30° ANNO " N> 218-219 ■ 15 DICEMBRE 1954 sped. ¡n obb. post. 2° Gruppo LIRE 500 I L D R A M M A QUINDICINALE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI 1^4,1JlU K O f c * 1" POTRESTE i À $ U £ t * è d i \ * 0 ^ . QUESTA DELIZIOSA V I L L E T T A Quante volte avete sognato un rifugio come questo per le Vostre ore di riposo e di svago, un’oasi di pace per i Vostri sogni, un’isola felice dove trascorrere ore liete con i Vostri cari! Domani potrebbe essere Vostra, la villetta prefabbricata che la Gl. VI. EMME estrae a sorte ogni mese tra i suoi fedeli amici. L’elegante costruzione, composta di tre locali più cucina e servizi, per complessivi mq. 90, completa di arredamento essenziale per quattro persone, sarà consegnata montata in Italia, in qualsiasi località servita da strade. PARTECIPATE AL CONCORSO ACQUISTANDO UNO DEI SEGUENTI PRODOTTI D E N T I F R I C I O E R B A - G I . V I . 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EMMEM I D O N IAM O UNA V IL L A OGNI MESE Sestriere Claviere B ariloneeehia S p o rtin ia Sauxe d ’O ulx Cesami C liiom onte A la ili S tura B a llile P rage lato * INFORMAZIONI K PROSPETTI : ENTE PROVINCIALE PER IL TURISMO E TUTTE LE AGENZIE DI VIAGGIO * P O Z Z I ze/> /rr y fZZZ/J/Z, fj? /c sj/zzór/tr'/z ■ '/rj.tz.t.tr >z r/r' z/zezr /èf.zr.'z/// r // /rX/? //z>.z- r^2e-a-/e- o • S /^/z zzy//z r/z'y/z zzz/zsz xzz z/z / zzzó /z'z, ¿zezzz Creare fabbricare vendere, In Italia, è un problema: se risolto, può dare molta soddi sfazione; se errato, affoga inevitabilmente. Perchè noi ei affanniamo, ma inutilmente, a parlare di industrializzazione in un Paese di artigianato. E molto spesso, trattandosi di moda, di artigianato artistico. Mettendo in valore le qualità degli italiani in fatto di eleganze, s’intende clic tale privilegio non è esclusivo di ehi compera, poiché uguale valore hanno le doti di chi crea fabbrica e vende. La cravatta, a maggior esempio, è il segno di distinzione dell’uomo: la cravatta è un indumento nobile e raffinato: nasce da uno squero, come si indica qu: I quadrato di tessuto di seta dal quale si possono ricavare due cravatte soltanto. Si diee squero perchè tutta la sua stoffa rimane nell'interno della cravatta, perchè non ha giunture, e lo spes sore che se ne ricava permette di fare quel- l’ineguagliabile nodo che tutti tentano, ma senza capire nemmeno come è fatlo. Non si tratta di virtuosismo individuale: è il dono stesso di una vera cravatta. Claudio Tridenti Pozzi ha pubblicato un elegante opuscoletto dal titolo L’Arte della cravatta, destinato a coloro — e sono ancora moltissimi, per fortuna — che hanno dell'eleganza un concetto di dignità, gusto e personalità. L ’autore di quelle note è la stessa persona che nel negozio « Pozzi « di Milano, al corso Vittorio Emanuele, noto anche a chi non vi è mai entrato, può avervi venduto una cravatta della quale vi ricorderete certamente perchè, jra le molte del vostro guardaroba, certo è la •più bella, POZZI - ABBIGLIAMENTO MASCHILE - CORSO VITTORIO EMANUELE 31 - MILANO - TELEF. 70.08.87 ' C a f a e ? / / / / / ( s / t / / / / à T a d e m t t t f { / / / / / / i P R E Z Z I D I P R O P A G A N D A RESISTENTI DA PASSEGGIO VELATE DA POMERIGGIO CON O SENZA CUCITURA GRAN SERA . . L• 950 L, 1200 L. 1500 J J * MAESTRO PILARE FRANCESCHI - V IA M ANZONI, 16 - M ILANO A. HYATT MAYOR - MERCEDES VIALE - ANDREA DELLA CORTE - ANTON GIULIO BRAGAGLIA T E M P I E A S P E T T I D E L L A S C E N O G R A F I A Gli autori si soffermano sulla evoluzione della scenografia dal Seicento al Novecento, mettendone acutamente in rilievo le caratteristiche più salienti. H volume è suddiviso in quattro capitoli, nei quali vengono presentate le opere di maggior rilievo di una ricchissima schiera di scenografi, architetti e pittori (da Ferdinando Bibiena e Filippo Juvarra a Felice Casorati e Giorgio De Chirico), i quali hanno variamente contribuito a raffigurare nel tempo modi, gusti e sensibilità delle rappresentazioni sceniche. | Edizione numerata con 6 illustrazioni in quattrocromia e 103 in nero: L. 8000 - Il volume è stampato dalla I.L.T.E. - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino. Questo volume, come ogni altro delle edizioni ERI è in vendita presso le principali librerie. Ma chi trovasse sfornito il proprio libraio può rivolgersi direttamente alla EDIZIONI RADIO ITALIANA - Via Arsenale, 21 - Torino, accompagnando Vimporto per Vinvio senza altra spesa. Servirsi del c/c postale n. 2/37800. D i F E N D E N T E F E R R A R I • -Sri'&ot/rf x/I&n e- g&. / i/Zot-ìc /ta-/cs Defendente Ferrari (XVI Sec.) è nno dei maggiori rappresentanti della pittura piemontese nella prima mela del ’500. La JLTE ha riunito in volume sedici opere, riprodotte dai vari musei e chiese del Piemonte, stampate in offset a colori, presentate su cartoncino a tavole staccate. I ormato del volume 26 x 34,5 - carta a mano, appositamente fabbricata, per la presentazione e gli altri, elementi necessari al libro, copertina a colori, sopracoperta in sicofail ■ L. 4000 presso ogni libraio; non trovandolo, rivolgersi direttamente alla ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Corso Bramante 20 - Torino, servendosi del c/c postale intestato a ILTE, n, 2/56. 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I L T E INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE TORINO - CORSO BRAMANTE, 20 - TELEFONO 690-194 (ricerca automatica) l a r a d i o t e l e v i s i o n e i t a l i a n ALLA RADIO NEI PROSSIMI GIORN LA LIBRERIA DEL SOLE DON GIOVANNI INNAMORATO LA SCARPINA DI RASO UN MANTELLO PER ARLECCHINO LA RAPPRESENTAZIONE DI S. ULIVA UN UOMO BUGIARDO IL CAMPIELLO LA CANTATA DEI PASTORI DIEGO FABBRI Sammy fayad (vincitrice del concorso radiofonico 1954) PAUL CLAUDEL Ettore violani con musiche di CARLO FRANCI anonimo con musiche di ILDEBRANDO PIZZETTI ALFIO VALDARNINI CARLO GOLDONI ANTONIO PETRUCCI Alla, radio, come alla televisione, il i tempi e di tutti i paesi nell'interpretazione dei migliori teatro di tutti attori comici e drammatici della nostra scena di prosa. i / i f : I L T E A T R O I N C A S A PROSSIMAMENTE ALLA LA BISBETICA DOMATA IL MALATO IMMAGINARIO IL BUGIARDO L’ANNUNCIO A MARIA ZIO VANIA TUTTO PER BENE LILIOM PIGMALIONE WILLIAM SHAKESPEARE MOLIERE CARLO GOLDONI PAUL CLAUDEL ANTON CECOV LUIGI PIRANDELLO FERENC MOLNAR GIORGIO BERNARDO SHAW O G N I M E S E ! quattro commedie, due teledrammi, due riduzioni da opere narrative. Ci -& reciterà per la prima volta in italiano alla televisione come protagonista de LA DONNA DEL MARE il 28 gennaio. \ \ ■ss-s/s , / s sVs s / s / / s s / ' / ' ' ■ / / / / / / / / s //s s .s s s /s s //s s 'S f 'S SS S/S / / s y / / S S.J /ss/S S -SS SY, / s s /Z s 'y '/ / s /s s x s 's s /s s /s s /s s ss y C s s s /s .s s ' sss / / /s s s / / s ' s s / / s / s s s s /s / / s s s / s s s s / s / / / sss/s v s s / / s / 's s s s s S Z ss/sS S /S S . RICHIEDETE GLI APPOSITI LISTINI PRESSO I PIÙ IMPORTANTI RIVENDITORI ITALIANI c e S t r DIRETTORE GENERALE a { s/s/e /// o I L M E G L I O N E L L A M U S I C A O P E R I S T I C A V / e t ' S tc r /s /e s CON SEDE !N MILANO - VIALE MONTESANTO, 5 - TELEFONI 637-695 - 637-302 - GESTISCE I SEGUENTI TEATRI s u l l Z E R B O N / e. - / r tte /ttr rss e. . Y r rr/y j/r t t t / / E X C E L S I O R PER SPETTACOLI DI PROSA, OPE RETTA, RIVISTA, CONCERTI E CINEMA O L I M P I A PER SPETTACOLI DI PROSA E RIVISTA L I R I C O PER SPETTACOLI DI GRANDI RIVISTE, OPERA, OPERETTA, CONCERTI, VA RIETÀ ' E CINEMA S O C I A L E PER SPETTACOLI CINEMATOGRAFICI CON O SENZA VARIETÀ', OPERA, OPERETTA, RIVISTA, CONCERTI. AL TEATRO E’ ANNESSA UNA GRANDE ARENA ESTIVA P O N T I PER SPETTACOLI CINEMATOGRAFICI CON O SENZA VARIETÀ', OPERA, OPERETTA, RIVISTA, CONCERTI t'tt Y o tttc- ree et m IN QUESTE SALE SEMPRE IL MEGLIO D E LL'A TTIV ITÀ TEATRALE IT A L IA N A E D I S P E T T A C O LI S T R A N IE R I D I E C C E ZIO N E 1 Il Teatro Eliseo di Roma è un grande e moderno teatro che onora l’Arte Drammatica per la tradi zione degli spettacoli, per l’eccezionaiità delle rap presentazioni. per gli inten dimenti che lo informano. La risonanza che l’“ Eliseo” ha Italia e all’estero fanno di questo teatro la aristocrazia artistica della Capitale. in T E A T R O E L I S E O . ' / / ' / / / / / T E A T R O D I PROSA e s t e i m w m Ê M È m h t e a t r a l i V IA M OLISE, 11 - ROMA L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, con sede centrale in Roma - Via Molise, 11 - pub blica dal febbraio 1952 un proprio Bollettino in lingua francese dal titolo “ Echanges interna tionaux dans le domaine du théâtre ” , allo scopo di favorire la conoscenza all’estero della pro duzione teatrale italiana. Dal gennaio 1953 il Bollettino stesso, per rispon dere alle esigenze della sua crescente diffusione, è stato redatto anche in lingua inglese. A par tire dal IV numero dell’anno 1953 è pubblicato in unico fascicolo bilingue, francese ed inglese, dal titolo " Italian Théâtre Bevievv - Revue du Théâtre Italien ” . Sono stati sinora pubblicati i testi de “ Il cal zolaio di Messina ” di Alessandro Ile Stefani, “ La sei giorni ” di Ezio D’Errico, “ Lo scandalo Fregonard ” di Umberto Morucchio, “ L’Ippo campo ” di Sergio Pugliese, “ Gli ultimi cinque minuti ” di Aldo De Benedetti e “ Nora seconda ” di Cesare Giulio Viola. Ogni fascicolo comprende, oltre al testo di una commedia, sintesi e fotografie delle opere pre sentate in Italia nel corso delia stagione, ed un vasto notiziario teatrale. L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, dont le siège central se trouve à Borne - Via Molise 11 - publie depuis le mois de février 1952 un Bul letin en langue française intitulé: Echanges internationaux dans le domaine du théâtre ” , afin de favoriser la connaissance, à l’étranger, de la production théâtrale italienne. A partir du mois de janvier 1953, le Bulletin, pour répondre aux exigences de sa croissante diffusion, a été publié également en langue anglaise. A partir du quatrième numéro de l’année 1953, il a été édité en une unique bro chure bilingue, anglaise et française, intitulée " Italian Théâtre Review - Revue du Théâtre Italien ” . Jusqu’à ce jour, ce Bulletin a publié les textes complets des pièces suivantes: “ Le savetier de Messine ” d’Alessandro De Stéfani, “ Les six jours ” d’Ezio D’Errico, “ Le scandale Frégonard ” d’Umberto Morucchio, “ L’Hippo campe ” de Sergio Pugliese, “ Les dernières cinq minutes ” d’Aldo De Benedetti et “ La seconde Nora ” de Cesare Giulio Viola. Chaque numéro comprend, outre le texte com plet d’une pièce italienne, des synthèses et des photographies de pièces représentées en Italie au cours de la saison théâtrale et des nouvelles théâtrales détaillées. # A . R . C . Organizzazione R iunita Concerti al TEATRO NUOVO D I MILANO SETTIMA STAGIONE CONCERTISTICA: OTTOBRE 1954 - MAGGIO 1955 ARTHUR RUBINSTEIN PINA CARMIRELLI NICOLA ROSSI LEMENI il)WIN FISCHER ALFRED CORTOT 'f//S C OTTOBRE Venerdì Sabato Sabato 15 CONVEGNO INAUGURALE (già eseguito) 16 pianista A R T II U R R U B I X S T E I N (già eseguito) 23 GRUPPO STRUMENTALE DE * I MUSICI ” 30 QUARTETTO POLIFONICO DELLA “ STANZA DELLE LAUDI " MOVEMBRE Mercoledì 3 pianista JACQUES KLEIN Mercoledì 10 clavicembalista RALPH KIRKPATRICK Sabato 20 baritono negro TODD 1) U N C A N Mercoledì 24 1) U O P I A N I S T ICO <ì O L D - F I Z I) A L E MARZO DICEMBRE Alercoledì 1 pianista Giovedì 9 VIOLINISTA Mercoledì 15 pianista AVITO LI) AI A LCUZYNSlv I GIOCONDA DE AITO VINCENZO FERTILE G E M M O Mercoledì 12 LES ILA SS' I IARMONISTES (QUARTETTO VOCALE) Mercoledì 19 pianista L 0 U I S K E N T N E R Mercoledì 26 violoncellista G A S P A R C A S S A I) Ò Lunedì 31 coro“ I COSACCHI DEL DON ” S I N G E R S FEBBRAIO Mercoledì 2 T IT E (ì O L I) E N A G E Mercoledì 9 QUARTETTO SMETANA Mercoledì 16 violinista PINA C ARMI R E L L I Mercoledì 23 cantante messicana ORARIA DOMINO U E Z Mercoledì 23 pianista Mercoledì 30 chitarrista EDWIN FI S C H E R A N I) R E S S E G 0 V I A APRILE Mercoledì 6 pianista ALFRED CORTOT Mercoledì 13 Q I A R T E T T I) E L L A S C A L Mercoledì 20 pianista LODOVICO LESSON A Martedì 26 - Giovedì 28 - Sabato 30 CICLO II E ET 110 V ENI A NO DELLE SONATE PER VIOLINO E PIANOFORTE PIANISTA CLARA HASKIL VIOLINISTA A R T II U R G R U M I A U X Mercoledì 2 pianista F R I E 1) R I C lì G U L I) A Mercoledì 9 GRUPPO STRUMENTALE ** P R O A R T E " Lunedì 14 bassoNICOLA ROSSI LEAIENI Mercoledì 25 violinista 6 PIANISTA MAGGIO Venerdì C li I F F O R I) C l R Z O N Mercoledì 11 QUA R T E T T O A’ E G Mercoledì 18 RECITAL DEI MIMI DI AI A R C E L M A R C E A U N A T I I A N AI I L S I' E I N La Direzione .sì riserva li (Urlilo <11 sospendere o di sostituire qualche manifesta zione, di variarne la data, per causa di forza maggiore, o di provata necessità. I POMERIGGI MUSICALI d i M i l a n o a l T E A T R O N U O V O eZs*?S'/?t-e? ¿$ie&prrwt-e k/s / s/// j j / / >e- '/Jsr '/tr NOVEMBRE 1954 - APRILE 1955 '/& p / ( ? c // . C / . S • ScssSr s /s rs / ■ y / r r t s / r . Clara (sorride) — Faresti meglio a tornare al la voro, Ed. Ed — Già. Fa troppo caldo per dover lottare per far l’amore. Torno a casa per cena. E a proposito di andare in città stasera, tutti noi? Clara —• Dipende da come si sente Floyd. Ed — Pop lo sa, idi Floyd? Clara — Sa che viene... Solo che non immagina che stiamo per liberarci di lui. Ed — Vado a riportare il camion in garage. Ci ve diamo dopo, Clara. (Passa in cucina) Ehi, Pop, stai ammazzando altri Spiks, a Fort Alamo? Bang-bang. (Ride). Pop — Va’ all’inferno, Ed Mason... Ho accoppato uomini meglio di te! (Ed ride e fa per uscire. Susan Dennison entra da sinistra e sale gli scalini. Ed esce nel portico, abbraccia Susan sollevandola da terra e se la stringe contro il petto). Ed — Dai, bellissima, da’ un bacio allo zio Ed. Susan (divincolandosi per liberarsi) — Non sei mio zio. Ed — Beh? E’ una bella cosa, no? Susan — Fa caldo, Ed, lasciami andare. Ed — Un bacino solo; amichevole, eh? Susan (liberandosi) — Il calore t’ha dato alla te sta, Ed. Ed (ride) — Che dia alla testa il calore è giusto, bella; ma non il caldo. (Esce ridendo. Susan en tra in casa: ha diciannove anni, è alta, snella e promette di diventare una bellissima donna. Posa i pacchetti che ha con sé sulla tavola della cuci na. Clara è entrata in cucina, e porta il piatto di Pop nel lavandino). Susan — Hello, Pop. Clara — Finalmente! (Susan bacia Pop in fronte). Pop — Lei dice che Floyd viene e che mi man dano via. Susan (a Clara) — No! Non l’hai detto! Clara — Sì. L’hai sentito. Susan — Ti sta solo prendendo in giro. Pop — Di’, Suzie, non hai un po’ di tabacco per me, eh? Susan — Non mi sono dimenticata di te. (Gli por ge un pacchetto. Egli, tutto contento, lacera la car ta, apre la scatola e comincia a riempire la pipa). Pop — Grazie, Suzie. Clara — Perché fai così? Non sai cosa ha detto il dottore? Adesso, starà sveglio tutta la notte a tos sire e ansimare. Susan — Ha promesso che fumerà solo due pipe al giorno. Pop — Tre! Clara — Dovrò stare su per metà della notte a fargli da bambinaia. Beh, da domani non me ne importerà più niente, in ogni caso. Il papà e Floyd saranno qui a momenti. Susan — Che cosa viene a fare lo zio Floyd, così tutto d’un tratto? Clara — Per una faccenda che saprai più tardi. Pop (violentemente) — E’ peggio di Santa Ana, lei! Clara — Santa chi? Pop — Santa Ana! Il demonio che ha attaccato il Fort Alamo! Clara — Oh, ancora quello! Perché non se ne va dove sarebbe il suo posto? Lì può starsene seduto e parlare di quel dannato Fort Alamo giorno e not te; per quel che me ne importa. (Susan si alza, esce, e si siede sulla panchina). Pop — Noi difendevamo Fort Alamo; 150 texani contro Santa Ana e tutta l’armata messicana. Dife so il forte per settimane intere. Clara — E’ successo un sacco di tempo prima che tu nascessi, Pop. Pop (si alza e va a sedersi in poltrona) — Sì. Erano davvero degli eroi. Non ne abbiamo più, di quello stampo. (Clara s’awicina timidamente a sua figlia, incapace di comprenderla, sempre impacciata nei suoi tentativi di esternare il suo amore materno. Come Clara si siede sulla panchina, Susan si alza). Clara — Suzie? Susan — Cosa? Clara — Io non intendo strillare e gridare con te tutto il giorno. Non voglio... Susan — Però o presto o tardi lo fai sempre, vero? Clara — Comincio a dire qualcosa di carino, e fi nisce sempre male. Sarà il caldo, il vecchio, non so. Non è facile occuparsi di lui, badargli. (Cambiando argomento) Che cosa hai comprato oggi, cara? Susan — Un paio di scarpe e delle calze... Clara — Esci stasera? Susan ■— Sì, al cinema con Janey. Clara — Cosa danno? Susan — Non lo so. Sono passata davanti e mi son dimenticata di guardare. Clara — Hai lavorato fino all’una, oggi? Susan — No. Mister Hart ha detto che se finivo di scrivere a macchina potevo andarmene presto, così mi sono sbrigata. Avevo finito già a mezzogiorno. Clara — Non ti sei fermata a vedere se avevi fatto errori? Susan — No. Gli ho messo la roba sulla scrivania e me ne sono andata. Clara — Avresti dovuto assicurartene. Susan —• Non posso stare in quello stupido lavoro per sempre. Scrivere a macchina e mettere in ordi ne. Mettere in ordine e scrivere a macchina. Due anni di ’sta roba. Clara — Credevo che ti piacesse. Susan — Già. Clara (si alza) — Che cosa c’è, Suzie? Susan — Niente. Clara — Ce qualcosa che ti preoccupa. Susan — Non ho fatto nessun errore! Clara — C'è della gente simpatica, che lavora con te... L’hai detto tu. Susan — Io? (Pausa) L’unico che io conosco bene in ufficio è l’orologio alla parete. Mister Hart non è altro che un odore di colonia e una voce da basso. Mister Sloan è una camicia di seta a righe, con le unghie sempre curate... Ma l’orologio! Ne conosco ogni macchia, ogni segno, ogni impronta sulla sua faccia... Clara — A che ora viene, Janey? Susan — Non lo so di preciso. (Pausa. Susan fossa in cucina) Devo scrivere a Charlie. Clara — Suzie... Susan — Per favore, mamma, non cominciare un’al tra volta con me e Charlie. Clara — E’ stato via per due anni. Non viene più a trovarti durante le vacanze. Tu hai uno che ti fa la corte, e gli altri se ne stanno lontano. Susan — Per favore, mamma... Clara — Cara, ascoltami. Non gettar via la tua vita. Non voglio che un giorno tu debba startene lì a rimpiangere il passato. (Sospira) Mi piacerebbe che ritornasse un giorno della mia vita, così potrei mettere a posto l’errore che ho fatto... Non gettarti via al primo uomo che ti càpita. Susan — Non mi sto per sposare né con Charlie né con nessun altro. Clara — Guardati in giro, Suzie, e vedrai che ci sono luoghi e gente migliore. (Susan passa nel sog giorno, e Clara la segue) Io voglio solo che tu viva la tua vita, cara... e che tutti i minuti appartengano a te... non a quelli i cui giorni sono ormai passati, e IL PIATTO DI LEGNO che ti gravano sulle spalle come un peso di cenlto chili... Tu... i(Campanello) Oh, guarda chi è. (Pop si alza, e va a sedersi alla tavola della cucina. Susan corre alla porta, la apre, e introduce Som Yaeger. Sani è il più intimo amico di Pop. E’ alto, magro ed affilato, con lineamenti di falco. Indossa un ve stito di tela coloniale, tutto spiegazzato e un cap pello rìgido di panama). Sam — Hello, Suzie. Susan (saluta con un cenno del capo) — Signor Yaeger. Sam — Buon giorno, signora Dennison. Spero che sia contenta di quest’abbondanza di sole. Clara — Questo caldo dannato, vuol dire. (Entra in cucina, seguita da Sam. Susan esce, salendo le scale). Pop — Beeene, purché non sia Sam Yaeger il peg- gior giocatore di dama di tutta Bexar Countv. Sam (ride, e poi vivamente) — Hello, Lon. Se io sono il peggiore e ti vinco sempre, tu che cosa sei? Pop — Chi vince? Clara — Mi scusi, signor Yaeger, devo andare a cambiarmi. Mio cognato arriva questo pomeriggio da Chicago. Sam — Fin da Chicago? Eh, bene, Lon : tuo figlio viene a trovarti. Pop — Floyd è un bravo ragazzo. Sam — Beh? Una partita? Pop — D’accordo, Sam, e te le suono sotto e sopra. Sam (ride) — Benissimo. Clara — E’ meglio che non vi mettiate a far par tita. Saranno qui a minuti. Sam — Va bene, signora Dennison. (Siede. Clara sale le scale ed esce) E’ un giorno importante, og gi, no? Pop — Perché? Sam — Arriva tuo figlio, e tutto questo... Pop — Non so perché venga. Non l’ho mai visto in sedici anni. Ho un po’ il dubbio, Sam, che non venga per niente di buono. Clara parlava di man darmi via. Sam — Oh, questo ¡poi! Non la farebbero mai una cosa del genere. A‘h, tu hai sempre paura, Lon, tu sei uomo molto diffidente, lo sai? Pop — Io? Beh, quando avrai vissuto tanto quanto me, saprai sentire un topo dall’odore, a cinquanta metri. Sam — Non ti sta capitando niente. Tu ed io pas seremo ancora degli anni a giocare a dama in quella piccola fattoria. Pop —• Quando prenderemo quel posto, Sam... quando? Sam (entusiasticamente) — Ho visto un posto a circa cinque miglia a nord di Fredricksburg. E’ un sogno. (Prende dalla tasca un pezzo di carta e una EDMUND MORRIS matita e comincia a disegnare) E’ circa quaranta acri. Due case, Lon. Pensaci, due case. Pop — E cosa diavolo ce ne facciamo di tante case? Sam — Questo è il bello. Noi teniamo la casa pic cola, quella con tre stanze. E diamo l’altra a un uomo e alla sua famiglia perché lavorino la terra per noi... e poi dividiamo i profitti. Vivremo da re. Pop — Giocando a dama tutto il giorno, all’ombra. Hm... sembra il paradiso. Sam — Ci sono dei begli alberi che fanno ombra. Ma non ce ne staremo seduti tutto il giorno. Ci so no dei lavori che possiamo fare anche noi... Ho pen sato ad un banchetto di fratta e verdura, vicino alla strada. Lo possiamo costruire facilmente. Pop — E stiamo lì a chiacchierare con la gente che viene... Sam — Tra questo, e quello che ci renderà la fat toria sarà abbastanza per noi due... Pop — Sarebbe bello. Quanto vogliono? Sam — Beh, neanche troppo; dal momento che è un po’ rovinata. Ma non è male. Bisognerà farci dei lavoretti, e, come dico... se riusciamo a trovare un giovanotto con la sua famiglia per lavorare nella fattoria... Pop (insistendo) — Quanto vogliono, Sam? Sam — Duemila cinquecento, pagamento antici pato... Pop — E’ un sacco di soldi. Sam — Non preoccuparti... Sono sicuro di poter cela fare. Pop — Duemila cinquecento? Vorrebbe dire che la mia parte è un po’ di più di mille duecento. (Scuote la testa) Perché mi piglio in giro da me, Sam? Io non ho nemmeno un cristo di un centesimo. Sam — Lascia perdere! In fondo, sono state parec chie le volte che tu mi hai aiutato, in passato... pa recchie volte, Lon. Pop — Lo considererò solo come un prestito... Non voglio l’elemosina. Non lo considererò altro che co me un prestito. Sam — D'accordo, Lon, d’accordo. Pop — Lo pagherò con gli assegni della mia pen sione. Sam — Lo pagherai con i profitti della fattoria. (Con passione) Ah, avrei valuto che tu fossi stato con me a vedere quel posto. Non è altro che un po’ di terra e una costruzione o due... tutto qui... Ma è tutto quello che un uomo può desiderare... E’ una promessa... una meravigliosa promessa. (Con passione) Stare sotto quel cielo, guardando quel pez zo di terra, perdio, e poter dire: è mia! Pop — Nostra. Sam —■ Noi apparteniamo a quella terra. Ed essa appartiene a noi! Oh, sono stanco... ¡Le mie povere ossa. Pop — La berresti una birra con me? Sam — No. Posso prender dell’acqua. Pop — Acqua! Gesù. (Sam va al lavandino e pren de un bicchier d’acqua). Sam — Beh, suppongo che Clara non abbia pia cere di avermi tra i piedi, oggi. Me ne vado. Sai, Lon, da un lato tu sei messo meglio di me. Pop — No. Preferirei vivere in una camera d’al bergo come fai tu, tutto da solo. Sarebbe stato me glio se non avessi avuto figli. Sam (sospira) — Beh, che cosa ci puoi fare? La ruota gira così. Tutti sperano di vivere a lungo, ma nessuno desidera diventar vecchio. I miei tre figli: mi sembra ieri quando li portavo in giro sulle spalle, giocando con loro. Adesso, uno è qua, l’altro è là. (Estrae un portafoglio) Oggi ho ricevuto la fotogra fia di un altro nipotino, Lon. (Porge la foto a Pop) Mi porto dietro una tasca piena di sconosciuti. (Pop restituisce la foto e Sam la ripone nel portafoglio) La mia stessa carne e il mio stesso sangue : estranei. (Perdendosi dietro il filo dei suoi pensieri) Ogni tan to ricevo un assegno... Per il mio compleanno ri cevo qualche regalo... Ma questo è tutto quello che posso far vedere. (Scuote la testa) Vado col pensiero al passato, cerco di ricordare. (Più forte, passando dall’altra parte di Pop) Beh, Lon, è meglio che non ce ne stiamo qui, come una coppia di vecchi spa ventapasseri in un campo. Pop — Sei sicuro che non la berresti una birra con me? Sam — No, grazie. Sai, il guaio è che la gente con sidera la vecchiaia come un delitto. Pop — Questo è il tuo guaio, Sam. Tu pensi ma ledettamente troppo. Sam — E che cosa vuoi che faccia? Che metta le meningi nella naftalina? Penso che il Padreterno ha fatto ogni cosa a rovescio. Perché noi dobbiamo per dere le cose più preziose che possediamo, quando diventiamo vecchi? Capelli, denti... vista? Posso pen sare ad altre parti del mio corpo che preferirei per dere, cose che adesso non adopero... (Ride) Beh, ri cordati quello che t’ho detto a proposito della fat toria, Lon. Pop — Non lo dimentico. Mi piacerebbe un bel giorno alzarmi prima degli altri, far la valigia, se dermi qui ad aspettarli... (Si alza) Poi, alzarmi in piedi, prendere su la mia valigia, dire : « Salve, fi glio... piacere d’averti conosciuto». E poi svolazzar mene via come un uccello. (Ride) Fratello, m’im magino ¡proprio la faccia di Clara, quando dirò così. (Ride forte, molto divertito. Glenn Dennison ha aperto la porta di strada con la sua chiave, men tre Clara scende le scale. Clara s’è cambiata di abito. Floyd Dennison entra. Glenn è un uomo grande e robusto, alto un metro e ottanta. E’ di piacevole aspetto e mostra i segni di una incipiente pancetta. Floyd ha cinquantasstte anni-, è assai stempiato, grìgio di capelli, ed ha una pancia pro minente. In complesso, è un’edizione più vecchia, di Glenn). Glenn — Va’ avanti e accomodati, Floyd. Clara — Floyd. Floyd (deponendo la valigia)— Giara! (L'abbraccia). Clara —• Non sei invecchiato d’un giorno, dall’ul tima volta che t’ho visto. Floyd — Questa è una grossa bugia, e tu lo sai benissimo! (Ridono). Sam (guarda nel soggiorno) — E’ il tuo ragazzo. E’ meglio che me ne vada. Devo venire, stasera? Pop (fa cenno di sì e sì alza) — Floyd! Floyd! (Sam esce). Glenn — E’ Pop che ti chiama... va’ di là a salu tarlo. Floyd — Come sta? Glenn — Te l'ho detto: sta bene. (Floyd passa in cucina. Clara rimane nel soggiorno). Floyd —■ Pop! Pop — Floyd... ragazzo mio. (Essi si fermano e si guardano. Evidentemente, se si fossero incontrati per la strada, non si sarebbero riconosciuti. Gli anni lasciano la loro traccia. Un momento dopo essi hanno superato il loro iniziale imbarazzo. Si abbracciano con calore). Floyd — Stai molto bene, d’aspetto, Pop. Pop — M i sento bene. Braccio di ferro, come face vamo una volta? (Si mette in posa e porge la mano). Floyd — No. Me le daresti. Non sono in forma. Pop — Sono quasi cieco, ma questo posso vederlo anch’io. (Gli dà un buffetto sulla pancia) Che cosa ci porti lì dentro? Il deficit nazionale? Glenn (ride ed entra in cucina) — Questo succede quando si diventa capo. Floyd — Un accidente! Esser caporeparto è un grosso grattacapo. (A Pop) Non so neanche come sia avvenuto. Pop. Mi sono alzato una mattina... e c’era, grossa come adesso. (Si dà una manata sulla pancia). Clara — Vuoi lavarti, Floyd? Floyd — Tra un minuto, Clara. Non vedo Pop da sedici anni. Suzie aveva tre anni. Suzie, dite un po’, dove? Muoio dalla veglia di vedere come se fatta. (Floyd, Pop e Glenn passano nel soggiorno). Clara — E’ disopra. (Va ai piedi della scala). Pop — Quanto tempo hai intenzione di fermarti, Floyd? Floyd (a disagio) — Un paio di giorni... Clara (chiamando) — Suzie! Suzie! Vieni giù... C’è lo zio Floyd. Pop — Un paio di giorni? Sei venuto giù da Chi cago per un paio di giorni? Floyd — Beh, Pop, ho dei pasticci in negozio e devo tornarci subito. La verità è che dovendo an IL PIATTO DI LEGNO dare a Dallas per affari della compagnia, ho pen sato di telegrafare a Glenn che mi sarebbe piaciuto fermarmi qui per un po’. Glenn — Non sei contento di vedere Floyd, anche se è solo per un paio di giorni, Pop? Pop — Sì, ma tu non m’hai mica detto la verità, Floyd. Mi ricordo, quand’eri ragazzo: eri il peg giore dei bugiardi, E un bel birbante, anche. (Siede in poltrona). Floyd — Non sto dicendo bugie, Pop. Non è vero, Glenn? (Siede sul sofà). Glenn — E’ vero, Pop. Te l’avevo detto che ve niva, no? Pop — Ma Clara ha detto... Clara — Lascia perdere quello che ho detto... (Su san è intanto scesa nel soggiorno. Glenn le va in contro). Glenn — Cara, questo è tuo zio Floyd. Penso che non te lo ricorderai... Susan —- No, non lo ricordo. Flello. Floyd (si alza) — Beeene, che mi venga un acci dente! Quando t’ho vista l’ultima volta eri grande così... Adesso, beh, sei proprio una signorina. (L’ab braccia) Parola mia, sei cresciuta. Diciannove anni e una vera donna. Dev’essere il clima. Susan — Grazie. Floyd — E carina, anche. La più carina della fa miglia, te lo dico io... E anch’io ho una figlia. Pop —■ Suzie è la mia bambina. Clara — Suzie, Pop è stato in casa tutto il giorno. Vuoi portarlo a far due passi, da brava? Susan (guarda Clara, poi Glenn interrogativamen te) — Certo. Vieni, Pop. Pop — Voglio parlare un po’ con Floyd! Glenn — Ci sarà tutto il tempo che vorrai... (Susan esce dal soggiorno e passa nella stanza a sinistra, di fronte alla scala). Floyd — Certo, Pop... Più tardi. Pop (si alza; a Floyd) — Abbiamo un mucchio di cose da raccontarci, tu ed io. Come va la famiglia? Floyd — Cresce come erba nella prateria. Jim è in collegio. Peg è sposata. Floyd junior si diploma alla scuola superiore quest’inverno. (Susan ritorna con un cappello di panama, una giacca d’alpaga, e un bastone da passeggio). Pop — Sarà. Strano che non sappia neanche come sono. Susan — Eccoci, Pop. (Lo aiuta ad infilarsi la giacca). Floyd — Quando tornerò a casa ti manderò foto grafie di tutta la banda. Fotografie tipo-famiglia. Susan (mette il cappello a Pop, e lo prende a brac cio) — Fuori per una passeggiata con il mio fidan zato... Glenn — Non camminare troppo in fretta, Suzie. EDMUND MORRIS (Susan conduce Pop nel portico, e Flo-yd li segue). Pop — Abbiamo un sacco di cose da raccontarci, Floyd... Floyd — Certo... (Passano nel cortile). Pop — Ci vedremo tra poco! (Susan e Pop escono. Floyd va al cancello, e segue Pop con lo sguardo, immerso in profondi pensieri. Clara appende la giac ca di Floyd nell’entrata). Clara — Ha detto niente, Floyd, lungo la strada? Glenn — Credeva che il vecchio stesse male. Hi’ un po’: che cosa diavolo hai scritto in quel tele gramma? Clara — Che era cosa urgente. Altrimenti non sa rebbe venuto. Glenn — Ma che cosa hai scritto, insomma? Clara — E che cosa importa? In fondo, è una cosa urgente. La barca sta affondando, ma a nessuno importa se si salverà o no. Glenn — Lo so, cara. Lo odio per aver pensato che io d guadagni sopra. (Floyd sale i gradini del portico). Clara — Chi dovrebbe prenderselo addosso Pop? Floyd fa più soldi di te. (Floyd entra in cucina, e passa poi nel soggiorno). Glenn — Hai ragione. E’ «suo» padre, anche. Floyd — Dio onnipotente, Pop è invecchiato ter ribilmente. Non l’avTei mai riconosciuto. Sembra uno spaventapasseri... Glenn — Beh, è vecchio: settantanove o ottanta, credo. Clara — Forse di più. Neppure lui sa quanti an ni ha. Floyd (siede sul sofà) — Non mi sarei mai aspet tato che fosse così duro diventar vecchi. Glenn — L’abbiamo mandato fuori a far due passi con Suzie, così possiamo star soli e parlare un po’. Hai detto che avevi fretta di tornare a casa. Floyd — Certo, certo.. Glenn — La bevi una birra ghiacciata? Floyd — Okay. Glenn — Due bicchieri, Clara. Clara — Bene. (Clara va al frigorifero, prende due bottigliette di birra, le apre e versa la birra in due bicchieri) Ti stai ancora mangiando il fegato per quel telegramma, Floyd? Floyd — E’ stato uno scherzo da prete... Credevo che il vecchio fosse grave. (Clara porta i bicchieri di birra nel soggiorno, ne porge uno a Floyd e uno a Glenn) Non avresti potuto scegliere un momento peggiore, per me. Clara — Sono stata con questo vecchio addosso per anni. Non sono stata lì a scegliere il momento. Floyd — Su dalle mie parti, tira aria di sciopero. E Bassett, il padrone, ha detto che tiene per re sponsabili i capireparto, se ne avviene uno. E’ per questo che il telegramma m’ha preso in un momen to sbagliato. Clara —■ Come facevamo a saperlo? (Porge la birra a Floyd e si siede sullo sgabello del piano>forte). Floyd — Va bene: non dico che voi ne abbiate colpa. Ma se tu non me ne avessi fatta una que stione di vita o di morte, avrei aspettato una setti mana o due, e poi sarei venuto. Clara — Ah sì? E allora, perché non ti sei mai fatto vedere in sedici anni? Floyd — Mai avuta la possibilità. C’era sempre qualcosa. (Cambiando) Senti, Clara; io non ho fatto mille cinquecento miglia per litigare con te. Se avessi voluto starmene a cara, avrei trovata una buona scusa, Nora ci sa fare, lo sai. Glenn — Sta’ tranquillo. Ti lasciamo andare ai più presto. Floyd — Vieni al fatto. Che cose che vuoi da me? Clara — Stiamo per mettere Pop in un ospizio, qui in città. Bel posto. Floyd — Glenn me l’ha detto. E poi? Io cosa centro? Clara — Sei suo figlio, no? Floyd — E chi dice niente? Che cose che vuoi? Vieni al sodo. Glenn — Ci vogliono saldi. Floyd — Obhhh! Quanto? Clara — Se tutti i figli di Pop ci si fossero messi sarebbe stato facile. Ma dal momento che gli altri non hanno mai risposto alle nostre lettere... ci co sterà dieci dollari ala settimana a te, e dieci dol lari ala settimana a noi... Floyd (con ira) — Dieci alla settimana? Vuol dire cinquecentoventi all’anno! Dio del cielo! Non posso farlo. Senti, la vita al Nord costa il doppio che qui, lo sai. Non posso. Non posso proprio! Clara (con ira) — T ’aspetti che si paghi noi tutto? Floyd — Non ho detto questo. Io non so che cosa voi possiate spendere... Clara — Beh, tuo fratello guadagna cinquanta dollari alla settimana. Glenn (imbarazzato) — Clara, per piacere... Floyd (estrae un sigaro dalla tasca, e lo morde ad wn'estremità) — Avresti dovuto scrivermi. Avrei po tuto dirvi... Clara — Avresti potuto dirci no. Floyd — A che cosa serve discutere? Non posso permettermela, questa spesa. Cinque, forse... Ma dieci... Glenn — Puoi farcela, se vuoi... Floyd — No. Devo anche metter da parte qual cosa per il domani. Glenn — Stiamo parlando del domani di Pop, non del tuo. Floyd — Non ha la pensione? Glenn — Pensione di Stato: tredici dollari e set- tantacinque centesimi il mese. Clara — Bella roba. Floyd — Ma come pensano che la gente possa viverci? Clara — E chi dice che debbano vivere? Glenn — Non dir sciocchezze. Floyd, tra la pen sione e i nostri venti dollari alla settimana, possiamo mantenere Pop per il resto della sua vita. Non so quanto a lungo vivrà, ancora, ma... Floyd (calcolando rapidamente a mente) — Tre dici, venti, fa ottanta; no, novantatré e settantacin- que ad mese... Novantatré e sattantacinque per al loggiare e nutrire un vecchio che non mangia più di un bambino? Glenn — E’ il più a buon prezzo. Floyd — Mandatelo al ricovero di Stato. Glenn — Per carità... Floyd — E perché no? Non li bastonano mica, no? Glenn — Non potrei. Non potrei proprio. Floyd — E perché no? Non farmi la parte del grande. Guadagni solo cinquanta pidocchi di dollari alla settimana. Glenn (schermendosi) — Ne ho fatti di più du rante la guerra. Floyd — La guerra è finita; puoi impegnare le me daglie. Glenn — Non lo prenderebbero neppure, Pop, al ricovero di Stato. Ha figli. Bisogna esser proprio a terra sul serio, prima che ti prendano, là. Bisogna anche far giuramento di povertà, credo. Floyd — E lui, che cosa cristo è, un milionario? Glenn — Ha figli, una figlia. Io ho la mia casa. E anche tu! Floyd — Non del tutto. Glenn — Quello di Stato è Floyd. Clara — L’unico posto dove possiamo mandarlo è l’Alamo, l’«Ottavo Cielo per i vecchi». Floyd — Nome fantasia. Glenn — E allora, Floyd? Floyd — Senti; aumenterò a sette. Di più non posso. Lui sta bene qui. Lasciatelo qui. (Giara si alza) Vi manderò ugualmente sette dollari alla set timana. Clara (a Floyd) — Aspetta un minuto, mister Dennison. Sono stata sacrificata con il vecchio da quando mi sono sposata. Non ho mai potuto diver tirmi, da quando ho sposato Glenn, neppure un giorno. Tu te ne sei stato su, al Nord, senza mai darti pensiero di quello che stavamo passando con Pop. É’ ammalato, ha l'asma. Te ne importa niente? Bisogna stargli dietro, curarlo, sorvegliarlo. Tu sarai così generoso da portartelo a Chicago con te. Floyd — Un inverno a Chicago lo ucciderebbe. fuori discussione, IL PIATTO DI LEGNO Clara •—■ Puoi trovare scuse. Puoi cercar di svi gnartela, dal curarti un po’ di lui... Glenn — Clara, piàntala. Clara — Perché non volete capire? Non ce la faccio più. Non ce la faccio proprio. Diciassette anni, di ’sta roba. Avevo l’età di Suzie, quando è venuto a vivere qui. Avevo allevata Suzie, ma ho dovuto ancora curarmi di lui peggio che di un lattante. Guardatemi. Ho trentasette anni. Avrò pure un qualche diritto di viver la mia vita. Se non comincio a vivere ora... (Siede in poltrona. Clara piange. Glenn e Floyd si guardano, a disagio. Pausa.). Floyd — Va bene... Va bene... i(St alza). Glenn — Sei d’accordo? Floyd — Per tutto il tempo che passo. La setti mana prossima potrei essere senza lavoro anch’io. Ho ónquantasette anni. Chi mi aiuterà? Chi mi darà un impiego, quando sarò a spasso? Glenn — Sarai a posto, Floyd. Floyd — La pensavo anch’io così, quando avevo trentadnque anni. La vincerò ’sta partita, dicevo... poi. (Sospira) Non sono più così sicuro, ora. In tutte le riviste c’è scritto : « Metti via qualcosa per la vecchiaia». Diavolo; ho rimediato una polizza d’assicurazione; solo che devo morire, prima di po terla riscuotere. Glenn — Ho dovuto lasciar perdere la mia, dopo la guerra. Floyd (siede sul sofà) — Ogni cristo di anno qual che cosa di nuovo. Conti, conti, conti. Mi porto avanti un mese, e mi prendo indietro il mese dopo. Glenn — Lo so anch’io come... Floyd (con emozione) — M i vergogno di me stesso. Discutere di soldi per dar da vivere a mio padre. M i vergogno... Ma non posso farci niente. Glenn (va al sofà, e si siede su uno dei braccioli. Mette una mano sulla spalla di Floyd) — Floyd, nessuno ti biasima. Floyd — Spero che quando anch’io sarò vecchio e privo di aiuto, qualcuno mi pigli a calci come un cane! (Estrae il fazzoletto e si soffia il naso). Clara — Chiamo l’ospizio e dico al signor Forsy- the di venir stasera con le carte. Floyd — Sì, sì, sarebbe meglio. Io devo tornare a casa. (Clara prende la rubrica del telefono e cerca il numero). Glenn — Non devi pensar male di Clara. E’ gio vane. Vuole godersi un po’ la vita. E’ stata piuttosto dura per lei, fin qui. Floyd — Povero Pop. Scommetto che non se lo sarebbe mai aspettato, di arrivare a questo punto. Glenn — Io non posso dirglielo, Floyd. Lo ucci derebbe. EDMUND MORRIS Floyd — Vuoi dire che non sa ancora che deve andar via? Glenn — Non ho avuto il coraggio di dirglielo. Clara — Io glie l’ho detto. Glenn — Non dovevi. Clara —• Crede che faccia per farlo arrabbiare. Glenn — Ho tentato di dirglielo. Ma io non posso! Aiutami a dirglielo. Aiutami a spiegargli. Floyd — Proverò, ma non sarà facile! (Va al piano) Ti ricordi che pezzo d’uomo era? Quando aveva bevuto avrebbe potuto battere i due uomini più forti ch’io abbia mai conosciuto... perché era un campione nel raccontar storie. Glenn — Mi ricordo. Floyd — Racconta ancora tutte le sue storie sul Fort Alamo? Glenn — Dalla mattina alla sera. (Susan e Pop entrano. Attraversano il cortile). Floyd — Un bel tipo, Pop. Non credo d’averlo mai conosciuto per davvero. (Si volge verso la cu cina mentre Pop e Susan salgono gli scalini del portico. Clara ha nel frattempo trovato il numero e comincia a comporlo. Glenn s avvicina a Floyd e indica Pop) Guardalo. (Glenn si alza. Floyd si libera d’un nodo alla gola; poi, con emozione) Come se fatto vecchio! (Riflettendo e considerando anche se stesso) Mio Dio! Dov’è fuggito il tempo? (Nel medesimo ambiente, più tardi, in quello stesso giorno. All'alzarsi del sipario, una tavola da gioco è stata disposta nel soggiorno, avanti a destra. Glenn, Floyd e Ed Mason sono seduti attorno alla tavola e giocano a carte. In cucina Pop e Som stanno gio cando a dama. Susan è al lavandino, e sta termi nando di lavare i piatti. Pop fuma la pipa con evi dente piacere. L’armonica prende a suonare fuori scena, in tono minore). Floyd (porgendo orecchio alla musica) — E’ la radio? Glenn — No. E’ Jim Bockser, della porta ap presso. Floyd — Suona bene davvero. Glenn — Sì. Sa suonare anche con un pettine foderato di cartavelina. Pop (finalmente muove la pedina) — Oh! Sam —• Era ora! {Studia attentamente la scacchiera). Ed (guardando le carte che Glenn gli ha distri buite) — Fio sempre pensato di venirmene al Nord, fin da quando sono stato congedato. Ma in un modo o nell’altro, non ne ho mai fatto niente. Floyd — Resta dove sei, Ed. Ed -j— Son mica tutte rose e fiori, qui. Uno sgobba ma non riesce mai a mettere in piedi una paga de cente. Glenn — Io sto bene qui. Ed — Tu non sei mai stato in nessun posto. Io sono stato in giro. Europa. Sam (muove, ma rimane con la mano sopra il pezzo) — Hm... Lascia vedere un po’. Pop —- Beh, vuoi startene con la mano su quel coso tutto il giorno? Sam — Lasciami fare con calma, Lon. Ed —■ Andiamocene fuori in qualche posto, dopo. Ti meraviglierai, vedendo come cambiata questa città, Floyd. (Floyd fa un cenno con la testa, e indica le carte, come a dire di non disturbarlo. Pop si alza ed esce nel portico, in fondo, e chiama). Pop — Di’ Bockser, suoni il mio pezzo preferito... eh? (La musica s’arresta un attimo, e poi si ode un canto popolare, assai diffuso all’inizio del se colo) Va bene. Grazie. (Ritorna in cucina. Siede e osserva la scacchiera. Poi muove, ma rimane con il dito sul pezzo, come prima ha fatto Sam) Firn. Lascia vedere. Sam — Beh? Pop — Io ho aspettato per te, adesso, tu aspetti per me. (Pop succhia la pipa, gira attorno lo sguardo pensosamente, osserva la situazione sulla scacchiera). Sam (con voce più bassa) — Ho combinato per an dare a vedere quel posto vicino a Fredricksburg, lunedì. Un tizio che conosco all’albergo ci porta con la macchina... Pop — Parla pure! Non m’importa mica se Suzie ci sente. Susan (si volta) —- Parli con me, Pop? Pop —■ No, cara. Sam — Non vorrei che ci sentissero. Pop — Di che cosa hai paura? Sam — Non vorrei crearti dei pasticci. Pop —- Pasticci? Sarebbero così felici di liberarsi di me, che arderebbero ceri per delle settimane. Lu nedì, hai detto? Bene. E’ un secolo che non vado fuori di città. Sam — Benissimo. Sono curioso di vedere se il posto ti piace. Pop — Se mi piace? (Ride) Farei subito un con tratto a lunga scadenza con l’inferno, perché mi ci lascino in quel posto. E senza promozioni... Glenn — Dite un po’. Quanti dieci ci sono fuori? Ed — E chi lo sa? Io sto cercando un disgraziato di fante. Sam — E allora, muovi? Pop — Se tu seguiti a farmi fretta, va tutto a monte, Sam. La dama è un gioco di strategia. Sam — Muovi, Lon, muovi. (Pop finalmente muo ve, Sam gli mangia due o tre pezzi e Pop lo guarda sorpreso). Ed (mostrando le sue carte) — Beh, questo è rum- niy, ragazzi. Floyd — Hm, m’hai preso con un sacco di figure: trentotto punti. (Si alza e va alla finestra). Glenn — Da me ti vengono due punti. (Mette giù un « due », ghignando. Ed, segna i punti su un notes, mescola le carte e le distribuisce). Floyd —• Darei una settimana di paga, per sapere cosa succede al negozio. Glenn — Andrà tutto bene. Ed — Preoccuparsi non ha mai risolto nulla. Floyd — Non ci posso far niente. Un uomo non passa trentacinque anni della sua vita in un posto, per niente... Ed {fischia) — Diavolo, io non potrei stare tren tacinque anni con una donna... figurati con un pa drone. (Glenn e Floyd ridono). Floyd — Quando hai famiglia non hai tanto tempo d’andare a zonzo. Ed —■ Lo so... E’ per questo che io non ho impicci e che non voglio averne. Glenn — Ah, vedrai che una donna finirà con l’intrappolare anche te. Ed — Me, no di certo. E perché diavolo? Sgobbi e te li sopporti. T ’arrivano marmocchi, e che cosa diavolo ci guadagni? Guarda in cucina: lì c’è la risposta. Tirano su una famiglia e che cosa ne hanno? Glenn {a disagio) — Da’ le carte, Ed, e piantala di parlare tanto. Ed (distribuisce le carte) — E’ tutta una trappola, ecco cosa voglio dire. Floyd (siede alla, tavola) — Non ho niente da ribattere. Così va il mondo. Tu vai con lui, e devi giocare secondo le carte che hai. Ed •— Sentite il filosofo! Glenn — Ma sei asfissiante, stasera, Ed. (Ed alza le spalle. Clara scende la scala. E’ vestita con il suo abito migliore. L’acconciatura è recente. E’ piena di vita. Accende la luce). Ed (vede Clara, non appena essa entra) — Ohei, guardate un po’? (Fischia) Ehi... ragazzi! Questa sì che è una carrozzeria di lusso. Clara (lusingata, ma affettando modestia) — Smet tila, Ed. Glenn — Stai molto bene, cara. Floyd — Giara è meglio adesso di quando l’hai sposata. Clara — Non può mica, una, vestirsi un po’ bene una volta tanto? (Va alla radio e l’accende. Si ode uno swing) Nessuno vuol ballare? (Essa accenna ad alcuni passi di danza, da sola, come avrà visto fare in qualche film). Ed (fa per alzarsi) — Beh... Glenn — Sta’ seduto e finisci la mano, Ed. Ed (guarda Clara, scusandosi) —• Un’altra volta, Ginger... IL PIATTO DI LEGNO Clara — E’ tanto di quel tempo che non ballo... Sabato prossimo saremo liberi. Glenn mi porterà al Casinò e balleremo fino all’alba. Non è vero, Glenn? Glenn —- Sì, sì, la settimana prossima. Clara — Potresti essere un pochino più entu siasta. Glenn —• Sono mica un ballerino, io. Clara — Allora ne troverò uno che lo è... Glenn —• Va bene, va bene. Clara (adirata con Glenn, spegnz la radio. Passa in cucina e accende la luce. Vede Pop che sta fu mando, è sul punto di sgridarlo, si contiene, e poi, più calma) — Pop, hai fumato troppo, oggi. Pop — A me non pare. (Pop non presta atten zione a Clara; Sam gli soffia ancora qualche cosa. Pop versa il contenuto della pipa sul pavimento) Ac cidenti! Clara — T ’ho detto di finirla con questa storia. Non sei mica al bar. Pop — Magari ci fossi. (Ridacchia., stridulo. Clara passa nel soggiorno e siede sul sofà. Pop tocca Sam con il gomito) Penso d’averle fatto capire di an darsene. (Bessie entra correndo da dietro la casa. Durante la corsa s’aggiusta i capelli. Come giunge nel portico comincia a ripetere : « Floyd, Floyd ». Porto il vestito di Clara, tanto per avere una scusa per la visita. Entra in cucina e si precipita nel sog giorno). Bessie — Floyd! Floyd Dennison. (Guarda Floyd, e la sua voce cala un po’, mentre una certa qual delusione compare sul suo viso. Ma è cosa di un mmnento, perché Bessie è una donna entusiasta. Floyd intanto si è alzato. Egli non la riconosce, e Clara s’è dimenticata di parlargliene). Floyd — Ideilo. Bessie — Non sei cambiato molto. Te la ricordi, quella notte del concerto della banda? Floyd (poco convinto) — Sì, certo. Bessie — Scommetto che te Feri dimenticata... Non ci bai mai pensato. Floyd — Sicuro che ci ho pensato. Tu sei... ah... Clara — Bessie... Bessie Bockser! Floyd (entusiasticamente) — Ma certo! Bessie —- Sei un bugiardo, Floyd Dennison. Que sto è il mio nome da sposata! Floyd — Ma sei sempre Bessie, dunque, Bessie... Bessie — Vaughan! Floyd (ancora nelle tenebre) — Vaughan. Bessie Vaughan. Sicuro, come va? Bessie (a Clara) — Non glielo hai detto? Clara —■ No. Mi sono dimenticata. Bessie — Ecco il tuo vestito. (Porge il vestito a Clara. Pausa) Non si ricorda di me. Non se ne ricorda. EDMUND MORRIS Clara — Ma sì, che si ricorda. E’ passato tanto tempo, e Floyd è stanco per il viaggio. Bessie [scuote la testa) — No. E’ inutile che tenti di farmelo credere. Non se lo ricorda... Floyd .— Ma certo, che mi ricordo... Bessie — No! (Esce dal soggiorno ed entra in cu cina. Floyd alza le spalle e siede). Floyd — Io so niente! Chi è? Clara — Una tua vecchia fiamma. (Floyd alza le spalle). Ed — Tu, vecchio rubacuori! (Bessie s’avvia verso la porta del portico; gli altri ridono). Floyd — Mi spiace... ridete pure... io non me la ricordo! Sam — Qualcosa che non va? Bessie — Niente. Tutto bene. Solamente che io sono una vecchia stupida; è tutto qui! (Esce. Clara prende il vestito e va di sopra. Un momento dopo si ode il campanello. Glenn si alza, apre la porta, e introduce Janey Stewart). Glenn — Flello, Janey. (Indica la cucina). Janey — Buona sera, signor Dennison. (Janey passa in cucina. Janey ha diciott’anni, è una ragazza sem plice, che usa il rossetto, ma che ne adopera troppo. Indossa un semplice abito estivo) Ehi, Suzie. Susan — Ffello. Ed — Forza, ragazzi; su con lo spirito; giochiamoci questo piatto a poker. (Glenn e Floyd scuotono la testa in segno di diniego. Ed alza le spalle, senza prendersela). Glenn — No, stesso gioco, stesso gioco. Io sono indietro. Janey — Ehi, non sei ancora pronta? Susan i(prende uno strofinaccio e s’asciuga le mani) —-Un minuto. Janey — Voglio vedere tutti e due i film. Susan — Ce tutto il tempo che vuoi. Janey (petulante) — Tutte le volte corro, e finisco sempre con l’aspettare. Susan — Oh, Janey. Janey — Sembra che tu abbia visite. Susan — Sì. E’ arrivato mio zio Floyd, da Chi cago. (Entra nel soggiorno) Vado al cinema con Janey, papà. Glenn — Va bene, piccola, non far tardi. Janey — Muoviti, capito? Ho dovuto promettere che sarei passata da casa appena uscita dal cinema. Cosa te ne pare? (Janey e Susan escono). Glenn — Penso che possiamo cominciare un’altra partita. Sam — Beh, Lon, va’ avanti e muovi. Sei stato seduto davanti a quella scacchiera come una gal lina che cova. Pop — Ho dovuto pensare. Sam — Non pensare; gioca. (Campanello. Clara scende le scale). Clara — Sarà il signor Farsythe. Dobbiamo por tar Pop di sopra. Altrimenti farà una scena. Glenn — Penso anch’io. (Entra in cucina. Clara apre la. porta e introduce Eorsythe). Clara — S’accomodi. Forsythe — Grazie. (Il signor James Eorsythe, sovrcdntendente delVAlmno, ì’« Ottengo Cielo per i Vecchi», è un uomo grande e grosso, intorno alla cìnquanthm; chiassoso, pieno di allegria e di cordia lità. Organizzatore, esecutore, direttore e galoppino : il tutto in un solo grosso pacco. Indossa un abito marrone, porta un cappello grigio floscio, e una lucente cartella di pelle). Clara (accompagnandolo nel soggiorno) — Signor Forsythe questo è mio cognato Floyd e questo è. un amico di famiglia, Ed Mason. Mio marito sarà qui a momenti. (Strette di mano e saluti. A For sythe) Prego, s’accomodi. Forsythe — Grazie. Floyd — Oh, il signor Forsythe, per l’ospizio. Clara — Sst. (Indica Pop in cucina. Clara offre a Forsythe una sigaretta. Egli siede sul sofà, e Clara si siede vicino a lui). Glenn — Pop, mi dispiace, ma devo interrom pere la tua partita. Abbiamo visite e dobbiamo par lare d’aiffari. Pop — Cammina, parla pure... Non me ne importa proprio niente. Glenn — E’ ora d’andare a letto, in ogni caso. Finirai la partita domani. Sam (si alza) — Basta così, per oggi, Lon. Pop — Stavo anche vincendo, stavo. Glenn — Lasceremo stare la scacchiera così... (Sam va alla porta del soggiorno). Forsythe — Signor Dennison, ho sentito da sua cognata che lei viene da Chicago. Floyd — Precisamente. Forsythe — Ci sono stato durante l’ultima As semblea presidenziale... Magnifica città. Floyd — Mica male. Sam — Glenn, se non le dispiace, vorrei parlarle. Glenn — Ho da fare, in questo momento. Do mani. Sam — E’ una cosa che riguarda lei. Devo par larle. Glenn (vedendo l’espressione seria di Sam) — Va bene. Ma non potrò fermarmi molto. Floyd, vieni qui un minuto. (Floyd si alza e passa in cucina) Accompagna Pop disopra. Devo parlare al signor Yaeger. Floyd — Okay. Vieni, Pop. Andiamo su. Pop — Al diavolo! Sempre trattarmi come se fossi un accidente di lattante. Sam —• Ci vediamo domani, Lon. (Esce nel por tico). Pop (chiamandolo) — Meglio venir presto e finir la partita. (A Floyd) Non spingermi. Adesso vengo. (Floyd accompagna Pop attraverso il soggiorno. Pop guarda Forsythe, poi dice a Floyd) Chi è, quello lì? Sembra un repubblicano del diavolo. Forsythe (ride) — No, signore. Mentre aspet tiamo suo marito, vorrei farie vedere qualche cosa, signora Denniso-n. {Floyd e Pop vanno di sopra). Clara — Grazie, con piacere. (Glenn ha raggiunto Sam nel portico). Glenn — Beh, che cosa vuole, Sam? Sam (con premura) — Non lo faccia, Glenn. Non lo faccia! Glenn — Cosa? Di che cosa sta parlando? Sam — Non lo mandi in quell’ospizio. Glenn — Oh... Sam — Io sono un estraneo, ima la prego, non lo faccia. Ho riconosciuto quell’uomo vestito in .mar rone. Pop non resisterebbe un ¡mese, là dentro. Quel posto lo ucciderebbe. Glenn — Non è poi così male. Sam — Glenn, lei non può condannare suo padre a starsene lì seduto un giorno dopo l’altro, aspet tando la morte. Glenn (scosso) — Ma sarà tra quelli della sua stessa età. (Floyd è sceso nel soggiorno. Forsythe sta facendo passare un album di fotografie e di fogli scritti). Clara (si alza) — Faccia vedere le fotografie a mio cognato, signor Forsythe. (Forsythe passa l’album a Floyd. Clara entra in cucina). Sam — E’ tra i suoi, qui. In mezzo ai suoi figli la vita ha ancora ¡un significato, per lui. Glenn — Ho fatto del mio meglio per tenerlo qui, Sam. Non posso farci niente. Sam (con mnarezza) — Non pensa al male che gli farà Tesser portato via di qui? Glenn — Ne abbiamo parlato. E’ per il suo bene. Sam — Come può condannare a ¡morte suo padre e star qui a dire che è per il suo bene? Glenn — Non so cosa dire. Non so. Clara — Glenn! Glenn — Un momento, Clara. (Clara è agitata. Ritorna nel soggiorno, irritata) Che cosa vuol che faccia, Sam? Lei non è un’estraneo in questa ¡casa. Lei sa che cosa succede qui. Ne parleremo un’altra volta. (Fa per andare, Som lo afferra per la camicia e lo trattiene). Sam — Lei ¡deve ascoltarmi, Glenn. Bisogna che io le faccia vedere. Glenn — Io devo andare. (Va alla porta) Lei non capisce, Sam. Sam — No? Io so che non è giusto, proprio non è giusto fare una cosa simile. Non può un uomo IL PIATTO DI LEGNO finire così! Dobbiamo pur esser destinati a qual cosa di meglio! Forsythe — Avrei un’altra visita da fare, dopo... Clara — Scusi, signor Forsythe. Solo un minuto. (Semi è commosso fino alle lacrime e nasconde il suo viso alla vista di Glenn, che è fermo vicino alla porta). ■Sam — Vada pure, Glenn, vada dentro. Le dirà lui, che luogo meraviglioso è il ricovero. Glielo dirà. Per un dollaro le dirà qualsiasi cosa. (Curvo per il dolore, Sann esce, desolato e vinto. Glenn, com mosso da quella preghiera di Sam per un altro, entra in cucina, spegne la luce, passa nel soggiorno e va a sedersi sul sofà). Clara (ironica) — Che momento lungo! Glenn — M i spiace. Clara — Questo è mio marito, signor Forsythe. Glenn — Mi spiace d’averla fatta aspettare. Forsythe — Non importa. Ho fatto passare al cune fotografie, intanto e qualche dichiarazione di personalità che hanno visitato la nostra piccola Casa. {Cerca nella borsa) E i contratti da ¡firmare, anche. Ed — Saranno a posto, naturalmente. Forsythe (sorride) — Bisogna che lo siano. Se queste cose non le si trattano come affari, è tutto finito. Vorrei invitarvi a fare una visita alla Casa, una specie di giro d’ispezione, ma... beh... sa; i vecchi restano un po’ scossi a vedere gente giovane. Dicono delle -cose... Floyd — Come mai i vostri prezzi sono così alti? Forsythe — Lo stavo appunto spiegando a sua co gnata, al telefono. Beh, in poche parole, la nostra è ancora la Casa più ragionevole, ma i prezzi dei generi alimentari e di quelli di comodo sono andati su, lei lo sa... ¡ci sono stipendi da pagare. Per esem pio, noi -teniamo un dottore con -un ¡contratto an nuale. Viene due volte al -giorno, anche di più quando c’è qualcosa d’urgente. Bravo dottore. Un ufficiale superiore. Colonnello Wilkins. Ed — Le uniche cose che un ¡dottore delfesercito sappia curare sono i -calli ¡degli atleti. Forsythe (guarda Ed, sorpreso) — Beh, io non lo direi. Voi giovanotti, che venite fuori 'dall’esercito, siete scettici in un sacco -di cose. Ed — Questa è una sciocchezza, mister. Forsythe (deciso ad ignorarlo) — L’O. C... Ed — Oci? Forsythe — Vuol dire « L’Ottavo Cielo per i vecchi». (Ride) Beh, siamo in passivo... Floyd — Passivo? Forsyttje — ... l’organizzazione è diretta da un consiglio d’amministrazio-ne che include alcuni pezzi grossi... Sissignori. (Si alza) Il nostro principale pro blema riguarda i vecchi. E’ un -problema ohe bisogna saper vagliare: forse è il -più arduo della -nostra EDMUND MORRIS società, dopo le tasse troppo alte, naturalmente. (Ride della sua battuta. Sospira) L’età porta dei cam biamenti, fisici e psichici. Alcuni dei nostri vecchi non hanno tutte le loro... ehm... come si può dire? Tutte le loro... Ed — Rotelle? Forsythe (ride di cuore) — Ma noi facciamo il possibile anche per loro. Per davvero. Il loro be nessere ed il loro conforto sono la nostra prima e la nostra ultima preoccupazione. Floyd — Hmmm. Ma non ci ha ancora detto come mai i prezzi sono così alti. Forsythe (si guarda attorno, ingenuamente) — Credevo d’aver dato una spiegazione esauriente... Clara (in fretta) — Signor Forsythe, faccia ve dere a mio marito le fotografie di prima. (Forsythe estrae l’album dalla borsa, e lo porge a Glenn; de scrìve poi le foto da dietro le spalle di Glenn. Glenn. ancora ripensa alle parole di Sam, e non presta at tenzione alla chiacchierata di Forsythe). Forsythe — Con piacere. Questo è il refettorio... ehm... la sala da pranzo... Le stanzette individuali. Qui il dormitorio... ehm... Le sale di ricreazione e il piano terreno. Clara — Non è un bel posto, Glenn? Forsythe (con entusiasmo) — Bellissimo. Abbiamo fatto del nostro meglio... per dare ad una comunità così bella un’istituzione come... Ed — Quant’è distante dal cimitero? Forsythe —■ Oh, circa mezzo... Dica un po’ gio vanotto: sta pigliandomi per il naso? Ed — Se lo cacci in tasca, il naso. Clara (seccata dalla scarsa attenzione di Glenn) — Guarda le foto, Glenn. Glenn (improvvisamente) — E’ una catapecchia... una miserabile catapecchia in rovina. Forsythe (stupito per questa esplosione) — Chiedo scusa, signore... Glenn (si alza, afferra le fotografie) — Non le ho guardate, queste foto. Non le ho neppure guar date. Sono stato là, l’altra settimana, col camion... quando me ne hai parlato. Il posto è una porcheria... Non ci somiglia nemmeno, a questa roba... (In dica le fotografie). Forsythe — Lasci che le spieghi. Voglio ammet tere che queste foto siano state prese qualche tempo fa. Il terreno può darsi che sia un po’ in disordine, ora... La casa ha bisogno d’una mano di colore, può darsi. Glielo concedo. Ma abbiamo rimodernato l’interno da cima a fondo, e questo è l’importante, sissignore. Posso mostrarle i nostri conti. Glenn (siede, con ira) — Non mi interessano i vostri conti! Forsythe (l'attivo uomo d’affari estrae con largo gesto dalla cartella, un fascio di conti) — Eccoci... con tutti i dettagli. Ogni centesimo speso, e come... Glenn (con ira) — Le ho detto che non m’interes sano. Clara — Lascia che te li faccia vedere! Glenn (a Floyd) — Avresti dovuto vederlo, quel posto. Clara —■ E che cosa t’aspettavi? Il Waldorf Asto ria? Glenn —■ Non posso fare una cosa simile! Sono stato un pazzo a pensare di poterla fare! Floyd — Senti un po’, Glenn. Io credevo che tutto fosse deciso. Glenn —• No! No! Non posso, non posso proprio! (Rende le foto a Forsythe). Forsythe — Io non sono un piazzista, signor Den- nison. Non vado di porta in porta. Quando sua moglie mi ha chiamato, ha detto... Glenn — So che cosa ha detto. M i spiace d’averle fatto perder tempo. Tutto quest’affare non mi va. Puzza. Mi fa nausea! Non posso mandar via mio padre. Non posso. Forsythe — Dipende solo da lei. Io non devo for zare nessuno. Le ho detto che ho un posto libero. Domani può darsi che sia già tardi. (Rimette via ì conti e le fotografie). Floyd — Si può sapere perché diavolo m’avete fatto venire? Glenn — Non riesco a capire che cosa m’ha fatto acconsentire a tutto questo. Dovevo esser fuori di me. Clara — Aspetta un momento. Ascolta bene, Glenn Dennison. Ne ho abbastanza di questo ammettere e disdire. Glenn (sì alza) — Clara, per l’amor di Dio... Clara — L’ho sopportato finché sono stata capace. Me ne vado via da questa casa. Ti pianto, Glenn, sul serio, e non sto scherzando... ci sono tre testi moni a sentirmi. Sono stufa! Ne ho fin sopra i ca pelli. Stacci tu a casa, a curar tuo padre: dagli la colazione e il pranzo, ed anche la cena. Sta’ qui a sentirlo finché ti viene una testa così. Tu non puoi farlo, è certo, ma nemmeno io! Sono stufa! Glenn — Clara... Clara (cercando di trattenere le lacrime che le gonfiano gli occhi dalla rabbia) — Te lo dico chiaro: se il vecchio non è fuori di qui per domani sera... non mi vedrai più. Sono nauseata, ormai, di tutto questo! Nauseata! (Corre su per le scale). Glenn (va ai piedi delle scale e chiama) — Clara! Clara! Torna indietro subito... Capito? Forsythe — Beh, io devo andarmene. (Porge la mano a Floyd) Piacere d’averla conosciuta. Mi di spiace che la cosa sia andata così. Floyd (stringendogli la mano) — Spiace anche a me. Glenn (avvicinandosi a Forsythe) — Mi dispiace per quello che è successo. Io non m’aspetto che lei comprenda. Forsythe — Ma certo, ragazzo mio; capisco be nissimo. Glenn — Mi lasci un giorno o due per pensarci. Non le farò perdere altro tempo. Le saprò dire o sì o no. Forsythe — D’accordo. Le lascerò i contratti... nel caso che sia sì. (Porge a Glenn i contratti) C’è già scritto il suo nome. Li riempia, in caso che decida di sì. Glenn — Va bene. Forsythe (esita, e la maschera del jazzista cade per un istante) — Buonanotte. Glenn e Floyd — Buonanotte. (Forsythe esce). Floyd — Cosa pensi di decidere in un paio di giorni? Glenn — Non lo so. Debbo pensarci. Ho bisogno di tempo. (Siede sul sofà). Floyd —■ Io non posso rimanermene qui finché tu hai finito tutto questo tuo pensare. Me ne vado domani pomeriggio. Glenn (disperato) — Non so cosa fare. Aiutami Floyd. Floyd — Mi sembra che tu non abbia altra scelta che mandare via Pop. Glenn — Non è giusto. Io lo sento. Perché non vuoi capirlo anche tu? Floyd —• E che cosa te ne verrebbe? Se dico che lo capisco anch’io... Che cosa ci guadagni? Clara fa sul serio. Glenn — Lo so... lo so... Floyd — Beh! [Alza le spalle). Glenn (si alza) — Andrò a parlarle. Devo riuscire a farle capire. (Floyd si alza. Glenn va di sopra. Floyd sopra pensiero rimuove la fascetta da un si garo. Pausa). Ed (raccogliendo le carte) — Che cosa ne dici di una partita di due mani? Floyd — Okay. (Siedono alla tavola da gioco, ed Ed comincia a distribuire). Ed — Certo che è grama. Floyd — Puoi dirlo. (Cominciano a mettere a posto le carte, quando Pop scende di corsa le scale e si avvicina a Floyd), Pop — Che cosa sta succedendo? Clara è disopra che strilla come un bambino... Glenn sembra che stia per accoppare qualcuno. Floyd — Flanno una questione, Pop. Pop — Per che cosa? Floyd — Roba loro... tra marito e moglie. Pop — Non era mica per me, eh? Floyd (imbarazzato, dà un’occhiata a Ed) — No. Pop —■ Chi era quel tizio vestito di marrone? IL PIATTO DI LEGNO Floyd — Chi? Oh, un... un... commesso viaggia tore. Ed (ghigna) — Lo era di sicuro... Pop — Cosa vendeva? Ed — Assicurazione contro la vecchiaia. Pop — Mica vero. (Pop siede ad una delle sedie li bere accanto a Floyd. Mette il braccio sulla tavola, gomito in giù, dita distese) Braccio di ferro, Floyd. Floyd (rìde) — Ma va. Pop — Cammina. Scommetto che te le suono an cora. (Floyd ridacchia, e porge la mano. Si allaccia no con le dita. Floyd rimane fermo, mentre Pop fa forza; il suo braccio sottile trema nello sforzo, e fi nalmente Floyd lascia che Pop gli abbassi la mano). Floyd — Hai vinto tu, Pop. Pop — Non ti sei impegnato... Io scommetto che te le suono ancora. (Ride) Mi viene in mente quan- d’ero a Galveston, intorno al ’95... Incontro un ma rinaio, un norvegese... Un tipaccio, uno e novanta circa... duecento cinquanta libbre... e mani come prosciutti. Beh, ha sentito che io ero mica male a braccio di ferro, e così ha scommesso un cento dol lari che sarebbe riuscito a stendermi. Dei miei ami ci hanno fatto su il malloppo. Ci siamo messi al ban co di un bar, lì vicino, e gli ho tenuto duro per trentacinque minuti... non potevo nemmeno muo vermi... m’aveva quasi spaccato tutte le ossa delle dita, ma alla fine l’ho messo giù io. (Ride). Floyd — Era piuttosto forte... Pop (scaldandosi) — Sì. Indietro, nel ’93, ho incon trato un indiano, a San Jacinto... m’ero comprato una squadra di quei bei muli del Missouri... e, di’ un po’ sai dove San Jacinto, Floyd? (Floyd fa cen no con la testa in segno affermativo) Il capitano Martin Gonzales ha combattuto da quelle parti... Sissignore... Le donne del Texas hanno cucita una bandiera per i ragazzi di Gonzales... una bandiera molto grande, tutta bianca con un cannone nero nel mezzo, e con le parole «Vieni a prenderlo!». In alto e in basso. (Ride approvando) « Vieni a pren derlo!». Quei ragazzi avevano del fegato. Floyd (a Ed) — Pop conosce la storia. Pop (tutto orgoglioso) — Già. Devi sapere il pas sato del tuo paese, per conoscerne il futuro; l’ho sempre detto... (Dà una manata sulla schiena a Floyd) Beh. Dov’ero rimasto? Ed — Novantatrè. Avanti Cristo. Pop — Come vi stavo dicendo... Nel ’93 avevo questa squadra di muli e quest’indiano voleva scam biare la sua donna con i muli... e allora gli ho detto... Ed — Vorremmo finire la mano, Pop. Pop — Oh... certo... certo... (Dà un colpetto affet tuoso sulla mano di Floyd) Chiacchieriamo dopo, figlio. Contento di riaverti a casa. Tu sei il mio EDMUND MORRIS primo figlio. (A Ed) E’ il mio più vecchio. E’ nato per primo. (Passa in cucina). Floyd — Chi gioca? Ed — Tu. (Essi ricominciano a giocare; dalla cucina Pop guarda indietro nel soggiorno, apre senza far rumore il frigorifero, prende una bottiglia di birra, poi ritorna nel soggiorno e si dirige alle scale). Pop — Buona notte. Floyd — notte, Pop. (Ed fa un cenno col capo in direzione di Pop. Pop sale lentamente le scale men tre la partita continua. Come Pop raggiunge la som mità della scala una porta si apre e si odono le voci di Clara e di Glenn che altercano violentemente. Prende le carte) Rummy! (Ed mette le sue carte sul mazzo. Floyd si alza) Ed, perché abiti qui? Ed (sorpreso dalla domanda) — Ma, non lo so, a dire il vero. Casa mia è a Brownsville. Sono venuto qui e sono andato a lavorare alla fabbrica di birra, ho incontrato Glenn e lui mi ha offerto una stan za. Si sta bene qui. Floyd — Uhm... Ed — Perché me l’hai chiesto? Floyd — Ma... ero sorpreso che avessero qualcuno a pensione, immagino. Ed — Gli fa comodo l’affitto. Floyd — Sì, ma... Ed — Ma cosa? Floyd — Senti, Ed, io non sono , scemo. Io so che una donna se ne sta attaccata, qualsiasi cosa càpiti. Non molla una casa e una famiglia se non ha un altro rifugio bello e pronto con un altro uomo che l’aspetta. (Ed guarda Floyd fissamente, raccoglie le carte, e le mescola con fare esperto). Ed — Un’altra mano? Floyd — No. Me ne vado a letto. Devo alzarmi presto domani. (Si alza). Ed (seccato dalle domande di Floyd, cercando di volgerla in rìdere) — Caricherò il gatto e butterò fuori la sveglia. Floyd (sorride allo scherzo) — ’notte! (Sale, e si odono ancora le voci di Glenn e Clara che litigcmo. Floyd scuote la testa e continua a salire). Ed — Buona notte. (Si alza. Ed prende una rivista e s’awia alla sua camera, spegnendo la luce. Entra no Janey e Susan. Giungono in silenzio attraverso il cortile. Susan guarda dentro la cucina, poi siede nel portico). Susan — Non esser così nera: Non c’era bisogno che tu venissi via perché son venuta via io. Janey — Che cosa t’è girato? Pagare dei bei soldi per andare al cinema, e poi uscire a metà? Susan — Era un film stupido. Avrei dovuto stare a casa a scrivere una lettera a Gharley. Janey — A quell’idiota? Susan — Janey! Janey (siede sulla panchina) — Ehi, con la tua fac cia potresti avere il meglio dei tizi della città, e te ne stai allacciata a quel gnocco. Susan — Tu non conosci Charley come lo cono sco io. Nessuno lo conosce. Sta mettendo dei soldi da parte... (Clara scende nel soggiorno e si siede sullo sgabello del pianoforte). Janey — Ci voglio scommettere. Susan — Ridi, quando ti dico cosa ho fatto la set timana scorsa. Janey — Che cosa? Susan — Me ne sono andata da una chiromante, in Goliard Street. Una vecchia zingara, diceva di essere... credo che fosse messicana per davvero. Beh, mi ha descritto l’uomo che sposerò, ed era Charley dall’A alla Z. Ha detto che avrò fortuna, che avre mo una grande casa, la cameriera e tre bambini... Due bambine e un maschietto. Vuoi il suo indi rizzo? Janey — No. Perché dovrei volerlo? Sltsan — E’ una notte meravigliosa. Credo che sta rò su fin tardi. Che cose? (Ed lascia la sua camera). Janey — Una scacchiera. Susan — Pop deve averla lasciata qui. Ehi, mi ero quasi dimenticata di lui. (Si volta verso la casa). Janey — Che cosa c’è, con Pop? Susan — Niente. (Ed accende la luce in cucina, prende un bicchiere. Clara sì alza ed entra in cu cina). Janey — Come si chiama quella chiromante?... Susan — Sst. Adesso si metteranno a far baccano ed io dovrò andarmene a letto. Clara — Oh, Ed. Che cosa fai ancora alzato? Ed — Son venuto a prendere una bottiglia di birra. Clara — Te la dò io. Janey — E’ tua mamma. Susan — Tornerà a letto presto. (Clara prende una birra dal frigorifero, la apre e la porge a Ed). Ed (la guarda fissamente) — Hai pianto. (Clara fa cenno di sì) Vuoi bere? Clara — No. Non riesco a dormire. Ed — E’ una notte molto calda... Clara — Ed... ho paura... Non so cosa fare. Non so... (Siede). Ed — E’ perché hai litigato con Glenn. (Ride) Eri davvero in gran forma, bella. Clara — Non ce ne saranno più di litigi. Quello di stasera è stato l’ultimo. Ho sbattuto fuori tutto. Mi sento vuota. Chiedo solo la possibilità di vivere, ma nessuno capisce... nessuno. Ed — Vorrei poter far qualcosa, ma... Che cosa in tendi fare? Clara — Andarmene, intanto. (Susan si alza e sie de sul ceppo, ai piedi di Janey). Ed — Dove? Clara — Devo pensarci. Non ho neppure un soldo. Ed — Senti, Clara; se 'hai bisogno di soldi, te ne ■posso far avere. Clara — Grazie. Ed (siede) — Tu sai che non m’avanza molto da una paga all’altra... Ma se hai bisogno di un piccolo puntello, io... Clara — Non so cosa fare... Ed (la circonda con le braccia) -— Facile. Io so che cosa stai attraversando... Clara — Io non desidero la luna. Io chiedo solo di poter vivere il genere di vita che l’altra gente vive... Non l’ho mai avuto, Ed. Sono nata in una fattoria dell’Arkansas... un posto sporco e puzzolente. La fattoria bastava a fatica a sfamarci tutti. Appena sono stata capace di camminare, ho cominciato a la vorare, lavori di grosso, a sgobbare come un negro dalla mattina alla sera. A sedici anni ero stufa mar cia e me ne sono andata. Non sapevo niente, te lo giuro, niente. Uno m’ha preso su in un camion e m’ha portata qui. Ho trovato da lavorare come ca meriera d’albergo: dodici ore al giorno, per dieci dollari alla settimana più le mance. Poi ho incon trato Glenn. E’ stato l’unico uomo che fosse sem pre stato decente con me. Oh, allungava le mani anche lui, tutti lo facevano. Anche lui voleva la stessa cosa degli altri. Ma lui voleva anche una ca sa e una moglie... E io morivo dalla voglia di una casa mia... Ed — Ed ora non la vuoi più? Clara (si alza) —• E’ mia davvero? Tu hai abitato qui... E’ mia? (Essa posa la testa sulle spalle di luì; egli le accarezza dolcemente la schiena, e Clara sì abbandona nel calore di quell’abbraccio, in cui si sente sicura e desiderata) Ed! Non sei mai stato in namorato? Ed — Beh, cosa vuoi dire? Clara — Portami via da qui... Ed — Oh. (Si alza; la lascia, piano) Usciamo nel portico. (Ed va alla porta, la tiene aperta finché Clara non è uscita, poi spegne la luce. Susan e ]a- ney, che sono rimaste sedute sul ceppo ad ascoltare, fuggono senza far rumore. Come Clara passa vicino ad Ed, nel portico, egli la stringe tra le sue braccia con trasporto violento ed appassionato). Clara —■ Io chiedo solo di godermi un po’ la vita, Ed. Se noi due ce ne andiamo via, potrei comin ciare tutto daccapo. Non m’importa dove. Potrem mo divertirci assieme, non è vero? Io sono ancora carina, è vero, Ed? Ed — Sì... certo... certo... Clara — Tutte le volte che sarai stanco di me, te ne andrai fuori ed io ti lascerò andare senza dir nulla. Non ci saranno catene. Mi farai solo godere un po’ la vita. (Ed la bacia, accarezzandole il corpo). Ed (staccandosi bruscamente) — No, non posso... Clara — Perché no? Che cosa ce lo impedisce? IL PIATTO DI LEGNO Ed — Beh, io non posso fare una cosa del genere... Non posso rovinare la famiglia di Glenn. Clara (con ira) — Però avresti voluto che io mi ficcassi nel tuo letto, proprio qui, in questa casa. Ed —-E che cosa t’aspettavi? Non sono mica di le gno. Esser qui ogni giorno, vicino a te, vederti, si capisce, si capisce che t’ho desiderata. Certe volte, di notte me ne stavo sdraiato nel mio letto e sape vo che tu eri vicina, così vicina che ti potevo sen tire... Mi pareva che se avessi allungato il braccio avrei potuto toccarti. Tu non ti comportavi proprio come se io non vivessi qui, del resto... Clara — Puoi avermi, ora, Ed, se mi porterai via di qui. Ed —- No... no... no... Ormai ci sono ostacoli da tutte le parti. Clara —■ Ti prego: portami via... Ed — Chiedi un prezzo troppo forte... Clara —■ Farò in modo che non lo sia. Vedrai, non ti pentirai. Devo pregarti ancora? Ed (la prende tra le braccia, la stringe a sé, la ba cia) —■ Vieni in camera mia! Clara —• No... no... Glenn ci ammazzerebbe tutti e due... Ed —• Non m’importa... i(La accarezza febbrilmen te) Clara, piccola... Clara (per un momento avvinta dalla passione di Ed) — Ed, non ora... non qui... Capisci?... devi ca pire... Ed — Va bene. Conosco un posticino vicino ad Hondo... due miglia fuori. Domani sera, verso le sei. Clara —■ Ed... cerca d’amarmi... cerca... Ed —■ Domani sera, cara... Ti amerò come... (Una porta sbatte, disopra, facendoli trasalire. Clara si stacca da Ed). Clara — E’ meglio che io torni dentro. Ed — Clara, e se Glenn cambierà parere? Che cosa facciamo? Clara — Non lo cambierà. Ed (con ira) — E se lo cambierà? Che cosa pensi che io faccia? Clara — Ce ne andremo in ogni caso. Ci diverti remo ed io l’avrò finita con tutto questo... Ed — Ne parliamo domattina. Clara — Va bene. (Clara entra in casa, si ferma ai piedi delle scale, poi va dì sopra. Ed prende un bicchiere e va a fermarsi alla finestra del soggiorno). Janey — Che cosa farai, Suzie? Susan (si ferma) — Per favore... Janey... va a casa. Povero papà. Che cosa sarà di lui? Sì. (Con emo zione) Povero papà. Che cosa sarà di lui? Janey — Vuoi dire a tuo padre di...? Susan — Non lo so. (Comìricia a piangere) Io, io non so. Janey (è incerta; poi fa per andarsene) — Ci ve diamo domani, Suzie. EDMUND MORRIS Susan (afferrandola per il braccio) — Se dirai a qualcuno quello che è successo... non ti parlerò più in vita mia. Janey — Non lo dirò a nessuno... Parola. Susan — Ricorda: nessuno. Janey — Buona notte, Suzie. (Corre via. Susan en tra in cucina. Ed, sentendola, entra in cucina, ac cende la luce e la guarda, sorpreso). Ed — Suzie? Com’era il cinema? A casa presto, no? Beh, che cosa ti succede, bella? Quanto tempo è che sei a casa? T ’ho fatto una domanda : rispondi! Quan to tempo è che sei a casa? Susan (contenendo la sua agitazione, e tentando di apparire calma) — Quanto basta, Ed Mason, quan to basta. {Ed guarda fisso Susan, mentre cala il si pario). A T T O S E C O N D O {La stessa scena, il mattino seguente. All’alzarsi del sipario Clara sta ammucchiando i piatti della cola zione nel lavandino della cucina. Nel cortile Pop è seduto sulla panchina, e sta giocando a dama da solo. Clara passa nel soggiorno). Clara {chiamando) — Susan! Susan! Vuoi scende re per la colazione? Ho già fatto bollire l’acqua per le uova da un sacco di tempo. {Ritorna in cucina). Glenn {entra nel cortile, asciugandosi le mani in uno straccio unto) — Hello, Pop. Pop {si volta) — Oh, Glenn, ’ngiorno. Glenn {siede) — Che cosa stai giocando? Pop — A te cosa diavolo pare? Sto studiando una mossa da far venire i vermi a Sam Yaeger... Qui, con due dame in un angolo... Glenn — Più tardi, Pop... Pop {continuando) — Io posso obbligarlo così, e... Glenn —- Più tardi, Pop! (Pop si volta, e Glenn gli si avvicina) Perché non potete andar d’accordo, tu e Clara? Pop — Non lo so, figlio. Io cerco, onestamente. Ma prima che tu te ne accorga lei dice qualcosa che mi prende contropelo e io dico qualcosa che la fa arrab biare. Non so mica perché. Glenn —■ Le cose vanno piuttosto male da queste parti. Lo sai, vero? Pop — Sì. Avete voglia di liberarvi di me. Lo so. Glenn — No, Pop, no. Voglio che tu stia qui. La penso sempre allo stesso modo, io. Solo che... Pop — Solo che cosa? Glenn (si alza) — Non importa. Continua la tua partita. Pop — Non parliamo più assieme, come facevamo una volta, quand’eri ragazzo. Era bello. Glenn {sale gli scalini ed entra in cucina) — Ho messo a posto la macchina. Non riesco a capire co me quella baracca vada ancora avanti. Andiamo a fare un giro, dopo? (Silenzio) Non si parla, eh? Sono ancora tuo marito, no? {Si versa una tazza di caffè) Che cosa avevi da parlottare con Ed, stamattina? Clara {sparecchia la tavola, nel soggiorno) — Cosa? quando? Glenn — A colazione. Quando sono venuto giù, eravate con le teste vicine, a parlottare a cento al l’ora. Clara {sollevata) — Niente d’importante. Glenn — Hmmm. {Sorseggia il caffè) Non vuoi dirmelo? Clara — Era per la sua camera. T ’ho detto che non è niente d’importante. Glenn — Strano che tu abbia tanto da parlottare per la sua camera. {Silenzio) Ti ha anche sconvolta, direi. Clara — Tutto mi sconvolge in questi giorni... Glenn — Floyd sta facendosi la valigia. Dovran no passare degli anni prima che lo riveda un’altra volta, ammesso che lo riveda ancora. Ha detto che possiamo fare quello che decideremo... voglio dire... per Pop. Clara — Decideremo? Tu hai già deciso tutto per conto tuo, ieri sera! Glenn — Quello se ne va, e lascia a me tutti i pasticci. Clara — Per favore, Glenn, io ne ho abbastanza di tutto questo. Glenn — Non vuoi mica dire che vuoi piantar tutto, vero? (Allontana la tazza, s’avvicina a Clara e la cinge con le braccia, da dietro) Clara... Clara {liberandosi) — Glenn, no, vero? {Ripiega la tavola e la ripone nell’entrata). Glenn — Non possiamo continuare così. Dobbia mo arrivare ad intenderci, in qualche modo. Clara — Credevo che avremmo potuto farlo. L’hai detto tu, l’hai promesso. Glenn — Non dici mica sul serio, vero, di la sciarmi? Clara {con emozione) — Ma che cosa t’aspetti che faccia? Glenn — Non voglio lasciarti andare. (A fatica, incapace di esprimere ciò che prova) Io ti amo, Clara. Davvero. Lo sai. Clara — Ah sì? E come me l’hai mostrato? Dirlo solo non basta. Portar soldi a casa, venire a letto con me, non basta! Sei mai venuto a chiedermi co me stavo? Hai mai chiesto se desideravo qualcosa? Glenn — Lo farò, cara. Clara — Allora provamelo, mostramelo! {Passa in cucina e Glenn la segue). Glenn {con calore) — Dammi un po’ di tempo. Dammi la possibilità di... Clara — No. Non posso più vivere come un for nello. Glenn — Io voglio solo che Poip viva in pace i suoi ultimi giorni. Clara (con eccitazione, ma cercando di contenersi) — E io? Lui è vissuto anche troppo. Lui ha avuto la sua parte. E noi? Glenn — Noi siamo ancora giovani. Clara — Giovani? Guardami! Guardami bene! E qualche volta, alla mattina, quando ti radi, guardati, come sei... Non sembri davvero un giovane... Oua- rantun’anni; non sei più giovane. Glenn (dopo una pausa) — Ebbene? Che cosa vuoi che faccia? Clara — Non lo so. So solo che le chiacchiere non mi fanno più niente. Glenn (con ira) — E che cosa me ne importa? Io ho sempre torto! Io sono la pezza da piedi! Perdio! (Getta la tazza e il piattino sul pavimento, mandan doli in briciole). Clara (raccogliendo i pezzi) — Quando ci siamo sposati ho comprato dei piatti: servizio per dodici. Adesso non ce ne sono abbastanza neppure per una coppia in luna di miele. (Getta i pezzi nella pattu miera). Glenn — Non puoi lasciarmi! (Pausa) Come po trai tirare avanti? Come farai? Clara — Sono proprio da buttar via? Così odiosa che nessuno voglia avermi? Non tutti gli uomini mi vedono con i tuoi occhi! Glenn — Che cosa stai dicendo? (L’afferra per la vita). Clara — Lasciami. Glenn — Tu mi nascondi qualche cosa: questo è certo. Clara Lasciami. T ’ho detto di lasciarmi stare. (Glenn la lascia, la guarda un momento, e sta per dire qualcosa, quando Susan scende le scale. Glenn esce dalla cucina, passa vicino a Susan e va su per le scale. Susan entra in cucina. Indossa un vestito a pieghe e sandali alla schiava) Era ora! Susan — Sono stata su fin tardi. Clara — Fino a che ora? Susan — Tardi. Clara — Siediti e mangia. Non posso starti dietro tutto il giorno. Susan — Che cose tutta questa fretta? Non devi mica andare in nessun posto. Clara — Come le vuoi le uova? Susan del caffè e lo porta in tavola). Clara— Fino a che ora hai detto che sei stata fuori, ieri sera? Susan — Non ho detto niente. Clara — Che ora era? Susan — Non ho guardato l’ora. Voglio solo un po’ di caffè. (Clara versa IL PIATTO DI LEGNO Clara — Con chi eri? Susan — Janey. Clara — E Janey Stewart t’ha aiutata a spiare tua madre? (Siede alla tavola). Susan — Non so cosa vuoi dire per spiare. Clara — Smettila di far la finta tonta. Ed me l’ha detto! Susan — Oh! Io non ho spiato. Ero qui per caso. Avrei fatto volentieri a meno, di sentir quella con versazione. Clara — Che cosa credi di aver sentito? Susan — Quanto basta. Hai paura che dica tutto al papà, di ieri sera, vero? Beh, non dirò niente perché tanto tu non te ne andrai. Clara (fingendo indifferenza) — Non m’interessa quello che fai. Susan — Ciré cosa ti ha detto Ed, a proposito di ieri sera? Clara — Che cosa c’era da dire? Susan — Ti ha detto cos’è successo dopo che tu te ne sei tornata a letto? Clara — Mi ha detto che t’ha trovata qui. Susan — Non t’ha detto altro? Clara — Che cosa c’è ancora? Susan — Fin che ne vuoi. Ed ha fatto l’amore con me, dopo che tu sei tornata a letto. Clara (atterrita) — Cosa? Che cosa hai detto? Susan — LIai sentito benissimo. Clara — No! No! Tu sei una bambina! Susan — Ed non la pensa così! Clara (si alza) — Mio Dio, Susan, che cosa hai fatto? Susan sto. Vado via io con Ed. Clara (con violenza) — Ti caverò gli occhi. Susan — Perché? Perché ha scelto me invece di te? Clara — Tuo padre lo ucciderà! Susan — E vuoi dirgli di ieri sera al papà? Clara — Sì. Susan — «Tutto», di ieri sera? .Clara (fuori di sé) — Ed non può aver... Non può aver voluto... Susan — Conosci bene Ed... Clara (va ai piedi della scala, e chiama) — Ed! Ed! (Ricordandosi che anche Glenn è di sopra, cambia tono di voce) Ed Mason! Ed, vieni giù. Devo dirti una cosa! Ed (da fuori scena) — Un momento! Clara (va da Susan) — Come hai potuto farlo, Suzie? (L afferra per le spalle, scuotendola violen temente) Non sai quello che può succedere? Non capisci quello che hai fatto? Susan (agitata) — Lasciami in pace! Clara —■ Sei pazza, pazza... Susan (liberandosi con uno strappo) — Per te era Cosi, vedi, non te ne vai in nessun po EDMUND MORRIS giusto d/andartene, non è vero? Non è vero? E in vece non te ne vai. Ed mi porta con sé. Io me ne vado di qui, e tu rimani... Clara — La vedremo, quanto a questo! Susan (con crescente agitazione) — Hai dovuto pregarlo. T ’ho sentito che lo pregavi! Gli hai rac contato tutta la tua vita. Ma non puoi avere l’amo re d’un uomo strusciandoti ai suoi piedi! (Ed scende le scale, con in mano la 'pagina umoristica del gior nale della domenica. Non vede Susan, e va in fret ta da Clara). Ed — T ’ha dato di volta il cervello? Sai mica che c’è Glenn di sopra? (Vedendo Susan) Oh... Hello, Suzie? Susan (sorride; poi, allegra) — Hello, Ed. Ed (a Susan) — Beh, parola, sei carina e allegra sta mattina. Sono contento che ce ne sia almeno una. Mai visto in vita mia tanti musi lunghi tutti in una volta. Clara — Devo farti una domanda, Ed! Ed (sorride) — Parola d’onore: sembri un pubblico ministero, lì in piedi. (Siede) La domanda può aspet tare finché ho finito le barzellette? Clara (gli strappa il giornale di mano) — Barzel lette! No, non può aspettare! Ed — Va bene, spara. (Mette le mani avanti a di fesa, scherzando) Non volevo dir questo. Abbassa la pistola, Momma. (Ride). Clara (severa) —• Cos e successo ieri sera, dopo che t’ho lasciato? Ed (a Susan) — Cosa t’ho detto? Proprio carne un pubblico ministero! Clara — Voglio una risposta! Ed (con ira) — Senti, sorellina, io non sono tuo marito. Faresti meglio a piantarla di mostrarmi i denti! Clara — Devo saperlo, Ed, devo. Ed —- Così va meglio. Te l’ho detto questa mat tina. Clara — Lo so, quello. Ma che cosa è successo, poi? Ed — Che cosa c’è? (A Susan) Che cosa le hai rac contato? Susan (in fretta) — Le ho detto che ti amo, e che ce ne andremo via assieme. Ed (sorpreso dalla dichiarazione di Susan, ma acco gliendola senza scomporsi troppo) — Davvero? (Si alza) Beh, questo è proprio carino, bella. Clara — E’ vero? Parlo con te! Ed (sorride enigmatico) — L’hai sentita, no? Susan (con maggior sicurezza) — Te l’ho detto! Ed e io ce ne andremo via. Clara (a Susan) — No, non te ne andrai! Io non ti lascio! Voglio vedere se avrai il coraggio di met ter piede fuori di casa! Ed —• Mi sembra che sia abbastanza grande per sa pere quello che vuole! Susan — Vedi? Diglielo tu, a lei. Ed — Oh, sentite, tutte e due... Susan — Scegli me, non è vero? Ed —■ Ti dirò, Clara. Prenderò la pollastrella, un qualche giorno. Quelle giovani hanno vita e scodin zolano. Con quelle vecchie, qualsiasi cosa tu faccia, non si stupiscono mai. Prenderò Susan, qualche giorno o qualche notte. (Ride nervosamente). Clara (a Ed) —• Sei marcio, sei marcio fino in fondo. Ed — Non prendertela, Clara. Stavo proprio per dirti che non se ne faceva niente. Non ho dormito un accidente, questa notte, per pensare a quella faccenda. Non è giusto. Clara (s'avvicina a Susan. Con ira) — E’ sporco, Susan! Lurido! Susan — E allora perché lo volevi? Clara —- Io? Chi dice che io lo volevo? Gli ho chiesto solo di portarmi fuori da questa miserabile trappola. So di che razza è. Ne ho incontrati cen to di uguali... i fossi ne sono pieni. Ed —- Diavolo! Tutto d’un tratto le mie azioni sono in ribasso. Clara — Non ti lascerò andare! Devi ancora vi vere prima di sapere che cosa è un uomo... e che cosa è capace di fare per una donna. E che cosa è capace di fare « ad » una donna. Susan — Lo so già. Clara — Non lo sai. Credi tu di saperlo, ma non Io sai. Ed —■ Mo’ sta a sentire, Clara... Clara — Tu non la tocchi... Tu non le metti ad dosso un dito. Ed —• Faresti meglio a piantarla! Clara — E allora sistemerò tutto io, in modo che tu non toccherai né lei, né nessun’altra donna, per tutta la vita. (Prende una pentola dal fornello). Ed — Clara, no, per l’amor di Dio! Clara — Ti ammazzerò! ti ammazzerò! (Gli getta addosso l’acqua, pentola e tutto. Ed si scansa velo cemente, ma uno spruzzo d’acqua lo raggiunge al braccio. Ed si stringe il braccio scottato, piegandosi per il dolore). Ed — Pazza furiosa! (Straccia un lembo della ca micia) Avresti potuto accecarmi per sempre! Clara —- Magari l’avessi fatto! Magari. (Comincia a piangere). Ed — Dovrei spaccarti la faccia! (Ed, comprimen dosi il braccio, s’allontana e sale su per le scale, mentre Glenn e Floyd ne scendono. Floyd porta la sua valigia. Susan esce nel portico). Glenn — Per che cos’era tutto quel baccano? Cosa ti è capitato al braccio, Ed? Ed —-U n po’ d’acqua calda del fornello; mi sono scottato. E’ stato un incidente. Glenn — Pare piuttosto brutto, come se stesse per far vescica. Ed — Già. Glenn (come Ed riprende a salire) — Ehi, aspetta un momento. Ho qualcosa per le scottature. (Segue Ed su per le scale. Clara raccoglie i piatti. Eloyd depone la valigia vicino al piano, poi guarda Clara, si volge alla scala su cui è salito Ed. Eloyd entra in cucina). Floyd — Clara! Siete ancora in collera, tu e Glenn? (Silenzio) D’accordo che non mi riguarda... ma è capitato qualcosa, tra te e Ed, non è vero? Clara (in fretta) — Niente di quel che tu credi! Floyd — Non devi saltarmi agli occhi. Se Glenn scopre... Clara — Dovevo esser pazza, ieri sera... Ero fuori di mente. Mi sono comportata come una pazza. Floyd — E’ tutto a posto, ora, no? Clara — Era tutto a posto prima che incomin ciasse. Ero pazza a pensare di poter tirare avanti così. Floyd — Significa che hai deciso di restare? Clara — No. Non posso. Devo andarmene... Sola... Floyd — Ma dove? Cosa farai? Clara — Non lo so. So solo che qui non posso più stare. Se cedo ora, non avrò più nessuna possi bilità. Floyd — E non hai pensato a ciò che sarà di Glenn? Clara —• Non posso farci niente. Gliel’ho detto fino a diventar verde. Non vuol sentire. Non rie sce a capire... Non vuole. Ha lasciato che tutti i suoi gli mettessero i piedi sul collo. Floyd — Posso immaginare quello che pensi di me... ma tu sai cornò, Clara. Tu ti sei ficcata da sola in un sacco di guai, e dimentichi... Glenn (scendendo le scale) — Penso di riuscire a far camminare la caffettiera. Ti porto giù all’aero porto. Floyd — Ho circa un’ora di tempo... Darò un’oc chiata in città... Poi prendo un taxi. Grazie lo stesso. Glenn — Come vuoi. (Floyd e Clara entrano nel soggiorno). Floyd — Vorrei parlare un minuto con voi due. (Pausa) Meglio che mi diate retta. Penso che tu stia facendo il più grosso errore della tua vita, Clara. Clara — Sì? Floyd —■ Tu e Glenn siete sposati da molto tem po; non vorrai che il tuo matrimonio se ne vada al diavolo ora, no? Glenn — No, non voglio. Che cosa vuoi che fac cia? Floyd — Chiama l’ospizio e combina. Pop si abi tuerà al posto e alla fine te ne sarà grato. IL PIATTO DI LEGNO Glenn —- Vorrei poterlo credere. Tu non conosci Pop come lo conosco io. Clara —- Lo avremmo dovuto fare già da anni. Floyd — Mi prenderò la briga di scrivere agli al tri, perché mettano un po’ di soldi anche loro... Sa rà più facile per tutti noi. Glenn — Non ti rispondono. Devo aver scritto a Rex e a Betty cinquanta volte, in questi anni. Non m’hanno mai mandato nemmeno una cartolina, tan to per dire che ricevevano le mie lettere. E Jimmy, accidenti, non so neppure se sia ancora vivo. L’ul tima notizia che ho avuto di lui, dieci anni fa, era che si trovava a Seattle. Floyd — Senti, non c’è nessun bisogno che tu mi trovi fuori storie. Io me ne vado, ora. Te l’ho già detto di sopra: qualsiasi cosa voi decidiate, per me va bene. Glenn (con ira) — Quello che decido! Ma perché un uomo deve arrivare nella sua vita al punto che gli altri debbano decidere che cesa fare di lui? Floyd — Non l’ho mica fatto io, questo mondo. O manda via il vecchio o tienlo con te. Cammina, Glenn... devi vivere su questa terra, non in un pa radiso. Anche tu hai una figlia da tirar su. Glenn — E perché? Così quando sarò vecchio mi sbatterà in un angolo a morire come un cane. (Con ira) E’ facile per te dar consigli. Tanto non te ne stai mica qui a vedere cosa succede. Floyd — Tu pensi che io abbia il cuore di sasso? Io non sono diverso da tutti gli altri. Ma il mondo è fatto così... non è bello, ma è l’unico che abbia mo. Mi piacerebbe stare un po’ più di tempo con voi, con tutti voi, ma gli affari sono affari. Glenn — Gli affari saranno sempre affari finché la gente non cambierà la testa o gli affari. Floyd (sospira) — Vado a salutare Pop. Credo che non ci metteremo d’accordo su niente, io e te... que sto lo capisco. Dov’è? Clara — In cortile. (Floyd guarda Glenn in ma niera strana, poi prende una birra dal frigorifero ed esce nel portico ed in cortile. Glenn si volge ver so Clara). Glenn — Ebbene? (Clara si alza e s avvia verso la scala. Comincia a salire) Clara. (Clara si ferma, si volge a Glenn e lo guarda. Glenn la fissa, dispera tamente. Clara si volta e continua a salire. Glenn esce dalla porta che dà sulla strada. Nel cortile, Floyd s avvicina a Pop, che sta dormicchiando). Floyd (scuotendolo dolcemente) — Pop, Pop. Pop (si sveglia, trasalendo) — Eh? Floyd. (Prende la birra). Floyd — Beh, Pop sono venuto a salutarti. Me ne torno a casa con l’aereo. Pop — Con l’aereo? Bisogna che ci vada, su uno di quegli affari, prima di morire. (Pausa) Quando ti vedrò ancora, Floyd? EDMUND MORRIS Floyd — Forse quest’altr’anno, Pop. Pop —■ Forse. Io sono vecchio... Dovresti venire pre sto a trovarmi... Altrimenti ti dimenticherai come sono... Floyd — Me ne ricorderò sempre. Pop —■ Non riesco a ricordarmi com’era mio pa dre. Non ha lasciato neppure una foto... Non cre deva nelle fotografie, diceva sempre. Mi sono di menticato. Completamente dimenticato com’era fat to mio padre. Floyd — Così va il mondo, Pop. Ti devo dire qualcosa che ti sembrerà un inferno... ma è per il tuo stesso bene. Pop — Cosa? Floyd —- Bisognerebbe che tu andassi in quello ospizio. Pop — No. Mai! Floyd — Non pensi a quello che stai facendo alla vita di Glenn? Pop (con emozione) — E voi figli, non pensate a quello che fate alla mia? Ho fatto di tutto, per potervi portare abbastanza da mangiare. Non vi ho mai dato troppo, ma ho badato a tutti i vostri bisogni... Floyd —• Lo so, Pop. Anch’io faccio lo stesso per i miei figli, ora. Pago in avanti il debito, come vuole la vita. Pop {con semplicità) — Non avevo mai pensato a questo, per me... Mai pensato di diventar vec chio, debole, mezzo cieco... Floyd — Glenn non vuole mandarti via... Ma Clara lo pianterà, se lui... In un ospizio tu sarai curato... Pop — Non voglio andar in mezzo a tutti vecchi stupidi che aspettano di morire... Nossignore... Vo glio stare dove c’è vita. (A bassa voce) In quei posti lì, ai vecchi, gli danno la bottiglia nera. Floyd — La bottiglia cesa? Pop — La bottiglia nera! Veleno. Ne ho sentito parlare quand’ero ragazzo! Floyd — Questa è una sciocchezza, Pop. Roba da vecchine credulone. Pop — Non è una sciocchezza: è vangelo. Ti av velenano, là dentro. Floyd — Farebbero un cattivo affare. Più tempo vivi, più soldi prendono. Cercheranno di tenerti vivo il più lungo possibile. Pop — Ti danno la bottiglia nera, e poi alla mat tina dicono agli altri che il povero Tal dei Tali se ne è andato. Floyd — Questa è la più grossa sciocchezza che io abbia mai sentito. E’ questo che ti impedisce di andare? Pop —■ Questo e altro. Floyd — Beh, posso provarti che hai torto. Pop ■—- Non mi interessa che me lo provi. (Mette giù la birra) Tanto non ci vado, Floyd. Floyd —■ Pop... Pop... {Alza le spalle) Beh, pen saci tu. Tu non puoi aiutare Glenn a tenere la sua casa in ordine. Non è una famiglia felice. Pop —• Senti, Floyd. Perché non mi porti su con te a Chicago? Non ho mai visto i miei nipotini... Vorrei vederli prima di morire. Floyd — Non ho posto. {Pausa) E poi, gli inverni là in cima sono troppo freddi per la tua asma... Ap pena arrivo a casa ti manderò fotografie di tutti i marmocchi... Sono una bella banda. Pop — Gli vuoi bene? Floyd — Ma sicuro. Pop — Loro, ti vogliono bene? Floyd —- Certo. Pop — Come fai a dirlo, figlio? Floyd [con fare incerto) — Beh, lo so. Lo so. Pop — Mi vuoi bene, a me? Floyd — Lo sai, Pop. Pop — No, non lo so. Se mi vuoi bene, perché non vieni mai a trovarmi? E quando vieni, una volta tanto in sedici anni, perché non ti fermi un po’? Perché cerchi di convincermi ad andarmene in quel dannato buco? Che cosa t’ho fatto, figlio, perché tu debba trattarmi cesi? Floyd — Non capisci? Pop —• Io capisco soltanto che ci si vuol liberare di me, come un vecchio straccio. Lo capisco benis simo. Floyd —■ Io non sono venuto per farti del male, Pop. Mi spiace. Pop — Perché? Perché sei mio figlio? Che cosa ti dispiace? Floyd —- Mi spiace che tu non mi capisca, e che io non capisca te. Pop — Floyd. Figlio. {Floyd s’inginocchia) Ci capi vamo l’un l’altro, quando eravamo giovani. Tu apri vi gli occhi, guardavi i miei, e noi sapevamo che ci volevamo bene. Lo sapevamo, non è vero, Floyd? E adesso, tu dici che non riesci a capirmi. Che cosa è capitato al tuo affetto e alla tua comprensione, con gli anni? Che cosa te capitato, a te? Ci do vrebbe essere più comprensione, quando ci avvi ciniamo alla fine della vita. (Sospira) Ce ne andiamo che ne sappiamo meno di quando siamo venuti. Floyd {con emozione) — Abbiamo perso noi stessi, e ci siamo persi l’un l’altro. Pop (si alza lentamente e tende le braccia a Floyd) —• Io ti perdono, figlio. Floyd {abbracciandolo) — Pop, Pop, ti guardo, ora, e vedo me stesso, e... {L’emozione lo prende e lo vince, egli posa il capo in grembo a Pop). Pop — Avevi paura dei fulmini, anche... E io ve nivo in camera tua, e restavo con te finché non t’erd addormentato... Ti ricordi? Non ti farà male... IL PIATTO DI LEGNO Te ne accorgerai appena, Tesser vecchio, quando lo sarai. (Floyd si alza). Floyd — Devo andare, ora... (Tontamente entra in cucina, e poi nel soggiorno). Pop — Scrivimi, figlio. Susan mi leggerà le tue lettere. Mi porteranno un po’ di gioia. Scrivi, hai capito? Floyd — Sì, sì. Scriverò. Pop —■ Arrivederci, figlio. Bacia i miei nipotini per me... (Bessie e Susan entrano in cucina. Bessie passa nel soggiorno. Glenn entra e si ferma all’angolo del portico). Bessie — Te ne vai? (Floyd fa cenno di sì) Devo scusarmi per ieri sera. Ero piuttosto alla rovescia. Floyd — Non importa. Bessie — Tanti anni fa. Tu non potevi ricordarti di me... neppure io t’avrei riconosciuto, del resto... se t’avessi incontrato per strada... Sono certo cam biata anch’io. Floyd — Me ne sono ricordato più tardi. Bessie — Davvero? Floyd — Sì. Ti pettinavi sempre con i capelli ti rati indietro, e raccolti a ciambella... Bessie — Sì. Un chignon, grazie. Floyd (dopo una pausa) — Arrivederci, Bessie. Bessie — Arrivederci, Floyd. Floyd — Dov’è Suzie? Clara — Era in cucina. Floyd — Suzie... Arrivederci, cara. Susan — Arrivederci, zio Floyd. Floyd — Arrivederci, Glenn. Glenn — Arrivederci, Floyd. (Entra in cucina). Floyd — Arrivederci, Clara. Ricordati di non fare pazzie. Clara — Salutami tanto Nora e i bambini. (Floyd esce. Bessie passa in cucina, poi esce nel portico). Glenn — Suzie, va’ a far coraggio a Pop. Susan — Subito, papà. (Si asciuga le mani, ed esce nel cortile). Bessie — E’ caldo, io ho fatto della limonata. Non ne berreste un po’, tu e Pop? Susan — Va bene. Andiamo, Pop. (Bessie esce verso casa sua). Pop — Floyd se ne è andato. Susan — Tornerà presto. Pop — Non lo rivedrò mai più. Mai più. Susan — Ma certo, che lo rivedrai. Pop (uscendo) — Floyd, il mio più vecchio, di ceva che non riesce più a capirmi... (Glenn entra nel soggiorno mentre Clara scende dalle scale por tando una bracciata di vestiti). Glenn — E così, te ne vai via a questo modo? Clara (deponemdo i vestiti sul sofà) — Che cosa altro potrei fare? Glenn (va al piano) — Quando eravamo disopra, Floyd m’ha dato un assegno, per un mese. (Estrae un assegno dalla tasca) Ha detto che se volevo po tevo adoperarlo; altrimenti di stracciarlo. Clara —• Che cosa hai intenzione di fare? Glenn — Non lo so. (Pausa) Clara, Floyd aveva ragione. Non far pazzie. Clara — Ti ricordi che cos’altro ha detto Floyd? Glenn — Sì, ma... (Clara comincia a far le va ligie, mi sofà. Pausa) Non devi lasciarmi, Clara. Clara (con emozione) — Mi chiedi troppo di con tinuare a questo modo. Sarebbe troppo per chiun que. Glenn — Ma perché tutto così di colpo? Prima che ti venisse in mente di telegrafare a Floyd tutto andava bene. Clara (con aria ingenua) — Sì? Glenn — Se tu te ne vai, è finito tutto davvero. (Silenzio) Ti chiedo solo di provare ancora un po’. Clara — Ancora quanto? Un anno? Dieci anni? Tutta la vita? Oggi è come ieri, e tutti i giorni sono uguali... S’ammucchiano l’uno sull’altro, e per nulla. Glenn — Ma Pop è vecchio e... Clara —• Neppure la giovinezza garantisce niente. Come faccio a sapere che cosa capiterà di me? Glenn — E che cosa vuoi che faccia, allora? (Pau sa) Che cosa vuoi da me, Clara, che cosa? Clara — Vorrei solo esser la tua donna, tua mo glie. Qualcuno di cui tu ti prendessi cura, vera mente amata e desiderata. Sono stanca d’essere solo un soprammobile, consumato dall’uso. Glenn (portamìosi dietro al sofà) — Voglio farti una proposta. Clara (incuriosita) — Quale? Glenn — Manderò via Pop. Ma se il posto sarà troppo brutto per lui... lo ripiglierò di nuovo qui. Deciderò in una settimana o due... Clara — No. Glenn — Una settimana. Può darsi che si risolva qualcosa. Clara — Riccmincerà daccapo e saremo al punto di partenza. Glenn — Va bene, senti, un mese. Dopo un mese, saprò se potrà rimanere all’ospizio. Andrò a tro varlo e... Clara — No, Glenn, no. Glenn — Un mese! Avrò abbastanza tempo per ca pire se si troverà bene. Clara (apre la valigia) — Perché t’illudi? Sai che non si risolve niente! (Silenzio. Sono arrivati ad un punto dal quale sembra che nessuno voglia rece dere in favore dell’altro. Tutti e due sono molto agitati, pieni di un vago senso di colpa, ma anche di speranza in una riconciliazione. Clara termina di riempire la prima valìgia, apre la seconda, una va ligia di vimini, e trova il pupazzo di un uomo a ca vallo, fatto di stracci; il tipico souvenir messicano. EDMUND MORRIS Lo guarda, poi va da Glenn e glielo mette sulle ginocchia). Glenn —■ Te lo ricordi? Clara (guardando il pupazzo) — Sì. E’ stato lì tutto questo tempo. Nella valigia. Glenn —- Señor Sancho. Hello. Clara —• Ti ricordi la notte che l’abbiamo com prato? (Glenn accenna di sì con la testa) Stavamo camminando giù per Commerce Street. Glenn — Sì. E c’era quel messicano con la chi tarra. Se messo a seguirci, suonando. Clara — E’ stata la notte che m’hai chiesto di sposarti. Glenn — Che cosa suonava quel messicano? Clara —- Me lo son dimenticato... Glenn (sorride) — Gli ho dato i miei ultimi cinque dollari. Clara — Volevi farti vedere... Glenn — Abbiamo fatto i piani per tutta la vita, quella sera. Dall’A alla Z. Penso che non si debba far progetti per troppo avanti, nel futuro. C’è sem pre qualcosa che li ferma. Clara — Penso anch’io... Glenn — Perché non possiamo realizzarli davvero, Clara? Clara —• Eravamo dei ragazzi... ragazzi che non sentivano ragione. La vita insegna più cose di una sera tiepida e di una canzone. (Clara toma riluttante a jar le valigie. Glenn tiene in mano il pupazzo e lo guarda, con nostalgia, ricordando il passato. Si avvicina al piano). Glenn — Señor Sancho. Chiuso via per tutto que sto tempo. (Sospira) Tu sei il solo che non sia cam biato. (Pone il fantoccio sul pianoforte, e s’avvi cina a Clara) Clara, amore... (La prende tra le brac cia). Clara — Glenn... (Glenn la hacia, ed ella risponde al suo bacio). Glenn — Floyd aveva ragione. Non è giusto che noi si debba gettar via la nostra vita. Va bene... lo farò! Clara — Vuoi dire...? Glenn — Sì. Forse in un paio di giorni non mi farà più tanta impressione... Clara — Oh, Glenn, ne sarai contento anche tu... Glenn —• T ’ho fatto delle promesse, quella sera. Ti dovevo qualcosa, non è vero? E spero che le cose andranno meglio, qui attorno... Clara — Andranno meglio, io avrò più tempo di fare ciò che desidero... Andremo a fare un viag- getto, quest’estate... Glenn — Lo farò per te. Cercherò di avere un impiego migliore. Farò più soldi di Floyd. Clara — Sono sicura che li farai... Glenn — Io ti amo... e penso che sia questo, quello che conta. Mi sento... beh... Sono tutto sossopra. Tutto è confuso... come arruffato in un groviglio, ed io non riesco a trovare né capo né coda. (Va al telefono) Chiamo Forsythe, ora. (Clara si siede sul sofà. Glenn compone il numero) Forse sono stato un po’ troppo scontroso, con Floyd. Pronto? Il si gnor Forsythe, per favore? Parla Glenn Dennison. (Pausa, poi a Clara) Floyd glielo ha detto, a Pop, che... (Al telefono) Pronto, il signor Forsythe? Non c’è male. Grazie. Oh, è partito. Tornato a Chicago. Tutto a posto... stasera... verso le otto. (Guarda a Clara, ed essa fa cenno di sì) No, no, va benis simo, per quell’ora. Lei ha la mia parola. Ho le carte. Un mese d’anticipo. Va bene. Ci vediamo poi. Arrivederci. (Riaggancia) E’ andato in brodo di giuggiole, quando ha sentito del mese d’anticipo. (Susan entra in cucina). Clara — Se Pop va via alle otto... è meglio che Susan raccolga la sua roba e la metta in una va ligia. Glenn — Devo fargli la barba. Starà meglio. Clara — Lo fai dopo. Lo sai che razza di baccano fa... Suzie. Susan — Eccomi! Clara —-Va’ disopra, in camera di Pop, raccogli tutti i suoi vestiti, quelli puliti, mettili in una va ligia... La biancheria sporca la manderemo a lavare. Susan — Perché? Dove va Pop? (Entra nel sog giorno). Clara — Io e il papà abbiamo deciso che il posto migliore per lui è quell’ospizio. Susan — Papà, hai promesso che non lo facevi. Hai promesso. Glenn — Non posso farci niente, piccola. Susan — So che tu non vorresti... E’ stata lei... Glenn — Va’ disopra e fa’ quello che t’ha detto tua madre... Susan — Per piacere, papà, no! Glenn — Credi che sia facile, per me? Va’ a pre parare la valigia di Pop. Susan (in tono di sfida) — Se Pop va fuori di casa vado via anch’io. Glenn — Cosa? Susan —- Proprio così! Ed mi porterà via con lui. Glenn — Ed? Che c’entra Ed? Che diavolo stai dicendo? Susan — Se Pop va via di casa, io me ne vado con Ed Mason. Glenn (attonito) — Ed ha detto che ti porta via? Susan — Sì. Glenn —• Che cosa è successo in questa casa? (A Clara) Sai qualcosa, tu, di questa storia? (Pop entra in casa). Clara —• Io l’ho scoperta solo stamattina... questa storia. Glenn — Scoperto che cosa? Che cosa è successo qui? Clara — Ne parliamo più tardi, Glenn... non ora. Glenn (con ira) —- No, perdio! Che cose tutta questa faccenda? Susan — Io le ho detto che Ed ha fatto l’amore con me, ieri sera! Ma... Glenn —- Ah, è così? E’ questo che è successo in questa casa? E’ per questo che Ed s’era scottato il braccio? (A Clara) Sei stata tu! (A Susan) Dovrei tirarti il collo. Credevo che tu fossi una ragazza per bene! (La schiaffeggia) Perché non me l’hai detto prima, Clara? ,Ed Mason. L’ho portato a casa come un amico... e lui mi ha trattato come se fosse in una di quelle... Pop — Che cosa c’è? Cosa c’è che non va? (Glenn fa per salire le scale, Clara lo trattiene, tentando d’afferrarlo per la schiena. Susan singhiozza). Clara — Glenn, aspetta. Manderò via Ed. Glenn — Lasciami! Lascia. Dove Ed? Clara — Glenn, per piacere... Glenn (tentando di liberarsi) — Cristo. T ’ho detto di lasciarmi! (Come egli la spinge via, la sua camicia si strappa) Lo voglio uccidere. Parola mia che lo uccido. Clara — Glenn! Glenn! Non... per l’amor di Dio! No! (Egli si divincola e corre su per le scale. Clara 10 segue. Susan lo segue su per le scale piangendo). Susan — Non è vero, è una bugìa! Papà! Non è vero! C // ¿> j .v rsr (/?> (La stessa scena. Lo stesso giorno, più tardi. Glenn è davanti alla porta dello sgabuzzino; bussa alla porta con la mano sinistra, tenendo la destra solle vata contro il petto). Glenn — Pop! Pop! (Scuote la maniglia) Pop! Per l’amor di Dio, non far sciocchezze. (Clara scende dalle scale portando una vecchia valigia di fibra. La lascia su una poltrona, e poi entra in cucina) Perdio, Clara! T ’ho detto da mesi di togliere la chia ve dalla serratura. Clara — Come potevo immaginare che si sarebbe chiuso dentro? Glenn (batte forte alla porta) — Pop! Vieni fuori, hai capito? (Pausa) Ti senti bene? (Silenzio. Glenn si avvicina alla tavola, e immerge la mano in una pentola d’acqua calda). Clara — Come va, la mano? Glenn —• Un po’ debole. (Tenta di piegare le dita) E’ gonfia: diventa un pallone. Clara — Tienla immersa. Glenn (indicando la pentola) — Sei sicura che faccia bene? Certi dicono che per le botte ci vuole 11 caldo... certi il freddo. IL PIATTO DI LEGNO Clara — Se in quella calda ti par di star meglio, adopera quella calda. Glenn (immergendo la mano nella pentola) — Avrei fatto un macello. Ho chiuso gli occhi, e sono partito. Dovremo tirar via quella macchia dal muro. Clara —■ Non t’avevo mai visto così in collera... Mi facevi paura. Glenn — Lascia perdere. Non capivo più niente. E’ stata una bella cosa che mi sia fatto male alla mano, altrimenti... (Si interrompe, di colpo) Hai sentito Pop, proprio adesso? Clara — Smettila di preoccuparti, va bene? Glenn — Dov’è Suzie? Lei potrebbe riuscire a farlo venir fuori. Clara — E’ andata via, in qualche posto. (Guarda fuori dalla porta). Glenn — Sono preoccupato per Pop. Non scuoter la testa, lo sono davvero. Non si può mai sapere cosa ha intenzione di fare. Avresti dovuto vederlo, quando gli ho detto che sarebbe andato via stasera. Mi ha guardato, poi se ne è andato a rinchiudersi qui dentro. Non so cos’è capace di fare. (Batte alla porta) Pop, apri la porta prima che la sbatta giù. Clara —■ Non succederà niente. (Pausa) Che ora è? Glenn (guarda il suo orologio da polso) — Dieci alle otto. Dove hai detto che è andata, Suzie? Clara — Non lo so. E’ scappata via. Aveva una faccia strana. Non avresti dovuto darle uno schiaffo, Glenn. Glenn —■ Non l’avevo mai picchiata in vita mia, prima. Ho perso la testa. Gesù, che cosa succede alla gioventù, oggi? Che cesa le è saltato in mente di dirmi quella roba di Ed, se non era vero? Clara (a disagio) — Mah, chi lo sa? Glenn (piega le dita) — Come faccio a tirare avanti il camion domani? (Dà a Clara la pentola d’acqua e Clara la vuota nel lavandino). Clara —• Bisogna tirar fuori Pop prima che arrivi il signor Forsythe. Glenn —- In un modo o nell’altro lo faremo venir fuori. Clara — Non voglio che succedano altre scene, quando ci sarà Forsythe... Glenn — Al diavolo Forsythe, che me ne importa di quello che pensa? Lo paghiamo. E’ mezz’ora che il vecchio non si fa vivo. (Ed Mason esce dalla sua stanza portando una grande valigia e un soprabito. Depone la valigia vicino alle scale, e getta il so prabito sopra la valigia. Ha un segno rosso sullo zigomo. Entra in cucina. A Glenn, con allegria for zata) Levo le ancore, capo. Glenn (scontroso) — Piacere. EDMUND MORRIS Ed — Mi dispiace d’andarmene in questa maniera, Glenn; mi dispiace che tu sia in collera con me. Glenn — Mi basta che tu te ne vada. Me ne in fischio della maniera. Ed —• Vuoi darmi retta per un minuto? Glenn — Non voglio sentir niente di quello che hai da dirmi! Ed —■ Non è capitato niente, tra me e Suzie. Nien te! Né l'altra sera, né mai. Glenn (con ira) — Non voglio sentir niente da te! Ed [con ira) —• Ti sto dicendo la verità! Clara lo sa! Glenn (guarda Clara, -poi Ed) — Che cosa c’entra Clara? Ed —■ Domandaglielo! Clara — Non ho niente da dire, né a te né al riguardo di te! Ed — Okay, okay. {Pausa. Ed porge la mano a Glenn) Beh, arrivederci (Glenn finge di non ve dere) Già. Beh, capo* può darsi che tu abbia ra gione. Non avevo nessun motivo in fondo, d’abitar qui. Una famiglia dovrebbe star da sola. (S’avvia, poi si volta) Salutate Pcp per me. (Silenzio. Ed entra nel soggiorno. Getta le chiavi sulla tavola, prende la valigia esita un istante, poi esce. Lunga pausa). Glenn — Ed ha ragione. Ho fatto male a portare un tizio a viver qui, con una ragazzina che veniva su. (Pausa. Glenn è turbato) Ed diceva qualcosa della verità... (Pausa) Che cosa intendeva dire? Clara (a disagio) — Come faccio a saperlo? (Passa nel soggiorno, con la scacchiera). Glenn — Mi ha detto di chiedere a te. Perché? (Pausa) Beh, t’ho fatto una domanda. Che cosa c’è? (Con più forza) Che cosa è successo qui, che io non so? Clara — Ha detto per dire. Glenn — Non credo. Clara — Se avesse avuto qualcosa da dire, l’avrebbe detto, no? Glenn — Tu avevi una fretta tremenda di baciar mi e di farla finita, dopo avermi detto che te ne stavi andando via! Tu mi nascondi qualcosa. Che cosa. (Con più forza) Che cosa c’è? Clara — Niente! Glenn — Suzie l’ha inventata apposta quella fac cenda di Ed? Clara (tesa) — Lasciami in pace, Glenn. Glenn (con insistenza) — Voglio sapere la verità, Clara. Suzie l’ha inventata apposta, non è vero? Questa è la verità di cui parlava, Ed? Clara (improvvisamente, con forza) — Va a chie derglielo! Che cosa vuoi sapere da me? Glenn — Te ne stavi andando con Ed? (Afferra Clara e la costrìnge a voltarsi) Voglio sapere tutta la verità, ed in fretta anche. Clara (esplodendo, con emozione) —■ Sì! Sì! Me ne stavo andando con lui! Con lui! Glenn — Diotifùlmini! Clara — Sarei andata via anche col diavolo. Con chiunque, con chiunque m’avesse promesso di trat tarmi come una donna. Glenn (l'afferra con una mano, ed alza l’altra mi nacciosamente) — Dovrei farti a pezzi! (Siede sul sofà. Controllando la sua collera, spinge rudemente via da sé Clara. Essa cade sul sofà, piangendo). Clara — Dài! Continua... picchiami. Picchiami! Non m’importa niente! (Tenta di cacciare indietro le lacrime, mentre la tensione aumenta). Glenn (ansimando, con rabbia) — Finiscila... Fini scila... Clara — Voglio finire come Bessie, ingrassare. In fischiarmene di quel che sembro... Vecchia, grassa, flaccida! E far sempre le stesse cose un giorno dopo l’altro... finché muoio... (Siede sullo sgabello del piano). Glenn {scosso, ma ancor pieno dell’orgoglio ferito) — Come hai potuto pensare una cosa simile? Clara {con emozione) — Tutti possono ricordare qualcosa di bello e di felice... Tutti... Bessie ricorda la sera con Floyd... Pop ricorda quand’era giovane... Ma io non ricordo un solo giorno nella mia vita in cui sia stata davvero felice. Neppure un giorno. {Piange). Glenn — Come può la vita sconvolgersi all’im provviso? Una settimana fa sembrava che non do vesse cambiar mai niente... Oggi invece... {Più cal mo. Si inginocchia davanti a Clara) Clara, smettila... smettila... Clara — Devi credermi. Ed non significa niente per me... Niente... Glenn — Clara, Clara. (Più piano) Io ti capisco. Su. Che cosa serve piangere? Senti, penserò che sia stato un brutto sogno. Mi dimenticherò di tutto. Di mentichiamo tutti e due. Clara — Ho provato, ho provato per anni. Volevo scio che mi prestassi un po’ d’attenzione. Glenn — Ci sono due mondi : il giovane e il vec chio. Perché un uomo non deve potere costruire una casa per contenerli tutti e due? (Una lunga pausa. Clara smette di piangere. Glenn va alla porta del ripostiglio) Pop! (Ritorna nel soggiorno) Andrà peg gio, adesso, senza la pensione di Ed. E dovremo an che mettere via i soldi per pagare la retta di Pop, ogni mese. Clara — Potrei trovare un impiego. Glenn — Dietro un banco? Nossignore. In qual che modo ¡raggiusteremo. Clara {asciugandosi gli occhi) — Si sta facendo tardi. (Sam Yaegzr entra. Sale gli scalini e batte leg germente alla porta). Glenn — Sam! Venga avanti! (Entra in cucina). Sam (entrando) — Buona sera, Glenn... Signora Dennison... Clara — Hello. Sam — C’è Pop? Glenn — Sì. Lì dentro. Se chiuso dentro. Non vuol venir fuori. Sam (va davanti allo sgabuzzino) — E’ mica qual che gioco, 'per caso? Glenn — Non è un gioco. Non riesco a farlo venir fuori, e lui non vuol parlare. Sam (;preoccupato) — Sono sicuro che sta bene. Glenn — Vorrei che lei m’aiutasse a farlo venir fuori. Sam — Perché s’è chiuso lì dentro? Glenn — Gli ho detto che doveva andare in quel l’ospizio, stasera. Sam — Stasera? Glenn — Non so cosa farci, Sam. Bisogna che sia così. Sam — Già. Me l’ha detto ieri, questo. (Va verso il fondo) Che razza di mondo è il nostro? Lon che si nasconde lì dentro, come un bambino, e lei sta lì, in piedi, pieno di vergogna. Glenn — La finisca, Sam! La finisca! Sta parlando solo per sé. Che cosa gli diamo noi qui, che non possa avere anche là? (Va alla credenza e ne prende il piatto di legno) Vede questo piatto? Deve man giare qui, perché non possiamo permetterci il lusso di farlo mangiare in piatti buoni. Li rompe tutti. (Glenn posa il piatto sulla tavola). Sam (sospira) — E che cosa vuole che io faccia? Glenn — M i aiuti a farlo venir fuori. Forsythe do vrebbe esser qui da un momento all’altro. Rimanga con Pop, e quando sarà ora d’andare, l’accompagni e lo tenga calmo. Lo aiuterà, per la prima sera. Il giorno dopo vedrà altra gente e starà bene. Sam — Lei vorrebbe che questa parte di traditore la facessi io? Glenn — Io voglio fare quello che è meglio per tutti. Per Clara, per Suzie, per Pop. Io, io non pos so far niente di più. Sam — Io non la sto biasimando, Glenn. Glenn — Lo faccia venir 'fuori, Sam. Sam (va alla porta, e bussa) — Lon, non risolvi niente standotene lì. (Batte ancora) Lon, sono Sam... Vieni fuori! (Susan entra in gran premura dalla por ta che dà sulla strada. Corre in cucina mentre Sam è davanti alla porta dello sgabuzzino). Susan — Dove Pop? Dove Pop? Glenn — S’è chiuso lì dentro. Non vuol muoversi, Non vuol dar retta né a me né a Sam. Susan — Non gli dò torto. Glenn — Mi spiace d’averti dato uno schiaffo. Pro IL PIATTO DI LEGNO va a parlargli, Suzie. A te darà retta. Ti dà sempre retta; parlagli. Susan (va alla porta e batte piano) — Pop! Pop! So no Suzie. Vieni fuori, per piacere. (Silenzio. Susan guarda Glenn e Sam. Comincia a temere che sia accaduto qualcosa dì orribile e si mette a bussare con più insistenza) Pop! Per favore, rispondimi. (Si ode una chiave grattare nella serratura e la porta finalmente si apre, adagio adagio. Pop esce dal ri postiglio, del tutto calmo. Ha gli occhi cerchiati di rosso. Guarda Sam, poi Glenn. Susan gli getta le braccia al collo). Sam — Cosa ne dici di una partita, Lon? Pop — No. Glenn —- Sono contento che tu stia bene. Pop — Tieni giù le mani da me. Glenn (ferito) — Pop! Pop — Non chiamarmi Pop! Io non ho più fami glia! Sono solo! Susan — Non dire così, noi, io ti voglio bene. Tanto. Pop — Bene? Non credo più a questa parola. Non deve esistere niente di simile. Sam — Hai bisogno di raderti, Lon. Pop — Sì? (Si passa la mano sul mento) Che cosa fai qui stasera, Sam? Sei venuto ad aiutare mio fi glio a sbattermi fuori? Sam — Dài, Lon, sai che non è così! Pop — Io so solo quello che vedo! (Pausa) Dov’è quella fattoria dove dobbiamo andare? Sam — Ecco, Lon... Pop (con insistenza) — Dove quella fattoria, Sam? (Lo afferra per il bavero) Dimmelo, Sam? Voglio proprio sentire dov’è. Susan — Pop, no! Pop — Gli acri, le case, tutti i progetti... dove? Ri spondimi! (Sam abbassa lo sguardo, dolorosamente commosso) Non esiste nessuna fattoria. E non ce ne sarà mai una, non è vero? Sam — No... Lon... Non ce ne sarà mai una. Pop (lasciandolo) — Lo sapevo! Ma non pensare d’avermi preso in giro neppure per un minuto. Sa pevo benissimo che era uno stupido sogno. Sam (a fatica) — Sì, era un segno. Pop (sarcastico) — Non ci ho mai creduto nemme no un minuto! Mai! Hai capito? Neppure un mi nuto! (Pop depone cappello e bastone sulla tavola, va al frigorifero, lo apre, prende una bottiglia di birra, la stura e beve. Poi, guardando Clara con aria di sfida) Beh, Clara, sto aspettando che tu me lo dica. Dimmi che la birra mi uccide, dài. Dillo. Clara — Non dico niente. Pop —- Meglio per te! EDMUND MORRIS Clara {a Glenn) — La sua roba è pronta. Pop — Pronta? Beh, che cosa aspettate? Buttate la valigia in strada, e buttateci me dietro. Avanti! Glenn — Pop, non ce bisogno... Pop — E non pregatemi di rimanere. {Va davanti alla tavola) Non vorrei, neppure se mi pregaste in ginocchio tutti e due. Sltsan — Ma tu non andrai mai in quell’ospizio! Glenn — Susan, togliti di mezzo! Non è affar tuo! Susan ('prende una chiave di tasca) — Ho preso una stanza all’Hotel Porter, lo stesso dove abita Sam. Clara — Cosa? (Entra in cucina). Susan — Ho preso una stanza per Pop e per me. Lui viene con me stasera. Io sono abbastanza gran de per fare quello che voglio. Ho qualche soldo da parte. Lio un impiego. Mi prenderò cura di Pop. Pop — Tu? Tu vuoi che io venga a stare con te, Suzie? Susan —■ Ho già la camera, ho detto. Io sola mi prenderò cura di te. Potrai passare tutto il giorno con Sam. Di sera tornerò a casa e ti farò da man giare. Staremo insieme. Pop (commosso) — Tu vuoi far questo per me? Susan — L’ho già fatto, ma avrei dovuto farlo pri ma; mi pento di non averlo fatto e ti domando per dono. Ecco la chiave. E’ casa tua. Sono io che sta rò con te. Pop — Sam, Sam, hai sentito? Susan — Cosa ce? Non mi credi? Pop — No, no, aspetta. Susan (a Clara) — Da’ a me la sua roba. Pop — Ti credo. Mi hai fatto felice. Ma io, io de vo pensarci... Va tutto troppo in fretta per la mia vecchia testa. Susan — Non c’è niente da pensare. E’ sempli ce, no? Glenn — Susan, lo sai quello che fai? Ti rendi conto. Susan — Lo so, Pop. Non perdiamo tempo. Vieni via con me. Pop (con ira) — Aspetta! debbo pensarci... Susan — Non c’è niente da pensare... Pop — Non è vero, Suzie. Ci sono un sacco di cose da pensare. Susan — Puoi pensare più tardi; non c’è tempo, ora. Pop — Ho tutto il tempo che mi occorre. {Pausa) Non posso venire con te, Suzie... Non posso... Susan —■ Perché no? Pop — Il Signore sa che voglia abbia io di andare in quell’ospizio. Ma non posso farti una cosa si mile. Susan — Ma se non vieni con me, ti ci mande ranno, in queU’cspizio. Pop — Lo so, piccola, lo so. Lin uomo deve pren dere quello che il cielo gli manda, con coraggio. Ti ricordi gli eroi di Fort Alamo? Non piangevano mi ca. Non scappavano. Non frignavano. Vivevano da uomini. Susan — Ma qui non siamo al Fort Alamo, Pop. Pop — Il Fort Alamo è un simbolo, cara. {Pausa) Tu rappresenti il futuro, piccola. Ti sposerai, avrai bambini tuoi. Li terrai tra le tue braccia, come io ho tenuto i miei... Guarderai le loro faccine. Ti sorrideranno e tu capirai il vero significato dell’a more. Poi, un giorno cresceranno e ti chiuderanno il loro cuore. E allora capirai il vero significato del dolore. E proprio come prima vivevi di quell’amore, imparerai allora a vivere di quel dolore. Susan — Sam, per favore glielo dica lei. Lo faccia venire con me. Pop — Sst! Sst! Io sono pronto ad affrontare que sto dolore. Vado incontro anch’io al mio Fort Ala mo. Come avrei dovuto fare tanti anni fa. (Suona il campanello della porta). Glenn — Apro io. Clara — Forsythe. Pop — Questo è il mio Santa Ana. Il « mio » San ta Ana. Devo difendere il forte il più a lungo pos sibile. Oui non c’è Croekett (Glenn va alla porta) o Bowie, a dirmi una parola d’incoraggiamento, o a vedere se la mia polvere scarseggia. Susan — Pop, prima che sia troppo tardi, vieni con me. Pop (dandole un buffetto sul capo) — No, Suzie! (Glenn ha fatto entrare Forsythe. Si stringono la mano). Forsythe — Spero che tutto sia a posto. Glenn —• Sì. Pop ha deciso di venire. Forsythe —• Bene. Non rimpiangerà la sua deci sione. Sam — T’accompagno, Lon. Pop — No, no, devo andarci da solo, Sam. Tutti quei vecchi là! Staremo insieme, a far la guardia ai muri. (Glenn e Forsythe sono intanto entrati in cu cina). Glenn — Questo è mio padre. Pop, questo è il si gnor Forsythe. Forsythe — Molto lieto di conoscerla, signor Den- nison. Pop {lo guarda ironicamente) — ’cere. Forsythe — Beh, sembra un uomo in gamba. Pop -— Che cosa credeva di trovare, un cadavere? Forsythe (a Glenn) — Sembra uno di quei nostri pionieri del Texas. Pop —• Proprio così. E’ proprio quello che sono, mister. E non ce niente da ridere. Forsythe — Mi scusi. Volevo solo scherzare. Pop — Immagino che scherziate anche quando fate scolare a qualche vecchia mummia la bottiglia ne ra, no? Forsythe —• La bottiglia cosa? Glenn —■ Pop sta solo prendendola in giro, signor Forsythe. Pop — No, no, so quello che dico... E lo sa anche lui, purtroppo. Forsythe — Beh, gente, è meglio andare. Si sta facendo tardi... Le luci si spengono presto, all’« Ot tavo Cielo». Tutti i nostri ospiti si sono coricati e ri posano in un caldo e soffice letto. Pronto, signor Dennison? Pop —- Sì. Susan — Puoi ancora cambiare idea, Pop, hai tempo. Pop (la bacìa) — Mi ricorderò sempre di quello che hai cercato di fare per me, Suzie. Ogni giorno me ne ricorderò e ti dirò grazie. Susan (lo abbraccia) — Pop, Pop. (Comincia a piangere). Sam —• Son fiero di te, Lon. Pop — Lio detto un sacco di parole grosse con te, Sam. Sam — Non ho sentito niente. Forsythe (prendendo Pop per il braccio) — An diamo, signor Dennison. Pop (tirandosi via) — Mi lasci stare! (Pop si libera ed esce nel portico, afferrandosi alla ringhiera, di speratamente, cercando di sostenere il coraggio che gli vizn meno). Forsythe — Che cosa ce? Sam —• Per favore... (Sam va accanto a Pop, nel portico, e gli mette una mano sulla spalla, in segno di incoraggiamento. Glenn e Forsythe firmano i contratti. Forsythe va nel soggiorno) Lon. Pop — Ce una tana buia, con la bocca aperta, che m’aspetta. Ancora qualche minuto e sarò sbattuto in una nera tomba, dimenticato e solo, ad aspettare solo di morire, Sam. (Lasciandosi andare) Io ho pau ra... (L’armonica comincia a suonare). Sam —• Verrò a trovarti ogni giorno... Le partite continueranno. Pop (scuote la testa) — No, no. (Glenn esce, segui to da Clara). Glenn — Vengo con te in macchina, Pop. Pop —- No. Glenn, non voglio. Glenn — Ma Pop... Pop (con ira) — Ho detto di no! Clara —- Arrivederci, Pop. Verremo a trovarti. IL PIATTO DI LEGNO Pop —- Salve... Clara — Se avrai bisogno di qualcosa... faccelo sapere. Pop — Non c’è bisogno che tu faccia questa sce na, Clara. Tu non puoi soffrire me ed io non pos so soffrire te. Glenn — Pop! Pop (con ira) —- Lasciami dire. Noi lo sappiamo, vero Clara? Ma devo dire anche che tu hai sempre badato a me e che qualche volta è stato bello es ser qui... E per questo ti dico grazie. Clara (confusa) — Ho provato. Ho provato a far del mio meglio. Solamente, non ce l’ho fatta... è tutto. Io, io, non sono una santa... Se tu fossi stato mio padre... Pop (a Sam) — Che cosa suona quella marcia fu nebre a fare, quello là (Grida) Ehi! Bockwer! (La musica s’arresta) Suona una marcia! Una canzone di guerra. (Si ode una marcia assai animata) Eh... questa va meglio. Beh, che cosa state aspettando? Andiamo! (Batte il tempo col bastone) Come si chia ma quel buco del diavolo? Forsythe — Fort Alamo, l’« Ottavo Cielo per i Vecchi ». Pop •—■ Fort Alamo... (Sam lo prende a braccio ed essi escono seguiti da Forsythe. Glenn va alla pan china, e siede, affranto. Suzie è ritta sulla porta tra la cucina e il soggiorno e piange). Clara — Fa caldo, Glenn. Perché non andiamo a fare un giro? Glenn — Adesso no. Lasciami in pace! (Clara alza le spalle, ritorna in cucina, vede Susan, esita senza sapere che cosa dire o fare. Va poi alla tavola della cucina, prende la bottiglia di birra che Pop ha la sciata, comincia a pulire la tavola e scorge il piatto di legno. Lo prende. Clara guarda il piatto con un confuso senso d!emozione, senza sapere cosa farne. Si ferma di fronte a Suzie con il piatto in mano). Clara (esitando) —■ Il piatto di Pop. Si è dimen ticato di prenderlo. Io non so cosa farne. Susan —• Dallo a me! Clara — Che cosa vuoi farne? Susan —• Voglio conservarlo! Clara — Per che cosa? Susan (prende il piatto dalle mani dì Clara) — An che tu diventerai vecchia, un giorno. (Susan corre dì sopra. Clara guarda fissamente dalla parte da cui Susan è uscita, poi prende un grembiule mentre cala il sipario). <2Tme- * Tutti i diritti riservati * Copyright by Edmund Morris. B R A N C A T I E R A A N C H E U O M O D I T E A T R O il nostro fantasioso, scrupoloso, personalissimo, e La m orte, con V ita lia n o Brancati, ha p riva to le nostre lettere d i uno dei lo ro n om i p iù belli. I l rom anzo, la novellistica, la saggistica hanno perso in lu i un artefice geniale, tem po uno degli osservatori più attenti, p iù spregiudicati, p iù coraggiosi ed onesti. « Brancati — scriveva A lb e rto M oravia ricordando l ’am ico scomparso, — piuttosto silenzioso per natura e discreto, e desideroso quasi in maniera p ro gram matica di non prim eggiare, era tuttavia o forse appunto per questo, una presenza, ossia qualcuno di cui, in un gruppo o in una società, si avvertiva l ’irradiazione personale come un accrescimento di interesse e d i vitalità, come una nota originale e sempre vibrante, come qualche cosa che aggiungeva pregio, colore e vivezza anche alle p iù stracche conversazioni ». Questa v irtù d i lie vito , di coscienza sempre desta, sempre vigilante e in un certo senso sempre to r mentata, aliena dalle facili indulgenze, profondam ente n u trita di una cultura posta, senza requie e senza risparm i d i forze, ad un incessante raffronto con la vita e le esperienze di oggi, in un pensoso and irivieni tra il presente e il pas sato, questa coscienza che si dispiegò in tante pagine d i amara e ironica e talvolta grottesca arte, era indubbiam ente connaturata al Brancati stesso, alle sue o rig in i di siciliano diviso tra l ’antico e il m oderno, al suo istin to d i m oralista. M a anche si ricollegava, protraendosi come un ’operante eredità, alla crisi fo n damentale dell’uom o, crisi che egli stesso ci ha descritto in num erevoli volte, quella d i chi a un certo m om ento si rende conto d ’aver sbagliata la propria vita, d’aver ceduto alle apparenze, e trova la forza di ricom inciare da capo. È la storia nota a tu tti del distacco d i Brancati dal fascismo, la storia dei suoi lib ri da Don Giovanni in Sicilia al B e ll’Antonio. E d è anche, un p o ’ la storia delle sue commedie. Brancati scrittore d i teatro è m o lto meno popolare di Brancati narratore, eppure egli apparteneva a quella sparuta m inoranza d i letterati italiani che non perdono di vista le scene e che quando prendono la penna per scrivere un dramma o una com media lo sanno fare con intelligenza, sensibilità e maestria, oseremmo dire col dovu to rispetto. Sarebbe assurdo pretendere ora che Brancati ci abbia dato il « capolavoro » teatrale; la sua fama, la m igliore, è naturale, resta incontestabilm ente legata ai rom anzi e alle novelle. Le proprie idee sull’arte dram matica Brancati le aveva espresse con m olta chia rezza fin dal 1935, allorché egli tracciava, in un brevissim o e conciso saggio, le linee d i un vagheggiato « probabile nuovo teatro ». « Si ripete sempre da tu tti — scriveva — che il teatro dev’essere sintesi e non anàlisi, personaggi che agiscono e non personaggi che pensano. In generale, questa regola è vera, ma non bisogna applicarla a occhi chiusi nè ritenerla p riva di eccezioni. Può nascere un teatro in cui i personaggi, m entre agiscono, non sono m ai abbandonati da una strana chiaroveggenza per cui essi, se con g li a tti rivelano allo spettatore quello che fanno, con le parole confessano tu tto quello che avviene dentro la lo ro anima. Naturalm ente, le battute non saranno in questo caso nè brevi nè secche, ma ai natura grandemente lirica, come quelle tirate sulle quali, p iù che sul colpo di scena o sui m onosillabi de fin itivi, si reggeva il teatro classico. L ’esempio non è del tu tto calzante, perchè le nuove tirate non saranno mai solenni, ma in tim e ; la lo ro bellezza consisterà principalm ente nella semplicità, e il lo ro successo nella forza della sincerità ». Sin qui potrebbe sembrare che il nuovo teatro auspicato dal giovane Brancati (egli aveva a quell’epoca 28 anni, essendo nato nel 1907 a Pachino) non fosse d i m olto diverso dal cosiddetto teatro « intim ista » e dalle sue varie filiazioni più o meno surrealiste. M a lo scrittore si affrettava ad aggiungere: « Nessuno però creda d i aver in d ivid u a to questo teatro in Strano interludio d i O ’ N e ill, ove i personaggi dicono a voce alta delle menzogne o quello che conviene dire nei diversi casi della vita, e a voce bassa la verità o quello che sinceramente pensano : questo è uno schema assai meccanico e retorico ». (Meccanico e retorico nel teatro dram m atico; meccanico e buffonesco nel teatro com ico di quella particolare specie illustrata da Labiche. Brancati, che tanto spesso si è rivelato autore com ico e satirico, non poteva certamente sostenere un genere, come il « vaudeville », sostanzialmente estraneo al suo spirito, un riso tu tto venato di scetticismo e di giuoco g ra tu ito ; la sua com icità si appa renterà con ben a ltri m odelli, da M olière a G ogol, con quelli cioè che dietro il riso dissim ulano la passione, il giudizio e, quando occorra, l ’invettiva). « I l nuovo teatro a cui io m i riferisco — concludeva, — farà a meno di p ro cedim enti così lontani dal m odo con cui nella vita si svolge un fatto e, in fondo, così poco teatrali, e non farà che versare, nel vecchio m odello classico, una nuova sostanza ». T iran do le somme, da queste note del Brancati ci si può fare l ’idea di un teatro realista e liric o allo stesso tempo, un teatro che tiene conto del « m odo con cui nella vita si svolge un fatto » e che non per questo rinuncia a superare il dato concreto e cronístico con opportune tirate mediante le quali illum inare l ’aspetto più segreto e quindi particolarm ente significativo del fatto stesso. Per quanto ovvia possa sembrare, quest’idea del teatro form ulata dal Brancati rispecchia, come d’altronde egli stesso nota, la concezione classica del teatro, facilissima a parole, e per contro e q u ilib rio estremamente arduo da mante nere, ammesso che lo si sia raggiunto in partenza, nel corso d i un ’opera. Se esaminiamo le commedie del Brancati, ci accorgeremo che egli si è sempre m antenuto fedele al progetto d i teatro stabilito nel ’ 35. I l che, beninteso, non significa affatto che egli sia sempre e neppure in u n ’unica intera opera, che sarebbe il capolavoro, riuscito a realizzarlo. Tralasciamo i la vo ri g io v a n ili: Everest, rappresentato nel 1930 a R om a; Piave, rappresentato nel 1932 dalla compagnia di Renzo Ricci, regìa di A . G. Bra- gaglia; I l viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse D io?, scritto nel 1932 e rappre sentato nel ’ 35 a G enova da una compagnia sperimentale; Questo matrimonio si deve fare..., la v o ri che lo scrittore ha in seguito rinnegato, di cui si vergognava (di Piave in particolare, che considerava commedia «perfettam ente sciocca»; com pariva anche M ussolini in scena...) come di altrettante testimonianze del giovanile traviam ento m orale e ideologico. A dire il vero Brancati da u ltim o non ripensava con m olta simpatia neppure a quelle sue altre opere scritte e rappresentate durante la guerra, Le trombe d’Etistachio (1942) e Don Giovanni involontario (1943), benché esse siano il chiaro fru tto del suo spirito d i fronda nei co n fro n ti dello stato fascista. Le trombe d’Eustachio sono una piccola cosa, un atto unico in sei quadri (che si può leggere nel fascicolo febbraio 1942 della rivista « Scenario »), il cui principale m erito è di natura satirica. In esso in fa tti fa u to re fa « la caricatura d i una spia asservita a una m orale di tip o fascistico »: il protagonista è un g io vin e tto ignorantissim o ma dotato d i un u d ito porten toso che una magica polverina renderà ancor più acuto, a dd irittu ra soprannaturale, egli ode a chilom etri d i distanza, ode i sospiri, il passo della m orte, poco manca che oda anche i pensieri degli uom ini. Che farne d i un giovane simile? L ’in form atore: è il caso di dom andarlo? «D enunziate, denunziate, scrivete nom i e cognom i, in d irizzi!... ». E viene la ricchezza, ben presto seguita dal disgusto e da un finale che ricorda d i lontano quello del Dom Juan m olieriano. Con Don Giovanni involontario invece tocchiam o la poesia. I l p rim o atto, soprat tu tto , è d i una bellezza, una vivacità, una ricchezza di colore, un m ordente com ico che non solo eguaglia ma in un certo senso supera le pagine p iù felici d i Brancati narratore. C’è corposità, malizia, una vena boccaccesca e grottesca, sana, irruente e per alcuni la ti m alinconica che, tanto per fare due nom i che servano d i riferim ento ma non d i stretto confronto, ricordano il m igliore C rom m elynck e il m igliore Aym é. La vicenda del giovanotto tu tto preso dalla filosofia e sdegnoso delle donne, che diventa sottaniere per incitam ento del padre, fra arm eggi d i donzelle in deliquio, di servette incontinenti, in un giuoco tanto vero quanto paradossale di sentim enti, d i ritegni, d i pud ori, di abbandoni, d i sdegni, con la luna che, come nelle favole autentiche, comparendo e scom parendo dà una mano ai personaggi, fonde nel m odo più convincente il p u ri tanesimo sornione del teatro m oderno con la bella im pudicizia della commedia cinquecentesca. D o p o il p rim o atto, che d’altronde è il più lungo, il tono a nostro avviso decade un po ’, p u r mantenendosi a un liv e llo di grande qualità. D o p o la guerra Brancati scrisse ancora due com m edie: Raffaele e L a governante. Sono le sue opere p iù mature, le sole che egli amasse e difendesse veramente. E d i difenderle aveva veramente bisogno, non dal pubblico e non dalla critica, i quali, poveretti, non le videro m ai in scena, ma dalla censura. T u tti ricordano que ll’esplosivo lib e llo che il Brancati stampò nel ’ 52 sotto il tito lo Ritorno alla censura. In appendice v i pose la sua Governante. Raffaele, messa in onda parecchi anni fa dalla radio e p o i scomparsa anche dai m icro fo n i e sempre esclusa dai palcoscenici, non ha fatto la carriera che avrebbe m eritato. Eppure è indubbiam ente una delle opere più audaci scritte negli u ltim i anni: in essa, chiaramente, è tu tto il sim bolo d i un’epoca, d i un costume, un ’epoca e un costume che è più facile dim enticare che riscattare. U n im piegato della censura disse che questa commedia era « una cattiva azione contro l ’Italia ». Quale Italia? Q uella di Raffaele, o quella di G iovanni, che quando occorre sa im porre il rispetto della libertà agli americani lib e ra to ri come aveva saputo gridare il suo disprezzo ai fascisti e ai nazisti? È più prudente non cercar di sapere. L a governante non è una bellissima commedia, ma in compenso è una critica d i costume come p u rtro p p o vediam o trop po d i rado sulle nostre scene, le quali, anche a causa dello zucchero e del miele e le « evasioni » che le occu pano, stanno languendo. Brancati in questa commedia diceva una parola sulle frivolezze, sulle ipocrisie e sui pregiudizi sessuali, che sarebbe m o lto opportuno meditare. Fortunatam ente il volum e che contiene la commedia è in vendita. O ra che Brancati è m orto, prim a di averci dato il capolavoro che aspettavamo da lu i, ci dom andiam o quale letterato italiano assumerà la sua eredità e ci darà quel teatro coraggioso, m oderno e v iv o che è nei desideri di tu tti. Gian Renzo Morfeo T E A T R O I L D E L L A AL TEMPO CHE VIVIAMO IN RAPPORTO ALLA DRAMMATICA DI QUESTI ANNI, LA CRISI DELLA GENERAZIONE NATA O CRESCIUTA DURANTE LA GUERRA, NON E’ 'FORSE UNA CRISI DI DEBO LEZZA, DI PAURA, DI SPROPORZIONE AL COMPITO, DI INFERIORITÀ’ DI FRONTE AL DESTINO? C i si domandava recentemente, a proposito di nuove correnti drammatiche europee, quale sia stato i l nuovo teatro della disfatta, visto e considerato che di trenfanni in trenfanni questa decrepita Europa la sua disjatta ce l ’ha. Primo dopoguerra: da Berlino F espressionismo di Wedekind, di Toller, di Kaiser, di Brecht della prim a maniera. Secondo dopoguerra: da P arigi Fesistenzialismo di Camus, di Sartre, di Anouilh ; Fesistenzialismo cristiano di Gabriel M arcel; le supplicazioni di Bernanos ad un cielo nemico. Prim a, la poesia espressionista tesa a l Reno e alFOder come una speranza di redenzione; dopo, Fabisso esistenzialista senza speranza: Fuomo è chiuso in una torre cui f u divelto i l ponte levatoio. Non ci sono ne vincitori ne vinti, c’è la guerra che, sola, vince. M a e poi realmente quella esistenzialista, la voce drammatica delle generazioni sconfitte nella seconda conflagrazione? A noi pare di no. A noi pare invece che oggi, su un mondo senza punti cardinali, ritorni sovrasti e si lib ri un mito diverso; i l mito di Amleto, o i l teatro della perplessità. Quando vedemmo / ’A m le to di Laurence Olivier ci rende?nmo conto che, almeno in quel firn , i l Cinema diventava teatro moderno, un super-teatro di crisi. Olivier lo aveva rea- lìZZato tanto nella regia che nelFinterpretazione del personaggio. L a fluidità del cine dramma ottenuta mediante i movimenti di macchina riducendo a l minimo lo scatto del fotogramma; la soppressione della tecnica prim itiva dei « campi e controcampi », cioè dei p rim i piani degli attori alternantisi nei dialoghi; i l montaggio della macchina su gru e F impiego delle grandi riprese panoramiche ; le vertiginose gradinate a tagli di bianco e nero su cui saliva e scendeva un obiettivo estremamente mobile, tutto ciò « narrava » i l castello di Elsìnore nel totale e nei dettagli, dai giardini agli spalti, dal laghetto ove s’adagiava una ninfea, simbolo di Ofelia morta, alla piattaforma tra le nebbie, ove nella fumea medianica s’indovinava lo spettro del Re. E ra, per così dire, i l panorama esterno dell’A m leto, in cui si agitavano i personaggi stagliati in bruno intorno a l Principe di Danimarca. E quale mistero nella profondità dei quadri! E quale gusto nella rinuncia agli sviluppi tipicamente cinematografici che servono ad imprimere dinamismo a certi sog getti! E quale sarcasmo nel tema musicale di qiifiolo e nell’arrivo caprioleggiante dei comici giunti a l castello per rifare, a confusione dei rei, la scena del delitto! Quanta oscura intensità sessuale nel corpo della regina, la quale non ispirava tanto ad Am leto gelosie edipiche, quanto la vergogna che incutono ai fig li g li amori delle m adri! Quale smarri mento nella bambina impaurita che Olivier aveva fa tto di Ofelia! D i fronte a tale paesaggio con figure, stava i l panorama interiore di Amleto. Olivier stiliqpò la tragedia e i l personaggio a suo modo, ma con una interpretazione adeguata allo spettatore moderno, dando spicco e risalto allo sgomento del principe, alla sua debolezza di fronte a l suo destino che lo sospinge a sopprimere di spada g li avvelenatori del padre suo. Ebbene, la perplessità di A m i to faceva pensare alla mancanza di orientamento della vita che oggi si convelle sotto / ’indifferenza del sole. E ra, quella dell’A m le to, una conflagrazione di anime, senza vincitori e senza vinti. Pensate a l duello tra Am leto e Laerte: accade quello che nella scherma del Rinascimento si chiamava « mutuo disarmo ». S i ha lo scambio dei fe rri e alla fine la morte di entrambi i combattenti. N e vincitori ne vinti, ma tu tti sconfitti: Am leto, i l re, la regina, Ofelia, Polonio, Laerte, Orazio nella sua dolce ami cizia, persino lo spettro del monarca assassinato. M a, soprattutto, / ’A m le to di Olivier rendeva sensibile la sproporzione tra i l giovane e i l suo compito e la esiguità delle spalle sulle quali i l fantasma aveva caricato un enorme macigno di vendetta. Olivier ebbe ragione. Am leto era un ragazzo malato, come oggi ce ne sono tanti. Tutte le volte che vedemmo la tragedia interpretata da un attore vecchio o semplicemente maturo, noi quasi non cre demmo a Shakespeare. Am leto ha circa trenfanni, ma è uno studente ; Amleto sdotto reggia, p u r facendo i l pazzo, quando definisce parole e nìenf'altro che parole tutto ciò che è scritto nei lib ri : ed anche questo ci pare atteggiamento giovanile; Am leto si perde tra l ’essere e i l non essere, ma la sua è paura dell’inconoscìbile, non già speculazione sull’in conoscibile; Am leto infine è indifferente a l dolore di Ofelia perche lo è, indifferente, dal momento che la sventura lo ha reso tale. Ora, per tornare a l teiìspo presente e alla dram matica di questi anni, la crisi della generazione nata o cresciuta durante la guerra non è forse una crisi di debolezza-, di paura, di sproporzione a l compito, di inferiorità di fronte a l destino? Verso i l 192j , lo sappiamo tutti, a l « Mercury Theatre » di Londra, la compagnia d’arte dell’ « O ld V ie » mise in scena / ’A m le to con abiti moderni. Esiste una fotografia ormai famosa di 1jfic ia li danesi in divisa ai funerali di Ofelia. Sullo sfondo, dietro i l gruppo in prim o piano, si vedono degli ombrelli. Am leto è in uniforme di generale. Lo spettacolo girò trionfalmente l ’Europa; ebbe un successo strepitoso. Anche quelli erano tempi di crisi; l ’atmosfera del poema drammatico aderiva evidentemente allo stato d’animo di un pubblico uscito da qualche anno da un cataclisma pauroso per quei tempi, la piccola guerra mondiale. Se oggi, dopo la grande guerra mondiale, si ripetesse quello spettacolo, l ’eternità di Sha kespeare ne sarebbe ancor meglio documentata, ove mai ce ne fosse bisogno, dal dramma ambientato in ur?epoca distante centinaia di anni da quella in cui la favola ebbe la sua naturale ubicazione storica. E ancor meglio si potrebbe concludere che l ’inferno è nella caliginosa reggia di Elsìnore, e non già nella camera sbarrata ove si scontrano invertiti ed infanticidi; nel piccolo inferno borghese rappresentato ambiziosamente nel dramma Ernesto trassi A porte chiuse di Jean Paul Sartre. N O N A M Ò C H E I L S U O T E A T R O Che cosa pensava D ’Annunzio del teatro del suo tempo? Una risposta gene ricamente im plicita si può trovare negli atteggiamenti pubblicistici coi quali egli iniziò e commentò la sua vita d ’autore, proclamando la volontà di coope rare alla resurrezione della tragedia e di restituire alla rappresentazione del dramma « il suo carattere antico di cerimonia ». Per raggiungere queste mete, egli immaginò, come è ben risaputo, di edificare sulla collina di Albano un « teatro di festa » e di chiamare i poeti a concorrervi con i loro capolavori in ci tandoli però a considerare il dramma « come una rivelazione di bellezza comu nicata alla m oltitudine e l’arco scenico come una finestra aperta su una ideale trasfigurazione della vita ». Stabilite le analogie, tra l ’abside e l’arco scenico, tra la nave del tempo e l’anfiteatro, tra l’officiante e l’attore, tra la rappresen tazione e l’officio di un culto, egli insisteva sulla distanza che intercedeva tra questo teatro di festa « e i teatri urbani dove in un’aria soffocante e pregna di tutte le im purità, dinanzi a una folla stupida e viziosa, attori ed attrici mostrano a gara la loro abilità di sputare », sintetica, recisa e dura condanna di tutto l ’insieme teatrale contemporaneo: scrittori pubblico ed attori, ribadita qualche anno di poi nella prosa polemica premessa al Più che Vamore con l ’affermazione categorica « che nello spazio scenico non può aver vita se non un mondo ideale; che il Carro di Tespi, come la Barca di Acheronte, è così lieve da non poter sopportare se non il peso delle cmbre o delle im magini umane; che lo spet tatore deve aver coscienza di trovarsi innanzi a un ’opera di poesia e non innanzi a una realtà empirica, e ch’egli è tanto più nobile quanto più atto a concepire il poema come poema ». M a siamo, qui, in materia di pura estetica, in una sfera concettiva superiore ed astratta che prescinde da ogni indagine particolaristica dei fenomeni, diciamo così, teatrali ripudiati, dandola per avvenuta. Come e quando avvenne questa indagine ? N e ll’opera dello scrittore, nella mag giore come nella minore pur di capitale importanza per una valutazione del modo di progredire e di evolversi del pensiero dannunziano, non se ne trova se non qualche fuggevole indicazione. I l poeta che ci apparisce sensibile e pronto ad afferrare il significato dei m ovimenti artistici, letterari e filosofici contem poranei e che tende ad aggiornarsi culturalmente su di essi, si mantiene assente e sordo in confronto a quelli pur vitali che riguardano il teatro drammatico, rinunziando a p riori alla funzione di anticipatore di inform azioni e di tendenze che invece per altre manifestazioni dello spirito (la musica per esempio) gli è tanto cara. Durante gli anni ne’ quali fece il giornalista a Roma e a Napoli, D ’Annunzio scrisse d ’arte e di varietà mondane, ma non scrisse del teatro drammatico. A rti- coli d’ogni genere gli fiorirono dalla penna: di musica, soprattutto; di lette ratura; di pittura e scultura; di sport, o, meglio, di scherma; di mode; e noi conosciamo ancora oggi, da quelle cronache firmate con gli pseudonimi più bizzarri di gusto esotico e di gusto nostrano, espresso frammentariamente e saltuariamente, spesso anche leggermente, il pensiero dello scrittore su di una infinità di argomenti di cui, poi, non ebbe più occasione, o voglia, di riparlare. È in esse il fondamento della mentalità e della coscienza estetica da lu i maturate in seguito; particolarmente notevoli appaiono, al riguardo, gli articoli sulla morale di Zola, su Wagner, su Nietzche, sul romanzo di Francia, sul Don Giovanni di M ozart in contrasto con la Gioconda di Ponchielli; sul melodramma in genere; a proposito del quale la Giuditta di Falchi dà modo al poeta di fissare concetti come questi: «N el caso speciale della musica io sto per l ’antica opera seria italiana e per l’antica burletta contro il cosidetto dramma musicale mo derno... O meglio, io credo completamente esaurita e morta, come forma d’arte, l’opera lirica... ». Nei due articoli su « L ’arte letteraria del ’92 » con l’esalta zione e la rivelazione della poesia di Pascoli « rimasto fino ad oggi quasi sco nosciuto sotto una congiura di silenzi » gli scappa una famosa stroncatura della « massima parte dei nostri narratori (e non gliela perdonarono più) mal sicura nella grammatica e talvolta nell’ortografia » che non « adopera nei suoi bisogni se non poche centinaia di parole comuni ignorando completamente la più viva e più schietta ricchezza del nostro idioma » alla quale propone un prim o elenco di antichi da leggere e da studiare, per cominciare a emendarsi dei propri difetti, frutto di una impreparazione specifica. M a il teatro drammatico antico e moderno non entra se non di straforo nelle prose dannunziane di attualità; egli lo ignora sistematicamente; va, bensì, come spettatore alle recite che si dànno in Roma e in Napoli ma non ne ricava, se non in rarissime occasioni, che pretesti per parlar della gente in sala. Autori, commedie, interpreti, successi, insuccessi, tutto lo lascia supremamente agnostico. Si badi bene: sono gli anni storici del trapasso del teatro di Ferrari, Cossa, Giacometti, T o re lli al verismo ed al neo-naturalismo di Verga, Capuana, Gia- cosa, Praga, Rovetta, Camillo Antona Traversi (per restare ai più indicativi) e dall’estero comincia a filtrare il repertorio nordico, mentre la signorìa esclusiva di Dumas figlio tende a tramontare. Nelle platee già si fiuta odor di battaglia. N on importa. Lo spirito curioso, agonistico e polemico di D ’Annunzio, che tante altre cose sollecitano, rimane assolutamente estraneo a queii’aura di rinno vamento. Vero è che come giornalista non ha veste per occuparsene; ma questo non vuol dire: egli sa sconfinare sempre dal proprio campo quando un avveni mento artistico lo interessa; in materia musicale, per esempio, pur senza essere il critico di nessun giornale, lascia che i critici giudichino e poi li contraddice, ribatte, teorizza, discute, nega. I l teatro drammatico, invece, non lo ispira. G li capita di dover occuparsi di un concorso pel monumento da erigere in Roma a Pietro Cossa; ne parla per condannare gli scultori concorrenti, ma non si lascia sfuggire nemmeno un inciso sul drammaturgo. Cita una volta o due i nomi di Ferrari e di Giacosa ma li depone nel testo degli articoli, nudi e crudi, evitando la menoma indicazione di un qualsivoglia suo pensiero sul conto del l’opera loro. Ha occasione di descrivere (estate 1886) l’assetto edilizio del nuovo Teatro Nazionale di Roma e ne dice tutto il male possibile sotto tu tti gii aspetti: architettura esterna ed interna, decorazioni, arredamento, costituiscono, per lui, un insieme industriale, meschino, volgarissimo, dominato dal pessimo gusto e dalla taccagneria; in due articoli successivi rincara la dose delle aspre censure, nulla risparmiando. In un terzo, finalmente, si occupa del repertorio della sta gione inaugurale con un annuncio secco : « dopo la Locandiera di Goldoni avremo il T o re lli; dopo il T orelli avremo il Cossa; dopo il Cossa il Ferrari; dopo il Ferrari il Gherardi del Testa; e così via. Tutte le vecchie glorie sceniche italiane saranno rinnovellate e prepareranno il campo alle glorie dell’avvenire ». E allontanata da sè la visione delle glorie dell’avvenire, si diffonde a scrivere delle vecchie; della Mandragola di Machiavelli, della Calandra del Cardinal Bibbiena, della Cassarla di Ariosto; di questa in particolar modo, con una disamina m inuta che investe, perfino, la struttura dell’endecasillabo; di ognuna augurando la rappresentazione. « L ’avvenimento, dal lato dell’arte, avrebbe una grande importanza; e per il pubblico volgare potrebbe anche avere quel che si dice un successo di cordialità... I l signor T ibald i (l’impresario) si vesta d’au dacia. Io fin d’ora prometto che gli lascierò in pace le dorature ». Come si vede, c’è qui una presa di posizione culturale raffinata e retrospettiva che sottolinea, e in parte spiega, l’evidentemente deliberato silenzio sul reper torio moderno e sulla attualità teatrale. Questa presa di posizione confermerà in qualche altra occasione senza, del resto, insistere molto sull’argomento; e se gli verrà fatto di chiedersi (nel «Capitan Fracassa» del i° gennaio dell’87 a firm a « Matamoros ») se il teatro italiano sia vivo o morto, non sarà certo per prendersi il gusto di annunciare il nuovo proverbio in martelliani Ruit Mora di Ferdinando M artini, o La camera gialla di Costetti, o una commedia in quattro atti di De Renzis, ma soltanto per aver modo di parlare di sè notando che il « D ’Annunzio dovrà pur risolversi una buona volta ad affrontare con la sua Salamandra il giudizio della platea... ». La qual Salamandra non era stata, naturalmente, neppure scritta, nè lo fu mai, se non sotto forma di una parte di racconto in quella delle Favole mondane che comparvero a firma del « Duca m inim o » nella « Tribuna » del 1887. La cosa è tuttavia interessante perchè con ferma che il desiderio di affrontare il teatro risaliva in D ’Annunzio alla sua prima giovinezza. D el resto chi voglia vedere una esercitazione teatrale del poeta, press’a poco di quello stesso tempo, non ha che da leggersi le sue scene in un atto: L ’avventura di don Giovanni, ove sulla falsariga « di una commediola galante di G iulio Nariac » è elegantemente e graziosamente narrata una avventura mon dana di cui pare si parlasse, in quei giorni, nella società romana. U n riflesso dello stato d’animo dannunziano nei riguardi del teatro dramma tico si può vedere, volendo, nello spietato giudizio ch’egli faceva dei critici. Corrucciato per il trattamento riserbato al Più che l ’amore e per la incompren sione dimostrata verso questa sua «Tragedia moderna» il poeta scrisse nel bellis simo « discorso polemico » dedicato a Vincenzo M orello difensore di Corrado Brando, premesso al testo, parole che sembrarono una improvvisata ritorsione indignata contro « la v ii canizza gazzettante » e i « catoncelli stercorari ». M a improvvisazione non erano; e rappresentavano, piuttosto, una sintesi di quel che, a freddo, aveva, tanti anni innanzi, snocciolato in un articolo « Chiacchiere di foyer » nessuno salvando, dei suoi colleghi in giornalismo, dalla beffarda valutazione: «T ra i critici che vanno per la maggiore io non conosco nessuno che sia un vero e proprio artista e che sappia sul serio giudicare l’ingegno di un autore o il merito di un attore. Per lo più quasi tu tti, come quel buon Sarcey di Francia, hanno la velleità di indicare sempre la “ Scene à l’aire ” e danno con gran sicumera consiglio prudhommeschi e si affannano a nascon dere sotto una severità feroce la loro nullità. D io ci liberi poi dai critichini. Ignoranti, quasi analfabeti, cercano di rimediare alla mancanza di cultura con un po’ di esperienza di mestiere. Guardateli, si annoiano sempre; prendono sempre un’aria malcontenta; fanno dei gesti d’abbandono; mormorano de’ giudizi am bigui; sanno tu tti i pettegolezzi, li ripetono, li gonfiano, li variano in m ille modi, fanno dei giuochi di parole, raccontano che la tale attrice è incinta, che la tal altra ha piantato l’amante per darsi a una passione mostruosa, conoscono minutamente tutto ciò che accade fra le quinte e nei camerini meglio d’una qualunque serva di teatro; e sguazzano in quelle cloache drammatiche come le sorche nelle fogne. Costoro, ripeto, sono di una ignoranza spaventosa ». N on consta che all’apparir di queste drastiche righe sia successo un qualunque putiferio, anche locale, paragonabile a quello suscitato dalle staffilate contro i « catoncelli » e la « canizza gazzettante » ; eppure il tiro, in una Roma che viveva quasi completamente di pettegolezzi e di questioni personali, mirava indub biamente a bersagli ben definiti e ben identificabili. M a lo scrittore non era ancora il poeta di fama mondiale del Più che l'amore, il cui rim brotto poteva bruciare, e la cosa finì lì. M a pensate che cosa accadrebbe oggi se un giovane letterato « lanciatissimo » uscisse in un grande giornale a parlar dei critici dram matici con lo stesso dispregio con cui ne parlò allora il lanciato autore del Canto novo. Il teatro drammatico dei p rim i tem pi di D ’Annunzio allineava una schiera di grandi attrici e di grandi attori i nomi dei quali continuano a risuonarci negli orecchi sulle fanfare della gloria. Dalla M arini alla Pezzana alla Duse, da Rossi a Salvini, a Emanuel, alla fioritura dei giovani, il firmamento delle compagnie è pieno di astri di prima grandezza e di costellazioni fulgidissime. Le interpre tazioni delle une e degli a ltri fanno epoca; tu tti ne parlano e la memoria ne dura. I l poeta zitto. Non ne ricorda una nemmeno per isbaglio. O meglio, una, una sola, ha l’onore di divenir materia delle sue cronache, quella di Eleonora Duse nella Badessa di Jouarre di Ernesto Rénan. La prim a rappresentazione di questa commedia dell’autore spretato della Vita di Gesù Cristo mise Roma a soqquadro, e costituì un avvenimento emozionante in cui mondanità, arte e politica si contesero il primato. D ’Annunzio ne riferì nella « Cronaca Bizantina » e nella «T ribuna» con elegante ironia descrivendo le belle dame del pubblico. « T utta l’Accademia di Francia era presente con Héber ed era presente, in forma quasi ufficiale, tutta l ’Ambasciata. I giovani accademici, per la maggior parte biondi e pallidi, con nella testa certe arie e certi lineamenti che rammen tavano i tip i preferiti dai p ittori del tempo di Masaccio erano irrequieti e loquaci ; cercavano di penetrare con lo sguardo le intenzioni del pubblico raccolto; fre mevano nell’aspettazione ». La commedia fu applauditissima ed Enrico Panzacchi si affrettò telegrafarlo all’autore il quale rispose « con un altro telegramma lunghissimo e pieno di entusiasmo senile»: «M erci, cher Panzacchi, merci! I l successo dell'Abbesse de Jouarre, a Roma, nella capitale cattolica, nella città papale è la più bella, la più nobile, la più alta ricompensa di tutta la mia vita di scrittore ». Proseguendo nella sua informazione D ’Annunzio riferisce l’en- tusiamo di Rénan per la Duse. « Egli è assai profondamente preso della grande attrice che ha osato mettere su ’1 palcoscenico quei solenni dialoghi dell’ultim a notte, dove è sì gran parte dell’anima sua. Tanto ne è preso che già prepara un nuovissimo dramma per lei, proprio per lei; e non è improbabile ch’ei venga di persona a chiedere il giudizio del popolo romano e a baciare la bella fronte di Leonora in cospetto del popolo. L ’eroina questa volta, udite! poiché la notizia è rara, sarà una m artire cristiana, Santa Balbina... Avrà anche Santa Balbina la sua catastrofe erotica ? Non so, perchè in verità non so, perchè di Balbina io non conosco che quella di Théophile Gautier, nata felicemente nella città di Granata, fra gli aranci e gli oleandri. Questa dolcissima donna aveva l’abitudine di ritenere verso di sè gli amanti legandoli con un sottil filo d’oro. Come le lettrici vedono, Santa Balbina ha nella storia dell’Amore una gioconda sorella. Ci sia dato trarre da questi buoni auspici per la vitalità del futuro dramma rénaniano ». Non si può dire che l’arte di interprete di Eleonora Duse avesse tentato l’estro apologetico del poeta, il quale scherzando sulla catastrofe erotica e sul legame del filo d ’oro non immaginava certo di ipotecare un poco del proprio destino. I l tono qon cui in altre circostanze D ’Annunzio parla della Duse non è meno estrinseco al teatro. Se scrive, nel febbraio dell’85, alcuni Fasti carnevaleschi e di una festa a palazzo T itto n i, rileva la « strana acconciatura giapponese della signora Dusa disegnata sul fondo della persiana fiorita come sul fondo di un paravento brodé. ». Poche sere dopo G andolin inaugurava il salone delle riu nioni della «Tribuna» con una conferenza allegra alla quale interviene e si diverte il meglio della capitale. La riunione mondana si protrae fin nella notte. « La signora Eleonora Duse, per una squisita cortesia, dopo la faticosa rappre sentazione della Theodora, giunse tardissimo in carrozza, mentre la gente usciva. Fu attorniata da m olti. Ella mise fuori dello sportello la faccia pallidissima e tentò di parlare contro l ’aspra raucedine. Ma, come la sua stanchezza era immensa, ella non discese ; e, dopo aver salutato li amici, partì ». Chi conobbe Eleonora Duse sa che in questa apparizione ritrosa, in questo ti vedo e non ti vedo, c’è tutto il suo ritratto. Infine in un articolo sulla riverenza, concluso da un «pigre dame di Roma, a scuola a scuola! » trova che «oggi le attrici rive riscono tutte molto male. Fra le nostre la signora M arini fa il saluto poco disin volto e poco elegante, la signora Duse fa il saluto troppo artificioso ». Se il teatro degli altri non stimolò la curiosità critica di Gabriele D ’Annunzio, nel periodo in cui la sua attività giovanile di giornalista lo costringeva, quasi, a frammischiarvi la propria esistenza, è lecito arguire che ancor meno egli vi si interessasse quando si sprofondò nel proprio lavoro esclusivo di romanziere e di poeta. Si trattò, ad ogni modo, di un interesse negativo, dalla maturazione estetica del quale scaturì quella presa di posizione che si concretò nel ricordato progetto del « teatro di festa » ad Albano e nella lunga battaglia per il suo teatro di poesia. Allora le esigenze pratiche della vita d’autore lo portarono fatalmente a contatti, arrendevolezze e, soprattutto, ad atteggiamenti fittiz i di cui nel l ’intim o sorrideva o addirittuva rideva. La scelta degli interpreti, la necessità ch’egli ebbe di assicurarsi la collaborazione, anche in parti m inori, di attori e di attrici per i quali il pubblico travedeva, o che parevano indispensabili, si tradussero, per esempio, in piaggerie ed adulazioni che riempirono lettere e telegrammi sonanti, delle quali, però, non credeva una parola. D i codeste let tere molte furono a volta a volta stampate per iniziativa degli interessati; con le inedite, chi avesse la pazienza di ricercarle e di raccoglierle, cosa del resto non difficile, se ne potrebbe formare un grosso e non disutile volume. E gli toccò, talora, a fin di pace, smentire pubblicamente, facendone ammenda, qual che giudizio acre che gli veniva attribuito. M a io ricordo benissimo la franca ilarità con cui m i raccontò a una colazione in casa di Aldo Ravà la fatica com piuta a correggere, alle prove, la recitazione della Nave infarcita di innum erevoli errori di pronuncia. È noto il riserbo di D ’Annunzio nei confronti di ciascun singolo scrittore a lu i contemporaneo. Quando non gli capitava l’occasione di dirne o di scriverne bene, taceva, ne avesse o non ne avesse, il che accadeva frequentemente, lette le opere. Cortesia sovrana che gli scrittori non gli resero quasi mai, facendo a gara, anzi, per dirne e scriverne, non in sede critica, tutto il male possibile anche senza averne lette le opere, il che accadeva pure assai frequentemente. Eguale riserbo egli mantenne verso gli autori drammatici insigni e mediocri non importa, seb bene nessuno fosse più accanito degli autori drammatici a negarne il valore di poeta teatrale. In occasione della prim a rappresentazione a M ilano della Figlia di Jorio Luciano Zuccoli che dirigeva il « Giornale di Venezia » affidò l’incarico di riferire ai suoi lettori dell’opera e del successo ad un commediografo già molto festeggiato dal pubblico: Giannino Antona Traversi. L ’indomani del trionfale successo della tragedia pastorale il « Giornale di Venezia » fu il solo in Italia, con un lungo telegramma non firmato, a buttar acqua fredda sulle accoglienze entusiastiche. Nel coro generale dei riconoscimenti am mirativi, fu l’unica nota stonata, e fu avvertita, e si tentò di identificarne l’autore che una vignetta pubblicata nel « G uerrin Meschino » e riproducente il celebre quadro di M ichetti, identificò spiritosamente nel « personaggio senza testa » che esce dalla cornice nell’opera del pittore abruzzese. Cin,( Damei.inJ e t à g i à v S @ v t ó # 0 3 ^ S © v COMMEDIA CON COVEELLO FINTO DIANA, MEZZETTINO FINTO GIOVE, FICHETTO FINTO MERCURIO 1/707 ¿'ewt-ejfccf' ? Z ^ ¿ ¿ ee c e 'j ¿ /& - PRESENTAZIONE DI BRUNO BRUNELLI c m j m £ & \ ì r ù i i c q / $ ù k i l 6 agosto rappresentata per Cioè, chi p iù sa meno sa, è una commedia ignota a i repertori stampati delirarte. D a ll’indicazione del frontespizio essa venne la prim a volta a Venena iyoy. G li interpreti, come era costume allora, avevano sulle scene nomi fissi, che p o i ritroviamo in altre com medie rappresentate dagli stessi comici e nella medesima stagione. L a compagnia si appoggiava principalmente su Co- viello e Fichetto. È difficile form ulare ipotesi sul comico che indossava le vesti d i quest’ultimo per sonaggio: era evidentemente un continuatore d i E u stachio L o lli, che cinquantanni p rim a sotto tale maschera aveva dato lustro alla compagnia del duca d i Modena. P iù facile pensare come i l Coviello, che già aveva perduto le caratteristiche originarie d i maschera napoletana, fosse Tommaso R istori, i l iy iq guiderà la compagnia dei quale nel giugno « Comici reciterà a Modena nel Teatro Comunale Vecchio detto Rangoni; nello stesso anno trovandosi a Venezia verrà invitato a Dresda coi suoi comici per fo rm a rvi la compagnia del Re d i Polonia, elettore d i Sassonia. S i può quindi supporre Im p e ria li » e che i l Dottore fosse quel Carlo M alucelli, allora cinquantasettenne, che seguirà i l R isto ri alla stessa Corte d i Dresda. I l Pantalone poteva essere Giovanni Battista G arelli, veneziano, che per i l suo facondo ed elegante parlare verrà denominato il Pantalone eloquente. Cintio era certamente Carlo Schiavi, fin dal iéyp com pagno d'arte e d i vita d i A ngiola P a ffi, non ammettendo lo Schiavi d i essere scrit turato senya d i lei, come e detto in una sua lettera a l duca d i Modena; e qui si vede in fatti che Angiola, per quanto non p iù giovane, faceva ancora parte della compagnia. P er g li a ltri interpreti sarebbe imprudente arrischiare nomi. N e l iyo y si era ancora in pieno fiorire della commedia dell'arte, e quindi del teatro all'improvviso, ma non e detto che non ci fossero anche commedie scritte: e ne sono una nuova prova i manoscritti del principio del secolo X V I I I che nella mia biblioteca risultano appartenenti a l repertorio d i questa compagnia. L a com media, p u r avendo i l testo interamente scritto, ha nella comicità delle maschere, nell'intreccio d'amore, nel movimento, nei travestimenti, in alcune pennellate scur r ili le p iù schiette caratteristiche delle commedie all'im provviso: e da supporre, se mai, che a l testo i comici aggiungessero la y y i e giochi d i scena p ro p ri dell'arte, e degli sproloqui attinti a i loro repertori vi aggiungessero specialmente i due « vecchi », cioè Pantalone e i l Dottore. G li stratagemmi immaginati da Fichetto per ingannare i l Dottore e f a r raggiun gere i loro scopi m atrim oniali a i due innamorati, non nuovi ma vivacemente espressi, offrivano pure occasioni agli attori d i introdurre motivi comici che erano loro fa m i lia ri come facenti parte del consueto repertorio. Quanto alle finzioni d i Coviello in statua e d i Fichetto e d i Coviello in astrologhi ci rammentano uno scenario italiano che si rappresenterà a P a rig i nel iy i6 , intitolato A rle cch in o fin to astrologo, bam bino, statua e pappagallo. H o corretto, nel modo p iù discreto, parecchi errori d i grafia, specialmente abbon danti nelle didascalie. D i alcune scurrilità ho dovuto lasciar traccia perche esse facevano parte del modo d i intendere allora la « vis comica ». N e lla seconda metà del secolo le autorità della Serenissima non dovranno intervenire p iù d i qualche volta per frenare la sboccata ma prepotente comicità d i Antonio Succhi, i l famoso Truffaldino? Quanto a l titolo e evidente rife rirsi a l Dottore, i l quale p u r avendo delle pretese d i dottrina, come e proprio d i quella maschera, e p iù facilmente beffato dalla f u r beria d i Fichetto: motivo che si ritrovava in m olti intrecci d e ir arte, come nel P iù astuto bu rla to e in C h i p iù discorre m eno l ’intende, commedie che appaiono nei teatri romani f r a i l iy ip e i l iy$2. Credo dunque che questi tre a tti valgano a dimostrare come f r a la tesi d i coloro che sostengono la commedia dell’arte essere stata tutta improvvisazione e quella d i chi toglie validità a questa improvvisazione citando i repertori o zibaldoni d i motivi comici e amorosi che offrivano agli attori la possibilità d i inserire nell’azione discorsi preordinati, si deve inserire la commedia interamente scritta cui dava vita la spi gliatezza dell’interprete, sempre pronto a ravvivare la parola premeditata con la meravigliosa vivacità propria dei comici italiani, oggetto d i ammirazione per i pubblici stranieri. Bruno Brunetti ANGIOLA FIGLIA DEL DOTTORE VALERIO DEL SOLE CINTIO SUO FIGLIO MEZZETTINO SUO COMPAGNO FLORINDA SUA SORELLA DOTTOR GRAZIAN BOMIÌARDA PANTALON DE’ BISOGNOSI 1 FICHETTO SUO COMPAGNO VIOLETTA SUA SERVA i COVIELLO SERVO DI PANTALONI! (Si tira su la tenda, si apre il p-ospetto. Camera da letto di Angiola, con una finestra aperta su un pog giolo. Dalla strada giunge un rumor di grida, di spadacciare, di pestar di piedi. Dal poggiolo entra Valerio con la spada in mano). Valerio —■ Ohimè, dove son? Per certo questa è una camera, questo è un letto. Credo pure esser sicuro dalla malvagità de’ nemici, ma che dirà il padrone di questo luogo? Mi stimerà qualche scel lerato... Oh Cielo, che contraria fortuna! appena giunto in questa città esser assalito da nemici... Credo che quando gli racconterò tutto mi compa tirà... Voglio riposare. {Si stende sul letto e s’ad dormenta. Qualcuno è entrato e depone un lume su un tavolino : è Angiola). Angiola ■—- Già che è tempo di riposare, voglio ritirarmi a letto. (S’accorge che c’è qualcuno steso nel letto) Ohimè, chi è sopra il mio letto? Per certo vi è qualcuno, ohimè! (Angiola cade in fastidio (1) appresso il letto, e Valerio si sveglia). Valerio — Chi importuna la mia quiete e il mio riposo? Chi sei? Parla! Questa mi par una donna... Signora, non abbiate paura. Angiola (rinvenendo) — Ohimè, chi è? Chi siete? Valerio — Un cavalier romano, che per mia di sgrazia mi ritrovo qui. (Angiola si alza in piedi). Angiola — A me dispiace molto la sua disgrazia, ma si potrebbe sapere come lei sia venuto qui? Valerio — Io le racconterò. Poco fa arrivai in (1) Svenimento. questo paese per venir a ritrovare il signor Cintio, che, di questo paese, credo che lei lo conoscerà; ma parendomi non esser ora d’andar a dare incomodo a quel signore, principiai a girar per la città, per ri trovar qualche osteria. Giunto in una calle qui vi cina, fui assalito da diversi spadaccini: per certo credo che mi abbiano preso in fallo, perché in que sto paese non conosco alcuno, se non il signor Cin tio. Io presi a mano la spada, come lei per appunto mi vede, e incominciai a difendermi. Per la lunga difesa ero quasi stanco, e vedendo di non poter più difendermi, principiai a fuggire: ritrovai un pilastro, mi sono arrampicato e giunsi in questo luogo, dove lei mi vede. Angiola —- Mi dispiace molto, ma la prego di partirsi. Valerio — E perché così? Angiola —- Perché se il mio genitore s’accorge, guai a noi! E’ tanto geloso, che a una mia sorella, per ché s’accorse d’una lettera, la serrò in una stanza, ed anch’io perché s’accorse che parlavo a un signore a me uguale, con nessun fine se non di maritaggio, mi ha tenuta serrata un anno, e oggi appunto mi cavò. Valerio —- E se gli raccontassi la verità? Angiola — La prego partirsi, che io le farò strada, e intanto si compiacerà dirmi il suo nome. (Angiola e Valerio partono, si serra il prospetto (2). Strada. Vien Fichetto). (2) Cioè: si cambia scena. CHI PIU’ SA MANCO SA Fichetto — Almanco i altri dorme, ma el mio paron no è de quei: da poco in qua le deventà una bestia, dopo che le inamorà in quella siora Fiorinda no gh’è altro. E sì el sa che so pare no la ghe voi dar. L’è vegnù a casa e gh’ho det: « Sior paron, volèu qenar?». «Te trarò i piatti nel musi». « Questo l’è bon principio. Sior paron, volè che la descalza?». «Vatte a far squartar, me so descalzar anca mi! ». Così i poveri servitori i vien tratai. (Vien Cornelio). Coviello — Lan, la, laran, lan, lan, lan, la, la... Fichetto —• I ha verto l'ospedal dei matti. Coviello —• Laran, laran, larela, lan, la, la... Fichetto — A pregipis, maledetti Coviello — Che dici? Via, presto! Fichetto — Niente, no, niente! Coviello —- Lilon, lilon, lon... Fichetto — Bisogna che tasa. Coviello — Lerum, lerum, lo, lerum, lerum, lo. Fichetto •— Me par e no me par de cognoserlo. Coviello —■ Chi sei, o che muso da scorpione? Fichetto — Mo che scimmia! Coviello — Ficheti Fichetto — Coviello, estu ti? Coviello — Fichetto, cosa fai qui? Fichetto —• A servo un gentilhomo. Coviello — O pazzo, lo coppier fai? Fichetto •—• Eh, non porto copi no: servitore. Coviello — Bene, e cosa dico? Servitor. Fichetto — E cosa vuoi far qua? Coviello — Quattrini guadagnai, e se fossi stato ancor tu là... Fichetto —- A che far, caro Coviello? A morir de fam, che i peocchi (1) me magnava. Coviello — Sei stato sempre un porco, un poltron. Che se avessi fatto a modo mio... Fichetto — Senti : za che semo stai sempre ami^i e boni paesani, vói che ti vegni a star con nu, in casa di quel gentilhomo. Coviello —- Che? Mi servitore? No: volgio esser distinto. Fichetto — No pò! Deboto (2) el voi esser paron! Coviello — Mi distinto dagli altri... No vedi che appariscenza? {Vien Mezzettino correndo). Mezzettino — Dai, dai, mazzèllo! (3). Coviello — Eh, barone, parti di qui!... Chi è colui? Mezzettino — Uh, che orso! Debotto el sbudèlo. Fichetto — Sta’ savio, Coviello, che l’è mio paesan. Sta’ savio. Coviello —• Lasciamelo uccidere. (Mezzettino (ugge e ■poi torna). (1) Pidocchi. - (2) A momenti. - (3) Ammazzatelo. Mezzettino — Al sangue de mi, che a son un omo anca mi. Fichetto — Via, sta’ fermo, vien qua. Coviello — Vago via, che con quel porco no voi star. Fichetto — Vien qua. Coviello — Va’ via de qua. Mezzettino — A chi? A mi? Adesso mo... Fichetto — E vien qua, Mezzettin, vien qua, pre- qipizio maledetto! Coviello —- Andiamo, che non voglio vedere colui, che lo uccido gerto! Fichetto — Vien qua, via Mezzettin. (Viene Cintio, insieme con Valerio, e Mezzettino si parte subito). Cintio — Mi dispiace molto che vi sia occorso questo male, ma d’altra parte mi rallegro della for tuna che ha voluto medicare la disgrazia con una grazia. Sentite, caro signor Valerio: si potrebbe sapere il nome di questa signora? Valerio —■ Volentieri: ha nome Angiola. Cintio — Angiola? Valerio — Ch’è forse vostra? Cintio — No, signore, ma ringrazio la fortuna che vuole che di amici diventiamo parenti. Valerio — Perché? Cintio — Perché lei è sorella della mia amante. Valerio — Godiamo dunque della fortuna. {Vien Violetta). Violetta — La padrona mia mi ha detto che guardi di ritrovar il signor Cintio... Ma eccolo!... signor Cintio! Cintio —• Ecco la serva della mia amante. Valerio — E' questa forse? Cintio — Sì. Violetta —■ Il padron m’ha manda qua da un ta- gliapietra, e così la padrona m’ha detto che guardi di trovarla e che gli dia sta lettera. Cintio — Stala ben la vostra padrona? Violetta — Eh, poco... Bisogna che vadi a casa... Me dàlia la bonaman? Cintio — Prendete. Violetta — LTn soldo è poco: accetterò il buon animo. Padroni... (A parte) Oh, che bel giovinotto! (Violetta si parte e vien Mezzettino). Mezzettino —• Siori, sior paron, salvève, salvève! Cintio — Perché? Valerio — Cosa ha costui? Mezzettino —- Salvève! Cintio — Cosa hai? Valerio — Che hai? Presto, parla! Mezzettino — El mulinar ha perso do muli: se el ve trova... Cintio •— Eh, pazzo, va’ via de qua! (Mezzettino si 'parte). Valerio — Che bestia! Cintio — La signora Angiola vi saluta e vi ricorda volerle bene e ricordarsi di lei, e che la compatite se non vi ha scritto di propria mano a causa del padre. Valerio — Che stia sicura, che non le manco. Cintio — Ohimè! Valerio — Cosa vi lamentate a veder lettere del l’amante? Cintio — Mi lamento perché il padre suo s’ac corse della lettera che le mandai per il passato, e ora si trova serrata, per la qual cosa non posso par larle. Valerio — Avete ragione, ma bisogna guardar di trovare qualche modo di liberarla, procurar di man darle la risposta. Fichetto — Sior padron! Cintio — Chi è colui? Fichetto — L’è un me paesan, che voràve (1), sior paron, che la talesse (2) con mi, che è tanto tempo che semo paesani. Coviello — Fichetto, cheto: no volgio (3) che lo preghi, no volgio esser tolto con preghi. Fichetto — Oh certo, sto omo el voi che el paron el preghi. Cintio — Mo via, Fichetto, perché sta così im palato? Noi abbiamo d’andar via. Fichetto — No el se avigina perché non sa se la lo toga (4). Cintio — Fallo venir qua. Fichetto — Coviel, vien qua. Coviello — Vien qua tu. Fichetto — E vien qua! Coviello (s’avvicina) — E’ gentilhomo costui. Fichetto — Sì, vien qua: sta’ con creanza, pulito. Coviello — E strissa (5). Fichetto — Sì, lustrissimo. Coviello — Non mi minchionare, che fasso qual che capocchiaria. Cintio — Via, fa’ presto. Coviello — Schiavo, strissa. Cintio — Cosa sai fare? Coviello — Ingegnoso, manisar ben la spada de Catalogna... de Catalogna... Cintio —■ Suppongo che siate pratico d’amore. Coviello — Io rufegano, io me ne vo in Catalogna. Fichetto — E vien qua, Coviello... A pregipizio, maledetti (1) Vorrei. - (2) Prendesse a servizio. - (3) Voglio. - (4) Se lei lo prenda. - (5) Per « lustrissimo ». CHI PIU’ SA MANCO SA Coviello — Io non voglio esser tolto con prieghi, voglio esser conosciuto. Cintio — Come volete dire? Coviello — Io distinto da sti altri, par mio, Ca talogna. Fichetto —• Sia maledet sta Catalogna! L’aspetta i burchi da Catalogna. Cintio — Bene, bene: hai ragione. Coviello — Cosa fa vu si strissa de costoro in casa? La i manda a fare i fatti sui. Fichetto — Oh, bestia! Cintio —■ Senti, Fichetto: bisogna dal sartore far gli fare un abito. Coviello — E questi abiti voglio, ché par mio non porta altro che seta. Fichetto — Oh, bestia! Valerio — Lo stimo un pazzo. Fichetto —• La lassa far a mi, sior paron, che gh’è quell’abito a casa, che el sarà giusto bon. Cintio — Vattene, che ti dò licenza. Fichetto —- Andèm, Coviel. (Fichetto e Coviello si partono). Valerio —- Andiamo a preparar la lettera. Mezzettino —- Siori, una nova bona. Cintio —■ Cos’è? Valerio — E' molto balordo costui. Mezzettino — Una nova: podè camminar libe ramente, che el molinar ha catà (6) i do muli. Valerio —• Oh, bestia! Cintio — Guardavo quello che volevi dire. Mezzettino — Ve digo che l’ha catà i muli. Cintio — Andiamo. Mezzettino — A vegne (7) anca mi. (Sì partono Cintio, Valerio, Mezzettino. Viene il Dottore). I l Dottore — Vói (8) andar da Pantalon, e vói dirghe de sto fiol... Che lettere, che vìssere mie... (Picchiando alla porta di casa di Pantalone) Ohe cà! Pantalone {di dentro) — Margarita, va’ a veder chi è. I l Dottore (c. s.) — Ohe cà! Pantalone — Tante serve, nissuna va a veder chi è. (Entra in scena uscendo di casa) Oh, Dottor caro! I l Dottore — Eh, Pantalon, tendé a far i fati vostri, e perché per causa de vostro fiol... Pantalone — Perché, cossa àllo fatto? I l Dottore — L’ha fatto che el fa l’amor con Flo- rinda, e mi gh’ho dit che no vói! Ghe l’ho ditto do o tre volte: no l’ha mai volesto tralassar, l’ho probìo de casa: né più né manco, el ghe manda lettere con «cor mio, vìssere mie, ben mio»... No (6) Trovato. - (7) Vengo. - (8) Voglio. CHI PIU’ SA MANCO SA le vói ste baronate, ve lo digo a vu che sé so pare: remediegh vu, se no ghe remedierò mi. Schiavo. Pantalone — Vegnì qua, Dottor: mi ghe reme dierò, mi ghel dirò... Ma po’ bisogna compatirlo: le putto zovene, avémo fatto cussi anca nu, e cussi bisogna che i fassa anca lori. I l Dottore — No gh’è altro: no vói! Pantalone —• Sè paron, ma no staràve minga mal che de amigi cussi streti deventessimo parenti. I l Dottore — No vói e no vogio darla no a vostro fiol, e a altri, e se vu no ghe remedierè ghe reme dierò mi. Ve saludo. Pantalone — Vago a trovarlo: lasse far a mi. (Il Dottore e Pantalone si partono un per parte. Ven gono Valerio e Cintio). Valerio — Avete scritto la lettera? Cintio -—- L’ho scritta, ma non l’ho inviata. Valerio — Bono, stiamo bene. Cintio — Se non ho veduto alcuno de’ miei servi. Valerio — Tenete tre servi, e niuno è bono da niente e di niuno mi fido se non di Fichetto. (Vien Fichetto con Coviello). Fichetto — Signor, la veda... Elio ben vestì? Cintio — Bene, pulito. Coviello — La spada di Catalogna. Fichetto — Sia maledet quella spada! Valerio — Taci. Coviello — Me ne vo. Fichetto — Eh, vien qua. Coviello —- A voi si strissa acciò da fare con voi e non con colui. Valerio — E vi entro anch’io. Coviello —■ La spada di Catalogna, Fichetto. Fichetto — Pustu laser? Cintio —- Anco lui vi entra, ed è tanto quanto nu. Valerio —- Non vi è tempo da perder: dategli la lettera. Cintio — Prendi, Fichetto: questa è la lettera da dar alla signora Fiorinda. Fichetto — Via, sier virtuoso, sier ingegnoso, fè- ghela recapitar. Coviello — E te par difficile? Do soldi qua alla posta, la se ghe franca, e i ghe la porta. Fichetto — Eh, ghe non occorre posta no! Cintio —• Costui ride. Valerio — Mi par un allocco. Coviello — No voli postà da mi la lettera? Fichetto — Prendi. Coviello — Dove valla? Fichetto — A quella porta là. Coviello — Da chi? Valerio — Dàghela. Coviello — Non voglio che parlate, che quando parlate mi viene il catasisimo. Fichetto — Là, dalla siora Fiorinda. Coviello — Èia gentildonna? Fichetto — Sì. Valerio — Ha una gran simpatia con me. colui. Coviello —• Guarda co presto che ghe la dago. Fichetto —■ Cosa fai? Coviello — Non volé che li dia la lettera? No stàla là? Mi batto, allocco che sì! Fichetto — Tutto va ben, ma se vien el padre... Coviello —■ Mi ghe dirò che no vói niente de là; che vói la siora Fiorinda. Fichetto —• E lu dirà che noi voi che la vegna, e el ' te darà un cargo de legnae de proposito. Coviello —• Fio la lettera. Fichetto — Da’ qua. Cintio —• E come avrà la lettera la signora Fiorinda? Fichetto — La lassa far a mi; vien qua Coviello. Valerio — Seguiamoli. (Valerio, Cintio, Fichetto, Coviello si partono. Si cambia la scena. Stanza in casa del Dottore: è in scena Fiorinda). Florinda —• Signora sorella, dove siete? (Viene Angiola). Angiola — O signora sorella, me ne rallegro. Cosa fate? (Viene Violetta). Violetta — Signore patroncine. Angiola —• E sì, gli hai dato la lettera? Violetta — Signora sì, e sì col signor Cintio vi era un giovinotto più bello del signor Cintio. Angiola — E cosa vorressi dire forse? Quello, ac ciò lo sappi, è mio amante. Violetta — Ne ero innamorata io. Angiola — Non hai Fichetto per te? Quel gio vinotto non è par tuo. Violetta — Oh via, voglio Fichetto? Ve lo dò, ve 10 dono! (Viene il Dottore). 11 Dottore — Putte, dove siete? Violetta — Vado via, vedete. (Violetta si parte). Florinda — Sempre ne sta attaccato. I l Dottore — Cosa è? Vi è passato il male? Florinda — Signor sì. Angiola — Ha avuto mal forte, vedete. Florinda —• Caro signor padre, presto ne darà marito. I l Dottore — No, no, ritirati, sbassa quei occhi, galtrona (1), galtrona! Angiola —■ Signor padre, non sta bene che stra- pasciate così vostra figlia. (Viene Violetta). Violetta — Signor padrone, i batte. I l Dottore — Chi è? (1) Cialtrona. Violetta •—■ Il scultor. I l Dottore — Verzìghe, che el vegna qua. (Fi- chetto finto scultor e Coviello finto statua). Fichetto — Patrun mio manda statua a vussìa. I l Dottore -— Dove élla? Fichetto —- Qui fora. I l Dottore — Che i la porte dentro. Fichetto — Putti, portèla chi. I l Dottore — Pian che no i la butta de mal, che no i la rovine. (Due facchini portano dentro la sta tua sorretta da due legni e la posano su un tavolino). Fichetto — Pian, pusèla qua. Andè via. I l Dottore — Bella, bella. Fichetto — Oh, signor! Esser tutta suste (1), e far tutto che vu, signora, volò. (Coviello si muove). I l Dottore — Cosa è? La se move... Fichetto —■ Qualche susta sarà zo del so sesto (2). Adess vardè a far quel che volè. I l Dottore — Una riverenza. Bella, bella! (Co viello fa i corni) No, no, no me pare ben. Così no me piase. Violetta —- La vostra arma, sier paron. I l Dottore —• Ah, galtrona! Angiola —• Non si parla così col padrone. I l Dottore ■—■ Andè a bottega che vegnerò dal paron. (Il Dottore accompagna Fichetto fuori della porta). Fichetto — Sior sì. I l Dottore —• Andèmo. (Coviello salta giù dal tavolino e si toglie il volto). Florinda — Ahimè! Angiola — Povera me! Violetta —■ Agiuto! Coviello —• Cito, Catalogna, Catalogna. Angiola —■ Piai niente? (1) Molle. - (2) Verso. CHI PIU’ SA MANCO SA Coviello — Una lettera. (Ritorna il Dottore). I l Dottore — Oh, che statua! Angiola — Corè presto, che el padre viene! (Co viello monta sul tavolino e si mette il volto). I l Dottore — Oh cosa è, vedèu putte: havè un pare che se deletta nome (3) de cose belle. Vói an dar a veder s’è serà la porta. (Il Dottore si parte e Coviello scende dal tavolino e sì toglie il volto). Coviello — Pigliate la lettera, presto. I l Dottore (parla dal di fuori) —■ Putte, vegnì fora de quella camera. Violetta — Presto, montate. (Torna il Dottore, Coviello monta sul tavolo e si mette il volto). I l Dottore (vedendo la statua in altra posizione) — Oh meschin me, chi la ha rovinada? Violetta — Ho toccà una susta, e non so... ho fatto così. I l Dottore — Oh, povero me! Angiola —• E non fate, signor padre? (Il Dottore vuol accomodare la statua: questa gli dà una pe data e lo butta in terra). I l Dottore — Oh, povero me: per causa tua son andà per giustarla, ho falà la susta e la m’ha dà una peadassa (4) in del stomego, la m’ha buttà in terra. (Si alza da terra) Ah, galtrona, galtrona! Angiola — Vi avete fatto male? Florinda —- Non volete?... I l Dottore — Anderò dal scultor. Vago. (Si parte). Angiola •—• Dammi la lettera. (Coviello scende dal tavolino). Coviello — Ah, Fichet, maledet! (Torna il Dot tore. Riconosce Coviello). I l Dottore — La è una gran cossa! Ah, furbasso, te cognossoL. Oh, che statua, che furbaria, baron! (Il Dottore corre dietro a Coviello. Si serra la scena). (3) Soltanto. - (4) Un forte calcio. CHI PIU’ SA MANCO SA A T T O S E C O N D O (Coviello conz fuori dalla porta del Dottore e fugge. Vengono Valerio e Cintìo). Cintio —■ Mi dà molto da dubitare la tardanza di costoro. Valerio — Bisogna che il negozio sia andato male. Cintio — E chi lo può sapere? Valerio — E se fosse andato male? Cintio — Bisognerebbe ritrovare qualche altra in venzione. (Vien Fichetto parlando da solo). Fichetto —• E l’ho ditto: colò xè una bestia! Cintio — Ecco Fichetto. Valerio — E’ molto mesto. Fichetto — Olà, siori! Cintio — Come è andato il negozio? Fichetto — Mal. Ho mandà Coviello in casa del Dottor con bel termine polit in forma de statua, ch'el parea proprio, ma el Dottor l’è tanto astuto: el l’ha scoverto, e l’è vegnù via con un cargo de legnae. Cintio — E ha veduto la lettera il Dottore? Fichetto — Sior no. Cintio — Gli ha data la lettera? Fichetto — Sior no: Coviello la ha lu. Valerio — Adunque come si potrà far a farla re capitare? Fichetto — Cit: non le se perda, che caterò (1) maniera de far che la ghe capita. Cintio — In qual forma? Fichetto — Coviello ha servì in Catalogna molto tempo un strologo, e so che el saveva qualche cosa, e così se fingeremo strologhi e ghe daremo la lettera. Valerio — Per certo è tutto ingegno costui. Cintio — Mi prometti? Fichetto — Sior sì: no stè a cercar altro. Cintio — Dove è mo’ Coviello? Fichetto — Eh, la lassa far a mi. Valerio —• Addio Fichetto. (Valerio e Cintio si partono da una parte e Fichetto dall’altra. Si cambia la scena: mia stanza: vi sono Angiola e Fiorinda). Angiola — E’ molto renitente il signor padre. Florinda — Per certo è tanto cattivo. Angiola —• Vi dirò: noi siamo troppo buone. Florinda — Tacete, che mi pare el venga. Angiola —- Eccolo. (Viene il Dottore).. I l Dottore — Sè qua, galtrone?... La statua... Ma vi castigherò! Angiola — Di che, signor padre? I l Dottore — Della statua. La giera una furberia per vualtre. (1) Troverò. Florinda —• Per noialtre? E’ imbriaco il signor padre. I l Dottore — Eh, eh, eh... Angiola —- Eh, signor padre, lamentatevi col scul tore che vi ha ingannato, e non con noi. I l Dottore — Flavi ragion... Cossa voli che ve diga? (Viene Violetta). Violetta —• Sior padroni do co la barba longa che ve voi parlar. I l Dottore — Domandèghe chi i xè. (Violetta si parte: torna subito). Violetta — I è do strologhi I l Dottore — Bisogna che i sia omini virtuosi: aspetta che no vói che i me trova in ozio: vói parer de star sempre in esercizio. Portèmo sto tavolin, ste carèghe, i(2) e vu sentève e no alzò mai quei occhi, che, grame vu, stè savie e modeste. Vago a vèrzer- ghe (3). (II Dottore sì parte a levar (4) i due strolo ghi, e poi torna subito). V ioletta — Che vechio balon! Angiola — Se ti sente!... Florinda — Guai a te! (Viene il Dottore e i due strologhi, cioè Fichetto e Coviello). I l Dottore —■ Fag riverenza a lei: la me perdo nerà se son sta tanto a verserghe, perché ho avud un negozio. Fichetto — E compatirà la nostra audacia, che siamo venuti a darli incomodo. I l Dottore — Padroni, anzi favor che s’habi de gnò de vegnir da un ignorante come son mi. Per tanto se le comanda sentarsi {5), e descorreremo un poco. In grazia, come è il suo nome? Fichetto — Il Rusignclo. Coviello — E me la Tartana. I l Dottore — Grazie al signor Rusignolo e al sior Tartana, che s’ha degnò d’incomodarse per vegnir a insegnarme qualche cosa che non saprò. Fichetto — Tutta bontà sua. Coviello — Contra il nostro merito. I l Dottore —• Le se comodi. Fichetto — Eh no, no. I l Dottore — La se comodi. Coviello — La resti servito prima lei. I l Dottore — Senza Qerimonie. (Fichetto, Coviel lo, il Dottore si siedono). Coviello — Quid est astrologia? I l Dottore —- Astrologia est res circa ad intelli- gendam et ad significandam rem ad nescientes. Coviello — Nune, nune. I l Dottore — La parli più chiaro. Fichetto — Parla francese. (2) Sedie. - (3) Aprirgli. - (4) Accogliere. - (5) Sedersi. I l Dottore — Non intelligo istam linguam. Coviello (cantando) — E Violeta età, eh, c’è, c’è Violeta, età. (Coviello le mostra la lettera). Fichetto — Cosa esser questa? I l Dottore —■ Es carta, cioè folgio, o per dir me glio lettera. (Coviello si alza in piedi). Coviello — Prendete questa lettera-foglio. I l Dottore — La parla a star sentada. (Fichetto e Coviello parlano insieme). Coviello — Ghe la dago. Fichetto — Sì, sì, fa ogni possibile. Coviello — Prendi sta lettera. Prendete. I l Dottore — A la m’ha storni... La se contenti a parlar bass, che la m’ha storni. Coviello — Prendete sta lettera. I l Dottore — Dè qua. Ma la staga sentada! Coviello —- Prendete sta lettera, prendete sto fo glio. I l Dottore — La stia sentada! Coviello — Nune nune. Fichetto —■ Dàghela. Coviello — Guardate: questo è il foglio, signora. Prendete. (Angiola prende la lettera e il Dottore gliela strappa di mano e le grida). I l Dottore —■ Che tant ardir de prender lettere! Angiola — Me la dà, ed io la prendo. I l Dottore — Tant a lei, signor Tartana, se la è venuda per qualche fin, la se poi cavar dalla mente, e lei poteva far di meno di venir qui. Coviello — Perché? I l Dottore —• La prendi la sua lettera, no la ri cerchi altro, che se non avessi portato respetto a quella barba non so cosa haverei fatto. Fichetto — A presepis maledet, o che bastonate! Coviello — Cosa havreste fatto? (Il Dottore strap pa la barba a Coviello e lo riconosce). I l Dottore — Guardate, o traditori ribaldi! Agiu- to, mazzèlli sti furbi! (Vuole bastonarli). (Si muta la scelta. Strada-.vengono Pantalone e Va lerio). Pantalone — Infatti, sior Valerio, me mostrè de esserme amigo, ma voràve pregarve che sedusessi quel mio fio de abbandonar Fiorinda, che el sa quel che ha ditto el Dottor, che noi voi dàrghela, el sa che el l’ha cassà via de la so scola, e con tutto ciò el voi seguitar; cosi ve prego a seduserlo, vu che sè più so familiar de quel che ghe son mi. Valerio — Signor Pantalone, vi voglio soddisfare, e son pronto a far tutto ciò che lei ora mi impose, ma poi al fin dei fini il Dottore non dovrebbe far gli torto, sapendo chi è suo padre, e in sua presenza non dovrebbe pensarci, e darvi questa allegrezza in vostra vecchiezza. CHI PIU’ SA MANCO SA Pantalone — Sior Valerio, vu parlè ben, ma co’ I Dottor no voi, cossa volèu che fassa? Che' vaga a perder la so amicizia tanto vecchia?... (Il Dottore viene parlando). I I Dottore — Vói andar da quel bec futù de Pan- talon. Valerio — Come è molto spropositato il Dottore! Non ha né termini né creanza. Pantalone — Come parlèu, Dottore caro? I l Dottore — Eh, un corno! Pantalone -—• Come parlèu? Me maravegio! I l Dottore — Ma vu voli, Pantalon, che desfèmo l’amicizia. Pantalone — No, Dottor, anzi voràve che deven- tessimo parenti. I l Dottore — No, anzi piuttosto nemici, e, se volè, adesso subito è desfatta l’amicizia. Pantalone ■— No, Dottor, lassè far a mi. I l Dottore — Chi è colù? Pantalone — L’è un zovene de proposito, che m’è stà racomandao. I l Dottore — È1 daben come vostro fiol? Pantalone — Perché? I l Dottore — Perché l’è un baron, che el sa che no vói che el fassa l’amor co’ me fiola, e con tutto ciò xè vegnù do strologhi finti, un finto Rusignolo e un Tartana, con finta de vegnirme a trovar, e i è vegnui per dar una lettera alle putte, mi ghe l’ho tolta fora de man, ma quel che me despiase che ghe l’ho dada indrìo (1) senza lezerla e tegnirmela. (Va lerio ride). Pantalone — Bisogna vardar se xe stà mio fio. I l Dottore (a Valerio) — E vu ridi... Sìu (2) forse nel medemo affare? Valerio — Nossignore, io non ho alcun affare so pra questo negozio, ma ne rido perché un dottor della sua sorte si lascia dar ad intendere che sieno Tartana e Rusignolo. I l Dottore — Basta, Pantalon caro: se non ghe remedièrè vu, ghe remedierò mi. Pantalone — No, Dottor, no haverè sta ocasion. Ma se no l’ho ancora visto da quela volta in qua? E per tal segno vardè se ho bona intenzion : ho dito anca qua al sior Valerio do parole... I l Dottore — Èlio vero? Valerio — L’è vero, anzi verissimo, e gli ho pro messo di far tutto quello che lui mi ha imposto, e 10 confermo anche a lei. 11 Dottore — Veramente alle parole conosco che lei è prudente, anzi prudentissimo. Pantalone — Lassè far a mi, Dottor. I l Dottore — Basta così; ve l’ho ditto: remediè- (1) Gliela ho resa. - (2) Siete. CHI PIU’ SA MANCO SA ghe, se no quel che ho ditto... Schiavo. (Si parte). Pantalone — Schiavo. Valerio — Era molto arrabbiato il Dottore. Pantalone — Caro sior Valerio, ve raccomando sto servizio. Valerio — La lassa far a mi. Pantalone — Ve saludo. Valerio — Servo riverente, i(Pantalone si parte). Vedo bene che il negozio è andato male, ma in tanto avviserò il signor Cintio del tutto... Ma ec colo. (Viene Cintio). Cintio — Signor Valerio Valerio — Signor Cintio. Cintio — Cosa vi è di nuovo? Valerio — Vi è che il vostro signor padre promise al Dottore di fare che abbandonate gli amori di Flo rinda, e di più l’invenzione se ne andò fallace. (Vien Fichetto con Coviello). Fici-ietto — Signori, l’invenzion è andata a mal. Cintio — Veramente il signor Valerio l’ha detto. Coviello — Io non aggio fallato : lui, vedete, fallò. Valerio — Eh, già l’ho detto. Coviello — Io non ho da fare nulla con voi, ma quando parlate mi viene lo catacisimo. Fichetto — Niente. La sent, car sior Valeri: per deve élla intrada in casa del Dottor quella volta che l’ha avù la grazia de parlar con la signora An giola? Valerio — Io? Per un pilastro qui dietro. Fichetto — Ben! Ghe n’ho pensà una bona, Co viello. Coviello — Cosa voli? Fichetto — Una cosa. Se havemo vù delle bastonae, una scorladina (1) poco mal: vói che femo un’altra cosa? Coviello — Che? Forse pigliarne delle altre? No, no! Fichetto —■ No, no, no haver paura che te calerò in casa soa per el camin con una corda. E lassa far a mi... Andèmo. Coviello — Questa è la volta che mi rompo il collo. Fichetto — Andèmo. Cintio — Seguiamoli. (Si partono Fichetto, Co viello», Valerio e Cintio. Si cambia la scena. Stanza: vi sono Angiola e Fiorinola). Angiola — Non posso più tollerare le stranezze del padre. Florinda — Nemmeno io; ma una volta o l’altra gli farò qualche cosa, vedete. Angiola — No: è il padre. (1) Scrollatina. Florinda — Non importa, perché è troppo cat tivo. Angiola — Piuttosto io voglio ritrovar maniera di poter fuggire. Florinda —• Anch’io son del medesimo parere. (Co viello si cala dal camino). Coviello — Tien fermo, tien, bestia! Angiola — Aiuto! Florinda — Aiuto! Coviello — Cito, cito, che ho una lettera da darvi. Angiola — Dove élla? Coviello — Dove? Qua! Florinda — Dammela. (Si sente la voce del Dot tore mentre Coviello le dà la lettera). I l Dottore (di dentro) — Pute, pute! Angiola — Andate presto, che il padre viene! (Co viello si arrampica nel camino). I l Dottore — Cosa è che crievi? (2). Florinda — Le gridavo che mi desse la mia sca tola che mi aveva tolta. I l Dottore — La scatola? (Coviello cade già dal camino). Coviello — Ohimè, agiuto! Ohimè, il mio piede! I l Dottore — Cosa è? Coviello — Agiuto, agiuto! I l Dottore — No gh’è agiuto! Confessa! Coviello — O Fichetto maledetto! I l Dottore — Confessa! Coviello — Mi son scoacamin {3), e ho falà el camin, e son cascà. I l Dottore — Élo po’ vero? Coviello — La pelle, per l’amor de Giove! I l Dottore — Élo vero? Coviello — Sior sì. I l Dottore — E co le calze bianche va i scoaca- mini? Coviello — Eh, sior, le è po calsatte. I l Dottore — Te perdono: torna su del camin. Coviello — Sior sì. I l Dottore — No vói manche, vien qua che te compagnèrò fora della porta. (Il Dottore e Coviello si partono). Angiola — Sin che il signor padre lo mena fora, andiamo a leggere la lettera. (Angiola e Florinda si partono. Si cambia la scena: strada. Vengono Fi chetto e Coviello spazzacamino). Coviello — Ah, forca maledetta! Fichetto — Mo caro ti... Coviello — Sì, caro ti : tien fermo, tien fermo, e va là, no te indubitar, no te indubitar... Ma sentì, voglio la spada de Catalogna, e ti voglio uccider. (2) Gridavate. - (3) Spazzacamino. Fichetto —• Sì, sì, quel che ti voi... Ti gh’ha dà la lettera, però? Coviello — Certo. (Vengono Valerio e Cintio). Cintio —■ Chi è colui? Valerio — Chi sei tu? Fichetto — Non lo cognosì? Cintio —• Ch’è forse Coviello? Coviello — Sior sì. Cintio — Che bona nova ne dai? Coviello — Vi dò nova come son sfracassato i ossi... Ma voglio uccidere colui! Cintio — Perché? Coviello — Perché invece de tegnir la corda, quando son stà a mezzo l’ha lasciata andar, e mi son sfracassato i ossi, e dicevo: « Tien, veh, tieni» e «Non te indubitar, no te indubitar...». Cintio — Mi dispiace, ma è poco male... Le hai data la lettera? Coviello — Certo, ma dite pure che se non mi fingo scoacamino lo Dottore mi voleva uccidere. Cintio — Bravo, ti stimo assai. Vatti a vestire che alcuno ti veda. Coviello — Vado. (Coviello si parte e vien Mez- zettino). Mezzettino — Siori, el Dottor, el Dottor... Valerio — Cosa è? Cintio — Cesa hai? Mezzettino — El dolor, el dolor... Valerio — E’ questo quello che noi ti abbiamo detto, che guardi se il Dottore va via? Mezzettino — Sior sì, el dolor. Fichetto — Mo che allocco! (Vien Coviello ve stito). Coviello — Signori, el Dottor m’ha visto e mi se guitava, e poi mi ha lasciato, e andava verso la ma rina come un traditore. Valerio ■— E’ vero? Coviello — Sicuro. Cintio —- Lo possiamo credere? Fichetto —• Bona: no perdèmo tempo. Andiamo in casa. Valerio — Andiamo. Cintio — Andiamo pure. Coviello — Anca quel signore che venga, che se pigliamo bastonate noi, che pigli la sua parte an co lui. Fichetto —■ Andèmo, Coviello. Coviello — Non voglio venire... Se vuol che ven ga, voglio la spada di Catalogna. Fichetto — E va avanti! CHI PIU’ SA MANCO SA Coviello — Non mi spingere. Fichetto — E va là! (Valerio con i suddetti si parte e si apre la scena su una stanza: vi sono An giola e Fiorinda, e vien Valerio con i suddetti). Angiola — Signor Valerio. Valerio —• Cara signora Angiola, mi compatirà se non ho usato... Anciola — Eh, la fortuna ha voluto così: non fa bisogno d'altro. Cintio — Ben trovata la signora Fiorinda, luce degli occhi miei e nave che mi guida al porto della contentezza. Florinda — Benvenuto il signor Cintio. Coviello — Eh, non ho bisogno di cerimonie! Di scorrete le cose più necessarie. (Viene Violetta). Violetta — Bon prò ve fassa, siori. Mezzettino — Violetta cara, bon dì. Violetta — Oh, caro el mio caro Mezzettin. Cintio — Olà, Mezzettin, abbi creanza. Angiola — E tu, Violetta, ancora? Coviello — E’ loco de allegrezza. (Di fuori si sente la voce del Dottore). I l Dottore (di fuori) — Putte! Angiola — Oh poveri noi! Il padre! Violetta — Il padron. Scondetevi! Florinda —■ Scondetevi! Presto! Mezzettino — Salvème sotto le còtole. Violetta — Eh, baron! Valerio — Dove ci abbiamo da nascondere? Cintio — Presto, trovateci qualche luogo. (Fichetto taglia il prospetto in diversi luoghi). Fichetto — Niente paura, vegnì qua! (Valerio con i suddetti sono nascosti). I l Dottore — Cossa fèu sempre in sta camera? Ve l’ho ditto ancora, no vói che ghe stè in sta ca mera: no la è la camera per vu. Angiola —• Oh, povera me, Fichetto ha tagliato: non so se abbia rovinato niente. (Si partono An giola, Florinda, Violetta) Andiamo. I l Dottore — Me par sempre, secondo che ho tanto la mente fissada in quei furbi de Rusignolo e Tartana, de averli davanti i occhi. Coviello (cantando) — Siamo ginque, siamo cin que fantolini, fantolini, tutti ginque siamo qui per rubare le figliole, e Violetta poi per me, e Violetta poi per me, e Vio...o...o...oletta poi per me. I l Dottore — Bon, bon. Coviello (c. s.) — Siamo ginque fantolini, o fan tolini tutti ginque, siamo qui, oh siamo qui per ru- CHI PIU’ SA MANCO SA bare le figliole, oh le figliole, e Violetta poi per me, poi per me. (Camello cade fuori del fondale. Il Dot tore se n’accorge). I l Dottore — Ah, baron, furbazzo! (Tutti loro fuori e si vogliono picchiare). Valerio — A chi? Cintio — A te. Mezzettino — Oh, che bastonae! Coviello — Agiutto! Fichetto — Nostro danno! I l Dottore — Baroni, furbazzi! (E tutti gridano, si vogliono picchiare. Si chiude la scena). A T T O T E R Z O ('Valerio con i suddetti fuggono di casa e Mezzet tino si parte). Valerio — Tu ne sei la cagione, bestia, che ne ha scoperto! Coviello — Caro strissa, il suo naso mi fava om bria (1). Cintio — Veramente hai ragione. Fichetto — Cossa disèu? Come ch’el tira ben de schrimia! (2). Valerio — Se el ne chiappa un de nu! Cintio — Come si potrà fare a aver la risposta della lettera? Non le hai data la lettera? Coviello — La risposta volete? Fichetto — Sì. Perché no? Cintio — Sì, caro Coviello, cosa mi importa man darle lettere quando non posso aver la risposta? Coviello — Niente, che ne aggio pensato una di bella: saccio che il dottore vole un mapamondo: io mi voglio informare con certi marinari, che son quasi tutti miei amici: lasciate fare a me, che mi manca non so quante bastonate a agiustarne (3) cento: così le agiusterò. Valerio — Se fai questo ti voglio regalare. Coviello — Fichetto mio!... E sine assistente... (Si parte Coviello con i suddetti. Si cambia la scena. Stanza: vi sono Angiola e Florinda). Angiola — Il padre ci tiene tanto serrate, che non possiamo andare né a un balcone né in nessun luo go. (Viene Violetta). Violetta — Siore padrone, ho veduto Fichetto che faceva molte scamofie (4), e non ho potuto in tenderlo. Angiola — E non hai inteso? Florinda — Sei tanto ingegnosa, e non hai potu to intendere i sesti?... (5) Violetta — Non si intende minga con i occhi. (1) Mi faceva ombra. - (2) Scherma. - (3) Qui significa « rag giungerne ». - (4) Smorfie. - (5) Gesti. Angiola — Forse ti voleva dir qualche cosa. Flaminia — Torna sopra la finestra, e fatelo dir meglio. (Violetta si parte e viene il Dottore). I l Dottore — Cosa fèu qua? E saldi pur: più che digo che no è la camera per vu, più ghe volè star. (Viene Violetta). Violetta — Signor padron, i batte. I l Dottore — Chi è? Violetta — Le come un turco... Che ghe verza? I l Dottore — No, che vói vegnir mi, e vu stè qua savie e prudente. Florinda — Stiamo savie, che il signor padre mi darà poi marito. I l Dottore — Taci, taci, che ti dò un calcio in la panza! (Il Dottore si parte). Angiola — Questo sarà forse Fichetto, e questo è quello che ti voleva dir con i moti. Violetta —■ Poi esser, perché quando son tornada sul balcon, non lo ho più veduto. (Entrano il Dot tore e Fichetto finto mercante). I l Dottore — Cosa me comàndela? Fichetto — Esser vegnù che el mio paron aver mandà a veder se voler mapamondo... I l Dottore — Disèghe al vostro paron che vegne- rò in là, ma adesso no posso. Fichetto — El me l’ha fatto portar con mi. I l Dottore — Ah, l’havì con vu? Fichetto — Esser con mi. I l Dottore — Felo portar dentro. Fichetto (parlando verso l’esterno) — Portèlo den tro, puti! (Portano il mappamondo con Coviello dentro). I l Dottore — Bello, bello! Fichetto — Esser dei meglio che vadi. I l Dottore — Andò, andè, putte. Fichetto — Cossa dìsela mo’? I l Dottore — Sentì: andè dal vostro paron, e di sèghe che anderò alla barca a pagarglielo. Fichetto — Star padron. (Coviello fa uno sconcio rumore). I l Dottore — Olà, putte, respetto, che la spuzza vien da quella banda! Violetta — La vien dalla vostra banda. (Coviello c. s.). I l Dottore — Putte, prudenza a quei ch’è qua. Florinda — Vi dico che siete pazzo, che voi siete quello. Coviello (appare da uno spiraglio del mappamon do) — Mi soffego dalla spuzza. I l Dottore — Cosa è quello? Fichetto — Quella è la luna che fa quarto. Coviello — Oh che bastonate! I l Dottore — Cosa è quello? Fichetto — Ve digo la luna che fa il primo quarto. il primo I l Dottore — No me pias così presto. (Mentre parlano Angiola dà una lettera e una chiave a Co- viello). Fichetto — Deve esser tempo adesso. I l Dottore — Sto mapamondo, se volè che vel diga, vói serarlo in una camera. Fichetto — Quel che la comanda. (Il Dottore chiama i putti che lo portano). I l Dottore —■ Putti, chiapè, portèlo chi. Angiola — Eh, Fichetto? Fichetto —- Signora? Angiola — Gli ho dato una lettera e una chiave del giardino a Coviello, e questa sera il padre ha da far orazion ai Dei, e così che i vegna a due ore ben armai, che stabiliremo tutto. Fichetto — Se è serrato, come potremo far? Florinda — Lascia far a noi, che pigliaremo le chiavi al padre e gli apriremo. Violetta —• Il padron vien. Ritirati, Fichetto! Fichetto — Sì, ma vardè: cavèlo (1), che se el Dottor s’accorze, gramo lu (2), e che noi ghe catas- se (3) la lettera e la chiave poi. Angiola — Eh, non temere. I l Dottore — Sior marcante, andè al vascel, che poi vegnerò dal padron. (Il Dottore accompagna fuori Fichetto e Angiola si avvicina al mappamon do là dove è apparso Coviello). Angiola — Eh, Coviello! Coviello — So cossa è preson, siora Angiola: oh, che fame! Florinda — Hai fame, Coviello? Coviello — Certo. Violetta, hai niente da rosi care? Angiola — Taci, che ti caverò presto. Violetta — Andèmo dal padron, che no el se ac- corgia. (Angiola con le suddette si partono. Si cam bia la scena. Strada: vengono Valerio, Cintio e Fi chetto). Valerio — Son contento che Coviello habbi tutto, ma è serrato, e se il dottor s’accorge... Cintio — Dunque Coviello è serrato? Questo mi dispiace. Fichetto —- Eh, le padrone ha ditto de liberarlo. (Vien Coviello). Coviello — Eh, sior strissa, sul vostro letto in ca mera vi è la lettera e la chiave del giardin, e lei ha ditto che stasera che so pare fa orazion ai Dei, che per le zardin avere comodo de far gli accordi, e poi fugire, e ben armai... Valerio — De tutto ne ho ottima sodisfazion, ma come sei uscito? Coviello — Come son uscito? Il dottore mi serrò in una camera dei so Dei... Mi cosa hoi fatto? Gh’ho (1) Cavatelo. - (2) Povero Ini. - (3) Trovasse. CHI PIU’ SA MANCO SA rotto tutti i Dei, e po’ ho trovò una corda, e l’ho tratta fora d’un balconcin, e son vegnù via così. Cintio — Bravo, ti stimo molto. Valerio —• Costui ha più ingegno di quello che pare. Fichetto — Eh, non è tempo da perder. Andèmo! (Si cambia la scena. Stanza: vengono Angiola, Flo rinda e Violetta). Angiola —• Ho paura che sia intervenuto qualche male a Coviello. Florinda —• Che no le in camera forse? Angiola — Non ho guardato: ho veduto il map pamondo in terra. Florinda — Sarà forse fuggito. Angiola — Può essere. (Viene il Dottore). I l Dottore — Cossa fèu, pute? Vegnì qua, disè- melo a pian : cossa disèvi prima vu? Florinda — Disèvimo de far dei merli. I l Dottore — E vu, siora, cossa descorrèvi? Angiola — Disèvimo: quanto tempo è che la gal lina ha fatto el ovo? (Il Dottore prende tutt’e due per le mani). I l Dottore —• Vegnì qua tutte do! Sta volta no ve avè accorda! Una: la gallina ha fatto el ovo, e l’altra: de far i merli. Angiola —• Lo volevo dir anch’io de far i merli, se mi avesse dato tempo... I l Dottore — Sentì, fie care: vu sè mie fie, mi ve vói ben, mi vorà-ve che fusse le putte più one ste, le più savie che se trovasse, ma vu sempre ten- dè a far l’amor; mi'-quando che prego i Dei i pre go per vu altre, ma particolarmente prego Diana, che sia quella che ve varda, che ve mantegna ca ste vergini come l’è stata anco lei; co prego Giove 10 prego che el ve varda da cattivi pensieri, e che el ve tegna le man sopra di vu. E vu chi preghèu? Angiola — E noi preghiamo Giove... 11 Dottore — Perché el preghèu? Acciò che el ve fassa bone, obedienti a vostro padre, savie e vir tuose? Violetta — Noi lo preghiamo che ne dia un bon marito. I l Dottore —■ Brava. Oh, za che semo tutti in sta camera, ingenochièmose e preghèmo Diana, che sia quella che ne fassa boni. Angiola — Via, inginocchiamoci. Florinda — Io no, vedete. Violetta — Io non voglio, che mi faccio mal ai ginocchi. I l Dottore — Dai, obedì: prest in genochion! Violetta — Volete che mi ingenocchi, e non ho la volontà... (Il Dottore con le medesime sono in ginocchioni, due per parte). I l Dottore — Via, preghèmo i Dei, e disi quel che digo mi. O Diana... CHI PIU’ SA MANCO SA Angiola, Florinda, Violetta (insieme) — O Diana... I l Dottore —• Che sei la Madre... Angiola, Florinda, V ioletta (c. s.) — Che sei la Madre. I l Dottore — Della Virtù e della Bontà... Angiola, Florinda, V ioletta (c. s.) — Della Vir- tà e della Bontà. (Florinda si alza in 'piedi). I l Dottore —■ Te prego conservarme ste putte dal le tentazion, e tegnirle caste. Come che tu sei la Madre dei Casti, così vorìa che fosse anca le mie putte. (Entra Fichetto finto Mercurio). Fichetto — Ti saluto. Mi manda Giove a dirti come lui sta male, e per tale male questa mattina ha tolto (1) un serviziale, e, per quanto mi disse, vòle che le tue figlie siano le spose lassù in gloria, se ti piace. I l Dottore — E mi disi a Giove che no vói, e no, e no, no! Fichetto — E perché a un Dio così alto se gli nega un servizio, che se lui si sdegna guai a te? I l Dottore — Non me ne importa niente, che no vói, no vói! Fichetto — A un signor così grando tal negazion? Ma ghe la pagherai!... I l Dottore — A ti non ti credo, licapiati, magna- bruo! Fichetto — Sì, muso de porco rozzo, e naso de netar un tafanario, tu non le vói dare, ma a tanta potenza basterà a sodisfare. (Si parte). Violetta — I ghe la canta. Angiola —- Vedete, signor padre, sino da un Dio vi fate odiare. I l Dottore —- Colui non è un Dio, ma è cuoco (1) Preso. di cucina di Giove. Se Giove voi niente, ch’el ve- gna lu in persona. Angiola — E volete che un personaggio sì grande venga da voi, che non siete degno? (Musica. Si apre la scena di fondo e appare una gloria con Va lerio, Cintio, Mezzettino e Coviello travestiti da Deità). Coviello (finto Diana) — Lascia, o Giove, la spa da, che lo voglio amazzare. Mezzettino (finto Giove) — No, non fare; ti pre go, non fare. Coviello — Lascia, che voglio che il sangue delle sue vene, per mezzo di questo ferro, paghi il fio delle sue scelleratezze. Mezzettino — Non fare, ti prego, non fare. I l Dottore — Giove e Diana, perdon ti chiedo in zenocion. Se ho falà, conosso che ho gravemente peccato; se vuoi le figlie, io te le dò, e ti fo padron anche di me. (Coviello fa il matrimonio). Coviello — Sì, Valerio, sì, Angela: datevi la ma no. Sì strissa, signora Florinda: la mano. Violetta e Mezzettin. E viva, e viva. (Musica dal cielo. Il Dot tore, Angiola, Vahrio, Florinda, Cintio, Violetta, Mezzettino, Coviello, tutti d’accordo) E viva! Coviello — Lerum, lelerum! Faremo gervelo? Mi credo de no. E viva! (Vien Fichetto dalla gloria). Fichetto — E viva!... No gh’è più tempo da per der... Coviello e Mezzettino (insieme) — Già che Fi chetto dal Ciel è venuto, si dica il tutto che si poi far. I l Dottore — Ah, sassini, ah scellerati! Son con tento, ve perdono (a Fichetto) ma con ti la vói: sepa, scorpioni Coviello — Cossa v’hòi fatto? Rufian d’amor no merita castigo. T u tti (d’accordo) — E viva! DISEGNI DI AVIGDOR T E A T R O D I V I A M A N Z O N I D I M ILANO / . ss / / r C / . Z " / tre ATTORI Nando Gazzolo Laura Adani Carlo d'Angelo Mario Morelli Francesco Pettenati Aldo Saporetti Glauco Mauri Remolo Costa Memo Cenassi Vincenzo De Toma Gianrico Tedeschi Armando Alzelmo Evaldo Rogato Mario Morelli Domenico Perna Isa Barzizza Laura Rizzoli REGISTA CASTELLANI MEMO BEN ASSI: M AL V OLIO LAURA ADANI: VIOLA - SEBASTIANO ► Attori della foto in alto: Isa Barzizza (Olivia), Armando Alzelmo (Un prete), Gianrlco Tedesch (Il buffone Feste), Romolo Costa (Sir Andrea), Vincenzo De Toma (Fabiano), Glauco Mauri (Sii Tobia), Laura Rizzoli (Maria) - Nelle foto sotto, da sinistra a destra, gli attori: De Toma, Costa, iVIauri - Carlo d Angelo - Nando Gazzolo, Laura Adani - Laura Adani, al finale del primo atto. I l i d < L i 1 a . 0 ) L d < I 0 ) I l i z 0 Q j 0 ( D T E A T R O S A N T E R A S M O D I M ILANO , - / Nella foto in alto: Alina Moradei (Beatrice), Lu ciano Mauro (Lelio), Lida Ferro (Rosanna). - In mezzo: Lida Ferro e Lu cio Rama (Ottavio). - Li da Ferro. - Qui accanto: Filippo Degara (Falop pa), Guidi (Arlecchino), Tommei (Brighella), Bian chi (Pistone). L ü ( T < U J H 0 ) U J y < X 0 ) U J Z O Û _ l O 0 P IC C O L O T E A T R O D I M I L A N O Nella pagina pre cedente: Valen tina Fortunato (Giacinta) - Nel la foto in alto: una scena d’in sieme ; qui ac canto : le prime due; aito: Tino Carraro, Fulvia M animi; basso: Marcello Giorda; Sergio Tofano; foto ultima: Ser gio Tofano, Al fredo Bianchini. L A T R IL O G IA D E L L A V IL L E G G I A T U R A L A V I L L E G G I A T U R A Ai Piccolo Teatro di Milano, la Com pagnia stabile del teatro stesso, ha rappresentate, il 23 novembre 1954, con la regìa di Giorgio Strehler, in una sola sera, tre commedie di Carlo Gol- doni: Le smanie per la villeggiatura; Le avventure della villeggiatura; Il ritorno dalla villeggiatura. Scene di M. Chiari; costumi di Maria de Matteis. ... Ho concepita nel medesimo tempo Tidea di « tre Comme die consecutive ». La prima in titolata: Le smanie per la vil leggiatura; la seconda: Le av venture della villeggiatura; la terza: Il ritorno dalla villeggia tura... I personaggi principali di queste tre rappresentazioni, sono sempre gli stessi. Que ste tre Commedie, fortunate egualmente pel loro incontro, e per l’universale aggradimen to del pubblico, sono state se paratamente rappresentate con una distanza di qualche tempo dall’una all’altra, essendo con tal arte composte, che cia scheduna può figurare da sé, e tutte e tre insieme si uni scono perfettamente. (Goldoni: prefazione alle « Smanie per la villeggiatura ») ... Anche questa Commedia è fi nita. ... Tutti i personaggi agiscono per lo stesso fine, e tutte le loro diverse azioni si riducono a provar Pargomento. (Goldoni: prefazione alle «Avventure della villeggiatura») ... Io non ho inteso dunque d’i mitare alcuno, allora quando ho cominciato a tentare una seconda Commedia in seguito di una prima, ed anche una terza in seguito delle altre due. La prima volta che ciò mi ac cadde, fu dopo l’esito fortu nato della Putta onorata, Com media veneziana, alla quale fe ci succedere La buona moglie. Pamela e Pamela maritata sono due Commedie che hanno la stessa continuazione. Animato dalla buona riuscita di due Commedie consecutive, ho ten tato le tre. Ciò mi è riuscito felicemente nelle Tre persiane, di modo che il pubblico atten deva e domandava la quarta, e sempre più incoraggiato del l’esito fortunato, ho composto collo stbsso legame le tre Com medie presenti; con questa dif ferenza però, che le altre le ho immaginate una dopo l’altra, e queste « tutte e tre in una volta ».(Goldoni: prefazione al «Ri torno dalla villeggiatura») Date di rappresentazione delle tre commedie: 5 ottobre 1761, Le smanie per la villeggiatura; 15-25 ottobre 1761, Le avventure della villeggiatura; 28 novem bre 1761, Il ritorno dalla vil leggiatura. I N T R E P U N T A T E D I A R I O Nono anno del Piccolo Teatro: e inaugurato splendidamente. L’edizione delle tre commedie goldoniane è una meraviglia di gusto, di sapore, di intenzioni e di realizzazioni. La recita è tutta da godere e merita di essere vista. Il pub blico non potrà che compiacersi e rallegrarsi, come infatti si è compiaciuto e rallegrato quello della prima rappresentazione, decretando un vivissimo successo. Artista è stato Giorgio Strehler nel mettere in scena le tre commedie. Intanto, la sua, di riunirle, è stata un’ottima idea che sarebbe piaciuta anche al Goldoni. E poi ne ha data una esecuzione minuta, attenta, viva, allegra, con qualche punta drammatica, con una ingegnosità di cambiamenti e una bellezza di quadri scenici da spuntare gli strali della critica. Noi riteniamo dannoso al teatro che esso si tramuti in spettacolo e che il regista ne diventi il protagonista. Qui, questo non avviene; la rappresentazione, qui, è spettacolo nella misura in cui lo dev’essere per accuratezza di costumi, di luci, di interni ed esterni. ELIGIO POSSENT La trilogia della villeggiatura che sotto un unico titolo riunisce tre commedie di Carlo Goldoni: Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura, vuol essere uno spettacolo la cui particolare caratteristica, oltre ogni suo modulo interpretativo, è semplicemente quella di avere una durata maggiore di altre più o meno fortu nate rappresentazioni che si sono succedute in questi anni sui nostri palcoscenici. Non vuole cioè assolutamente appa rire come fatto straordinario o tanto peggio arbitrario nella sua sostanza. Semmai le sue ambizioni sono assai più alte e di altra natura. Non certo « scandalistica », ma critica ed estetica. Si tratta infatti di uno studio compiuto su una parte trascurata dell’opera di Goldoni che ci appare di estrema im portanza ai fini della reale conoscenza della drammaturgia goldoniana. Infatti se Le smanie per la villeggiatura hanno avuto in questo secolo una certa vita sui nostri palcoscenici, altrettanto non si può dire delle due commedie che la se guono, sebbene tutte le tre commedie siano rigidamente con- seguenziali, compongano un tutto organico e gran parte dei più eminenti critici goldoniani, dall’Ortolani al Maddalena, siano concordi nel riconoscere altissimo valore al Ritorno dalla villeggiatura ed un più che notevole interesse di costume alle Avventure della villeggiatura. Ma è questo un destino comune a tante opere drammatiche che il tempo dimentica con una certa ingiustizia o con troppa severità, almeno. Per conto nostro vorremmo soltanto che il pubblico riscoprisse queste commedie di Goldoni con l’amorevole, affettuosa sorpresa che ci colse quando le rileggemmo e pensammo alla possibilità di rappresentarle, tutte e tre assieme, per la prima volta. Quello che colpì allora e che ancora oggi, dopo lunghe giornate di prove, ci colpisce, è la straordinaria ricchezza e maturità di questo diario in tre giornate, strappate ad un secolo dolce mente in declino. Il suo tono così apparentemente insolito che, partendo da una comicità ancora notoria, ritmica, tipica del Goldoni del primo e secondo periodo, digrada nel dolente, nel patetico con una discrezione ed una contenutezza, direi un « pudore », esemplari. E’ il suo stesso tema così lineare, così privo di « azione » esterna ma così complesso e così pieno di un movimento interiore. E’ la sua capacità — grande avve nimento che è solo nella poesia — di dilatare l’avventura nella storia, di diventare al tempo stesso fatto reale e sim bolico, costume di un momento e vita di sempre. E’ la rag giunta perfezione dell’annotazione psicologica, il preciso tratto del fissare il carattere nel tipico, dell’immetter e un carattere tipico in un’azione tipica, del concretare in immagine e avve nimento l’impalpabile materia dello stato d’animo. Poiché in definitiva, oltre la sua dilatazione storica ed universale, la Trilogia risulta una commedia di stati d’animo e, se un tale vocabolo potesse essere agevolmente usato per Goldoni, di atmosfere. Parte, appunto, dello stato d’animo si allarga nella immagine di tutto un mondo che si incammina con il suo carico di umanità, verso il suo destino storico, e più in là ancora, ci avvicina insensibilmente ad una eterna avventura, l’eterna avventura delle « villeggiature » umane, delle par tenze e dei ritorni, delle illusioni e delle disillusioni, delle stagioni, delle età che non tornano dal viaggio nel tempo. Certo, tutto ciò avviene qui, insensibilmente, e discretamente come discreta e profonda ci è sempre apparsa l’umanità di Goldoni che tocca appena le cose troppo gravi da dire, che sfiora talvolta la tragedia (proprio nelle Baruffe chiozzotte quanto poco basterebbe perché il coltello di Tita Nane oltrepas sasse il suo limite di gioco innocente!), che si stempera poi in una saggezza ed in « bontà ». Una bontà che ha il sapore assai spesso di una sorridente pietà per l’uomo. Non si vada certo al di là della reale portata dell’attitudine di Goldoni verso le cose, ma la Trilogia, con questa sua davvero toccante storia di amori sbagliati — (e forse non solo di amori) — riassunti nell’incapacità di risolvere i problemi di un’esistenza al di fuori, da una parte, degli schemi dei doveri d’onore e delle « riputazioni », ma anche dall’altro, così attenti a non mancare a se stessi, a non fare del male agli altri, soprattutto a chi non ha colpa, ci porta, assai più che con la Pamela, dav vero alle soglie di un secolo nuovo. E attraverso la chiarezza di un discorso « reale » che non si attarda più al gioco formale, lascia irrompere, tra le secolari polveri del palcoscenico set tecentesco, un soffio romantico, a sconvolgerne per sempre Ì disegni. Giorgrio Strehler B E L L O M A L U N G O E’ abito, misura dell’uomo moderno consegnare le proprie riflessioni, i pensieri che sorgono da troppo disarmonica avventura di vita,' a momenti, a costruzioni d’arte che abbiano una propria compiutezza, che raccolgano un mondo in tregua. Si tratta spesso di cose prese a prestito. Ci si finge così un riposo, si muove all’incontro di una coincidenza che si bramerebbe avverata. Noi non pensiamo che, Giorgio Strehler, rilettasi la trilogia della Villeggiatura di Carlo Goldoni, si sia dato a realizzarla scenica mente, così per fare quello che l’avvocato veneziano in vita mai giunse a fare (in una unica serata la rappresentazione delle tre com medie); o perché riteneva di proporre al pubblico del «Piccolo Teatro » un testo inconsueto. Saremmo ancora all’antologismo, alle gare di bravura, alle quali, pure così vistosamente, accede il nostro regista. Ci sembra, al contrario, che Goldoni come in questi ultimi tempi lo si viene rappresentando, e come Strehler l’ha più acuta mente avvicinato, si offra ad una provocazione teatrale, e paia e- saudire quella che chiameremo l’ansia registica, al di là della quale avvertiamo l’inquietudine, la crisi. Ce da spiegarsi meglio. Goldoni, autore nostro come nessun altro, non ha tradizione interpretativa che non sia quella dei comici veneti, non dispone di un edu cato pubblico, predisposto ad ac coglierlo. Lo si è letto e lo si con tinua a leggere nelle scuole, ma dai letterati è tenuto in spregio (scrive male!) e i nostri teatranti si sono educati su Sardou. Gol- doni resta accademia, obbligo fa stidioso. In questo modo abbia mo sfrondato la sola grande quercia del nostro teatro: e sia mo andati a ghiande. Ora tutto questo Goldoni, che ci vediamo intorno rappresentato, non è un risalire la china, riparare al de bito. Fanno, i registi, Goldoni al posto del teatro moderno. Non si distinguono più gli stili, come in tutte le età traviate. Invece, se andate a sentire Baseggio, vi troverete dinanzi ad una tradi zione goldoniana che scende da un genuino filone, non insen sibile alle modernità, dove la componente filologica è, senza cogitazioni, rispettata. Il discorso goldoniano è la cosa eccelsa della sua arte e non può essere smor zato o distorto. Non patisce le piattitudini del verismo o il par lar fratto dei moderni. Lega, an noda invece in una sua melodio sissima spira, il circostante mon do, lo fa sorgere quasi. Le com medie di Goldoni sono tante mancate conversazioni di caffè, di salotto. Parlano i personaggi, ma in fondo si lasciano parlare da altri. E’ l’avvocato che prima ha osservato, poi ha metà vissuto, indi si è messo a conversare, scrivendo commedie. I personag gi che evoca potrebbe averli vi cino, lasciar loro il posto e an darsene. Completano la predispo- sta trama, punteggiandola con il concertato del loro fraseggio. Le tre commedie della Villeggia tura, senza leggere e citare le « Memorie » ci mettono davanti Carlo Goldoni che smania per andar in villa sulla Brenta e vede altri che smaniano, che è in ozio variato sotto le pergole e nei trattenimenti della campagna, e un po’ è dispiaciuto di tornare in città. Si è guardato intorno, si è interrogato e ha fornito al circostante mondo lo specchio di cui aveva bisogno per riflettersi e vivere più compiutamente. Al terare la cornice per una mo derna acquisizione è cosa che vediamo compiere oggigiorno sotto i nostri occhi e della quale intendiamo renderci ragione, ap punto. Il lungo, forse un po’ lungo spet tacolo, con il quale Giorgio Streh- ler ha svolto, su Goldoni, il te ma della villeggiatura, compen dia vari momenti. C’è la svaga- tura settecentesca, il presentimen to romantico. C'è anche Cecov. Noi non diciamo che ci sia in Goldoni, ma Strehler, avverten do ed esasperando il bisogno dei contemporanei, gliel’ha messo. Con esercizio di grande impe gno, folto di invenzioni, sorretto da consumatissima sapienza di giostratore teatrale. Ne vien fuori un compendio di situazioni tea trali, una galleria di tipi, un pro lungato sviluppo di personaggi. L ’episodico divien materia per si gnificati, il momento d’ozio si arricchisce di intenzioni. A que sto modo non si comprende più quello che è di Goldoni e ciò che v’è sovrapposto. E lo scernere ed il disgiungere è cosa pressoché impossibile; ed avvertiamo di es ser messi noi, da Strehler, in dif ficoltà di giudizio. Certe arri schiate acutezze a cui sottopone alcuni personaggi ci fan pensare ai memorialisti francesi, a Les liaisons dangereuses. La cosa è audace, è arbitraria, ma non immotivata. Come il giocar di un cromatismo scenico di gam me troppo scoperte, quando il dialogo fornisce tali colori da averne di troppo. Sovrapporre tinta a tinta è il colore cupo che ci si ritrova. E questo accade spesso in questa chilometrica rappresentazione dalle invenzio ni sceniche così intense e che dispone di geometria di effetti. Strehler si è impegnato quanto mai: doveva ritrovare al fondo di Goldoni le linfe di cui si nu tre la sua vocazione teatrale. Gia cinta, Leonardo, Guglielmo, Vit toria gli schermi di una sua idea. La illusione, la gioia, la delu sione del circoscritto mondo dei villeggianti, un po’ le fasi della vita. Impegnato a questo modo Strehler tocca, mediante Goldoni, una precisa parabola, i termini di una ricerca esaurita al momento stesso che viene proposta. Il Settecento è dilatato ad una nostra contemporaneità median te svisamenti che sono il segno della rabdomantica possibilità di ricercare nel passato la vita. Per chi ritiene importanti queste cose diremo che la trilogia muove dal 1756: è commedia o sono com medie di intreccio e di caratteri, dipintura amabile del mondo di farla diventare allora. Difficile del nostro. Goldoni è una mi niera, d’accordo, ma scavarlo troppo è scoprirlo, esporne la svagata inventiva. E volerlo to gliere dalla maniera è come to glier la cipria dalla parrucca di un cavaliere del suo tempo. Ben tornato, comunque sempre, gran de commediografo nostro. Gli attori hanno assecondato lo animo del regista con dedizione ed intelligenza. Marcello Giorda, sicuro, autorevole, bravissimo, e Tino Carrara dalla scaltrissima recitazione; Pina Cei e Ione Mo rino a far da contrappunto, e Sergio Tofano squisita maschera di se stesso: un quintetto egregio di anziani. Fra la pattuglia dei giovani, Valentino Fortunato che deve ormai superare la provatis sima sua bravura per più perso nale ricerca. Sergio Fantoni di una estatica forza, e divertentis sima nelle sue smanie Fulvia Mammi. Una sorpresa Bianchini. Questa volta centrate le scene di Chiari e adeguate le musiche di Carpi. Il successo vivissimo non si è affievolito nemmeno verso la fine del lungo spettacolo. Trop po lungo spettacolo, anche se papà Goldoni così voleva. O ri Vittorio Vecchi chiedeva. L A D O D I C E S I M A N O T T E DEL REG ISTA C A STE LLA N I Al Teatro di via Manzoni, di Mi Dove va il teatro di prosa? Da qualche anno, lano, il 19 novembre 1954, la Compagnia stabile del teatro in quelle almeno che vogliono essere le sue stesso, ha rappresentato La do manifestazioni più rappresentative, esso ci dicesima notte di Shakespeare invita a giudicare prevalentemente con gli nella versione di Gerardo Guer occhi. Pensa forse di mettersi al rimorchio rieri e la regìa di Renato Ca dello spettacolo di rivista? In tal caso, avreb stellani che delVopera ha -fatto be perduto la sua battaglia — in ogni senso — un suo « adattamento ». Scene prima ancora di incominciarla. O del cine e costumi di Mario Chiari; mu matografo? Sarebbe ancora peggio. Anche a siche di Roman Vlad. contemplare il fenomeno con ottimismo, nella migliore delle ipotesi, tutto quello che può far venire in mente una concezione simile è il teatro del Seicento, passato alla storia per la barocca spettacolosità delle sue ingegnosissime macchine sce nografiche e scenotecniche e per il deserto squallore del suo repertorio e l’assoluto disinteresse dei testi. Al successo dello spettacolo armoniosamente variopinto, disinvoltamente mac chinoso e raffinatamente pescecanistico, hanno concorso maggiormente gli ele menti esornativi e decorativi per non dire superflui, che non quelli stretta- mente necessari. A volerne fare la graduatoria, troviamo in testa la scenografia, poi la sartoria, indi i congegni tecnici, le luci, le danze, le musiche — molto belle, di Roman Vlad — e infine gli interpreti. Questo primo contatto col teatro ha confermato, se ce n’era bisogno, l’eccel lenza di Renato Castellani come regista cinematografico. Passando dallo schermo al palcoscenico, egli non s’è nemmeno proposto la esigenza di dover invertire l’ordine delle gerarchie dei fattori concorrenti alla rappresentazione dramma- tìca in confronto a quella filmistica che, a nostro modo di parere, è esatta mente l’inverso. Egli ha speso invece tutto il suo talento e tutto il suo gusto, che sono enormi, nel ridimensionare cinematograficamente la rappresentazione concependola come una sceneggiatura, un susseguirsi di sequenze, ognuna, presa per se stessa, pittoricamente ammirevole nelle prospettive, nei raggruppamenti, nei giochi d’ombra e di luce, starei per dire nelle singole inquadrature. Esperimento curioso e, tutto considerato, interessante, benché a scapito di quella che è la inconfondibile dimensione del teatro. Alla scenografia, quindi, sono toccati i maggiori applausi a scena aperta.. CARLO TERRON L A D O D IC E S IM A N O T T E D I S H A K E S P E A R E Shakespeare, pare certo, non mise mai piede in Italia. Egli passò forse una volta la Manica, coi gradi da sergente, per andare a fare la guerra in Fiandra, ma per il resto i suoi viaggi dovettero limitarsi alle rudimentali tournées della sua compagnia per le campagne e le contee intorno a Londra. Egli non vide dunque il balcone di Giulietta a Verona né il palazzo di Otello e Desdemona a Venezia. Né, e questo è sicuro, i ritratti e i paesaggi dei pittori veneti nel British Museum. Da dove viene allora la miracolosa aria italiana delle sue commedie? L’Illiria in cui si svolge la Dodicesima notte è un’Italia idealizzata, un Veneto costeggiato da mari sul cui orizzonte fiammeggiano le battaglie turchesche del Tintoretto: le campagne sono paesaggi del Giambellino o del Lotto; i personaggi del Carpaccio o del Tiziano popolano le città e i porti. E un’aria spaziosa, lieve e cantante, la voluttà e il gioco per le strade; e dappertutto la passione, una malinconia di amore e d’avventura; l’illusione della bellezza a ogni passo. La storia della Dodicesima notte è quella di due gemelli simili a due gocce d’acqua: un’invenzione antica, ma rinnovata dagli italiani del 500: non è italiana la Calandria del Bibbiena da cui è tolta la scena in cui i gemelli smarritisi si ritrovano: uguali fra loro « come la neve è uguale alla neve e un uovo a un altro uovo ■»? E italiane sono le donne appassionate e audaci che si travestono da uomo per andare a servir come paggio l’uomo che amano, e così conquistarlo: Viola è sorella in questo delle avventurose ragazze del Bandello o degli Ingannati o dell’Orlando furioso. Il motivo dell’equivoco e del travestimento è caro agli italiani per la sua bizzarria estrosa, per il gioco illusionistico di prospettive, reso goloso dalla confusione dei sessi. Shakespeare lo trasforma e vi spira il senso misterioso e grave dell’equivoco della bellezza: dell’oc chio che trae in inganno il cuore, del divario tra quel che si mostra e quello che è. Il doloroso inganno della fede che è o si sospetta tradita dall’aspetto innocente è il tema profondo delle tragedie da Otello a Re Lear: di esso nella Dodicesima notte si sentono le note in sordina. L’inganno dell’apparenza risuona nel cuore: molti sono gli ingannati, e all’equivoco degli amanti si aggiunge quello degli amici: di Antonio, che è un Pilade che si vede abbandonato da Oreste. Alla fine, tutti sono innocenti. Era un gioco, ma per un momento in quel gioco è passato il brivido della passione. E’ quel che la com media italiana non ha saputo fare: la commedia italiana, è strano, manca di passione. Si compiace, nel Cinquecento, del suo intrecciarsi dell’azione, ma rifugge dall’intender e i moti del cuore. Non c’è mai vera serietà nel gioco ma solo eleganza ed estro; mentre il gioco di Shakespeare vibra di accenti dolorosi, e dà alla sua illusionismo, dell’esteriore commedia un’eco ardente che si spegne nel sorriso e nella musica. La sua commedia è già melodramma. Per tutto questo non è forse Shakespeare da considerare il maggiore dei commediografi italiani del Cinquecento, colui che meglio svolge il tema del l’illusione e dell’apparenza, l’intrigo appassionato dell’a more e del destino che era contenuto nella tradizione poe tica e narrativa italiana dal Petrarca al Tasso? Non è il duca Orsino il più perfetto esempio di gentiluo mo petrarchesco? Il suo solita rio amore è accompagnato dal melanconico rintocco della morte, i gravi sospiri della passione lo estenuano in un deserto di torrido gelo: eoli davvero « trema a mezza esta te ardendo il verno ». Ed è fratello di Aminta e dei me lanconici eroi tasseschi; ma Shakespeare fa trasparire dal fondo della sua disperazione un’aureola d’ironia. Olivia non è un personaggio ariostesco? Anch’essa, all’apparire di Vio la, beve improvvisamente alla fontana dell’amore, e da allora in poi lo persegue: così Fior dispina si innamora di Brada mante credendola uomo ed è conquistata dal gemello di lei Ricciardetto messosi in gon nella. C’è nel suo stupore e pudore il sorriso ariostesco, che circola dappertutto in que- st’Illiria in cui le incantevoli metamorfosi della pittura fer rarese si sospendono nei mi steriosi concerti del Giorgione. E come in un concerto, l’ada gio e l’appassionato dell’amo re è interrotto dall’allegretto della beffa: e quante ce ne so no nel teatro e nella novella italiana! Ma questa è una bef fa di un sapore particolare, sfuggita agli italiani, non pro pensi ai personaggi fanatici: la caricatura di un puritano, di uno di quegli inflessibili tutori della morale che anda rono voi a colonizzare le Ame riche. In questo astemio che odia gli ubriachi, ama il si lenzio e il lutto e aborre il sorriso, si sente, più che la Controriforma italiana, Tartu fo. Attorno a lui, lo spadacci no vigliacco della commedia italiana sta in combutta col Lord amante del vino e delle donne e della gagliarda, lon tano parente di Falstaff; ri suonano le canzoni, e i frizzi un po’ grassi dell’Aretino. Co me un filo di melanconica e ironica saggezza, il Buffone cuce insieme le vicende del dolore e del riso: la sua buf foneria è elegantemente filo sofica, la sua pazzia è pervasa dallo spinto italiano della mu sica, delle apparenze e del tempo che fugge. Nel presentare in Italia la Do dicesima notte, a Renato Ca stellani è parso naturale ri vestirla dei colori, della musi ca, dei ricordi, dell’aria ita liana di cui questa fantasia scritta in lingua inglese è così naturalmente ricca. Gerardo Guerrieri L A F O R E S T A D I SHAKESPEARE Diceva, non si sa bene chi, che Shakespeare è gran foresta dalla quale si può abbondantemente scerpere per far legna; e resta sempre qualcosa. E la sentenza corre tuttora i palcoscenici. Cer to che è una cronistoria dello spettacolo shakespeariano nel mondo, il suo evolversi e tra mutarsi, è indice del gusto di epoche trascorse, di tempo pre sente. E dell’opera di scavo e di rinvenimento che le generazioni hanno compiuto sul grande fra i grandi degli autori. Se un po’ è leggenda, la scritta « Qui è la reggia », con la quale il regista- Shakespeare l’autore- Shakespeare, c’è da vedere tutta via nella sommarietà con la qua- trattava le era indicata la scena, non già quel semplicismo che da parte di alcuni si crede, bensì un istintivo proposito di operare sulla parola che si fa corpo e crea l’altorilievo vivente dell’azione. Ridotto, al «Globe Theatre», quindi, lo sfon do, compressa la cornice. Conta vano molto gli attori. Già, Shake speare era anche un attore e non poteva quindi ridursi. Forse sa crificava il regista perché av vertiva che questi, fra i diversi poli della creazione teatrale è il più fluttuante. Si muove fra l’au tore e l’attore. E il prodigioso teatrante dell’età elisabettiana, che in sé sommava le arti che fanno il teatro, a quel che è dato ca pire, riserbava alla regìa la parte di negletta ancella. Dobbiamo forse crederla abnorme mediatri ce che la nostra epoca ha ingi gantito, questa « regìa » attraver so la quale desideriamo oramai filtrare ogni nostra emozione spet tacolare? Forse sì, ed in essa ve diamo impegnate le nostre fa coltà di mimesi, ricalco. La in diretta capacità moderna di per venire all’opera d’arte ci induce su questo cammino. Non poten do suonare in proprio, ascoltano il suono altrui e lo levigano ccn vibranti dita all’orecchio degli astanti. Qui non intendiamo trattare del la Dodicesima notte come opera in sé. E’ il contrario che dobbia mo fare. E il nostro discorso non riguarda tanto Guglielmo Shake speare, quanto Renato Castellani. E’ il cinema, o le distrazioni del cinema che ad un dato momento si avvedono del teatro. E lo per corrono, lo assalgono, non gli danno più tregua. La sopraggiun ta settima arte, sembra degnarsi portar soccorso alla cadente so rella, e la frastorna e travisa. Questo Shakespeare, dunque, trat- tato con i cartoni illustrativi de gli affreschi veneti, raggiunto con un cromatismo che ricorda il tec nicolor intravisto mediante una preziosa e personalissima ricerca di diletto, non è più Shakespeare. Il pretesto potrebbe ugualmente chiamarsi Giovan Battista Mari no, o un canovaccio della Com media dell’Arte. Il regista non ha potuto porgere orecchio allo spa simo amoroso di Orsino, alla sua lirica presenza sulla scena. Non ha colto di Olivia il fiero inva ghimento; di Malvolio la rab biosa infatuazione; del buffone la fantastica giostra; della ser vetta la pettegola audacia. Per sonaggi, questi, che con gli at tori cbe li interpretavano, sono apparsi consegnati a loro stessi, isolati in un’orbita arbitraria che non riguardava il regista. Estra nei alla montatura spettacolare che intorno a loro si faceva. Da una personalità così accredi tata nel cinematografo, dove an che ha prodotto una sua già ce lebre Giulietta e Romeo nella quale Shakespeare è assente, c’era da attendersi, sul piano dello spettacolo, invenzioni che coordinassero e proponessero del nuovo. Abbiamo invece visto co lonne che salivano dal basso (ci si deve ancora meravigliare per questo?), elementi girevoli, va sche che ricordano quelle dei giardini pubblici ed un abbastan za studiato sistema di dissolven za per fondali multipli, che ha indubbia efficacia, ma che non ri sponde ad una invenzione legata alla commedia. Dicevano alcune signore sedute, in platea, alle nostre spalle « che alla rivista si vede di più » e le signore, certamente, lo sa anche il regista Castellani, è bene ascol tarle. Facendoci noi pure, l’occhio delle signore che vanno a teatro, lo spettacolo ha uno sconcertante disordine di mutamenti. Vede al ternarsi scene di Chiari (ed al cune molto belle) che non legano e non ambientano la favola per la maggior lievitazione. Quando ci sono da risolvere cose difficili, evviva il siparietto; gli attori vengono in ribalta e fanno quel lo che c’è da fare. Non si può, senza essere privi di un’idea centrale dell’interpreta- zione shakespeariana, passare dai fondali in dissolvenza, che ten dono a rendere trasognato un mondo, a scene che vengono ad essere recitate in passerella. Il divario è stonatura, frana di quella armonica aerea costruzione che è La dodicesima notte, fatta a guisa di costruzione palladiana, visto che il confronto può essere riscontrato dal regista Castellani. E’ in questo modo che il palco- scenico, attraverso i secoli, ha perfezionato le linee di un’opera teatrale: per ciò non sono con sentite lacerazioni. Sbrecciare l’ar co scenico per allargare i lati, in tendendosi, in questo modo, di estendere, tirare come all’elastico l’azione teatrale, si rischia di sen tirsi rispondere dalla platea che si fa il teatroscope. Il cinema può delapidare, e lo ha fatto e lo sta facendo; il teatro no. Vive di pas sione e di povertà. Pensiamo ai trenta milioni che sono occorsi prima che si alzasse il sipario per La dodicesima notte e che sono stati il prezzo dell’equivoco, per non fare teatro. Gli attori, quasi tutti, hanno resistito alla vana fatica. Fra di essi è emerso Memo Benassi in un Malvolio che aveva il segno dell’invido livore, della fremente adulazione e che si è espresso in un ritmo che, attraverso una co stanza di modulazione, ritrova va infinite libertà di espressione. Grande attore. Laura Adani ha dovuto paga re lo scotto della duplice inter pretazione dei gemelli, ma è sta ta vivace, lesta e cantante. Ritor nava alla ribalta dopo un lunga assenza ed è stata accolta al suo apparire con un saluto affettuoso e spontaneo, per ciò che la sua vita d’attrice ha dato e può an cora dare. Ella ha interpretato le due parti in commedia con ta lento d’attrice, con bravura, con accenti ed atteggiamenti studiati e precisi. Isa Barzizza ha sofferto dello scompaginamento spettacolare, ri trovando però, in alcuni momen ti, l’autentica sua vena. Bene Car lo D’Angelo, Romolo Costa e Armando Alzelmo. Troppo cal cato il Mauri, che pure ha buone qualità. Un po’ astratto il Gaz- zolo, ma già maturo. Abbiamo visto sulla scena anche cani le vrieri veri: una ricercatezza. Ap plausi da grande e bella festa, ma gabbato il teatro. Vittorio Vecchi R E N Z O R I C C I P R I M O U O M O Al Teatro Odeon di Milano, il 16 novembre 1954, la Compagnia di Renzo Ricci e Èva Magni, ha rappresentato la commedia in due parti di Eugene O’Neill: « Il primo uomo ». ■ Una commedia, Il primo uomo, che colloca O’Neill fra i consueti autori di vent’anni fa. L’opera è ben fatta, calcola astutamente i propri effetti, ma di poco si distingue da un Bernstein. E dire che a quei tempi, anche noi vi abbiamo giu rato sopra, l’irlandese trapiantato in America, ci appariva colui che aveva compreso nella breve dimensione della scena, l’ansia dei mari, la frenetica regalità di un monarca negro, aveva intinto di sgomento di morte e clamorosamente portato sul palcoscenico sviluppi di teorìe freudiane e lo scombuiente dialogo interiore. Come Giove talvolta dorme, pure O’Neill, in questa commedia, si concede al puro eser cizio. Potremmo partire di qui, forse, per riguardare qualche tratto del suo profilo di autore contemporaneo che ci sembra, col passar degli anni, meno di rilievo di quanto s’è visto. Ma perché dedicarsi a smontare le nostre illusioni giovanili e andar dietro a quello che vediamo compiere dalla critica più avveduta intorno al nostro? 1 fatti de II primo uomo sono questi {li ripetiamo anche se il lettore li conosce perché li ha appresi nel numero uno della nuova serie di « Dramma»): Un esplo ratore, che per una sciagura ha perso le due sue figliuole e ha nel la moglie la più intima collabora trice, vede sorgere, espressi in modo corale dalla famiglia, dub bi sulla fedeltà della consorte. Va per casa sotto la specie di amico, un uomo sposato con molti figli che può suggerire aneliti di ma ternità. E l’esploratore non vuol più figli per restar fedele alla me moria delle disgraziate bambine e perché l'aspetta una spedizione nella quale pensa debba seguirlo ¡a moglie. All’annuncio che que sta ha concepito, la famiglia so spetta; il marito egoisticamente nega, nella loro vita, il valore che può avere un bambino. Na sce il figlio e la donna muore; solo quando la famiglia-coro in siste sui dubbi, l’uomo lo pro clama suo. Ripetia?no che la commedia, nelle sue linee maggiori, rivela una propensione dell’autore per il genere ' facile e sentimentale. Non lo pensavamo da parte di chi è sempre apparso esprimere una incontenibile forza naturale, ma va anche aggiunto che in seguito O’Neill si è espresso in ben altro modo. Dove però già s’avverte l’unghia è nella collo cazione della famiglia-coro, nei limiti e nella aggressività del suo egoismo. Esprimono quei perso naggi le molte gamme di un mondo che resiste agli aneliti, alle magnanime fiducie. Fin qui la commedia, che an che Gino Cervi per anni ha meditato, ma alla fine non l’ha portata alla ribalta. Forse il caso, forse la meditazione. Ma Ricci ha creduto che l’opera valesse ancora, ed in parte vale, e non si è sbagliato nei confronti di se stesso interprete perché in II pri mo uomo c’è la parte del grande attore, quel grande attore che e- gli è. E noi questo non glielo negheremo mai, convinti come siamo, anche se nella prima no vità della Stagione, per la quale aveva tanto faticato e sacrificato, non l’abbiamo messo sul suo giu sto piano per la consapevolezza del tiro mancino dell’autore, per la propaganda troppo palese del l’opera di Maulnier. Ricci ha re citato Il primo uomo da par suo, con una bella misurata ed in sieme potente interpretazione. E brava è stata Èva Magni, che sul piano di una recitazione di classe ha dato al suo personaggio la più sofferta intimità. Con Ricci e la Magni anche i loro compagni hanno trovato quella che si dice la sera migliore: Oppi, per pri mo, e la eccellente Gina Sam- marco sempre preziosa, e la Nuli e la Anziani. Come tutti del resto, Ogni quadro e le due parti sono state clamorosamente applaudite. Vittorio Vecchi Rimesso in scena a Roma il dramma di Hochwaelder « Sacro esperimiento » : gli an ni ormai trascorsi dalla sua prima rap presentazione hanno reso molto fragile la sua ragione d’essere, che un tempo si po teva legare al gusto della problematica, tipico dell’immediato dopoguerra. S A C R O " ' 1 H P R O F A N O Dall’utopia alla scienza: è il cammino che ha compiuto e dovrebbe compiere l’ideologia sociale nella storia: non credo altro. Ma in questi anni, in cui lo spirito degli uomini è stato fiaccato da prove troppo superiori alle sue forze, spesso ci si è ripiegati per risentimento o per consolazione, nell’utopia, cedendo al sentimento. Si ha bisogno di religiosità : e non si potrebbe davvero condannare questo anelito umano, se esso invece di volgersi alla ricerca e alla contemplazione, chiedendo all’animo un più forte e un più alto fuoco interiore, non finisse coll’abbandonarsi al fanatismo e alla cecità. Aldous Huxley, W. H. Auden, Christopher Iserwood hanno fondato ai margini di Hollywood una comunità mistica per lavorare e medi tare sotto la guida degli antichi testi religiosi indiani. Il cattolicesimo di T. S. Eliot ha assunto aspetti sempre maggiormente agiografici. Malraux si è convertito, e lo stesso Camus inclina a posizioni sostan zialmente confessionali. André Bretón ha composto un’ode dedicata al grande utopista francese Fourier. Alfred Doebli ed Ernest Wiechert si sono nel dopoguerra rivolti alla fonte del cattolicesimo. L ’ultima demoniaca imprecazione di Antonin Artaud, non è un « giudizio universale », ma anch’esso, « di Dio » ? Fra gli stessi marxisti non sono pochi quelli che potrebbero essere sospettati di fideismo. Ma questo mondo, che vediamo così orientato, è un vecchio ed ormai debole, cieco mondo. Il suo senso di colpa lo trascina all’autolesio nismo. Si aggrappa a ciò che spera fermo : e con sua dispera zione, lo trova invece vacillante. Denuncia la sua impotenza, il suo declino. Non si può condannarlo del resto: la vita dell’uomo giunge sempre e forzatamente al declino... Fritz Hochwaelder appartiene alle ultime generazioni e risente di questo processo. Il suo Sacro esperimento affronta anch’esso i rapporti che vivono tra la reli giosità umana e le condizioni della sua storia, in una direzione che egli spera positiva. Il corso della storia è unico: da lungo tempo si dirige verso una nuova organizzazione sociale. Ogni suo moto è stato e sarà un contributo verso il raggiun gimento di questa meta. Nell’am bito di ogni religione e di ogni scienza, agisce un contenuto ge nuino che conduce ad essa. Anche l’insegnamento di Cristo, anche i suoi più fedeli interpreti e più ac cesi illustratori, anche i padri Ge suiti che un secolo e mezzo fa, alla vigilia della Rivoluzione fran cese tentarono di fondare nel Paraguay uno stato dove i beni e il lavoro fossero in comune, dove l’uomo — che qui era il povero schiavo indio — potesse liberamente dare un espandersi naturale ai suoi giorni. Nel pro gressivo e rigoglioso sorgere della nazione americana, sembrò molte volte che sul nuovo si potesse veramente edificare uno stato nuovo, utopico socialista. Non si vedevano gli ostacoli, la terra era fertile, nessuno ancora la posse deva. Gli indigeni o docili o lontani, gli emigrati sradicati da una patria che non voleva più saperne, e disposti a ricominciare in tutto. Per due secoli si susse guirono i tentativi : ed ognuno ebbe breve durata. Fra gli ultimi, quello dei Gesuiti. Dinanzi ad essi si profilarono improvvisa mente uno dopo l’altro i diversi ostacoli: e tutti così imponenti da non poter essere superati. Sotto l’una o l’altra forma erano sem pre le strutture economiche della società, che con la rete dei loro rapporti reciproci finivano col soffocare quanto poteva essere in contraddizione momentanea col loro regolare svolgimento. Per i Gesuiti del Paraguay, queste cir costanze si chiamarono l’ordine dei Gesuiti ed i suoi stessi capi che naturalmente non potevano non prestar obbedienza alla vo lontà della potenza feudalistica spagnola a cui erano strettamente alleati e di cui sapevano di se guire le sorti. L ’assurdo operato dei loro mis sionari nel Paraguay, fu distrutto da una sola parola del loro in viato segreto. Non rimase che un ricordo: e il ripetersi di una esigenza e di un bisogno che nei secoli successivi diverranno protagonisti della storia. Appun to: esperimento. Sacro perché poneva in gioco il destino degli uomini, voleva cambiare il suo corso, cambiando la struttura del mondo in cui esistono. Fritz Hochwaelder ha scelto questo soggetto e lo ha sceneggiato con fedeltà storica, perché ha sentito in questi anni giungergli confuse all’animo l’inquietudine e la ri cerca del mondo, non appagato completamente dalle ideologie esistenti, come dalle realizzazioni, anelante alla pace e alla giustizia nella società, con un senso di religiosità con un’aspirazione fer vida della ragione e dell’animo. La sincerità dei suoi propositi ha reso anni fa il suo lavoro, ade rente all’indistinto stato d’animo dei suoi spettatori, e lo ha por tato dovunque a un pieno suc cesso: tanto più, disponendo di un ricco istinto drammatico, sa pientemente regolato. Ma tutto questo non è sufficiente. Non basta rispecchiare fedelmente le immagini di uno stato d’animo : occorre interpretarlo, penetrarvi, agire su di esso chiarendogli le visioni e determinandone il corso. Hochwaelder non giunge nem meno a pensarlo: e si limita ad una semplicistica costruzione di dramma storico sostanzialmente romantico, idealizzando e gene- ricizzando i caratteri come avreb be fatto Schiller, naturalmente senza averne il lirismo e la ric chezza di contenuto morale, ado perando un linguaggio che per voler essere semplice ed icasticd, finisce invece per apparire ba nale. Non va più in là della superficie che presenta la cro naca : non azzarda una spiega zione o una condanna. Agli in terrogativi che si pongono i suoi personaggi come se fossero di oggi, non sa dare risposta : li ripete e li illustra solo con tradi zionale impeto drammatico. Il pubblico fu grato all’autore di aver fatto eco allora al suo animo. Ma si doveva chiedere al teatro ancora di più : e non si pensò di chiedere troppo. Anche nel teatro di oggi, pure così solo e povero, troviamo a volte un pen siero che si incorpora al nostro e che con esso si porta in avanti, per dare respiro e libertà all’ora che sopraggiunge. Hochwaelder ha voluto presentare un esempio e affermare una necessità: ma a noi occorre invece che si penetri direttamente nella nostra realtà, prendendone di petto i caratteri e gli sviluppi, liberandoli. La compagnia del « teatro Nuo vo » ha presentato un’esecuzione corretta ed equilibrata del dram ma : in essa si sono particolar mente distinti per il vigore e la autenticità dell’interpretazione, Ivo Garrani, Mario Ferrari, Ce sare Polacco. La regìa era di Gianfranco de Bosio, e la scena —■ ben concepita — di Veniero Colasanti. Resta da chiedersi il perché di questa ripresa: non ci sembra che il dramma di Hoch waelder ne giustifichi una neces sità artistica, tanto più che gli anni ormai trascorsi dalla sua prima rappresentazione hanno reso molto fragile la sua ragione d’essere (che un tempo si poteva legare al gusto della problema ticità, tipico dell’immediato dopo guerra). Questo complesso presenta un insieme di attori (le attrici non si sono ancora viste) davvero ec cellente, e dispone, a giudicare dalle messinscene, di larghi mez zi. Ci sembra però che il suo repertorio non brilli per origina lità né per autentico interesse, e non sfrutti le possibilità degli attori. Manca l’immaginazione. Al Ridotto dell’Eliseo ha fatto ritorno Baseggio con la sua com pagnia a repertorio prevalente mente goldoniano. Ha presen tato La buona moglie, un Gol- doni larmoyant che Baseggio da qualche anno ha rimesso in cir colazione dopo più di un secolo d’oblio. Suscita curiosità questa passeggera inclinazione goldonia na verso il drammatico, e sono an cora vive diverse figure: in par ticolare le minori, quelle dei gon dolieri, quelle degli aristocratici, quelle di alcuni eroi della mala vita (tra cui è mescolato Arlec chino). Il tema invece risulta oggi convenzionale, e il suo svolgi mento desta scarso interesse: e la esaltazione, in tono piuttosto uni forme delle buone virtù borghesi e del nucleo familiare visto come fondamento della vita. In con clusione : una ghiottoneria per gli amanti di Goldoni. In sé e per sé, un’opera minore. Baseggio ha presentato un’orche strazione perfetta della sua com pagnia, una resa di ogni valore scenico, condotta in modo esem plare. Fra i numerosi interpreti hanno fatto spicco Elsa Vazzoler (la buona moglie) quantunque alle prese con un personaggio stucchevole, per dolcezza e ama bilità d’espressioni, Bardella in un nuovo tipo di Arlecchino, Maestri in un gondoliere esagi tato, Rina Franchetti e Sailer, in una smorfiosa e sciagurata coppia di aristocratici, Luisa Baseggio in una servetta petulante. L’in sieme appare veramente armonico e duttile. Non crediamo di esa gerare affermando che la com pagnia di Baseggio, come quella di Eduardo de Filippo, siano allo stato attuale le sole in Ita lia che si possano dire compagnie nel vero senso della parola, cioè per affiatamento e armonicità di recitazione. Sia per le tradizioni a cui si appoggiano, sia per il fatto che i loro componenti sono fedeli ad esse per anni ed anni, e da questa fedeltà — che è soprat tutto interiore —■ traggono lo spi rito e la sostanza della loro arte Vito t*au -Mio marito, quando uscirà, cercherà un altro impiego. Petry — Già. Anche -mia moglie disse così. Eppure son rimasto. Non potevo fare altrimenti. I minatori, quella volta, hanno sgobbato come pazzi, proprio come fanno oggi. E ce l’hanno fatta, a tirarmi fuori. E adesso che non posso più scendere nella miniera... ah! Certe volte ci sono come costretto. E allora vado giù, e faccio un turno anch’io. Non so come, ma là sotto è un’altra cosa. C’è chi lo sente e chi non lo sente. Ma chi lo sente resta qui qualunque cosa accada. La Signora O lfen — Mio marito non resterà. Petry — Dipende dalla persona. Così almeno cre do. Quanto a me, la miniera mi ha stregato. La Signora Steigner (2° p.t entrando) — Buon giorno. Petry — Oh, signora Steigner! La Signora Steigner (avanza) — Si sanno altre notizie? Petry — Non ancora. Ma la cosa procede bene. La Signora Steigner — Insamma, ancora niente. Petry — Signora Steigner, le presento la signora Olfen. La Signora Steigner (viene in fretta in 1° p.) — Mio Dio, così giovane! Dovete soffrire molto, vero? (La signora Olfen scoppia di nuovo a piangere) E mamma Schneider, che prega. Beato chi sa an cora farlo. (Altro tono) Dove il direttore? Se le svignata? Petry — Il direttore è al suo posto. La Signora Steigner —■ Ah già. Tutti i dirigenti sono là sotto, vero? Petry — Certamente. La Signora Steigner — E noi... dobbiamo aspet tare qui? Petry — Non vi sembra la cosa migliore? La Signora Steigner — Certo. Non si può mai sapere...! Avete bambini, signora Olfen? La Signora O lfen (distratta) — Come? La Signora Steigner — Io ne ho quattro. E ho dovuto prima affidarli ai vicini. Se li sono disputati. Già, l’avvenimento è sensazionale. Da un momento all’altro siamo diventati il centro del pubblico inte resse. E’ per questo che arrivo così tardi. Ma ancor sempre troppo presto, non è vero, Petry? (Pausa) Non è molto che siete sposata, vero, signora Olfen? La Signora O lfen — Sono due anni. La Signora Steigner (assorta) — Due anni... (Con tenerezza) Andrà tutto bene, vedrete. Io ho un vero fiuto per queste cose. Posso fidarmene ciecamente, dico bene, Petry? Petry — Già. Infatti. La Signora Steigner — Signora Schneider! (Con tinua il mormorio delle preghiere. A bassa voce) Dio mio, c'è anche quel ragazzo! E’ un caso ben più triste. Dunque niente bambini, voi, signora Olfen? La Signora O lfen — No. AL BUIO La Signora Steigner — Avete dunque solo vostro marito? La Signora O lfen (piano) — Sì. La Signora Steigner — E lui non ha che voi, im magino. (Pausa. Assorta) Sì, Io vedo che siete sin cera. Dopo soli due anni, forse, si può essere an cora così. Può darsi. La Signora O lfen — Non vi capisco. La Signora Steigner — Io sono sposata da dicias sette anni. Ma non ho mai avuto paura per lui. Neanche oggi. Solo durante la guerra sono rimasta ad aspettarlo. Per tutti gli anni della guerra. E im maginavo che tornasse... non so, con una ferita. E allora m’intenerivo tutta. Pensavo: «Avrà bisogno di me». Ma quando tornò, tutto fu diverso. Di me non aveva bisogno. E adesso aspetto di nuovo. Ma non mi faccio più illusioni. » La Signora O lfen — Io... io non vi capisco. La Signora Steigner — Mi sono abituata ad aspet tare, ecco. Adesso, almeno, so dove lui si trova. Di solito non Io sapevo... (Dissolvenza). (Nella galleria franata). Steigner — Sarà un’ora, immagino. O lfen — Soltanto un’ora?' Steigner — Non di più. Ma è già abbastanza. O lfen — Io ho in tasca i biglietti del cinema. Oggi è il giorno del cinema, per noi. Steigner — Il giorno del cinema? O lfen — Sì. Steigner — Tu vai al cinema con tua moglie? O lfen — Una volta alla settimana. Una distra zione ci vuole - no? - ogni tanto. Steigner — Che strano. O lfen — Perché? Steigner — Io credo di non essere mai andato al cinema con mia moglie. O lfen — Noi abbiamo i nostri due posti fissi. Steigner — Ma guarda. Sicché succede anche que sto, al mondo. O lfen — Ce n’è un sacco di coppie di sposi che vanno al cinema insieme. Steigner — D’accordo. Ma non sapevo die si sta bilisse così in precedenza. Pensavo che succedesse per puro caso. Neanch’io vado al cinema solo. Ma certo non con mia moglie. Mai, ci siamo andati in sieme. O lfen — Probabilmente dipende da come si è spo sati. Steigner — Oppure... da quanto tempo! Dopo dieci anni è diverso. O dopo diciassette. Ma, ripeto, noi due non l’abbiamo fatto mai. WOLFGANG ALTENDORF O lfen — E’ possibile. Ma non riesco a immagi narlo. Steigner (a mezza voce) — Sapessi soltanto cosa hanno i miei occhi. Questo buio maledetto. Certo hanno qualcosa che non va. Olfen — Ho paura che lei non lo sopporti. Steigner — Chi? Olfen — Evelyn. Steigner — Tua moglie si chiama Evelyn? O lfen — Sì. Evelyn. Steigner — La mia si chiama Elisabetta. Forse di pende anche da quello. O lfen — Non ti capisco. Steigner — Se si porta la propria moglie al cinema, bisogna che abbia un nome diverso da Elisabetta. Evelyn mi fa pensare a qualcosa di tenero, di pie- colino. Qualcosa che ha bisogno di noi. Elisabetta non ha bisogno di me. O lfen — Sì, Evelyn di me ha bisogno. Steigner — ...e neanch’io ho bisogno di lei. (Pmcsa). O lfen — Non ce la faccio più, fra poco. Steigner — Che cosa? O lfen — A star qui sdraiato... ad aspettare... fin ché mi addormento. Quand’ero piccolo, mio fratello una volta mi premette un cuscino sulla faccia. Ebbi una paura orrenda. Proprio quel che provo adesso. Steigner — Penso che ci vorrà ancora un’ora. Oifen -— 523 metri sottoterra! Domani lo stampe ranno sui giornali. Steigner — Meglio non parlarne, Olfen. O lfen — Se adesso fossi solo, mi metterei a urlare, o forse pregherei. Ma così... Steigner — Dammi un po' la mano. O lfen — Perché? Steigner — Ah, niente. Se vuoi pregare... Io non ho nulla in contrario. Ci sono molte persone che sentono quel bisogno. O lfen — Tu non ci credi? Steigner — Ne ho perso l’abitudine. Se ne per dono tante, nella vita. Quel ragazzo, per esempio: Fritz. Forse è già morto. Se ci fosse una giustizia, dovrei giacere io al suo posto, con un piede di me no... e morto. In guerra era lo stesso. Con le scarpe al sole finivano sempre gli altri. A me non è mai successo niente. E sì che non me ne sarebbe impor tato gran che. Credo che la vita non si debba sti marla un fico secco: allora la conservi. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con la giustizia. O lfen — Nessuno sa niente di preciso... Steigner — Io ho sempre fatto una vita da cane. E se anche questa volta ci scampo la pelle, conti nuerò come prima. Cosa vuoi che vada a cambiare? E intanto ho la netta sensazione che ce la caveremo. Fino ad oggi me la son sempre cavata. Tutte le volte i colpiti erano gli altri. O lfen — Chi non è colpito soffre di più. Steigner — Alludi a me? O lfen — A mia moglie. Steigner — Ah, già. O lfen — Sono certo che sedeva alla macchina da cucire e si faceva il vestito nuovo. La stoffa glie la hanno regalata i suoi genitori. E lei è tutta contenta, pensa che stasera si va al cinema. Ma poi sono ve nuti e glie l’hanno detto. Dev’essere stato un duro colpo per lei. Steigner — Per mia moglie no. Fritz (gemendo) — Mamma!... O lfen — Che ha detto? Steigner — Ha chiamato la mamma. Purché non riprenda conoscenza. Sua madre è una santa donna. La conosco. Mi fa pena, povera vecchia. Non ha avuto una vita facile. La conosco bene. Anche que sta, doveva capitarle. O lfen — La settimana scorsa abbiamo comperato un frigorifero... a rate. E adesso...? Steigner — Il nostro buon accordo non è durato nemmeno otto giorni. Ma è bastato quel poco, per guastarci a vicenda tutto il resto della vita. O lfen — Non si dovrebbe già sentir qualcosa, se ci stessero cercando? Steigner — ... Neanche i quattro figli sono serviti a nulla. Anzi. Hanno peggiorato la situazione. Ma tu non puoi capirlo. O lfen — No. Io non penso che a lei e so che an che lei non sta facendo altro. Steigner — Mia moglie, immagino, non era nem meno in casa quando sono venuti a dirglielo... (Dis solvenza). (La sala d'aspetto di prima. Sottovoce, mamma Schneider che prega). Petry (2° p. : telefona) — Sì... sì... Va bene. (Depo ne il ricevitore) Sono sorte alcune difficoltà. La fra na è molta estesa. La Signora O lfen — Lo sapevo, lo sapevo! (Piange di nuovo). Petry — Non è niente di irreparabile. Ritarda solo i lavori di soccorso. L’ingegnere è molto ottimista. Credetemi, i ragazzi non mollano, signora Olfen. Lo Signora Steigner — Gli potete credere, signora Olfen. Non ci abbandoneranno, lo so di sicuro. Al giorno d’oggi, coi giornali e la radio, non ci si può più permettere di -lasciare tre minatori sepolti sotto terra. Petry — Mai ci si è potuti permettere una cosa si mile, signora ¡Steigner. Li hanno sempre tirati (fuori, anche quand’era troppo tardi. Sempre, li han tirati fuori. La Signora Steigner — Avete ragione, Petry. E tireranno fuori anche mio marito. E’ giusto ed è bene, anche se ormai non ci occupiamo più luna dell’altro. Lo Signora O lfen — Afa i vostri bambini...? La Signora Steigner — Già, questo è molto im portante. Ci sono. Vogliono mangiare. Bisogna ve stirli. Mandarli a scuola. E tutto pesa sulle mie spal le. Non guardatemi a quel modo, signora Olfen. Vi racconto tutto questo per farvi pensare a qual cos’altro. Se no quest’attesa vi ammazza. Viene il maestro e si lamenta. I vicini protestano. E quando saranno grandi, ci saranno altri guai. L’unica che ci -pensa sono io. Lui non se ne occupa. Quando ha finito il suo turno, se ne va da qualche parte. Io non gli chiedo nemmeno più dove va. E anch’io me ne vado da qualche parte, quando mi salta di farlo. La Signora O lfen — Con tutto questo, siete qui e lo aspettate. La Signora Steigner — Naturale. Sono sua mo glie. Almeno, secondo lo stato civile. Sicché ne ho il diritto. E poi ce un’altra cosa. Una cosa importan tissima, quando si hanno quattro figli. Nemmeno questo potrete capirlo. Mi occorre il suo danaro. La Signora O lfen — Il suo... danaro? La Signora -Steigner — La realtà è questa, c’è poco da fare. Se lui resta là sotto mi daranno una magra pensione. E quella non basta. Perciò è bene che non resti là sotto. E’ un discorso strano, eh? La Signora O lfen — E’ una cosa che non avevo -pensato. La -Signora Steigner — E non dovete. Perché -voi lo amate. E io v’invidio: davvero! -Sapeste come vi invidio! Per la vostra angoscia, per il vostro tormen to, per tutto. Farei il cambio con voi, credetemi, anche se il dolore mi dovesse stroncare. Farei per sino il cambio... >(sottovoce) con quella povera mam ma che prega. Anche se il suo caso è del tutto di verso. In un certo senso... molto più grave. La Signora O lfen (commossa) — -Signora Steigner, ho... ho pietà di voi... La Signora -Steigner (irrigidendosi) — Alacché pietà! Se fossi in voi, non m’importerebbe affatto come stanno gli altri. Del resto, mica ve ne importa. Non siete nemmeno qui, voi. -Lo vedo dai vostri occhi. Siete con -lui. Come quella vecchia è con suo figlio. Io soltanto sono qui. Me ne sto qua seduta, AL BUIO solitaria e abbandonata. (Pausa) Voi lo potete acca rezzare. In questo stesso momento, se volete. E di fatti lo state facendo. (Dissolvenza) E’ vero o no? La -Signora O lfen (assorta) — -Sì. (Nella galleria franata) Fritz (gemendo) — Mamma...! Mamma Schneider (introdotta da lieve vibrazione sonora, parla sussurrando) — Sì, figlio mio. Fritz — Ccs e successo, mamma? Mamma Schneider — .Niente, caro. Stai tranquillo. Olfen — Ha detto qualcosa? Steigner — Sta delirando. Fritz — Mi fa male la gamba, mamma. Mamma Schneider — Non è niente, Fritz. Devi solo star fermo. Steigner — Invoca la mamma. A diciassette anni, lo si fa ancora. Ho il’knpressione che gli sembri pro prio di vederla. -Sapessi solo che cos’hanno i miei occhi. -Sembrano pieni di terra. O lfen — Quest’estate volevamo andare sulla vetta della Zugspitze. Sai, mi piacerebbe, una volta tanto, guardare giù da -una grande altezza. Sarebbe una specie di rivincita. -Steigner — Rivincita... questa è -buona! Qua sotto, una volta, cerano dei cavalli. Passavano una vita intera senza vedere il sole. Porco mondo! E nessuno ci ha mai pensato. Fritz — Resta qui con me, mamma. Mamma -Schneider — Ma se sono qui. Se non stai disteso tranquillo, non puoi guarire. Fritz — Disteso tranquillo... Steigner — Questo non se la caverà. Povero ra gazzo. E se non vengono presto a tirarci fuori...! O lfen — Nel Tibet ci sono dei monaci che si fanno seppellire vivi. Solo perché hanno la fede. Tutta una vita al buio. Steigner — Ormai sarà passata un'ora e mezzo. Fritz — Dovrò morire, mamma? Mamma -Schneider — Ma no, Fritz, che scioc chezze! Fritz — Il mio piede deve aver qualcosa, mammp Mamma Schneider — ¡Non parlare e dormi. Il son no è la miglior medicina. Steigner (a mezza voce) — Ehi, Fritz! Fritz — Che bellezza che tu sia qui, mamma. Steigner — Vede sua madre. Eppure è buio pesto e lui certo ha gli occhi chi-usi. Non abbiamo dunque solo gli occhi, in testa. Quella -volta là, invece, (ride mna.ro) io in testa non ci avevo nemmeno gli occhi. Ho sposato Elisabetta perché stava per avere un fi- WOLFGANG ALTENDORF glio da me. Solo per quello. Se no non l’avrei mai sposata. Ma la gente, al paese... O lfen —■ Evelyn e io ci siamo sposati molto gio vani. Lei aveva appena diciott’anni. Io ventiquattro. I suoi genitori erano contrari. Ma l’abbiamo spun tata ugualmente. Steigner — Già. Noi, invece, ci siano stati costretti. Un bambino...! O lfen — Noi, bambini non ne possiamo avere. Steigner — Ma li vorreste, vero? O lfen — Sì, ma non c’è speranza. Steigner — Quando nacque il primo, si ebbe paura che ne venisse un altro. Ora ne abbiamo quattro. La vita è talmente stupida. O lfen — Noi adotteremo un bambino. Steigner — Talmente stupida. Noi due abbiamo continuato a vivere insieme perché abbiamo dei fi gli. Volere o non volere. Fritz — Sono a casa, mamma? Perché non andia mo a casa? Mamma Schneider — Devi startene fermo e tran quillo. (Dissolvenza con vibrazione sonora) Devi dormire, Fritz. Steigner — II ragazzo è agli estremi. O lfen — Avessi una sigaretta! Steigner (rìdendo) — Già, una sigaretta! Ci fareb be proprio comodo. Fritz — Mamma! Mamma! (Torna in sé) Cosa suc cede? Ehi, cosa c’è? Dove sono? Steigner —• Fritz! Fritz — Sì. Cosa c’è? Accendete la luce. Cosa mi è successo? Steigner — Sangue freddo, ragazzo. Son qua io, Steigner. E anche Olfen. Fritz — Ma perché non vedo niente? Steigner — Perché è buio pesto. Non farci caso. Verrapno subito a tirarci fuori. Fritz — Ma che cosa mi è successo? Perché sono coricato qui? Steigner — Flai dormito, Fritz. Niente di speciale. Devi startene lì tranquillo. Fritz — E perché? Steigner — Niente di speciale, ti dico. O lfen — Devi dirglielo, Steigner. Fritz — Chi è che parla? O lfen — Sono io: Olfen. Fritz — Che cose che mi deve dire? Steigner — Una cosa da nulla. Ti sei fatto una piccola ferita. Al piede sinistro. Fritz — -Che... che ferita è? Steigner — Una scalfittura. Ti ho bendato il piede. Tutto è a posto. Non può succederti niente. Fritz — Ma... che cosa è accaduto? Steigner — La galleria è crollata alle nostre spalle. Ma stanno già lavorando per tirarci fuori. Non senti? Fritz — Ohe cosa? Steigner —• Sono abbastanza vicini. Fritz — Io non sento niente. Steigner — Vuol dire che io ho l'udito più fino. Mettiti giù. Stai calmo. Fritz — Voglio vedere... che cos’ho alla gamba. Ac cendete la luce! Steigner — Le lampade sono tutte rotte. Fritz — Tu vuoi solo impedirmi di vedere. Steigner — Ma neanche per sogno. Le lampade sono rotte davvero. Fritz (-pausa) — Devo... devo morire? Steigner — Ma cosa vai a pensare! Ti abbiamo fa sciato la gamba. Così non può più succederti niente. Appena usciremo di qui, ti manderanno all’ospedale, con un sacco di belle infermiere attorno. (Si sforza di rìdere) Starai come un pascià, che te ne pare? (Silenzio) Ehi, Fritz! O lfen — Lascialo. Stai notando niente? Steigner — Che cosa? O lfen —• Comincio a sentirmi stanco. Steigner — E’ la reazione allo spavento. O lfen — Io credo che cominci già, a poco a poco. Steigner — Che cosa? O lfen — La mancanza di ossigeno. Steigner — Ma va là! O lfen — E’ come... come se mi venisse addosso qualche cosa. Steigner — Senti, non cominciamo a montarci la testa l’un l’altro. 'Cerca di dormire. O lfen — Io... io cerco... di star sveglio. Non... non ho voglia di crepare qua dentro. Non vaglio. Non voglio! (Qualche rumore) Voglio uscire! Uscire! Steigner — Olfen! Via le mani di lì, ti ho detto! O lfen (pausa. Esausto) — Ah, non temere. Non ce la faccio più, oramai. Siamo spacciati. Siamo spac ciati... (Pausa). Steigner — Olfen! (Silenzio) Senti, Olfen, non perdere il controllo dei nervi. Un’altra mezz’ora, e ce l’abbiamo fatta, credi a me. O lfen —• Prima di allora saremo crepati. Asfissiati! Fritz — Asfissiati? Asfissiati? (Si agita) Per... per ché? Perché? Steigner (in tono di rimprovero) — To’, hai visto? (Paterno) Qui non asfissia nessuno, Fritz, stai tran- quillo. Ma se non stai lì buono buono, finirai male. Sai bene che sei ferito alla gamba. Fritz —- Ma... io... non... voglio morire asfissiato! Steigner — Ma se son balle! Qui c’è aria da ven dere. Mettiti giù e dormi. Quando ti sveglierai, sarai aM’ospedale. E ti daranno sei settimane di licenza per convalescenza. Le passerai in qualche punto della Foresta Nera... o da qualche altra parte. Fritz (fioco) —■ Dormire... Steigner (sottovoce) — E’ come al fronte. Giorno e notte non facevamo altro che calmarci a vicenda. (Mamma Schneider toma a bisbigliare in primissimo ■piano preceduta dalla vibrazione sonora). Fritz — Mamma! Mamma Schneider — Non devi muoverti tanto, lo ti sto vicina. Anche quando hai avuto il morbillo ti sono stata vicina. Tutta la notte accanto al tuo letto. E così quando hai avuto la scarlattina. Fritz — Sì, mamma. Steigner — Ecco, adesso è di nuovo felice. O lfen —E’ un altro genere di stanchezza, non te ne accorgi? Steigner — Sì. O lfen — Allora stiamo morendo. Steigner — Non parlarne, se ti riesce. O lfen — Voglio provare se sono ancora in grado di parlare. Steigner —■ La cosa dev’essere più grave di quanto credessi. Probabilmente è crollata l'intera galleria. O lfen —- Entro un’ora sarà tutto deciso. Meno del la durata d’un film. Fritz — Non gli dirai niente al 'babbo? Mamma Schneider — Bisogna che lo sappia, Fritz. Fritz — M i picchierà quando verrà a sapere che ho rotto il vetro col pallone. Mamma Schneider —- Prima gli parlerò io. Cre do che anche lui, da ragazzo, abbia rotto dei vetri giocando al pallone. Fritz — 11 nonno, allora, l’avrà picchiato. Mamma Schneider — Be’, stai calmo. Glie lo dirò io prendendolo per il suo verso. Fritz — Sì, mamma. La Signora O lfen (preceduta da vibrazione sonora, entra a bisbigliare in primissimo piano) — Caro... O lfen — Evelyn? La Signora O lfen — Sì, sono qui con te. O lfen — Sono tanto contento. Steigner — Olfen?... La Signora O lfen — Non riuscivo a crederci. Mi pareva che mi avessero tolto la terra sotto i piedi. AL BUIO O lfen —• Sono contento che tu sia qui. Hai finito il tuo abito? Steigner —• Olfen, che succede? La Signora O lfen — Come potevo finirlo, caro? Mamma Schneider — Sto pregando per te, Fritz: continuamente. E mi faccio dei rimproveri: conti nuamente. Fritz — Non andartene, mamma. Resta qui. Mamma Schneider — Sì, caro. Ma non avrei do vuto lasciarti lavorare nella miniera. E’ stata colpa mia. Fritz — Il lavoro mi piace. Mamma Schneider — Ma sei troppo giovane per questo. E’ un lavoro troppo pesante per te. Fritz — Ma no, sembra soltanto. E poi, non gua dagno già abbastanza bene? Mamma Schneider — Certo. E io sono fiera di te. Fritz — E fai bene, mamma. La Signora O lfen — Hai bisogno di qualcosa? (Dissolvenza con vibrazione sonora). O lfen — No, Evelyn, sono felice. Di che cosa vuoi che abbia bisogno? I biglietti del cinema li ho già presi. Steigner — Olfen! O lfen — Evelyn... Steigner — Olfen, di’! O lfen —• Che ce? Steigner — Flai visto... tua moglie? O lfen (pausa) — Sì. Era qui con me. Steigner — Flai delirato come Fritz. O lfen — Credo di aver dormito. (Lontanissimi, si cominciano a udire dei tonfi, dei rumori) Era qui con me. Strano, vero? Steigner — Zitto! (Pausa) Senti niente? O lfen (pausa) — Sì. Steigner — Sono... sono loro, Olfen. Sono loro. Debbiamo farci sentire. Mondo cane, sono loro! O lfen — Io non mi posso più muovere. Sono come sotto una montagna di piombo. Steigner (grida) — Ehilà! Oooh! (Pausa) Non pos sono sentirci. Dobbiamo battere dei colpi. (Gemiti, faticoso spostamento in 2° p.) Dei colpi... (Dissol venza). (Nella sala d’aspetto). La Signora Steigner — Sì. Ci siamo rovinati la vita l’uno all’altro, solo perché siamo stati vili. La Signora O lfen — Vili? La Signora Steigner — Sarei riuscita ad allevare il mio bambino anche da sola. Sarebbe stato più semplice. Ma non me la son sentita. Il paese, la gente, il parroco... Dovevo far fagotto e andarmene. WOLFGANG ALTENDORF Ma non ne abbi il coraggio. Perciò lo costrinsi a sposarmi. E questo un uomo non lo dimentica. La Signora O lfen — Ma la cólpa era anche sua. La Signora Steigner ■(sprezzante) — Già, fateglie lo capire, a un uomo. Neanche alla gente riuscite a farglielo entrare in testa. Avere un bambino è una vergogna solo per la ragazza. E’ un concetto che non cambierà mai. Un matrimonio miserabile, in vece, non è una vergogna. Che ne dite voi, Petry? Petry (distratto) — Io?... La Signora Steigner — Ecco, lo vedete? Tutto di pende da quello, eppure nessuno sa la risposta giu sta. Nei film sì, la sanno tutti. Nei film una ragaz za in quelle condizioni è compatita. Ma nella vita!... (Squilla il telefono). Petry (telefona) — Sì, Petry. \(Con gioia) Ah, lo dicevo, io! Splendido! Quanto tempo ci vuole an cora, ingegnere? Ah benissimo. (Riattacca il micro fono). La Signora Steigner — Cosa ce. Petry — Li hanno sentiti battere dei colpi. Sono vivi! Tra poco li raggiungeranno. Sono già vicinis simi. Mezz’ora al massimo. La Signora Steigner — Avete visto, signora Olfen? La Signora O lfen — E’... vivo? Mio Dio, è vivo! Vivo! Che miracolo! Che miracolo. Mamma Schneider (con voce agghiacciante) —• FritzL. Fritz!... Ma aspetta, Fritz! Non andartene! (Scoppia in desolati singhiozzi. Dissolvenza). (Nella galleria franata. I rumori della squadra di soccorso sono più forti e più vicini). O lfen (1° p., ansimante) — Batti Steigner. Batti ancora un cólpo. Steigner {2° p., id.) — E’ troppo... è troppo fatico so... Non ce la faccio. O lfen — Bisogna... bisogna che si affrettino... Ehi, Steigner. Prova ancora una volta. Steigner —• Non posso più muovermi. Ma il ru- piore è molto vicino. Stiamo zitti, adesso. (Dissol venza). (Nella sala d’aspetto. Si ode il singhiozzare di mam ma Schneider). La Signora O lfen — Ma che cos’ha? La Signora Steigner — Il suo ragazzo., Forse è successo qualcosa al suo ragazzo. Petry — E’ strano. (Viene in 1° p.) Che cosa avete, pignora Schneider? Mamma Schneider (tra i singhiozzi) — Eh? Petry — Li hanno sentiti 'battere, sotto. Ci arrive ranno subito. Sono vivi, signora Schneider. Mamma Schneider — Fritz è morto. 118___________________________________________ Petry — Ma... ma... La Signora Steigner — Come fa a saperlo? La Signora O lfen — Lo sa. (Squilla il telefono). Petry (accorre in 2° p., stacca U ricevitore) — Sì? Fatto? Magnifico! Allora... Olfen, sì... Steigner... (Colpito) Ah! Capisco. E il ragazzo, Fritz? (Pausa. Riattacca lentamente. Senza entusiasmo) Vostro ma rito, signora Olfen... e anche... Steigner. L’ingegne re li sta già accompagnando su. La Signora O lfen — E’ vivo? Petry — Sì. La Signora O lfen — Dio mio, come ti ringrazio! La Signora Steigner — E il ragazzo? Petry — E’ morto. (Porta che s’apre. Passi in av vicinamento). L’Ingegnere (imbarazzato) — Eccoli... eccoli qua. (Silenzio teso). O lfen (2° p.) — Evelyn! La Signora O lfen (si allontana di corsa. In 2° p., singhiozzando) — Caro... caro... caro... Sei qui... sei qui... La Signora Steigner (allarmata) — Ma cos’ha? Perché ha gli occhi bendati? L’Ingegnere (avvicinandosi lentarmente) — La vi sta. Lo mandiamo subito in dinica. Steigner (1° p.) — L'ho capito subito. La Signora Steigner — Ma non sei mica?... Non sei mica?... Steigner — Cieco. Sì. Il medico non ha fatto tanti discorsi. L’Ingegnere — Forse non è poi tanto grave. La Signora Steigner (cow ,doloroso stupore) — Cie co?... Dio mio! • L’Ingegnere — L’autoambulanza è già fuori. Steigner — Be’... allora... La Signora Steigner — Ma... ma io... (Con infi nita dolcezza) Dammi il braccio. Caro!... (Passi lenti e incerti in allontanamento). L’Ingegnere (sottovoce) — Di’, Petry. Mamma Schneider è già informata? Petry — Sì. L ’Ingegnere (qualche passo. Pausa) — Signora Schneider... Mamma Schneider — Eh? L’Ingegnere — Volete... vederlo? Mamma Schneider (pausa. A bassa voce) — Sì. F I N E * Copyright by Wolfang Altcndorf Il 29 novembre 1954 è morto a Roma, nella sua abitazione, Sandro Ruffini. Era nato a Roma ed aveva sessantacinque anni Sandro, diletto e caro amico, non ci siamo più rivisti, e tu lo sapevi e me lo hai detto. Un anno fa sono venuto a cercarti di sera sul palcoscenico di un piccolo teatrino aziendale imprestato alla Compagnia Merlini in prova, formazione della quale tu facevi parte. La compagnia era già in ritardo di riunione e di prove per il tuo grave « incidente » per il quale pochi giorni avanti stavi per perdere la vita. Incidente o no che fosse stato, Sandro, non ho capito oppure ho capito troppo, quando mi vedesti arrivare dal fondo della piccola platea mi venisti incontro rispondendo con un forte e disperato abbraccio e soffocando in pianto, alla mia muta interrogazione. Hanno parlato in quel momento i nostri occhi e il nostro cuore; tu mi hai detto soltanto, chino sulla mia spalla e singhiozzando « non ce la faccio più ». Ed io non ho capito o forse ho capito troppo che alludevi alla tua vita intima ed alle cattive condizioni fisiche del momento, affranto com’eri, angustiato ed avvilito, sbattuto per esigenze contrattuali dalla corsia del l’ospedale di Roma al teatrino della periferia di Torino. Mi hai anche detto « non ci rivedremo più Lucio » ed era l’addio ad un fratello. Perché Sandro, mio caro Sandro, fratelli siamo stati davvero: sono passati quaran tanni dal nostro primo incontro che fu in compagnia di Tina Bondi. Era costei un’attrice che in tempi di splendori della scena di prosa italiana, quando almeno una trentina di compagnie di primo e secondo ordine si formavano regolarmente per un triennio, pur valida da poter fare asse gnamento sulle proprie forze, aveva però bisogno — per aver credito — di essere sorretta da un attore di più larga rinomanza, come era Leo Or- landini, che recitando e dirigendo, dava alle imprese ed al pubblico l’affi damento necessario a mantenere una Ditta sul piano della dignità artistica. Non ricordo perché tu giungesti in Compagnia con qualche giorno di ritardo sulla riunione del primo di Quaresima, ma eri l’atteso primo attor giovane, e ci apparisti, a tutti, infatti un giovane bellissimo, amabile, sorridente, elegante e bravo. In più eri stato scritturato « in coppia » e la tua compagna — Lina Tricerri, tua moglie — era, come te, bella amabile sorridente e brava. Vi eravate appena sposati, vi amavate, come si dice alla follia e dividevate la giovanile esistenza tra il palcoscenico ed il letto. Su questo ricordo, da allora, ho poi ritrovata sempre impostata la tua vita, Sandro: hai continuato ad amare alla follia, senza capire che gli anni passavano e si perdevano, senza mai accorgerti di quei tali scatti dei decenni, per i quali le differenze di età acquistano un significato positivo. Gli uomini debbono anche voltarsi qualche volta indietro nella vita, ma tu Sandro non ti sei voltato mai; hai avuto paura di farlo, preferendo volgere il tuo sguardo di sottecchi e soltanto al lato, per inebriarti della giovinezza di una creatura sempre amabile bella sorridente ed incantevole. Hai fatto benissimo Sandro, ma sono queste le ragioni perché hai pianto quella sera sulla mia spalla, dopo l’« incidente » di Roma, dal quale in effetti non sei guarito mai più. Ora io dovrei dire di te, Sandro Ruffini, attore; dovrei cioè « commemorarti » come dice uno sciocco dalla sensibilità di un elefante che si chiama Alessandro Porro e che nel giornale « La Notte » ha scritto queste parole: « Insomma, confidenza per confidenza, io a metà del primo atto me ne vado. Tanto, io le com medie le leggo su ” Dramma Sì, sul giornale di Lucio Ridenti, quello che commemora gli attori che passano all’altro mondo. A proposito, quanto ne avrà commemorati fino ad oggi? Chissà... ». Ed io non ti commemoro, Sandro, non per lo sciocco individuo ma perché sei uno dei pochi attori meno solenni e cattedratici che il teatro italiano abbia avuto da che io me ne occupo. Per oltre quarant’anni hai fatto il teatro sorretto soprattutto dalla felicità di essere attore — che è un dono splendido e divino — mai pensando al punto d’arrivo dal lato professionale, mai studiandoti di mettere insieme, ad un certo punto, con le cantinelle di alcune parti di rilievo e quindi di maggior successò, il praticabile sul quale salire per poter volare. Sei rimasto volontariamente per terra, sempre spensieratamente pensando che quel praticabile avresti potuto ugualmente montarlo un giorno, sempre che ne avresti avuto voglia e tempo, perché delle tue qualità eri giustamente cosciente. Insomma, anche col teatro ti sei guardato soltanto al lato, senza mai nemmeno pensare di voltarti in dietro. E’ passato così il tempo, e tu sei diventato via via personalissimamente più bravo, ma senza poter volare. Le tue ultime « vere » recite sono state quelle con Ruggero Ruggeri a Londra, con la Compagnia formata da Re migio Paone: quella notte, al Carignano di Torino, alla prova generale senza suggeritore, asciutto e tirato di nervi, proteso verso tutto ciò che artistica mente era possibile dare, ti guadagnasti il grande elogio di Ruggeri, che Possenti ricordandoti ha riferito: «E’ uno dei migliori attori italiani». Tu eri felice di quell’elogio, ma non lo hai mai ripetuto; si è risaputo, infatti, dopo la tua morte. A Torino, quella sera, tu eri ancora felice, Sandro. Voglio ricordarti così come a quel modo istesso sono rimasti nel mio cuore, Ruggero Ruggeri e sua moglie Germaine. E’ cronaca di ieri, e siete già tutti e tre così lontani; la lontananza infinita ed eterna. Qui si dimentica ogni cosa, Sandro, lo sapevi bene, scanzonato com’eri oltre tutto, con velocità supersonica, ma col tempo qualcuno dovrà pur rimettere a posto le cose del nostro teatro di prosa troppo a brandelli; saranno ricol locati al posto giusto, nella vera luce e con l’esatto valore, uomini ed opere. Qualcuno certo ritornerà nel tempo e lascerà poi scritta una parola defi nitiva. Sono certo che di te leggeranno: « uno splendido attore ed un magni fico ragazzo ». Addio, mio carissimo Sandro. Lucio Ridenti S U G G E S T I O N E D E L L ’ A T T O R E IS T E R IC A E R E G IA A G O N IS T IC A E D Giovanni Calendoli ha interrogato Paolo Stoppa sulla situa zione della scena di posa al momento attuale (leggi il Taccuino di questo stesso fascicolo) in rapporto al fenomeno sconcer tante delle regìe di questa Stagione. Stoppa, reduce da un viaggio di attenzione alVattività altrui, in Francia e Inghil terra, ha fatto queste dichiarazioni: « Abbiamo imboccato una strada pericolosa. Nel campo del teatro di prosa ha allignato una specie di spirito agonistico molto simile a quello che da molti anni, dal tempo delle grandi battaglie d’eleganza fra Nella Regini e Ines Lidelba, conduce le vicende dello spettacolo di rivista. Una diva cercava e cerca di battere l ’altra con lo sfarzo dei suoi costumi, con la gran diosità dell’apparato scenografico. Si costruiscono sul palcosce nico scale interminabili e fontane luminose. Ebbene che cosa accade oggi di diverso nel campo del teatro di prosa? Una bat taglia non molto dissimile si è aperta fra i registi. E’ più bravo chi spende più milioni e, se uno ha potuto impiegare quaranta milioni, l’altro si sente toccato nella sua dignità di artista se non può consumarne almeno dieci di più. Ed il gusto del pubblico è insensibilmente portato su un piano inclinato che non ha termine. Il suo desiderio è orientato verso l ’attesa della meraviglia sempre più sorprendente e più fastosa: costru zioni vere, oggetti veri, animali veri, scene girevoli. In questa fantasmagoria ossessiva scompare quello che è il vero elemento di interesse di ogni spettacolo, cioè la presenza dell’attore al quale è affidata l ’interpretazione di un testo. Quindi la logica stessa del teatro è guastata e corrotta... « Io ho creduto e credo ancora nell’arte della regìa; ma non credo nelle follie del regista. Negli spettacoli, ai quali ho avuto modo di assistere in Francia e in Inghilterra, ho costantemente osservato che la regìa è soprattutto creazione di intelligenza e di finezza interpretativa, ma non sperpero di milioni. La regìa nella quale credo è appunto quella che mira mettere in luce la poesia, il senso, il carattere di un testo soprattutto mediante l ’apporto dell’attore. L’attore, incaricato di trasmettere la parola dello scrittore alla platea, deve essere, per una esigenza insostituibile del teatro stesso, al centro dello spettacolo. E del resto il pubblico, consapevolmente o inconsapevolmente, nello spettacolo finisce col lasciarsi prendere seriamente soltanto dalla suggestione dell’attore. Tutti gli altri motivi di attrat tiva sono passeggeri, incerti, superficiali e suscitano sempre il desiderio di meraviglie nuove; ma non offrono una soddisfa zione profonda e duratura. Così come accade nel miglior teatro straniero, la scena italiana di prosa deve abbandonare la falsa strada degli isterici agonismi « rivistaioli » e deve ritornare alla serietà dell’interpretazione. Su questo terreno deve cer care la novità, Toriginalità, la scoperta, la forza di una sugge stione duratura. « Ho avuto occasione, recentemente, di assistere, in un tea tro dell’estrema periferia londinese (circa tre quarti d’ora di auto dal centro) ad un’edizione di Hedda Gabler che esau- risce ogni sera tutti i po sti, richiamando il pubblico dai più lontani quartieri della città. La scena era decorosa, ma semplicissima. La regìa al tamente impegnata ed il vero motivo di interesse, che riu niva ogni sera tanti spettatori, era costituito dall’interpreta zione delTattrice Askfret. « Gli intenditori stranieri, che assistono ad alcuni nostri spet tacoli, stupiscono tutti unani memente della profluvie di mezzi che vi sono impiegati. Noi italiani diciamo di essere un popolo povero; ma in pal coscenico ci comportiamo co me un popolo di miliardari. Il perdurare di questo para dosso non può che isterilire le fonti vitali della nostra sce na di prosa. Bisogna ritornare alle nostre vere ricchezze, che sono rappresentate dall’intel ligenza, dall’arte, dalla qualità e che possono essere espresse come lo sono sempre state, mediante l’attore. « Un rimedio c’è. Una parte di quei milioni che sono perduti in spettacoli fastosi, dei quali altro non rimane dopo pochi mesi se non il ricordo, potreb bero essere impiegati per la costruzione e la organizzazio ne di almeno due teatri di Stato, a Roma e a Milano, due vere e proprie « Case del tea tro » nelle quali gli attori maggiori dovrebbero avere la possibilità di presentare, a turno, ogni anno i loro spet tacoli. Gli stessi spettacoli poi potrebbero essere trasportati anche in provincia con la me desima regìa, ma con altri in terpreti nei ruoli principali U). Tutti gli attori, anche quelli che sono oggi occupati dal cinema per lunghi periodi e che quindi appaiono solo mol to raramente sulle scene di prosa, si impegnerebbero cer tamente .a presentare almeno uno spettacolo ogni anno nel quale offrirebbero il meglio di se stessi. Ma la base per ogni sistema non può essere in ogni caso costituita che dal ritorno ad una sana impostazione del lo spettacolo. Debbono avere termine i grandi duelli com battuti a colpi di milioni. La regìa deve spogliarsi dalle ma nie esibizionistiche di tono « rivistaiolo » e deve ritrova re la verità della sua funzio ne, che è quella dell’intelli genza e non quella dello sper pero. Il mio è un grido d’al larme ed in esso v’è la stessa fede, lo stesso amore per il teatro con il quale io nell’im mediato dopoguerra sostenni i d iritti e la necessità della regia ». Paolo Stoppa (!) Non siamo d’accordo. Pao lo non tirarti indietro a priori. Se hai recitato o chi ha reci tato nel « Teatro di Stato », deve poi egli stesso andare in provincia e non essere sosti tuito « da altri attori nei ruoli principali ». In Italia, tu lo sai bene, Paolo carissimo, non soltanto questo non attacca, ma costituisce offesa perché il nostro Paese è tutto provin cia, escluse — appunto — Roma e Milano. Z I B A L D O N E Continuiamo ad iniziare questa rubrica con un premio teatrale: porta fortuna. A l vincitore, naturalmente; al teatro un po’ meno, perché questa abbondanza di premi invece di far scoprire il capo lavoro, o almeno qualche cosa di approssimativo, serve soltanto ad indurre quanti più possibili cittadini a scrivere commedie. Una lodevole gara, d’altronde, per tener lontani gli italiani da certe distra zioni non gradite. Dunque, la « Pro Civitate Christiana » bandisce un concorso per un « Dramma Cristiano (ricopiamo tutto dalla cir colare, maiuscole comprese) che renda esplicito e vivo nelle molti tudini l’attuale bisogno che gli uomini hanno di Gesù Cristo, l’Uomo Dio. Tale azione dovrà inserirsi nella predicazione dei Volontari della Pro Civitate Christiana svolta dinnanzi alle folle nelle piazze delle città italiane. Dovrà valersi dei più semplici mezzi sia d’attori che scenici, e possibilmente anche di cori, formanti una parte attiva dell’azione stessa. La durata dell’azione scenica ininterrotta dovrà esse re di circa un’ora. Il testo scelto verrà premiato con un milione. Inviare tre copie dattilografate col sistema del motto e della busta chiusa alla Pro Civitate Christiana in Assisi C. P. 46, entro il 31 maggio 1955 ». Per assonanza, la « Pro Civitate Christiana », ci richiama alla assoluta mancanza di carità cristiana, dimostrata dai compilatori del settima nale « Cronache » che essendo, come dice la testata « di politica e del costume», crediamo sappiano bene quel che fanno. E quindi non potendo dar loro le attenuanti dell’incoscienza, trascriviamo quanto pubblicato nella rubrichetta di rilievo « La notizia della settimana » del n. 31, 14 dicembre 1954: «Tra i beni che il principe Lanza di Trabia, morto il 30 novembre, lascerà ai suoi eredi, insieme ai ter reni, alle tonnare, alle ville, ai palazzi e alle altre voci del suo patri monio, figura anche un giocatore di calcio, l’italo-argentino Ugo Martegani, ventinovenne, che il principe acquistò ” in proprio” quan do era presidente della società calcistica palermitana. Il baffuto gio- catore toccherà in eredità molto probabilmente all’attrice Olga Vii- li, moglie del principe defunto ». Un’offesa così atroce ad una po vera donna, sposa e madre esem plare, attrice gentile e squisita, cui è toccata una delle piu tre mende sciagure che si possa im maginare, ci sembra un fatto di « costume » per il quale non oc correva davvero fare un apposito settimanale. Il quale settimanale, nel nume ro precedente, in un articolo re dazionale di prima pagina, ha scritto : « Se in Italia venisse in staurata la repubblica comunista, entro un mese tutti gli artisti di sinistra, e tutti i delicati perver titi che scambiano le eterodossie sessuali per un modo di vita co munista, verrebbero soppressi fi sicamente e, nel caso migliore, cacciati senza pietà a scavare nelle zolfare siciliane e nelle mi niere di Ribolla ». Del settimanale in parola, infine, è critico drammatico Federico Zardi nostro amico, che abbiamo sempre conosciuto equilibrato, se reno, e comprensivo. Almeno così ci era parso, poiché in veste di critico tira invece sciabolate tre mende a tutti e per tutto. E non soltanto per coloro che sono nei limiti del suo settore; per poter dire il fatto suo a Sacha Guitry quale autore e regista di un film, ha —■ nel fascicolo stesso dove si parla degli artisti di sinistra ■— scritto una lettera al proprio di rettore, cioè da un tavolo all’altro della redazione e auindi da una pagina all’altra della rivista, per dirgli (al direttore, e quindi a noi tutti): « Che Sacha Guitry fosse un analfabeta e un gigione lo sapevo. Ma egli era per me — e non credo solo per me — anal fabeta come autore e gigione co me attore di prosa ». Così è a posto lo scrittore e l’attore francese più ammirato in tutto il mondo, perché in tutto il mondo sono state tradotte le sue commedie, in questi ultimi cin quantanni; diconsi cinquanta. Come tutte le cose che non han no alcuna importanza, anche le recite al Teatro Gobetti di To rino, volgono al termine nella più completa indifferenza, in una città come Torino che a smuo verla, quando si tratta di causa giusta, occorrono gli argani; figu riamoci quando è palese una cau sa sbagliata come quella del « Go betti ». Certo che la situazione è diventata moralmente così imba razzante che Francesco Bernardel- li, critico della « Stampa » e certo uno dei maggiori che vanta l’I talia, dopo aver assistito ad una commedia nuova, perplesso di dover citare « Compagnia stabile delle città di Genova e Torino » ha parato con la indicazione « la Compagnia Eleonora Duse » tut ti i colpi mancini di coloro che deliberatamente hanno messo la città in tale situazione. Un amico di Roma ci scrive che, sulla fac cenda, si è ricreduto perfino Tra bucco, che sarebbe poi il Carlone nazionale. Meno male. ALLA BIBLIOTECA SIMONI AL MUSEO TEATRALE ALLA SCALA In questi giorni gli eredi di Al fredo De Sanctis, scomparso a Firenze il 30 gennaio scorso, han no consegnato al direttore del Museo Teatrale Jalla Scala, Ste fano Vittadini, alcuni cimeli dal l’illustre attore destinati al Mu seo stesso. Si tratta di una gol doniana dai magnifici e preziosi ricami : di una veste da camera di seta azzurra indossata da Tom maso Salvini recitando il Demi- monde di Dumas e regalata al De Sanctis in occasione di una serata in suo onore al «Niccolini» di Firenze; e di numerosi ritratti di attori e di attrici del tempo, taluno dei quali ora introvabile come un Gustavo Modena, una Adelaide Ristori e una Eleonora Duse giovinetta. Il De Sanctis stesso ha precisato le ragioni di questo suo omaggio al Museo Teatrale: «Mio scopo precipuo — ha lasciato scritto — è quello di aumentare gli esempi che pos sano servire di incitamento a co loro che ci succederanno sulle scene teatrali, ad amare, a servire con appassionato entusiasmo quel l’arte che fu e che sarà sempre gloriosa, invidiata tradizione del la nostra cara Italia. Penso che i giovani che verranno a visitare codesto Tempio, soffermandosi per pochi minuti davanti agli oggetti che porteranno il mio nome... non potranno sottrarsi all’influenza di quello spirito di emulazione, diciamo pure d’am bizione che è lievito prodigioso per alimentare la fede nel pro prio lavoro ». Alcune delle fotografie sono già state sistemate in un’apposita ve trina, come pure è stato collo cato in una teca che già contiene il manoscritto del Come le foglie di Giacosa, quello della Signora Rosa di Sabatino Lopez, che era tra i cimeli raccolti da Renato Simoni. Intanto la direzione del Museo fa proseguire da quattro incari cati specializzati, il più spedita- mente possibile, la schedatura della Biblioteca Simoni. Il lavoro è molto complesso. Venendo i quarantamila libri schedati per soggetto, per autore, per titolo di opere e per iconografia, il totale dei cartellini si prevede sommerà a 120-130 mila. Inoltre si sta an che provvedendo alla rilegatura di circa ventimila volumi. La di rezione del Museo prevede che nell’autunno dell’anno venturo la biblioteca potrà essere aperta agli studiosi e farà tutto il possibile per affrettarne l’uso mettendo, in un primo tempo, a disposizione soltanto le schede per soggetto e per autore e terminando poi in un secondo tempo la schedatura per titolo di opera e per iconografia. Infine, a ricordo della inaugura zione della Biblioteca Simoni Museo Teatrale alla Scala, è stato pubblicato un elegantissimo opu scolo, con un bel ritratto a colori di Simoni ed il testo della com memorazione del Maestro, pro nunciata da Eligio Possenti il 30 maggio 1954 nel ridotto del Tea tro alla Scala. B I B L I O T E C A ERIC BENTLEY: In search of theatre. Ed. Vintage Books, ori ginally published by Alfred A. Knopf, Inc. Pag. XU - 385 - XI Cents. 95. Eric Bentley venne in Europa nel ’48 e vi rimase, praticamente senza interruzioni, fno al ’51. Venne, come dice il titolo stesso del libro, « ... in search of thea tre », ossia in cerca di teatro. Fu DAL PRIMO GENNAIO 1955 LA NOSTRA RIVISTA USCI RÀ’ UNA SOLA VOLTA IL MESE. COLORO CHE SI ABBONANO O RINNOVANO L’ABBONAMENTO DEBBO NO QUINDI INVIARE ALLA NOSTRA AMMINISTRAZIO NE 3200 LIRE PER UN AN NO; 1700 LIRE PER UN SE MESTRE; 850 LIRE PER UN TRIMESTRE. PER L’ESTERO: UN ANNO 3700 LIRE; UN SEMESTRE 2000 LIRE; UN TRIMESTRE 1000 LIRE. CO LORO CHE HANNO GIÀ’ RINNOVATO L’ABBONA MENTO PER IL 1955 E PER 24 FASCICOLI, POSSONO O CONSIDERARSI ABBONATI PER IL TEMPO COMPUTA TO CON L’IMPORTO VER SATO, OPPURE RICHIEDE RE LA RESTITUZIONE DEL LA DIFFERENZA ALLA NO STRA AMMINISTRAZIONE. a Parigi, a Londra, a Berlino; e poi in Italia, in Austria, in Ir landa; avvicinò attori, autori, re gisti, prese conoscenza diretta del teatro europeo in quegli anni non chiari, come sempre accade nei dopoguerra, di tendenze e di cor renti e di manifesti. Fece anche il regista: curò la realizzazione di Bernarda Alba a Dublino, di LIBRI PER STRENNE Ufi A STORIA DEL GRANDE TEATRO ITALIANO NEGLI SCRITTI DEGLI ATTORI E DEI CRITICI DAI PRIMI DELL’ 800 A I GIORNI NOSTRI CON 47 RARE ILLUSTRAZIONI B E L « R A N D E m o n i ! /Y /Z Z / < / / V IT O P A N D O L F I pagg. 586 - L. 4000 E’ un volume della nuova « Biblioteca dello Spetta colo » diretta da Luigi Chiarini, che pubblica ope re dei maggiori critici ita liani e stranieri con l’in tento di portare i problemi dello spettacolo (teatro, ci nema, melodramma, circo, danza) nel più vasto mo vimento della cultura, ap profondendoli e divulgan doli insieme. EDITORI Madre Coraggio a Monaco, di Viene l’uomo del ghiaccio a Zu rigo, e di un’altra opera di Brecht a Padova, Bologna, e alla R.A.I. Mensilmente, inviava un lungo articolo contenente le sue impres sioni ad « Arts Theatre » (e meno frequentemente anche a « Ke- nyon Review ») e due di questi, precisamente quello sul teatro tedesco e sul teatro italiano, i let tori li ricorderanno pubblicati su « Dramma » nei numeri 87 ed 88 del 15 giugno e del V luglio ’49. Eric Bentley ha ora raccolto in un volume questi articoli, che sono il frutto di tre anni di di mestichezza con il teatro euro peo : come sempre accade per queste raccolte, il valore attuale diminuisce sempre più con il trascorrere degli anni : buona parte del volume è dedicata alla critica e alla cronaca di spettacoli visti in quegli anni, ed è natu rale che, a parte la curiosità di sapere come un americano ve deva le nostre manifestazioni tea trali quattro o cinque anni fa, queste pagine non presentano per noi un particolare valore di at tualità. Ma tolta questa parte, incontria mo anche quando Bentley, tra scurando la cronaca, espone su problemi meno contingenti e più generali: osservazioni ed idee sempre acute ed esattamente a fuoco. Interessanti pure sono i brevi studi, scritti in forma pia cevole ed assai levitata, su alcune figure dominanti del nostro tea tro contemporaneo, quali Brecht, Shaw, Barrault, Antonin Artaud ed altri. Bentley si rivela insom ma, oltre che giornalista dal pia cevole stile, anche osservatore at tento, acuto, e ciò che più conia, preparatissimo. Il libro giunge assai a proposito in America, ed è evidentemente destinato a tro varvi ampia fortuna: un po’ me no a proposito giungerebbe da noi, in Europa, ove per lo meno tutta la parte dedicata alla cro naca risulta (e non per colpa di Bentley, ma per ovvii ed impre scindibili motivi) pressoché inu tile o per lo meno svuotata or mai d’interesse. Merita comunque d’esser segnalato all’ attenzione dei lettori per tutto ciò che vi è di più generale che non la cro naca di una serata e di men limi tato che non l’allestimento di uno spettacolo : tutta questa parte, che rappresenta poi il succo dell’in tero volume, il risultato delle esperienze europee dell’(tutore, ci mostra un Bentley amorosamente attento verso le più recenti cor renti teatrali del vecchio conti nente, che evidentemente erano allora ancora ignote all’America. E ciò che egli dice, ciò che egli osserva, le conclusioni che ne trae, possono benissimo venir let te anche oggi come cose valide e pienamente attuali. «igi Lunari IL TEATRO NON PUBBLICATO NON ESISTE Con questo slogan ha avuto ini zio la pubblicazione di una nuo va collana teatrale dal titolo « Col lezione del teatro italiano con temporaneo » diretta da Alessan dro De Stefani e Piero Ottolini, affidata all’editore Casini. L’im presa è partita dalla Società Ita liana Autori Drammatici, con senzienti (e soprattutto patroni, naturalmente) la Direzione ge nerale dello Spettacolo, la Società Italiana degli Autori, l’Ente ita liano per gli scambi teatrali e l’Istituto del Dramma antico. Tutti gli autori — dice l’edito riale — la cui opera risponda a un minimo di produzione (quel lo necessario a figurare tra gli autori italiani qualificati) sono stati invitati o ammessi a pubbli care un volume contenente, di norma, tre lavori teatrali in al meno tre atti, scritti in lingua è rappresentati da compagnie rego lari. La pubblicazione avviene, nell’ordine, secondo delle « nor me interne » di precedenza. Sono già stati pubblicati due vo lumetti: il primo con tre com medie di Alfredo Vanni: Una donna quasi onesta; Quattro di cuori; Da spada di legno. Di que- PER LA CASA DI RIPOSO DEGLI ARTISTI DRAMMATICI Francesco Prandi, il caro amico recentemente scomparso, tra le sue molte attività teatrali aveva istituito — è risaputo — un « Premio polemico », chiamato, appunto, « I discordi ». Ebbe la gioia di asse gnarlo in vita una volta sola e fu, come si ricorda, per la oggi vedova di Armando Falconi. In questa Stagione Teatrale, la sera del 3 dicem bre, al Teatro Sant’Erasmo, abituale sede per l’assegnazione di tale premio, prima della recita di « La moglie saggia » di Goldoni, Gio vanni Cenzato ha commemorato Francesco Prandi. E lo ha fatto con fraterno ed affettuoso rimpianto, con la cordiale simpatia per questo uomo singolare che amò il teatro e ad esso dedicò tutto quanto, dalla sua vita professionale, gli restava di tempo, sacrificio ed anche inte resse. Cenzato gli ha detto, per tutti, l’ultima parola di affettuoso rimpianto della gente di teatro, ottenendo una ovazione di gratitu dine dai presenti. Negli intervalli della rappresentazione, da parte della Compagnia che fa capo a Lida Ferro e Carlo Lari, la signora Pucci Scarfoglio e Sergio Rimini sottoposero il referendum al pubblico con varie pro poste, secondo le norme del regolamento, ma il premio di mezzo mi lione, per unanime consenso, fu assegnato alla memoria di Francesco Prandi, alla Casa di Riposo degli Artisti Drammatici. Poi l’attrice Leda Celani interpretò il monologo « Diciott’anni » scritto da Fran cesco Prandi; omaggio significativo alla memoria, poiché fu l’ultimo scritto di Prandi. Per curiosità, facciamo conoscere le altre « proposte » per l’assegna zione del premio : a Giulio Girola « per aver dimostrato come si può servire l’arte drammatica con povertà di mezzi », e a Isa Bar- zizza e Lauretta Masiero per il « loro recente e sperabile definitivo passaggio dalla passerella della rivista alla ben altrimenti impegna tiva scena di prosa ». Il Presidente della Casa di Riposo, Lorenzo Ruggì, era presente ed ha ringraziato. Ci associamo alle sue parole. A questo molto benedetto mezzo milione, altre 379.000 si sono aggiunte in queste settimane: sono state consegnate a Lorenzo Ruggì, da Orio Vergani e Severino Pagani (quest’ultimo in qualità di Presidente del Comitato delle onoranze milanesi a Dina Galli) quale residuo della sottoscrizione, dopo aver chiuso le spese per il monumento alla nostra cara ed indimenticabile Dina, al Monumentale di Milano. Pagani e Vergani, consegnando la somma, hanno chiesto che due letti della Casa di Riposo siano intestati a Dina Galli, cosa che è già stata fatta a perenne ricordo della illustre attrice. Il signor D’Arco-Bozzato ha inviato, direttamente a Bologna, 4000 lire in memoria della N. D. Maria D’Arco. Ed il caro e gentile amico Armando Rossi, della Piccola Ribalta di Torino, ha mandato mille cartoline riproducenti la facciata dell’Istituto di Bologna. Ringraziamo tutti con gratitudine, e pubblichiamo il ¡.TERZO ELENCO DELL’UNDICESIMO MILIONE RENATO PERUGIA, in memoria di Ernesto Sabba- tini, Sandro Ruffini, Francesco Prandi e Ger- maine R u g g e ri............................................. E. 20.000 COMPAGNIA ITALIANA DI PROSA, DIRETTA DA GUGLIELMO GIANNINI (PORELLI-PAUL) a mezzo di Gianni Ghedratti; somma rilasciata da tutti gli scritturati dal 2 ottobre al 28 novem bre 1954 ERNESTO CALINDRI, FRANCO VOLPI e ALDO CAPPELLINA, in ricordo del caro amico e mae stro Ernesto Sabbatini....................................... » 15.000 COMPAGNIA VITTORIO GASSMAN, primo mese di gestione, piccole multe che gli attori si fanno infliggere per amore alla Casa di Riposo ATTORI PROSA E RIVISTA DI RADIO ROMA, raccolte da Giovanni Cimara............................. » ARMANDO ROSSI per la Piccola Ribalta di Torino » CARLO ENRICO MARGARINI, m am m a............................................................» ROSETTA ZACCARIA DE L U C A ........................» ALBERTO TOMMASINI................................... .... . . . » 12.000 5.800 5.000 5.000 1.000 500 L. 82.535 • 170.291 Totale a tutt’oggi L. 252.826 Somma precedente ricordando la LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile - Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 I manoscritti, le fotografie ed i disegni non richiesti, non si restituiscono per nessuna ragione ste tre commedie, la prima l’ab biamo pubblicata noi nel n. 26 del 1927 e la seconda nel n. 289 del 1938. Il volumetto contiene un elenco delle opere, una auto- biografia, una prefazione; il tutto dovuto all’autore stesso. Il volumetto n. 2 contiene tre commedie di Siro Angeli : La casa; Dentro di noi; Male di vi vere, ed anche per questo — se condo la regola stabilita per la collana — opere, autobiografia, prefazione. Sono già annunciati volumetti fino al n. 8; avremo così, di ciascun autore, tre com medie. Essi sono: Alberto Co- lantuoni, Oreste Biancoli, Piero Ottolini, Cesare Vico Lodovici, Edoardo Nulli, Omero Fantera. Ogni volumetto costa 800 lire. XEL PROSSIMO FASCICOLO s a E e - < S 3 » 18.235 ® w g UGO V 0N 0 F M A M S T H A L ITALO ALIGHIERO CHIUS ANO Scritta nel 1922 questa commedia fu letta all’at tore Pallemberg nel 1923 e quindi recitata al Rai- mund-Theater di Vienna quel 16 marzo. Il succes so fu vivissimo, anche in ! altri centri dell’Austria, ma finì con quella sta gione. Riscoperta ora da Gustai Grundgens, atto re, regista e sovrainten- dente del teatro tedesco ( contemporaneo, il suc cesso, dopo trent’anni, si : è trasformato in trionfo. C’è in quest’opera di Ugo Von Hof mannsthal un elemento che la rende più vicina a noi che a coloro che la videro nascere: la pittura di una so cietà (l’aristocrazia austriaca pre-Se- rajevo, anno 1912) che, stroncata come forza viva della storia dalla prima guerra mondiale, venne rappresentata dall’autore con la maliziosa tenerezza di un postero che rievochi un mondo tramontato. SEDE E D IR E ZIO N E G ENERALE IN ROM A I L C I R C U I T O D E L V E . T . L CESENA F IR E N Z E LUCCA P A V IA P E R U G IA P IA C E N ZA PISA R A V E N N A TE A TR O A . B O N C I TE A TR O D E L L A PERGOLA TE A TR O G IG LIO TE A TR O F R A S C H IN I TE A TR O M O R L A C C H I TE A TR O M U N IC IP A L E TE A TR O V E R D I TE A TR O A L IG H IE R I REG G IO E M IL IA TE A TR O A R IO S TO RO M A TE A TR O Q U IR IN O ROM A TE A TR O V A L L E SALER N O V IT E R B O TE A TR O V E R D I TE A T R O D E L L 'U N IO N E k V I T T O R I O G A S S M A N EDIPO RE DI SOFOCLE VERSIONE D I SALVATORE QUASIMODO IL SAN G U E VER D E DI SILVIO GIOVANINETTI KEAN (GENIO E SREGOLATEZZA) DI ALEXANDRE DUMAS ADATTAMENTO D I JEAN-PAUL SARTRE c-ozz A N N A P R O C L E M E R M A R IO F E L I C I A N I GIORGIO P IA Z Z A R A F F A E L E G IA N G R A N D E M A R C E LL O B E R T I N I M A R IO M A R A N Z A N A D I N A S A S S O L I G IU L IO B O S E T T I M A R IA Z A N O L I E T T O R E G A IP A M IR E L L A C A S T IG L IO N E e- c-ow A N N A M A R I A F E R R E R Ò L A M B E R T O P I C A S S O SCENE E COSTUMI D I MARIO CHIARI - GIULIO COLTELLACCI - PIERO ZUFFI MUSICHE DI FIORENZO CARPI - BRUNO NICOLAI REGISTA ASSISTENTE LUCIANO LUCIGNANI - AMMINISTRATORE FERRUCCIO STAGNI - AIUTO REGISTA ETTORE GAIPA - DIRETTORE DI PALCOSCENICO MEMO AMBROSI - SEGRETARIO GASTONE PACINI - COSTRUZIONI GIOVANNI MOROZZI - REALIZZATORE DELLE LUCI UGO BERIOLI - VESTIARISTA CARMEN PERICOLO - SCENE REALIZZATE DA PETRASSI, VALENTINI, IGHINA. PARRA VI CINI - COSTUMI DI ANNA MARIA, CASA AIDA, SARTORIA VOLPE - PARRUC CHE MAGGI - CALZATURE POMPEI - ATTREZZERIA RANCATI - TAPPEZZERIE MARCELLI T E A T R O C A R I G N A N O I L GLORIOSO TE A TR O D I PROSA IT A L IA N O « Splendido e magnifico teatro : la regalità — poiché fu voluto da un principe : Luigi Amedeo di Carignano e realizzato dal primo architetto del re, il conte Bene detto Alfieri —- è rimasta davvero sovrana da tre secoli. Fu costruito esattamente nel 1752, ed ancora oggi si ha l ’impressione che le nobili memorie del suo passato si nascondano nel fondo dei palchi, levino il volo dagli ori delle decorazioni, si radunino a convegno nel boccascena. I vari restauri non sono mai riusciti a vio larne la fisionomia primitiva, documento di un gusto, di un’età, di un genio architettonico. « Per Torino, il Teatro Carignano, si può ben dire che dalla sua fondazione ha registrato la parte più cospicua e viva della nostra storia torinese del costume, della letteratura e non poca della vita politica. « La “ Compagnia Reale Sarda ” accentrò al Teatro Carignano di Torino gli interessi degli autori e degli artisti italiani per trent ’anni ; in questo teatro si avvicendarono gli italiani e gli stranieri, sul suo palcoscenico l ’Arte Drammatica ebbe sempre privilegio e onori. Anche oggi continua ad averli. « Torino ha perduto con la guerra tutti i suoi teatri, ma Iddio ha voluto che fosse risparmiato il “ Carignano ”, ed in questo segno divino noi sentiamo una conti nuità fatale, la scena di prosa non deve e non può morire. Il “ Carignano ” è lì, nel centro di Torino, invitante elegante intimo, con una sonorità che echeggia antiche sonorità auguste e nobili, di un luogo ove anche per divertimento si va composti e rispettosi. Grande e magnifico teatro, che ancor oggi prosegue così nobilmente la sua vita, così civilmente la sua opera ». DALLA MONOGRAFIA DEL TEATRO CARIGNANO ONORATO CASTELLINO — i i 'l"'"1 11 - # — S.A.D.A.C. - SPETTACOLI ARTISTICI ANNA MARIA DANIELE CHIARELLA LE COMMEDIE A U T O R I - T R A D U T T O R I - P R E S E N T A T O R I 'i E C I D N I letta Neri. Present. di Sergio Cenalino: Dopo Dio l’uomo. 195-196 - Capitano dopo Dio, dramma in tre atti di Jan de Hartog; vers. it. di Nico Gli abiti bianchi, commedia in un atto di Paul Green; vers. it. di S. Cenalino. Furia d'amore, radiodramma di Erik Muller; vers. it. di Alberto Perrini. 197 . . - Processo di famiglia, dramma in due tempi di Diego Fabbri. Present. di Giorgio Prosperi: Teatro di Diego Fabbri. Le domeniche di Angiola e Bortolo, radiodramma di Gino Pugnetti. 198 . . - Affari di stato, commedia in tre atti di Louis Verneuil; vers. it. di Ada Sal vatore. Present. di Lucio Ridenti: Verneuil ha scritto sessantaquattro commedie. 199 . . - Il sangue verde, dramma in tre atti di Silvio Giovaninetti. Present. di Silvio Giovaninetti: Al lettore. 200 . . - Elena o la gioia di vivere, commedia in tre atti di André Roussin e Madeleine Gray; vers. it. di B. L. Randone. 201 202 . . - Nora Seconda, commedia in tre atti di Cesare Giulio Viola. Present. di Cesare . . - Primavera di San Martino, commedia in tre atti di Noel Coward. Il Consulto, commedia in un atto di Carlo Marcello Rietmann. Giulio Viola: Nora una e due. Commissario di notturna, un atto di Ernesto Grassi. it. di Nicoletta Neri. 203-204 - Delitto e castigo, di Feodor Dostojewski, riduz. e adatt. scenico di Lucio Ridenti. Present. di Giorgio Albertazzi: Il tremendo compito di essere Raskolnikoff. Domenica d'un fidanzato, commedia televisiva di Ugo Buzzolan. Gli altri ci uccidono, commedia in tre atti di Carlo Maria Pensa. 205 . . - Il pellicano ribelle, due atti e un epilogo di Enrico Bassano. 206 . . - La dama di fiori, commedia in tre atti e otto quadri di Gabriel Arout; vers. 207 . . - Tredici a tavola, commedia in tre atti di Marc Gilbert Sauvajon. 208 . . - Teresa Angelica, favola in tre atti e due quadri di Valentino Bompiani. L'Inferno, un atto di Tullio Pinelli. Mattutino, un atto di Tullio Pinelli. La scuola del dolore, moralità in un atto di Felicién Marceau; vers. it. di Gian Renzo Morteo. 209 . . - Quando la luna è blu, commedia in tre atti e cinque quadri di Hugh F. Her bert; vers. it. di Laura Del Bono. 210 . . - Il ratto d'Europa, commedia in tre atti e sette quadri di Ladislao Fodor; vers. it. di Ada Salvatore. 211-212 - Amicizie pericolose, commedia in otto quadri di Paul Achard ispirata da Choderlos de Laclos; vers. it. di Renata Bertelé Pacces. Present. di Lorenzo Gigli. 213 . . - Teresina, commedia in due atti di Aldo Nicolaj. Don Giovanni innamorato, radiocommedia di Samy Fayad. La lezione, dramma comico di Eugène Jonesco; vers. it. e present. di Gian Renzo Morteo: Personaggi come fantocci. 214 . . - Le acque della luna, commedia in tre atti di Norman C. Hunter; vers. it. di Ada Salvatore. Present. di George Bullock: Norman C. Hunter la mosca bianca del teatro inglese. 215 . . - La fiaba di Namù, commedia in tre atti di Angelo Rognoni. Nuvola, radiodramma di Sergio Surchi. Il rapimento di Scapino, di Paul Claudel; vers. it. e present. di Gian Renzo 216 . . - La casa da te alla luna d'agosto, commedia in tre atti e dieci quadri di John 217 . . - Ovvero il Commendatore, due tempi di Mario Federici. Present. di Carlo La vita alla rovescia, commedia in un atto di Serge Delprat; vers. it. e 218-219 - Il piatto di legno, due parti e quattro quadri di Edmund Morris; vers. it. di Chi più sa manco sa, commedia inedita del Settecento, riesumata e presentata Al buio, radiodramma di Wolfgang Altendorf; vers. it. di Italo Alighiero Morteo: Una regìa di Paul Claudel. Patrick; vers. it. di Cesare Vico Lodovici. Lari: ...Ovvero il Commendatore, difficile da mettere in scena. present. di Gian Renzo Morteo: Compiangete questi personaggi. Gigi Lunari. da Bruno Brunelli. Chiusano. A U T O R I E SAGGI DI V A R IA LE TTE R A TU R A D R A M M A TIC A Pag. 55 31 8136 485291 93 ✓ Terron Antoine, dieci anni dalla morte - Ridenti Antonelli Luigi (Rievocazione del dram maturgo e poeta) - Fiocco............. A questo punto folgorato è il teatro... - Vecchi....................................... Attrici - Bernardelli.......................... Azione drammatica e narrazione sullo schermo televisivo - Vertone . . . . Benavente Jacinto - Bernardelli . . . . Bernstein - Simone.......................... Era un lottatore per il quale la bontà doveva sembrare una debolezza - Le- marchand................................ Bonelii ossia Wassilli CetofF Sternberg - Ridenti.................................... Brancati era anche uomo di teatro - Morteo Calabrese in commedia (II) - Bragaglia . Cavacchioli - Gigli............................. Che cosa sappiamo dell'antico teatro egi ziano - Morteo............................. Christie Agatha, la regina del delitto - Fini....................................... [ \ * Colette Comédie-Française è un regno (La) - Ce nalino .................................... Come le foglie a cinquanfaquattro anni dalla prima rappresentazione - Nardi D'Annunzio. Non amò che il suo teatro - Damerini.................................... D'Arborio.......................... De Curel - Stima senza amore - Terron ! Donnay (Maurice) al « Gatto Nero » - G ig li....................................... Donnay Maurice - Gli innamorati di « Amants » - Descaves................ Dramma allo specchio del sogno (II) - Pastore.................................... Esiste già il teleteatro? - Bertuetti . . . Jonesco Eugène - Morteo................ . . . .................... 207200213216195-196 213 203-204 195-196 214215 203-204 206 213 195-196 200211-212 211-212 218-219 203-204 203-204 203-204 203-204 211-212 198 216 FIGURE DI ATTORI - TECNICA DELLA RECITAZIONE - REGIA E SCENOGRAFIA Leonelli.......................................... Libri di Simoni sono ora di tutti (I) Possenti-Ridenti....................... Maugham W. Somerset - Maloney . . Metastasio (Ritorno di) - Damerini . . Niccodemi (Ricordo di Dario) - Vergani O'Neill Eugenio - Gigli................... Prandi (Addio a Francesco) - Ridenti . Prosa successo della Televisione (La) ................................ Pupi (I) - Bragaglia................... [ Romanzi e il Teatro (I) - Cabourg . . Scapino - Fini............................. Schiller (Libertà e bellezza nel teatro di - Oggero ................................. Segreto di Dostojewski (II) - Pastore . Sportivi teatrali e teatranti sportivi Bragaglia ............................. Storiografìa è entrata nel Teatro (La) Decrieux................................ Surrealismo teatrale - Bragaglia . . . Teatri italiani del Cinquecento - Nogara Teatro d'anima e critica d'anima - Pa- __ store....................................... Teatro della perplessità (II) - Grassi . . . Teatro e linguaggio televisivo - Pugliese Televisione, parola nuova o nuovo lin guaggio? - Brissoni . . . . . . . . Trasferimento televisivo dell'opera tea trale - Bertoli............................. TV non è cinema, ma teatro avvicinato all'occhio dello spettatore (La) - Per- r in i................................ Ultima vita degli attori (L') - Simoni ! ! Verneuil ha scritto sessantaquattro com medie - Ridenti.......................... Wilde (Per la prima volta gli inglesi ren dono omaggio pubblico alla memoria di Oscar).................................... 199 206 203-204 206 203-204 210195-196 195-196 200218-219 213197 211-212 202211-212 200 217 218-219 197202 203-204 203-204 199203-204 201 51 6037 53 105 30113 41 29 654327 97 95 38 8052 Fase. n. Pag. 197 44 272624408538 77534632 92 27 34 6926109 45 63 9 82 45 502 6 44 Addio a Elvira Borelli - Ridenti . . . . Addio a Guglielmo Barnabò - Ridenti . . Addio a Sandro Ruffìni - Ridenti . . . . Baghetti (Aristide) festeggia i suoi ottan- t'anni di vita e cinquantasei di teatro Benassi - Bassano............................. Borboni Paola - Recital - Brin............. De Sanctis - Ridenti.......................... Duse il 27 giugno ad Asolo (Per la) . . Duse sconosciuta (La) - Bruschini . . . Duse (Trentanni dalla morte della) - Ridenti.................................... Falconi fu la nostra giovinezza - Ridenti . Feuillère Edwige - La duchessa del tea tro francese ............................. 208207218-219 201215207199207211-212 209211-212 205 Pag. 5136 119 4852464947 73 37 2 59 Alba, il giorno e la notte (L') - Nicco ....................................... demi Aminta - Tasso................................ Anche le donne hanno perso la guerra - Maiaparte................................. Anfitrione - Plauto.......................... Anime offese - Bacchelli Anna Lucasta - Yordan................... Antigone - Sofocle.......................... Aucassin et Nicolette - Anonimo del XIII secolo...................................... Avaro (L') - Molière....................... Avaro fastoso (L') - Goldoni............. Avventure della villeggiatura (Le) - Goldoni Barabbas - De Ghelderode................ Baruffe chiozzotte (Le) - Goldoni . . . . Beffa del Decamerone (La) - Boccaccio . Brand - Ibsen................................. Britannicus (II) - Racine................... Bugiardo (II) - Goldoni....................... Caccia alle streghe (La) - Miller . . . . Cardinale Lambertini (II) - Testoni . 130 R IB A L T A Pag. 52 49 575410029 46 216209 211-212 209203-204 200206 217202209218-219 201215213211-212 211-212 211-212 211-212 200 53 41 43 9351 53 70 3430 595231 Gandusio, appunti per un libro che ha scritto....................................... Leigheb Claudio - Bruschini................ Lettera di Jouvet ad una sconosciuta che vorrebbe fare l'attrice - Jouvet . . . Marceau (Marcel) - Il Mimo è morto: viva il Mimo - Vecchi.......................... Primadonna e prima attrice - Ridenti ! Regìa teatrale e la sua funzione estetica (La) - Veinstein.......................... Ruggeri (Un anno senza)................... Sabbatini (Ernesto) figlio d'arte esempla re - Ridenti............................. Scenografìa in Germania (La) - Muller . Suggestione dell'attore e regìa agonistica ed isterica - Stoppa....................... IT A L IA N A Druten Casa della notte (La) - Maulnier . . . . C'era una volta una piccola strega - Van .................................... Cinna - Corneille............................. Cirano di Bergerac - Rostand............. Colombe - Anouilh.......................... Come le foglie - Giacosa................... Coniglio (II) - Novelli....................... Corte marziale per l'ammutinamento del Caine - Wouk............................. Dame aux camélias (La) - Dumas figlio . Dodicesima notte (La) - Shakespeare . . Donna del mare (La) - Ibsen............. Donna di garbo (La) - Goldoni............. Donne dell'uomo (Le) - Pistilli............. Elena o la gioia di vivere - Roussin . . Enrico IV - Pirandello....................... Faust - Goethe................................ Folle de Chaiilot (La) - Giraudoux . . . Giara (La) - Pirandello....................... Giocoliere della Vergine (II) - Duncan . Giovanna d'Arco - Péguy................... 195-196 216 211-212 207198 214208 215210 218-219 217 195-196 215195-196 200217206 215 205218-219 216 217 199195-196 199203-204 201198195-196 213 Pag. 7346 62 4943 353 445 Pag. 50 11530 11555 3247 56 60 955148 471234710731 6312243 Governante (La) - Brancati................ Imbecille (L7) - Pirandello................ Inchiesta su un adulterio - Lilli . . . . Kean - Dumas.................................... Leonora - Troiani............................. Luci dell7avvenire - Giannini............. Mandragola (La) - Machiavelli............. Mari, la femme et la mort (Le) - Roussin Mascherata (La) - Moravia................ Miracle de Théophile - Ruteboeuf . . . Moglie ideale (La) - Praga................ Moglie saggia (La) - Goldoni................ Monsignor Perrelli - Starace............. Morale della signora Dulska (La) - Za- polska....................................... N5 giapponesi................................ Non c7è regola, ahimè! - Saitta . . . . Nora seconda - Viola.......................... Ora della fantasia (L7) - Bonacci . . . Orfeo - Poliziano............................. Ovvero il Commendatore - Federici . . Palummella zompa e vola - Petito . . . Patente (La) - Pirandello................ Pellicano ribelle (II) - Bassano . . . . Pére humilié (Le) - Claudel................ 195-196 198203-204 218-219 203-204 216195-196 216203-204 217205217203-204 201211-212 200200200203-204 209198198197197 Amants magnifiques (Les) - Molière . Azouk - Rivemale....................... Carlos et Marguerite - Roger . . . Cécile ou l'école des pères - Anouilh . Cerisaie (La) - Cecov.................... Certo Giuda (Un) - Puget e Bost . . . . Cinna - Corneille............................. Comme les Dieux - Fabre Luce . . . . Cyclones (Les) - Roy.......................... Cyrano de Bergerac - Rostand............. Danseuse et le collégien (La) - Schnerb . Elettra, o la caduta delle maschere - Your cenar .......................................... Héros e le soldat (Le) - Shaw............. Homme qui était venu pour dîner (L7) . Hart e Kaufman.......................... Il est important d7être aimé - Wilde . . . 217199217218-219 215217206211-212 217215208199 218-219 218-219 215218-219 Pag. 11463108101109 5211951 9952 51 49101 37572930 29110 46 60 634546 564555107 60 54 42 8156 60 40 45 Pag. 108 108 59107 R IB A LT A FRANCESE Segue: RIBALTA ITALIANA Pag. 38107 Persiani (I) - Eschilo . . . Pick-Up-Girl - Shelley . . . Primo uomo (II) - O’ Neill . Processo di famiglia - Fabbri Prometeo incatenato - Eschilo Quattro rusteghi (I) - Goldoni............. Ratto d7Europa (II) - Fodor................ Reduce - Ruzante............................. Ritorno dalla villeggiatura (II) - Goldoni . Romeo e Giulietta - Shakespeare . . . Sacro esperimento (II) - Hochwaelder . . Saul - A lfie ri................................ Sei giorni (La) - D’Errico.................... Silvia - Rattigan............................. Smanie per la villeggiatura (Le) - Goldoni Sorellina di Don Pilone (La) - G. Gigli . Tartufo - Molière............................. Teresa Angelica r Bompiani................ Teresina - Nicolaj............................. Torquato Tasso - Goethe................... Trilogia della villeggiatura (La) - Goldoni Vedova (La) - Cini .......................... Venexiana (La) - Ignoto cinquecentista . Voulez vous ¡ouer avec moà? - Achard . . 202203-204 218-219 195-196 203-204 206213 209203-204 218-219 209210-219 208197 217218-219 198 206 206 209218-219 214 207 205 203-204 Irene innocente - Betti....................... Living room - G. Greene................... Macbeth - Shakespeare....................... Machine à coudre (La) - Accursi e Ferry Machine infernale (La) - Cocteau . . . . Mon ami Guillaume - Arout............. Monde des accusés (Le) - Aymé . . . . Namouna - De Musset....................... Opéra de quat7sous (L7) - Gay............. Pavés du ciel (Les) - Husson............. Peur (La) - Soria............................. Prince de Hombourg (Le) - Kleist . . . Quatre vérités (Les) - Aymé................ Responsabilité limitée - Hossein . . . . Ritratto di famiglia - Gilson e Frank . . Rose des vents (La) - Spaak................ Vérité est morte (La) - Roblès............. 218-219 217211-212 217215218-219 199217205 199206211-212 199217218-219 199199 98 123 110465345no935299 33 45 50 931056445485093434052 10655825559107 46554344 43 82 4656108 4645 Pag. R IB A LT A A M E R IC A N A Alcade de Zalamea (El) - Zalamea . . . American Gothic - Blackburn............. Caine Mutiny Court Martial (The) - Wouk Cyrano de Bergerac - Rostand............. Don Juan Tenorio - Zorilla................ End as a Man - Willingham................ Frogs of the Spring (The) - Benchley . . Gently Does It - J. Green................... Girl Can Tell (A) - Herbert................ Girl on the Via Flaminia (The) ? Hayes . His and Hers - F. e M. Kanin............. Immoralista (L7) - Gide....................... Impiegato di fiducia (L7) - Eliot . . . . . . . . In the Summer House - Bowles I Wish You Were Here - Korber . . . . Kind Sir - Krasna............................. Alain ed Elisa - Kaiser....................... Allodola (L7) - Anouilh....................... Angelo giunge a Babilonia (Un) - Diiren- m a tt....................................... Aquila a due teste (L7) - Cocteau . . . . Ballata nel Texas - Kolander............. Barca di Gawdos - Meier................... Bar del porto - Hausmann................... Baruffe chiozzotte (Le) - Goldoni . . . . Battaglia invernale (La) - Becher . . . . Bisbetica domata (La) - Shakespeare . . . Pag. 198 Ladies of the Corridor (The) - Porker e 56 198 55 D’Usseau..................................... 198 201 Late Love - Casey.............................. 198 30 198 56 Ondine - Giraudoux...............................201 198 56 Riccardo III - Shakespeare................. 198 198 Sabrina Fair - Taylor........................... 198 53 198 51 Sherlock Holmes - Rathbone................. 198 198 54 . 198 Solid Gold Cadillac (The) - Teichmann . 198 54 Tea and Sympathy - R. Anderson . . . 198 201 30 Teahouse of the August Moon (The) - Pa- 201 trick........................................... 198 28 201 Trip to Bountiful (The) - Foote . . . . 26 198 201 30 Winner (The) - Rice...............................201 198 56 Wise Have Not Spoken (The) - Carrol . . 201 198 50 Zia di Carlo (La) - Thomas................. 198 198 55 R IB A L T A Pag. 5440 T E D E S C A Carriera del dottor Ritter (La) - Homberg 216 Casa di bambola - Ibsen........................197 Casa padronale - Wolfe...........................197 Caso clinico (Un) - Buzzati................ 210 Chiamiamo il n. 228 - Weissenborn . . . 210 Ciascuno per la sua strada - Jomeyer . . 200 Ciliegie per Roma - Homberg.................205 Cittadini di Calais - Kaiser.................... 216 Città proibita (La) - Frank.................... 202 Colloquio notturno con un uomo disprez zato - Diirenmatt...........................205 216200 200205202218-219 208202202216 395833106423334 53 Pag. 51 50 29 56 55 54 55 52 51 55 27 27 56 Pag. 5458 5759 59 4056 54 34 57 216205218-219 197208 R IB A L T A Segue: RIBALTA TEDESCA Colpa di essere uomini (La) - Altendorf Contadino milionario (Un) - Raimund Come vi piace - Shakespeare . . . Corte marziale per l'ammutinamento de! Caine - Wouk................... Crucible (The) - Miller . . . . Delitto all'isola delle capre - Betti Diable et le bon Dieu (Le) - Sartre Diavolo (II) - Neumann............. Diciassette e due - Hinrichs . . . Disprezzatore dei poveri (II) - Meister Di tanto in tanto - Stockmann . . . Dodicesima notte (La) - Shakespeare Donna di mia conoscenza (Una) - Koll Duello sulla Havel - Von Unruh En attendant Godot - Beckett . Enrico IV - Shakespeare . . . Esfìnge fuoriosa (La) - Schroder-Aramendia Essi non sanno quel che si fanno - Brand Età dell'oro (L') - Petersen................ filtro amoroso - Wedekind................ Gige e il suo anello - Hebbel............. Guai a chi mente - Grillparzer............. Ifigenia - Goethe............................. Immagine dell'uomo - Lothar............. Incorruttibile (L') - Hofmannsthal . . . Innocenzo e Francesco - Schneider . . . Kyritz-Pyritz - Biihne....................... Leocadia - Anouilh.......................... Leonce e Lena - Büchner................... All for Mary - Brooke e Barnnerman Aratro e le stelle (L') - O’ Casey . . Bell, Book and Candle - Van Druten Bisbetica domata (La) - Shakespeare Dark Is Light Enough (The) - Fry . Dry Rot - Chapman................... Facts of Life (The) - Dongall . . Giardino dei ciliegi (II) - Cecov . . Hedda Gabler - Ibsen................ Hippo Dancing - Morley . . . . ! Impresario di Smirne (L') - Goldoni It Never Rains - Reid................ It's Never Too Late - Douglas . . . Keep in a Cool Place - Templeton . Macbeth - Shakespeare ................ La medaglia nel cassetto................... Generoso l'Idi col denaro altrui . Lettera a Vittorio Gassman................ Il solito cronista scettico blu . . . Agricoltura, pastorizia e trasporti . . Su note diverse una musica sola . . . La morale della favola................... Sull'altro piatto della bilancia . . . . Il compito in classe del Professore Ermini Il metodo pulp de! teatro italiano . . . 205218-219 210 218-219 205210197205200205200216216208208216205210205208208216205216218-219 214210216213 210214 210 210 214 205 210 205 210 214 213 216 195-196 197198199200 201 202203-204 205206 Pag. 5810660 10658585856 40 58 4053544243535859 58 43 4355 58 551055457 10558 43 425856 42574057584150 5851 56 40 30 56 Pag. Pag- 25 5 3 7 3 3 5 7 5 3 Pag. Lisistrata - Aristofane....................... Luce dalla Savoia - Winkler................ Macbeth - Shakespeare....................... Miracolo - Manzari.......................... Misura per misura - Shakespeare . . . Mano rossa (La) - Kommerell............. Molto chiasso per Jolanda - Hinrichs . . Moon for thè Misbegotten (A) - O’ Neill . Notte sul quattro (La) - Bratt............. Nozze di sangue - Lorca................... Nuova danza macabra di Lubecca - Henny Opera da tre soldi (L') - Brecht . . . . Parassita (II) - Picard....................... Paura di me - Bompiani................ ! Piccolo affare di stato (Un) - K. Wedekind Porto del crepuscolo - Noack............. Pour Lucrèce - Giraudoux................ Propria opinione (La) - Rothe............. Rappresentazione di Munster (La) - Klein Regno delle risate (II) - Forster . . . . Sacro esperimento - Hockwàlder . . . . Sangue verde - Giovaninetti................ Sogni - Eich.................................... Stregone confusionario (Lo) - Nestroy . . Turisti (I) - Andres.......................... Tutto è bene quei che finisce bene - Shakespeare............................. Venexiana (La) - Ignoto cinquecentista . Ventaglio delle vedove (II) - Schede . . Vita è un sogno (La) - Calderon . . . . Yerma - Lorca................................ ING LESE Machtmaker (The) - Wilder . . . . Magic - Chesterton................... Meet a Body - Launder e Gilliat . . Murder Story - Kennedy............. No neus from father - Huizinga . . Pet Shop (The) - Chetham-Strode . . Prigioniero (II) - Boland............. Relations Are Best Apart - Lewis . Respectable Prostitute (The) - Sartre Sabrina Fair - Taylor................ Salomé - Wilde.......................... Sei personaggi in cerca d'autore-Pirandello Specchio che brucia (Lo) - Morgan . Waiting For Gillian - Urillar . . . Wooden dish (The) - E. Morris . . . Zia di Carlo (La) - Thomas . . . . T A C C U IN O II rosso e il nero del teatro............. Venticinque anni d'amore................ Gli abiti di Ruggero Ruggeri............. II mestiere dell'attore....................... Le paghe degli attori davanti alla legge . La porta chiusa............................. L'eredità....................................... La pelle dell'orso............................. Una lezione sbagliata....................... II teatro di prosa è troppo povero . . . . Gli attori sono diventati servi............. B IB L ! OTEC A Cinquant'anni di cinema italiano . . . . Cinquantanni di teatro................... Città di scrittori - Malfatti e Petrini . . Come si scrive per la televisione - Perrini Commedia: Storia dei generi letterari ita liani (La) - Sanesi....................... Così per ridere - Melnati................... Dame aux camèlias et les Dumas (La) - Saunders .................................... Dialoghi del Ruzante (I)................... Don Giovanni o il convitato di pietra - Molière.................................... Grandi scrittori stranieri (I) - N. 167 e 169 della Collana.......................... Ho venduto il frac - Olivieri............. Idea of a theater (The) - Fergusson . Ifigenia in Tauride (L'j - Goethe . . . . -JJ2 ,n search of theatre - Bentley............. 201206208203-204 207217 209 201 208 208199210 217218-219 605053115 58 60 5660 52 5259 6160 123 Maggio (II) - Pea............................. Mercante di Venezia (II) - Tutto è bene quel che finisce bene - Shakespeare . Opere - Flaubert............................. Origini della poesia drammatica italiana - De Bartholomaeis....................... Parnassiani e simbolisti francesi . . . . Pictorial history of thè American Theatre (A) - Daniel Blum....................... Riflessioni sul teatro - Barrault . . . . Spartaco vuoi essere libero? - Seborga . Teatro - Gii Vicente.......................... Teatro - Il volume - Brecht................ Teatro in America dai 1900 al 1950- Gagey Tragedie (Le) - Sofocle................... Umanità e favola nell'arte di Shakespeare - Ada Sabbadini.......................... Vocazione teatrale del Settecento italiano World Theatre in Pictures................ Pag. 60 59 57 40 40 585958 5753 57391045940 435455 435610510656 4057 57 40 43 43 57 29516664 55 41 496768 66 68 68 49 5765 48 331311333325 Pag- Pag. Pag. 36 5260 6557 59585359 61 5959 1159860 205210197197216197200218-219 210200208216216208197218-219 197200197205200208208197 210210197200200 218-219 205 213 205211-212 211-212 216214 205 211-: 211-: 211-:211-:2ii-: 201 210211-212 212212212212212 207208209210211-212 213214215216 217218-219 208201 198 200 214207208 216 210 217199 203-204 195-196 201 VARIE D’ IT A L IA E FUOR Anno alle spalle (L') - Vecchi............. Attori « involontari » (Gli) - Caudana . . Avremo un repertorio ufficiale nato da una specie di esame di stato? - Dursi Cinque del teatro (I) - Vecchi............. Comédie Française a Mosca (La) - Le Due Deposito 3013 G.B.S............................ E il teatro ha paura? - Caimi............. Festival di Avignone - Morteo............. Festival di Bologna - Pandolfi............. Festival di Edimburgo - Lunari . . . . Festival International d'Art Dramatique de la Ville de Paris.................... Festival Internazionale di Venezia - Da merini ....................................... Festival Shakespeariano a Stratford-on- Avon - Enriquez.......................... Fondazione Giorgio Cini a Venezia (La) - Damerini................... ... In Germania il teatro stabile è regola - Altavilla.................................... Inseguiamo il teatro (« I Gobbi ») - Vecchi Italia prima fra le nazioni al Festival di Parigi (L ')................................. Lascito Piccolomini (II)....................... Lettera a un capocomico che vuole andare nel Sudamerica - Loverso............. Non si tratta di un momento difficile . . Old Vie è un prodigio (L') - Ottone . . . Ostentazioni di cultura provinciale - Da merini ....................................... Parigi: teatro in bottiglia - Volta . . . . 195-196 205 215198205195-196 203-204 211-212 203-204 213 208 211-212 213 210 218-219 215 211-212 211-212 201218-219 208 215202 Pag- 8822 50 59 41 97 90 7910727 40 51 40 47 10354 114121 572739 3034 Piccolo Teatro di Milano a Buenos Aires (II) - Foà.................................... Premi Napoli - Grassi....................... Premio Napoli le Nove Muse............. Premio nazionale radiodrammatico 1952-53 - Perrini.................................... Premio Riccione............................. Prix Italia (II) - Perrini.................... Punto (II) - Trevisani....................... Secondo concorso per radiodrammi - Per rini ....................................... ... Situazione attuale del teatro di prosa - Busoni....................................... Solo i veneti per recitare Goldoni - Pan- ....................................... dolfì Sono stato da Eduardo - Ridenti . . . . Stato nei confronti del teatro in tutto il mondo (Lo)................................ Teatro ad Haiti - Nicolaj................... Teatro ha ancora un sorriso (II) - Ridenti Teatro in Danimarca - Haarlov............. Teatro in Grecia - Bianchin................ Teatro moda e pubblicità................... Teatro nel Messico - Nicolaj................ Teatro nel Salvador - Nicolaj............. Teatro per taciturni - Buzzi................ Teatro TV in Europa (II) - Perrini . . . Teatro viaggia sotto un lungo tunnel (II) - Possenti.................................... Televisione nel mondo (La)................ Voce delia paura (La) - Cenalino . . . . Zurigo - Fini................................. '. 210201203-204 197211-212 215208 211-212 211-212 197202 211-212 206203-204 205213215200211-212 202203-204 218-219 203-204 200195-196 Pag. 5350 103 591106128 83 116 51 43 12051106453150491123688 26852595 A T T O R I NELLE C O M M ED IE CHE H A N N O (Riproduzione fotografica o disegno) IN TE R P R E TA TO Adani Laura Albani Elsa . Albertazzi Giorgio Albertini Edda Aiegiani Anna Maria Alien Adrianne . . