30° ANNO - N. 195-196 - 1° GENNAIO 1954 s m . » . p ^ i o ^ LIRE 500 L D A I QUINDICINALE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI M M R A i l n u o v o d e n t i f r i c i o v e r a m e n t e a n t i b a t t e r i c o PICCO LO TEATR O D E LLA C IT T À DI M ILA N O PALAZZO DEL BROLETTO VIA ROVELLO, 2 Telefoni dir. 803-464 - 896-915 - Cassa 872-352 - 877-663 - Sartoria 877-901 O N A I L A T I O « « El * © « t*3 fe; « h © « Et t*a Et * Arlecchino, servitore di due padroni I giganti della montagna N. N. II Corvo Filippo Gente nel tempo L’alba dell’ultima sera Questa sera si recita a soggetto Alcesti di Samuele La putta onorata Gli innamorati L’oro matto Frana allo scalo Nord L’amante militare Emma Il cammino sulle acque Sacrilegio massimo Sei personaggi in cerca di autore Lulù Un caso clinico Le veglie inutili Appuntamento nel Michigan Le nozze di Giovanna Phile La vedova scaltra La sei giorni L’albergo dei poveri Le notti dell’ira Il mago dei prodigi L’uragano Querela contro ignoto Don Giovanni Delitto e Castigo La selvaggia Riccardo I I La tempesta Assassinio nella cattedrale Il gabbiano La famiglia Antropus La bisbetica domata Il piccolo Eyolf La parigina Riccardo I II La guerra di Troia non si farà I giusti Estate e fumo II misantropo La morte di Danton Casa di bambola Non giurar su niente Enrico IV La dodicesima notte Elettra Il medico volante Oplà, noi viviamo Macbeth Elisabetta d’Inghilterra Il revisore L’ingranaggio Giulio Cesare Milano e Venezia Firenze San Miniato Londra Parigi Asti Zurigo Knokke Le Zouthe Bruxelles Losanna Ginevra Verona Napoli Vicenza Copenaghen Stoccolma Gotemburgo Oslo Berlino SPETTACOLI 56 OPERE 59 ATTORI SCRITTURATI 184 RECITE A MILANO 1458 RECITE IN VARIE CITTA’ ITALIANE 356 RECITE ALL’ESTERO 83 ITALIANI STRANIERI TOTALE CLASSICI NOVITÀ’ TOTALE 23 33 56 11 22 33 12 11 23 m m m s t a b i l i d i i t e a t r o d i a i a u n m * * GLI attori: Aldo Alori - Armando Alzelino - Adriana Asti - Memo Benassi - Lilla Brignone - Sandra Casalis - Vincenzo De Toma - Bino Gaggiotti - Giorgio Malvezzi - Glauco Mauri - Davide Montemurri - Mario Molfesi - Marcello Moretti - Franca Noti - Diego Parravicini - Laura Eizzoli - Enrico Maria Salerno - Gianni Santuccio - Loredana Savelli - Matteo Spinola - Riccardo Tassani. * DIRETTORE: Ivo Chiesa - amministratore: Angelo Silvestri - direttore di scena: Giuseppe Losavio - primo macchinista e costruttore: Bruno De Angelis - suggeritore: Agostino Durelli - secondo macchinista: Piero Favelli - attrezzista: Athos Ronchi - sarta: Ermana Bestetti. i PRIMI spettacoli scelti: F. M. DOSTOJEVSKIJ: I FRATELLI KARAMAZOV (adattamento in cinque atti di JACQUES COPEAU e JEAN CROUÉ - traduzione di Ivo Chiesa) - JEAN ANOUILH: L’ALLODOLA (commedia in due tempi - traduzione di Silvio Giovaninetti - novità per l’Italia) - DIEGO FABBRI: PROCESSO DI FAMIGLIA (dramma in due tempi - novità assoluta) - MOLIÈRE: IL TARTUFO (commedia in cinque atti - traduzione di Salvatore Quasimodo). * per i primi spettacoli sono stati finora invitati i seguenti registi: André Barsacq - Alessandro Brissoni - Orazio Costa - Mario Ferrerò - Gianni Santuccio, e i seguenti scenografi e costumisti: André Barsacq - Pier Luigi Pizzi - Gianni Ratto - Misha Scandella - Piero Zuffi. * La compagnia recita per tre mesi al Teatro di Via Manzoni a Milano e per il resto della stagione nelle altre città italiane. A L C U N I G I U D I Z I I F R A T E L L I K A R A M A ZO V « Le generazioni nuove, tanto più meritorie perchè hanno cre duto al Teatro quando appariva sempre minore il numero dei credenti, avanzano. Ieri sera abbiamo salutato non sola mente la nascita di una Stabile milanese che vuole e può por tare degnamente il nome di Stabile del Teatro Manzoni ma l’affermazione, in un grande palcoscenico, di un gruppo di forze teatrali nuove ». Corriere d’informazione (Orio Vergani « Continui e numerosi applausi a scena aperta e alla fine degli atti hanno salutato Lilla Brignone d’un’estrema sensibilità filtrata da un’estrema intelligenza; Memo Benassi che ha adu nato tutte le risorse, gli estri e gli squilibri del suo sorprendente istrionismo; Gianni Santuccio dal tumultuoso e disperato ardore; Enrico Maria Salerno stupendo per limpido nitore; Loredana Savelli d’una densa e provocante interiorità al calor bianco; Glauco Mauri e Davide Montemurri neolaureati dalla Acca demia d’Arte Drammatica, due autentiche rivelazioni... Il debutto della nuova Compagnia del Teatro Manzoni non poteva avvenire sotto migliori auspici. Per il complesso di attori che riunisce, per l’impegno e la serietà che dimostra, e purché mantenga fede alla promessa di un repertorio vivo, coraggioso e soprattutto modernamente impegnato, essa ha tutti i numeri per poter essere il primo, autentico e non equivoco teatro stabile finalmente degno di Milano ». Corriere Lombardo (Carlo Terron) « André Barsacq, regista dei Karamazov, ha ottenuto dagli interpreti il massimo grado di tensione. Benassi ha superato per intensità drammatica i suoi ruoli più potenti e turbolenti. Lilla Brignone è stata semplicemente travolgente. Tutta la lunga scena nel salotto di Katjerina meriterebbe di passare alla storia del teatro. Gianni Santuccio ha riproposto il suo stile di protagonista con straordinaria efficacia... Il numero delle chiamate è stato tanto fitto che non le abbiamo tutte registrate. Grande successo e unanime per ogni ordine di posti. Lo spettacolo lo meritava ». Milano Sera (Raffaele Carrier!) « Lo spettacolo è apparso come una stupenda lezione di stile, di precisione ». Settimo Giorno (Guido Rocca) « Dunque un alto spettacolo. Un pieno successo. Un pubblico fittissimo e soddisfatto ». Avanti! (Icilio Ripamonti) <« Così si è presentata al Teatro Manzoni quella che chiamano la compagnia dell'anno: e perchè impegnata ad un cartellone d’arte che non tralascia un dispiegamento spettacolare; e perchè aduna attori di buon nome con altri all’assalto della gloria ». Il Dramma (Vittorio Vecchi) L ’ A L L O D O L A « Anouilh non arriva alla commozione ma sommuove ugual mente la pietà. E a tale mèta l’ha soccorso anche la bella, .dolce, incantata interpretazione di Lilla Brignone, che ne ha fatto una delle più felici figure della sua carriera e stavamo per dire la più espressiva e potente, mirabile nelle espressioni e nella sofferenza illuminate da un candore raggiunto con intelligentissimo studio. Memo Benassi ha disegnato una figura di inglese, ironico e saputo, con sottile sarcasmo da quell’attore acuto ed esperto che è. Una lode va a Gianni Santuccio per gli accenti di solenne sincerità dati a Cauchon; al Salerno, che è un attore di sicuro avvenire, per la veemenza contenuta impressa all’Inquisitore; e a Marcello Moretti che è stato un Delfino buffo, al sempre preciso Alzelmo, al giovane Montemurri, al Mauri assai vivo e di ottime qualità di caratterista, al Tassani, alle gentili Asti, Casalis e Nuti e a tutti gli altri... Il successo è stato caldissimo. Parecchi gli applausi a scena aperta e nume rosi e insistenti alla fine degli atti ». Corriere della Sera (Eligio Possenti) « Al successo che il magnifico pubblico ha decretato al testo nè agevole nè leggero, non è stata estranea la nobiltà, l’intel ligenza,, la ricchezza e la bellezza dello spettacolo allestito dalla Compagnia Stabile del Manzoni... La recita è stata un successo personale di Lilla Brignone. Così fragile, così minuta e incantata; di un’ingenuità percorsa da infantili furberie e di uno sgomento emanante da un ineffabile pudore ». Corriere Lombardo (Carlo Terron) « Lo spettacolo è imponente. La regìa di Mario Ferrerò, ottima. Molto belli i costumi e la scena di Piero Zuffi. Il successo è stato clamoroso. Le chiamate moltissime ». Milano Sera (Raffaele Carrieri) « Questo testo acuto, discutibile, un po’ fragile ma vivo, si è concretato sulla scena in un grande spettacolo, in un grande successo, il maggiore di questo inizio di stagione: per la vigo rosa, luminosa regìa di Mario Ferrerò, per un saggio ancora una volta altissimo della Stabile del Teatro di Via Manzoni ». Avanti! (Icilio Ripamonti) « L’opera è recitata con limpida intensità, con dolcezza e con forza, da una Lilla Brignone esemplare ». La Notte (E. Ferdinando Palmieri) « Opera teatralmente degnissima, e di saldo vigore: ben musco- lata e quasi sempre benissimo equilibrata. Uno spettacolo, da parte della Compagnia Stabile del Manzoni, bellissimo. Lilla Brignone ha conosciuto le ovazioni del trionfo: il suo canto aveva la lucentezza felice di quello dell’allodola e lo strazio della colomba ferita: una freschezza infantile, una schiettezza di ansie e di commozioni, una vampa di anelito al sacrificio che non potevano trovare più poetica misura ». Corriere d’informazione (Orio Vergani) T e a t r o S A N T ’ E R A S M O a T A te m » cew&ee^e- DIRETTORE CARLO LARI MILANO - VIA DEI GIARDINI, 7 - TELEF. 667-112-667-113-667-114 « X? « IL TEATRO NON E’ PIU’ PITTURA : DIVENTA SCULTURA ». RENATO SIMONI ALESSANDRO DE ROSA amministratore - SERGIO GAGGIOTTI direzione tecnica e luci - HILDO BIRIBO’ direttore di scena. Fino ad oggi, esaminando le ragioni della cosidetta crisi teatrale, ci siamo fermati quasi sempre di fronte a due problemi: gli attori e il repertorio. Ma forse sarebbe stato opportuno allar gare il campo dell’osservazione, prati camente allontanandoci da una con suetudine (staremmo per dire : da una convenzione) teatrale alla quale il pubblico è ormai troppo abituato. E* probabile che il segreto di un miracolo di resurrezione possa trovarsi in un movimento più audacemente rivoluzio nario. Per lo spettatore assistere ad una re cita del teatro a scena centrale è una esperienza nuova: l’azione scenica ac quista una forza di suggestione fuori del comune. Convinti della validità delle ragioni che hanno favorito in tutto il mondo lo sviluppo dei teatri a scena centrale, gli organizzatori, con l’aiuto di pochi ma generosi illuminati amici, hanno dato vita al Teatro Sant’Erasmo. CARLO LARI f # (Ordine Alfabetico) D A N IE L E A M A R R A NTA/Ac- ¿tóC&frC' - SE R E N A BASSANO GASTONE BA R TO LU C C I - F IL IP P O D E G A R A R O M A N O B E R N A R D I - CARM EN R E N A T A D O N A T I F R A C C A R O - S IL V IO L O V E T T I - A U G U S T O M A S TR A N TO N I - A L IN A M O R A D E I - A D A M O TTA M A R IS A P E R C IA V A L L E - D O R A PO LATO - LU C IO R A M A - E D D A V A L E N T E - R E N A T A S E R IP A - L ID A FER R O (novità per VItalia) L A C A L Z O L A IA PR O D IG IO SA di Federico Garcia Lorca - L 'A L T R O F IG L IO di Luigi Pirandello Regia di Carlo L a ri - Composizioni sceniche dello scul tore Lucio Fontana - Regia dei m ovim enti scenici: Ugo D ell'A ra con la collaborazione di Gino Pessina - Musiche originali di Luciano Berio - Costumi di Fioroni 3 5 R E P L IC H E COM E U N LA D R O D I N O T T E di Enrico Bussano (novità assoluta) - Regia di Corrado Pasolini - in corso di rappresentazione. R O M A E L A F R A N C IA di Paul Claudel (novità per (L E P E R E l'Ita lia ) IIU M IL IE ) £ a ¿ ¿ p a t t a c d é h LA COMPAGNIA ITALIANA DI PROSA DIRETTA DA G I N O C E R V I in C I R A N O D I B E R G E R A C COMMEDIA EROICA IN CINQUE ATTI DI EDMOND ROSTAND (VERSIONE ITALIANA DI MARIO GIOBBE) CON E D D A A L B E R T IN I T IN O B U A Z Z E L L I LIA ANGELERI DINA SASSOLI ANTY RAM A Z Z IN I SERGIO F ANTONI ALBERTO LUPO GIUSEPPE P AGLI AR IN I PAOLO C A R L IN I E (per ordine alfabetico) Altamura Tullio - Bertelli Ferdinando - Bristot Antenore - Buratti Carlo - Bianchi Sem - Cecchini Ivan - - Corsini Gaetano - Cestari Nino - Ciaffi Cecilia - Chieri Marisa - De Santis Lucio - Donati Renata - Di Pietro Guido - Fantasia Franco - Fortis Giuseppe - Gatti Lilla - Gusso Giorgio - Gallinaro Vincenzo - Goggi Anna - Isnenghi Gualtiero - Imbaglione Amelia - Levi Susanna - Livi Agnutta ■ Marescalchi Grazia - Malvezzi Giorgio - Pianforini Massimo - Pescara Roberto - Pescara Vincenzo - Porta Pier Paolo - Rita Titta - Rita Carlo - Rità Paolo - Rosati Aldo - Sinagra Pina - Stinchelli Enzo - Salvadori Alfredo - Tadini Mario - Tonolli Gianni - Valli Tullio - Volo Andrea R E G ÌA d i R A Y M O N D R O U L E A U Figurini costumi - Bozzetti e scene di L I L A de N O B I L I Costumi realizzati da ANNAMARIA Calzature QUINTE - Parrucche MAGGI Costruzioni ARGANTE-CERTOSA-RIZZI - Attrezzeria RANCATI-TANI Gioielli CORBELLA - Fiori NOVA - Busti ELIOS Assistenza alla regìa GRAZIA MARESCALCHI Direttore del palcoscenico Renato Morozzi Istruttore duelli Franco Fantasia - Capo macchinista Ottavio Cioni Capo elettricista Vannio Vanni - Direttore di scena Ferdinando Santini Attrezzista Armando Benetti - Sarta Emma Manente - Parrucchiera Olga RAPPRESENTANTE LUIGI GATTI Suggeritore Mario Imbaglione Amministrazione Pasquale Pedrani LA COMPAGNIA ITALIANA DI PROSA DIRETTA DA G I N O E R V I C in I L C A R D I N A L E L A M I COMMEDIA STORICA IN QUATTRO ATTI DI ALFREDO TESTONI I N T B E R II Cardinale PROSPERO LAMBERTINI, arcivescovo di Bologna................................. GINO CERVI EGANO LAMBERTINI, suo nipote......................................................................... SERGIO FANTONI R Conte FRANCESCO DA V IA ................................................................................TINO BUAZZELLI R Conte FILIPPO ALDOVRANDI..........................................................................GUALTIERO ISNENGHI n Conte CORNELIO PEPOLI................................................................................GIORGIO GUSSO LORENZO VALSE PIETRAMELARA...................................................................... CARLO BURATTI R Conte GUIDO ASCANIO ORSI............................................................................ ALFREDO SALVADORI Il Generale DUCA DI MORTIMAR, comandante delle truppe spagnole........................ MARIO TADINI Il Canonico PEGGI, segretario del Cardinale Lambertini ...........................................GIUSEPPE PAGLIARINI CARLO DE BROSSES............................................................................................PAOLO CARLINI Il Canonico prof. FRANCESCO MARIA ZANOTTI....................................................GIORGIO MALVEZZI GIAMPIETRO CAVAZZONI ZANOTTI....................................................................PIER PAOLO PORTA Il Canonico ZAMBECCARI...................................................................................GIANNI TONOLLI L’abate CAVALCANTI............................................................................................TULLIO VALLI Don FILIPPO TIN TI............................................................................................ ALBERTO LUPO Don GIROLAMO GHEDINI, parroco a S. Michele del Mercato di Mezzo..................... LUCIO de SANTIS COSTANZO MORESCHI, cameriere del Cardinale Lambertini.....................................MASSIMO PIANFORINI CARLO, suo fig lio ............................................................................................... NINO CESTARI LELIO DALLA VOLPE, stampatore.......................................................................GIUSEPPE FORTIS IL MAGGIORDOMO di casa Pietramelara................................................................ SEM BIANCHI MARGHERITA LAMBERTINI, moglie di Egamo Lambertini.....................................DINA SASSOLI LAURA DAVIA, moglie del Conte Francesco D avia.................................................ANTY RAMAZZINI ISABELLA PIETRAMELARA, moglie di Lorenzo Pietramelara..................................LIA ANGELERI MARIA, figlia di primo letto di Lorenzo Pietramelara..............................................EDDA ALBERTINI CATERINA ORSI, moglie del Conte Guido Ascanio O rs i........................................... CECILIA CIAFFI La marchesa GOZZADINI......................................................................................GRAZIA MARESCALCHI 4 valletti del Cardinale L’azione si svolge tutta a Bologna dal settembre dell’anno 1739 al 19 febbraio del 1740 R E G ÌA D I ALESSANDRO BR ISSO N I Scene e Costumi di VENTERÒ COLASANTI T E A T R O O D E O N LA SALA CHE IL PUBBLICO PREFERISCE * IL PALCOSCENICO CHE GLI ATTORI AMANO Questo splendido teatro, che onora la Città e nel quale si svolgono sempre spettacoli di grande rilievo, attrazione ed interesse, è stato ram m odernato in questa Stagione, ed o ltre ad avere una sala accogliente ed elegante, possiede un « rid o tto » divenuto famoso P I W L O T U T I I O D E L L A C IT T À D I G ENO VA DIRETTO DA NINO FURIA E GIANNINO GALLONI STAGIONE DI PROSA 1953-54 IL FUOCO SULLA TERRA quattro a tti di François Mauriac - Novità per l ’Italia * COLOMBE quattro atti di Jean Anouilh - Novità per l’Italia * HEDD A GABLER quattro a tti di Enrico Ibsen * L A FA M IG LIA D E L L ’A N T I QUARIO tre a tti di Carlo Goldoni * LA MOGLIE D I CRAIG tre atti di Giorgio Kelly - Novità per Genova * LA COM M ED IA D E I G IO RNI tre a tti di R. V. Chiantella - Novità assoluta % PENSACI, GIACOMINO! tre a tti di Luigi Pirandello (PER ORDINE ALFABETICO) L U IG I ALM IR AN TE - MARIO BA R D ELLA - GINO BAR- D E L L IN I - MAURO BE N E D ETTI - G IU LIO BOSETTI CESCO FERRO - V A LE N TIN A FORTUNATO - G ABR IE LLA GENTA - CLAUDIO GORA - RAOUL GRASSILLI - AFRO SACCANI - A M E LIA ZERBETTO - L IN A VOLONGHI j \ (j ALESSANDRO FERSEN - CLAUDIO GORA G IANNINO G ALLO NI - G IU LIO PACUVIO SCENOGRAFIE DI EMANUELE LUZZATI E GIANNI RATTO * COSTUMI DI EBE COLCIAGHI ED EMANUELE LUZZATI ESEGUITI DALLA SARTORIA DEL PICCOLO TEATRO DI MILANO * MUSICHE D I LU IG I CORTESE E FERNANDO CAZZATO M AINARDI 7 Z GENOVA - PIAZZA TOMMASEO. 7r - TELEFONO 31-532 A T E A T R O C A R I G N A N O I L G LO R IO S O T E A T R O D I PR O S A IT A L IA N O « Splendido e magnifico teatro : la regalità — poiché fu voluto da un principe : Luigi Amedeo di Carignano e realizzato dal primo architetto del re, il conte Bene detto Alfieri — è rimasta davvero ¿bvrana da tre secoli. Fu costruito esattamente nel 1752, ed ancora oggi si ha l ’impressione che le nobili memorie del suo passato si .nascondano nel fondo dei palchi, levino il volo dagli ori delle decorazioni, si radunino a convegno nel boccascena. I vari restauri non sono mai riusciti a vio larne la fisionomia primitiva, documento di un gusto, di un’età, di un genio architettonico. « Per Torino, il Teatro Carignano, si può ben dire che dalla sua fondazione ha registrato la parte più cospicua e viva della nostra storia torinese del costume, della letteratura e non poca della vita politica. « La “ Compagnia Reale Sarda ” accentrò al Teatro Carignano di Torino gli interessi degli autori e degli artisti italiani per treni ’anni ; in questo teatro si avvicendarono gli italiani e gli stranieri, sul suo palcoscenico l ’Arte Drammatica ebbe sempre privilegio e onori. Anche oggi continua ad averli. « Torino ha perduto con la guerra tutti i suoi teatri, ma Iddio ha voluto che fosse risparmiato il “ Carignano ” , ed in questo segno divino noi sentiamo una conti nuità fatale, la scena di prosa non deve e non può morire. Il “ Carignano ” è lì, nel centro di Torino, invitante elegante intimo, con una sonorità che echeggia antiche sonorità auguste e nobili, di un luogo ove anche per divertimento si va composti e rispettosi. Grande e magnifico teatro, che ancor oggi prosegue così nobilmente la sua vita, così civilmente la sua opera ». DALLA MONOGRAFIA DEL TEATRO CARIGNANO ONORATO CASTELLINO S.A.D.A.C. - SPETTACOLI ARTISTICI ANNA MARIA DANIELE CHIARELLA T N E A T R O U O V O r / / Il Teatro Nuovo è nuovo non soltanto perchè una continua ricerca (li ammodernamenti lo confortano, ma nuovo perchè vivo nello spirito che lo anima, come è vivo il cuore c forte l’esperienza (li Remigio Paone che lo conduce. I)i quel suo spirito egli anima sempre il “ Nuovo ” che porta in palma di mano, come solo si può “ tenere ” un teatro, se si vuole che resti sempre veramente un teatro. Affermando che il Teatro Nuovo di Milano è il primo teatro d’Italia, non si fa che precisare la convinzione del pubblico e della gente di teatro. Un vero teatro è molto di più di una sala di spettacoli: è soprat tutto un concentrato di orgoglio. E ciò in conseguenza della certezza che il Nuovo ” di Milano è il primo teatro d’Italia, per gli spettacoli e gli incassi. Ricordate gli avvenimenti d’arte che sono fioriti in quel teatro; pensate alla eccezionalità di alcuni grandi spettacoli, alla magnificenza degli artisti italiani e stranieri che si sono presentati da quella ribalta. Il Teatro Nuovo onora o glorifica una delle più illustri tradizioni di Milano: quella dell’arte della scena in ogni settore, vanto non minore tra i molti della industre e generosa capitale lombarda. 1. r. I POMERIGGI MUSICALI d i M i l a n o al T E A T R O N U O V O ■ y /rs y /r s/s NOVEMBRE 1953 - APRILE 1954 Æ ( / r . r / : / . r ; ; / r a ■ / 1 / v / sert MUSICHE IN PROGRAMMA DI PRIMA ESECUZIONE ALBAN BERG: Concerto per violino, pianoforte e tredici strumenti a, flato - HENRY BARRACI): Images sonore» pour un poète maudit - BOHUSLAV MARTINE: Concerto per quartetto e orchestra - IVAN KOGAN SEMENOPP: Concerto per violino, pianoforte e orchestra - SANDRO FUGA: Concertino per tromba e archi • ALBERTO BRUNI TEDESCHI: Birkenhead - CLAUDE PRIOR: Noche oscura - PAUL HINDEMITH: Concertino per corno e orche stra - HENRY PURCELL: Musiche per la « Tempesta » di Sha kespeare - FELICE LATTUADA: «Incanti della notte» e «Diver timento rustico » - CARLO PESTELLI: Concerto per piccola orchestra - ALFREDO CASELLA: La partita, per pianoforte e orchestra - DINU LIPATTI: Concerto per pianoforte e orchestra - ROBERTO LUPI: «Bucolica in memoriam » - STOC'KHAUSEN: Kontra-punkte - J. S. BACH: Concerto per oboe d’amore. 28 novembre 5 dicembre 1 ¿ UU^VlllUl V 19 dicembre / direttore Ettore GRACIS - « QUAR TETTO DEI POME RIGGI MUSICALI DI MILANO » direttore Roberto lupi - pianista o. PULITI SANTOLI- QUIDO direttore manuel rosenthal - pia nista TITO APRE A direttore Giorgio cambissa - violi nista MICHÈLE AU- CLAIR ?/ & / ■ S*-/;.)/; 30 dicembre 2 gennaio 9 gennaio 16 gennaio recital del pianista FRANCO MANNINO direttore sergiu celibidache - pia nista HELMUT RO- LOFF direttore sergiu CELIBIDACHE - vio linista RICCARDO BRENGOLA direttore ETTORE gracis - violinista MARCELLO TURIO - dU0 GULLI-CAVALLO 23 gennaio 30 gennaio 6 febbraio 13 febbraio 20 febbraio 27 febbraio 13 marzo 20 marzo n marzo 3 aprile 10 aprile 16 aprile X ' J a ; ; / ; ; a direttore normann del mar - pianista T AD DICI ANNAROSA direttore Pierre dervaux - oboista RENATO ZANFINI direttore f. moli- NARI PRADELLI - pianistaM. t. fran- direttore Ettore gracis direttore paul klegky - pianista EDUARD DELPUEYO direttore bruno bogo - pianista GIULIANA MARCHI direttore bruno ma- derna - violoncel lista BRUNO VITALE direttore Ettore gracis - duo pio vesan -SOLLIMA direttore gui Vit torio dir ettor e otto klemperer - pia nista ENRICA CA VALLO dir ettor e otto KLEMPERER recital del violinista VASA PRIHODA A . R . C Organizzazione R iunita Concerti al TEATRO NUOVO D I M ILANO SESTA STAGIONE CONCERTISTICA: OTTOBRE 1953 - MAGGIO 1954 xiiwiiiaiuiii / ^ • ' Vz/V' y/z/zzZ/z / jviiuon ruerKin OTTOBRE Mercoledì 2 PRO MUSICA ANTIQUA DI BRUXELLES Direttore: Stafford Cajie Mercoledì 21 QUARTETTO DELLA SCALA(Musiche di Brahms) Sabato 31 COLLEGIUM MUSICUM DI TORINODirettore: Massimo Bruni NO VEM BRE Giovedì 5 pianistaMARCELLO ABRADO Mercoledì 11 tenore PETRE MUNTEANU Mercoledì 18 pianista SERGIO PERTICAR OLI Mercoledì 25 I PICCOLI CANTORI VIENNESI (per la prima volta a Milano) In 'programma Voperina di Mozart «Bastien et Bastienne » - Con scene e costumi D IC E M B R E Giovedì 3 TRIO DI TRIESTE Mercoledì 9 I) U 0 PIANISTICO G 0 L D ■ F I Z I) A L E Mercoledì 16 pianista CLIFFORD CURZON (per la prima volta a Milano) Bai 17 Dicembre al 12 Gennaio 1954 festive sospensione per la ricorrenze ■ La Direziono si riserva il diritto di qualche spostamento o sostituzione per cause di forza maggiore. Avvisiamo però che tutti gli artisti in cartellone hanno sottoscritto regolare contratto. / X ’y r /ss Zz/Zz GENNAIO Mercoledì 13 pianista JOSE 1TURBI Mercoledì 20 pianista MARCELLO ABRADO Mercoledì 27 T HE GOLDEN AGE SINGERS (Il famoso gruppo polifonico inglese che si presenta per la prima volta a Milano) FEBBR AIO Mercoledì 3 soprano ELISABETTA SCHWARZKOPF Mercoledì 10 pianista S O L O M 0 N Mercoledì 17 pianista ED WIN FISCHER Mercoledì 24 pianista W I L H E L M BACK H A U S MARZO Mercoledì 3 violonc. M A S S I M 0 A N F IT E A T R O F F Mercoledì 10 pianista GHERARDO MACARINI CARMIGNANI Mercoledì 17 violinista WANDA RUZZATO Mercoledì 24 D U 0 R A M P A L - VEYRON LACROI X (flauto e piano) (per la prima volta a Milano) Mercoledì 31 pianistaW I L II E L M K E M P F F APRILE Mercoledì 7 DUO DI AMSTERDAM (violino e pianoforte) (per la prima volta a Milano) Lunedì 12 L A M E S S A D I P A P A M ARCELL 0 DI PALESTRINA Direttore: Guido Camillucci Mercoledì 14 NUOVO QUART. ITALIANO Mercoledì 21 pianista C A R L O V I I) U S S 0 Mercoledì 28 violinista RICCARDO BRENGOLA M AG GIO Mercoledì 5 pianista Mercoledì 12 pianista Sabato 22 pianista RUDOLF SERK l£N PIER ALBE R T 0 BIONDI Vincitore della Rassegna dell’A.R.C. 1953 ARTHUR RUBINSTEIN Chiusura della stagione r GL! SPETTACOLI ERREPI CELLA STAGIONE 1953-54 HANNO RAGGIUNTO LA SETTANTANOVESIMA FORMAZIONE ARTISTICA 0 7 0 j Compagnia OSIRIS MACARIO per le rappresentazioni di Made in Italy rivista di Garinei e Giovannini (settembre 1953-aprile 1954) STAN KENTON «The man of progressive jazz» con la sua orchestra e June Christy per la prima volta in Italia (ottobre 1953) f jf Théâtre National Populaire diretto da JEAN VILAR (ottobre 1953) 7 2 7 3 7 4 7 5 MAURICE CHEVALIER (ottobre 1953) Compagnia BILLI RIVA con LUCY D’ALBERT per le rappresentazioni di Caccia al Tesoro rivista realizzala da Garinei e Giovannini con la collaborazione di Ricci e Romano, Verde e Zapponi e di Calcagno, Falconi e Trattini (ottobre 1953 - maggio 1954) Funicoli Funicolà rivista di Armando Curcio con CARLO CROCCOLO, DOLORES PALUMBO, ENZO TURCO (ottobre 1953-maggio 1954) Compagnia di Prosa GINO CERVI per le rappresentazioni straordinarie di Cirano di Bergerac di Rostand con la regìa di Raymond Rouleau e del Cardinal Lambertini di Testoni con la regìa di Alessandro Brissoni (die. 1953-maggio 1954) ’Jf g | Compagnia RASCEL con Tina De Mola e con la partecipazione delle PETERS SISTERS per le rappresentazioni di Alvaro piuttosto corsaro, favola musicale di Garinei e Giovannini (dicembre 1953-giugno 1954) EDITH PIAFF per la prima volta in Italia (gennaio-febbraio 1954) J S j YMA SUMAC per la prima volta in Italia (marzo-aprile 1954) EDVIGE FEUILLERE e la sua Compagnia di Prosa (aprile-maggio 1954) N U O V O Q U A T T R O F O N T A N E R O M A 1 1 > '>-"> ."V-I CON SEDE IN MILANO - VIALE MONTESANTO, 5 • TELEFONI 637-695 - 637-302 - GESTISCE I SEGUENTI TEATRI S I I V I N I 2 E R G 0 N E X C E L S I C PER SPETTACOLI LI PROSA, OPE RETTA, RIVISTA, CONCERTI E CINEMA ( 'HT A J I \ PER SPETTACOLI DI PROSA E RIVISTA PER SPETTACOLI 1)1 GRANDI RIVISTE, OPERA, OPERETTA, CONCERTI, VARIETÀ E CINEMA PER SPETTACOLI CINEMATOGRAFICI CON O SENZA VARIETÀ, OPERA, OPERETTA, RIVISTA, CONCERTI. AL TEATRO È ANNESSA UNA GRANDE ARENA ESTIVA O N T T PER SPETTACOLI CINEMATOGRAFICI CON O SENZA VARIETÀ, OPERA, OPERETTA, RIVISTA, CONCERTI we-xa- IN QUESTE SALE SEMPRE IL MEGLIO DELL’A TTIV ITÀ TEATRALE IT A L IA N A E D I SPETTAC O LI S T R A N IE R I D I ECCEZIONE Il Teatro Eliseo (li Roma è un grande e moderno teatro clie onora l'Arte Drammatica per la tradi zione degli spettacoli, per l’eccezionaiità delle rap presentazioni, per gli inten dimenti che lo informano. La risonanza che l’“ Eliseo,, ha Italia e all’estero fanno di questo teatro la aristocrazia artistica della Capitale. in T E A T R O E L I S E O TEATRO D I PROSA r • /z//zzz,zrzzzz r/rz/zzrz/cz zz l \ l ( / IL SECONDO PROGRAMMA PRESENTA TRE OPERE DI LUIGI PIRANDELLO A - ¿¿-'¿e- £ / I -■ " ■ R U G G E R I ^ b e n e m r MARGHERITA BAGNI W M argherita Bagni L u ig i C im a ta LUIGI ('IMARA in OH, AM ANTE M IA TREATTIDI TERENCE RATTIGAN Irm a ed Emma Gramatica '“ « r a m a ™ ,, ™ TRA VESTITI CHE BALLANO f a t t o i ROSSO DI SAN SECONDO ■ / ' rr /* s/r , A? f r/s/sìj?r y ' / - / 1 U/ r/ry / ■ j Y I TRE GOBBI IN C O U R T E L IN E A L L ’ IT A LIA N A CINQUE ATTI UNICI # Franca VaIeri V ittorio Caprioli MheYlO BonUCCÌ PAOLO STOPPA IN T 0 P A Z E tre a tti w MARCEL PAGNOL - ^ 1 P a o lo S to p p a G O L D O N I P I R A N D E L L O t D r c ^ r m i r I l i L IS I E u s i I S E I P E R S Q N A G G l / V C E R E A D ’A U T O R E COMPAGNIA D I CESCO BASEGGIO R E G IA D I C O R R AD O P A V O L IN 1 /¿/x- ,^yi//^xt'c>4'&zz-y& - yy ^rzczcz? ¿A^orf izr/?/???zzx %^/i^ixAc>zz^^e- - y > ' y p g | 5(1* A M IV E R S A R IO D E L L A M O R T E D I A N T O N C E C O V óe-'txe- • /■//&■ /9 -y 4 CONVERSAZIONI A CURA DI RITRATTO DI A. CECOV - CECOV, TOLSTOI, CORRI - CECOV E TE TEATRO D’ARTE - LETTERE DI ANTON CECOV ALLA MOGLIE ETTORE LO GATTO SILVIO D ’AMICO INFLUENZA DI ANTON CECOV SUL TEATRO DEL ’900 ■ OMAGGI E TESTIMONIANZE DT SCRITTORI, REGISTI, ATTORI ITALIAN I LETTURE DAI RACCONTI DI ANTON CECOV ■ S U L L A V I A M A E S T R A 1 Y A N O V I L G A B B I A N O T R E S O R E L L E Z I O V A N I A I L G I A R D I N O D E I C I L I E G I U N A C O M M E D IA IN E D IT A IN P R IM A ASSO LUTA o / / / / / < / / / ' y / / / / / < * y j ? / P U L C I N E L L A . PULCINELLA E LE ATELLANE - IL NOME DI PULCINELLA - PULCINELLA BUFFONE DI PIAZZA - QUANDO È NATO PULCINELLA - LA FIGURA, IA MASCHERA E IL NASO - SILVIO FIORILLO. ANDREA CALCESE, MICHELANGELO FRACANZANI - IL PERSONAGGIO - I GESTI - LA PULCINELLATA - L ’ « ORFEO DE LI BUFFUNE» - SCURRILITÀ - CARLO SIGISMONDO CAPECE - FRANCESCO CERCONE - I CAMMARANO - PASQUALE ALTAVILLA - SALVATORE E ANTONIO PETITO - SCHIANO, MAREZZI E ZEZZA - AMORI DEL CETRULO - PUBBLICO POPOLARE - SCENOGRAFIA DELL'« IMPROVVISA » - I PULCINELLI - IL CITTADINO PULCINELLA - BURATTANO E MARIONETTA - PULCINELLA SE LA CHIESA > :';LE PULCINELLATE ROMANE - DIFFUSIONE - BIBLIO GRAFIA DELLE PULCINELLATE - BIBLIOGRAFIA DELLE PULCINELLATE A STAMPA. [MANOSCRITTE In alto, le disavventure di Pulcinella in una stam pa dell’Ottocento. Qui sopra un disegno di G. B. Tiepolo raffigurante diversi Pulcinella. 250 illustrazioni e otto tavole a colori 600 pagine di tosto, rilegate in tela l i i l i l V I Í • y / /¿/ù / ' r / ///'y r J / f f f r r / A r / A//¿a t?,0- / a c y r / r / * A r / / r r r y / /r RICCARDO BACCHELLI - ROBERTO LONGHI T E A T R O E I M M A G I N I D E L S E T T E C E N T O I T A L I A N O Di questo libro sono siali stampati 1700 esemplari, Uri quali 50 al nomo. 1 primi I I TO esemplari ilei restanti 1070 numerati, non sono vendibili; quindi sono in vendita soltanto 500 copie al prezzo di ■ Volume in grande for mato, con copertina a colori e scatola con immagini di 212 pagine su carta a mano appositamente fabbricata, che la Radio Italiana ha aggiunto alle pro prie Edizioni d’Arte, per contribuire alla diffusione della cultura teatrale e figurativa. Il testo di Riccardo Bacchetti Vocazione teatrale del Settecento italiano com porta 60. pagine, ed il testo di Roberto Bonghi Pittura e Teatro nel Settecento italiano 34 pagine. Delle 62 tavole con la dicitura a fronte che integrano il testo, nove sono in quadricromia. Ha curata l’edizione Marziano Bernardi. Arlecchino e Colombina, tela attribuita a Marco Marcola (Raccolta Worms di Parigi - Esposto a Venezia, nel 1929, alla Mostra del Settecento italiano). J Z J V ) EDIZIONI RADIO ITALIANA - TORINO - VIA ARSENALE, 21 IL MEGLIO DEL TEATRO DI IBSEN, DUMAS WILDE, MOLI E RE, SHAKESPEARE DEGLI ITALIAN l, STRINDBERG, È RACCOLTO IN QUESTA COLLANA ORMAI TANTO GRADITA E RINOMATA CHE IL SOLO VOLUME DI IBSEN È ALLA SETTIMA EDIZIONE * EDIZIONE DI LUSSO RILEGATA DA AMATORE E CON L’» AD PERSONAM ... y i m m m e a m m m a i g s E D I F F I C I L E F A R E U N R E G A L O M A Q U E S T I S E I S P L E N D I D I V O L U M I N E L L E D U E E D I Z I O N I R I S O L V O N O I L P R O B L E M A I sei volumi in edizione normale costano 17.300 lire; com perandoli lutti insieme direttamente da noi, il prezzo viene ridotto a 16.500 lire, (ili abbonati a «Il Dramma» pagano seicento lire di meno, quindi 15.900 lire. Per l'edizione di lusso aggiungere due mila lire per volume, costo della rilegatura in mezza pelle da amatore, e per l’« ad personam ». Chi non è abbonato paga, dunque, per l’edizione di lusso, 28.500 lire, mentre gli abbonati pagano 27.900 lire. Servirsi del e/c postale intestato a ILTE ¡V. 2/56. EDIZIONE MODERNA CARTONATA CON SOPRACOPERTA I I T E INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE ^ z z / z z / Z z zzzzzZ zZ zzz/Z z / PRESENTARSI IN UNA FAMIGLIA SENZA DONARE ALLE DONNE DI CASA IL T R I T T I C O D I C A L Z E M I L L E A G H I È QUANTO MERITARSI LA QUALIFICA DI EGOISTA T R I T T I C O M I L L E A G H I Z z s W /'/y y ' z /z / / / / / w / z B ? z Z z a a s /z z z z z t w L . 3 0 0 0 FRANCO DI PORTO LISTINO GRATIS M I L A N O VIA MANZONI 16 GARANZIA: OGNI TRITTICO PORTA LA FIRMA AUTOGRAFA DEL i n P I U D E F R A N C E S C H I H H gap h b b n T P ■ ■■ ■ ■ I * T ■ ■ h ^ mm E’ un indumento perfetto: risolve tutti i piccoli problemi della comodità clic prima imbarazzavano lo sciatore. Il TITISKI è di makò ritorto, compatto impermeabilizzato. Le ampie tasche in fustagno ricoprono interamente il davanti con un doppio tessuto adatto a mantenere il calore. Il modello è quanto mai semplice nella sua linea elegante: a cerniere “ chiuse ” la casacca è aderente, fascia la persona ed offre meno attrito all’aria nella discesa, proteggendo maggiormente dal vento freddo: a cerniere “ aperte ” , la casacca diventa più ampia e lascia maggior traspirazione. Il collo è regolabilissimo in varie posizioni, grazie alla cerniera. Il paraorecclii sostituisce il cappuccio, quanto mai antiestetico, ed è regolabile, in modo da adattarlo alla necessità di maggiore o minore protezione dal freddo. La striscia di maglia di lana non è un’applicazione esteriore, ma ha invece un compito importante: protegge la fronte dal freddo e, trattenendoli, non scompone i capelli. IN OGNI NEGOZIO DI ABBIGLIAMENTO MASCHILE, IN TUTTA ITALIA, T HO VE BETE IL TITISKI ^ f ^ ^ I I ^ I ANNO 30 - NUOVA SERIE - N. 195-196 L R A I QUINDICINALE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI D M M A 1° G E N N A I O 1 9 5 4 9 Compreso 15 dicembre 1953 DIREZIONE-AMMI NI STR AZIONE-PUBBLI CITA’ : ILTE (Industria Libraria Tipo grafica Editrice) Torino, corso Bramante, 20 - Telefono 693-351 - Un fascicolo costa L. 300 - Abbonamenti: annuo L. 6200; semestre L. 3150; trimestre L. 1600 - Conto corrente postale 2/56 - Estero: annuo L. 7200; semestre L. 3650; trimestre L. 1850 t a c c u in o LA MEDAGLIA NEL CASSETTO + Con questo fascicolo (195-196 della Seconda Serie, cui si aggiungono i 446 delia Prima Serie) la nostra Rivista ha trent’anni. Se il nostro lavoro ha potuto durare, e continua così giova nilmente per sì lungo tempo, formando la nostra esperienza teatrale — dopo aver militato nelle file degli attori — ed imbiancato i nostri capelli, vuole dire che qualche cosa è stato fatto non inutilmente. Ne siamo orgogliosi e ringraziamo tutti coloro, e ormai sono generazioni, che hanno avuto fede in noi e ci hanno sempre seguiti. Non nascondiamo di essere un poco commossi, ed anche tristi, perchè quando festeggiammo i venticinque anni avevamo vicino Renato Simoni. Egli scrisse, per questa Rivista che amava e spiritualmente dirigeva con la sua grande sapienza, consigliandoci sempre e collaborandovi continuamente, quasi ad ogni numero, parole che non abbiamo dimenticato. Anzi, esse sono il nostro credo e la nostra forza, perchè ora senza di Lui, dobbiamo dimostrare di essere degni dei suoi insegnamenti. A Renato Simoni che ci sorride dal Cielo, il nostro reverente pensiero, il nostro fraterno ricordo. Quando “ Dramma ” ebbe venticinque anni, anche Louis Jouvct volle degnarsi di uno splendido dono e di parole che per essere dette da un Uomo di fama mondiale, furono risapute in ogni Paese. Infine, in varie città furono tenuti dei raduni (prima iniziativa di Giulio Trevisani a Milano, alla Casa della cultura) per amatori di teatro che divennero affollatissimi convegni di discussioni e di intesa cordiale. L’eco di tutto questo giunse anche a Roma, nelle sfere ufficiali. E tramite Cario Trabucco, nostro caris simo amico, fummo informati — forse per conoscere il nostro pensiero e il nostro gradimento — che da parte della Direzione del Teatro si voleva offrire a “ Dramma ” una medaglia, quale riconoscimento dell’aver portato all’estero per sì lunghi anni, con una pubblicazione culturale, il nome e la lingua italiana, in un ambiente tra i più diffìcili, tra persone quanto mai edotte del movimento teatrale d’ogni Paese. E’ risaputo che la nostra Rivista ha larga diffusione all’estero, ed abbonati perfino al Giappone. Soltanto a Buenos Aires abbiamo un centinaio di associati. E’ anche risaputo che in nessun Paese, nemmeno a Parigi — che è tutta la Francia teatrale — nemmeno a New York — che è tutta l’America del Nord teatrale — esiste una pubblicazione che abbia la fisionomia inconfondibile della nostra, per la sua struttura, presentazione e carattere. Rispondemmo a Carlo Trabucco di essere onorati e lusingati della decisione e per qualche giorno ruminammo COLLABORAT ORI DI QUESTO FASCICOLO JAN DE HARTOG: CAPI TANO DOPO DIO, com media in tre atti ★ PAUL GREEN : GLI ABITI BIAN CHI, commedia in un atto ★ ERIK MULLER : FURIA D’AMORE, radiodramma in un atto -jfer Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubbli cazione): SERGIO CENA- LINO, ANTON GIULIO BRAGAGLIA, ANTONIO GANDUSIO, LUCIEN DE-i CRIEUX, LORENZO GI GLI, VITTORIO VECCHI, MADAME SIMONE, JAC QUES LEMARCHAND, LEON FINI, BRUNO BRU NELLA LUCIO RIDENTI, VITO PANDOLFI, GIGI MICHELOTTI * Coperti na: Giovanni Bellini, presen tazione al tempio (partico lare) ★ Disegni di Vellani Marchi, Warvitt, Pronel. Se guono le cronache cinemato grafiche e le rubriche varie. la bella dedica a “ Dramma ” , incisa dietro la medaglia, che Trabucco amabil mente ci aveva fatto conoscere. Ed attendemmo. Serena e fiduciosa attesa. Sono passati cinque anni. Il mese scorso, un mattino splendente di sole, percorrendo la più bella strada del mondo — via Veneto, a Roma — incontrammo Anton Giulio Bragaglia sull’angolo di via Lombardia dove il “ corago sublime ” abita. Anton Giulio andava a fare la spesa con la sua brava borsa sotto il braccio, ma il nostro incontro, davvero incon sueto (mancavamo da Roma da tempo) gli mandò a monte i carciofi e le altre verdure che andava a scegliersi con le sue mani, non fidandosi di nessuno, ci disse, tanto meno della sua domestica. E tra le molte notizie che ci scambiammo a vicenda, Anton Giulio ci disse che in un cassetto di una scrivania, alla Direziono del Teatro, c’è ancora una medaglia per “ Dramma ” , con dedica solenne che egli aveva letto. Rispondemmo ad Anton Giulio di conoscerne l’esistenza, ma non la ragione perchè non fu mai consegnata. Abbiamo saputo qualche giorno dopo, domandandolo a chi poteva saperlo, che non l’abbiamo più avuta perchè “ siamo stati cattivi ” . Questo vuol dire che è stata punita in “ Dramma ” la voce della categoria, poiché noi parliamo per bocca di chi vorrebbe e non ha possibilità di esprimersi. Se noi denunciamo ciò che nel Teatro non funziona 0 non va bene, e la Direzione del Teatro non fa nulla por correggere e riparare, tale operato non è che il nostro dovere, fa parte della nostra onestà, della nostra dirittura nel compito che ci siamo assunti. Dicendo questo non vogliamo certo farci merito, che eosì deve essere o dovrebbe, che è lo stesso. Ma nei nostri trent’anni c’entrano anche 1 “ taccuini” , o forse più di quanto si possa credere. Resti dunque la medaglia nel cassetto, tra gli oggetti eterogenei che ogni cassetto d’ufficio contiene, ma pregheremmo tanto di metterla in una busta con un’annotazione. Questa: “ Quando Lucio Ridenti sarà morto e ‘ Dramma ’ non porterà più il suo nome, questa medaglia sia inviata alla Casa di Riposo degli Artisti Drammatici di Bologna, in memoria di un uomo che fu, per amore del teatro, anche cattivo ” . Per noi, questo premio alla memoria sarà il compenso per tutta la vita fatta dono al Teatro e per il Teatro. Ringraziamo con viva gratitudine tutti coloro che hanno voluto inviarci una parola di augurio e di consenso per i trentanni di « Dramma ». Siamo grati soprattutto a quei lettori che ci sono vicini, con vivo affetto, in ogni occasione e che particolarmente in questo momento hanno dimostrato in ogni modo un attaccamento ed un affetto davvero commovente. Ringraziamo i giornali italiani e stranieri che hanno dato rilievo, mettendone in valore il significato, all’avvenimento inconsueto per una rivista di teatro. Fra le lettere giunte trascriviamo quella della consorella « Arena », perchè essendo la più recente pubblicazione italiana di teatro, rappresenta la giovane forza, i moderni intendimenti e Vaugurio per l’avvenire. Molta e commossa gratitudine ai colleghi di « Arena ». Ecco la lettera: « Caro Ridenti, a nome mio personale e della redazione di “ Arena ” invio a lei i più vivi auguri per il trentesimo anniversario della pubblicazione de “ Il Dramma ” . La prego di credere alla sincerità di queste mie parole non dettate da alcun altro sentimento se non dalFammirazione che tutti noi nutriamo per il lavoro ben fatto, per la difesa intransigente e coraggiosa dei princìpi di libertà e di dignità per il nostro teatro dei quali Lei s’è fatto sempre (ed anche in occasioni difficili) vivo difensore. Il compiacimento che tutti noi proviamo nel vedere uno strumento di cultura di divulgazione dell’arte così ben prosperare è parte del profondo amore che ci lega al teatro italiano, alla sua rinascita, al suo sviluppo. Voglia gradire ancora, caro Ridenti, i sensi della nostra affettuosa stima. Suo Luciano Lucignani ». / m M G Jan de Hartog, olandese naturalizzato inglese, ha conosciuto la notorietà nel 1940 alla vigilia dell invasione tedesca nei Paesi Bassi con un film di cui egli scrisse il soggetto e recitò la parte del protagonista: Some- where in Netherlands. Poco dopo scrisse un libro Holland’s Glory che ebbe larga diffusione sino al 1942, anno in cui i nazisti cominciarono a sorvegliarlo. Arrestato, fu inviato in un campo di concentramento, ma nella primavera del 1943 riuscì a fuggire in Inghilterra. La sua prima commedia, This Time Tomorrow, fu rappresentata con buon esito a New York il 3 novembre 1947 dopo il successo di Londra nel 1946 e di Parigi. Skipper next to God, scritto nel 1947, fu messo in scena a Londra da Antony Hawtrey e in quel l’occasione l’autore interpretò la parte del capitano Kuiper, poi fu rappresentato a New Ùork e ancora a Parigi. Fu il suo primo grande successo teatrale e la commedia venne considerata dal Chapman fra le dieci migliori della stagione. Letto matrimoniale, ormai replicata sui palcoscenici d Europa e d America, ha confermato le virtù eccezionali di questo giovane e promettente commediografo. ® « Les dieux se battaient au-dessus de sa tête » ha scritto Mauriac in uno dei suoi ultimi romanzi e di quei « dieux » ci offre una rappresentazione paurosa perché li raffigura violenti, crudeli, insensibili, in una parola sola, disumani. E chi sa guardare oltre all immediatezza del personaggio si rende conto che ognuno di noi è campo di scontro delle lotte dei « dieux » feroci i quali, come bufali selvaggi, arano e straziano il terreno a colpi di corna.