babbo. Ora io sono Caino. Ma le greggi di mio fratello non le vorrei per me: le vorrei per tut ta l ’umanità. (Esce). Questo avviene nel secondo at to. Nel terzo si registrano le con seguenze al limite dell’azione, e tutto ciò che l ’opera acquista, per il procedimento indiretto, di suggestione, lo perde in vivez za ed in persuazione emotiva. E qua e là, fa capolino la retorica. Il figliol prodigo ha ottenuto al Burgtheater (dove è stato re citato da Viktor Braun, Alfred Neugebrauer, Maria Eis, Franz Merberich, Hermut Kraus, Èva Lissa, Georg Filzer, Elisabeth Kallina, Heinrich Moag) un grande e convinto successo di pubblico. l-\ Di Cimmmatìpo Gli ultimi due fascicoli di «Il Dramma » non recavano Ribalta Americana: Gino Caimi era in vacanza. Sono voluto venire — io, Italiano d’America — a rico noscere la mia patria lontana, ap pena uscita dall’orrore di questa guerra combattuta sul suo ter ritorio e nel nostro cuore. E ne sono rimasto commosso e fiero. Voglio dire che mi ha commosso il sereno coraggio degli italiani, la loro intrepida volontà di ri cominciare da capo, sulle molte rovine; così come la testimo nianza del lavoro italiano in ogni campo, i rinnovati documenti della nostra genialità che delle avversità medesime fa movente a nuove realizzazioni hanno legit timato in me la fierezza della mia origine. Questi miei occhi di fi glio per tanto tempo lontano, ve dono le cose vostre con più acuto amore : lasciate che vi dica, ami ci d’Italia, la mia certezza di sa pervi sulla buona via, quella che vi indica il vostro istinto d’intel ligenza, il vostro equilibrio di co stituzione. Io sono attore, capo comico. A New York dove vivo, dirigo un teatro; ho esperienza in quest’arte che è la mia pro fessione. Ebbene, vi dico in tutta sincerità che lo spettacolo cui ho avuto la ventura di assistere du rante la mia permanenza in Ita lia — Goldoni e le sue sedici commedie, nell’interpretazione di Ruggero Ruggeri, al Teatro Nuo vo di Milano — mi ha dato una delle più alte gioie della mia esperienza di teatrante. Altrove c’è tecnica, o arte, o amore. Qui ho trovato tecnica arte amore in una sintesi unica. Desidero che lo sappiate, amici d’Italia: fuo ri non si fa di più. Perchè non si può fare più che giungere alla perfezione. A Ruggero Ruggeri, certo uno dei più grandi attori del mondo — ed io li conosco quasi tutti — la mia più grande fervida e devota ammirazione. Ed ecco, ricominciamo, con le cose d’America: A Da un romanzo di Henri James, Washington Square, Ruth e Augustus Goetz hanno tratto i due atti in sette scene di The Heiress (L’erede) presentato al Biltmore Theatre con la direzio ne di Jed Harris e per l ’mterpretazione di Fiona O’ Shiel, Basii Rathbone, Patricia Collinge, Wendy Hiller e Craig Kelly. L’opera, ambientata nella New York del la metà del secolo scorso, propo ne le vicende di una modesta e sciocca ragazza che s’innamora incautamente di un avventuriero ozioso e impudente. La leggerez za, o peggio, la stupidità di que sta relazione muovono lo sdegno del padre di Katherine — la sprovveduta fanciulla — mentre dal canto suo, il seduttore l’ab bandona quando giunge a sco prire che contro le sue previsioni, l ’amato bene possiede assai me no di quanto egli supponesse. Katherine soffre delle due di chiarate ostilità. La sua vita è rotta, senza Tarnore del padre e dell’uomo eletto. E si vendica di costui, respingendolo quando torna pentito a sollecitare anco ra la sua tenerezza, vale a dire il suo danaro. Ma la povera ven detta la involge nella sua sostan ziale negatività: sola, ormai con dannata alla solitudine dalla sopravvanzante età, Katherine rias sume gli anni della sua esistenza nella delusione senza speranza. Questo l’argomento dell’opera : un tema come mille altri, che però troviamo svolto con molta digni tà, come di rado accade di tro vare nelle riduzioni drammatiche di opere della narrativa. Gli au tori hanno saputo dar prova di notevole intelligenza e di singola re buon gusto, fin dove è stato loro possibile. Perchè a trasferire in termini di spettacolo le sugge stioni imponderabili del romanzo, a rendere le reticenze ironiche che lo caratterizzano, continua ad op porsi la diversa natura dei due mezzi espressivi. Più volte si è presentato il pericolo, e quasi sem pre è stato accortamente supera to, di deformare in deteriore tea tralità i lievi aumenti di tempera tura passionale che qua e là ani mano la narrazione. E ciò non per rallentarsi del controllo arti stico dei Goetz, ma proprio e sol tanto perchè la levità aerea della trama dello James difficilmente sopporta le manipolazioni, anche le più caute. Un’opera centrata sulle vicende di una ragazza stu pida è cosa che può scriversi una volta da un ingegno del vigore di Henry James; ma non si può ri peterla, e forse nemmeno si do vrebbe tentare di variarla. A me no di non chiamarsi ancora Henry James. Ruth e August Goetz han no fatto del loro meglio. Direm mo, anzi, se non fosse per la co stituzionale vanità del loro tenta tivo, che hanno fatto bene. Wen- T E D ’ U A T R R I C O I Sorto con la finalità di orientare cri ticamente quanti aspirano alla spe cializzazione nel triplice campo della tecnica teatrale, cinematografica, ra diofonica, «INTERMEZZO» intende adempiere la sua funzione informativa nel modo più completo e definitivo. Non si limiterà, perciò, a fornire i testi «speciali » — antologici e ori ginali — spec'fici ad ognuno dei tre campi che formano oggetto del suo studio, ma li «inquadrerà » alter nandoli a pubblicazioni di informa zione generale ove, volta a volta, il lettore troverà la panoramica com piuta, la chiave storica che introduce ed agevola la comprensione delle trat tazioni particolari. Come quella dei volumi di specia lizzazione, così anche la compilazione di questi di cultura stor ca è affidata a studiosi ed esperti di adeguata pre parazione e di sicura competenza che certificano della serietà critica dei te sti e dell’originalità dell’informazione. La cura del primo di questi studi — TEATRO D’AMERICA — è stata affidata a GIGI CANE, ass:stente alla cattedra di lingua e letteratura angloamericana alla Facoltà di lettere del l’Università di Torino. dy Hiller, di oui pure si ammirano le belle doti di attrice colta e sen sibile, è stata sovrastata dalla difficoltà della parte. Le sono sfuggite, nonostante la evidente ansia di ricerca, le sfumature r i velatrici del carattere del suo per sonaggio. Perfetto, invece, in un ruolo che si direbbe scritto pro prio per lui, il finissimo Basii Rathbone del quale il pubblico italiano ricorda attraverso lo schermo la glaciale correttezza, l ’ironia spietatamente intelligente. Al « Fulton » ancora un dram ma ispirato a fatti e figure del recente conflitto: Cammand De cisioni, tre atti di William Wister Haines. Nonostante la naturale e giustificata diffidenza con cui la critica accoglie opere del genere dopo che anni di impressionante frequenza sulle scene ne hanno logorato fino alla corda gli arti fici onde se ne è in vario modo mascherato la inevitabile retori ca, Command Decisioni ha pro dotto la favorevole impressione di un lavoro meditato e sofferto ol tre che condotto con buona intel ligenza drammatica e senza pur far gridare al capolavoro. L’azio ne, praticamente contenuta nel titolo, volge intorno alle crisi di coscienza, ai dubbi ed alle igno rate, o peggio, fraintese, soffe renze dei capi militari dibattuti fra le superiori esigenze del loro ufficio e gli impulsi della loro sensibilità di uomini destinati dalle circostanze a mandare al fuoco e alla morte altri uomini. Lo Haines non polemizza: si li mita a narrare, ad esporre i fatti lasciando al pubblico di giudicare e di pronunziarsi sulla consisten za morale della sua fatica. Il pubblico ha capito ed ha dato il suo consenso forse grazie anche alla recitazione commossa ed ef ficace di Paul Kelly, Jay Passet, Paul Me Grath, James Whitmore, Edmon Ryan. Benissimo la dire zione di John O’ Shaugnessy e Tallestimento scenico di Jo Mielziner. Non è beilo, invece, ciò che Patsy Ruth Miller, Forman Brown e Franz Steininger hanno fatto a Tchaikovsky usando il no me del grande musicista per no bilitare la gracile sostanza idi Mu sic in nny Heart presentata all ’«Adelphi» con la complicità di Ruth Page e del produttore Hen ry Duffy. Music in my Heart do vrebbe essere, secondo le inten zioni dei suoi autori, l ’interpreta zione spettacolare della vita di Peter Ilych Tchaikovsky attraver so le musiche tolte a significare i momenti della sua formazione ar tistica e le tappe della sua esi stenza di uomo. Ma riesce disa gevole ricostruire la nobile figu ra di lui da «lyrical songs » che si chiamano, tanto per fare un esempio, No! No! No!: il pubbli co rifiuta di credere, cioè, che Tchaikovsky possa dividere il suo movente ispirativo con gli allegri compositori di motivi popolari di Broadway. Allo stesso modo che rifiuta di credere al suo buon gu sto se gii si fa dire ad una don na, la prima volta che la vede: — Signora, in verità, voi siete bella come un fiore. — Comunque Music in my Heart ha una giusti ficazione: il soprano Marta Wright (la signora beila come un fiore) che con il fascino della splendida voce ha tratto a salva mento lo spettacolo. Ma, nono stante tutto, non ci sembra bello che si sia approfittato di Tchai kovsky. «Il bene che noi vogliamo ai nostri cugini britannici, scrive Brook Atkinson sul The New York Times, ci vieta di manife stare tutto il nostro pensiero su questo Under thè Counter che essi ci hanno inviato, vogliamo supporre, per un deplorevole equi voco di spedizione e che il nostro « State Departmente » ha accet tato con estrema leggerezza. Un der thè Counter, commedia di Arthur Macrease con musiche di Manning Sherwin e liriche di Harold Purcell, inscenata allo «Schubert Theatre » da Jack Hulbert: una cosa aggrovigliata e pesante, che alterna fiere inten zioni di satira sociale, politica e di costume a infelici scorribande di pura fantasia ed a squallidi tentativi di generico umorismo. Può darsi che il pubblico londi nese, più addentro nello spirito della cosa, più informato sulla portata di certe allusioni e sul si gnificato comico di certe situa zioni si sia, a suo tempo, divertito. E’ certo, però, che non si è diver tito il pubblico di New York al quale, fra l ’altro, è stato non ul timo motivo di noia la dittatura scenica di Cicely Courtneidge che, nelle vesti della protagonista Jo Fox, non ha abbandonato la r i balta per lo spazio di un secondo. Un’altra riduzione, questa volta da un’opera poetica di Robinson Jeffers, ha tentato Michael Myerberg con i due atti del dramma Dear Judas inscenato al «Mans field Theatre ». Diciamo subito che, per le difficoltà superate nel la trasposizione drammatica del testo poetico, nella ottenuta flui dità dell’azione, nel vigore espres sivo del dialogo, l’opera può rite nersi eccellente. Jeffers non ave va pensato al teatro scrivendo il suo poema ove è proposta pole micamente una nuova interpreta zione della classica figura del tra ditore Giuda che egli ci vuol pre sentare come uomo sensibile ed affettuoso, intimamente preoccu pato delle conseguenze della rivo luzione del Cristo. Giuda non cre de nella divinità del Maestro, ma lo ama. Appunto perchè lo ama e vuol salvarlo da sè medesimo, lo indica ai soldati di Roma nella speranza che il suo arresto, non la morte ch’egli non prevedeva, valga ad arrestare e quindi a di sperdere l ’efficacia della predica zione sostanzialmente sovvertitri ce di lui. A questo Giuda riabili tato fa riscontro la figura di Ge sù, intesa dal Jeffers come « sol tanto uomo » : posseduto da una inspiegabile volontà di potenza e da una pericolosa ambizione; ta le, cioè, da giustificare l ’azione del discepolo. Questa la materia, tutt ’altro che agevole a maneggiarsi, che Michael Myerberg è perve nuto a trasformare in spettacolo piegandola accortamente alle par ticolari esigenze della scena col r i solvere gli atteggiamenti propri della poesia in termini specifici di teatro : recitazione in luogo di de clamazione, colore e movimento invece di descrizione, visione an ziché suggestione. Sotto la dire zione dell’autore, il complesso de gli attori ha agito con rara vali dità. In particolare, Margaret Wycherly — la madre di Gesù — ha fatto della sua parte un do cumento di passione umana e mi stica che ha mosso anche gli spet tatori più diffidenti. Roy Har'grave, il protagonista, ha inteso perfettamente ciò che si voleva da lui ed ha creato un giovane Giuda sensibile sino allo spasimo, buono e debole e impulsivo, tra volto in un atroce gioco che egli stesso ha provocato. La sostanza poetica di Dear Judas quale la co nosciamo dal testo originale di Robinson Jeffers è discutibile in quanto troppo spesso il veleno polemico prende la mano all’ispi razione e la forza ai suoi fini. Ma questo è un altro discorso : qui, sopra ogni considerazione let teraria o religiosa, interessa rile vare come la riduzione di Myer berg si ponga fra le più interes santi prove di « pura tecnica » di questi Ultimi mesi. Gino Caimi New York, novembre iQ4y .■ D I CHI DICE E D I CHI FA ♦ Il Prof. Amedeo Tosti, capo del Servizio del Teatro, ci ha co municato che la sovvenzione di un milione e mezzo per le tre recite di Piccola città, con El sa Merlini, al Teatro dell’Ope ra, non è stata concessa dal ' «Direttore del Teatro » ma dal Governo. Il Governo non è una entità astratta; esistono degli uo mini preposti a formare un Go verno. Chi di loro ha concesso il milione e mezzo, senza nemmeno preoccuparsi dell’Ufficio Servizio del Teatro presso la presidenza del Consiglio dei ministri, dato che il capo di esso, dichiara di non entrarci per nulla? Il Prof. Tosti, che scrive a pa ragrafi, esaurito il primo di cui sopra, passa al secondo : « Qual siasi sovvenzione — dice — an che la più modesta, a beneficio di Enti ed istituzioni teatrali, vie ne sempre concessa su decisione di Commissioni, la cui composi zione è stabilita per legge». Be nissimo, ma chi sono questi si gnori che formano la Commis sione? Un giorno il Prof. Tosti ci scrisse che « la Commissione si stava formando», ma poi non abbiamo saputo più nulla. E’, dunque, formata? Ci siano comu nicati i nomi, per favore. Il paragrafo terzo è per fatto personale: il Prof. Tosti dichia ra : «come altra volta ho avuto occasione di comunicare » che non è mai stato generale. La stessa dichiarazione è stata fat ta all’«Unità» di Roma, ma al cronista di quel giornale, il Prof. Tosti, aggiunge : «non sono mai stato generale, perchè sono an cora colonnello ». Al che il cro nista ribatte che ciò è deplore vole per il Teatro, dal momento che la nostra categoria è da due anni in mano ad un militare, e, per equiparare le posizioni, chiede che al comando dell’eser cito, o quanto meno del reggi mento di fanteria di stanza a Roma, sia subito nominato, dal nostro Governo, Paolo Stoppa. Intanto la casa Editrice Rizzoli, pubblica a dispense la Storia del la seconda guerra mondiale di Paolo Tosti. Si tratta di un omo nimo, oppure l’autore di questa opera è il nostro Capo del Servi zio del Teatro? Se così fosse, do manderemmo che la Storia del Teatro Italiano esca a dispense, presso Rizzoli, per opera di Elìsio Marras, capo di Stato Maggiore deH’esercito. * Un italiano di Buenos Aires, il signor Ferrari, ha scritto a Re nato Simoni pregandolo di leggere una sua commedia. Amabile come sempre, l ’illustre critico ha rispo sto che lo avrebbe fatto volentieri. E quando Simoni ha poi comuni cato il suo giudizio al signor Fer rari, questi ha risposto dicendogli di volergli dimostrare « anche in modo pratico » la sua gratitudine e che perciò esprimesse un desi derio, qualsiasi desiderio. Renato Simoni, ha risposto che per noi, IN UNO D E I PROSSIMI FASCICOLI, PUBBLICHEREMO Q U A T T R O D O N N E DRAMMA IN TRE ATTI DI M ARCEL M O U LO U D JI VERSIONE DI BRUNO ARCANGELI Rappresentalo eon grande successo al Teatro Odeon di Milano, il 4 novem bre 1947, da Vivi Gioi, Fanny Marchiò, Cesarina Gheraldi, Renata Negri gente di teatro dell’altra genera zione, la Casa di riposo degli ar tisti drammatici, è una istituzione che ci sta molto a cuore. Il signor Ferrari ha fatto pervenire, alla Casa di riposo, duecentomila lire. Noi non sappiamo se il signor Ferrari ha scritto un capolavoro e quale sia stato il giudizio di Re nato Simoni sulla sua opera, ma ci auguriamo che quel gentile si gnore, italiano d’America, scriva una commedia il mese, e la mandi da leggere a Simoni, mantenendo le stesse condizioni di generosità. * La seconda Compagnia del l’Istituto Italiano del Dramma — la « Città di Roma » — ripren derà le recite al Teatro delle Arti di Roma, come abbiamo annun ciato, in questo mese. L’esordio avverrà con Marito e moglie, la nuova commedia di Ugo Betti; la seconda commedia, sarà, pur troppo, Addio giovinezza di Camasio e Oxilia. Ma noi ci augu riamo che questo infantile pen siero di Ruggì, non diventi realtà, e che il tempo, il denaro e la di gnità della Compagnia, siano mes si al servizio di una nuova com media di Luigi Chiarelli (vedi «Taccuino »). I rimpianti di Addio giovinezza sono, oltre che inutili, dannosi all’Istituto. Si può sba gliare, si può avere degli insuc cessi, ma non cadere nel ridicolo. La terza commedia sarà II figlio di Leopoldo Trieste, uno dei giovani meglio preparati del nostro tea tro, che ha già al suo attivo no tevoli successi, e noi stessi abbia mo pubblicata la sua Cronaca dopo la rappresentazione a Mi lano, l ’anno scorso. * La Compagnia « Città di Ro ma » non deve avere un buon amministratore (Lorenzo Ruggì è direttore artistico e crediamo non si O'ccupi e non sappia di cifre) se al Teatro Eliseo, dove ha agito dal giorno dell’esordio, per la prima parte della stagione romana, invece di ottenere un contratto a percentuale (non di ciamo : ottenere un’assicurazione, che sarebbe troppo) ha pagato al gestore del teatro, signor Torraca, cinquantamila lire il giorno, re citando o non recitando. Si vede che il denaro lo ha dato lo Stato. * Il 29 novembre, esordirà a Napoli, la nuova Compagnia di Umberto Melnati. Il popolare at tore reciterà una nuova comme dia comica di Nicola Manzari: Antonio. * Paola Borboni, ha cambiato il « giro » della sua Compagnia : ha esordito il 6 novembre a Pisa e reciterà alla Pergola di Firenze, dal 15 al 27. In questa città, rap presenterà la nuova commedia in tre atti di Carlo Trabucco : Claire de lune. Dopo un mese in To scana, la Borboni andrà in Sici lia; ritornerà poi a Roma, ed in fine spera di salire nel nord. * A Genova, è sorto il «Tea tro d’Arte della città di Genova » che è un teatro comunale «sì e no » secondo le dichiarazioni del l ’assessore Carla Mazzarello, all’Unità di quella città. « Comunale — dice la Mazzarello — in quanto un teatro volere o no interessa la cittadinanza, la cultura del po polo non meno della scuola e dei musei. Non comunale, sul piano economico. E’ nota la situazione finanziaria del nostro Comune e non si potrebbe chiedergli mira coli. Dunque, noi abbiamo ap------------------------------- 59-------- poggiato un’iniziativa buona e uti le e ne controlleremo l ’azione, ma non finanzieremo il teatro ». Presidente del Teatro è l’asses sore anziano al Comune Azzo Torri; comitato direttivo: Gian Maria Guglielmino; Giannino Galloni; Giulio Cesare Castello; Carla Mazzarello. Un momento. Se il Comune di Genova dichiara, e ci tiene a far lo sapere subito: non finanziere mo il teatro, quali aiuti materia li, sia pure secondari, porterà al l’iniziativa? Sala, luce, inservien ti, affissione? Perchè un contri buto materiale dovrà pur portar lo il Comune di Genova, se — ar tisticamente — ne esige di con trollarne l ’azione. Dichiarazione comunque compromettente, giac ché un Teatro d’Arte non deve avere il controllo di nessun partito altrimenti è già defunto prima di nascere. Il «Piccolo Teatro » di Genova inizia con Tristi amori di Giacosa, e vi prenderà parte Sal vo Randone. B IB L IO T E C A Non domandate i fascicoli di «I) Dramma » —nuova serie — N. 1, 2-3, 4, 5 e 29. Sono esauriti. AVVERTENZA: Istituendo anni fa questo servizio dìi ricerche e di of ferte per i nostri lettori, abbiamo vo luto facilitare tra essi quel compito di scambi che agevola le possibilità di studio, il completare una collezione, trovare un volume esaurito dai librai. A poco a .poco, per quanto noi tenia mo ugualmente a freno i desideri de gli inserzionisti, alcune richieste ten tano di portarsi su un terreno com merciale, che non è nelle nostre in tenzioni. Quando un lettore offre dei fascicoli della nostra Rivista e dei vo lumi delle nostre Collezioni, deve pre occuparsi che ciò che offre come pri vato, non leda gli interessi della nostra Amministrazione; altrimenti giunge remmo all’ingenuo paradosso di offri re per conto altrui ciò che possediamo nel nostro magazzino di editori, e ven diamo. Ecco perchè da una, a vòlte in terminabile, Usta di numeri, noi pub blichiamo soltanto l’elenco dei fascì coli che non abbiamo e perciò ci è indifferente che altri li vendano. Per sapere quali sono i fascicoli arretrati che VAmministrazione dispone, basta guardare il nostro «Catalogo dei fasci coli disponibili ». Infine, il lettore di screto deve tener presente che si pos sono occupare in questa rubrica due o tre righe di spazio e non delle co lonne, quante ne occorrerebbero se pubblicassimo per intero gli elenchi che ci pervengono. ROBERTO DIAS - via Pantano, 61 Napoli, Offre; 1 fascicoli di «li Dram ma »- vecchia serie - numeri 375, 376, 377, 309, ed il n. 29 della nuova serie. Cerca i seguenti fascicoli della vecchia serie: n. 87, 91, ¡110, 253, 366, 379. ------- GO B L’interesse di abbonarsi alla nostra Rivista è reciproco. A noi serve per l’innegabile garanzia commerciale che l’abbonamento comporta; a voi è ugualmente utile perchè qualsiasi aumento la rivista può o potrebbe subire nel corso dell’anno, l’abbo nato è sempre escluso da ogni mag giorazione. A tale riprova riportiamo quanto abbiamo scritto nel fascicolo n. 40 dei 1° luglio 1947 (ultimo aumen to di prezzo della rivista): « NESSUN AUMENTO AGLI ABBONATI FINO ALLE SINGOLE SCADENZE». ❖ C’è ancora qualche giovane, aspirante attore, o qualche attore con serietà di intenti, che non co nosce il nostro primo volume della Collana « Intermezzo »: L’attore'! E’ un piccolo libro per i giovani che •cercano brancolando sè stessi. Abbiamo voluto regalar loro una idea ed un metodo. ❖ La «Compagnia Città di Roma » dell’Istituto italiano del Dramma, ha ottenuto — come s’è detto — il Teatro delle Arti di Roma. E vi rappresenterà anche Addio giovi nezza. Allora è giusto che tutte le filodrammatiche recitino Sartre. >!< Quel poco di teatro che oggi si fa, sembra fatto soltanto per piacere ai ricchi. Andreina Pagnani ha una bella casa a Positano. Accanto alla casa c’è un alberello di ciliege che que st’anno ha dato tre ciliege. Molto lieta di questo evento botanico, io comunica ad Anna Magnani in vi sita da lei. — Beh! — dichiara Anna, in se miromanesco — e buttalo via, se fa solo tre ciliege! — Che vuol dire, poverino? — risponde dolcemente e quasi com mossa Andreina — l’anno venturo ne farà quattro. >£ Hanno portato una commedia a Ruggeri. L’ha letta. Quando vanno a domandargli che cosa ne pensa, l ’illustre attore rimane un po’ in terdetto: è evidente che non vor rebbe esprimere il suo parere. La persona incaricata cerca di farlo parlare: — Certo... si capisce... si tratta di una commedia di carattere... — No, no — risponde Ruggeri — di cattivo carattere. >i< Dopo la prima rappresentazione a Milano di una nuova commedia, il giovane regista ha fatto questa dichiarazione alla stampa: «Fino ad oggi ero dall’altra parte del fiu me: tutte le mie precedenti regìe non mi avevano permesso di tra ghettare. Ma con quest’ultima, sen to che passo ». Proprietà artistica eletteraria riservata alla Soc. Ed. Torinese - Corso Valdocco, 2 - Torino - LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile. UN ALTRO M ILIO N E PERLACASADIRIPOSODEGLIARTISTIDRAMMATICI I lettori ricorderanno benis simo come La nostra Rivista, l’anno scorso, con una pubbli ca sottoscrizione, ha potuto far dono alla Casa di riposo degli Artisti Drammatici, di un mi lione. Le condizioni dell’Isti tuto di Bologna non sono nè peggiori nè migliori di quelle deH’anno scorso; soltanto è giunto un altro inverno, e du rante l’anno — lo sapete per chè ne abbiamo riportata la cronaca — nuovi ospiti hanno trovato sicuro asilo e tranquil lità tra i vecchi compagni d’arte. OCCORRE UN ALTRO MILIONE e noi ci proponiamo di ver sarlo man mano che raccoglie remo questa somma, certamen te nei mesi invernali; la prima vera troverà tutti sorridenti un’altra volta. Dobbiamo, dun que, dare un altro milione. Do daremo, fra tutti, certamente; non vogliamo bene ai vecchi compagni d’arte solo perchè ci sovviene ancora del loro no me. Se sono stati meno fortu nati di noi, meritano per que sto maggior ricordo e miglior affetto. Abbiamo fatto stampare, per gentile offerta della SET, no stra editrice, duemila biglietti da cinquecento lire l’uno: esat tamente un milione. Ogni bi glietto porta un numero pro gressivo ed il nome e l ’indi rizzo dell’offerente. E’ aggiun ta la preghiera di conservare il biglietto stesso, perchè, a vendita chiusa, esso può anche dare una sorpresa assai gra dita. Chi può farlo ci mandi cinquecento lire, specificando che si tratta di questa sottoscrizione, e riceverà il suo bi glietto. Abbiamo anche fatto preparare dei blocchetti di cin quanta biglietti e per il va lore di venticinquemila lire; che daremo a coloro che vo gliono bene agli attori di oggi e di ieri, perchè si occupino della vendita. Chi desidera uno di questi blocchetti, può ri chiederlo. Se non venderà tutti i biglietti, restituirà quelli in venduti. gg La nostra iniziativa non avrebbe potuto avere maggiori consensi. Abbiamo già venduto centinaia di biglietti. Pubbli cheremo nel prossimo fascicolo doppio —numero di Natale del 15 dicembre — il primo elenco dei nomi ed il numero di bi glietti che gli amici benefattori hanno già comperato. Il successo dì questa nostra Collana I Capolavori è inconfondibile. Il primo volume (Ibsen) è.risultato, per concorde parere ili studiosi eia wooàoelo isiìckDicJoòo V WcAdvdcIj e critici, e per preferenza e simpatia di pubblico, la sola raccolta P0 L L M E SECONDO perfetta delle opere in versione italiana del grande norvegese. Il secondo volume Dumas f ig l io non sarà da meno dell’opera IN P R E D A R A Z IO N E precedente. Raccoglieremo in un solo volume di mille pagine, su carta speciale, nitidi caratteri e rilegato, il teatro del maggiore rappresentante, universalmente conosciuto, del Teatro Romantico dell’Ottocento. Seguiremo lo stesso criterio che ci ha guidati per il volume Ibsen: ogni commedia sarà nuo vamente tradotta da uno scrittore, critico, comunque .esperto di letteratura teatrale, che alla versione stessa farà precedere una nota informativa su quella singola opera. Si avrà così, per gusto e tendenze diverse, il pensiero di numerose personalità del mondo teatrale di oggi, sull’autore e sul Teatro Romantico, ratte le versioni saranno condotte sulla edizione definitiva Michel Lèvy, 1867, quella alla quale Dumas figlio fece precedere alla Signora dalle camelie la storia vera dell’eroina del romanzo e del dramma: Alfonsina Plessis. Storia che sarà riportata anche nel nostro volume. A parte tutti i cenni introduttivi per ogni commedia, do vuti ni singoli traduttori, il volume avrà un’ampia prefazione generale sull’autore e sul Teatro dell’Ottocento. 6Y0 m Cip Cp^Cp CtrDOpCppNCp CYO m i i U I I I I . I I U T » , I I I LA DAME AUX CAMELIAS (1852) LUCIO RIDENTI * DIANA DE LYS (1853) PIERO OTTOLINI * LE DEMI-MONDE (1855) DO MENICO LANZA * LA QUESTION D’ARGENT (1857) MANLIO DAZZI ¥ LE FILS NATUREL (1858) ELIGIO POSSENTI * UN PÉRE PRODIGUE (1859) GINO DAMERINI ¥ L’AMI DES FEMMES (1864) ALESSANDRO VARALDO ¥ LES IDÉES VDE MADAME AUBRY (1867) MARIO CORSI * LA PRINCESSE GEORGES (1871) CARLO LARI * LA FEMME DE CLAUDE (1873) LORENZO GIGLI * MONSIEUR ALPHONSE (1873) ALDO CAMERINO * L’ETRANGÈRE (1876) CELSO SALVINI * LA PRIN CESSE DE BAGDAD (1881) BRUNO BRUNELLI * DENISE (1885) PIERO RAIMONDI * FRANCILLON (1887) GIGI MICHELOTTI * PRESENTAZIONE GENERALE DELL’OPERA DI RENATO S-JMONI Oltre1 l'edi.7.ione normale, anche questo secondo volarne dei Capolavori avrà un edizione di lusso, ad personatn, con rile gatura da amatore, come è già sialo falla per /'Ibsen qualtrocentonor arila copie, e dieci copte fuori commercio. E D IZ IO N I DI »I L DRAMMA» D ELLA S O C IE T À E D IT R IC E T O R IN E S E 4 1 ¡ a G z z a e t t a d z z t t a e e l P S o p o e r a ILLU S T R A Z IO N E DEL POPOLO IL DRAMMA-TEATRO G AZZETTA IN T E R M E Z Z O DEI P IC C O L I TUTTOSPORT - RADIOCORRIERE \ %Jb Wm:k >\.v> ì S O C I E T I T R I C E I CAPO LAVO R I PRENOTARE 11 SECONDOVOIUME T O R ! N E S ■ ET ■

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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