^ Non cer chiamo di dare ad essi un volto o una immagine: sarebbe inutile. Sono impersonali. Sono dei concetti, dei princìpi, delle norme assolute e astratte che disconoscono ogni senso di pietà e di comprensione, foggiati sullo stampo degli uomini che li hanno concepiti e idealizzati. Quando> vengono a scontrarsi fra loro non hanno né mani né unghie per offendersi, ma armano gli uomini degli strumenti più micidiali e li azzuffano ciecamente: la vittoria spietata sancirà lei quale dei due princìpi è migliore. La loro forza risiede soltanto nel potere che hanno di far spargere dagli uomini lacrime e sangue', chi si permettesse di rinnegarli verrebbe condannato dall’intera società come un qualsiasi mestatore nel torbido. Deve ancora venire il giorno in^ cui si diffonderà fra tutti quel rispetto sacro del dolore capace di liberarci dal giogo dei « dieux » tiranni. Per ora contro di essi non cè altro mezzo che il volontario sacrificio del l’individuo, la rinuncia più amara a favore degli altri di ciò ch’egli ritiene indispensabile. Una figura nuova, quindi: il martire dell’uomo. Agli occhi della folla passa inosservato, perché nessuno si accorge della grandezza del suo gesto e nessuno l’apprezza. Piuttosto verrà scambiato facilmente per un visionano o per un maniaco, alquanto fastidioso. Gente che non sa stare al mondo, si dirà; ma è perché manca nel singolo la virtù che costoro se ne staccano e si pongono all'opposizione. Amano la solitudine per natura o finiscono per amarla dal mo mento che solo in quella condizione possono trovar rifugio l’odio e il disprezzo ai « dieux». E bisogna pure dare un nome a questi « dieux » che ci opprimono; diciamolo subito: in genere sono tutti gli ideali falsi all’umanità, da essa creati con ipocrisia e calcolo opportuni stico a beneficio di pochi, il più delle volte a vantaggio di brame e interessi ignobili. E lo* spirito di civilizzazione dei mercanti europei calcato sullo stampo del fervore di apostolato dei crociati intenti a passare a fio di spada gli infedeli al grido di «Dio lo vuole»-, è la fer mezza di un principe o di un governo che per dignità rifuta ogni compromesso e disperde legioni di uomini nella guerra incitandoli al delitto; è l’amor di patria misurato sulle pro dezze guasconi e sull’enormità di eccidi commessi a danno dell avversario; e l opportunismo politico che in base agli ostentati legami di amicizia e di buon vicinato con un altro paese (legami che alla prima occasione cadranno da ambe le parti con estrema facilità e rapidità) commette apertamente ogni sorta di ingiustizie ; è ancora il decoro, senza il quale l’autorità si sente povera ed insignificante, mantenuto strappando ai bisognosi sacrifici brucianti e sopra tutto è la legge quando nella ricerca del rigore assoluto raggiunge la cecità. Essa può^ allora calpestare nella mente e nel cuore degli uomini i sentimenti più puri, più nobili e più eletti, proprio quelli, cioè, grazie ai quali l’uomo si differenzia dall’animale. E’ il capolavoro dei « dieux ». Contro uno di tali capolavori si solleva Capitano dopo Dio con la poderosa figura di Kuiper: è Kuiper, è di uomini come lui che sentiamo acutamente il bisogno, perché da essi solo, dalla loro personalità, dalla loro ricchezza interiore il nostro sguardo può racco gliere consolazione e orgoglio. Consolazione per la bellezza del loro animo e la grandezza della loro generosità; orgoglio per l’elezione della loro condizione. Il martire dell’uomo rag giunge infatti nella sua solitaria missione un grado di abnegazione totale dopo essersi spo gliato di ogni aiuto, anche di quello offerto più comodamente dalla religione. La strada eh egli batte lo pone anzi — agli occhi del settario — fuori dalla comunità, in quanto la me diocrità lo giudica un superbo che si ritiene chiamato da Dio a compiere un sacrificio richie sto, dicono essi, assai raramente. Pero non e da credere che questi uomini siano dei prediletti ai quali venga risparmiato il dolore: non solo il loro compito è difficile, ma nell’esecuzione si imbattono contro ostacoli a mala pena immaginabili. Anch’essi hanno degli interessi parti colari e profondi da difendere, la loro vita da vivere, una famiglia da mantenere e a queste cose sono attaccati piu ancora degli altri, quasi prevedessero che un giorno saranno chiamati a staccarsene. Quel giorno non arriva mai all’improvviso; poco alla volta si avvicinano pre parandosi silenziosamente fra dubbi e debolezze, ché è facile parlare di abnegazione e di saa ifcio ma tormentoso quanto mai rinunciare a quei doni essenziali che tutti posseggono. Interiormente il loro dramma si alimenta dello stesso cibo che potrebbe generare il vizio dell ingordigia o dell avarizia, e m realtà questo avviene affinché nel momento della decisione piu importante la forza d animo possa trovare l ostacolo da rimuovere e possa manifestarsi con mento. Non sono escluse quindi ai martiri dell’uomo le perplessità e l’incertezza, anche perché in genere essi sono uomini d’azione, uomini pratici, uomini di lavoro. Pensare ad essi negli attimi più drammatici del loro destino, è pauroso poiché si dibattono fra l’apparente normalità di chi con indifferenza funge da spettatore e il loro bisogno di agire fuori dalla regola. Sono degli irregolari, e quello che ci propone ora Hartog può apparire addirittura un « clandestino », destinati ad essere messi al bando per indisciplina e a sentirsi addosso la ripro vazione generale nello stesso momento in cui lottano per la propria ed altrui dignità. Di tutte queste difficoltà riescono a trionfare, ma essi solo sanno il prezzo della vittoria. Fra l’invio del telegramma alla moglie e la decisione del Capitano c e materia per un altro dramma, ricco e intenso come questo. E per il lettore è tutto da pensare e da immaginare; sta a lui sentire l angoscioso tormento del protagonista con purezza e precisione. Messo in una situazione simile, il Capitano sfugge ad un giudizio puramente teatrale: la sua figura ci affascina e ci scuote, ci commuove e ci dispera al di là della realizzazione che ha potuto darne l’autore. Non e piu personaggio, e uomo. Ecco chi è Kuiper. Ecco perché lo troviamo in dissidio con lautorità religiosa che non riesce a rendersi conto come essa sia lontana dallo spirito del- l uomo che non solamente sulla sua nave si sente preceduto unicamente da Dio. Essi lo riten gono ambiziosamente sviato dalla difficile parola della Fibbia ma non comprendono che egli è cosi vicino a Dio in quanto e Uomo che rispetta se stesso negli altri. Ci sono superiori ragioni di convenienza, di prudenza e di opportunismo per lasciare andare alla deriva un pugno di uomini, vecchi, donne e bambini; c’è il perfido consiglio di un console, il calcolo di un col lega a dissuaderlo, c’è persino una ragione di ordine pubblico (e perché no di igiene?) ad impedirgli di salvare i suoi passeggeri clandestini; c’è il pastore della comunità americana, che si serve della Bibbia come di un orano ferroviario, a minacciarlo ; ci sono i cannoni della poli zia e il codice della navigazione pronti a colpirlo: Kuiper non molla. Ma non dimentichiamo l ostacolo piu grande: l indifferenza di quella « opinione pubblica » che ha bisogno di una fi listata sul volto per scuotersi dalla sua ovina indifferenza e insensibilità; anche contro di essa lotterà da solo il Capitano, anzi le darà la più profonda delle lezioni, sacrificando la nave. Fra i passeggeri serpeggia ormai l’ossessione di una condanna così spietata che i rabbini si sentono in dovere di attribuire all’ira divina: poveri uomini anch’essi che hanno perso la fede nella virtù dell Uomo. Nei loro sacri testi scoprono l’annuncio della maledizione che dovrà annientarli... e si incamminano verso la rassegnazione. Contro Dio non si può lottare, ma Kuiper lotta ap'che contro Dio. Perché non è Dio che si interpone alla sua pietà, ma «les dieux ». « Les dieux se battaient... ». Questa volta però hanno la peggio, come l’avranno sempre quando si troveranno di fronte ad un vero uomo. Sì, Kuiper ormai è il padrone asso luto della nave, dopo Dio, in quanto gli si è posto così vicino che nessuno dubita possa sentirne la voce. Sulla larga distesa del mare, inginocchiato sulla tolda della « Nelly », denuncia quella mano che gli strappa la « sua » nave per suscitare soltanto, nella folla di gaudenti che assistono alle gare dei panfili lussuosi, un briciolo di pietà. E ciò è la cosa più importante di tutto, più importante ancora della salvezza dei passeggeri sfuggiti ai campi di concentramento, alle tor ture, alla morte, perché è la vittoria di un sentimento di amore e di fratellanza che a poco a poco si diffonde, come le onde nella stiva della nave... Sergi© Conniino C D A O P I T A N O P O D I O DRAMMA IN TRE ATTI DI TITOLO ORIGINALE DELL’OPERA SKIPPER NEXT TO OOP * VERSIONE ITALIANA DI NICOLETTA NERI LE PERSONE JORIS KUIPER, capitano della “ Nelly ” - DAVELAAR, capo macchinista - MEYER, secondo - RICHTERS. dottoro di bordo - HENRY, dispensiere - RARBINO - PRIMO EBREO - SECONDO EBREO - BRUINSMA, capitano delia “ Amsterdam ” - WILLEMSE, dottore di bordo della “ Amsterdam ” - IL CONSOLE in Sud America - UFFICIALE della Polizia Militare americana - IL PA STORE - UFFICIALE della Marina olandese - UFFICIALE doila Marina americana. La cabina del capitano della nave « Nelly », un antiquato piroscafo a itinerario libero : a sinistra la cuccetta, a destra un piccolo divano, nel centro, sul fondo, una porta che, se aperta, lascia scorgere una scialuppa sospesa. Sotto alla cuccetta ci sono dei cassetti, sulla cuccetta un oblò, e più sopra un orologio. Tra la cuccetta e la porta un lavabo, tra la porta e il divano un armadietto di medicinali, tra questo e la porta la fotografia incorniciata di lina donna e due bambini che guardano verso la macchina da presa come se fosse la canna di un fucile. E’ un caldo, luminoso giorno d'estate nel Sud America, verso la fine dell’estate 1938. (Il dottor Richters, un giovanotto in maniche di camicia e cappello di paglia messo all’indietro, sta rovistando in giro e fischietta una canzone mari naresca. Il sedile del divano è rialzato in modo che si vede una cassa da cut Richters estrae le sue cose : camicie stazzonate, cravatte aggrovigliate, scarpe coperte di muffa, ecc., e le ammucchia sul tavolo in mezzo alla stanza: evidentemente sta traslocando ad un'altra cabina. Si sentono i rumori del porto: stridere di argani, sbattere dì catene, e di tanto in tanto voci maschili che gridano dalla nave alla riva. Richters smette di fischiettare nell’estrarre dalla cassa i resti di un casco tropicale. Come ne era fiero quando l’aveva acquistato! Ora è ammac cato e sformato. Si toglie il cappello di paglia e si mette il casco, ma prima di essersi potuto guardare nel piccolo specchio sopra il lavabo, se lo toglie in fretta perché è entrato qualcuno. E’ Henky, il ragazzo addetto ai servìzi, con una brocca fumante in mano; è un ragazzetto con una faccia da topo, di circa quindici anni). Henry — Dottore, ecco la sua acqua. Richters (senza alzare la testa) — Bene. Mettila nel lavabo. E’ calda? Henry — Come l’inferno, dottore. Richters — Benissimo. (Mentre Henky apre il lavabo e prende il necessario per la barba dall’ar madietto soprastante, Richters continua a rovistare e a fischiettare). Henry (sollevando un pennello da barba) — E’ il suo pennello o quello del capitano? Richters (senza guardare) — Ha ancora dei peli? Henry — No. Richters — Allora è del capitano. Henry — E il sapone? Richters — Il sapone è in comune. EIenky — Oh! Non ha paura di prendere la feb bre della barba? Richters — Che diavolo è mai? Henry — Scherza? E’ dottore, e non sa che cose la febbre della barba? Richters — Non ne ho idea. Henry’ — Pustole. Su tutta la faccia. Si prendono a usare gli oggetti da barba di un altro. Il grosso JAN DE HARTOG Toby una volta ha usato il pennello del cuoco e il giorno dopo avevano tutti e due la febbre della barba. Richters — Mio Dio. E come hanno fatto? Henky — Catrame. Richters — Come? Henry — Catrame. Si son dati del catrame sulla faccia. E’ l’unica cura. Richters — Ah! ah! Quest’è buona, Henky. Me la ricorderò per «La Gazzetta Medica». E se vinco un premio, te ne darò metà. Ecco. (Gli dà il casco) Intanto prendi questo. Henry — Quel cappello?... Davvero?... Richters — Avanti, prendilo. Un casco tropicale di prima qualità, mi è costato ventiquattro dollari, e l’ho solo portato una volta, davanti allo specchio, nel negozio. Henry (provandoselo davanti allo specchio) — Accipicchia! Che cappello! (Gli scende fin sugli occhi) Non le sembra che sia un tantino grande, eh? Richters — Vediamo. (Gli mette il casco di sghim bescio) Ecco, ragazzo mio, sembri un re. Va’ a terra con quel cappello, e vedrai che conquiste! Henry — Oh, per questo non ho bisogno di cap pelli. Richters — Davvero! Al tuo posto farei attenzione, qui in Sud America. Ci son molte cose in cielo e in terra che son peggio della febbre della barba. Ecco! Magnifiche scarpe tropicali. Prima qualità. Che numero hanno codesti piedi piatti? Henry — Non so, dottore, ma mi vanno a pennello. Richters — E come lo sai? Henry — Oh, ecco... Così... mi pareva. Richters — Ora capisco dove sono andate a finire le mie scarpe marron. Ladro che sei! Henry — Ma, dottore, come può dire una cosa simile? Richters — Come potresti sapere, altrimenti, che le mie scarpe ti vanno bene, bastardo? Henry — Le giuro, dottore, che... che l’ho capito. E’ stata... è stata... un’intuizione. Richters — Niente storie, Henky. So stare agli scherzi, ma adesso rivoglio quelle scarpe. Portale subito qui. Henry — Posso tener. queste, allora? Richters — All’inferno, prendile, ma voglio le mie scarpe marron, e subito... Eh? (Ha visto Wil- lemse, un signore magro vestito secondo l’uso dei tropici, il quale osserva la scena da un momento, in piedi sulla soglia). W illemse — Che succede qui? Cercate un bot tone del colletto? Richters —- Willemse?... Willemse (entra e gli batte sulla spalla) — Salve, seduttore! Un po’ inatteso, eh? Richters — Ma come... di dove vieni? Willemse — Eh, calma. Sono in porto con la mia bagnarola, come te. Richters — La « Amsterdam » è qui? Sei matto. Willemse — Proprio la «Amsterdam». Vicino ai docks «Pièce de résistance» del porto... Richters — Meraviglioso! Henky, fila e porta due bicchieri! Henry (che nel frattempo s’è infilato tre cravatte sotto la camicia) — Di quelli buoni? Dalla bot tiglia del capitano? Richters —• Sei matto? Credi che tutta la nave sia da depredare? Dalla dispensa e... Aspetta un momento! Che cosa ci hai sotto la camicia? Henry — Sotto cosa? Richters — Vieni qui! (Lo afferra). Henry — Oh, mamma mia! Richters — Zitto! (A Willemse) Dottor W il lemse, qual è la sua diagnosi sul tumore che questo paziente ha nel petto? Henry — Oli, senta: se crede che non abbia nient’altro da fare... Richters — Ssss! (Con tono gentile, a Willemse) Ebbene, dottore? W illemse — La mia diagnosi non è ancora for mata, collega, ma consiglierei un’operazione im mediata. Richters — Giusto! (Ficca la mano nella camicia di Henky). Henry — Ohi ohi ohi!... Richters (che ha estratto le cravatte) — Ah! Un bellissimo caso d’infiammazione da cravatte. (Spinge a calci Henky fuori della stanza) Via di qui, la druncolo! (Lo richiama) E non dimenticare di portar da bere! (A Willemse) Quel ragazzo è il più ac centuato tipo lombrosiano ch’io abbia incontrato in vita mia. Ma ora siedi. Prendi una sigaretta. Sai che ho creduto di vedere un fantasma? (Gli dà un colpetto sulle costole) Sei reale, in carne ed ossa, eh? Willemse (restituendo la pacca) — Reale come il mio cherry brandy, ragazzo mio. Ti ricordi? Ne ho ancora cinque bottiglie. Richters — In fede mia! E’ quel che si potrebbe chiamare un lavoro che aspetta... (Guarda l’orologio) No, così tardi? Willemse (guardando l’orologio che ha al polso) — Io faccio le dodici meno cinque. Richters — Maledizione! Allora devo sbrigarmi, altrimenti si scatena l’inferno. Mi scusi? (Continua a radimare in fretta le sue cose). Willemse — Chi lo scatena? Richters — Il principale... Willemse — E’ un simile cannibale? Richters — Uff! Se non fosse un cristiano, sa rebbe... (Inciampa) Maledizione! Willemse — Perché diavolo hai tanta premura? Richters — Trasloco. Willemse — Davvero? Ad un’altra nave? Richters — Un’altra nave! No, un’altra cabina. Willemse — Non eri tanto mal sistemato qui, direi. Sembra quasi la cabina di un capitano. Richters — E lo è. Splendida abitazione, eh? Willemse — Per una vecchia bagnarola come questa... Ma come mai sei venuto a star qui? Richters — Oh, basta. Sono qui accampato da due mesi con il capitano. Willemse — Davvero? Richters — Che cosa vuoi fare, con centoqua- rantasei passeggeri a bordo e solo quattro cabine? All’inferno, dove ho messo la mia pressa per i pantaloni? W illemse — Centoquarantasei passeggeri in quat tro cabine? Richters —• Emigranti. Se hai pazienza un mi nuto, ti spiegherò tutto. (Entra Henky portando un piccolo vassoio con due bicchieri) Bravo, bravo. Attenzione! {Fa posto sul tavolo) Sai dove la mia pressa per i pantaloni? Henry — Pressa per i pantaloni? Richters — Sì. Un grosso aggeggio di legno con delle viti. EIenky — Non so. Perché non mi guarda sotto la camicia? O dietro- le orecchie? {Un ufficiale della polizia militare entra e saluta). L’U fficiale — E’ qui il capitano? Richters — No, non c’è. E’ a terra. Voleva par largli? L’U fficiale — Un messaggio dal comandante in capo. Dove posso trovare il capitano? Richters — Non so. E’ andato a terra circa un’ora fa, e ha detto che sarebbe tornato alle undici e mezzo. Dovrebbe quindi arrivare da un momento all’altro. L’U fficiale — Mi spiace, ma non posso aspet tare. Dovremo procedere senza preavviso. Grazie. (Si ritira dopo un solenne saluto. Henky lo segue). Richters — Che significa? Willemse — « Dovremo procedere senza preav viso». Qualcosa bolle in pentola. Richters — Che sia venuto ad arrestare qualcuno? Willemse — Qui non usano servirsi di militari per quelle cose. Richters — Era un militare? Willemse — Eccome. Primo luogotenente della polizia militare. Richters — E il capitano doveva essere fuori proprio adesso... CAPITANO DOPO DIO Willemse — Dov’è a buon conto? Richters — Non chiederlo a me. Forse dal pilota. Stamattina abbiamo assistito a una collisione. Willemse — E che carico avete? Solo quegli emigranti? Richters — Sì. Willemse — Niente contrabbando? Richters — Con quel capitano! Non te l'ho detto? E’ un cristiano. Willemse — Di che tipo? Puritano? Richters — Lln tipo tutto suo. Il tipo che Nerone usava gettare ai leoni, immagino. Ma se avesse gettato questo qui, avrebbe avuto qualche sorpresa. E anche i leoni. Willemse — E quei passeggeri, non hanno niente sulla coscienza? Richters — Figuriamoci. Quei miserabili Ebrei! Willemse — Ebrei? Profughi? Richters — Sì. Ad ogni modo, sapremo presto. Questi Sudamericani hanno una quantità di trucchi teatrali. E devo anche radermi. Oh, al diavolo! Alla tua salute. Willemse — Alla tua! {Mentre bevono si odono delle grida, che si avvicinano rapidamente. Ascol tano, sorpresi, con il bicchiere in mano. Henky entra precipitosamente). Henky — Dottore! Oh, dottore! I passeggeri! {Le grida ora sono molto vicine. Si distinguono voci diverse, lamenti, proteste, urli di terrore. Richters e Willemse si avvicinano subito all'oblò a sinistra, e quello che vedono fa loro trattenere il respiro). Meyer {gridando di dentro) — Capitano! Capitano! {Entra: è un grassone di cinquantanni, con una faccia fanciullesca, un po’ da ubriacone) Capitano! Non c’è il capitano? Richters — In nome di Dio, che cosa succede? Meyer — Deve venire il capitano! Non li vogliono lasciar passare! Willemse — Chi? gli Ebrei? Meyer — Il capitano! Devo trovar subito il ca pitano! Li mandano indietro a calci! I soldati li respingono a bordo. {In mezzo al tumulto si sente un colpo di fucile e un grido lacerante. Per un secondo c’è un silenzio atterrito, poi si scatena il panico. I tre ufficiali escono precipitosamente. Henky si nasconde dietro la porta) Per mille diavoli! Hengst! Fruithof! Davelaar! Fateli smettere! Fate smettere i soldati! Richiamate quella gente! Maledizione! (AI disopia del tumulto si sente uno strido. Meyer grida) I boccaporti! Chiudete i boccaporti! An dranno in pezzi! {Poi, mentre il panico raggiunge il diapason, si sente, acutissimo, il fischio del capitano). Capitano Kuiper {di dentro, con forza tranquilla) — Fermi! {Fischio) Fermi! {Il panico- si calma. Solo una donna continua a lamentarsi, e da qualche JAN DE HARTOG parte un bimbo piagnucola) Fraithof! Paalberg! (Risposta di sotto) Ai boccaporti, tutti e due! Fate attenzione che non si schiaccino! Uno per volta e con calma. (Fischio) Davelaar, Hengst! (Risposta di sotto) Andate giù. Tutti in cabina fino a nuovo ordine. (Fischio) Nostromo!... (Continua a dare ordini, ma questi sono soffocati dal precipitoso ingresso dei due dottori. Henky, che ha lasciato il suo nascondiglio sentendo la voce del capitano, sguscia via). Willemse — Hai tutto o devo... Richters (cercando nervosamente di aprire l’ar madietto) — No, no, qui... Al diavolo, non ce verso di aprirlo... (Dà uno strattone, e lo sportello si spalanca) Ecco! La scatola... Le bende d’emer genza... Willemse — Delle stecche! Prendi qualche stecca! Ci sono certamente delle gambe rotte. Richters — Sì, sì. (Entra il capitano Kuiper, e si ferma sulla soglia: è un ragazzo biondo, di circa trentanni, dall’aria calma e autorevole. Indossa la sua migliore uniforme, che è nondimeno alquanto sciupata). Kuiper — Dottore!... Oh, è lì. Vada sotto, pei favore. Ci sono dei feriti. Il signore chi è? Richters •— Mi scusi: il dottor Willemse della « Amsterdam », che trovandosi per caso... Kuiper (fa un cenno di saluto, senza porger la mano) — Ah bene, molto gentile a dare una mano. Ma ci vuol calma, perché è peggio di quanto sem bra. (Esce). Willemse — Non è il capitano? Richters — Proprio lui. W illemse — Oh Dio, ma è un ragazzo! Non avrai paura di un bambino, eh? Richters — La pensavo così, quando venni a bordo per la prima volta. Ma... Kuiper (di dentro, con un fischio) — Lasciate starei Arriva subito una barella! Richters — Presto! Abbiamo tutto? Willemse — Abbastanza per un reggimento. Richters — Andiamo... (Escono. La scena resta vuota per un momento, poi Henky mette dentro la testa). Henry — Capitano? (Apre la porta e fa entrare un vecchietto con un bastone da passeggio e una borsa di pelle dia diplomatico che porta un cappello di paglia come se fosse un cappello duro) Il ca pitano non è qui, signore, ma se non vi spiace aspettare un momento, andrò a cercarlo. I l Console — Grazie. (Sale lo scalino della soglia come una vecchia gru). Henry — Chi devo dire, signore? I l Console — Il Console. Henry — Il nostro Console? I l Console — Certo. Henry — Oh... Benissimo, signore. Vado subite... Solo un momento... Tolgo soltanto... (Incomincia a togliere le cose che sono sul tavolo e a metterle in fretta sulla sedia. Dopo la prima bracciata) Non permettono a... a quella gente di andare a terra, signore? I l Console — Che cosa siete a bordo di questa nave, il secondo? Henry — No, signore. (Dopo un’altra bracciata) Ma è terribile signore. Quei poveri diavoli che non han fatto nulla. I l Console — Grazie, potete andare. Chiamate subito il capitano. Henry — Sì, signore, subito. (Dopo una terza bracciata) Non ci sono... non ci sono mica molti morti?... I l Console — Quanto dovrò aspettare? Henry — Vado subito, signore. (Esce. Il console resta solo, mentre si sente Henky gridare) Capitano, capitano! I l Console (mette la borsa su di una sedia, dà un’occhiata al disordine, confronta il suo orologio d’oro con l’orologio al muro aggrottando le ciglia, e giocherella con il suo bastone. Poi Kuiper entra, e il console gli porge la mano) — Lei è il capitano? Kuiper — Sì. I l Console — Io sono il Console di qui. Ho visto l’accaduto dalla finestra del nostro ufficio, e ho pensato... Kuiper — Molto gentile. Beve qualcosa? I l Console — Grazie. (Si siede) Lina faccenda spiacevole, capitano. Kuiper (verscmdo da bere) —• Sì. I l Console — Ebrei, eh? Quanti? Kuiper — Centoquarantasei. I l Console — Ehm... Non capisco, a dirle il vero, come siano riusciti anche solo a toccar terra. Non era informato che non li avrebbero lasciati entrare? Kuiper — No. I l Console — Nessun telegramma? Nessun ac cenno da parte del pilota? Kuiper — Nulla. I l Console (prendendo il bicchiere) — Grazie. Qual è stata la causa del panico? Kuiper — Furono trattenuti alla dogana, poi vennero i soldati e comandarono loro di tornare a bordo. I l Console — Ma perché, allora, tutta quell’ec citazione? Non è stato soltanto alla vista di quei soldati, no? Kuiper — Quegli uomini hanno dei cattivi ricordi dei soldati. I l Console (beve) — Per quale compagnia naviga? Kuiper — Per conto mio. I l Console — E’ proprietario di questa nave? Kuiper — Sì. I l Console —■ Ah... Ci saranno delle noie. Kuiper — Per chi? Per me? I l Console — Eh sì. Le costerà parecchio, a meno che i passeggeri siano assicurati. Kuiper — Assicurati? I l Console — Non ha disposto per l’assicurazione del viaggio di ritorno quando ha accettato di tra sportarli? Kuiper — No. I l Console — Ma, capitano! Kuiper —• Avrei dovuto? I l Console — Naturalmente. Sapeva già prima che correva un gran rischio di non essere ammesso qui nel Sud America. Kuiper — No, non lo sapevo, signore. Tutta questa gente aveva i visti e i documenti in ordine. I l Console — Sì, capitano, ma i visti hanno un valore molto relativo in questi tempi caotici. Kuiper — Così sembra. Ebbene, e adesso? Non si può far nulla per evitare quest’espulsione? I l Console —• Mi spiace, ma sarebbe inutile an che solo tentare. Kuiper — Va male, allora. I l Console — Ma in nome del Cielo, perché ci si è messo? Lei mi sembra una persona dabbene che non dovrebbe trovarsi immischiata in questa specie di mercato di schiavi. Kuiper — Persona dabbene? Che intende dire? I l Console — Nessun genuino proprietario di nave si sarebbe assunto un’impresa di questo ge nere. Trascinare oltremare degli uomini pazzi di terrore, a prezzi esorbitanti e con sistemazioni peggio che primitive... Kuiper — Credo che non ci comprendiamo, signor console! Da cinque anni esercito un onesto com mercio con questa nave, come fece mio padre prima di me, per trent’anni. Quando ebbi l’offerta di cen- toquarantasei passeggeri per il Sud America, non chiesi se erano cristiani o pagani. Adattai la stiva di prua per gli uomini, la stiva di poppa per le donne e i bambini e trasformai la sala da pranzo in un’infermeria. Scenda, veda lei stesso la siste mazione e mi dica onestamente la sua opinione, e... I l Console — Va bene, va bene, dicevo soltanto... Kuiper — E quanto ai prezzi esorbitanti... li ho trasportati per novantaquattro dollari a testa. La « Reale Compagnia Olandese » non l’avrebbe fatto per quel prezzo. I l Console — La « Reale Compagnia Olandese » non se ne sarebbe impicciata, capitano. Kuiper — Questo riguarda la « Reale Compagnia Olandese». Io voglio... (Bussano alla porta) Avanti! (Entrano il Rabbino e due Ebrei, confusi e spaven tati, con abiti inadatti al clima. Hanno l’aspetto di CAPITANO DOPO DIO essere stati appena raccolti da unauto della polizia in qualche capitale europea e di essere venuti a dichiarare che non avevano nulla a che fare con la sparatoria). I l Rabbino — Capitano, dobbiamo parlarle. Kuiper — Non adesso, Rabbino; vede che sono occupato. Primo Ebreo — Ma i nostri sono disperati, ca pitano. Ci hanno delegati per chiederle... Kuiper — Non adesso, signori. Tornino fra mez z’ora. Secondo Ebreo — Ma, capitano, che cosa dob biamo dir loro? Dobbiamo dire qualcosa. La si tuazione... Kuiper — Ne saprò di più fra mezz’ora. Non prima. (Chiude la porta. Al Console) Ecco. I l Console — Non sprecheremo altre parole sul lato personale della questione, capitano. Ognuno deve provvedere da sé alla propria coscienza. Ha già avuto l’ordine di levare l’ancora? Kuiper — Non ancora, no. I l Console — Anche la polizia militare dev’essere rimasta un po’ male per il risultato dell’azione, e cercherò di approfittarne per ottenere un po’ di respiro per lei; ma non si tratterà in ogni caso di più di ventiquattrore. Kuiper — E poi? I l Console — Poi dovrà navigare via con i suoi passeggeri a sue proprie spese. Kuiper — Va bene. I l Console — Che cosa intende fare? Kuiper — Dirigermi a un altro porto dove li ac cetteranno, naturalmente. I l Console — Ma, mio caro capitano, non può essere che...- No, lei non dice sul serio. Kuiper — Perché no? I l Console — Non pretenderà di non sapere che questo è stato l’ultimo paese sul continente ame ricano ad accettare profughi! Kuiper — Vuol dire che non posso depositarli in nessun posto? I l Console — In nessuno. Kuiper — Ma il Brasile, allora? E l’Argentina? E... e il Cile, se vuole? I l Console — Non c’è la minima possibilità. Kuiper — Ma non posso navigare fino alle isole Galapagos per sbarcare questa gente! I l Console — Non potrebbe sbarcarli, capitano, neppure alle isole Galapagos. Kuiper — Ma dove, allora? I l Console ■—• In nessun posto. C’è una sola soluzione: portarli indietro, Kuiper ■— Indietro? I l Console — Nel paese da cui vengono. Do vranno lasciarli entrare, piaccia o non piaccia. JAN DE HARTOG Kuiper — E lei osa proporre questo, lei che aveva il coraggio di parlare di persone dabbene un mo mento fa? I l Console — Capitano, eravamo intesi di lasciar da parte il lato personale della questione. Io non propongo nulla. Io non posso proporre nulla. Io le dò solo un consiglio, il migliore che so, e non ce altro consiglio da dare che di portarli indietro. E non si può neppure chiamare un consiglio, è soltanto... Kuiper — Basta! Finora ho mantenuto la calma, nonostante i suoi insulti... I l Console — E sosteneva che le è indifferente che quegli uomini siano cristiani o pagani? Kuiper — Sono uomini, e tanto mi basta. I l Console — Temo di non seguire bene il suo ragionamento. Kuiper — Io non faccio un ragionamento, signore! 10 ho un cuore che sente, e una coscienza respon sabile dinanzi a Dio, ed un’anima immortale! E così loro, anche se la loro fede non è la vera, e così lei, anche se non se ne preoccupa. 11 Console — Capitano, stiamo ai fatti! Prima di tutto... Kuiper — I fatti sono che, dei trenta anni che ho, ne ho vissuti dieci senza Dio né Comanda- menti, bevendo e mentendo e andando a donne, ed ero un tal maiale che mio padre mi malediceva : finché Dio mi prese per la collottola e mi gettò in ginocchio. I l Console — Tutto ciò non ha niente a che fare con la questione, capitano. Kuiper — Sì, invece! Ci ha molto a che fare. Da cinque anni, con la grazia di Dio, vivo in pace con la mia coscienza e le leggi del mondo, crescendo nella Fede come un albero. A che avrebbero ser vito questi cinque anni, se mi lasciassi abbattere dalla prima tempesta ch’Egli mi manda per provare le mie radici? Mi piegherò, signore, se Dio lo vuole; mi lascerò strappar via i rami, se Dio lo vuole; mi lascerò schiantare e spezzare se Dio lo vuole, ma non porterò indietro quella gente. I l Console — E se Dio volesse proprio questo, capitano? Kuiper — No, signore. Ha fatto scrivere la Bibbia apposta. I l Console — Allora, a quanto sembra, non co nosco il suo Dio, capitano. Kuiper — Ma Egli la conosce, e conosce me, e i poveri diavoli nella mia stiva. I l Console — Non mi piacerebbe credere in un Dio, capitano, che volesse costringermi a una pazzia. Kuiper — Non è che piaccia credere, ma non si può fame a meno. I l Console — Ma... ma..., che cosa vuole dunque? Kuiper —- Voglio sbarcare quegli uomini in un paese civile. I l Console — Non può farlo. Kuiper — Li sbarcherò, anche se... I l Console — Anche se?... Kuiper — Anche se dovessi navigare a luci spente. I l Console (si alza, dopo un breve silenzio) — Capitano, vorrei che lei prendesse ben nota del fatto che io, come rappresentante ufficiale, le ho consigliato di riportare quella gente a casa propria senza indugio. Qualunque cosa lei intraprenda con tro questo consiglio non avrà l’appoggio del suo governo. Buon giorno. (Sulla soglia) Da uomo a uomo, capitano, perché non vuol portare indietro quella gente? Perché? Kuiper — Perché non posso. I l Console — Non può perché ha una quantità di idee false. Non pensa davvero che quegli uomini saranno massacrati appena porranno piede nel loro paese natale, secondo quanto scrivono i giornali in cerca di storie sensazionali! Kuiper — Non so quello che scrivono i giornali; so soltanto quello che ho visto e udito. I l Console —■ E che cosa ha visto e udito? Kuiper — Vidi, otto settimane fa, centoquarantasei uomini salire a 'bordo della mia nave. Erano Ebrei, cacciati via, questo era tutto quello che sapevo. Non mi ero mai occupato di politica, né avevo mai voluto farlo; ma vidi, sulla mia passerella, il figlio di Dio salire centoquarantasei volte a bordo della mia nave, frustato, ridotto alla mendicità, cacciato, con la corona di spine in testa e la croce sulla schiena. Uomini come lei e come me li colpivano; li prendevano a calci, li buttavano a terra... bam bini, come i miei due, che a Natale cantano: « Santa notte, silente notte » con vocine così sottili che viene da piangere a sentirli, gridavano : « Morte a Giuda! » E poi: gli occhi di quegli Ebrei, signore... Chi ha guardato' in quegli occhi una volta, ha imparato di più che a leggere i giornali per cinque anni, e mentre partivamo e il dottore sottocoperta si occu pava degli aborti, e il pilota sul ponte mi diceva: «Bella giornata, eh?», io sapevo: sapevo che mai, fino al giorno del giudizio, la cristianità potrà mon darsi di questo delitto. Gli Ebrei crocifissero Gesù una volta: ma i Cristiani? Settecentomila volte. Ed ora lei viene a chiedermi di rinnegare il Vangelo del mio Salvatore e di consegnare queste centoquaran tasei persone nelle mani dei loro assassini? No, signor Console. Il gallo non canterà per me! I l Console — Capitano, mi ascolti. Ascolti per un momento un uomo che non è più giovane e che può conoscere le conseguenze del suo atteggiamento, per quanto nobile esso sia, perché s’intende più di lei di questo genere di cose. Supponiamo che lei riesca a sbarcare di contrabbando questa gente in qualche posto. Ebbene? Crede che ciò migliore rebbe le cose per loro? No, capitano, al contrario. Così facendo li consegnerebbe semplicemente alla polizia locale, che li arresterebbe e li manderebbe indietro senza indugio. Kuiper — Non li internerebbero, dopo averli ar restati? I l Console — Neppure da parlarne. Li rimandereb bero immediatamente, Kuiper — Ma quei paesi hanno un governo cri stiano, no? I l Console — I governi sono stati costretti a prendere misure energiche. Kuiper — Ma l’opinione pubblica? Che cosa dice la popolazione di quei paesi? I l Console — La sola popolazione che potrebbe interessarsi del suo disgraziato carico, capitano, e il solo paese in quest’emisfero dove l’opinione pubblica potrebbe dimostrarsi più forte della legge, è gli Stati Uniti. Ma, disgraziatamente... Kuiper — Allora li porterò negli Stati Uniti. I l Console — Ma, caro mio, è una pazzia! Prima di tutto hanno una guardia costiera efficientissima... Kuiper — Sciocchezze. Ci sarà ben qualche pezzo di costa abbandonata, senza controllo. I l Console — Ammettiamolo pure. Allora li sbar cherà in Alaska o Dio sa in quale altro deserto. Vagheranno intorno qualche giorno, o anche qual che settimana, nella più completa indigenza, solo per essere finalmente presi e rimandati via senza pietà. Kuiper -— Ma lei ha detto adesso che il solo paese in cui l’opinione pubblica... I l Console — No, capitano. Quando l’opinione pubblica fosse al corrente che i suoi profughi sono sbarcati, essi avrebbero una possibilità. Ma in una regione disabitata come quella, nessuno verrebbe a saperlo, tranne i gabbiani. Orbene... sbarcare centoquarantasei persone davanti agli occhi del l’opinione pubblica... vede ora che è una pazzia? Kuiper — Lo vedo; ma temo che ciò non cambi nulla. I l Console — Ma come! Non può ignorare ciò che le dice la ragione... Kuiper — Non è una questione di ragione, ma di Fede. Se Dio si è data la pena di far conoscere la Sua volontà, dobbiamo credere ch’Egli ci fornirà i mezzi per obbedirlo. Altrimenti la Bibbia è una presa in giro. I l Console ■— Allora... allora non ho altro da dire. Buona fortuna. (Mentre il Console esce dalla ca bina, quasi si scontra con il capo macchinista Da- velaar, che evidentemente stava ascoltando alla porta. Il Console scompare mormorando) Scusate! (.Davelaar entra e chiude la porta. E’ un vecchio CAPITANO DOPO DIO magro, indossa una tuta unta, ed è molto miope). Kuiper — Ebbene? Davelaar — Devo dirti una parola, ragazzaccio. Kuiper — Ancora ad origliare? Davelaar — Sì! E non provarti a dir nulla. Per trentanni ho navigato con tuo padre: lo conoscevo come se fosse stato mio fratello, e lascia che ti dica questo: se fosse vivo adesso, ti prenderebbe sulle ginocchia e ti sculaccerebbe fino a farti strillare. Non è religione, quel che hai raccontato a quel l’uomo, ma sciocchezze da bambino. Kuiper — Basta così. Davelaar — No, ragazzo mio, non puoi liberarti di me così facilmente. Puoi essere cento volte ca pitano, adesso, e far credere a tutti che sei un gran spaccamontagne, ma con me non serve. Così togliti dalla faccia quel sorrisetto da santo o te lo tiro via io. Ti ho insegnato a impiombare e a far nodi quando eri ancora legato al seggiolino, così lascia che ti dica... Kuiper (che fa dei conti su di un pezzo di carta) — Quante tonnellate di carbone abbiamo ancora? Davelaar — Sessanta. Per dieci giorni. Ma la sciami finire. Io' sono l’ultimo uomo rimasto sulla nave che abbia conosciuto tuo padre così come conosco te. Era un uomo religioso, ma metteva l’interesse della nave prima di ogni altra cosa, prima della sua anima e della sua salute eterna; e per quanto fosse pio, se Dio in persona avesse toccato la « Nelly » con un dito, lui gliel’avrebbe morsicato. E così ti dico una cosa... Kuiper -—• Allora carichiamo cinquecento tonnel late oggi. Davelaar — Cinquecento? Impossibile. Si oltre passerebbe la linea di galleggiamento. Kuiper — Abbiamo tutti i serbatoi pieni; pompa tene via quanto basta. Davelaar — Va bene, va bene! Ma ora ascolta: per conto mio puoi essere religioso come... come il diavolo; ma se metti la nave in pericolo, dovrai fare i conti con me. Hai sentito? Non mi fermerò prima di averti ben pestato, amico mio. Puoi gio carti il tuo denaro per quegli Ebrei, ed anche la tua anima immortale e il tuo cuore sensibile... ma giù le mani dalla «Nelly». Tuo padre... Kuiper — E adesso basta! Sai tanto di mio padre come dei dieci comandamenti, cioè ben poco. Ma, nonostante le tue smargiassate, sei un vecchio, e per questo ti farò leggere quel che mio padre scrisse sulla Bibbia che mi diede quando mi affidò questa nave. Così ne saprai di più. Davelaar — Scritto? Non farmi ridere. Non sa peva neanche scrivere. Prima rompeva tre penne e finalmente scriveva « fedele » con una elle sola. Kuiper (che ha preso una Bibbia nella cuccetta e l’ha aperta) ■—• Ecco. Leggi qui. JAN DE HARTOG tarchiato, vestito Davelaar — Non posso. Non ho gli occhiali. Kuiper {legge) —• « Per mio figlio Joris, quando sarà capitano dopo Dio sulla “ Nelly ” . Non la sciarti ingannare da nessuno, ragazzo mio: in que sto libro troverai la tua rotta. Quando io sarò lassù, continuerò a proteggerti. Se avrai il diavolo a bordo, issa la bandiera della croce, che troverai nel cas setto con le carte; ed io sarò al tuo fianco. Non disperare mai, anche se tu fossi nero di peccati, perché io ora so questo: che il nostro Dio è un Dio di misericordia. Tuo padre». Davelaar — Dio lo scrive col « d »? Kuiper — Sei davvero un vecchio ribaldo: fuori di qui! Davelaar — E tu sei un buon capitano. Conten tati di questo: meglio un buon capitano che un missionario mancato. Quella bandiera della croce... ah! potrei riderne fino a star male. Se tu sapessi... (Bussano alla porta). Kuiper — Avanti! Henry — Capitano! Ce qualcuno che vuole ve derla. Kuiper — Chi è? Henry — Non lo so, capitano; credo che sia un ammiraglio. (Dietro ad Henky è apparso il capitano Bruinsma, piccolo, impeccabil mente dì bianco con le strisele d’oro del suo grado; è abbronzato, flemmatico, tranquillo, e porta i suoi sessant’anni con giovanile noncuranza). Bruinsma — Disturbo? Bruinsma. Capitano della «Amsterdam». Pio appena sentito dal mio dottore quello che è accaduto, e sono venuto a vedere se pwosso essere utile in qualcosa. Kuiper — Molto gentile da parte sua, capitano. Entri. (A Davelaar) Preparati a caricare il carbone, tu. Sbrigati. Davelaar — Sì, sì, capitano. Agli ordini. (Esce). Bruinsma — Spero che non la considererà curio sità morbosa, capitano. Se non sono desiderato, lo dica: e amici come prima. Kuiper — Non credo che lei possa fare molto, capitano. Devo essere fuori di questo porto entro ventiquattr’ore, con tutti i passeggeri. Bruinsma — Già, già. Non ce peste peggiore di quei profughi. Lo so bene anch’io. Solo tre settimane fa, una nave piena di quei poveri diavoli stava al largo di Alessandria. Sempre la stessa sto ria. Si offrivano in vendita, un dollaro a testa per un servizio a vita, solo per poter sbarcare. Ma crede che trovassero compratori? Avrebbero preferito com perare un lebbroso. Li porterà indietro, penso. Kuiper — No. Bruinsma — Uhm... Li sbarcherà di contrabbando? Kuiper — Se ci riesco. Bruinsma — Dove? Kuiper — Non so. Pensavo a Long Island. Bruinsma — Long Island? Ma è matto. Perché addirittura non New York? Piuttosto il Brasile, in qualche parte delle pampas. Nessuno vedrà, e lei potrà liberarsi dell’ingombro. Kuiper — No. Voglio liberare quella gente, non farla rovinare da qualcun altro. Bruinsma — Vedo... Lei è un idealista. Kuiper — Cioè uno sciocco, eh? Bruinsma — Non so ancora. Lei è il proprietario di questa nave? Kuiper — Sì. Bruinsma — Ci sono delle ipoteche? Kuiper — Sì. Bruinsma — Così lei fa l’idealista a spese altrui? Allora non è certo uno sciocco, ma probabilmente un cristiano. Eh? Kuiper — La ringrazio del suo interessamento, ma, come vede... Bruinsma —• Sì, capitano, così è la vita. Una ragazza nuda è graziosa, ma la verità sta meglio vestita. Ma non tema, me ne vado. (Si dirìge alla porta, e vede le fotografie) Due bei ragazzi! Sono suoi? Kuiper — Sì. Bruinsma — E anche la mamma è piuttosto ca rina. Se fossi in lei, amico mio, guarderei bene quella fotografia prima di puntare su Long Island. Gesù non aveva figli, e ciò vuol dir molto. Kuiper — Come lo sa? Bruinsma —• Che cosa? Che Gesù non aveva figli? Kuiper — Perché non porto indietro quella gente. Bruinsma — Conoscenza degli uomini. Lei ha' la faccia di un collerico e si comporta come un flemmatico. Un tal peccato contro la natura può solo essere portato a termine dal Cristianesimo. Guardi... La sola cosa che tradisce il suo carattere è il colore dei suoi occhi. Sono azzurri e diventano verdi, come adesso. Kuiper —- Buona sera, grazie. (Apre la porta). Bruinsma — Sono io che debbo ringraziarla, gio vanotto. I pazzi come lei danno nuova speranza a un vecchio peccatore. Fra due mesi sarò a nord, in prossimità di Long Island. Cercherò di vederla: forse allora potrò esserle di qualche aiuto. Kuiper — Spero per allora di esserne già fuori. Bruinsma — Non s’illuda: comincerà appena. Se fra due mesi lei sarà ancora cristiano, allora io, inveterato miscredente, sarò disposto ad accettare questo fatto come una prova dell’esistenza dii Dio. Kuiper — Ha dato lei stesso questa prova un mo mento fa. Bruinsma — Io? Kuiper — Il suo racconto degli Ebrei, al largo di Alessandria, che cercavano di vendersi a un dollaro a testa, ma la gente avrebbe preferito comperare un lebbroso. Bruinsma — Che c’entra quello con l’esistenza di Dio? Kuiper i(cercando nella Bibbia che gli sta ancora aperta dinanzi) — Deuteronomio ventotto, credo che sia al versetto sessantotto... Sì, eccolo qui. Quel che Dio farà agli ebrei se non rimarranno fedeli al loro voto. « Ed il Signore vi riporterà in Egitto, con navi, e là sarete venduti ai vostri nemici come schiavi e schiave, ma nessuno vi comprerà». Una promessa fatta cinquemila anni fa, e mantenuta tre settimane fa. Bruinsma (rimane un momento sorpreso, poi pren de gli occhiali nel taschino e rilegge il testo. Dopo che hanno bussato due volte alla porta senza che nessuno dei due l’abbia notato, la porta viene aperta con esitazione, e Kuiper esplode). Kuiper — Ebbene, cosa c’è? Vi avevo detto che non volevo essere dis... (E' il Rabbino, piccolo e confuso, con il cappello in mano). I l Rabbino — La mezz’ora è passata... E’ ancora troppo presto? Kuiper — E’ troppo presto in ogni caso per dire qualcosa di positivo, Rabbino. Il Console non mi ha ancora informato della decisione definitiva delle autorità. I l Rabbino — Ma la mia gente, capitano... che cosa devo dire alla mia gente? Tre hanno già ten tato di uccidersi. Non ce una possibilità, sia pur piccola, che ci accettino? Kuiper — No. I l Rabbino — Ah! Kuiper — Ma può dire ai suoi, Rabbino, a nome mio, ch’io farò tutto quanto sarà in mio potere per restituire loro la libertà. I l Rabbino — Lei... lei non ci porterà indietro? Kuiper — No. Navigherò. E Dio mi aiuti. I l Rabbino — Capitano! (Gli afferra la mano) Grazie! Grazie! Grazie! Tutti i figli d’Israele... Kuiper — Andiamo, Rabbino... Il nostro Dio è lo stesso. (Esce con Bruinsma). A T T O S E C O N D O (La cabina del capitano della « Nelly », al largo della costa degli Stati Uniti, vicino a Sandy Hook, sei settimane dopo. Quando si leva il sipario, la scena è quasi completamente al buio, la porta e l’oblò sono oscurati. Piove, e si sente il monotono fruscio nello sfondo1. Si sente anche, di sotto, il pulsare del motore e, ogni tanto, un’onda che si frange contro la nave, o un uccello che vi svolazza sopra stridendo. In lontananza l’uomo allo scanda glio grida, la profondità: « Cinque scarse... cinque... CAPITANO DOPO DIO cinque buone...». Il suo melanconico e monotono grido si ripete a intervalli regolari e aumenta la strana lugubrità dell’ambiente, ancora intensificata dalle ombre spettrali che una piccola lampada ad olio getta sul muro di sfondo. E’ l’unica luce della cabina e sta sul tavolo, sopra una carta geografica, intorno atta quale sono raggruppati Kuiper e i tre Ebrei. Kuiper ha l’impermeabile, gli altri indossano i loro soliti vestiti da profughi, ma con. bianche cinture di salvataggio che li fanno sembrare dei bianchi torsi semoventi a mezz’aria. Kuiper dà istru zioni, indicando dei punti sulla carta mediante un compasso). Kuiper — Dunque è chiaro? Qui vi sbarcheremo, prima la scialuppa a tribordo, con gli uomini sotto il comando del secondo Meyer, poi quella a babordo con le donne guidate da Eruithof, e da ultimo la barca con gli ammalati, comandata dal nostromo. I l Primo Ebreo — Come le altre volte. Kuiper — Fin qui, sì. Ma appena sarete sbarcati, sarà ben diverso dalle altre volte. Stavolta dovrete, all’alba, guidare tutti quanti in questo punto: è una stazione di bagni che adesso è piena di gente. Appena riuscirete a raggiungerla, e ad allarmare l’intero villaggio cosicché ognuno accorra fuori di casa, sarete salvi. Ma per arrivarci non dovete se guire la spiaggia, così, perché lì correreste un gran rischio di essere raccolti dalla polizia militare, ma andate avanti attraverso la campagna finché arri vate a questa fabbrica, che riconoscerete facilmente dai due alti camini. Lì andrete a sinistra, seguirete la strada maestra, tenendovene fuori... (Bussano alla porta, ed egli copre la lampada con il berretto) Avanti! (E’ il dottor Richters seguito da Henky con una borsa. Entrambi hanno l’impermeabile, scin tillante di pioggia). Richters — Mi scusi, capitano, ma devo aprire l’armadio ancora una volta. Kuiper — Avanti. Gli ammalati sono nella barca? Richters — Sì, capitano... Andiamo, Henky! (Chiude la porta). Kuiper (scoprendo la lampada) — Allora è chiaro? I l Primo Ebreo — Aspettare fino all’alba, poi avanzare verso ovest finché arriviamo alla fabbrica, poi a sinistra lungo la strada maestra finché arri viamo al villaggio... I l Secondo Ebreo — Oh! Se almeno ci fossimo già! Kuiper — Su, non serve a nulla scoraggiarsi. E’ una notte perfetta. Nera di pioggia. Le probabilità che ci prendano questa volta sono una su mille. Ma tutto dipende, signori, dal gran baccano che farete in quel villaggio appena vi arriverete. Gri date, rompete dei vetri, fate tutto quello che volete, purché serva a... (La porta si apre, dopo che vi hanno bussato leggermente, così che Kuiper ha JAN DE HARTOG appena il tempo di coprire la lampada. E’ Meyer, con l’impermeabile, tutto gocciolante di pioggia e molto affannato). Meyer — Lo scandaglio dà quattro braccia. E’ ora. Kuiper —• Le scialuppe sono sganciate? Meyer — Sono tutte caricate, e pronte per essere calate in mare. Kuiper — Va bene. Fermate il motore, e conti nuate a scandagliare. Meyer — Sì, sì, capitano. (Esce). Kuiper — Ora, signori, andiamo. (Dà una scato letta al Rabbino) Rabbino... le sue carte. (Strìnge la mano a tutti e tre) Diciamo: la terza volta è for tunata. (Ad Henky) Copri la lampada. Henry — Sì, capitano. {Eseguisce. Appena è scuro, Kuiper e i tre Ebrei escono dalla cabina). Richters {mentre la porta si chiude) — Sì! Fac ciamo luce di nuovo... Avanti, ragazzo, muoviti, non c’è tempo da perdere... Ecco, prendi qui! Fa’ attenzione a quelle bottiglie, perdinci! (La campana della caldaia suona, il motore smette di battere). Henry — Obimé, ohimè, dottore! Richters — Che c’è? Hai rotto qualcosa? Henry — No... ho tanta paura... Richters — Sei matto. Tu non hai da sbarcare, no? Henry — Ma devo andare in quella barca, e se si mettono a sparare come le altre volte... Kuiper (di dentro, con un fischio) — Calate a tribordo! Pronti, a babordo! Henry — Oh, povero me! Povero me! Ecco lì! Richters — Chiudi quella bocca! Chiudila e muo viti! (Dalla porta) Avanti, vieni? (Mentre Henky spegne la lampada, la voce di Kuiper rìsuona di nuovo, dopo un energico fischio). Kuiper (di dentro) —■ Calate a babordo! Pronti a poppa! Richters (nell’oscurità completa) — Henky! Henry — Eccomi, dottore, eccomi. (Mentre Henky è sulla soglia, si sente l’urlo di una sirena, una bianca luce abbagliante investe la nave, e una cannonata rimbomba come un colpo• di tuono) Mamma mia! (Cade in ginocchio dietro alla porta e si mette subito a pregare. Subito dopo la canno nata, si leva il lamento di molte voci, coperto dai forti ululati del fischio a vapore della « Nelly », a tre riprese. Suona la campana della caldaia e il motore comincia a pulsare a tutta velocità a pop pavia). Kuiper (di dentro, dopo un fischio) -—• Calma, calma. Non spaventatevi! Calma! (Fischio) Numero uno! Issate la barca! Attenzione alle mani! (Fischio) Nostromo! Scala di corda a tribordo! (I comandi si susseguono, scarpe chiodate traversano il ponte, oltre la porta issano la barca da cui escono delle figure miserevoli. E durante tutto il tempo, con vocetta terrorizzata e acuta, Henky continua a pregare). Henrìt (sobbalzando allo sparo) — Oh Signore, oh Signore, non lasciarmi morire, oh Signore, falli smettere di sparare, oh mio caro Signore, ti sup plico, non lasciarmi morire, non lo farò più, mai più, mai più, restituirò tutto, tutto, lo giuro, il coltello del secondo, il bocchino del cuoco, la matita d’argento del dottore, tutto, tutto, oh Signore, ma falli smettere, falli smettere di sparare! Oh caro Signore, oh bel Signore, che sei nei cieli, dacci oggi il nostro pane quotidiano, e i gemelli da pol sino del secondo, e la lozione per capelli del signor Fruithof, che mi ha tradito con quella maledetta puzza, lo so, Signore, ohe era un segno che non dovevo allungare le mani, invece ho continuato a peccare, sì, lo so, bel Signore, ho peccato, peccato come mio zio Joe, ma è stato il diavolo! Ti giuro, mio caro Signore, è stato il diavolo, il diavolo : ogni volta che non volevo mi obbligava, ogni volta vo levo convertirmi ma ogni volta lui ci metteva il suo sporco dito, è colpa sua, Signore, e perciò dammi ancora una piccola possibilità, fa’ che non sia troppo tardi, perdonami, perdonami, non dirò mai più che ho vent’anni, non correrò più dietro alle ragazze e non proverò più a portar via i loro orecchini, e dunque lascia che mi alzi ora, Signore, non lo farò mai più, ma lasciami ora, lo prometto, 10 prometto, farò tutto quello che non mi piace fare, ma lascia che smetta di pregare, su, Signore, su, lascia che dica amen, ti prego, lascia che smetta, tri prego, ti prego, devo prender fiato e... soffiarmi 11 naso... e... amen! Oh Dio, non posso, oh! Amen, oh! M i sento così strano, paralizzato: non posso alzarmi... amen, amen! Aiuto, Gesù! Non farmi impazzire, io... aiuto, mi è venuto il crampo della preghiera! (In quel momento, il proiettore si spegne e la scena resta completamente oscura. Dì dentro Meyer grida). Meyer — Paarlberg! Numero tre! Paarlberg! Henry — Oh Gesù, oh madre mia! Pensa a mia madre: mamma, mamma, morirà di colpo se sentirà che sono impazzito a furia di pregare... (Meyer ac cende la luce) Aiuto! Non sparate! Meyer —- Eh! che ti viene in mente? (Lo scuote) Eh, che cos’hai? Henry —• Non posso... non posso... amen, amen. Oh bel Gesù, non so che fare, son tutto a pezzi, a pezzi ai tuoi santi piedi... Richters (riapparendo affannato) — Meyer, il capitano ti sta chiamando per tutta la nave! Quegli americani... Henry — Calpestatemi, calpestatemi pure, ma io non posso andare! Richters — Che cosa capita qui? Meyer — Non me lo chiedete. Un vero manicomio! Tutta la maledetta tinozza! Kuiper (di dentro, dopo un fischio) — Meyer! Numero uno! Meyer — Sì, sì... roba da matti! (Esce). Henry (frattanto) — A pezzi, a pezzi, oh Signore, calpestami. Uno straccio, sono, ho peccato mortal mente, adesso è finita per me, ora voglio essere morto. Amen, amen, gettami a calci neH’infemo, sì, gettami al diavolo, amen, al diavolo, gliela farò pagare, gli farò vedere io che cosa guadagna a ten tare i ragazzi che vogliono stare con Gesù. Sì! Lo prenderò alla gola, sì, gli caverò gli occhi, sì, gli romperò le gambe storte, gli ficcherò le sue corna nella pancia, gli strapperò la coda dal suo male detto... (Richters gli dà due schiaffi professionali) Oh! oh! Amen. (E scoppia a piangere). Riceiters —- Prendi quella borsa e vieni con me. Henry (piagnucolando) — No, no. Richters — Avanti, muoviti. Henry —• No, no, non nella stiva. Per favore, dottore, non nella stiva. Richters •— E perché non nella stiva? Henry — Li picchiate. Picchiate quegli Ebrei. Richters — Cosa? Chi picchia gli Ebrei? Henry — Tutti voi! Il secondo Meyer e il signor Fruithof e il signor Paarlberg e il nostromo, tutti! Richters — Tu sei matto. Henry — Adesso son tre volte che ci respingono indietro! Adesso viene il cuoco. Richters — Il cuoco? Henry — L’ha detto lui! Richters — Che cosa ha detto? Henry — Il cuoco ha detto: quando siamo partiti, ha detto, il mio cuore era tutto intenerito, tanto mi spiaceva per quei poveri Ebrei, ma adesso, ha detto, adesso son d’accordo con chiunque dica che devono essere ammazzati, perché hanno crocifisso Gesù, ha detto, e trovano a ridire sulla mia cucina per so prammercato, e perciò taglierò la testa a tutti, ha detto, se ci respingono un’altra volta... {Meyer entra in fretta, seguito da Davelaar, che ha l’impermea bile fradicio di pioggia. Meyer va verso il tavolo dove rotola nervosamente la carta geografica, poi cerca di nasconderla nella cuccetta). Davelaar (entrando) —1 E che nave è stavolta? Lo stesso cacciatorpediniere dell’ultima volta? Meyer — Che vuoi che ne sappia. Un cannone su una nave. Lasciami in pace. Davelaar —■ Ah, l’abbiamo scampata per un filo, stavolta. Così mi aiuti Iddio, come vero che mi son sentito saltare gambe e braccia. Sono già a bordo gli americani? Meyer — Perché mi secchi, non puoi vedere da solo? Perché avrebbero spento il loro fanale, se no? CAPITANO DOPO DIO Richters — Che cosa fate con quella carta? Meyer — Cerco di nasconderla. E’ tutta scaraboc chiata di segni per i nostri approdi. Bisogna to glierla di mezzo prima che arrivino gli americani, a ficcare il naso. Riceiters — Dalla a me. (Gli prende la carta dalle numi). Davelaar —■ Quanti sono? Meyer — Sei, e un borghese per soprammercato. (A Richters, che ha tirato su il sedile del divano) Eh, dottore, che cosa fate? Richters — La metto nel mio cassone... Davelaar — Borghese, cosa vuoi dire? Meyer — Ma si stazzona tutta. Non potrà più servire. Richters — Che peccato! Davelaar (tirando Meyer per la manica) — Ri spondi, che borghese? Meyer — Oh, al diavolo! Con le basette e il cap pello duro. Richters (a Henky, che sta ad ascoltare con le orecchie tese) — Su, porta questa borsa nella sala. Presto! Henry — Sì, dottore. (Sguscia via). Davelaar — Vorrei che stavolta ci portassero a terra. Meyer — E poi che vuoi ancora? Dei fiori? Richters — Datemi una risposta franca: avete picchiato quegli Ebrei? Meyer (dopo un breve silenzio) — Se avessero avuto intenzione di condurci a terra, avrebbero por tato un pilota. Davelaar — E il borghese? Non può darsi che sia un pilota? Richters — Così lo ammettete. Meyer —- Ammettiamo che cosa? Crede che non abbiamo altro da fare? (A Davelaar) Se avessero voluto... (Entra Kuiper, seguito da un ufficiale della marina americana e da uno olandese; VAmericano è vivace e cordiale, l’Olandese rigido e freddo; sono tutt’e due vice-comandanti in divisa, fradici di pioggia, e tutt’e due con borsa di pelle). L’U fficiale Americano (entrando) — Ebbene, signori? Tutto bene dall’ultima volta? Davelaar —■ Avrebbe potuto andar meglio, grazie. L’U fficiale Americano — Già, ragazzi: ma è causa vostra. Io faccio il mio dovere, e il solo lato buono ohe ci trovo è il vostro gin. Dio! Che tempo! Kuiper — Meyer. Meyer — Sì, capitano. (Va all’armadietto e versa da bere) Ne vuole uno anche lei? L'U fficiale Olandese — No, grazie. Davelaar — Ci lasciano entrare, stavolta? L’U fficiale Americano — Ti piacerebbe saperlo, JAN DE HARTOG eh? Al diavolo! Guarda quella borsa... Mettici anche una goccia di rhum, per piacere. Davelaar (eseguisce) — Ci avete fatto fare un salto, stavolta, giovanotto. Per poco non son finito nella caldaia. L U fficiale Americano — Vi abbiamo mancati per poco, eh? Davelaar — Potete dirlo. Tutti i miei arnesi mi son caduti in testa. L U fficiale Americano — Bene. Il nostro can noniere sarà lieto di sentirlo. (Prende il bicchiere) Grazie, zio. Nessun altro ne prende? Davelaar — Siamo razionati, per conservarlo per lei. L U fficiale Americano — Allora è meglio che lo beva, perché questo sarà il nostro ultimo ap puntamento. (Beve). L U fficiale Olandese — Possiamo venire agli affari, capitano? Kuiper — Benissimo. Ma prima mi dicano quello che devo fare. Andare o stare? Loro capiscono, devo prendere disposizioni. L U fficiale Olandese — Credo che abbiamo ordine di stare a bordo fino all’alba. (All’Americano) Non è così? L U fficiale Americano (finendo di bere) — Sì... (Posando il bicchiere) Ah! sentirò la vostra man canza!... Può gettar l’ancora, capitano. Il fondo è buono qui intorno, così non si preoccupi. Kuiper — Allora molla quella di ‘bordo, Meyer; tu, Davelaar, copri i fuochi e lascia un uomo a sorvegliare; e lei vada sotto, dottore. Richters — Sì, capitano. Davelaar — Ma... Meyer — Su, vieni. (Escono). L U fficiale Americano — Ora, capitano... (Al l’Olandese) Non le spiace se prima gli dico due parole? L U fficiale Olandese — Faccia pure. L U fficiale Americano — Senta, maledetto osti nato d un olandese... (All’ufficiale olandese) Mi scusi. L ’U fficiale Olandese — Ma le pare. L U fficiale Americano — Lasci che per prima cosa le faccia una domanda: spera ancora di riu scire a giocarci? Kuiper — Se ci lasciaste entrare, questa volta? L U fficiale Americano — Se aspetta questo, fa rebbe meglio a mandare a prendere una poltrona. E lo sa bene, del resto. Kuiper — Speravo di poter sbarcare quella gente senza dover torturarla una quarta volta. L U fficiale Americano — Amico mio, non è la prima volta che passiamo attraverso tutto questo, e non ce quindi bisogno che le ripeta qual è la posizione delle autorità degli Stati Uniti nei ri guardi suoi e di quel suo disgraziato mazzo di Ebrei. Lei sa che simpatizziamo tutti molto con lei, e questa è la principale ragione per cui gliel’abbiamo lasciata far franca tre volte, senza toglierci i guanti. Ma che simpatizziamo o no con lei e i suoi pas- seggeri, o che ci togliamo' o no il cappello davanti a lei come a un magnifico marinaio, ciò non ha niente a che fare con il nostro dovere. Capito? E’ chiaro? Così se stavolta le diremo qualcosa che non le piacerà affatto, non ne faccia colpa a me o alla Marina... La colpa è tutta sua. L’U fficiale Olandese (aprendo la borsa) — Ca pitano, sono qui come rappresentante ufficiale del l’Addetto Navale deH’Ambasciatore di Sua Maestà a Washington, ed è mio dovere avvertirla che tutto quanto dirà in mia presenza sarà usato contro di lei. Kuiper — Grazie. L’U fficiale Olandese — Le autorità navali degli Stati Uniti hanno informato il nostro Addetto Na vale delle sue azioni e gli hanno chiesto di Anettere un termine ai suoi tentativi. Questo, è mio dovere informarla, non è nelle nostre facoltà, ma... L U fficiale Americano — Senta un po’, amico mio... L U fficiale Olandese — Ma lei avrà osservato, capitano, che i colpi che la Guardia Costiera degli Stati Uniti ha dovuto sparare per fermarla, son caduti ogni volta più vicino alla sua prua. Kuiper — L’acqua è spruzzata fin sul ponte, sta sera. Forse la prossima volta potrebbero... L U fficiale Olandese — La prossima volta, ca pitano, il colpo non sarà tirato vicino alla sua nave, ma sopra. Questo è il messaggio che le autorità navali degli Stati Uniti hanno comunicato all’Ad detto Navale deU’Ambasciatore di Sua Maestà a Washington, ed è mio dovere neutralizzare le con seguenze per il Regio Governo dei Paesi Bassi di un eventuale affondamento della sua nave. Kuiper — Cerca di fare dello spirito? L’U fficiale Olandese — Credo che lei possa es sere certo, capitano, che la Guardia Costiera adem pirà agli ordini ricevuti senza esitare un secondo. (All’Americano) Dico bene? L U fficiale Americano — Può scommetterci. Le ho già detto, amico mio, che i nostri sentimenti personali non contano. Abbiamo ordini precisi, l’af fonderemo senza pensarci due volte. E’ chiaro? Kuiper — Benissimo. Fate pure. L U fficiale Olandese — Come sarebbe? Kuiper (all’Olandese) — Dica alla Guardia Co stiera degli Stati Uniti, a nome mio, che non pos sono farmi un piacere più grande. (AH’Americano) Torni al suo cacciatorpediniere, dica al suo coman- dante che domani io farò un altro tentativo di sbarcare quella gente e gli dica di sparare. Ma gli chieda di farmi il favore di colpirmi a poppa, così il danno sarà minore ed essa affonderà nei migliore dei modi. L’U fficiale Americano — Non gliel’avevo detto? E’ tocco. L’U fficiale Olandese —- E’ la sua ultima parola? Kuiper -— Oh, finitela! Per chi mi prendete? EIo due stive piene di gente sul punto d’impazzire: credete che voglia perdere il mio mio tempo con simili sciocchezze? L’U fficiale Olandese — Sciocchezze? L’U fficiale Americano —• L’esistenza stessa della sua nave è in gioco! Kuiper — Sì, sciocchezze! Ci penserete bene prima di affondarmi; perché quali sarebbero le conseguenze per voi? Dovreste mettere in mare le scialuppe, ri pescare i miei Ebrei, portarli a riva, e si riderebbe di voi. Perché allora andrebbero direttamente al campo d’internamento. L’U fficiale Olandese — Lei si sbaglia, capitano. Anche se i suoi profughi riuscissero a metter piede sul territorio degli Stati Unid, sarebbero poi riman dati al loro paese. Kuiper — No. L’U fficiale Olandese — Come? Kuiper — No! Ciò avverrebbe finché si riuscisse a tenere all’oscuro l’opinione pubblica. Ogni vil leggiante da Capo Hattexas a Sandy Hook sa in questo momento che una nave carica di Ebrei af famati tenta di toccar terra clandestinamente. Ogni giornale, da New York a San Francisco, metterebbe la notizia ‘ben in vista, in prima pagina, appena il primo dei miei Ebrei toccasse terra. Si è perfino formato un comitato per ottenere dei visti per loro, con il quale io mi metto tutti i giorni in contatto mediante la radio. Faccia dunque sparare, domani. I miei Ebrei saranno al sicuro il giorno dopo. E quindi non sparerete, ed è inutile che veniate a raccontarmela. So bene come stanno le cose... e i miei rispetti all’Ambasciatore. L’U fficiale Americano — Che il diavolo mi porti se... L’U fficiale Olandese — Lei sembra ben infor mato delle cose americane, capitano. Chi le ha dato tutte queste informazioni? Kuiper — 11 Console a Montevideo. L’U fficiale Americano — Peccato. Kuiper — Per voi. L'U fficiale Americano — Per quel Console. Kuiper — Perché? Non doveva dirmi la verità? L’U fficiale Olandese — Un Console, capitano, non ha il compito di servire la verità, bensì gli interessi del suo governo. Kuiper — E come può il fatto che io salvi quei CAPITANO DOPO DIO disgraziati danneggiare gli interessi del mio governo? L’U fficiale Olandese •—• Sta al governo giudi care di questo, capitano, e non a lei. Lei deve ob bedire alle autorità, che le ordinano di smetterla di dar fastidio a una potenza amica. Kuiper — E gli Ebrei? Che cosa vuole che ne faccia, degli Ebrei, il nostro governo? Portarli in dietro à farli massacrare? L’LÌfficiale Olandese — Questo è affar suo. Se non vuole portarli indietro, getti l’ancora fuori del limite costiero e aspetti i risultati del suo comitato. Ma per il caso che lei continuasse a imporre questi stranieri indesiderati agli Stati Uniti, temo che do vrò chiederle di firmare questa dichiarazione che ora le leggerò. Kuiper •— Che dichiarazione? L’U fficiale Olandese — Una dichiarazione che lei è a conoscenza del fatto che il Regio Governo dei Paesi Bassi declina ogni responsabilità politica delle azioni che lei compirà. L’U fficiale Americano — Il che vuol dire che non riconosce più la sua nave come territorio olan dese. L’U fficiale Olandese — Non credo che ciò sia legalmente possibile, ma in pratica è lo stesso. Se lei rifiuta di ottemperare alla nostra richiesta, ca pitano, lei resterà assolutamente privo di qualsi voglia protezione nel tentativo di sbarcare quella gente. E’ una misura assai dura, ma lei può ancora scegliere. Kuiper — Così se navigherò con i miei centoqua- rantasei Ebrei in alto mare, a morir tutti di fame e di sete, finché diventerò un Olandese Volante e la mia nave un Vascello Fantasma, sarò un buon cittadino? L’U fficiale Olandese —- Se vuol presentare la cosa così, certo. Kuiper — E se continuo a bussare alla porta di tutti questi dormienti perché accolgano il mio ca rico di moribondi, sarò un fuorilegge? L’U fficiale Americano — Sì. Kuiper — Che cosa sceglierebbe, lei, sotto gli oc chi di Dio? L’U fficiale Americano — Eccoci di nuovo con la vecchia Bibbia! No, mio caro pirata cristiano, non m’indurrà più a una discussione da Esercito della Salvezza. Stavolta abbiamo portato un campione in questo gioco: e sarà bene che faccia attenzione ai suoi denti davanti. Kuiper — Di che sta parlando? L’U fficiale Olandese — L’Addetto Navale, ca pitano, è stato informato che lei era ispirato da con siderazioni di carattere religioso, e poiché il Go verno di Sua Maestà non vuol trascurare nessuna possibilità di chiarire questo malinteso, si è messo in contatto con il Pastore della comunità olandese JAN DE HARTOG a New York. Lei fa parte della Chiesa Riformata dei Paesi Bassi, non è vero? Kuiper — Un ecclesiastico? Il tipo che era nella barca con voi? L’U fficiale Americano — Che sorpresa, eh? L’U fficiale Olandese — Il Pastore è un antico cappellano di Marina e, nonostante l’età, ha accet tato di fare questo viaggio per scambiare punti di vista con lei, su proposta di entrambi i nostri Di partimenti Navali. Mi sembra che ormai la nostra discussione abbia raggiunto un punto... Kuiper — Non voglio vedere quell’uomo. L’U fficiale Americano — Allora non si sente sicuro! Kuiper — Non ho bisogno di essere catechizzato da un ecclesiastico in combutta con degli assassini. L’U fficiale Americano — Adesso badi a quello che dice... L’U fficiale Olandese (che ha aperto la porta, chiama) — Vuole aver la cortesia di entrare? (Quasi subito la nera figura sgocciolante del Pastore ap pare sulla soglia. E’ un uomo dm capelli grìgi, con la faccia rugosa di un vecchio monaco. Gli ufficiali escono e chiudono la porta). I l Pastore (porgendo la mano) — Buona sera, fratello. Kuiper — Noi non siamo fratelli. I l Pastore — Lei è cristiano? Kuiper — Sì! I l Pastore (gli dà un bello schiaffo. Kuiper lancia avanti il pugno per restituire il colpo, ma il Pastore gli ferma il braccio con inattesa energia e dice) — Sermone della Montagna, Matteo, 5, 39 : « Chiun que ti colpisca sulla guancia destra, porgigli la si nistra». Dunque lei non è cristiano, ma cerca di diventarlo, proprio come me. Si sieda. (Il Pastore si siede e spreme le falde della giacca. Kuiper rimane per un momento sorpreso, fa alcuni passi, e si ferma davanti al ritratto). Kuiper (voltando la schiena al Pastore) — Allora è male quello che faccio? I l Pastore — Che cosa fa? Kuiper — Salvare quegli Ebrei. I l Pastore — Riportandoli indietro affamati e di sperati invece che forti e in buona salute? Kuiper — Non li porterò indietro! I l Pastore — Non oggi, forse, ma fra un paio di settimane. Kuiper — Sbarcherò quella gente... I l Pastore — Come lo sa? Dio gliel’ha detto? Ha avuto un segno? Kuiper — No. I l Pastore — Allora non li sbarcherà, perché io ho visto un segno. Ventine di cacciatorpediniere, che fanno quarantacinque nodi all’ora. Aeroplani che la pedinano, giorno e notte. Tutto il denaro e tutto il cibo del mondo contro... contro di lei. Kuiper — Allora ho mal interpretato la Bibbia tutta la vita? I l Pastore — Certamente. La Bibbia è un libro misterioso, fratello. La parola di Dio sembra con traddirsi dovunque. Sono teologo da trentacinque anni. Quando frequentavo la Scuola Domenicale credevo di saper leggere la Bibbia. Adesso non lo credo più. Kuiper — Signore, ciò è molto importante per me, potrebbe cambiare tutto. Mi risponda, non come rappresentante del Governo, ma come uomo di Dio: crede che sia volontà di Dio ch’io riporti in dietro quella gente? I l Pastore — Credo sia volontà di Dio che lei cerchi di diventare cristiano. Allora non torturerà centoquarantasei persone per amore della sua anima. Se non si sente di accettare gli ordini delle autorità, le resta una sola cosa da fare: dare le dimissioni. Consegni il comando al suo secondo e lasci il mare. Così farà un sacrificio per la sua fede; ma in se gréto, come insegna il Cristo, non con trombe agli angoli delle strade, ma nell’oscurità. Allora sarà un buon cristiano come quei poveri diavoli che non accettano lavoro sulle ferrovie perché non vogliono lavorare la domenica Kuiper — Ma quegli uomini hanno soltanto se stessi e le loro famiglie da considerare! Io tengo in mano il destino di centoquarantasei persone indifese. I l Pastore — S’io credessi, anche solo per un se condo, che lei possa realmente salvare quelle per sone, direi che ha ragione. Kuiper — Perché non lo devo potere? Se Dio si è data la pena di farmi conoscere la sua volontà, farà sì ch’io possa adempierla. I l Pastore — Il solo, mio caro ragazzo, che finora ha saputo interpretare la volontà di Dio senza er rare è Gesù. E spero che mi perdonerà se non la vedo come un secondo Messia. Kuiper — Mi veda come vede se stesso: un servo del Signore. I l Pastore — Matteo 12, 19: «Il servo del Si gnore opera nel silenzio. Non lotterà, non griderà: né alcuno sentirà la sua voce per le strade». Kuiper — Sempre Matteo, non ricordo il versetto: « Quel ch’io vi dico nel segreto, gridatelo all’aperto, e quel che vi dico all’orecchio, predicatelo sui tetti ». I l Pastore — Capitano, gliel’ho detto, non serve a nulla addentrarci in una discussione sull’esegesi della Scrittura. Lei erra. Lei ha superato i confini della libera interpretazione dei testi concessa a ogni membro della Chiesa. Nel nome del Sinodo della Chiesa Riformata dei Paesi Bassi, devo esortarla a desistere dai suoi tentativi. Kuiper — E gli Ebrei? Che dice il Sinodo di quegli Ebrei? Devo assassinarli? I l Pastore —• Lasci la cosa a Dio. Lei ha già fatto troppo. Kuiper — E se io pensassi di aver fatto troppo poco? I l Pastore — Se continuerà i suoi tentativi di sbarcare quegli uomini di contrabbando, agirà contro gli ordini espliciti della sua Chiesa. Kuiper — Forse anche lei ha una dichiarazione da farmi firmare. I l Pastore — Una dichiarazione no, ma ho messo per iscritto il punto di vista della Chiesa e le sarò grato se vorrà firmarlo, per chiarire tutto questo malinteso con l’Ambasciatore. (Porge a Kuiper un foglio che ha estratto dalla tasca: Kuiper lo lacera senza dir nulla. Il Pastore si alza) Così facendo lei ha stracciato i principi che guidano il nostro popolo da trecento anni. Kuiper — E dove l’hanno guidato? Ascolti. (Nella breve pausa che segue, giungono dalle stive dei lamenti che hanno aleggiato nell'aria tutto il tempo). I l Pastore — Il più grande peccato che l’uomo possa commettere, fratello, è l’orgoglio spirituale. Tutti i veri cristiani in tutto il mondo si consumano il cervello sul problema ebraico... Kuiper — Per un vero cristiano' non esiste un pro blema ebraico, ma solo un problema cristiano. I l Pastore — Pregherò per lei. E’ la sola cosa che mi resta da fare. Kuiper — Grazie. Il Rabbino ed io pregheremo per lei, e per la Chiesa Riformata dei Paesi Bassi. (II Pastore si mette in testa il suo cappello bagnato, come un giudice che dia sentenza di morte. Quando apre la porta per uscire, il Rabbino è lì, nella pioggia, con una scatola in mano). I l Rabbino — Oh... mi scusi, capitano... non volevo disturbarla... Kuiper — E’ arrivato proprio al momento giusto. (Il Pastore scompare nell’oscurità. Il Rabbino entra esitante). I l Rabbino — Sono solo venuto a restituirle le carte, capitano... Temo che la scatola si sia bagnata un po’... Kuiper (prendendo la scatola) — Sì... La terza volta non è stata fortunata. Peccato. I l Rabbino — Le siamo tutti molto grati, capitano, di aver voluto provare ancora una volta, ma... ora suppongo che... o c’è ancora qualche lieve speranza? Kuiper (con un sospiro) — Non so. I l Rabbino — Solo per la mia gente, capitano... Incominciano a perdersi di coraggio... Non c’è nulla che io possa dir loro? Non è necessario die sia vero... Richters (entrando in fretta, senza salutare) — Capitano, devo parlarle immediatamente! Gli Ebrei... Kuiper — Mi dispiace, ma sono occupato con un passeggero. Richters — Ma appunto perché il Rabbino... Kuiper —• Prego, dopo. CAPITANO DOPO DIO Richters (offeso) — Oh, scusi. (Esce). Kuiper (al Rabbino spaventato) — Anch’io non so come fare, Rabbino. Direi... Dica loro che ho in formato il Comitato,a terra che siamo completamente esauriti e attendiamo il telegramma decisivo da un minuto all’altro. I l Rabbino — Sì... Sì, va molto bene, capitano... Grazie. Molte grazie. Ora vado. Kuiper —■ Un momento, prego. (Apre la porta e chiama) Dottore! Richters (appare sulla soglia dopo un momento, e dice freddamente) — Mi vuole? Kuiper — Che cosa doveva dirmi? Richters (in tono ufficiale) — La ciurma maltratta gli Ebrei... i passeggeri. Ho ritenuto mio dovere... Kuiper — Maltratta? Chi è? Richters — Gli ufficiali, il nostromo e i marinai. Quando li hanno caricati sulle barche, ci sono stati calci e colpi, e quando li hanno stivati di nuovo si sono serviti delle cinture per picchiarli. Kuiper (al Rabbino) — E’ vero? I l Rabbino — No, no, capitano. Per nulla... voglio dire... il dottore ha ragione. Ma non ha importanza. Richters (a Kuiper) — Ecco, ora lo sente anche lei. (Al Rabbino) Come pensa che possiamo evitare queste cose, se tenete tutti la bocca chiusa? Nelle ultime due settimane ho curato una quantità di ferite e di ammaccature, che i pazienti dicevano causate dall’aver battuto contro qualcosa, e che ora risultano... Kuiper — Un momento, dottore! (Al Rabbino) Le chiederò in seguito di chiarire questa faccenda, Rab bino: a lei e agli altri due signori, ma ora vada giù, calmi i suoi e faccia smettere quei lamenti. I l Rabbino — Sì, capitano. Benissimo, capitano. (Salutando il capitano e il dottore separatamente con due inchini) Buona giornata, buona giornata. (E scompare nella notte). Richters (appena il Rabbino ha chiuso la porta) ■— Mi spiace, capitano, ma il modo in cui mi ha cacciato fuori come uno scolaretto... non posso pas sarci su. Dopo tutto sono il medico a bordo di questa nave. Kuiper — Appunto perché è medico, penso che si renda conto che quello di cui questa gente ha so prattutto bisogno è il rispetto di se stessi. Finché parla di «ebrei» che sono «caricati» e «stivati», tratta le persone come se fosse un veterinario. Richters •— Ha ragione: mi dispiace. E’ un tipico sintomo di nevrastenia. Non so più che fare, ca pitano: è al disopra delle mie forze. Kuiper —■ Come ha sentito quella voce dei mal- trattamenti? Richters — Non è una voce, capitano : è la verità. Henky, il ragazzo, se le lasciato sfuggire in un momento d’isterismo. Meyer e il capo fuochista JAN DE HARTOG hanno dovuto ammetterlo. Sembra che il caporione sia il cuoco, e aizzi tutta la nave contro gli Ebrei. E loro gli facilitano la cosa con queU’atteggiamento servile. Qualche volta mi sono sentito io stesso pru dere le mani, mentre versavo del bromuro con un cannello in gola a quei piagnucoloni. Kuiper — Ma gli uomini lasciarono il Sud America contenti, due mesi fa... Richters — Non vedono più nessuna via d’uscita, capitano. Vedono il loro denaro faticosamente gua dagnato sfumar via per un carico di disgraziati che non credono più neanche loro alla possibilità di salvarsi. E c’è un’altra cosa, capitano, contro cui devo metterla seriamente in guardia. Se ci respin gono un’altra volta dalla costa come stanotte, deve aspettarsi un’epidemia di suicidi, e allora si scatenerà un vero inferno. Kuiper — Via, via. (Batte il dottore sulla spalla) Quella gente ha già sopportato tanto. Richters — Lei ha le mie relazioni : legga; e veda dal ponte. Metà di quella gente è accampata sopra coperta perché le stive affollate la fanno impazzire : la claustrofobia imperversa come una malattia con tagiosa. Diluisco il bromuro all’uno per settanta, al trimenti la mia riserva non durerebbe una settimana. I crampi cardio-vascolari sono all’ordine del giorno. Più di trenta pazienti si lamentano di un dolore bruciante allo stomaco e dichiarano di avere delle ulcere gastriche dovute al cibo (il che spiega l’osti lità del cuoco, tra parentesi), ma non c’è nessuna ulcera, si tratta solo di angina nervosa. Ancora una scossa, e tutti quei soggetti tenteranno il suicidio. Uno sta già morendo, probabilmente per aver in gerito del laudano. Hanno tutti con sé una dose mortale di qualche veleno, che rifiutano di conse gnare. Se non libera questa gente entro una setti mana prendendo qualche decisione, qualunque essa sia, fra una quindicina di giorni questa nave sarà diventata un manicomio, da cui tanto lei che io fuggiremo urlando. E se questo dev’essere il risul tato del suo cristianesimo applicato... Kuiper — Va bene! Ne so abbastanza adesso. Vada sotto, e veda quel che può fare. Richters — C’è un’altra cosa, capitano. Kuiper — No; non ora: più tardi. Richters — Come vuole. (Il dottore esce silenzio samente e richiude la porta; Kuiper rimane solo, quasi un vinto. Fuori comincia a farsi chiaro, dagli oblò nasce il giorno, giallastro e lagrimoso. Kuiper passeggia, poi si ferma davanti al ritratto, e si copre il volto con le mani. Poi entra piano Davelaar, sta a guardare Kuiper, accemiendo la pipa). Davelaar (dopo un lungo silenzio) — Ricordi quello che ti ho detto? Kuiper — Oh, lasciami stare. Davelaar — Non si sparerà più contro questa nave. Chiaro? Kuiper •— Sapevi che picchiavano gli Ebrei? Davelaar — Sì, l’ho fatto anch’io. Kuiper — Non provartici più. Davelaar — Se la smetterai di farli entrare e uscire dalle scialuppe, non sarà più necessario. Kuiper — Non t’importa molto della tua anima, vero? Davelaar — M ’importa di due cose: della nave e di te. Ti ho fatto diventare io il marinaio che sei. Non ti lascerò diventare matto sotto i miei occhi. Preferisco correre il rischio di perdere la mia anima picchiando qualche Ebreo. Lo sai che si prepara un ammutinamento? Kuiper — Ma fammi il piacere. Davelaar — Fino adesso sono stati gli Ebrei a prenderle, ma la prossima volta sarai tu. Questa tua ostinazione serve soltanto finché ti senti sicuro, ma ti salteranno alla gola appena ti cominciano a tre mare le ginocchia. E non cercare di farmi credere che non ti tremano già. (Bussano alla porta due volte. Davelaar apre: sono gli itfficiali, con le borse in mano). L’U fficiale Ólandese — Capitano, siamo venuti a sentire la sua decisione. Kuiper — Subito, signori? L’U fficiale Olandese — Mi spiace, ma non pos siamo darle altro tempo. Il sole sorge fra dieci minuti. L’U fficiale Americano — Inoltre quel Pastore ci ha detto il risultato della sua discussione con lei, e ogni ulteriore perdita di parole appare inutile. Così finiamola una volta per tutte. Sta a lei decidere. L’U fficiale Olandese (disponendo• le sue carte) — Un momento. Ha la sua copia? (Kuiper fa segno a Davelaar, che esce in silenzio). L’LIfficiale Americano —• Sì, l’ho qui. Avanti. L’Lìfficiale Olandese (a Kuiper) — A proposito: se le venisse voglia di strappare anche questa di chiarazione, favorisca considerare che ne abbiamo quattro copie. (Legge) « Io, Kuiper Joris, nato ecce tera; capitano di questa nave a vapore, eccetera; regi strata eccetera, dichiaro di essere a conoscenza del fatto che, con ogni altro tentativo di sbarcare illegal mente il mio carico, composto di centoquarantasei apolidi...». (All’Americano) Non si dovrebbe dire ora centoquarantacinque? (Al capitano) Abbiamo appena appreso dal suo medico di bordo che uno di loro... L’U fficiale Americano — Lasci andare. Non insista. L’U fficiale Olandese — Bene, Dunque: «... il mio carico, composto di centoquarantacinque apolidi, su qualunque territorio di paese amico, agirò con trariamente all’esplicita volontà del Regio Governo dei Paesi Bassi, rappresentato dall’Ambasciatore di Sua Maestà a Washington eccetera, eccetera; e di essere informato dell’estrema gravità e delle conse guenze della situazione creata da tale mia azione. Visto e firmato a bordo della nave eccetera, alla presenza del Vice-Comandante Barone eccetera ec cetera ». Firmi qui, per favore. Kuiper — Ci tiene molto, a questa firma, vero? L’U fficiale Olandese — Non ho voglia di scher zare, capitano. Il tempo stringe. Avanti, firmi. Kuiper — Se firmo, divento un pirata, non è vero? L’U fficiale Americano — All’inferno, sono un uomo di mare, non un avvocato. Io... Andiamo sul ponte. E’ ora di partire. L’U fficiale Olandese — Può dare il segnale che siamo pronti. L’U fficiale Americano — Bene. (Esce). L’U fficiale Olandese — Non sa leggere? Kuiper — Perché? L’LIfficiale Olandese — «Agirò contrariamente all’esplicita volontà del Regio Governo dei Paesi Bassi... informato della gravità della situazione e delle sue conseguenze. » Dunque? Kuiper — Quali sono le conseguenze? L’U fficiale Olandese — Ci hanno chiesto di fermarla, ma abbiamo risposto che avevano le loro forze di polizia costiera per farlo, e che noi ci saremmo mossi quando lei si mettesse in testa di comparire nelle nostre acque territoriali con il suo vascello fantasma. E lasci che le dica, capitano, che, sebbene io non pensi che ci sia un paese al mondo che abbia fatto più del nostro per i profughi Ebrei, la tratteremmo in un altro modo, e la cosa ci pia cerebbe ancor meno che agli Americani. Perché con tutto il suo Cristianesimo, lei è uno strumento di quegli stessi persecutori da cui cerca di salvare questi Ebrei: li aiuta a terrorizzare il resto del mondo civile perché, in nome dell’umanità, accetti i loro elementi indesiderati; non si rende conto che oggi gli Ebrei ci sono imposti, ma che domani po trebbero essere loro i persecutori? Che cosa farebbe se si trovasse qui non con una nave carica di Ebrei, ma di sadici? Sarebbe ancora così premuroso e cristiano? Kuiper — E se mi trovassi qui con una nave carica di Governi Cristiani, il nostro incluso? L’LIfficiale Olandese — E’ disposto a diventare apolide per amore di questi Ebrei? Ecco il punto! Se non lo è, mi restituisca quel foglio, e si tolga di qui. Se lo è, allora che importanza ha che sia o no una montatura? (Kuiper firma) Grazie. Ed ora si prepari a partire il più presto possibile, perché dobbiamo condurla oltre il limite territoriale di tre miglia. E poi dovrà uscire completamente dalla zona, per via della regata. Kuiper —- La regata? L’U fficiale Olandese — Sì, non sa? Il più grande avvenimento dell’anno! Sono le gare annuali per la Cappa Hatteras: vi prendono parte i più bei panfili di tutti gli Stati Uniti. Quindi è meglio CAPITANO DOPO DIO che si tolga di qui : non c’è posto per un pesciolino come lei in mezzo a questi pesci rossi. E non perda tempo. Kuiper — Queste acque saranno vietate alla navi gazione, allora? L’U fficiale Olandese — Assolutamente! Per amor di Dio, non cerchi di rovinare queste gare! Ci dà già abbastanza fastidi così. Avanti, si sbrighi: è giorno ormai. Kltiper — E incominciano oggi? L’U fficiale Olandese — Sì, a mezzogiorno, ora americana. Adesso presto: o devo assumere io il comando? Kuiper — E quanto durano? L’U fficiale Olandese — Gran Dio, ma perché? Quattro giorni. Su, andiamo. Kuiper — Solo più una domanda. Questa nave è territorio olandese, no? Voglio dire per la legge, la legge americana. L’U fficiale Olandese —- Naturalmente. Una nave è territorio del paese di cui issa la bandiera. Ma... (Kuiper si mette a ridere) Che c’è di buffo? (Kuiper ride sempre di più) Che cosa c’è? (Kuiper si abbandona al riso) Che diavolo? Kuiper (battendogli sulla spalla) — Fratello! Ba rone! Beviamo! Deve bere alla salute dell’Amba sciatore! All’Olanda! Al Pastore! Ma non mi dica mai più che il suo nome è eccetera, eccetera. Il suo nome è Gabriele! Mio Dio! Ero preparato a tutto, meno che a questo... L’U fficiale Olandese — A che cosa? Kuiper — Che un angelo avesse quell’aspetto. L’U fficiale Olandese — Quale aspetto? Kuiper — Il suo! (Apre la porta, fischia, e grida) Numero uno, Meyer! (Si precipita al tavolo, spa lanca un cassetto, ne prende un foglio, poi gli occhi gli si posano su qualcosa che c’è dentro, e, dopo un momento di esitazione, lo tira fuori. E’ una bandiera piegata. Si mette quindi a scrivere in fretta, mentre l’ufficiale lo guarda sorpreso. Entra Meyer, seguito da Davélaar). Meyer — Ha chiamato, capitano? Kuiper — Porta questo telegramma alla radio: urgente. Preparatevi a partire e issate questa ban diera sull’albero di trinchetto. Presto! (All’ufficiale) Andiamo, Gabriele! (Scompare con il Barone stu pefatto nella rossa luce dell’alba). Davélaar (a Meyer, che è rimasto intontito con la bandiera nella destra e il foglio nella sinistra) — Che cosa dice? Non riesco a leggere. Meyer — Così mi aiuti. Davélaar — Non perderti in chiacchiere, leggi! Non capisci che si tratta delle nostre vite? Meyer — Delle nostre vite? Davélaar — Ma leggi, che ti possano... Meyer (legge forte) — « Ad Anna Kuiper, Helder, JAN DE HARTOG Olanda. Cara moglie, devo scegliere tra rinnegare la mia fede e conservare il resto, o conservare la mia fede e perdere il resto. Rispondi per te e i bambini: che cosa devo fare? Joris». Davelaar — Che cosa ha in mente quel ragazzo? {La bandiera che Meyer ha in mano cade svolgen dosi: è una sudicia bandiera bianca con una croce nera). Meyer — E’ la bandiera della croce del vecchio capitano! A T T O T E R Z O {La cabina del capitano sulla « Nelly », quattro giorni dopo il secondo atto. E’ il tramonto. Non si sente il fruscio delle onde né il battito del motore. Silenzio. Nel silenzio sorge un melanconico canto nasale, la preghiera del cantore ebreo, cui risponde il coro degli uomini. Da qualche parte i rintocchi monotoni di una campana. Quando si leva il si pario, Henky è solo sulla scena, e passeggia nervo samente in su e in giù come se aspettasse qual cuno, studiando a memoria qualcosa che dev’essere scritto su un pezzetto di carta ch’egli stringe in mano per poi dispiegarlo di nuovo. Cerca di non interessarsi a quello che accade fumi: ma quando il canto s’interrompe bruscamente, e anche i rin tocchi della campana, non può fare a meno di avvi cinarsi alla porta in punta di piedi. Tenta di vedere tutto ciò che può senza lasciare la sicurezza della stanza; e quello che vede gli fa togliere il berretto). Kuiper {di dentro, ma la voce sale chiara e calma nel silenzio) —- Uno. Due. Tre, nel nome di Dio. {Un rumore come di qualcosa che striscia, un tuffo: poi il lamento degli Ebrei si leva alto, e Henky si scosta in fretta, perché dei passi svelti si avvicinano) Davelaar {sulla soglia) — E’ là, dottore? Ehi! {Afferra Henky che cercava di sgusciar via) Che cosa fai qui? Henry — Niente, Capo. Davelaar — Che cos’hai in mano? Henry — Niente, Capo. Davelaar — Dammelo. Henry —• Non... non è niente, Capo. Davelaar {gli strappa di mano il foglietto, e cerca di leggerlo) — Che cosa ce scritto? Henry —- Niente, Capo. Davelaar — Avanti! Henry —- Mat... Mattia... Davelaar — Mattia? Che cosa racconti? Henry — Niente... niente, Capo. {Kuiper entra, con la sua uniforme migliore, seguito dal dottore, che ha l’aspetto di uno spaventapasseri). Kuiper — Che cosa succede? Davelaar {mentre Henky fugge) — Niente, Capo. Kuiper — Va’ sotto; appena la barca della «Am sterdam » accosta, partiamo. Davelaar — Sì, sì, capitano. {Tenta di far segni al dottore dietro la schiena di Kuiper). Kuiper {che se ne accorge) — C’è altro? Davelaar — No, capitano. (Esce). Kuiper {al dottore, che sta fissando la porta) — Che cosa ha fatto di quelle carte? Richters (trasalendo) — Come? Kuiper — Quel certificato di morte. Dove lo ha messo? Richters — Oh! qui, eccolo, capitano. (Apre il cassetto del tavolo e ne prende alcuni fogli) Ecco qui, capitano. Kuiper (mentre li scorre) — Forse sarà così gen tile da radersi e cambiarsi prima che il capitano Bruinsma venga a bordo. Al funerale sembrava uno spettro. Richters — Molto indicato, non trova? Dato che sono medico di bordo su un vascello fantasma... Kuiper — Un colpo? Temo che dovrà riscrivere questa dichiarazione. Richters -—- Perché? Kuiper — Dà come causa della morte un colpo. Richters — Sì. Kuiper —- Ma quell’uomo si è avvelenato, no? Richters — Aveva una forte predisposizione alla apoplessia. Kuiper — Ma ne è morto? Richters — Ho messo un colpo come causa della morte per risparmiarla, capitano. Kuiper — Risparmiare me? Richters — L’ho avvertita prima. La responsa bilità di quella morte è sua. Kuiper — La dichiarazione di morte dev’essere firmata da due passeggeri. Provveda, per favore. Richters — Se lei avesse riportato indietro quella gente quando l’ho avvertita, avrebbe salvato una vita. Kuiper — Per il campo di concentramento? Richters — Sciocchezze. Non può accader nulla a quegli uomini al loro ritorno. Kuiper —- E può ancor dir questo! Dopo quello che ha visto per due volte accadere sotto i suoi occhi? Richters — Quello che ho visto non conta. Non credo a tutte quelle storie. Dopo tutto viviamo nel secolo ventesimo. Kuiper — Sembra che il motto' del secolo vente simo sia: l’ho visto ma non ci credo. Richters — Capitano, io... io l’avverto ancora una volta, l’ultima volta, e Dio sa che è l’ultima volta. Da tre giorni... {Si interrompe, perché Da velaar ha coperto la porta e gli ha fatto un segno minaccioso). Kuiper {che non ha visto) — Ebbene? Richters — Come? Kuiper —• Stava per avvertirmi di qualcosa. Richters — Cioè... Kuiper — Di un ammutinamento. Richters -—■ Che... Che cosa glielo fa pensare? Kuiper — Non l'ha detto lei? Richters — No... certo no. Vorrei chiederle una cosa. Kuiper — Avanti. Richters — Io... ecco... non deve sembrarle stra no... ma... ha mai battuto la testa? Kuiper — Perché? Richters — Non ha mai dei capogiri? O dei mal di testa improvvisi? Kuiper — No. Richters — Capitano, metterò le carte in tavola. Mi è stato chiesto di dichiararla pazzo. Kuiper -— Chi gliel’ha chiesto? Richters —- Tutti e nessuno. Kuiper —- Se pensa ch'io sia pazzo, proceda. E’ il suo dovere. Richters — Procederò, capitano, anche se non 10 penso. Non posso assistere oltre a questa tortura. Lei non vuol sentir ragione. Così sono costretto ad usare l’unica possibilità che ho per eliminarla senza spargimento di sangue. Credo che questo sia 11 mio dovere. Kuiper — Lei e gli altri han scelto male il mo mento, mi sembra. Richters — Dice per l’arrivo della « Amsterdam »? No, capitano. Il mio collega Willemse metterà certo la sua firma accanto alla mia sul certificato quando gli avrò spiegato la situazione. Il capitano Bruinsma ci appoggerà con la sua autorità e forse sarà disposto a prenderla a bordo della sua nave per portarla alla clinica. Kuiper — E poi? Richters —• Poi il secondo prenderà il comando e riporterà indietro gli Ebrei. Kuiper — Capisco. Richters — Quanto al tribunale marittimo, ca pitano, ci sono stati due rappresentanti del Governo a 'bordo di questa nave, un ufficiale e un ecclesia stico, die giureranno entrambi che lei non si tro vava in condizioni normali quando le hanno fatto visita. Kuiper — Di chi è questo piano, del barone? Richters — Lei l’ha chiamato un angelo sceso dal cielo, l’altro giorno. Kuiper — Non si metta a chiamaflo così anche lei, dottore. Richters — Capitano, sia ragionevole. Ha soltanto una via d’uscita. Porti indietro quella gente di sua spontanea volontà. Risparmi a se stesso questa infe licità e a me la parte di Giuda. Lei non sa... Kuiper — Va bene. Le risparmierò la parte di Giuda. Li chiami. Richters — Chi? CAPITANO DOPO DIO Kuiper — Gli altri del comitato. Richters — Lei... cede? Kuiper — Li chiami. Richters — Capitano! Permetta che l’implori... Kuiper — Li chiami, dottore. Richters — Ciò significherà una rivolta. Kuiper — Che si rivoltino! (Il dottore dopo un momento di esitazione apre la porta, scoprendo Meyer e Davelaar, che evidentemente stavano ori gliando. Essi si ricompongono ed entrano) E’ già a bordo il capitano Bruinsma? Meyer — Sta per salire, capitano. Kuiper —- Allora fate le vostre valigie e prepa ratevi a partire. Siete entrambi arrestati. Meyer — Arrestati? Perché? Kuiper — Per incitamento all’insubordinazione. Meyer — Ma tutta quanta la nave... Kuiper -—- Tutta quanta la nave saprà chi è il padrone qui, appena vi condurranno via con le manette. Ed ora uscite! Meyer — Lei vuole un assassinio, capitano! La ciurma getterà... Kuiper —- ... pezzi di carbone sulle vostre teste! Credete che non conosca la mia ciurma? Non c’è da stupirsi che tu non sia mai diventato capitano, Meyer. Sei un idiota. [Al dottore) E lei si metta a far cartine più che in fretta, prima che la faccia arrestare insieme con gli altri. (A Bruinsma, che è apparso sulla soglia e ha bussato contro lo stipite). Entri, capitano. (Agli altri) Mettete in pressione. La rotta è nord-nord-est; velocità ridotta, per via della barca che ci accompagna. Presto! Meyer — Capitano... Kuiper — Puori! (Quando sono usciti, a Bruinsma) Buona sera. (Gli porge la mano). Bruinsma — Lasci prima che le dia un’occhiata. (Lo prende per le spalle e lo volta verso la luca) Come va il fuoco sacro? (Gli guarda negli occhi) Si sta spegnendo un po’, eh? Kuiper — Sono lieto che lei sia qui. Bruinsma — Chi ha gettato in mare un momento fa? Kuiper — Lino dei passeggeri. Un suicidio. Bruinsma — Il primo? Kuiper — Sì. Bruinsma — E l’ultimo? (Poiché Kuiper non ri sponde) E’ una bella responsabilità, amico mio. Ma non si preoccupi. Le vite degli Ebrei hanno poco valore al giorno d’oggi. Kuiper — La morte di quell’uomo non è stata colpa mia, se è questo che intende. Bruinsma — Certo no. E’ stata la volontà di Dio, suppongo. Kuiper — Infatti. Bruinsma — Ehm. Posso capire che un cristiano che trova la casa saccheggiata dica: era la volontà JAN DE HARTO G di Dio ch’io fossi derubato;, ma non che il ladro dica: era la Sua volontà ch’io rubassi... Kuiper — Quando Dio ha parlato-, quell’uomo era già morto. Bruinsma — Parlato? Come? Kuiper — Per bocca di un barone. Bruinsma — E che cosa ha detto il barone? Kuiper — A nove miglia di qui si svolge l’an nuale regata per la Co-ppa Hatteras, in cui par tecipano i più bei panfili di tutti gli Stati Uniti. Bruinsma — E allora? Kuiper — Se io mando un S.O.S., quei panfili saranno costretti a venire a raccogliere i mie nau fraghi, no? Bruinsma — Se non ci sono altre imbarcazioni più vicine, sì. Ma e con questo? Kuiper —• S’io affondo la mia -nave e quei pan fili vengono a raccogliere le mie scialuppe, quegli Ebrei saranno in territorio americano, con la piena conoscenza dell’opinione pubblica. Bruinsma {dopo un momento d’immobile silenzio) ■— Se affonda la sua nave, penso che si prenderà tre anni di prigione. Kuiper — Cinque. Ho controllato. Bruinsma — E non potrà mai più comandare una nave. Kuiper — No. Bruinsma — Allora lei pensa di andare a fondo con la nave, immagino. Kuiper — Commettere suicidio? Sa poco lei del Cristianesimo. Bruinsma — Certo, mi scusi. Dimenticavo l’at trattiva del martirio. Kuiper —• Non sarò un martire. Bruinsma —— No, soltanto uno sciocco. I martiri saranno... (Indica il ritratto). Kuiper — I miei figli avranno una migliore ere dità ricevendo una fede intatta che non una nave e una borsa di denaro. Bruinsma — Spero, per i suoi figli, che sua moglie non sarà d’accordo. E’ al corrente? Kuiper — Le ho telegrafato. Bruinsma — Ebbene? Che cos’ha risposto? Kuiper — Non ha ancora risposto. Bruinsma — Ah! (La campana della caldaia suona, e il motore incomincia a pulsare) Parte? Per dove? Kuiper — Mi porto sulla rotta della regata. Bruinsma — Così non aspetta di sua moglie? Kuiper — Spero nel suo aiuto. Bruinsma — E se non viene? Kuiper — Anche così non sarò solo. Bruinsma — Va bene! E adesso chiudiamo la Bibbia! Sì! E’ ora che impari a distinguere fra il Cristianesimo e la rettitudine, giovanotto. l’approvazione Kuiper — Non capisco. Bruinsma — Da duemila anni secchiamo Nostro Signore. Non le pare che sia venuto il momento di lasciarlo un po’ in pace? Che cosa crede che io avrei fatto al suo posto, due mesi fa, nel Sud America? Portato indietro quegli Ebrei? Kuiper — Non ne faceva mistero. Bruinsma — No, mio caro cristiano. Avrei fatto esattamente come lei, non perché io sia cristiano, ma perché sono un uomo retto. Voi altri non potete neppure comportarvi decentemente senza l’aiuto di Dio. Assassinate, rubate, bruciate, men tite, appena Egli vi lascia andare. Ma forse che io sono un assassino? Un ladro? Un bugiardo? No. Sono un uomo onesto senza seccare Dio. Perché se Dio ci ha dato una legge, siamo noi che dob biamo obbedirle, non lui. Kuiper — Allora le cedo il comando della nave. Bruinsma — Che? Kuiper —■ Le chiedo di prendere in consegna la nave. Lei sembra aver abbastanza forza per andare avanti. Io no. Se la causa della rettitudine signi fica davvero qualcosa per lei, prenda il mio posto. Bruinsma — Rinuncerebbe alla gloria del mar tirio? Kuiper —- Lietamente. Bruinsma — E con che cosa la scambierebbe? Kuiper — Con casa mia. Mia moglie che lavora a maglia nella luce della lampada, mentre i miei bambini ed io facciamo una partita al gioco del l’oca. Bruinsma — La sua ambizione non mira più in alto? Kuiper — Come potrebbe? Bruinsma — Allora dovrebbe essere coerente e non rovinare la sua famiglia per un ozioso ca priccio. Dovrebbe portare indietro quegli Ebrei senza indugiare un momento. Kuiper — Come può essere un’azione retta ora, mentre non lo era due mesi fa? Bruinsma — Perché -quel che si propone di fare adesso non è più nel campo -della rettitudine. Kuiper — Ed entra in quello del Cristianesimo. Ecco. Non -si può far senza la fede. Bruinsma •— Se codesta fede serve solo ad affon dare una nave, distruggere una famiglia, e rendere la vita di un uomo inutile per l’avvenire, non so che farmene. Kuiper — E’ la rettitudine che le fa dimenticare quegli Ebrei? Bruinsma (dopo una breve pausa) — Va -bene. A che distanza sono quei panfili? Kuiper — Nove miglia a nord-nord-est. Bruinsma — E la sua nave ne fa?... Kuiper — Otto. Bruinsma — Allora calcolo che mi ci vorrà una mezz’ora per allontanarmi abbastanza perché lei possa dare il suo S.O.S. Altrimenti sarei costretto a raccogliere io stesso i suoi Ebrei, il che non sarebbe nei piani prestabiliti. C’è altro che io possa fare per lei? Kuiper — Non credo. Bruinsma — Acqua potabile, viveri, medicine? Son venuto per questo, sa. Kuiper — Grazie, è troppo tardi. Solo, ho due prigionieri, dei rivoltosi: che devo fame? Bruinsma — Li liberi prima di affondare la nave. Nient’altro? Kuiper —• Sì. Ho scritto questa dichiarazione per risparmiare ogni accusa ai miei ufficiali. Vuol dargli uno sguardo e dirmi se va bene? (Bruinsma tira fuori gli occhiali. Kuiper gli dà un foglio. Bruinsma lo legge, poi glielo rende) E’ a posto? Bruinsma — Vorrei essere suo padre. Kuiper — Mio padre avrebbe fatto esattamente lo stesso, di questo sono sicuro. Bruinsma — Ma perché? Non siete una famiglia di pazzi, no? Qual è il senso di questo folle gesto? Kuiper — Che Dio, se si dà la pena di farci conoscere la Sua volontà, ci darà i mezzi di adem pierla. Questo io ho provato. Bruinsma — Non ancora, giovanotto, non ancora! La sua nave è ancora a galla, ed entro la prossima mezz’ora il mondo può finire. (Dalla soglia) Starò alla radio. Se non sentirò il suo S.O.S. darò a tutti i miei uomini razione doppia, per pura soddisfa zione. Se lo sentirò, allora spero che il suo Dio, se esiste, salvi un giorno anche la mia anima, se l’ho. Arrivederci. (Esce. Appena è uscito, Davelaar entra, molto eccitato). Davelaar — Ecco! Il momento è giunto! Kuiper — Eh, cose questo? Che succede? Chi sta alla caldaia? Davelaar — Tuo padre avrebbe fatto esattamente lo stesso, eh? Sta al tuo fianco, vero? Per questo hai issato quella bandiera della croce, per quel ch’egli ha scritto in quella maledetta Bibbia! Kuiper — Torna al tuo posto! Davelaar — Se sta al tuo fianco adesso, può sussurrarti all’orecchio ch’io ti dico la verità! Sai che cos’è quella 'bandiera che sventola dal tuo trinchetto? La sporca camicia del diavolo!... No, no, lasciami continuare... La verità! Se la memoria di tuo padre ti è sacra, allora ascolta la verità! Ascolta la storia della bandiera della croce! Non la conosci! Kuiper (che lo ha trascinato verso la porta, lo lascia libero) — Se dici una sola parola contro mio padre... Davelaar — Se dirò una sola parola che non sia vera, possa io cader morto immediatamente, così mi aiuti Iddio! Kuiper — Abbassa la mano. Davelaar — La Nuova Guinea, ventanni fa. CAPITANO DOPO DIO Si era indebitati con ogni negoziante dell’Oriente. Ancora tre giorni e la nave sarebbe stata fermata dallo sceriffo: e non si trovava carico da nessuna parte. Allora vennero a bordo due missionari, pro venienti da un porto nella giungla, cinquanta miglia ad est. Tuo padre li aveva invitati per par lare un po’ della Bibbia. Ma quei missionari gli dissero che avevano un piccolo affare per lui. Da due anni essi avevano edificato il paradiso in tutta la giungla, e che cosa avevano insegnato a quei poveri negri? « Su ogni due noci di cocco che cogliete dovete metterne da parte una per Gesù». I missionari avrebbero provveduto a farle arrivare in cielo. Ora stavano lì seduti, coi loro occhi di topo brillanti nella luce della candela, ed offrivano a tuo padre le noci di cocco di Gesù a metà prezzo perché era un fratello. Per un mo mento credetti che tuo padre li avrebbe uccisi, perché diventò bianco come un lenzuolo, ma si dominò. Però, dopo che se ne furono andati, navi gammo verso quel porto nella giungla cinquanta miglia ad est. Kuiper — Perché? Davelaar — Adesso te lo dico. Fece fare dal nostromo una bandiera, bianca con una croce nera, quella con cui navighi ora. Fece mettere al terzo ufficiale una camicia da notte, e una barba di corda, gli diede un tubo di ottone ripiegato come il vincastro di un pastore.. Quando il ragazzo fu issato in cima al parapetto, gli ordinò di cantare: « Restate con me». Poi tuo padre andò a riva con la barca a dire ai negri che Gesù era venuto a prendersi le sue noci di cocco. (Entra Meyer con un telegrcmwia, ma si ferma, spaventato, e resta ad ascoltare, inosservato) I negri parevano impaz ziti. Saltavano e urlavano e lanciavano in aria i loro bambini, e svegliarono tutte le scimmie, che si misero a schiamazzare. E la prima canoa prese il mare, colma di noci. Quando levammo l’ancora al tramonto, 'passavamo il limite d’immersione, con le noci di Gesù, gratis... No, non mi toccare! E’ la verità, lo giuro! Io... (Vede Meyer, che cerca invano di nascondersi) Ecco! Eccolo lì! Ecco la prova! Era lui Gesù! Meyer (dopo un silenzio terrorizzato) — Tele gramma, capitano. Davelaar (in un violento sussurro) — Diglielo! Digli che eri tu che facevi Gesù con la vecchia ca micia da notte! Diglielo, su! Apri quella bocca, che ti possano... Meyer — Sì, capitano, è vero. Ma... (Kuiper si lascia andare pesantemente su una sedia accanto al tavolo, e si copre il volto con le mani) Ma, capitano, senta..., non potevo farne a meno... ero soltanto un ragazzo... Davelaar — Sta’ zitto! (Prende il telegramma dalle numi di Meyer e lo spinge fuori. Poi rimane JAN DE HARTOG un momento ad osservare Kuiper, che siede immo bile. Mette il telegramma sul tavolo< e mormora) M i spiace, Joris, che si sia dovuto arrivare a questo. T i avevo avvertito, ragazzo... che quando' tu avessi toccato 'la nave... Su. Torna in te. Non torturarti più. Riporta indietro quegli Ebrei. Avanti: so che ci tieni quanto me, alla nave; non potresti affon darla, eh, la nave su cui hai vissuto tutta la vita?... Che cosa saresti senza di lei... senza il mare... per sempre? Sarebbe un suicidio, Joris, più che se andassi a fondo anche tu. Senza la « Nelly » saresti un uomo morto; tuo padre ti perseguiterebbe per tutta la tua vita, e anohe la « Nelly ». Porta dunque indietro quegli Ebrei... Portali indietro. (Poiché Kuiper non si muove, esita un momento, poi va alla porta in punta di piedi ed esce in silenzio«. Per un momento Kuiper rimane solo. L’oscurità co mincia ad avvolgere la cabina. Poi la porta è aperta furtivamente ed Henky sguscia dentro). Henky (con un sussurro nervoso) — Capitano! Ca pitano, lo scriva. Lo scriva prima che lo dimentichi. Matteo... Davelaar (come un orco, dalla soglia) — Psss! (Davelaar chiama Henky, che obbedisce come un serpente affascinato. Davelaar lo afferra per un braccio e richiude la porta. Kuiper rimane di nuovo solo; soltanto il motore palpita nel silenzio. Egli non sì muove, ma rimane seduto; come se fosse addormentato; Poi qualcuno bussa alla porta piano, poi più forte, e infine con insistenza. Poiché non c’è risposta, la porta sì apre adagio, e compare il Rabbino). I l Rabbino —• Capitano?... Capitano... (Poiché Kuiper non risponde, il Rabbino• entra e sì ferma dopo qualche passo a mezza strada) Capitano... non voglio disturbarla, ma... (Accanto a Kuiper) Solo il contenuto, capitano... La mia gente... (Poi vede il telegramma sul tavolo, fa un movimento come per prenderlo, sì domina, e tocca Kuiper sulla spalla) Capitano... Capitano! Kuiper (alzando adagio la testa) — Che cosa vuole? I l Rabbino — Solo il contenuto, capitano. Abbiamo saputo' che era arrivato, e i miei mi hanno mandato a chiederle che cosa dice. Non potrebbe dirmelo? Kuiper •— Che cosa? I l Rabbino — Il telegramma, capitano. Il tele gramma del comitato americano. Kuiper — Non ho ricevuto nessun telegramma. I l Rabbino — Ma io credevo... M i scusi, ma... (Indicando il foglio) Non è questo, capitano? (Kui per lo prende e legge) Che... che cosa dice? Kuiper (legge forte) — « Dovuto' rimandare deci sione otto settimane per vacanze Senato. Le nostre preghiere sono con voi». I l Rabbino — Otto settimane... Kuiper — Ed entro la prossima mezz’ora il mondo può finire. I l Rabbino (dopo una pausa) — Non comprende ancora? Kuiper — Che cosa? I l Rabbino — Che si mette fra noi e il nostro Dio? (Kuiper lo guarda) Per tutte queste settimane ho taciuto, perché anch’io sono un uomo, e fragile, e molto pauroso della sofferenza. Ma qualunque cosa 10 possa aver sperato come essere umano, capitano, come uomo di Dio io sapevo... Kuiper — Che cosa sapeva? 11 Rabbino — Quello che ogni Ebreo ha appreso dal Talmud! L’anatema del Pentateuco è su di noi! « Tu sarai maledetto nella città e nel campo, male detto. sarà il tuo canestro e il tuo magazzino, ma ledetto il frutto del tuo corpo e il frutto della tua terra. Maledetto sarai tu quando entri e maledetto sarai quando esci. Sposerai una donna e un altro giacerà con lei. Costruirai una casa e un altro vi abiterà. Pianterai un vigneto e un altro ne coglierà l’uva. Il tuo bue sarà ucciso davanti ai tuoi occhi e tu non ne mamgerai. Il tuo asino ti sarà portato via e non ti sarà restituito. I tuoi figli e le tue figlie saranno dati ad altri e i tuoi occhi li cerche ranno e ti verranno meno rimpiangendoli, e non vi saxà forza nelle tue mani. Brancolerai nella luce del giorno come il cieco brancola nell’oscurità, og getto di stupore, di ludibrio, d’obbrobrio per tutte le nazioni ». Kuiper — E la misericordia di Dio? I l Rabbino — Venga! Venga come me nella stiva. Guardi la mia gente. Dov e il loro timore, dov’è la loro disperazione? Stanno sulle soglie dell’eternità. Una breve sofferenza, e saremo liberi. Allora le no stre anime spiegheranno le ali nell’infinito spazio della gloria di Dio. Questa è la Sua misericordia, aprire le Sue braccia dopo che il debito è stato pagato. Se Israele può servirle di lezione, si ral legri. Siamo andati innanzi nel peccato, poi nel castigo, ed ora andiamo innanzi nella grazia. Venga... Non ci faccia sospirare più a lungo la terra pro messa... Ci riporti indietro. Kuiper — Volete questo? I l Rabbino — Dio lo vuole. Ci riporti indietro. ('Scompare nell’oscurità come un’ombra. Kuiper ri mane solo con la sua disperazione. Sta un momento fermo, poi va all’attaccapanni, si mette l’impermea bile e il berretto. Mentre sta per aprire la porta, entra Henky furtivamente). LIenky — Capitano, capitano, lo scriva, non posso più tenerlo a mente! Mattia... Mattia 10, 37 e 38. Ecco il telegramma. Kuiper — Telegramma? Henky — Il telegramma di sua moglie, che Meyer e Davelaar hanno trattenuto. Kuiper — Di mia moglie! Dovè? Henky — Non ce l’ho, capitano! Non ho osato prenderglielo! Io non ci sono entrato per niente, non ho avuto niente a che fare con la rivolta, è tutto il giorno che cerco di avvertirla, ma lei era sempre in qualche altro posto; e stavo scopando la cabina del capo fuochista Davelaar quando è en trato Meyer con un telegramma, l’ha letto, e allora Davelaar ha detto: « Se ci mette la zampa sopra, tutto è perduto. Dammi qui » e lo ha messo sotto il pagliericcio. Ma io me lo sono ricordato-, capitano, e anche dopo che mi ha preso il foglietto l'ho ri cordato. Mattia, 7, 8 e 10!... No, non era così... Mattia, 7 e 3... Oh capitano... Mattia, 37, 8... 3. Oh, capitano... l’ho dimenticato! Kuiper — Matteo 10, 37 e 38 hai detto la prima volta. E’ così? Henry — Sì, Matteo! Matteo 10, 37 e 38... o era 37, 10? Kuiper (prende la Bibbia nella cuccetta, e va verso il tavolo) — Fa’ luce! Henry — Sì, sì, capitano! (Cerca di arrivare all'in terruttore) Non ci arrivo, capitano... (Mentre Kuiper volta nervosamente le pagine) Aspetti -un momento, aspetti un momento. Ho dei fiammiferi (Ne accende uno fregandolo sui pantaloni) Ecco... ecco qui, ca pitano. Mattia... Matteo è nella Bibbia, capitano? Non lo sapevo. Credevo... (Sì brucia con il fiam mifero) Al diavolo! Oh, mi scusi, capitano. Ne ho... ecco... ecco. (Ne accende un altro) Ecco, capitano. Ci vede così? Kuiper — Matteo 10, 37. « Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me. Chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me, e chi non prende la sua croce e mi segue non è degno di me». Henry — Chi dice quello, capitano? Mattia? Kuiper — Gesù. Henry — A chi, capitano? Kuiper — A me. (Chiude la Bibbia) Chiama il Rabbino. Henry —- Sì, capitano. Kuiper — E il signor Meyer, e il capo macchi nista Davelaar, e il dottore e gli altri due signori: presto! Henry — Sì, sì, capitano. (Esce. Kuiper resta fermo un momento, poi va al ritratto e accende la luce, si avvicina al tavolo, prende un foglio nel cassetto e scrive. Sulla soglia appare il Rabbino, che bussa sullo stipite). I l Rabbino — Capitano! Kuiper — Rabbino, lei si sbagliava. Non è volontà di Dio che lei torni indietro. Questa sera sarà in territorio americano- e domani sarà libero. I l Rabbino — Questo... questo è impossibile. (En trano Meyer e il dottore). Meyer — Ci ha fatti chiamare, capitano? Kuiper — Sì. Il capo macchinista è stato avvertito? Meyer — Credo di sì, capitano. Il ragazzo... (Entra Davelaar seguito dai due Ebrei). CAPITANO DOPO DIO Davelaar — Ebbene, che succede? Tutta la nave... Kuiper — Ho una dichiarazione da fare. Davelaar — Oh... capisco. Entrate, ragazzi, entrate. (Tira dentro i due Ebrei spaventati, e chiude la porta trionfalmente). KurPER — Signori, li ho chiamati ad ascoltare una dichiarazione ufficiale. Per tre volte -ho tentato di sbarcare i miei passeggeri sulle coste degli Stati Uniti, -e per tre volte non ci sono riuscito. Convinto che ogni ulteriore tentativo sarebbe contrario agli interessi della nave e dei passeggeri, ho deciso di prendere una misura d’emergenza. A un paio di miglia da qui si svolge la regata annuale per la Coppa Elatteras, con la partecipazione dei più -bei panfili di tutti gli Stati Uniti. Fra qualche momento, dopo che tutti saranno entrati nelle scialuppe, io manderò un S.O.S., e appena i panfili saranno in vista affonderò la mia nave mediante un’esplo sione nell’asta dell’elica. E’ l’unico mezzo che mi rimane per fare accettare i miei passeggeri s-u ter ritorio americano con la piena conoscenza dell’opi nione pubblica. Davelaar — No-n puoi fare questo! Non ne hai il diritto! Kuiper — La mia posizione di proprietario rende inutile consultare il comitato navale. Ma per evitare ogni spiacevole conseguenza ai miei ufficiali, ho scritto una dichiarazione che ora vi leggerò. (Legge) « Io, Kuiper Joris, capitano dopo Dio della nave “ Nelly ” , dichiaro qui che ho affondato la mia nave intenzionalmente e contro le energiche proteste di tutti i componenti del comitato navale. E dichiaro di essere l’unico e assoluto responsabile di questa azione. Scritto a bordo della “ Nelly ” e firmata da sei testimoni ». (Prende una penna, la immerge nel l’inchiostro e la porge) Numero uno! Meyer — Eccomi, capitano. Kuiper — Firma qui. Meyer — Ma, capitano, ascolti... Kuiper — Firma! (Meyer firma. Kuiper gli dà un foglio) Porta questo alla radio e, appena i panfili sono in vista, apri la sirena e metti in azione i proiettori. Presto! Meyer — Sì... sì, capitano. Kuiper — Davelaar! Davelaar — No! Kuiper — E’ un ordine. Davelaar — M i rifiuto. Kuiper — Ti lascio la scelta: firmare o essere processato per ammutinamento e sabotaggio. Conto fi-no a tre. Uno. Due... (Davelaar prende rabbiosa mente la penna e firma) Va’ di sotto e metti tre bombe nell’asta dell’elica con un fuso di cinque minuti. Davelaar — Devo mandare al diavolo la mia nave con le mie stesse maledette mani? La nave su cui JAN DE HARTOG navigo da trentanni! Io non ho nient’altro al mondo! Non ho moglie e figli! Non ho Dio! Kuiper — Se non vuoi farlo, lo farò io stesso. Davelaar — No! (Esce). Richters — Capitano, devo dire... Kuiper — Firmi, per favore. (Il dottore firma) Di sponga tutto per la sua scialuppa di ammalati e non dimentichi le sue carte. Presto! Richters —• Sì, capitano. Kuiper — Rabbino! (Il Rabbino firma) E loro, signori. (I due Ebrei firmano) Grazie. Loro rispon dono dell’ordine. Hanno cinque minuti. Vadano. I l Secondo Ebreo — Capitano, una parola... (Scoppia in lacrime. Il Rabbino fa segno• all’altro Ebreo, che lo accompagna fuori, calmandolo). Kuiper (rimasto solo con il Rabbino, gli dà la scatola) ■— Rabbino, le sue carte. I l Rabbino (prendendola) — Dio la benedica. Kuiper — Preghi per me. I l Rabbino ■— Sempre. Kuiper — Incominci adesso. (Esce. Il Rabbino lo segue stancamente, portando la scatola, e si scontra sulla soglia con il dottore seguito da Henky che gli porta la borsa). I l Rabbino — Oh, mi scusi. Richters — Niente, niente, passi pure. I l Rabbino —-No, no, dopo di lei. Kuiper (di dentro, con un fischio) — Pronti, tutti! Calate a tribordo! I l Rabbino — Oh! (E si affretta a uscire). Richters (va all’armadietto' e lo apre) — Così an diamo per l'ultima volta. Prendi questo! (Incomincia a riempire la borsa di bottiglie, ecc.). Henry —- Affondiamo adesso, dottore? Richters — Sì. Metti il cotone di lato, vicino alle bottiglie. Henry —- E saremo presi a bordo di piccole barche a vela? .Richters — Sì. No, di Iato, di lato. Kuiper (di dentro, con un fischio) — Pronti, a babordo! Henry —- Crede che si possa ridere in cielo, dottore? Richters —- Cosa? Henry — M i piacerebbe moltissimo diventare cri stiano. Ma da quando abbiamo lasciato il Sud Ame rica non ho1 riso neppure una volta, e mi piace rebbe tanto. Richters — Ridere o diventare cristiano? Henry — Tutte due. Non so quale scegliere. Richters -—• Chiedi al capitano. Lui te lo dirà. Henry — Il capitano è un santo. Richters — Il capitano è un maniaco. Henry — Un santo! Lo so! Ha avuto un tele gramma da Gesù. Kuiper (di dentro, con un fischio) — Calate, a babordo. Pronti a poppa! Attenzione alle mani, attenzione! Richters — Quanti anni hai, tu, precisamente? Henry — Diciotto... Oh no, dottore, quattordici. E ho preso la sua lozione, e ho aperto con il vapore le lettere della sua ragazza. Richters — A me lo dici! Henry — Lo sapeva? Richters — Ah! Un peggior ladro non ha mai navigato. Henry — Non lo farò mai più, dottore. Richters — E’ facile... Henry — Mai! Non riderò e non ruberò più. Diventerò un cristiano, proprio come il capitano. Richters (che ha aperto il cassone e ne guarda incerto il contenuto) — Ecco il tuo casco tropicale! Hai dimenticato di prenderlo due mesi fa. Henry (tendendo avidamente la mano) — Sì! (Ri tira la mano) No! Richters — Che c’è? Prendilo! Henry —■ No, non lo voglio più. Richters — Mio Dio! La sola cosa che ha avuto onestamente, la lascia andare a fondo. Henry — Non c’è niente che mi piacerebbe di più, dottore, di quel cappello. Ma voglio fare qual cosa anch’io. Il capitano affonda la sua nave, io af fondo il mio cappello. (La sirena della « Nelly » co mincia a urlare... un lungo continuo ululo disperato). Richters — Presto, si va. (Ficcano precipitosamente il resto nella borsa). Kuiper (entrando in fretta) — Che cosa fate? Vo lete annegare? Richters — Arrivano? Kuiper — Tutto l’orizzonte ne è pieno! Scendete nella barca, presto! (Mentre essi si affrettano fuori, grida) Tenetemi un posto, vengo subito! (Raccoglie in fretta delle carte, la Bibbia e il ritratto. Appena l'ha staccato dalla parete, tre esplo'sioni soffocate fanno scuotere e sbattere tutto quello che cè nella cabina. Le luci si spengono. La sirena tace. La scena si oscura. Ma dal silenzio nasce un suono : gli Ebrei intonano in lontananza un canto di gioia. Poi una luce ondeggiante si avvicina rapidamente alla scena. Davelaar appare sulla soglia con una lanterna in mano). Davelaar — Joris, affondiamo! Joris! (Poi vede Kuiper, inginocchiato in terra. Gli va accanto) Ma guardatelo! Guardatelo, il capitano dopo Dio! Non ha più patria, non ha più chiesa, non ha più padre, non ha più nave, e che cosa dice, adesso? Kuiper (rialzandosi) — Il Signore ha dato, il Si gnore ha tolto: benedetto sia il nome del Signore. (Mentre esce in fretta, cala la tela). F I N E iz Tutti i diritti riservati. Per il permesso di rappresen tazione rivolgersi alla Società Italiana degli Autori ed Editori - Roma. j ! j ! j A l richiam o della poesia dei Pupi ogni siciliano balza pron to a farsi rapire dal sogno, che gli inumi- disce gli occhi per attaccamento alla sua terra, con i ri cordi dell'infanzia con la purezza del l'arte primitiva del l'Isola magica. Gli artigiani i contadini i pescatori, sanno a memoria le canzoni d'Orlando scomparse le leggende del ciclo Brettone; le cerami che raffigurano per sonaggi Carolingi, i carretti e le barche illustrano episodi in finiti delle epiche lotte, i cantastorie nelle piazze decla mano strofe a melo- logo. I ragazzi si di vertono a « lu jocu di li paladini ». I Pu pi sferragliano dur- lindane micidialissi me, ¡ cartelli pubbli citari dipinti a mano preannunziano degli spettacoli che sono frenetici, tanto da parte dei pupi co me per il pubblico. Y M A a tradizione giullaresca delle cantilene celebranti le gesta c '' J ' ' dell’epopea merovingia portò lino in Sicilia la Chanson de Roland. Si attribuiscono al Chierico Turoldo, trovatore, l’importazione del canto dedicato alla distruzione della retroguardia Carolingia, che rifulse di atti eroici ancora oggi esaltati dal fantastico carattere siciliano. Si può dire, per celia, che il culto del coraggio fino all’eroismo fu seminato, e mantenuto vivo, nel petto dei siciliani, dalla Rotta di Roncisvalle. Un lontano fatto d’arme dell’esercito di Carlo Magno nel 778, ha educato perfino all’amore di patria i figli della Trinacria, come se Orlando, invece che in Navarra alle falde dei Pirenei, fosse caduto alle Madonie. L’epos siculo poteva giustificare perfino un orgoglio nazionale, col fatto che Carlo Magno aveva restaurato l’Impero Romano avendo Goffredo di Viterbo raccontato che Carlo Magno, nel tornare da Gerusalemme, era passato per Palermo. Il repertorio dei Pupi contiene leggende così del Ciclo Brettone come di quello Carolingio, la Tavola Rotonda con la «Storia di Tristano» e quella di «Lancillotto e Ginevra» dipinta pure nel palazzo Steni di Palermo, fu cara ai nobili intellettuali che si facevano perfino battezzare col nome degli eroi brettoni. Il re della aristocrazia era Re Artù. I paladini di Carlo Magno accesero, invece, il popolino; e le loro gesta vennero così intensamente assorbite, e tanto ricreate, dalla fantasia popolare, da far diventare paladini di Sicilia quelli di Francia. (Quante famiglie si chiamano Pala dini in Sicilia?). Durò lunghi secoli la metamorfosi sostanziale delle tra dizioni francesi in tradizioni sicule. Il cuore dei siciliani che procede a sbalzi, il loro sangue ardente, la fan tasia in delirio, l’erotismo romantico, intenerì le scene di stupro (dopo il fatto) e inferocì combattimenti de scritti dalle già lamentose cantilene dei giullari. La materia divenne un patrimonio locale. Basti dire che i soldati di Carlo Magno diventarono sensualissimi e spicciativi: e si misero regolarmente a violentare le donne ed a innamorarsene subito, con lirici trasporti di letteratura popolare. Le leggende francesi avvolgono ancora le fortificazioni delle vecchie città sici liane, come le procellose nubi di gloria che dominano gli ex voto dei miracoli o i quadri dei taumaturghi. Il popolo, religioso, partecipò alle lotte contro gli infedeli: il popolo generoso sentì la difesa del debole, la punizione del protervo, l’esaltazione dell’eroismo, il duello ad armi fredde. Infine le spade dei Paladini non erano che coltelli più lunghi dei cutieddi siculi. La tendenza al fantastico del popolo creò avventure che ricercavano il classico « meraviglioso » greco familiare al teatro dell’isola; la traboccante affettuosità, siciliana ideò a getto continuo commoventi scene di sentimenti paterno e filiale o prove di fedeltà fino alla morte, c fanatismo amorosi ognora. Dal delirio erotico vennero ispirate le più folli azioni sceniche per la soddisfazione del pubblico che sentiva precisamente così. Alle nordiche leggende non restarono che i nomi dei personaggi, appena come lontano riferimento. Nemmeno più i luoghi d’oltre Alpe vennero menzionati. Apparve una nuova geografia cavalleresca con una Bretagna catanese e una Francia palermitana. Nacque un Orlando di Capo d’Orlando, un palazzo di re Artù nell’Etna, un monte Oliveri dal compagno di Orlando, Olivieri, una Turrì d’Urlanno a Lampedusa, un castello Olivieri tra Patti e Milazzo un fiume Olivieri e un castello Montealbano come palazzo di Rinaldo. Le terre di Sicilia, che si denominarono dai capi Brettoni e Carolingi ancora si chiamano con quei nomi. L’influenza dei cantastorie e dei pupari avvolge sempre l'isola nel velo dell’afflato epico lirico di un Omero locale più corale del greco. Tutti sanno la differenza tra i burattini capoccielli, italianissimi, cantati da Orazio, e le marionette, mobili per articolazioni comandate al di fuori della scena; e tutti conoscono i burattini senza fili, muniti di gambe, infilati a una cordicella come a uno spiedo, e fatti ballare con il piede dallo zampognaro calabrese o ciociaro, a volte seguito dal bravo orsacchiotto domestico del mio paese. Credono i siciliani che le marionette con i fili vennero importate dagli spagnoli nel Seicento. A parte il fatto che le conoscevano, tirate da nervi di bue, i babilonesi gli egizi i cinesi, da millenni, ricorderanno che il marionettista che nel Convivio di Senofonte ragiona con Socrate sulla rappresentazione dei Pupi, era siracusano. Nel 1646 arrivò a Napoli il viceré Ponce de Leon che portava nel suo seguito un teatro di titeres spagnoli; ma, nella prima metà ilei Seicento, il marchese della Valle aveva a Roma, nel suo palazzo di S. Andrea della Valle, un teatro di marionette non importato dalla Spagna; senza dire che «le Marie di legno» note a Venezia nel ’300, erano marionette, come dice il nome con capoccielli. Il titerero spagnolo fu, dunque, una novità come spagnolo non come marionettista, e tanto meno come cantore di gesta dei Paladini perchè fin dal dodicesimo secolo queste erano state diffuse anche in Sicilia, dai trovatori cantastorie e montabanco. Vedremo appresso come la tecnica della marionetta siciliana sia assolutamente originale e non abbia l’eguale in Europa. Il teatro è installato in un lungo bottegone sulla strada. Fuori pendono grandi manifesti di carta, normalmente dipinti dagli stessi specializzati che decorano i carretti e le barche. Di sera un lampionaccio è il segnale del ritrovo. Se si arriva tardi si paga metà prezzo. Una tenda rossa incornicia il piccolo arco scenico hno alle pareti e al soffitto, avendo ai lati dei giganteschi Paladini in armatura. Una fisarmonica suona prima dello spettacolo, o un violino, o una armonium. Le rappresentazioni sono una lunga serie e, ogni sera, presentano un nuovo episodio. A Roma possediamo l’intero Ciclo dei Paladini in dialetto romanesco. L’incantesimo che arresta i gesti, infrenati ma furiosi, degli eroi dei cartelloni, si romperà nel fumoso e lungo stanzone, dove sono allineate tante panche, come nelle chiese povere; e qui siedono i tifosi venuti un’ora prima. In piedi sono almeno due file di picciotti. Io sono un frequentatore di questi teatrini e sempre vi sono andato accompagnato da una signora. Ogni volta i ragazzotti ci hanno dato da sedere, levandosi con cortesia antica. Aperto il sipario i personaggi entrano con maestà parlando con autorevole fermezza. Sono alti oltre un metro, vestiti riccamente con sete, velluti, rasi. Pietre colorate, dorature, pennacchi di struzzo, ornano Africani e Asiatici, Francesi e Spagnoli. Pesantissimi, come sono, i pupi richiedono opranti veramente erculei! Il testo tradizionale fu più o meno ricavato dalle opere del cantastorie Andrea di Jacopo da Barberino di Valdelsa che, circa la fine del ’300, cantò in banco e ci lasciò scritti i Reali di Francia, L’Aspromonte, i Nerbonesi e il Guerrin Meschino. Ma spesso i marionettisti siciliani non hanno copioni sapendo a memoria tutte le storie e ricostruendole, ogni sera all’improvviso, con inserzione dei pezzi premeditati, fondamentali per ciascuna scena: dichiarazioni, sfide, preghiere, tirate d’ogni sorta. La cosa più gustosa è la loro parlata, mista di italiano e di dialetto, con battute schiette e pezzi di gusto curialesco: parole di carne e parole di cartone. Varie voci si alternano: e più gentili per le ligure femminili, la voce d’orco per il gigante Ferraù. Una rauca tromba fissa l’attenzione al fatto nuovo. — Arrendetevi cavagliero! — Non vi resteranno che gli occhi per piangere. — A me, fiore della cavalleria! Il birignao più accorto moltiplica le vocali e crea dittonghi nuovissimi con paurosi effetti se sono in bocca a Gano di Maganza e con lascivia sulle labbra di Marfisa. Le scene sono magnificamente dipinte dalla stessa arte dei cartelli e dei carretti. Con facilità, se non fulmineamente, esse mutano, sempre secondo il sistema di Jacopo Torelli (1634) dieci teloni messi uno avanti all’altro, come usano ancora le vecchie riviste parigine. Regge, boschi, fortezze, spiagge, saloni, città, castelli, manieri, torvi paesaggi con fiumi, accampamenti con tende Carolinge e Saracene, castelli che rovinano in fiamme, orribili draghi che avanzano balzellone Le prodezze di Buovo, di Guidone il Selvaggio, di Namo di Baviera, di Dudone della Marra sono composte magnificamente con primitivismo per fortuna sincero. C’è movimento nella com posizione, ma c’è pure una certa estasi che fa come la rappresentazione di un sogno e dà molti punti alla pittura di Antonio Donghi. Prima dello spettacolo c’è un gran vociare e confusione dominata dal grido dell’acquaiolo, mentre il * siminzaru vende bruscolini, ed un altro fichi d’india e gazzose. Appena aperto il velario il silenzio diventa religioso; i siciliani, essendo intelligentissimi, sono civili per senso comune. 11 pubblico segue attentamente le vicende e ci si appassiona partecipando in pieno. Si formano gruppi di tifosi, già esistendo partigiani di certi personaggi: se, per disgrazia, qualche male intenzionato si mette a sfottere un eroe caro a una parte di platea, provoca conseguenze pericolose. Un cartello da me letto a Siracusa diceva: « lasciar fuori piriti e coltelli »: i piriti sono i pernacchi. Nei Saggi del gusto e delle belle arti di Mario Pagano (1785, pag. 16) ho letto che questo avvocato dovette difendere un puparo « che aveva dato la morte a uno che tacciò di vile il suo eroe Rinaldo ». Ancor oggi si può fare a coltellate per furor di parte medievale: Rinaldo e Gano possono combattere ancora, facendo scorrere sangue vero. Non tutti sanno che nella seconda metà dell’Soo la passione per le storie pugnaci dei paladini indusse il marionettaro Gaetano Grimi a sostituire ai pupazzi gli attori veri: fu quello che si chiamò, anche a Napoli e a Roma, teatro in personaggi. Una sera che il Crimi, vestito di ferro, combatteva contro le orde africane, un Saraceno gli tirò un sasso in testa, che sfondò l’elmo e ruppe il capo all’eroico Crimi. Questi, da vero Paladino, non si arrestò: dette fiato alla sua tromba e scatenò una fitta frustata di colpi sulla schiera nemica devastandola e mettendola in fuga. Rialzato il sipario, dopo l’applauso delirante, il Crimi giaceva svenuto nel proprio sangue. Lo stesso Grimi nel Tradimento di Giuda si strangolava quasi del tutto, nel vero, con una corda scorsoia e doveva spesso essere trasportato all’ospedale. Era più fanatico lui degli spettatori. Ma ci sono aficionados che vanno tutte le sere a vedere i Paladini. A chi lo interrogava, un giovanotto seduto accanto a me, rispose che anche il lato tecnico era una attrattiva. Quando il marionettista deve far tirare a Rinaldo il colpo di spada che spacca in due Gano di Maganza, ha l’obbligo di un sol colpo sul capo del pupazzo, qui è una molla che fa aprire il pupo come un libro, mentre da stracci intrisi di anilina, sbuca in terra un fiume di sangue. Se il marionettista riesce, con un fulmineo sol colpo dell’invincibile spada a far questa bravura, gli applausi scrosciano. Tra le abilità ci sono « i passi ». L’eroe impennacchiato di piume di struzzo rosse verdi e gialle che viene ad annunciare il tema dell’atto successivo, deve saper misurare a lunghi passi precisi tutto il palcoscenico e tornare da dove è entrato. La possibilità di questa esattezza d’esecuzione, è data dalla originale costruzione dei pupi. Le marionette greche, come quelle più antiche, erano — lo dice Aristotele — tirate da nervi di bue, come corde di strumento musicale: « Coloro che fanno agire e muovere le figurine C(hA> f a iP - Le fotografie a colori di Claudio Emmer, e il disegno di Yelioni-Marchi, fanno parte del volume «Colori di Sicilia» edito dalla Eri - Radio Italiana - e stampato nel nostro stabilimento ILTE. tirano il ferro, invece che di legno filo che corrisponde ad uno dei membri; questo obbedisce all'istante. Vedesi, allora, voltarsi il collo, chinarsi la testa, muoversi gli occhi, prestarsi le mani al movimento che si richiede; in una parola, questa piccola persona di legno sem bra viva ed animata ». Fondamento tecnico della il comando di tiranti in ton marionetta siciliana è dino di in filo di seta. Esamino le due marionette che possiedo. Con due anelli il brac cio è congiunto al corpo e l’avambraccio al braccio, mentre un lungo ferro diritto è attaccato al polso con altro anello e il ferro direttore è nella mano dell’oprante. Gli anelli consentono articolazioni razionali alle braccia. Le gambe, prive di cerniera al ginocchio ricevono im pulso dal corpo, per virtù dei piombi che sono nel piede. Dalla testa parte un altro ferro che regge la marionetta e le fa muovere in ogni verso il capo, legato al corpo da un anello largo che consente ogni movimento. A questo punto faccio osservare che le marionette spagnole sono tirate da fili e non da ferri: ciò che dimostra la originalità siciliana e la sua indipendenza dai titereros del Viceré Ponce de Leon. A volte è lo stesso puparo che intaglia i pupi nel legno, li imbottisce, cuce a mac china costumi. Esso stesso a volte, come nel caso del celebre catanese Sebastiano Zappala, dipinge le scene e i cartelli, dopo aver fabbricato i pupi; egli piega i metalli delle armature, ribatte e sbalza nella lamiera nichelata gli elmi difficili. In una rappresentazione di pupi viventi da me diretta nelle Celebrazioni del’48 sici liano Turi Pandolfini vestiva un’armatura fattagli da uno specialista puparo, che il vecchio commediante dovrebbe donare al Museo Pitrè. Lo merita. I titoli delle opere sono: Uggeri il danese, Bovo d’Andona, VAspromonte, Innamoramento di Orlando, Fierataccia e Olivieri, Storia di Rinaldo, Guerrino detto il Meschino, Paris e Vienna, Orlando stramazza Ferrati, Rinaldo da Montealbano e cento altri. Carlo Magno porta la corona, il mantello imperiale e tiene costantemente chiusa la mano destra: egli regna, tiene in pugno il mondo, difende la religione. Quando si dice l’Imperatore s’intende Carlo Magno in battaglia contro i Saraceni invasori. Il Leone è l’emblema di Rinaldo, Salando e Ricciardetto, l’aquila è di Orlando, la stella di Oggeri, il sole e la luna di Olivieri, la palma è di Astolfo, la corona di Carlo. II conte Orlando, difensore degli oppressi, è più fiero, se possibile, degli altri personaggi; sta più dritto, cam mina con maestà come un re, ha la voce virile e smaltata. È il gran personaggio che risolve i problemi come nodi gordiani. La pazzia d'Orlando è un gran tema come La pazzia d’isabella, che la insigne Andreini recitò per tutta la vita e che forse dette l’idea a Shakeaspeare della pazzia di Ofelia, poiché « le pazzie » sceniche, da quella prima del 1570 circa, si rinnovarono, col nome dell’attrice, fino a tutto il Settecento. Rinaldo è agile e spiritoso improvvisatore: risponde argutamente all’interruzione del pubblico, fa il Don Gio vanni impenitente, come un vero siciliano. Il Castello A L R IC H IA M O D E L L A P O E S IA D E I P U P I O G N I S IC IL IA N O B A L Z A P R O N T O A F A R S I R A P IR E D A L SO G N O di Montealbano, difatti, è in Sicilia. L’eroe ogni sera distrugge i Maganzesi traditori, perfida stirpe, ed ha intenzione di distruggerli per secoli, da bravo siciliano. Le donne di legno sono i gentili fiori di queste recite. Tra queste noto Fiorinella d’Arabia, figlia del Re Agnamonte d’Arabia, che ispirò il nome di « Gelsomino d’Arabia » ad Amante. La bella Armida è la maga, fatale ai Cristiani. Gli amori si alternano alle espugna zioni delle castellane più inaccessibili; e i rapimenti delle donzelle si valgono di incantesimi provvidenziali fatti da maghi; le fughe vengono precipitose, fortunatee fulminee, come nelle Sacre Rappresentazioni che, avendo i luoghi deputati adiacenti, facevano arrivare i personaggi in un minuto dalla Spagna alla Francia, per superiore licenza poetica permessa al teatro. Questa convenzione è riconosciuta tacitamente dall’av vertito pubblico, che tutto sa e capisce, giacché è tifoso del teatro ed è suo cultore. Il puparo è un tecnico figlio d’arte, un esperto della psicologia dei suoi spettatori. Le sue « improntati », alternate ai pezzi fissi di zibaldone, sono sempre guidate dalla conoscenza della sua platea. — E cu co fi fiu di turlindana fi ci scufiulari trenta testi! (e con un colpo di spada fece rotolare trenta teste). Risa ironiche. — Ho ssa, don Cicciu! Scalamuia (grossa è don Ciccio! Diminuiamola). — Cu co fi fiu di turlindana fici scufiulari cinqu testi. — Scalamuia ancuora, ca nu nna calamu (cala cala che non ce la dai a bere). — Figghiu i magri Filififia, viri ca ckiddu est Orlandu (figlio di madre equivoca rifletti che questo è Orlando). I personaggi apostrofano con iattanza provocatrice, si aggrediscono irruentemente, incrociano le spade con orribile fracasso di ferraglie, i fendenti piombano facendo scintillare le scimitarre contro gli spadoni. II finale di ogni lavoro è un combattimento generale con una montagna di cadaveri, come sarebbe il finale di Amleto, se noi facessimo ciò che vuole' l’Autore. La Rotta di Roncisvalle si chiama La Morti di Li Paladini ed è a gran spettacolo in questo senso. I pupi sono l’anima eroica della Sicilia e il suo specchio romantico. Anton Giulio Bragaglia ( P i f i f l i w f ì i f P i r COMMEDIA IN UN ATTO DI TITOLO ORIGINALE DELL’OPERA WHITE DRESSES * VERSIONE ITALIANA DI SERGIO CE'NALINO Paul Green, nato a Lillington nella Carolina settentrionale il 17 marzo 1894, si è sempre interessato in modo particolare della vita, dell’animo e dei problemi dei negri in America. Figlio di un proprietario di fattoria, dopo aver compiuto gli studi alla Buie’s Creek Academy, e alla Cornell University svolse per qualche anno prima della guerra 1914-18, attività di maestro dalla quale doveva poi trarre ricchi argomenti per le sue commedie e romanzi. Nel 1927 gli venne assegnato il premio « Pulitzer » per la commedia In Abraham’s Bosom ottenendo in tal modo il miglior riconoscimento del suo valore di scrittore e drammaturgo. Nella storia del teatro d’America il suo nome viene ricordato come il mag gior conoscitore della complessa anima dei negri alla quale ha dedicato le sue migliori commedie che compongono un ciclo a sé stante nell’insieme della sua produzione. Oltre ad una raccolta di novelle Wide Fields e ai romanzi The Laughing Pioneer e This Body the Earth, ha scritto le se guenti commedie: The No ’Count Boy (1924); Fixin’s (1924); The Lord’s Will (1925); In Abraham’s Bosom (1926); The Field God (1927); The Last of the Lowries (1927); The House of Connelly (1931); Roll, Sweet chariot (1934); Shroud My Body Down (1935); Johnny Johnson (1936); The Last Colony (1937); oltre ad alcune raccolte di atti unici come Lonesome Road (1926), In the Valley (1928). Gli abiti bianchi appartiene appunto a Lonesome Road. LE PERSONE GRANNY MCLEAN, vecchia negra - MARY MCLEAN, sua nipote - JIM MATTHEWS, innamorato di Mary - HENRY MORGAN, un bianco, ricco proprietario torriero H La vigilia di Natale nella casupola di Granny McLean, nella Carolina settentrionale. E’ una notte fredda. Soffia un vento infernale a raffiche vio lentissime. Più tardi si metterà a nevicare. Dall’interno si ode ogni tanto l’ululato del vento. (Nel camino della casupola, arde un misero fuo- cherello che, illuminando l’interno dell’abitazione, ne mette in risalto la povertà. Qua e là, stille rozze pareti di legno, sono appese delle stampe a colorì che cercano inutilmente dì abbellire la cameretta. Alcune sedie e un tavolo traballante al centro. Granny McLean, entra dalla porta di fondo: è una grossa negra, già anziana, che cammina aiutandosi col bastone. Porta sotto il braccio• dei pezzi dì legna per il fuoco. In testa ha un cappello grigiastro che le nasconde metà del volto•, porta delle enarriti scarpe, una giacca da uomo rattoppata con pezze di tutti i colori, un grembiule scozzese sopra un vestito' scuro: A fatica si china verso il camino per gettarvi la legna che teneva sotto il braccio, poi alza il coperchio della pentola che è sul fuoco per guardare se le patate sono cotte. Appende allo schienale della sedia il cap pello, prende la tabacchiera e annusa un pizzico di tabacco. Al riverbero del fuoco si scorgono i suoi lineamenti: profonde occhiaie, zigomi sporgenti, naso piatto e rincagnato; sulla fronte tiene sollevati gli occhiali. Si siede su una sedia a dondolo e bron tolando fra sé si passa più volte le mani sul volto. Batte i piedi per terra innervosita, poi si alza e va ad aprire la porta. Si sofferma sulla soglia a guar dare fuori nel buio, mormora qualche parola e rien tra dopo aver richiuso la porta. Si guarda attorno: Camminando incerta getta a terra una pila di gior nali posta su una cassa che apre traendo fuori una scatola nera e oblunga. Sta per aprire anche questa, quando dalla \ porta di fondo entra Mary McLean portando un pacco e una bracciata di biancheria che getta a terra vicino alla porta prima di andare a de porre il pacco sul letto. E’ una graziosa ragazza dì dìciott’anni, mulatta: il volto è di un ovale perfetto, ornato da capelli scurissimi ben curati. Il suo vestito è misero, ma pulito). Granny (si riprende a malapena della sorpresa) — PAUL GREEN Oh... stai indietro! (Nasconde la scatola sotto il grembiule). Mary — Come vi sentite, Granny? Granny — Che vuoi; sempre male ai reni. (Cerca di alzarsi). Mary — Non dovevate affannarvi tanto: non ero certamente venuta per spiare cosa tenete in quella scatola. Granny — Già, già... ma io non lo sapevo: credevo che mi vdessi sorprendere giocando di furbizia. (Richiude a chiave la scatola che ripone nella caissa e a fatica torna a sedersi). Mary (osservandola) — Perché non mi lasciate ve dere cosa c’è in quella scatola? Granny — Stai zitta! Ti ho detto mille volte che a suo tempo lo vedrai. (Scuotendo il capo) Credo del resto che non ci vorrà molto. Mary (si gira e va a prendersi uno scialle) — E’ da più di una settimana che parlate di una cosa che sta per arrivare. Nonnina, di che si tratta? Granny —■ Non ti riguarda per ora. Dimmi piut tosto, perché ti sei fermata tanto a casa dei Morgan? Mary (attizzando il fuoco) — Ho avuto tanta di quella roba da lavare e da stirare per Natale, che non ho potuto finire prima. Granny — E io qui sola per più di due ore senza potermi quasi muovere... Mary — Ma guardate, nonnina, cosa vi ho portato! (Apre le mani e le fa vedere un biglietto da cinque dollari). Granny (si tira sugli occhi gli occhiali e guarda) — Cinque dollari?! Oh, tesoro, come sei cara! Mary (prendendo dal letto il pacco che aveva de posto entrando) — E guardate cosa vi manda... Morgan. (Svolge il pacco che contiene salsicce, sa lame e prosciutto). Ha detto che, essendo Natale, vi mandava tutto questo. Granny (ammira tutto quel ben di Dio, ma poi si insospettisce) — Come hai fatto ad avere tutte que ste cose? Chi ti ha dato quel denaro? Mary (imbarazzata) — Sono loro... loro... che ve lo mandano... L’ho già detto. Granny — Il signor Morgan non mi pare che sia il tipo da dare via tanto facilmente i suoi soldi. A Natale dell’anno scorso non fu così gentile... me lo ricordo bene. Ti ha fatto lavare anche il giorno di Natale. (All’improvviso) E’ stato forse Hugh a darti quel denaro? Mary — Ebbene... sì. Quando gli ho lavato la sua roba, tutta roba bella e delicata, mi ha ringraziato e dato il denaro dicendomi di portarvelo. Granny — Meglio così. Si vede che non mi ha dimenticata. Mary (le offre il denaro che la vecchia afferra ra- pidamente) — Ha anche detto che se un giorno sarà più ricco, vi manderà molto di più. Adesso non può... Granny — Che Iddio lo benedica. E’ sempre stato un bravo ragazzo e non è cambiato neppure ora che è un uomo fatto. Forse si ricorda ancora di me quando lo portavo in braccio... (Si arrotola il bi glietto in mano). Mary (dopo una breve pausa) — Scommetto che deve essere stato un bambino delizioso, vero non nina? Granny — Era uno dei più graziosi. (Poi si volta di scatto a guardarla) Perché mi chiedi questo? Mary -— Credevo che fosse grazioso... poiché mi pare lo sia ancora adesso. (Continua a guardare il fuoco fingendo di non aver scorto lo scatto della vecchia). Granny — Ascoltami bene: lo sai o non lo sai che non devi parlare così di un giovanotto bianco? Mary (alzandosi di scatto) — E’ ora che ti prepari la cena. Granny — E’ stato lui a parlarti? Mary — No, non mi ha detto niente. (Torna a sedersi scoppiando in singhiozzi). Granny — Via, via... vai a mettere questi soldi nel portamonete e cerca di non dimenticare quel che ti ho detto perché non bisogna illudersi. (Os- servandola) Che hai, bambinona? Mary (asciugandosi gli occhi) — Niente... niente. {Va a riporre il denaro nel portamonete della nonna, poi accende la lampada a petrolio. Nel frattempo Granny l’osserva). Granny (dopo un po’) — Povera ragazza... Devi sempre lavorare eh? Mary — Non importa. Quasi non me ne accorgo. (Cambiando discorso) Volete che vi prepari la cena sul tavolo? Granny — No, no. Metti qui sulle mie ginocchia. Che vorresti di meglio? (Mary le serve ciò che ha portato nel pacco e lei incomincia a mangiare. Ad un tratto emette un piccolo grido e si porta le mani alla testa). Mary — Di nuovo il vostro solito mal di capo? Cercate di star tranquilla. Non dovete affannarvi. (Si alza, Ravvicina alla vecchia e le accarezza la fronte e le guance) Rimanete ferma, io intanto vado a prendere un po’ di legna per il fuoco. E’ una serata fredda. Molto fredda. Guardate come nevica. (Esce e torna con una bracciata di legna che getta vicino al cumino) Vi sentite meglio, vero? Granny — Abbastanza. Quella buona roba che mi hai portato mi rimette in forze. Mary — Vedete nonnina? Non dovete più parlare della vostra fine come di una cosa tanto prossima. Sono sicura che fra poco vi rimetterete completa- mente e che questa primavera andrete nei campi con la vostra zappina. Granny ¡(leccandosi le dita) — Ottimo questo prosciutto. Mary (si risiede e guarda fisso verso il fuoco, as sorta. Poggia il mento sulle mani) — Non vi sen tite triste e abbandonata a star qui sola con me questa sera senza che ci sia nessuno al mondo che si occupi di noi? A casa dei Morgan facevano una grossa festa e... Granny — Che ti prende? Che malinconie sono queste? Mary — Niente... niente. Granny — E poi sbagli a parlare così. Il signor Morgan non ti ha detto niente quando ti ha dato quella roba? Mary (imbarazzatissìma) — No... no... non ha... Credo non abbia detto altro... Granny — Sei sicura? Mary (fingendo di wm capire) — Ah sì!... Ha detto oggi che avrebbe continuato a 'lasciarci stare in questa capanna. (Innervosita) Sì, qualcosa del genere deve aver detto. Granny — Parla piano, ti dico! Ripeti quello ohe hai detto. Mary — Ha assicurato che potremo stare qui fino a che ci farà comodo. Granny — Ah sì? (Felice) Sia lodato Iddio! Che Iddio lo benedica! Lo sapevo che l’avrebbe fatto. Lo sapevo. Ma come siete venuti su quel discorso? Mary — Non me lo ricordo neppure più. Granny — Vuoi forse tenermi nascosto qualcosa? Mary — Ebbene, sì: il signor Morgan non ha mai parlato di questo, ma è stato Hugh a pensare a noi. Granny (mangia in silenzio. Pausa, poi) — Non parlarmi più di Hugh, hai capito? (Altra pausa) Hai mangiato, tu? Mary — Sì, nonnina. M i hanno detto di non venir via da casa loro senza aver prima mangiato. Mi hanno servita in cucina. (Mentre la vecchia si mette a pelar patate, Mary va verso la credenza dove prende un pezzo di nastro rosso> con il quale si aggiusta i capelli. Granny la guarda). Granny — Fai bene a farti bella. Questa sera verrà Jim. Mary — Lo so. (Seccata) Non riesco a liberarmi di lui e della sua chitarra. Granny (soffiando su una patata bollente) — Per ché parli così di Jim? E’ il più bravo di tutti i ragazzi negri. Ti vuole bene e ormai è tempoi di pen sare al tuo matrimonio. Mary — Non voglio sposare nessuno; l’ho già detto tante di quelle volte... GLI ABITI BIANCHI Granny — Non dire sciocchezze. Quando avevo la tua età, tenevo già in braccio tua madre. Perdìo, voglio che tu ti sposi. Te lo ripeterò sempre. Devi sposarti. E’ brutto segno che una ragazza come te non abbia intenzione di metter su casa. Mary — Con Jim Matthews? Granny —■ Sì, proprio con lui. Lavora molto e sa risparmiare. (Mary finisce di pettinarsi e si in cipria il volto. Granny continua a pelar patate). Mary — Dovreste invece vederlo quando ritornerà. E’ gentile e buono con me più di quanto si possa immaginare. Granny (sorpresa) — Perché è poi tanto gentile e buono? Mary (sottovoce) — Oggi stesso ha detto ohe era un peccato ch’io dovessi passare la mia vita a lavare e ad affaticarmi come un cane. Non mi tratta certo da... persona di ebbre... Si comporta con me come fossi una bianca. Granny (sempre più stupita) — Lo so, cara. Jim sarà un ottimo marito. Mary (esasperata) — Ma io non parlavo di Jim, ve lo assicuro! Granny —• E di chi allora? Mary (come sopra) — Di nessuno. (Mutando di scorso) E’ vero, nonnina, che non sembro nemmeno ragazza negra? Granny — Sì, grazie a Dio! Sei bella come ti fece tua madre che, poveretta... morì subito... (Sot tovoce) Sei davvero quasi come una bianca. M ary----Ci ho pensato anch’io un’infinità di volte. Se dovessi andarmene di qui e stessi a New York o in qualche altra grande città, credo che la gente mi scambierebbe per una bianca. Granny (allarmatissima) — Che ti prende adesso? Mary — Ma sì, è ora che mi sfoghi a dir tutto. (Fa un gesto vago con le mani) Sì, tutto... tutto! Del resto anche voi non avete sempre desiderato di essere bianca? Granny — Sì... ma senza darci troppa importanza. (Pausa) Povera ragazza... Anche tua madre parlava così... Per amor di Dio, non parlarmi mai più in questo modo! Mary — E’ vero, non c’è nessuna ragione a par larne. Parlando non si cambiano le cose... tuttavia non ne posso più di stare qui! Non ne posso più! Granny (secca) — Basta! (Rìaddolcendosi) Senti, figlia mia, ragiona un po’: chi nasce negro, vive da negro e muore da negro. C’è niente da fare. Come Dio ci ha fatti, ci prenderà e... tutto quello che fa Dio è ben fatto. Tu sposerai Jim e sarai felice con lui. Mary — No, no... non voglio! Non mi adatterò PAUL GREEN mai! (Si sentono alcuni -passi vicino alla porta di fondo. Bussano) Avanti. Granny — Chi è? (Entra Jim Matthews. E' un giovane negro di ventidue anni, scuro di pelle cerine i suoi antenati. Ha una chitarra a tracolla; porta un vecchio cappello sportivo; un abito blu e una giacca che gli arriva quasi alle ginocchia, delle scarpe immense in cui ci balla dentro. Appena entrato, si toglie il cappello e sorride mostrando una fila di detriti bianchissimi). Jim — Buona sera, signore. (Ripone il cappello sul letto). Granny (voltandosi) — Cosa ha detto? Mary — Ci ha salutate. Granny — Ah! Buona sera, Jim.. Siediti. Sono contenta che tu sia venuto. Mary stava appunto par lando di te. (firn pi-ende una sedia e si siede fra le due donne). Jim — Sono felice di essere con voi. Granny — Come? Jim (più forte) — Ho detto che sono felice di stare con voi. Granny — Ho capito. (Jim prende dalla tasca un enorme fazzoletto col quale, dopo essersi asciu gata la fronte, si toglie con cura la polvere dalle scarpe) Buone notizie, Jim? Jim — Io no, e voi? Granny — Nulla. I vostri stanno bene? Jim — Così, così. Vi siete rimessa bene? Granny — Mah, sono ancora un po’ debole. Jim — Sempre quei dolori alla testa? Mary (a bassa voce) — Dovresti già saperlo, Jim. Vieni qui quasi ogni sera... i(Si avvicina alla nonna e le accarezza la fronte. Granny l’allontana con una mano). Granny — Non preoccuparti di me. (Sottovoce) Jim è venuto per te. Jim (guarda Mary estasiato ed avvicina la sua sedia a quella di lei. Mary si scosta subito) — Oh Mary, come ti sta bene quel nastro fra i capelli. Sono contento che tu mi abbia aspettato. Sei ve ramente graziosa. (Mary quasi non lo ascolta) Non ho mai visto una fanciulla più graziosa di te... e dire che ho girato mezzo mondo. (Si inter rompe per imbracciare la chitarra) Mary, io... Mary — Ti ho già detto mille volte di non per dere il tuo tempo a girarmi attorno. Non sono innamorata di te e non ho nessuna intenzione di sposarti. Jim — Su cara... so benissimo cosa provi per me. Del resto non posso far nulla per te se continui sempre a dire di no. Proprio oggi parlavo con il giovane Morgan... Mary — Con Hueh Morean? Jim — Sì, proprio con lui! Mary — E cosa ti ha detto? Jim — M i ha chiesto se ero fidanzato con te, e... Mary — Continua, continua. Jim — Gli ho risposto che lo ero... o quasi. Mary — Ed è stato contento della tua risposta? Jim — Sì, perché mi ha garantito ohe lo supponeva già da tempo. Era soddisfatto di pensare che in av venire tu, così ‘bella, non sarai più costretta a la vorare come un cane. Ci aiuterà. E’ un uomo molto istruito; a scuola gli hanno insegnato molte cose... Mary (esasperata) — Jim, stai parlando come se io e tutto il mondo fossimo già ai tuoi piedi. E’ bene che ti disilluda subito. Non sposerò mai uno sporco negro come te. Piuttosto preferisco morire. (]im resta sorpreso. Mary va alla finestra). Granny (guardando i due ragazzi) — Beh, avete litigato? Mary — No, volevo convincerlo a suonarci qual cosa. (Sottovoce a Jim) Suona qualcosa per lei. Jim (immusonito) — Non posso suonare. Granny (a Jim) — Cosa? Jim (scuotendosi) — Suonerò per voi. (Suona qualche accordo e poi si mette a cantare) Le chiesi : Dove vai amore mio? - Non tornerai più da quella strada. - Perché sei così pallida e smunta? - Mi sento un peso grave sul cuore. - E lei mi gettò le braccia al collo - rendendomi tutto felice. - Dove vai amore mio? - Non allontanarti, io ti seguo fedele. (Mary si stacca dalla finestra e toma a sedersi. Jim le parla sottovoce) Mary, perché fai così? (Mary non risponde). Granny — Mary, che hai? Sembri una bambina che abbia perso la lingua. Mary (a Jim) — Cantale la sua canzone preferita. Jim (coprendosi le dita che debbono pizzicare le corde con il fazzoletto) — Il carro nero ha portato qualcuno al cimitero. - Oh, Signore, come breve il. tempo della vita: - Mary piange... Marta sin ghiozza e geme. - Oh, Signore, come breve il tempo della vita. - Il predicatore predica e la gente muore. - Oh, Signore, com’è breve il tempo della vita. (Granny si scuote: dapprima batte il ritmo con le mani, poi si mette a cantare. Jim suona e canta un verso, lei il ritornello) Un martello picchia sulla bara senza posa. Granny — Oh, Signore, come breve il tempo della vita. Jim — Sulla bara che si scoprirà il giorno del giudizio. Granny — Oh, Signore, come breve il tempo della vita! Mary (interrompendoli) — Sì, il giorno del giu dizio. Allora tutto sarà finito e Iddio riparerà i torti. {Ripete il verso) Sulla bara che si scoprirà il giorno del giudizio. Sì, sì! Jim (meravigliato) — (Non capisco cosa vuoi dire, Mary. Mary — Non lo capirai mai. Granny (a Jim) — Tieni a memoria quella musica, Jim. (A Mary) Non è necessario aspettare il giorno del giudizio per... (Bussano alla porta. Mary esita un attimo poi va ad aprire. Il suo volto si illitmina quando entra Henry Morgan. E’ un bell’uomo che ha oltrepassato la cinquantina. E’ vestito con cura. Indossa un magnifico cappotto. Ha sottobraccio un pacco che getta con noncuranza sul letto. Essendo un bianco e per di più un ricco proprietario ter riero, non si cura di togliersi il cappello. Granny e Jim gli offrono le loro sedie. Jim lo guarda con deferenza rispettosa; Granny ne è turbata). Henry (con voce profonda) — Salve, Jim. Sempre intento a corteggiarla, eh? Sedetevi, Granny; non mi fermerò molto. Granny {cerimoniosa) — Cosa ha detto? Mary — Ha detto che potete sedervi. Non si fermerà molto. Granny — Ah! Oh Signore, Signore!... Henry — Come state, Granny? Granny — Male, male, ma per fortuna non ho più gran che da vivere. Henry (ridendo) — Via, via, non dite questo che non è vero. Vivrete ancora per molti anni, vedrete. (Jim va a sedersi nell’angolo in fondo). Mary (fredda) — E’ sempre un po' malata. (Si toglie rapidamente il grembiule). Henry (amaro) — Non parlavo con te, Mary. Granny — Ah signor Morgan, come sto male! Vi auguro che non dobbiate mai soffrire così... Henry — State buona, nonnina. Vi manderò altre medicine fra un giorno o due. Granny — Grazie, grazie, signor Morgan. Henry — Non preoccupatevi di ringraziare. (A Mary) Hai parlato? Mary — Non ancora. (Piagnucolosa) Non potrei, farlo questa sera... Henry — Oh, oh... capisco. Tante vero che ho deciso di venire io per definire tutto. Hai paura di qualcosa? Mary — No, ma temevo che finisse male e... Henry — Ragazza mia, non hai niente da temere per quello che ti ho detto oggi. Granny — Cosa ti ha detto? Henry — State tranquilla, Granny. Parlavo con Mary. Granny (scorgendo il pacco portato da Morgan) — Parlate di quel pacco? E’ per me o per lei? Henry — E’ per lei. Lo manda Zeke. Mi aveva detto che aveva un regalo di Natale da fare a GLI ABITI BIANCHI Mary e prima di venire qui sono passato a pren derlo. (Scherzando) Guarda Jim, che dovresti es serne geloso. (Mary cerca di svolgere il pacco) No, Mary; prima di guardare cosa c’è dentro bisogna che definiamo la nostra questione. Mary (a capo chino) — Non me la sento, adesso... Henry — Allora cerca di non aprir bocca. Par lerò io. (Rivolgendosi a Jinn) Jim, ho fatto del mio meglio perché tu possa sposare Mary e vi aiuterò sempre. (A Mary) O sposi Jim o prendi i tuoi fagotti e te ne vai via di qui. Mary — Oh no... Granny non potrebbe mai stac carsi di qui... Lo sapete bene, signor Morgan. Henry — Pretenderai mica che io continui a spendere dei soldi per voi due in eterno! Non ti sei resa conto di quanto ho speso in questi ultimi tre anni in cui Granny non ha più potuto muoversi? Granny i(che nel frattempo si era avvicinata al letto ed ha aperto il pacco) — Dio, Dio, che scia gura! (Mostra un abito bianco da sposa. Morgan resta perplesso. Granny getta lontano l’abito e guar da Morgan). Mary (accorrendo) — Ma è per me! Per me. Granny — Signor Morgan, signor Morgan... lo sapete bene cosa vuol dire quell’abito... (Gli volta le spalle e borbottando toma alla sua sedia). Mary — E’ lui che me lo manda. E’ lui. Lo sapevo che non se ne sarebbe dimenticato. Henry — Chi lui? Mary — Ma sì, lui... Henry (adirato) — Di chi parli? Mary — Di vostro figlio. Di Hugh. Henry — Ma sei impazzita? (Mary va davanti allo specchio per vedere meglio• l’abito che tiene disteso per le spalle davanti a sé) Pazza, pazza sei. E’ Zeke che ti manda l’abito. Zeke, il negro. Mary — No, è Hugh. Mi aveva promesso che si sarebbe ricordato di me, regalandomi qualcosa di bello. Dopo tutto non ho lavorato un anno intero per niente. Lui ha veramente un cuore d’oro... come nessun altro. Henry — Che vuol dire tutto questo? Si può saperlo? Granny (severa) — Nessuno meglio di voi dovrebbe saperlo, signor Morgan. Henry (aspro) — Zitta, Granny. (A Mary) Mary... Mary... posa subito quell’abito. (L’afferra e le prende di mano l’abito che getta sul letto) Ascol tami bene adesso: è ora di finirla con queste storie. Sposerai Jim? Mary — No, signor Morgan... non posso, non posso. Piuttosto lavorerò sempre, ma non voglio sposarlo. Henry — E invece lo sposerai! Devi prometterlo. Cosa credi di guadagnare andando a lavare nelle PAUL GREEN case? Se sposi Jim tutto andrà bene. Lui si curerà di te, altrimenti... Mary — Non posso... l’ho già detto. Guardatelo: è nero come il carbone ed io lo detesto. Non spo serò mai un negro. Henry — Perdìo!... Mary — Detesto lui e la terra su cui posa i piedi! Henry (volgendosi alla vecchia) —■ Granny... Mary — No, signor Morgan, no... non scacciateci come dei cani. Henry — Non voglio essere crudele con te, Mary. Ma sii ragionevole. Non ce un uomo in tutto il mondo che sia stato più buono di me nei vostri confronti in questi anni... Mary •— Lui non vi lascerebbe parlare così. Mi ha promesso che nessuno ci caccerà via. Henry — Chi ha detto questo? Mary — Il signor Hugh. Henry — Basta con Hugh! Non voglio più sen tirne parlare. Per fortuna che non è più qui mio figlio e non ci tornerà. Mary — Ha detto che ci proteggerà sempre. Henry — Tutte storie. Innanzi tutto non parlare di Hugh come di un negro qualsiasi e pensa bene a quello che fai. Potresti rovinare per sempre il tuo avvenire... mi capisci? Mary {scoppiando a piangere) — Non mi fate paura... e non mi obbligherete mai a sposare Jim. Henry — E’ la tua ultima parola? Mary — Picchiatemi pure a sangue, ma non cam bio idea. Henry — 'Non sono venuto per picchiarti. {Ri volgendosi alla vecchia) Mi spiace, nonnina, ma debbo darvi delle brutte notizie. Mary non vuole ragionare e perciò sarete costretta a far fagotto e andarvene subito. Granny {senza scomporsi) — Signor Morgan, non mi importa niente di ciò che succederà. Potete fare quello che volete. Gettatemi pure fuori a lascia temi morire... Henry — Vedi Mary, cosa vogliono dire i tuoi capricci? Mary {decisamente mutata) — E va bene, signor Morgan, sposateci. C’è niente da fare. Ho sempre sperato qualcosa di più bello... ma si vede che il destino non vuole. {Pausa) Sposerò Jim e nasce ranno altri bambini disgraziati come me. No... no, nessuno mi può più aiutare. (Si lascia cadere sulla sedia). Henry {la guarda in silenzio, poi con voce più dolce) — Brava Mary! Ti sei dimostrata di buon cuore. Mi occuperò io dei documenti e vi spo serete subito. Sei d’accordo, Jim? Jim — Certo, signore... Certo! Henry {avvicinandosi a Granny) — Bene, Granny. Tutto è andato per il meglio. Mary e Jim si spo seranno. Non dovete più preoccuparvi di nulla. (Granny non risponde. Morgan tende la mano a Mary, ma questa si nasconde il volto nel grembiule) Mary, mi spiace di essermi dovuto comportare così duramente con te, ma l’ho fatto a fin di bene... {Molto imbarazzato) Potrei dirti qualcosa che ti aprirebbe gli occhi e ti farebbe capire tutto... ma adesso non posso. {Sosta un attimo pensieroso, il capo chino, poi esce silenziosamente. Jim si alza e si avvicina a Mary). Jim — Mary, cara Mary... non prendertela così... Mary — Lasciami sola. Ho promesso ma adesso sono ancora in tempo a rimediare. {Fa per uscire) Correrò dietro al signor Morgan e gli dirò che ho cambiato idea. Non ti sposerò mai, Jim! Granny {decisa) — Ehi! Non fare sciocchezze. Prendi questa chiave ed apri la scatola nera. {Mary si ferma) Dammi quella scatola, t’ho detto! (Mary esegue) Sto per rivelarti il segreto di questa scatola. Tua madre mi aveva raccomandato di non dirtelo che al momento giusto e quel momento ora è ar rivato. Quando te l’avrò detto vedrai perché devi sposare Jim. Tua madre è caduta nel peccato e ha sofferto sino alla morte... Adesso tocca a me salvarti. (Apre la scatola e ne tira fuori un abito bianco che dimostra d’essere appartenuto ad una generazione precedente, ingiallito dal tempo. Jim guarda stupito a bocca aperta) Ascoltami bene, ra gazza. Ora ti spiego tutto. Diciannove anni fa, proprio nel giorno di Natale, un uomo bianco re galò a tua madre quest’abito e quell’uomo è di ventato un tuo... stretto parente... Non abita molto lontano di qui... Dammi l’altro abito bianco che ha portato. '{Mary lo prende dal letto ma non riesce a staccarsene) Dammi quell’abito, t’ho detto! Mary — E’ mio e lo conserverò per sempre. Granny (squadrandola con un’occhiata severa) — Dammelo. (Lo prende e si avvicina al camino con l’intenzione di gettarlo sul fuoco assieme all’altro. Jim cerca di sventare il colpo, ma la vecchia lo previene e lo scansa) Stai fermo, Jim! Questa è la sera in cui ci libereremo delle tracce che uno di questi abiti ha lasciato... (guarda Mary) e che l’altro non avrebbe tardato a lasciare... (Mary singhiozza mentre gli abiti bruciano rapidamente) Su, Mary... Quando domani verrà con i documenti pronti, sposerai Jim e vivrai onestamente per sempre. (Le pone una mano sul capo) Capisco benissimo cosa stai provando, Mary... ma era necessario bruciarli quegli abiti... Bruciarli... Bruciarli... F I N E Tutti i diritti sono riservati / ">^7 /) / » W l\ M é f h U M A w a a m é a / r v ■ I pun ti d i vista dai quali ci si può porre per giudicare un ’opera, sono almeno due: i l punto di vista dell’autore e il punto di vista del critico. Non parlo del punto di vista del pubblico, perchè proprio in esso si registra la maggior confusione dei due precedenti. Tanto per fare un esempio, dirò subito che il giorno dopo la prim a rappre sentazione di Le diable et le bon Dieu d i Sartre, i giudizi espressi si sono rivelati molto dissim ili e talvolta nettamente opposti. È anche questo i l caso — e forse uno dei p iù vicin i — d i equivoco tra punto d i vista dell’autore e del critico. Tuttavia, se anziché lim ita rci a ll’esame d i im a sola opera, ci soffermiamo su una serie d i lavori teatrali della stessa epoca, si noterà che entrambi i punti di vista restano schiavi, di solito, dell’epoca in cui sono stati composti i lavori. Dico questo perchè occorre oggi compiere un certo sforzo per constatare come i l dramma moderno stia riavvicinandosi notevolmente alla tragedia antica: si direbbe che un ’ansia collettiva, colpendo i nostri massimi drammaturghi, li in c iti a sorpassare i l lim ite comune del dramma psicologico che, non sono m olti anni, apparve come novità rivoluzionatrice del teatro. Anche in questo caso, e anche questa volta, i l teatro era in ritardo sulla narrativa, dove, da più decenni, imperava l ’analisi psicologica, affannosamente ricercata in quelle lette rature che, per allora, apparivano esotiche, come la letteratura russa, per eccellenza. I passi in avanti ed in profondità che la psicologia sembrava promettere a ll’infinito, si sono invece dimostrati lim ita ti anch’essi e forse più ancora d i quelli fa tti compiere dallo spirito religioso degli antichi. I lim iti del dramma psicologico (oggi notati con una sensazione d i « peso ») ci appaiono troppo angusti, quasi in grado d i soffocare le m ig lio ri intenzioni e Vispirazione p iù schietta. S i potrebbe facilmente collegare l ’invasione della psicologia nel teatro con l ’introduzione di un giudizio storico emesso dall’autore sulla condotta d i un uomo, giudizio che comprende addirittura una valutazione critica dell’esistenza. E in questo senso che voglio parlare di « storicismo » teatrale, riportandom i a ll’esempio già citato di Le diable et le bon Dieu, poiché proprio in quest’opera sartriana, è evidente 4a presenza d i una mente che sovraintende con chiara esposizione alle sventure degli eroi (giacche non è più il caso d i parlare d i protagonisti) e agli avvenimenti che hanno sorpassato la fase drammatica, per accostarsi a quella mitica. In altre parole, lo sforzo che è richiesto al lettore e allo spettatore moderno, per accorgersi delle aspirazioni tragiche dei nostri commediograf, non va disgiunto da quello, pur esso indispensabile, per notare come i l dramma moderno sia fatalmente irrevocabile. Voglio dire che l ’autore non si lim ita ad esporre, e, quindi, a rappresentare una vicenda, a concluderla, ma ambisce yche nella conclusione sia contenuta una soluzione che va al d i là dell’interesse che attrae, ma investe invece in pieno i l campo etico. Una volta, la morte del protagonista conclu deva una carriera che altrim enti sarebbe risultata m utila: oggi in quel senso, può anche non concluderla, ma la sua fine toglie il respiro agli spettatori; è una condanna o una assoluzione che si ripercuote sulla platea, esce dal teatro, invade la vita e l ’uomo della strada. La scena teatrale è diventata l ’ara sulla quale si celebra un rito ambiziosamente universale, e d i lì nasce la parola di consolazione o d i sconforto per tu tti senza distinzione d i alcun genere. Se, a queste osservazioni, si aggiunge la più semplice, vale a dire, se a queste nuove esigenze dello spettacolo teatrale si tiene presente che la nostra epoca o la nostra generazione, direttamente o indirettamente, ha lottato per la rimozione d i ogni norma morale preesistente a ll’esperimento, non mancherà di stupire Vapparente contraddizione delle cose. I l relativismo portato nella vita a urtare contro quelle norme che solo poco p iù d i cinquant’ anni fa parevano intangibili, e sulle quali uno scrittore come M olière poteva divertirsi a piacimento non ha avuto delle conse guenze lie vi: nata come reazione alla convenzionalità, oggi la mancanza d i fede in una morale si presenta ancora come convenzione. S i sono cambiati ed in vertiti i term ini della questione, senza raggiungere risu lta ti tangibili, e come sempre, ne è migliore testimone i l teatro. Da tutto questo, si deduce che la situazione odierna presenta una profonda analogia con altre e soprattutto con quelle che precedettero le innovazioni del primo Novecento. Ancora im a volta per lo stesso gioco delle date, si impone da sè Vaccostamento con a ltri movimenti intellettuali, manifestatisi nella stessa epoca. Uno dei preponderanti fu lo « storicismo », che, in pratica, fu innanzi tutto un atto d i ribellione e d i immo destia degli uom ini del X I X secolo verso se stessi a dispetto di Dio, tant’è vero che Gian Battista Vico, gettando le basi d i quel fermento, prevedeva dove si sarebbe andati a finire, anche se lu i disponeva ancora di una fede che i suoi nipoti potevano invidiare come beneficio raro. La storia cessa di essere una successione cronologica d i fa tti commen ta ti: la storia cessa d i essere « cronaca » e diventa un ramo della filosofia; la storia si anima dello S pirito della Storia, principio ed essenza regolatrice dell’universo rimano. Non dimentichiamo però che questo Spirito è a sua volta scoperto dall’uomo con un tale lavorio che può lasciare dei grossi dubbi; ad esempio che sia ancora una sua creatura. In definitiva è i l primo passo verso quello smantellamento della divinità per far posto al nuovo uomo, a ll’uomo moderno. E il giudizio storico diventa verdetto. Nel teatro come si è manifestato questa nuova concezione? Con una allegoria sottile ma evidente. D alla trama non scaturisce p iù la ragione prim a d i un discorso teatrale, cioè lo « spettacolo », poiché questa trama o argomento è autosufficiente: diviene semmai ^ma piccola sintesi d i una avventura ^lmana, un pezzetto d i storia che si incastra in un ciclo notevolmente più grande con aspirazioni di servire da esempio per i l futuro. Perdendo la spettacolarità acquista quindi un potere di evocazione e d i testimonianza atto a produrre quel significato conclusivo che è l ’unico fine propostosi dal comMedio- grafo. Ritornando al caso d i Le diable et le bon Dieu, l ’avventura d i Goetz non è più quella d i un condottiero che si dibatte fra l ’ambizione e la sete d i potere, cercando con mezzi leciti e illeciti, d i soddisfare la sua bramosia d i potenza, ma è soltanto un uomo posto nel dilemma d i scegliere con i suoi atti, le possibilità di rincontrare la fede in qualcosa p iù grande e più potente dell’uomo. Goetz, anche se rivestito di armatura e di elmo, nasconde sotto quelle spoglie l ’uomo moderno, l ’uomo della nostra generazione, alle prese con problemi immensi, e cioè con i problemi convenzionali della nostra epoca. Ritroverà il novello Saulo, la voce e il richiamo d i Dio? M a questo è solo i l prim o aspetto nascosto dall’allegoria di una vicenda medievale, ed è anche i l p iù semplice. E vero che Sartre sia un filosofo, e forse oggi non vediamo giustamente fin dove arriva la sua lucidità e la sua chiaroveggenza, ma non basta un sistema filosofico per assorbire tutta l ’attività d i un uomo come lu i. Verrà però i l giorno in cui egli ci apparirà in una luce nuova: nella luce di uno storico che con freddezza pari alla rigorosità del suo metodo ha analizzato, meglio di tu tti g li altri, la nostra epoca. Oggi ciò può stupire, perchè egli passa come uomo d i punta di una delle più viva d correnti del pensiero moderno, constatare come nell’elaborazione d i questo pensiero ne sia soprattutto lo storico. Perciò nell’armatura d i Goetz, Sartre nasconde ancora una « figura » più profonda, che è poi quella sulla quale si regge l ’intero dramma, ed è i l giudizio che egli emette sulla libertà d i scelta concessa per natura indistintamente a tutti g li uom ini. Che la sua sentenza colpisca in apparenza con rig id ità il protagonista, non è un buon invito, tanto meno un incitamento, per i l pubblico a considerarsi eguale a Goetz. Però in realtà Goetz diventa il simbolo d i tu tti g li uom ini che per una ragione qual siasi si imbattono nello stesso problema. La sua condanna investe un ’intera società che certamente non contiene « élites ». La differenza fra questo dramma d i Sartre —• e si tenga presente che è solo per como dità che abbiamo scelto Le diable et le bon Dieu come simbolo d i una produzione molto più vasta — e la tragedia, denota i l trapasso di una concezione antica sulle cui ceneri è sorta l ’attuale. Nè Sofocle, nè Shakespeare, hanno m ai osato attribuire alla vicenda da essi rappresentata nelle loro opere un significato utile a qualcuno che non fosse i l protagonista stesso: Edipo, Enrico IV , Riccardo I I , Antonio, trovano la loro giustificazione nel mito e nella cronaca (non ancora nella storia): il destino riservando loro certe prove e sottoponendoli a determinate ed insolite situazioni, continua a colpire e segnare un individuo soltanto, un individuo che in quel modo viene a distinguersi fra tu tti g li a ltri ed a porsi su un piano speciale; l ’eroe entra in quel modo nella « tragedia »/ l ’autore riproponendo la storia al pubblico, resta nel « teatro ». Goetz invece non subisce nessuna limitazione, nessuna costrizione m itica o cronologica. Goetz, ad ogni momento, è libero d i compiere l ’azione che p iù g li aggrada, a scegliere la via che preferirà, a discutere g li incidenti e gli ostacoli che g li si parano dinanzi. Goetz è troppo poco personaggio perchè è diventato l ’espressione stessa della libertà d i volere dell’autore, che d i lu i si serve opportunamente per divulgare i l suo pensiero e una sua concezione particolare. Stando così le cose, è chiaro che questa concezione, non potrà m ai essere inerente a ll’um anità del personaggio, giacché in tal caso i l protagonista sarebbe una evocazione autobiografica d i Sartre stesso, oppure perderebbe completamente la sua doviziosa libertà. Importante sottolineare quest’assenza d i interessi um ani verso il perso naggio d i un’opera teatrale, perchè se non analizzata bene, la cosa finirebbe col dar ragione a coloro che sostengono che al d i fu o ri dell’introspezione psicologica, non può oggi sussistere produzione teatrale o narrativa. F ra un soggettivismo assoluto, che Sartre per natura disdegna, ed un oggettivismo collettivo, i personaggi del teatro moderno, non hanno altra via d i uscita. M a in altre parole, Voggettivismo collettivo, non rispecchia ancora di p iù la condizione dell’autore, schiavo d i un ambizione storiografica? I l suo potere d i rappresentare, viene sfruttato per raggiungere quell’espressione d i « esempio » additato a ll’intera società, dimenticando che il teatro, pur nella sua vastità d i echi e di riflessi, non riuscirà m ai ad andare oltre lo spettatore e qualche volta non raggiungerà neppure il lettore. Da questa contraddizione, che in pratica corrisponde ad un impiego im proprio detto strumento teatrale, sorge la « difficoltà » del teatro moderno. M a v i è ancora u n ’altra ragione che sospinge il pubblico a diffidare dette m ig lio ri opere contem poranee, ed è prodotto dalla esuberanza di autorità che si è preso i l drammaturgo: concludendo i l dramma con un verdetto che colpisce l ’intera società, per i l pubblico non vi è p iù alcun mezzo d i compartecipare al fatto teatrale; i l pubblico non può più commentare, non può più scegliere, preferire, concludere; l ’autore g li ha strappato brusca mente questi d iritti, senza preoccuparsi affatto che in tal modo veniva a distruggere una fra le più belle ragioni d’essere del teatro: distruggere negli a ltri quella facoltà di sognare e d i fantasticare che giustifica la presenza d i una folla in un teatro. A lla morte d i Goetz, il pubblico non può più esprimere un sentimento di commise razione, d i pena, o d i soddisfazione (è importante rilevare che i capolavori drammatici hanno sempre lasciato aperte le possibilità d i giudizi disparati), deve soltanto far tesoro della lezione, gradevole o sgradevole, che g li è stata, im partita, e soprattutto deve fare uno sforzo per immaginare come dovrebbe riconoscere l ’analogia fra le situazioni che g li presenta la vita d i tu tti i giorni, e quella del protagonista testé giudicato. Pretendere questo dal pubblico è una cosa irragionevole, in quanto il teatro non è m ai stato aula d i università, o cella d i studio d i monastero ; il teatro è un fatto popolare per natura, e chi urta contro le sue esigenze, commette un errore del quale dovrà rispondere. L ’essenziale — ed è anche l ’aspetto p iù grave della questione — è che, come si diceva in principio, lo storicismo ha talmente preso la mano a i drammaturghi che oggi è difficile d i prim o acchito riconoscere questo vezzo nella produzione teatrale, non solo, ma è diventata tale l ’abitudine, che sono più coloro che disperano del teatro o che vi hanno rinunciato del tutto, d i quelli che preferiscono studiarne la condizione per metterne sull’avviso i responsabili. Le conseguenze tuttavia non sono assolutamente negative: l ’introduzione dello storicismo nella letteratura drammatica, ha avuto pure — e continua ad avere — degli aspetti positivi. Lo dicevo a ll’inizio, quando facevo notare il lento ma costante riavvicinamento del dramma moderno a ll’antica tragedia, e quando delineavo a grandi linee la natura dello stesso storicismo. Oggi che il processo non si è ancora realizzato compiutamente, non si possono trarre conclusioni definitive; però si capisce che tutta quest’ansia d i assolutismo e d i giudizio finirà, prim a o poi, per ricreare una salda fede che non tarderà a rivaleggiare con la religiosità degli antichi. Che questa fede sia rivolta alla veridicità mitologica, o a ll’in fa llib ilità dello S pirito della storia, teatral mente parlando, ha ben poca importanza. L ’importante è che questa base venga gettata ed acquisti la saldezza indispensabile: i l resto seguirà. Se abbiamo perso, per ora, in efficacia teatrale dopo tante angosciose e spericolate esperienze psicologiche, non è gran male; basterà che domani rito rn i a splendere in tutta la sua purezza l ’ideale tragico, che si è sempre sorretto nello spirito degli uom ini, attraverso tutte le traversie e le vicissitudini della nostra civiltà. Questo ideale tragico, non starà lontano dalle nostre scene, qualora un atto d i modestia attenui l ’importanza che il drammaturgo si è accollata; importanza peraltro, che lo frena nella sua opera p iù d i quanto gli sia d i aiuto e di sollievo. È necessario perciò che a ll’ambizione del giudice subentri u n ’ambizione di umanità, che faccia guardare al singolo nella sua individuale irrepetibilità, nello stesso modo con i l quale oggi si guarda al singolo come esponente semplificativo d i una collet tività che non è così amorfa come si crede. Un invito a ll’um anità corrisponde a ll’invito al riconoscimento d i a ltri problemi connessi alla complicata natura dell’uomo; tutto sta ad abolire in partenza la prevenzione d i risolvere questi problemi. La varietà dell’uomo regge su leggi che sono sempre sfuggite allo sguardo più acuto, e g li sforzi riv o lti in questo senso, da filosofi come da artisti, sono troppo s im ili a quelli com piuti dagli alchim isti del medioevo per la ricerca della «pietra filosofale». Se la pietra sublime non venne ritrovata, da secoli d i sforzi e d i esperienze sorsero però i fondamenti di una scienza nuova. D a i tentativi d i oltre mezzo secolo dei nostri drammaturghi per raggiungere un giudizio defnitivo sul significato dell’esistenza umana, non è im pro Lmc1cii i><blaf lo.cercat0 ti saresti sposata così giovane... Helène (interrompendola) — Mamma! Marie (interdetta) — Che c’è? Helène — Aspetto un figlio! Marie — Che... che cosa hai detto? Helène — Aspetto un figlio. Marie (esultante, commossa, turbata) — Oh! Ah! Cara, cara, cara la mia LIelènina! Cara! Che cosa meravigliosa! Era il più bel regalo che potevi farmi, piccola mia! Che gioia... Sei sicura, eh? Helène — Senza dubbio. Marie — Oh! Cara, cara, cara! E quando arriverà? Helène — Aprile. Marie — Ah! Oh! Un nipotino! Che felicità! La mia cara topolina sarà mamma, pensa! E io sarò due volte mamma. Ma ora devi mettere giudizio, de vi usarti moke cure, devi fare attenzione. Se sapessi come stavo attenta io quando ti portavo! Helène — L’immagino. Marie — Non devi strapazzarti, non devi emozio narti e neppure eccitarti. E non devi faticare. Devi smettere di fumare... Helène — Grazie dei consigli. Marie — Oh, che stupida! Dimenticavo: hai stu diato medicina e ne sai più di me. Vengo io a casa tua a fare le faccende, non. voglio che ti affatichi, ora. E Anders dovrà farsene una ragione. Helène — No! Non voglio! FURIA D’AMORE Marie {umile) — Perché, piccola mia?... Sei fiera, dura... come tuo padre. Helène — Sei certo che fosse proprio così? Marie — Chi? Tuo padre? Helène — Sì. Tuo marito. Sei certa che non vo lesse da te qualche altra cosa? Marie — Gli davo tutto... che cosa avrebbe potuto pretendere di più? Helène — Qualche cosa di diverso. Marie — Che strane domande, figlia. Tuo padre parlava così poco... era sempre chiuso, triste... Quan do morì non volle neppure vedermi. Io credo che tuo padre fosse un cattivo uomo. Helène — Forse avevi preso tu in appalto tutta la bontà disponibile. Marie — Come sarebbe a dire? PIelène — Niente. Eri innamorata di papà? Marie — Certo... Comunque ai miei tempi non ci si sposava per amore. Ma erano altri tempi. Helène — Già, altri tempi. Marie — Ma vuoi spiegarmi...? Helène (amara) — Povera mamma, non è facile per te. Sei stata sfortunata: prima un marito come il povero papà e poi una figlia come me... Marie — Non mi compiango. La mia vita è stata dedicata a voi due... LIelène — Certo, ceTto. Sei sempre stata molto buona, tu. Marie — Ma quali idee ti sono venute in testa, oggi? Sei strana! Via, non pensiamoci! Dobbiamo pensare al tuo bambino, ora! Cara! Oh, che sven tata: sto qui chiacchierando mentre la mia Helè- nina ha fame. Ora ti preparo il té con sandwichs, ho anche un pezzo di torta di cioccolata... e i bi scotti che ti piacciono... Helène — No, grazie. Marie — Mia cara! Non devi fare i capricci! Non sei più una bambina. Devi nutrirti per due, ora. Fai un piccolo sforzo. Helène — Parlami della tua « Pensione familiare», mamma. Vuoi? Marie — Che vuoi che ti dica? I soliti studenti... così allegri... anche se hanno pochi soldi in tasca; si tira avanti, la vita è cara... le preoccupazioni... i sacrifici... Helène (interrompendola) — Mamma! Marie — Che c’è, piccola? Helène — Fio lasciato Anders! Marie — Eh!? Helène — Per sempre. Marie — No! Ma... ma... non capisco... Helène — Non farmi le tue solite prediche, mamma! Marie — Sei pazza! Lasciare tuo marito, la tua casa... spiegami, almeno. (Pausa). ERIK MÜLLER Helène — Perché non volevo diventare con lui come sei tu. Marie — Non... come me... Ma non sai che cosa dici, figlia mia! Tu mi offendi... Tu sei diventata pazza... pazza, dico io. Helène — Io amo Anders. Non volevo che mi odiasse... non volevo vederlo morire un po’ per giorno... come il povero papà. Marie (scandalizzata) — Sentitela! Sentitela! Tu bestemmi... Helène — Ho lasciato gli studi perché non volevo perderlo. Volevo amarlo come soltanto una donna può amare. Volevo curarlo come si cura un bam bino... Era un uomo gentile, impacciato, adorabile... Ma mi sono sbagliata. Mi resisteva. Non voleva essere amato così. E mi sono trovata sola, a com battere contro un muro. Si difendeva accanitamente. E appena fui certa del mio stato, è difficile dire, non volevo credesse che gli davo un figlio per legarlo ancora di più a me... Per questo l’ho lasciato. Non puoi capire, mamma. Marie — No, no, non capisco e non voglio capire. Tu sei spietata, crudele, con te stessa e con gli al tri. Sono costernata! Sembra quasi che tu mi odi! Helène — Ti odio in me stessa. Marie — Come osi parlarmi così! Dopo i sacrifici che ho fatto per te... Helène — Esatto! Siamo donne, noi due, che amia mo il sacrificio! Esattissimo! Sacrifichiamo la feli cità e la libertà degli altri per troppo amore. Siamo delle disgraziate! Marie (offesa) — Helène! Parli a tua madre! Helène — Già. Ci detestiamo, in fondo. Non pos siamo perdonarci tutto il male che ci siamo fatte e che ci stiamo facendo. Marie — No, no... io sto sognando... Tu sei ner vosa, è naturale nelle tue condizioni, e ti perdono... Non sai che cosa stai dicendo, questa è la verità! Su Helènina, calmati. Ora dobbiamo pensare sol tanto al bambino che deve nascere. L’unica cosa che importi. Helène — Non cercare di nasconderti dietro mio figlio; deve nascere ancora : lascialo in pace, almeno lui! Non l’avrai! Come hai avuto me, come hai avu to mio padre! Marie — In quanto a tuo padre... Helène — Sì, è stato lui il primo anello della tua catena. Sposato a una santa, che puliva, spolverava, lavava e rammendava per lui. Che per lui ebbe una bambina, io; non per se stessa, certo. Per lui! Era un uomo onesto, pulito, non poteva mai dimenti care che fu con la tua dote che comprò la bottega... Marie —• Helène! Helène — Lasciami dire. Papà non poteva ribel larsi, perché aveva un debito verso di te. Vedeva il suo debito aumentare, i tuoi sacrifici erano inte ressi da usuraia! Ogni volta che fumava una si garetta, il suo debito aumentava... Sei tu che l’hai ucciso! Marie — Taci, pazza! Bugiarda! Bocca sacrilega! Helène ■—- E lo uccidevi ogni giorno di più, non solo col tuo amore che mette spavento, ma anche col tuo odio. Non per quello che ti faceva lui - che cosa poteva fare se non tacere!? - ma per quello che non ti permetteva di fare ancora per lui. Marie (gemendo) — Queste cose dette dalla mia bambina! Helène — Ma lui non ti bastava, hai avuto me, poi. Ti sei buttata su di me con furia, con un af fetto che mi copriva come un’onda. Ma non sono annegata. Sono forte almeno quanto te. Marie — Sei ingiusta. Dio me testimonio. Io sono la tua mamma, Helène! Helène — La tua maternità è come un fantasma minaccioso, che m’inseguiva, senza riposo, senza carità: non avevo nulla di mio, ero indifesa. Papà si liberò morendo e io... fuggendo via con Anders! Marie — No, non hai sposato Anders per libe rarti di me! Dimmi che non è vero! Helène — Ma tu ci hai subito sostituiti. Hai co minciato ad affittare camere, non per avere denari, come dicevi, ma per avere nuova gente per cui sacrificarti. Per avere le loro confidenze, per carpire i loro segreti, le loro debolezze, per averli in pugno, per saccheggiarli senza pietà. Marie — Sei una figlia degenere... Il mio sangue che si rivolta contro di me... Se tu non aspettassi un bambino... Io... io... Helène (isterica) — Quale bambino!? Non voglio averlo! Lo ucciderò in me per salvarlo dal nostro amore! Non l’avrò! (Gridando) No! No! No! (Ru more dì uno schiaffo. Pausa). Marie (con esagerata dolcezza) — Cosa m’hai co stretto a fare, Helène! Non ti ho mai dato uno schiaffo, neppure quando eri piccola. Ora sì, l’hai meritato... perdonami. (Helène, esausta, singhiozza) Piangi... piangi, piccola mia. Ti farà bene. Non hai i nervi a posto... Tu sei ragionevole, tu sei in gamba, Helène... Tu avrai il tuo bambino, qui, nella nostra casa: tua e mia. Lo cureremo, lo alle veremo come si conviene; ne faremo un uomo. E lui non si ribellerà a sua madre come hai fatto tu, oggi. Voglio dimenticarlo: è stato un brutto sogno. Ti perdono... Non piangerai mica per Anders, vero? Quel miserabile non ti merita certamente. Helène (piangendo) — Oh, mamma, mamma mia. Com’è difficile essere donne. Marie — Certo che è difficile, ma Dio ci aiuta. Helène — Siamo cucite nel sacco della nostra pel le, e non possiamo fuggire da non stesse. Marie — Non dire così, Helènina... Tu sei una buona ragazza, in fondo. Helène —■ Oh, sì purtroppo. Non posso1 fare a meno di amare, di vivere per un altro. Ma Anders non mi permette di farlo. Marie — Vivrai per il tuo bambino. Helène ■—■ Oli, sì; per lui sì. Marie — Vivrai con me, vero? Manderemo via tutti i pensionanti e saremo felici: io, te e il bam bino. Helène — Il tuo amore è contagioso. Io sono come te: mi faccio paura. Ma se non vivrò con Anders dovrò vivere con te, mamma. Marie — Sei ragionevole. Con me, certamente. Ve drai che tutto andrà bene. Fidati della tua vecchia mamma. Hai fatto bene a lasciare Anders, non me mai piaciuto. Ho fatto di tutto per evitare la vo stra fuga, il vostro matrimonio infelice. Avevo ra gione da vendere, cara. Se mi avessi ascoltata allora... Helène — Non è così semplice : lo amo. Marie — Ti sembra, forse. E’ un po’ difficile al principio, poi tutto si fa chiaro. Dammi retta: non pensare più a lui. Helène — Se lo potessi! Marie — Tu sei giovane, sei bella, hai tutta la vita avanti a te, assomigli a me come una goccia d’acqua quando avevo la tua stessa età. Poi comincerai di nuovo i tuoi studi... Helène — Ma il bambino... Marie -—• Non pensarci. Tu sei giovane, andrai al l’Università ancora, come una ragazzina. Al bam bino ci penso io; ho esperienza, ho vissuto il doppio di te. Helène — Ma se Anders mi ama... Marie —• Non ti ama, non ti ha mai amato... Helène — Se Anders mi ama veramente, come di ce, mi cercherà... e se lui vuole forse è meglio che torni da lui : è mio marito. Marie — Non dire sciocchezze, cara. Non saresti capace di staccarti da lui una seconda volta e re steresti infelice per tutta la vita. Dammi retta: il divorzio è l’unica soluzione. Helène — E se avessi sbagliato? Marie —■ Le prime decisioni sono le più giuste. Le donne sono guidate dall’istinto: il migliore consi gliere. Helène — Non so... sono tanto stanca. Marie — Sì, cara. Vieni nella tua stanzetta, è restata come l’hai lasciata tu un anno fa, quando sei andata via. Non l’ho mai voluta affittare a nes suno: sapevo che saresti tornata dalla tua mamma. Vieni, Helène. (Lunga pausa). Anders (ostile) — E’ qui mia moglie? Marie — Come si permette, Anders, di entrare così in casa mia? FURIA D’AMORE Anders — Poche storie, signora Hage! Sono ve nuto per riportarmi a casa Helène! Marie — La prego di non alzare la voce, Anders! Anders — Va bene, mi scusi. Ma voglio parlare con Helène. Marie — Non è in casa. Anders — L’aspetterò. Marie — Ma Helène, non so se lei lo sappia, non abita con me. Mi viene a trovare molto spesso, ma... Anders — Dove abita? Marie — Mia figlia m’ha pregato di non dirlo a nessuno. Anders — Perché? Marie —• Mi mette nell’imbarazzo, Anders. Cerchi di capire. Helène... Anders — Avanti! Che c’è? Marie —• Non so se faccio bene a dirglielo ma He lène, vive con... Anders — Con chi? Non ha altri parenti a Stoc colma se non lei! Marie — Ma non è un parente... è, come dire? Anders — Non vorrà insinuare che mia moglie... Marie —■ Proprio così, povero Anders. Anders — Un altro uomo!? Marie — Forse non avrei dovuto... è penoso... Anders — Che vergogna, che schifo... Marie — E’ triste, ma prima o poi l’avrebbe sa puto Io stesso. Anders — Già. Non mi resta che ringraziarla per la rivelazione. Marie — Sono io la prima a dolermene, Anders. Ho fatto di tutto per convincerla a tornare da suo marito, ma non mi ha dato ascolto, purtroppo. Ho sempre avuto la massima stima per lei, Anders, mi creda... Anders — Si risparmi, prego! Marie — Deve perdonarla. Se le vuole bene deve perdonarla... Anders — Vedo che sono arrivato troppo tardi. Sono stato uno sciocco. Marie — Eh, certo che Helène non doveva com portarsi così; se non aveva rispetto per sé stessa al meno per sua madre... Io mi vergogno, sinceramen te... mi vergogno per mia figlia. Anders — E’ finita per sempre, allora. Non... non ha lasciato nessun biglietto... per me? Marie — Ha lasciato detto... che vuol essere per donata e dimenticata. Anders — Nient’altro? Marie •— Nient’altro. Anders — Avevo capito che mi mentiva, ma non credevo fino a questo punto... Ora che conosco la vera ragione per cui mi ha lasciato... posso metter mi il cuore in pace. Non è per colpa mia, in ogni modo. Meglio così. La saluto, signora. (Pausa). FIelène (chiamando da lontano) — Mamma! ERIK MÜLLER Marie (allegra) — Oh, cara, già sveglia? Ha ripo sato bene la mia Helènina? Helène (con voce normale) — Con chi parlavi, mamma? Marie — Io? Helène — Chi c’è stato qui? Marie — Ma... nessuno. Helène — Eppure mi sembrava... Marie — Saranno state voci sulla strada... (Pausa). Helène — Perché non dici la verità, mamma? Mi è sembrato di udire la voce di Anders. Marie — Oh, che cosa ti viene in mente! Anders ti ha già dimenticata, stanne certa. Helène — Eppure... Marie — Ora sta’ buona qui che ti vado a prepa rare l’uovo. Va bene? Devi metterti in forze, perché nelle tue condizioni... Helène — Mamma! Marie — Che ce, piccola? Helène — Poco fa è venuto qui Anders! Non ne garlo! (Pausa) Rispondi! Era Anders? Marie — Sì. Helène — Oh, caro! E’ venuto a cercare di me! Mi ama ancora, lo sapevo. Ma perché non volevi dirmelo? Che cosa ti ha detto? Marie — Non volevo darti... anche questo colpo, figlia mia. Come vedi... non so come dirtelo... Helène — Mio Dio! Che è successo? Anders sta male? Marie — Magari. Anders non ti vuole più. Helène — Scherzi. Anders m-i ama, lo so. Marie — Povera piccina mia... Anders è venuto qui per dirmi... che non devi mettere più piede in casa sua. EIelène — E’ molto in collera con me, e ha ragione. Tornerà, vedrai. Marie — Non tornerà. Helène — Come fai ad esserne certa? Marie — Sarà bene che ti dica tutto, Helène. An ders ha un’altra donna. Helène —• No! Marie — Purtroppo è così. Ti ha sempre mentito. E’ una vergogna. Helène (piangendo) — Non... posso crederlo... Marie — E’ un mascalzone... un vigliacco... Quando gli ho detto : « Anders! Mia figlia è qui, vada a par larle a quattr’occhi ché io non voglio immischiarmi in questa sporca faccenda! », sai che cosa mi ha ri sposto? Ha risposto che non aveva coraggio di guar darti in faccia. E se ne è andato. Questo è stato l’unico pudore di cui sia stato capace. E’ un mise rabile, un impostore... (Helène singhiozza) Su pic cola mia! Non devi versare una lacrima per quel vi gliacco, non lo merita! Fatti coraggio, questo è l’ul timo dolore che ti dà. Ora comincia una nuova vita per te. Adesso ti preparo il tè, l’uovo e i biscotti... Helène — Le tue medicine per tutti i malanni, mamma. Marie — Anders ha finito di calpestarti! Sei nel tuo nuovo nido, con la tua mamma. Asciugati gli occhi, via. Avrai il tuo bambino ed io custodirò te e il piccolo... veglierò su di voi... Helène (dura) — No, mamma... Il mio bambino dovrà essere soltanto mio... Marie — Certo Helène... soltanto tuo... Helène — Mamma, io non ti devo nulla. Non vo glio altri debiti. Marie — Certo, certo. Ma a che cosa vai pensan do, adesso!? Sta’ calma, aspettami qui. Vado a pren dere i biscotti... Quando torno voglio trovarti sorri dente, va bene? (Passi che si allontanano. Colpo di porta che si chiude. Marie chiamando) Helène! He lène! Dove ti sei cacciata? (Pausa. Marie con un urlo quasi bestiale) Helène! Figlia mia! (Pausa. Con voce distaccata, opaca, stanca) EIelène, perché mi hai ab bandonata? Perché sei fuggita per sempre da me? Dove sei? Dove abiti? Vorrei incontrarti per la strada; vorrei che tu tornassi in questa casa. Helène (con vooè distaccata) —• Colpa del tuo. amore, mamma, del tuo mostruoso amore. Marie (c. s.) — Come il tuo bambino, potrò mai vederlo io? Perché me l’hai tolto? (Breve pausa) So no tre anni che non ti vedo; come sarai diventata? Sei ancora bella? (Lunga pausa). Lo Studente — Signora. (Pausa) Signora! Marie (come destandosi) — Eh?! Lo Studente — E’ rimasta incantata avanti alla fotografia di sua figlia... Le stavo dicendo che va bene, prendo questa stanzetta, mi piace. Per ot tanta corone. Marie (riprendendosi) — Ah, sì. Ottanta corone. La camera di mia figlia. Sono contenta. (Con la stes sa superficiale logorrea del principio) Ah, dottore, mia figlia è una grande signora. E’ felice con suo ma rito, sa. Non ho mai visto una coppia meglio assor tita. A me basta che Helène sia felice, non ho mai voluto altro. (Breve pausa). Per ottanta corone, fi gliolo, non poteva trovare di meglio, lo confessi! Guardi che bella stanzetta, com’è pulita; le piac ciono le tendine? Le ho fatte io, con le mie mani, per la mia figliola. Ecco, lei si consideri il padrone in casa mia: è il benvenuto. Io sono una mamma per tutti, non una padrona. I miei ragazzi si sono trovati sempre bene qui, esattamente come in una famiglia. F I N E -k Tutti i diritti sono riservati La sala del Palazzo di Borgogna, I G Edda Albertini c Sergio FantonL Andrea Volo. Alberto Lupo, Paolo Carlini, Gino Cervi. 0; quadro stupendo per fastosità, eleganza, insieme, movimento. L’accampamento all’assedio di Arras: nella scenografia di questo quadro, Lila De Nobili ha ottenuto i più fervidi consensi del pubblico. Gli at tori (dall’alto in basso): Edda Albertini e Sergio Fantoni; Edda Alber tini, Gino Cervi e Sergio Fantoni; Edda Albertini, Giuseppe Pagliarini, Gino Cervi e Tino Buazzelli. tr-jsr ■ M ILA N O Teatrangolo. Compagnia del Teatro, 15 dicembre 1953, com media in tre atti di Vitaliano Brancati: «La governante». ■ A Milano ci sono an cora gli affiliati alla « Gio vane Italia » : i « carbona ri » anzi. Si congiura per il teatro e di teatro c’è una Vendita. Tempi da Quarantotto, ci siamo ca piti benissimo. Rasentano i muri, i clan destini, in queste sere di nebbia, attenti a non im battersi in nessuno che li riconosca; si avvicinano ad una porticina, battono, trepidi, tre colpi. Di den tro una voce dice: «Tea tro? ». « Sì teatro » rispon dono i congiurati. E’ la parola d’ordine. Solo così si può entrare, ed una volta entrati, una sera che noi sappiamo, il velario si schiuse su La governan te, commedia in tre atti di Vitaliano Brancati, proi bita dalla censura gover nativa. (Noi, non erava mo dei presenti, si sappia; ci dice questo l’amico di un parente di un parente, che alla fine, si sa, nep pure lui, forse c’era). Nell’anno 1953, e sotto i segni della Repubblica italiana, Vitaliano Bran cati, uno degli scrittori nostri di maggior pregio, se scrive una commedia deve rappresentarla alla macchia, e questo perché la censura non l’ha bol lata del suo timbro che imprime col grasso di molte servitù. (A dire questo non siamo noi. Rife riamo. Parlava così un nostro conoscente con gli occhiali, ma forse non era lui). In tempi nei quali si invoca l’apporto al teatro di letterati e si dice che per rompere le fissità della propria decadenza, la scena di prosa aspetta il so praggiungere di talenti esercitati in altre arti, ecco, che una commedia di Vitaliano Brancati si vede sbarrato il passo. E per poter trovare quattro tavole di palcoscenico che la facciano stare in piedi, deve rivolgersi ai Carbonari del teatro, deve battere alla porta del « Teatrangolo» di Francesco Prandi, che è una stanza (da pranzo) con una nostalgia di pal coscenico e poche seggiole disposte per la congiura. Fuori il teatro dilaga, avvampa, nelle pubbliche sale. Abbiamo commedioline inglesi, francesi, americane anche. Rappresentiamo tutti gli autori morti. Il no stro teatro è diventato un lapidario. E appena un uomo vivo si affaccia con un rotolo di commedia, in testa la ghigliottina della censura! Era un nar ratore italiano i cui romanzi resteranno; un autore vivente! Che ne dice l’onorevole Ariosto che tanti discorsi fa nei convegni e negli atri dei teatri? Ha parlato in difesa di quest’autore, alla Camera? Non crediamo, non sappiamo... Più che la medaglietta di un parlamentare in fregola di tinnii demagogici, serve al teatro la fede di chi ha rappresentato La governante, la grata attenzione di chi ha assistito. Teatro Odeon. Compagnia Renzo Ricci ed Èva Magni, 2 di cembre 1953, commedia in tre atti di John Van Druten: « C'era una volta una piccola strega ». ■ La commedia incomincia con Èva Magni che vellica un gatto nero. Non è già un semplice gatto casalingo e la mano che lo fruga non ne vuole solo scoprire le pulci. Si tratta di una strega, la donna; e l’animale serve per gli esorcismi. E tutto questo avviene ai nostri giorni, in ragionevoli paesi. E nemmeno la strega è femmina scarmigliata che passeggi su scope; è invece una avvenente fanciulla che può confondersi, nell’aspetto, con altre persone che noi incontriamo. Guardiamoci dunque attorno e vigiliamo! La stregoneria, quell’essere promiscuo, la esercita per discendenza e se ne serve come van taggioso diletto. Nel suo appartamento, a comando, gli oggetti si animano, strane danze sono avviate, stralunamenti e vampe si vedono: è il momento degli spiriti fattucchieri. Ha adocchiato, la giovane fanciulla dalle polverine, un uomo, ed ecco che mediante quell’Ariel meschinello che è il gatto, lo trae in casa. Avrebbe arti proprie da usare, l’in conscia si affida invece alle magiche convenzioni. Pensava solo di dilettarsi, finisce davvero col conce pire sensi d’amore, e quando, per varie vicende, vanno a raccontare al sedotto la vera natura di lei, insorge e si difende. Fortuna però che quello non crede. Tutto s’aggiusta, alla fine si sposano e, pen siamo, avranno figli non dediti alla stregoneria. Peccato! Peccato sì! Perché la proposta di un per sonaggio di questa natura, fatta alle soglie della commedia, poteva offrire appigli alla fantasia. C’è venuto anche da pensare che l’autore tentasse una trascrizione in chiave moderna delle versiere e ne desse giustificazione. Sarebbe stato davvero bello. L’idea e la sortita non erano forse tentanti? Niente di niente è stato fatto. Chi ha scritto la commedia si è fermato al giochetto, e poiché bisognava, in un qualche modo andare avanti, ha impiegato dia loghi alquanto banali e una tecnica elementare. S’avverte che, ogni poco, deve chiedere rinforzi al luogo comune. Almeno, questo appare dalla edi zione italiana, e non conosciamo l’originale; ma sappiamo però che la commedia ha già fatto quello che si considera il giro del mondo teatrale da New York a Londra. Si tratta, nientemeno, della celebre Bell, hook and candle (Campana, libro e candela) che fu recitata la prima volta al Barrymore Theatre di New York, il 14 novembre 1950, interpreti Lili Palmer e Rex Harrison. Perché Renzo Ricci ha cambiato il titolo celebre in tutto il mondo, con uno così banale, ad esclu sivo servizio e consumo dell’edizione italiana? Può darsi perché ha creduto, o gli hanno fatto credere che Campana, libro e candela non sia un titolo da richiamo, mentre era proprio quello il solo richiamo ed interesse per l’opera. Bravissimi Renzo Ricci ed Èva Magni; almeno quando recitano si vede che non li consiglia nes suno. Bravissimo ed invidiato il gatto. Al Teatro Nuovo di Milano la «Spettacoli Errepi» (Compa gnia di prosa diretta da Gino Cervi) ha rappresentato, m di cembre 1953, la commedia eroica in cinque atti di Edmond Rostand: « Cirano di Bergerac », versione italiana di Mario Giobbe. 3 In Italia il Cirano di Bergerac ha una sua propria e ben singolare vicenda: è l’opera teatrale più co nosciuta in volume. E’ stata ristampata infinite volte e letta a non credere. Anni fa chi scrive giunse in un celato paese del Mugello. Intorno ad un tavolo, raccolta, una famiglia e a capo un vecchio a leggere, in bella parlata toscana, gli emistichi di Rostand, nella insuperabile traduzione di Mario Giobbe. Par lammo poi con il vecchio: era un torneante, cioè improvvisava a veglia. Nella casa altri due libri rinvenimmo: La Nencia da Barberino e La Geru salemme conquistata e non so perché poi « conqui stata». Così diffusa è la conoscenza libresca della storia del sire di Bergerac, che essa appare già di per sé esaudiente. Non si avanza quasi più il desiderio di vederla portata in spettacolo, o se desiderio sorge, si confonde con il vagheggiamento, con la favola quasi che si teme far veritiera. In tal maniera, forse, è venuta ad affermarsi la fama della difficile teatralità del Girano, o meglio si è ritenuto che, quelle emozioni che la lettura cagio nava, la rappresentazione non giungesse a riprodurle. Bell’opera teatrale sì, ma per quel teatro che ognuno giunge a fingere per sé. Romantica invenzione, quasi, per un’opera che del romanticismo ha il più corrusco afflato. Eppure in Italia primo e magnanimo interprete ne fu il Maggi, quindi si cimentarono Zacconi, Tu- miati, De Sanctis e (alla moschettiera, che è il suo bel modo di vivere e di far arte) Annibaie Ninchi. C’è però una generazione che non ha mai visto a teatro il Cirano-, e quelle altre che l’hanno pre ceduta se lo sono visto, tenendosi caro il libro. Dobbiamo scorgere allora nel grande impegno spet tacolare che si è voluto dispiegare intorno a questa rinnovata edizione, come la proposta per una rin novata popolarità teatrale di questo melodramma in versi, che si adegui a quella libresca? E nell’invito al regista francese Rouloux ad inscenarlo, e nelle sollecitazioni avanzate presso la critica parigina per ché presenzi, la volontà di rendere definitivo il tra pianto e la constatazione che, presso di noi, lo spa valdo e dolente personaggio hanno una loro vita ed una loro storia? Noi davvero questo Guascone l’abbiamo nutrito del nostro partecipe palpito, tanto che presso di noi quasi s’è accasato. E di nostre parole abbiamo interlineato il libro che lo narra. La questione non è agevole, però è tempo di porla, dato che questa rappresentazione è nata sotto il segno della riscoperta. La traduzione italiana del Cirano ad opera di Mario Giobbe è ben più che una traduzione: non si è trattato solo di far diven tare martelliani degli alessandrini, ma attraverso la nostra lingua, l’opera ha ricevuto un tonificante ri- creamento. Occorrerebbe una finissima comparazione filologica per giungere a più pertinenti conclusioni; né serve fare un discorso diffuso sul modo di tradurre. Certo è che, quel tanto di esornativo che fregia il testo di Rostand, diviene nella trasposizione, più allineata e precisa espressione. Nel ricalco, in di versa lingua, l’opera ha trovato radici e propaggini. Il modo liricheggiante di porgere si fa modo di con crete fragranze verbali, di invenzioni di lessico. E il prezioso diviene popolano. Si potrebbe inferire che l’opera di un tardo, parnassiano romanticismo, è stata in nostra lingua, ravvivata dagli apporti di un romanticismo più giovane e fidente. Parliamo dunque di questo Cirano di Bergerac, opera originale di Edmondo Rostand, trascritta da Mario Giobbe per il pubblico italiano, il quale l’ha fatta sua e nuovamente rappresentata in questi giorni, per riconsegnarla al teatro. Così com’è, il personaggio si propone per un moto di commossa simpatia. Noi conosciamo come e di che cosa è fatto. Possiamo seguire le tracce del mosaico e della stratificazione che compongano la sua figura e storia. La presun zione di Rostand sarebbe stata di attingere a De Musset, senza tralasciare Victor Hugo. Credeva di aver presentato nei filtri, le linfe di quel teatro, durante il tempo di imperante «Teatro Libero». E nell’opera si legge questo vizio di interpolazioni, l’affabulazione decadente di un’epoca e di figure che decadenti non sono. Il personaggio però, ed insi stiamo su di lui, varca con il suo passo guascone, il suo piglio, il suo naso da metafore, i limiti del l’affresco nel quale è collocato e ci viene incontro per un sentimentale invito. Fa lo smargiasso con noi moderni, in questo modo: bravo come è nel maneg giare la spada, pensa di farla franca, anche nell’in- crociare più penetranti ed invisibili armi muovendo contro il dubbio che ci anima, e tanti miti ha smon tato e tanti eroi ha disarcionato. In una età nella quale si stenta ad affrontare l’av versario, anche i deformi hanno in amore la loro sorte, le lettere neppure si scrivono in proprio, e sotto i balconi non ci si ferma più, il cipiglioso Ci rano, viene a rammentarci che le cose che noi ci vietiamo, sono invece la filagrana dei sentimenti, appartengono all’araldica delle non tramontate no biltà. E in questo modo ci impone le sue commozioni. E i toccati siamo noi. Comprendiamo allora perché, in un remoto paese del Mugello ed in tanti altri luoghi, su cadenze di versi, perdurino i fantasmi della Cavalleria, Cirano avanti. E in Italia si porga ancora orecchio al melodramma romantico, anche quando non ha musica, ma rime che alla musica siano attrazione, avvicinamento. L’edizione del Cirano di Bergerac che ci ha pre parato Remigio Paone ricorda, non siamo stati noi a dirlo, uno spettacolo della « Scala». Come si vede, si è andati incontro alle più segrete aspettazioni, al più nobile senso del teatro. La regìa di Rouloux ha articolato uno spettacolo che ha concentrato le di spersioni del testo ed ha collocato lo stuolo dei per sonaggi in ben disposte composizioni. Il gusto di uno sfarzo che ricostruisca ambienti e costumi, è stato continuamente dominato tenendo presenti le ragioni interne dell’opera. Veramente il senso del l’archeologia è stato vinto, nelle scene più rischiose, e si è giunti ad una storicistica riproduzione della vita d’allora. In più c’era la benevola malizia del l’uomo moderno, quando sa di toccare l’armonia. La recitazione è stata indotta su di una norma di disincanto che ha reso più acute le punte liriche che più ne avremmo volute. Gino Cervi nel perso naggio ci si è trovato a suo agio: lo aveva maturato da anni, e lo ha portato alla ribalta con fervida sicurezza. Più che accensioni romantiche, la pie nezza della sua voce ha espresso il sicuro e dolente piglio, la baldanza del sacrificato. Nella scena finale della morte, la verità del personaggio lo ha investito e sono stati toni di aperto dolore, di commossa no stalgia. Fresca, viva, tenera Edda Albertini; trepido amante Sergio Fantoni, lirico cuoco Tino Buazzelli, notevolmente a posto Paolo Carlini, e bravi, bravi tutti, che gli attori in scena si contavano a diecine. Ma man mano si facevano notare, così Lia Angeleri e Alberto Lupo, Anty Ramazzini e Giuseppe Pa- gliarini. Una invenzione, un clamore, le scene ed i costumi di Lila de Nobili. A non finire gli applausi. Vittorio Veccia Serata e spettacolo da ricordare. D I R A I SP ETTAC O LO D E L L ’ A I O H Trascrivo senza pretesa quanto ho scrìtto nel mio diario alla data dell’11 dicembre 1953; gli appunti sono necessariamente abbondanti per l’eccezionaiità dell’avvenimento, non solo, ma anche per l’utilità che me ne verrà quando scriverò, come mi sono proposto, un libro su Remigio Paone, l’uomo fatto teatro. Tutto ed interamente teatro, Remigio è di ventato — nel tempo e per l’esattezza della cronaca di domani — da venticinque anni. Molti credono e qualcuno ha anche scrìtto, che la data della prima rappresentazione del Cirano al Teatro Nuovo di Milano abbia coinciso col suo primo accostamento professionale al teatro, ma mancano invece ancora sei mesi, poiché i venticinque anni di teatro, Paone li compirà il 18 giugno 1954. Il Cirano — l’un dici novembre — è stato, diremo così, scherzosa mente, l’apertura delle «feste dell’incoronazione»-, qtieste termineranno il 18 giugno del prossimo anno, e sono in gestazione alcuni avvenimenti di carattere teatrale, naturalmente, i cui proventi già desti nati alla Casa di riposo degli Artisti Drammatici, lasciano sperare un bell’irrobustimento materiale per quella Istituzione, della quale Paone è il bene fattore numero uno. Anche questo è importante: costituisce la saldatura degli anelli della catena della sua fortuna. La « generale», a soli inviti, è stata data la sera avanti la prima rappresentazione; telefonandomi a Torino, il mattino dopo, Remigio era molto lieto; diceva di aver potuto misurare il polso dello spet tacolo, ritenendo di poter considerare la certezza di averlo centrato in pieno. 1 maggiori critici francesi, presenti, avevano dichiarato subito il loro entu siasmo; ed infatti lo hanno ribadito nei rispettivi giornali, come abbiamo visto. Erano stati invitati tutti gli interpreti del Cirano prima di Cervi (.Andrea Maggi, Zacconi e Serafino Renzi, sono scomparsi da tempo; Ruggero Ruggeri, perduto re centemente, lo aveva interpretato al microfono della Radio Italiana il primo dell’anno 1952) da Gual tiero Tumiati a Ciro Galvani, da Annibaie Ninchi ad Achille Majeroni, a De Sanctis e Silvani. Era stata invitata la signora Maggi, proprietaria della versione italiana dell’opera di Rostand, che l’attore comperò in proprio per l’Italia, e la signora Bracco, poiché a Roberto Bracco è legata la versione mira bile del Cirano fatta dal suo fedele Mario Giobbe. Nel novembre 1898, Bracco scrisse una lettera a Edmond Rostand, che fu collocata come prefazione alla pubblicazione della versione italiana dell’opera. Critici e letterati, uomini politici ed artisti, profes sionisti del teatro e simpatizzanti, fatti venire anche da città lontane. La generale — si è detto — aveva dato a Paone la certezza del trionfo, ma la prima rappresentazione ha poi assunto un così alto tono entusiastico, che gli aggettivi della crìtica sono di ventati superlativi, anche per coloro che di questi conoscono bene significato e valore. Trascriverò alla fine di questi appunti qualche giudizio, e dirò anche della nota stonata del mio caro Nando Pal mieri e degli isterismi in sede critica del tutto fuori fase dell’amico Giovaninetti. Ritorniamo al venerdì poche ore avanti la rappresentazione, nel tardo po meriggio, al ricevimento all’Hotel Milano in onore dei critici italiani e stranieri: una riunione cordial mente augurale; un centinaio di persone che hanno incominciato a respirare quell’aria tutta particolare che precede un avvenimento teatrale quanto questo lo è davvero non nella forma ma nella sostanza, nel tono e nella certezza di riuscita. Al Teatro Nuovo che si sapeva stipato in ogni ordine di posti da al cune settimane avanti, ho ritrovato la bella sala delle grandi occasioni, ovattata di calore, luce e fiori. Remigio faceva la spola tra il palcoscenico e il suo palco privato che sono intercomunicanti; un andi rivieni ed un comunicare continuo con i suoi colla boratori. Telefono naturalmente mai muto e tele grammi che arrivavano a diecine per volta. Intanto Remigio preparava la distribuzione agli artefici dello spettacolo, a coloro che aveva personalmente invitati e ad alcuni suoi intimi, un dono raffinato : piccolo gioiello raffigurante la testa di Cirano, eseguito in oro da « Veneziani » in via Manzoni, cioè da Renato Perugia, con gusto squisito. Sid retro, incise le firme di Gino Cervi e Remigio Paone, il nome del teatro e la data della rappresentazione. Pubblico da prima d’apertura della « Scala », splendidissimo. Ini zio dello spettacolo. Da quel momento e per quattro ore, una girandola di meraviglie ed un crescendo tale di consensi che gli applausi divennero presto ovazioni per poi finire — sull’ultimo velario ■—• col pubblico in piedi restio ad abbandonare la sala per rinnovare il proprio compiacimento, creando così una congiuntura tra palcoscenico e platea (tutti gli attori schierati alla ribalta unitamente al regista ed alla scenografo.) da non potersi risolvere che in una forte e non nascosta commozione. Finché i compagni di Gino Cervi si ritirarono per lasciarlo solo in così irrefrenabile entusiasmo, tanto che il caro Gino do vette ringraziare a voce, indicando all’applauso del pubblico i presenti più interessati, da Alfredo De Sanctis a Majeroni, alle signore Ruggeri, Maggi e Bracco. Una bella rivincita dell’arte drammatica, perchè se è vero che non si sarebbe potuto comporre uno spet tacolo più bello e perfetto, mercé i mezzi ma soprat tutto la volontà, l’entusiasmo, la passione e la te nacia di Remigio Paone, la bravura di Raymond Rouleau e dì Fila De Nobili, la stupenda interpre tazione di Cervi e la bravura degli altri interpreti, qualche cosa di diverso era pur avvenuto nelle po che ore della rappresentazione per creare quell’en tusiasmo e giungere a quella commozione. Era av venuto qualche cosa che per varie e diverse intese, per molti e vari elementi, per nuovi ed eccezionali qualità, questa edizione Errepi del Cirano ha bat tuto in questa Stagione teatrale, non solo ogni altro spettacolo di prosa, ma anche quelli di rivista, im ponendosi come quello che si dice lo « spettacolo dell’anno ». Poveri come siamo in palcoscenico, in fatto di prosa, un avvenimento simile ha la sua' im portanza. Dalle due di notte alle sei del mattino Italia e Re migio Paone hanno trattenuto a cena un centinaio di persone in un elegante ritrovo. C’erano tutti co loro che allo spettacolo, sulla scena e fuori, hanno dato il meglio di loro. Buona fortuna al « Cirano - Errepi». Rid. H Eligio Possenti ha scritto nel « Corriere », incomin ciando il suo articolo: « Un grazioso successo e un ma gnifico spettacolo. L’interpretazione di Gino Cervi, la regia di Rouleau, i costumi e le scene di Lila de No bili, i quadri prospettici di fine gusto pittorico e tea trale, il gioco delle luci, gli effetti in trasparenza, tra un quadro e l’altro, dal regista ideati e offerenti allo sguardo figure e atteggiamenti che ricordano disegni di Callot, hanno concorso a fare di questa nuova edi zione della celebre commedia in cinque atti di Ed mondo Rostand (nella melodiosa nota traduzione di Mario Giobbe) una rappresentazione di alta classe ». 1 Orio Vergani in «Corriere d’informazioni»: «Ray mond Rouleau si è messo in gara di effetti con il vec chio Edmondo: gli ha regalato antiche musiche in terne, litanie religiose, effetti di altoparlanti e soprat tutto due scene di commento quasi cinematografiche con sagome nere su schermi fosforescenti che hanno sinfonizzato visivamente alcuni temi del racconto e che sono state molto applaudite. I personaggi, che sono già numerosissimi, sono diventati una folla: la bat taglia di Arras ha avuto sparatorie convulse: e morti e feriti da non contarli. La tenacia e l’applicazione delle prove han fatto filare la grossa macchina dello spettacolo alla perfezione. Tra le scene della De No bili ci ha convinto di più quella del campo di bat taglia che sembrava riprendere nel fondo certi motivi del famoso quadro « Le lance » di Velasquez. Il gusto della pittrice si è affermato soprattutto nei sipari: il testo, durante l’azione, non consente di uscire da un verismo storico un po’ convenzionale. Gino Cervi, di citore perfetto, ha moderato, nell’inizio, lo squillo aggressivo e romantico delle interpretazioni classiche: ha compiuto i suoi ” crescendo ” con meditata paca tezza: il traguardo cui voleva giungere era, e si trat tava di una giusta comprensione, quello della essenza crepuscolare del personaggio. Applaudito varie volte a scena aperta è stato fatto segno a lunghissime ovazioni dopo l’ultimo atto ». 9 Carlo Terron ha scritto in « Il Corriere Lombardo » : « La serata è trascorsa fra gli osanna e si è conclusa in un’apoteosi. Da un certo punto in poi non c’è stata, si può dire, scena, duetto, tirata, apertura di si pario, coreografia, effetto scenico, che non abbia ac cesa la miccia di una salve di applausi. Questo Ci rano è stato di un fasto da fare invidia a Wanda Osiris e di un gusto da far concorrenza alla ” Scala credo che a memoria d’uomo raramente: si sia assi stito su un palcoscenico di prosa a qualche cosa di simile. Sono uscito dal teatro un quarto d’ora dopo la fine dello spettacolo e il pubblico non aveva ancora finito di festeggiare i singoli artefici della serata ». 9 Eugenio Ferdinando Palmieri in « La Notte » ha in cominciato il suo articolo con questo avvertimento: « Ed eccoci obbligati a parlar chiaro sul vecchio Ci rano di Bergerac. I non pochi milioni spesi da Re migio Paone per avvalorare con una messa in scena fastosissima una commedia sprovveduta d’arte ci co stringono a esprimere un giudizio che ben volentieri nasconderemmo. Siamo giusti, a Rostand, che non ha niente da dire, quel niente riesce benissimo. Ma per quale motivo il nostro fervido Paone ha voluto ripro porre il Cirano in una edizione smagliante? Per quale motivo ha voluto puntare la carta di un grosso spettacolo proprio sulla povertà del testo rostandia- no? ». Dopo di che il nostro caro amico Nando do manda se si tratta di una polemica o se davvero Paone crede alla poesia o pensa alla perfetta inutilità del l’arte. Poi dice che lo spettacolo può sbalordire, ma placato lo stupore, trova mille difetti anche se il suc cesso è stato magnifico. Non ha gradito nemmeno che Lucio Ridenti abbia riportato nel programma le pa role scritte da Renard nel suo Diario, dopo la prima del Cirano, ed ha citato quelle che Renard stesso — rimangiandosi tutti gli elogi — ha scritto qualche tempo dopo. Esattamente come ha fatto Nando che di chiara nel suo articolo « ebbi per il Cirano il più grande entusiasmo della mia candida gioventù ». 0 Silvio Giovaninetti in una convulsa crisi di iste rismo che egli scambia per critica, ha scritto sul « Po polo » tutto quanto è possibile scrivere in ragione in versa e demolitrice dell’avvenimento. E conclude: « Tanto peggio per gli innocenti che gli credono (a Remigio Paone) e tanto peggio per gli altri che fingono di credergli e che si adattano persino a tener per buone certe sue dichiarazioni alla stampa sulla cul tura europea ». E tra le molte e moltissime altre ne gazioni, egli dichiara di non sentirsela di avallare la ciranata. Al caro Silvio Giovaninetti, ci sia permesso di dire che avendola avallata in cento e mille e mille, non è necessario lo faccia anche lui. Questo, diciamo noi, che equilibrati e generosi come siamo, rispettosi sempre del lavoro altrui, ci siamo tanto compiaciuti del successo a Zurigo della nuova commedia di Giovaninetti, che gli abbiamo immedia tamente fatto sì largo posto in questo fascicolo, da dimostrare che una vittoria teatrale in casa e fuori ci conforta e ci aiuta a sperare nella nostra scena di prosa. edizioni, perché praticamente, per noi contempo ranei, la conoscenza diretta e approfondita è legata all’edizione nuova di queste opere, e al modo con cui è stata compiuta; le ricerche nelle nostre biblio teche eh queste materie non sempre danno esito positivo, e comunque non consentono un vasto son daggio; la conoscenza della nostra civiltà teatrale è quindi legata allo studio e alla ripubblicazione : stu diosi come Torraca e D’Ancona, Senesi e Bertana, De Bartholomaeis e Anton Giulio Bragaglia, hanno ben più meritato di tanti critici dalla loquela prontis sima, dai forti proventi mensili, ma incapaci di supe rare le meschine — materialmente e spiritualmente — dimensioni, dell’articolo). Ho imparato ad amare questo nostro antico teatro, così come la nostra an tica civiltà. In quest’ultimo periodo un insieme di circostanze mi ha spinto a questo, e spero che esse possano anche influire su chi ama sincèramente il nostro teatro e il nostro paese, naturalmente in quanto quest’amore sia conoscenza, dantescamente, e si traduca in un lavoro di pensiero. La trionfale rappresentazione de ha Mandragola a Roma, farà riflettere molti. La fedelissima versione italiana dei Dialoghi di Ruzzante, versione per la prima volta integrale e stilisticamente impegnata, come la rilettura del Lasca offerta dal bel volume degli Scrittori italiani, offrono la possibilità di ri costituire ai nostri occhi il volto della nostra po polazione, il suo modo di vivere, il suo costume in timo nel corso spesso turbinoso delle vicissitudini storiche. Mosso da tutto questo, trovandomi a Parma per un convegno cinematografico, ho voluto fare di più. Ho trascorso una mattina a Sabbioneta, cit tadina rinascimentale tra Mantova e Parma, a pochi chilometri dal Po, dove si conserva il primo edificio teatrale, costruito appositamente per questo scopo, da Vespasiano Gonzaga. Mi aspettava un’atmosfera nebbiosa e umida, la campagna grassa e fitta di col tivazioni, una serie di filari di pioppi nudi e spet trali contro il cielo che arrivava quasi a coprire la terra. Eppure, appena si entra nell’ordinata e da allora immutata cittadina, si ha l’imp-ressione che fra tutto questo limo gli uomini abbiano potuto farsi un confortevole nido, e senti il vapore delle pietanze, il frizzare del lambrusco, la calda rozzezza del ta barro, i visi accesi e sorridenti, con lineamenti da mascheroni bonari. Vespasiano Gonzaga riposa ormai da quasi quattro secoli, e i contadini di Sabbioneta non sono più obbligati ad inchinarsi dinanzi alla sua statua, come quando era in vita. Ma tutti lo ricordano ancora volentieri. La cittadina è, soltanto, eternamente sua. Condottiero assai ricercato, di illustre famiglia e sposato con una d’Aragona, il Nostro, appartenendo al ramo cadetto, si era dovuto accontentare di Sab- L A M A N D R A G O L A Al Teatro delle Arti di Roma, il 19 novembre 1953, la Com pagnia formata dalla « Cooperativa degli Spettatori » ha rap presentato la commedia di Nicolò Machiavelli: « La Man dragola ». ■ Furono anni straordinari per il teatro italiano, quelli dalla fine del secolo XV alla metà del secolo XVI: nel corso di una vita umana, nasce per il nostro paese l’attore professionista, nasce la com media in prosa, la commedia in versi, la tragedia, nasce il teatro come locale di riunione, impresa eco-- nomica ed edificio, si ha una grande fioritura che va dal teatro degli attori — o per meglio dire che gli autori stessi interpretano come attori — al teatro degli scrittori, che attraverso l’amore per Plauto e Terenzio, scoprono un nuovo mezzo d’espressione e in un breve volgere di anni ne approfondiscono e ne provano tutte le possibilità. Da una parte Alione e le farse cavaiole, i maridazi e Cavassieo, le farse fiorentine e i Rozzi, Ruzzante e Calmo e Giancarli; dall’altra, dopo le prime rappresentazioni in volgare e in latino di Plauto e Terenzio, Ariosto e Bibiena, Machiavelli e l’Aretino, e via via, un seguito di opere fino a Giordano Bruno. Tanta ricchezza il nostro teatro non la ritroverà mai più: e non è inutile constatare che seguirono ad essa le grandi epoche del teatro spagnuolo (da De Rojas a Calderoni e del teatro elisabettiano : fu essa, come esponente del nostro mondo rinascimentale che diede loro impulso. Il lettore guardi attentamente i quattro volumi delle Commedie giocose del ’500, raccolte da Anton Giulio Bragaglia, i Dialoghi del Ruzzante curati dal Cibotto per Einaudi, le Com medie del Lasca edite recentemente da Laterza: avrà un quadro ampio e avvincente, pari a quello che gli offrono le raccolte di teatro elisabettiano cu rate recentemente in Francia e in Italia (parlo di bioneta e di pochi altri feudi dattorno. Ma non si era perciò rassegnato, e decretò di fare di Sabbioneta la sua città ideale, una città del sole. La rase al suolo, e la ricostruì di sana pianta, applicando saggi criteri urbanistici e politici. Belle strade ampie e dritte, angoli soltanto retti, chiese, università, congregazioni, accademia, e, infine, il teatro. Fino a pochi mesi fa il teatro di Sabbioneta, che Gordon Craig conobbe ed amò e di cui parlò a lungo Aldous Huxley in un suo libro di viaggi, era im biancato come un sepolcro e ridotto a cinema. For tunatamente ci si è decisi ora a scoprire la pittura sotto la calce una dolce e amabile pittura paesag gistica — e a fugare i fantasmi del cinema. L’ho potuto vedere tra i calcinacci, gli strumenti di la voro, le impalcature, in un’atmosfera laboriosa che sembrava quasi farlo risuscitare. La guardia comu nale di Sabbioneta ne è orgoglioso e parla già di rappresentazioni classiche. Io vi ho trovato pace e silenzio, e la gioia dell astrazione. Vi ho riascoltato la mia Mandragola. Il livido colore della giornata, i selciati erbosi della cittadina con il loro sfumato colore di antica pietra e antichi arbusti, rendevano un isola di abbandoni, e di lieve divertimento, quel palcoscenico nudo dove lo Scamozzi aveva impian tato la sua scena fissa e quell’armoniosa platea di segnata dal colonnato e dalle statue in danzante emiciclo. Forse tra queste mura ebbe a vivere La Mandragola per il diletto del Gonzaga; il trucco era facile; passare dal personaggio che si è sempre nella vita a quello che si può essere sul palcoscenico, senza nessuna difficolta. E i suoi scherzi troppo si mili alla vita, per non essere naturali e convincenti. Sul conto della Mandragola si sono dette le cose più singolari ed arbitrarie, probabilmente per non aver tenuto presente Boccaccio e Plauto che ne sono all origine. E’ vero che i tempi erano calami tosi, e le tempeste si susseguivano spargendo dolori e miserie. Ma qui si è formata come una pausa, come un attesa felice. Non c’è posto che per il gioco, per l’allegro umore, per il gusto del comico e della parodia. Riascoltandola qui a Roma, mi ha dato una grande serenità e ho pensato al leggiadro fluire quasi contemporaneo dell’ottava ariostesca, alla pit tura minore ma tutta viva e salace del costume ri nascimentale, che si ritrova nei palazzi di Sabbio neta, di Mantova, di Ferrara... Un'attitudine im parziale e distaccata dinanzi alla vita, che permetteva di giudicarla e raffigurarla concretamente, nelle sue reali movenze. La sua costruzione è ancora oggi senza una crepa. Tutto vi si svolge secondo un perfetto gioco delle parti, una rispondenza dialogica che corre diretta verso il suo fine, per una partita decisiva, in cui è prestabilito, ma segreto, il vincitore. E’ evidente in Machiavelli l'agio immediato di un’immagina zione teatrale, la conoscenza di quei quid psicologici che portano lo spettatore all’euforia. Come è felice, quasi inavvertibile, la sintesi, tra la tradizione clas sica, plautina, l’ispirazione creativa di personaggi dalla novellistica del Decamerone, e il sorgere della rappresentazione profana e popolare nelle farse e nei mogliazzi. Egli si è trovato al punto d’incontro di queste correnti, e vi ha unito il sue senso mordace dell’osservazione quotidiana. E come nel Principe fonda la scienza politica con il vedere la funzione dello stato nella storia moderna, ed i suoi necessari atteggiamenti, così nella Mandragola abbiamo la esigenza di una morale nuova, laica, che non può seguire il conformismo religioso feudale. E’ la morale della sincerità, con se stessi e con i propri desideri, la vittoria della vita, la gioia di Madonna Lucrezia che esce come imbambolata di casa, per aver final mente conosciuto l’amore, vita nella vita, per poter finalmente sentire il suo sangue fluire nel desiderio della specie, verso ciò che la natura le ha posto come scopo, ed uno scopo talmente forte che non c’è dolcezza maggiore che possa uguagliarlo. Abbiamo quindi una nuova scienza della natura umana, che va di pari passo a quella biologica studiata da Leo nardo. Come nel Principe, Machiavelli non ha avuto timore e pudore nel tratteggiare le responsabilità che deve assumersi il capo dello stato, perché lo stato non muoia, così nella Mandragola, non usa mezzi termini né miti, per mettere in solare apertura ciò che muove la natura umana, il suo istinto di vita e di riprodurre la vita, come basilari piattaforme di partenza e di sviluppo, terreno e spazio di ogni fio ritura. E’ solo su questo terreno che si possono rag giungere schiette determinazioni etiche, e si può stabilire il rapporto con il prossimo nella comunità, nell’evoluzione storica. In Ruzzante certo, il ritratto è ben diverso. Il comico di Machiavelli, pur senza limiti nell’espressione, ha sempre misura ed eleganza, sta sotto il segno di un ben noto relativismo storico; il suo riferimento alla realtà, è senza stridore. In Ruzzante invece, abbiamo una rivolta interiore, il grido della sventura e del l’abiezione a cui conducono le servitù della storia. Ben pochi sono naturalmente in grado dii intenderlo nell’antico dialetto patavino. Le versioni che ce ne erano state offerte fino a poco fa apparivano edul corate, avevano smussato tutta la violenza che da esso risultava e che costituisce il succo del suo appena dissimulato mondo tragico. Finalmente ab biamo per merito di G. A. Cibotto, una versione letterale, che lo interpreta nella sua grandezza sto rica, che mostra fervidamente come attraverso di lui parlino le plebi, in strenua e dolorosa lotta per la vita, contro la guerra e le carestie che su di esse si abbattevano. Ben di rado la letteratura italiana ha avuto accenti così sinceri e legati al senso pro fondo della storia: è la letteratura degli attori, che da Ruzzante e Viviani, va ancora tutta studiata e rivissuta, e che traccia un’autentica, seppur limi tata, storia intima del nostro popolo, perchè di rado ci si mette a diretto contatto con la realtà della vita e del pubblico come attraverso la professione del l’attore (ed oggi, anche quella del regista cinemato grafico, offre analoghe possibilità). Il villano di Ruz zante trova una corripondenza nello scaltrito Ligurio della Mandragola, un popolano trasformatosi in cinico intrigante per istinto di conservazione, per poter sopravvivere ai mali della miseria e delle fa zioni. Ruzzante è il portavoce delle condizioni sto riche, e di tutto un pullulare che recentemente è stato chiamato subalterno; nel Machiavelli vivono prima di ogni altra cosa i personaggi, i caratteri, la condizione umana stessa dalla giovinezza alla vec chiaia, nella violenza e nel grottesco dei desideri, accanto alla gelida ipocrisia dell’istituto sociale (che di questa condizione dovrebbe costituire la salva- guardia) rappresentata da fra’ Timoteo, e dalle sue compromettenti dichiarazioni. Quanto per taluni, purtroppo, la religione, in forza di interessi parti colari chiaramente individuabili, venga identificata con una specie di questura che esercita lo spionaggio nell’intimità dei cuori e delle famiglie, lo si può constatare a proposito delle varie e recentissime con danne che La Mandragola ha subito dai cosid detti tutori dell’ordine, in relazione a questo perso naggio. Forse che in ogni religione, la più eletta, non si annidano i farisei e i simoniaci? Si rileggano Dante, costoro (e quanti dispiaceri ne avrebbero, come appare attuale). Machiavelli non condanna certo le religioni, ma coloro che di esse traggono profitto: ed in ogni epoca questa pianta di tossico non è mai mancata. Quei religiosi che si servono della loro missione, per difendere le schiavitù della società, le ingiustizie, le oppressioni, le frodi, pos sono ben dirsi i mercanti del tempio, gli unici contro cui Cristo non poté rattenere lo sdegno e la violenza. Fra’ Timoteo e Ligurio sono i veri poli di questa raffigurazione: e mettono ben a nudo l’abiezione a cui conduce una struttura sodale senza ragione. Le altre figure, sono gli elementi del loro gioco, i ihezzi con cui sostentano la vita, e sono mosse da loro secondo gli appetiti umani, allo scopo di un pro fitto parassitario. È’ di qui che ha inizio la lunga storia del parassitismo italiano legato alla miseria materiale (destinata prima o poi a divenire morale) che per secoli si è annidata sul tronco della nazione, minandone ogni libero respiro, corrompendone gli slanci naturali e la vitalità. Le altre figure sono più di commedia, nel senso che permettono lo svolgersi dell’intrecoio, come gli elementi di un teorema portano alla sua dimostra zione. Il vecchio Nicia sciòcco e vanitoso, il giovane e ardente Callimaco, l’innocente Lucrezia, termini, come sempre, di un gioco di scacchi amoroso, che da Plauto e Boccaccio, fino a Feydeau, costituisce la fatalità della monogamia. Colpisce singolarmente, rileggendo le commedie del Lasca, vedere come questa materia e questo mondo, persa ogni speranza e ogni ribellione morale (che sono così vive in Machiavelli, sotto l’amarezza) fis sino i loro contrasti in un seguito di graziose alter native, nel gusto del linguaggio e dell’intrigo fini a se stessi. Non sono trascorsi trentanni, e tutto è divenuto di maiolica; ha un atteggiamento e un fine prestabilito: è la strada per l’Arcadia. Ma persiste ancora una vivezza naturale, il piacere pittorico della descrizione dei tipi: e un piccolo mondo pettegolo e petulante si agita tra le mura della città dove ormai la tirannia ha spento ogni visuale e ogni fa coltà di giudizio. Gli uomini di Machiavelli si sono ridotti a proporzioni minuscole, ad amabili caratteri, che seguono un filo di scherzi brillanti, e cedono facilmente ogni loro prerogativa. Non vi arde neppure più la fiamma dell’amore. E’ solo il bisogno di condurre un intrigo a fine, di intrecciare e sciogliere i casi della vita, secondo gli umori e il divertimento della commedia: sembrano quasi le pagine goldoniane più legate alle neces sità della forma teatrale e della risoluzione brillante. La libertà è ormai, per ragioni storiche, dalla parte della commedia dell’arte, e di quanto essa concedeva alle virtù e all’attualità dell’interprete. Mentre il Lasca componeva i suo lavori, a metà secolo e dopo, Vincenza Armani, la prima grande comica dell’arte, aveva già una sua compagnia in azione tra la Lom bardia e l’Emilia. Dopo quattro secoli, si stenta a credere che questa storia abbia ancora vita. E certo è sepolta, quando non entra nel vivo delle tradi zioni popolari, di un perpetuarsi di esigenze e di sensibilità, all’interno dell’inconscio collettivo. In verità, si assiste spesso con senso d’impotenza allo svolgersi dell’epoca in cui si vive: si può agire rispetto ad essa solo a sprazzi, poi mancano le forze, si accumulano gli errori. Si cerca quanto si può di far divenire quegli sprazzi, squarci di luce, schia rite non temporanee. Non sempre ci riesce agevole, e allora si ricorre alle tradizioni che sono racchiuse nel nostro intimo, per riprendere forza, quando ci si sente sperduti e isolati, quando non riusciamo a comprendere la vita che ci sta attorno, il mondo che ci accompagna e spesso ci determina, il nostro stesso mondo, da cui veniamo a sentirci separati. I conta dini di Ruzzante, ci riconducono ai contadini di oggi. Lo scherzo de La Mandragpìa che ancora oggi è sembrato peccaminoso, ci fa comprendere, purtroppo, quanto sia stato lento e debole il prò- gressq reale da Machiavelli in poi, nella strada della sincerità e della verità. Sembra quasi di essere adi biti ad una fatica di Sisifo: ma il risultato iè però che la verità, nei modi più diversi, risolleva sempre il suo capo, sia pure con parole di quattro secoli or sono, e non la si può soffocare, ritorna ad agire. Certo, sarebbero assai più vive le parole di oggi : ne manca non solo il coraggio, ma purtroppo anche la forza intellettuale. L’abitudine al servilismo, da se coli contratta in Italia, ritorna dominatrice presso certe coscienze, e già l’antàca Mandragola fa l’ef fetto di una frustata. La traduzione in spettacolo moderno di questi antichi testi, è sempre gremita di airbitrii. Ma dirò, che da un punto di vista rigoro samente critico, essi sono per i nostri classici, sempre assai minori che nella ripresentazione dei greci e di Shakespeare, ridotti sui nostri palcoscenici in modo irriconoscibile, anzitutto per gli inevitabili masche ramenti della traduzione. Il linguaggio di Machiavelli è invece ancora nostro. Lo si scopre con gusto, lo si assapora con piacere. I termini del suo pensiero ci sono perfettamente chiari ed accessibili, per quanto così in profondità si sia evoluto il costume della società: e dobbiamo riconoscerlo questo pensiero è ancora ben valido per quanto riguarda i suoi mali, che sono mali secolari. Esso vale in quanto noi non 9Ìamo capaci o non ab biamo la possibilità, o entrambe le cose assieme, di formulare il nostro attuale pensiero: vale per su scitarlo. E la sua teatralità, corre ancora sulla chia rezza di leggi perenni, ormai millenarie, ha i suoi infallibili effetti, le sue clamorose e calcolate sor prese. La rappresentazione datane al Teatro delle Arti, e diretta da Pagherò e da Lucignani, ha avuto molti meriti : principale quello della misura e della discrezione, del non sovrapporre appoggiature a quanto era già evidente e parlante. Il complesso si è mosso armoniosamente, in un’aggraziata ed esperta fusione di toni. Come mia inclinazione avrei dato maggior sapore alla comicità, e più stile al dialogo: ma il mio desiderio è forse dovuto all’abitudine degli spettacoli all’aperto, in cui tutto deve risultare in grandito. La modernità del dire, se a volte ha fatto perdere preziosi angoli delle battute, ha in compenso favorito la scioltezza del ritmo. E gli interpreti sono stati tutti eccellenti: da Sergio Tofano (Nicia) pit tore amabile e acuto del suo « carattere », con un umore tanto saporoso quanto schietto e convincente, a Federico Collino (fra’ Timoteo) che con la sua paciosa e accorta immagine, ha reso ben umano e comprensibile il personaggio, con una chiara inter pretazione, con il senso profondo della sua battuta, da Ave Ninchi, briosa e burbanzosa come Sostrata, a Franca Maresa (Lucrezia) che viene ottimamente affinando e maturando le sue doti e la sua sensi- bilità. Renzo Giovanpdetro, è stato sincero e fervido come Callimaco. Mario Scaccia ha compiuto l’er rore di rendere mefistofelico Ligurie, forse preoccu pandosi troppo di interpretarne la natura, ed equi vocando su di essa. Piacevoli in parti di fianco, Michele Riccardini e Maria Zanoli. Monica Vitti avrebbe forse potuto dire con maggiore penetrazione il suo prologo. Discutibile la scena dell’arch. Ghe- rardi, brillanti invece i costumi di Retti Castellucci. L’afflusso del pubblico è il maggiore registrato nel Teatro delle Arti dalla sua fondazione, gli esauriti si susseguono, e certo si susseguiranno a lungo. Com’era logico, e giusto. IL GIOCOLIERE DELLA VERGINE Abbiamo assistito inoltre ad un’importante novità al Teatro Orione, Il giocoliere della Vergine, di Ronald Duncan, nella versione di Giuliano Fritz e Gianfii- lippo Carcano (di pregevole fattura), rappresentata dalla compagnia di Franco Castellani, con Giovanni Dolfini, Gino Rocchetti, Armando Lodolini, e un in sieme di giovani attori (un coro di frati). L’idea ispiratrice di questo breve componimento, è graziosa. In un convento di frati minori, si festeggia ogni anno la Madonna; e una sua immagine scol pita, si muove ogni volta per un omaggio che Le reca un frate del convento e che Le è particolarmente gradito. Quest’anno un frate Le offre un suo compo nimento poetico mistico, un altro una rosa di par ticolare bellezza di cui a lungo ha preparato lo sboc ciare nel giardino del convento. Il più umile dei fra ti, un converso, un ex-giocoliere che si è rifugiato in convento perché il suo cuore non gli consente di esercitare più a lungo la sua professione, non sa cosa offrire, ed è tremendamente umiliato da questa sua impotenza. I frati si radunano a festeggiare la Ma donna, presso il Suo simulacro sull’altare. Si susse guono le offerte, ma, tra lo sconforto generale, la Madonna non dà segno di gradirle e non si muove. Allora il converso la invoca e in onor suo improvvisa una danza in cui esibisce i suoi, più singolari numeri d’acrobazia, i suoi giuochi più scintillanti. Il cuore però non regge, e alla fine egli si accascia morente ai piedi dell’altare. La statua della Madonna si muove allora verso il fraticello, e getta su di lui la rosa che prima Le era stata offerta. Ella ha accettato il dono del più umile, del puro di cuore. Cantici spirituali e poemi mistici detti a più voci fanno da cornice all’aneddoto. Che forse avrebbe avuto una sua commozione recitato in una cappella o comunque in una sala intima. L’« Orione » è in vece una sala che sembra un hangar per apparecchi d’aviazione, nuda e poco acustica, fra cui può forse venir accolto un dramma a forti tinte, non certo questa parabola poetica. Per di più, gli interpreti non sembravano sufficientemente preparati. Non posso dire, in buona fede, di aver potuto percepire l’in tero testo. Ad accrescere la confusione è intervenuto Harry Feist che mimava il lungo brano lirico del fra te-giocoliere (Franco Castellani), e lo «doppiava», con una danza di suo genere, scuola Kreutzberg, assai poco intonata con lo spirito dell’opera. Date le circostanze, resta difficile dare un giudizio sicuro di Duncan e del suo lavoro : questo ci è parso, in complesso, piuttosto esile drammaticamente, li rico più nella forma esterna, che nella sostanza in teriore. Come già avemmo modo di osservare a pro posito del dramma di Graham Greene, è evidente il proposito anche in Duncan, di esibire le forme del rito cattolico e le particolarità delle sue credenze ri specchiate nelle espressioni quotidiane, dinanzi a un pubblico come quello inglese, che le trova esotiche e in certo senso dilettevoli. Non dubito della sua sin cerità. Ma l’orizzonte del suo sentimento drammatico mi sembra limitato, senza reali ragioni e contrasti. Un lieto avvenimento teatrale è stato lo stabilizzarsi dell’Opera dei burattini di Maria Signorelli, con re golarità e successo costante dei suoi spettacoli. Si rap presentano le favole classiche — da quelle delle Mille e una notte a quelle di Carlo Gozzi — seguite da originali balletti volanti. Il pubblico infantile se gue con grande interesse .questi personaggi, scruta con amore i volti fantasiosamente espressivi model lati da Maria Signorelli, per la sua 'troupe di straccio. E’ motivo di grande consolazione veder sorgere teatri per l’infanzia: si rieduca così un nuovo pubblico al teatro e all’amore per il teatro, che dovrebbe sorgere istintivo e illuminato fin dalla più tenera età, per poterci poi dare un pubblico maturo non soltanto di anni, e fedele. All’« Eliseo » la compagnia Pagnani-Ninchi-Tieri- Villi, ha presentato Elena, o la gioia di vivere, l’ul tima commedia dii Roussin, di cui « Dramma » ebbe ad occuparsi particolareggiatamente in occasione del la trionfale prima parigina. Qui la commedia ha in vece lasciato piuttosto freddi, e non è semplice indi viduarne le ragioni. Certo, non vi si riscontra un im pegno artistico qualsiasi. Perché, comunque, il pub blico romano non si diverte dove invece quello pari gino trova un naturale piacere? Forse 1 intraducibi lità di un certo dialogo, forse il genere di recitazione, la disinvoltura che sarebbe stata necessaria, e che in vece questa esecuzione, diretta da Guido Salvini con la scena e i costumi di Giulio Coltellacci, non sempre ha saputo trovare. Ma soprattutto è chiaro che un determinato repertorio leggero corre i suoi rischi nell’essere trapiantato, appare in diversi climi, come fuori stagione nel suo piglio umoristico. Vito Pandolfi PROCESSO DI F A M IG L IA Al Teatro Carignano di Torino, NI dicembre 1953, la Com pagnia del Teatro di Via Manzoni di Milano, con Memo Benassi, Lilla Brignone e Gianni Santuccio, diretta da Ivo Chiesa, ha rappresentato il dramma in due tempi di Diego Fabbri: « Processo di famiglia ». Abbandonato dalla madre, Bice, che l’ha avuto da un uomo che si è allontanato da lei per sposare un’altra, Abele è 9tato accolto, adottato e allevato come figliuolo da dei coniugi senza prole; da Eu genio, che si compiace di avere chi lo chiami papà, e da Isolina, la moglie, che lo adora più che se fosse suo, e che per essere sicura non venga fuori, col tempo, chi glielo porti via, di tutto si interessa e niente trascura. Ha scovato la madre ed ha cercato di indurla ad impegnarsi, per iscritto, a non far valere i suoi diritti; rifiutandosi questa, le si è ap piccicata, per tenersi al corrente del come vive, quali uomini avvicina, quali le vicende del suo passato, e questo per giungere a scoprire chi è il padre del bambino, e farsene eventualmente un alleato, cosa che non giunge ad accertare, ma che arriva a sospettare. Inaspettatamente, di sorpresa, salta fuori un uomo, che reclama Abele: e questi è Libero, un agri coltore marxista, che si è innamorato di Bice, la madre di Abele, e l’ha sposata. Rozzo, violento, facile all’ira, ma pronto a rabbonirsi, che Bice già avesse un figliolo, l’ha saputo solo dopo sposato. Sullle prime ha fatto un ca’ del diavolo, ma poi, per l’idea umanitaria che ostenta, e su cui spro posita, e per il piacere di avere un bimbo da tirar su, a modo suo, il proposito di prenderselo in casa, si è fatto strada in lui. Sgarbatamente si presenta ad Eugenio, e bruscamente, come per un diritto di cui si sente sicuro, fa la sua richiesta, di subito contrastato da Isolana, che, saputo cosa vuole, parte in quarta, e non si mostra per niente disposta a rinunciare ad Abele. Bice, la madre, attende in un negozio, l’esito del colloquio. Ma poiché non arriva ad una conclusione positiva, è chiamata dal marito che la vuole pre sente perché confermi e avvalori la sua richiesta, cosa che questa fa, ma senza irrigidirsi: non ha dichiarato di rinunziare al ragazzo, come preten deva Isolina, ma un qualche impegno l’ha preso, e a qualche concessione si acconcerebbe, ma, al lorché Isolina, la madre adottiva, per non conse gnare il ragazzo si appiglia al fatto che per una decisione di tanta importanza, non basta il parere della madre, ma ci vuole anche quello del padre, dato che il padre c’è, non solo rifiuta, per l’enne sima volta, di dire da chi ebbe Abele, ma insorge vivacemente contro la pretesa. Ciò che scatena la gelosia di Libero, il quale si allontana minacciando di abbandonarla. Uno scoppio di pianto del bimbo, che le voci irate dei parenti veri e posticci impaura, interrompe angosciosamente il dibattito. Nel secondo tempo (il dramma è in due tempi), non è più nella casa dei genitori adottivi di Abele che Fabbri porta i suoi personaggi, ma nella casa del padre vero, Rolando, uomo di mondo, che sa vivere e piacere alle donne, marito di Vanna, che ha sposato dopo aver abbandonato Bice, moglie danarosa, piacevolmente volubile e incostante. Qui convengono tutti quanti; chi, per dei particolari accertamenti; chi per una qualche accidentalità. E qui si ha anche il «processo di famiglia», a cui volge il dramma. Vanna e Rolando stanno per uscire, ma sono fer mati sulla porta da Isolina. Sospetta che Rolando, che non conosce, sia il padre di Abele, e vuole sin cerarsene, e questi, un po’ sorpreso, ma per niente allarmato, di poter essere il padre di Abele, non fatica ad ammetterlo, anche se non è persuaso del tutto, perché Bice, che non ha dimenticato e non ha più visto, non glie ne ha fatto parola, né prima, né dopo il parto. Al colloquio presenzia anche Vanna, la moglie, che assiste non solo a questo, ma a 'tutti i colloqui che si hanno in seguito, (e sorprende) perché la vicenda la interessarla diverte; salvo commuoversi poi. Che cosa vuole Isolina? Che non le sia tolto il ragazzo, che Abele resti nella sua casa: e Rolando e Vanna vuole inter vengano perché ciò avvenga. E poiché Rolando, preso da curiosità, vuole conoscere il ragazzo per provare l’emozione che può dargli il sentirsi padre, Isolina telefona al marito che venga da lei, con lui. Compare Bice. L’amore materno si è risvegliato e viene a chiedere a Rolando di riconoscere Abele legalmente, e di disporre che, una volta riconosciuto, le sia affidato. Afferma che il motivo che induce Isolina ad agitarsi, non è tanto l’affezione che ha per il ragazzo, quanto il timore che, allontanato da lei, venga educato in altro spirito. Torna poi Isolina, e dietro di lei compare Libero. Intende abbandonare la moglie, ma non ci riesce: l’ha at tesa, l’ha seguita; non sa che Rolando sia il padre di Abele, ma lo immagina, e ritiene che Bice in tenda ucciderlo. Questo, ha sperato! Se l’avesse fatto ne avrebbe gioito, l’avrebbe aiutata a scappare, l’avrebbe difesa, le avrebbe perdonato tutto. Un tale pensiero non è neppure affiorato alla mente di Bice; pensa ad Abele, unicamente a lui, ora; imperio samente lo vuole e ne sollecita la consegna. È qui il contrasto tra gli assertori della « voce del sangue » e gli assertori della « voce del cuore » si accende : e nelle ragioni degli uni e degli altri, si va nel profon do. Ché nel disquisire Diego Fabbri è espertissimo. Portato da Eugenio, giunge Abele, addormentato. Lo si lascia dormire, e tutti gli si raccolgono, devo tamente, intorno: in contemplazione. Non si placa il contrasto, ma passa in tono minore. Le idee cat tive si velano di ombra, le buone rifulgono. Ma basta un appiglio perché le voci tornino a concitarsi e corrano parole di minaccia. Per un ritorno alla non scordata tenerezza, e nel proposito di dare al figlio una legittimità, Rolando manifesta l’idea di rompere ogni legame con Vanna, e formare con Bice una nuova famiglia. Le opinioni tornano vio lentemente a scontrarsi, e questo sino a che Bice, esasperata, si porta accanto al ragazzo, lo scuote, Io sveglia, lo chiama, lo risveglia. Abele si alza spau rito. Ma non è nelle braccia della madre vera, o della madre adottiva, che si guardano ostilmente, che si precipita, ma in quelle di Vanna, che gli sorride benigna. La madre vera tenta baciarlo, ma il ragazzo si svincola ed evita la mano che si alza per picchiarlo. Sicura di sé, certa che il ragazzo accetterà la punizione da lei, la madre adottiva allora insorge, e gli dà uno schiaffo. Abele scoppia in pianto, e scappa per la pòrta di ingresso, rimasta aperta. Un attimo, poi si sente un tonfo sordo: l’ascensore è aperto e il ragazzo è precipitato. E’ finita. Era di tutti, e non è più di nessuno. Il processo è chiuso. Tutti accusati, tutti colpevoli: C’è in questo dramma di Diego Fabbri, una que stione pratica da chiarire e un problema psicologico da risolvere. Il dibattito sentimentale e concreto tra la «voce del sangue» e la «voce del cuore», per dedurne se questa debba prevalere su quella, e per quale ragione, ha dato alla materia una infinità di lavori teatrali', ma è restato e resta sempre aperto, poiché muta di aspetto a seconda variano le cir costanze e gli uomini che coinvolge. Fabbri vi si addentra con intelligenza aperta, con libertà di indagini, la volge, la rivolge, la torce e ritorce, ma lascia insoluto lo stesso caso che sottopone ad esame e non riesce ad indurci a parteggiare né per luna né per l’altra voce. Abele ci appare fugacemente, sì che ci manca la ragione per affezionarsi a lui. Nell’amore che Iso- lina dimostra per il ragazzo, nel suo accanirsi perché non le sia tolto, percepiamo che c’è qualche cosa, che, magari spiritualmente, la giustifica, ma che inquina il preteso sentimento materno. Non cono sciamo Bice, come vorremmo, nel suo intimo, per poter giudicare se abbia patito nel distaccarsi dal figlio, e se soffre veramente nel vederselo conteso, allorché il desiderio di riaverlo la prende. Rolando, il padre, sta in balìa degli avvenimenti e di chi ha una volontà più forte della sua; un fondo di bontà naturale lo porta al sentimento e lo riscatta. Eugenio e Libero, sono i due poli spirituali, mate rialista l’uno e religioso l’altro, ma Fabbri, certo di proposito, si accontenta di lasciarci intuire, dai loro atti, quali sono le loro idee. La vicenda è costruita in modo che tutto converge nel momento in cui le persone che hanno parte idea felice, risveglio, e fa prevedere nella vicenda si trovano raccolte intorno al bimbo che dorme. Una teatrale, che mira ad impressionare ed a com muovere. Umana la risoluzione, non meditata ma spontanea, di Abele al il suo precipitarsi non verso le donne che se lo contendono, ma verso quell’una, che è fuori della con tesa. Malizia la drammatica soluzione, ma giova a far più intenso l’appassionato dibattito conclusivo, che è quello con cui Fabbri tende a più vasto orizzonte: dibattito in cui affio rano, espressi con perizia e con sentimento, i grandi problemi che oggi fanno pensosa la gente. Eugenio, coscienza retta, che è il solo personaggio che non ha pro blemi che nel profondo lo tur bino, Benassi lo rende con perso nalissimi rilievi simpaticamente umano e cordiale. Isolina, com plessa e complicata donna, tenace nel volgere le cose a suo modo è fatta evidente da Lilla Bri- gnone. Alle prese, con un tem peramento scontroso e impetuoso, come Libero, Glauco Mauri si trova a suo agio: che la moglie Bice, interpretata da Laura Riz zoli sia soggetta a lui e voglia e disvoglia sino a rompersi è pa cifico; con cuore ed intelligenza impersona Enrico Salerno il per sonaggio di Rolando; con vaghez za ed estrosità Vanna, Loredana Savelli; il bimbo è nei panni di Ennio Gaggiotti. Il pubblico ha seguito con at tenzione crescente la vicenda in gegnosamente costruita e gradua ta con intelligenza dal regista Alessandro Brissoni e ha applau dito calorosamente, insistentemen te gli interpreti e il lavoro. Gigi Michelotti PUBBLICHEREMO « PROCESSO DI FAMIGLIA » DI DIEGO FAB BRI NEL PROSSIMO FASCICOLO LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 I manoscritti, le fotografie ed i disegni non ri chiesti, non si restituiscono per nessuna ragione PER LA CASA DI ilPOSO DEGLI ARTISTI DRAMMATICI II nostro augurio di Natale, e quello di tutta la famiglia del Teatro agii ospiti carissimi della Casa di Riposo. Essi sanno il ricordo e l'affetto di chi, come noi, considera il Teatro, prima di tutto, un sentimento d'amore. E la gratitudine vivissima tan to nostra come degli ospiti stessi, vada alla infaticabile Madre Superiora. Mentre scriviamo, certo altri doni saranno giunti all’Istituto dì Bologna, e di tutti daremo conto, mentre segniamo quelli che sono già pervenuti: Da Evi Maltagliati, due damigiane dì «Albano »: Evi tiene moltissimo al piloro dei vecchi compagni e l’« Albano » è un vino che lo solletica con grazia. La gentile signora Maria Rosa Aymone Marsan si è recata personalmente a Bologna con la sua automobile carica di doni: un Papà Natale, dunque, non con la tradizionale barba bianca, ma Papà Natale in gonnella. Maria Rosa ha portato, per suo conto, abiti da uomo (suo marito, il molto mondano nostro fraterno Guido, è industriale tessile) e maglierie varie, mentre a Biella — dove i signori Marsan abitano — Maria Rosa aveva raccolto un bel po’ di roba: dalla Profumeria Mariuccia Bianchetti, una dozzina di grosse saponette e quaranta tubetti di crema per le mani, e, dono particolare per Olga Giannini Novelli (che ringrazia con gratitudine della per sonale attenzione) una bottiglia di acqua di colonia ed una scatola di saponette; dalla Confetteria Craveia, cinquanta sacchetti di caramelle e cioccolattini; dalla Ditta Coda e Maffiotti, quarantotto grosse saponette, cravatte e colletti; dalla Drogheria Bioglio, cioccolato, biscotti, sapone e sapo nette; dalla Libreria Garlanda, carta da lettere e quaran totto matite; dalla Libreria Colpio, oggetti vari di cancelleria. Gilberto Govi, ha inviato quindicimila lire ed altre quindi cimila le ha aggiunte il suo amministratore Pavone. Fatti i dovuti ringraziamenti, con inchini, riverenze e lumi narie, passiamo al nostro QUARTO ELENCO DEL NOMO MILIONE COMPAGNIA DEL TEATRO DI VIA MANZONI DI MILANO (RENASSI - BRIGNONE - SAN- TUCCIO) quale primo contributo sulle paghe degli a t t o r i ...................................................L. 20.450 COMPONENTI IL TEATRO SANT’ERASMO (Ga stone Bartolucei, 1000; Serena Bassano, 1000; Ro mano Bernardi, 1000; lido Biribò, 800; Filippo Degara, 1000; Sergio Gaggiotti, 1000; Augusto Ma- strantoni, 1000; Lucio Rama, 1000; Renata Seripa, 1000; Edda Valente, 1000; Alessandro De Rosa, 1 2 0 0 ).............................................................» 12.000 ATTORI PROSA E RIVISTA DELLA RADIO ROMA, raccolte da Giovanni C im a ra .............................» 9.800 MARIO SCOTTO, a mezzo Angelo Silvestri, rappre . » sentante il Teatro di Via Manzoni di Milano 5.000 ARMANDO ROSSI, per la « Piccola Ribalta » di . » 1.750 Torino, 1000; e per dipendenti SARIG, 750 HANS FISCHLI, in ricordo della sua visita al Teatro Sant’E rasm o...................................................... » 1.000 . . E In memoria di Renato Cialente: UMBERTO MELNATI............................................ » RAFFAELE G U ID A ............................................ » GUGLIELMINA REGGIANI.................................. » 5.000 1.000 1.000 TOTALE L. 57.000 Somma precedente » 390.670 TOTALE A TUTT’OGGI L. 447.670 T E A T R O D ’ A R T E I T A L I A N O V I T T O R I O G A S S M A N N e L U I G I S Q U A R Z I N A CON (IN ORDINE ALFABETICO) CARLO ALIG HIERO - ANTONIO BATTISTELLA - ANDREA BOSIC GIOVANNI CONFORTI - ANNA MARIA FERRERÒ - LUISA GASSMANN VITTORIO GASSMANN - NANDO GAZZOLO - RAFFAELE GIANGRANDE GIANCARLO GONFIANTINI - FERNANDO GRECO - CARLO MAZZONE GIORGIO PIAZZA - ANNA PROCLEMER - LUCA RONCONI - MARIO SCACCIA - FILIPPO SCELZO - LUIGI VANNUCCHI CARLO ALBERTO CAPPELLI - EUGENIO SACCENTI ASSISTENZA GENERALE: LUCIO ARDENZI * AMMINISTRAZIONE: FERRUCCIO STAGNI * COSTRUZIONI: GIOVANNI MOROZZI * DIRETTORI DI PALCOSCENICO: MEMO AMBROSI E UGO IMBAGLIONE SARTORIA: GIULIA BRUSEGAN * RAMMENTATORE: GIOVANNI BOSCO REALIZZAZIONE DELLE LUCI: UGO BERIOLI ★ SEGRETERIA: GASTONE PACINI A M L E T O DI WILLIAM SHAKESPEARE L A DI UGO BETTI F U G G I T I V A INIZIO RAPPRESENTAZIONI: 10 DICEMBRE 1953 AIL TEATRO DELL’OPERA DEL CASINO’ DI SANREMO ★ 15-23 DICEMBRE: TORINO - TEATRO ALFIERI 24 DICEMBRE - 3 GENNAIO: GENOVA - TEATRO CARLO FELICE * 4-6 GENNAIO: PADOVA - TEATRO VERDI ★ 8 GENNAIO - 3 FEBBRAIO: MILANO - TEATRO LIRICO F I M f f i P E S T E IT A L IA N I! P E B G L I S P A M III T E A T R A L I V IA M O LISE , 11 - ROMA L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali — con sede centrale in Roma - Via Molise 11 — allo scopo di facilitare la conoscenza della produzione teatrale italiana da parte di direttori di teatro, registi ed attori stranieri, cura dal mese di febbraio 1952 la pubbli cazione di un proprio Bollettino, in lingua francese, dal titolo “ Echanges internationaux dans le domaine du tliéatre Sono stati sinora riportati i testi com pleti delle opere italiane: “ La Maschera e il volto ” di Luigi Chiarelli, “ Corruzione al Palazzo di Giu stizia ” di Ugo Betti, “ Gavino e Sigismondo ” di Cesare Giulio Viola, “ Inquisizione” di Diego Fabbri, “ L’Abisso ” di Silvio Giovaninetti, “ L’Anonima Royiott ” di Guglielmo Giannini, “ Uno cantava per tutti ” di Enrico Bassano, “ Partita a quattro ” di Nicola Manzari e “ La Vena d’oro ” di Guglielmo Zorzi, oltre alle sintesi ed alle fotografie dei lavori italiani rappresentati nel corso delle passate stagioni. In ogni numero viene altresì riportato un ampio notiziario sulla vita teatrale italiana. Dal gennaio 1953 il Bollettino stesso, per rispondere alle esigenze della sua crescente diffusione, è stato redatto anche in lingua inglese. Nei primi tre numeri sono stati riportati i testi completi delle opere: “ Mil lesima seconda ” di Cesare Meano, “ La Pulce d’oro ” di Tullio Tinelli, “ Ricordo dell’avvenire ” di Ezio D’Errico, oltre a numerose sintesi e fotografie dei lavori italiani recentemente rappresentati. (Royiott L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali — dont le siège centrai se trouve à Rome - Via Molise 11 - publie depuis le mois de février 1952 un Bulletin en langue française: “ Echanges Internationaux dans le domaine du théâtre ” , afin de permettre aux di recteurs de théâtre, metteurs en scène, acteurs et à tous les autres intéressés, de prendre connaissance de la production théâtrale italienne. Jusqu’à présent, ce Bulletin a publié le texte complet de: “ La maschera e il volto ” (Le masque et le visage) de Luigi Chiarelli, “ Corruzione al Palazzo di Giu stizia ” (Corruption au palais de justice) de Ugo Betti, “ Gavino e Sigismondo ” (Paulette et son âme) de Cesare Giulio Viola, “ Inquisizione ” (Inquisition) de Diego Fabbri, “ L’Abisso ” (L’Abîme) de Silvio Gio vaninetti, “ L’anonima Royiott ” frères, Société Anonyme) de Guglielmo Giannini, “ Uno cantava per tutti ” (Une voix chante pour tous) de Enrico Bassano, “ Partita a quattro ” (Partie carrée) de Nicola Manzari et “ La vena d’oro ” (La veine d’or) de Guglielmo Zorzi, ainsi que des synthèses et des photographie de pièces italiennes représentées au cours de ces dernières saisons. Chaque numéro porte aussi des nouvelles détaillées sur la vie théâtrale italienne. Depuis janvier 1953, le Bulletin a été rédigé égale ment en langue anglaise, afin de répondre aux exi gences de sa diffusion toujours croissante. Dans les trois premiers numéros de cette édition anglaise, on trouve le texte complet des pièces suivantes: “ Mil lesima seconda ” (After thè last Arabian night) de Cesare Meano, “ La Pulce d’oro ” (The golden Flea) de Tullio Tinelli, et “ Ricordo dell’Avvenire ” (Memory of thè future) d’Ezio D’Errico, ainsi que de nom breuses synthèses et photographies de pièces italiennes représentées récemment. A partire dal prossimo numero il Bollettino sarà pubblicato In un unico fascicolo bilingue [inglese e francese] A partir du prochain numéro, le Bulletin sera publié en un seul fascicule bilingue [anglais et français] ABBIGLIAMENTO MASCHILE POSSESSORE DI DIECI BREVETTI DI FORNITORE REALE ® Claudio Tridenti Pozzi ha pubblicato un elegante opusco- letto dal titolo L’Arte della cra vatta, destinato a coloro - e sono ancora moltissimi, per for tuna - che hanno dell’eleganza un concetto di dignità, gusto e personalità. L’autore di quelle note è la stessa persona che nel negozio « Pozzi » di Milano, al corso Vittorio Emanuele, noto anche a chi non vi è mai en trato, può avervi venduto una cravatta della quale vi ricorde rete certamente perchè, fra le molte del vostro guardaroba, certo è la più bella. xrz r /r Creare fabbricare vendere, in Italia, è un problema: se risolto, può dare molta soddisfazione; se errato, affoga inevitabilmente. Perchè noi ci affanniamo, ma inutilmente, a parlare di industrializzazione in un Paese di artigianato. E molto spesso, trattandosi di moda, di artigianato artistico. Mettendo in valore le qualità degli italiani in fatto di eleganze, s’intende che tale privilegio non è esclusivo di chi compera, poiché uguale valore hanno le doti di chi crea fabbrica e vende. La cravatta, a maggior esempio, è il segno di distinzione dell’uomo: la cravatta è un indumento nobile e raffinato: nasce da uno squero, come si indica quel quadrato di tessuto di seta dal quale si possono ricavare due cravatte soltanto. Si dice squero perchè tutta la sua stoffa rimane nell’interno della cravatta, perchè non ha giunture, e lo spessore che se ne ricava permette di fare quell’ineguagliabile nodo che tutti tentano, ina senza capire nemmeno come è fatto. Non si tratta di virtuosismo individuale: è il dono stesso di una vera cravatta. POZZI - ABBIGLIAMENTO MASCHILE ■ CORSO VITTORIO EMANUELE 31 - MILANO - TELEF. 70.08.87 L B V I U D E L A D N E VIA VOLTA, 2 - TEL. 527.968 O ffre ad a rtis ti maestri ed a llie v i quanto di meglio possa occorrere i n : SCABPETTE DA BALLO per punta, per training SCABPETTE DA GINNASTICA di pelle e daino SCABPETTE DA BIPOSO e pantofole eleganti MAGLIE ACCADEMICHE DI LANA nere e a colori da lavoro MAGLIE DI SETA OBGANZINO per scena, color naturale, bianco, ecc. 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TELEF. 41.173 - 53.53 * T O R I A O DIRETTORE GENERALE: EDGARDO TRINELLI 3 dischi da era. 30 "• 1216 3 dischi da era. 30 "• 1204 ERNANI IEDORA FALSTAFF LA FANCIULLA DEL WEST 3 dischi da cui. 30 2 dischi da era. 30 La FIGLIA del REGGIMENTO L’ELISIR D’AMORE 3 '• 1238 UN GIORNO DI REGNO n 1225 FRANCESCA DA RIMINI 3 dischi da cm. 30 n. 1236 3 dischi da cm. 30 n. 1213 2 dischi da cui. 30 n. 1229 GIANNI SCHICCHI 1 disco da cm. 30 n LA GIOCONDA 2 dischi da cm. 30 3 dischi da era. 30 1232 4 dischi da cm. 30 50028 [241 1 disco da cui. 30 2 dischi da era. 30 2 dischi da era. 30 .,. . ,K I UULh 1 1U 3 dischi da cm. 30 n- 50003 j 3 dischi da cm. 30 SIMON BOCCANEGRA 3 dischi da cm. 30 SUOR ANGELICA NABUCCO , 3 dischi da era. 30 , a- 3 dlschl da cm‘ 30 ^ E12i 9° ZZE 01 f^ T u ^ la Cm. 30 I PAGLIACCI 11. 1227 I QUATTRO RUSTEGHI "■ 1239 2 dischi da era. 30 3 dischi da era. 30 ( selc/.ione) 1 disco da cm- 30 PADRONA 1 d,sc° (la cm‘ 30 3 dischi da era. 30 30036 n. 1231 LA SONNAMBULA n. 1240 3 dischi da era. 30 1 disco da era. 30 1 disco da cm. 30 I AB ARRO n. 50030 TT n. 50029 te k ì a 1 11. 1230 IL TRIONFO DELL’ONORE iooq n. 1223 it TROVATORE o t i • qa 2 diselli da cm. 30 2 dischi da cm. 30 , . , ì 3 dischi da era. 30 3 dischi da era. 30 3 dischi da era. 30

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Tipologia

Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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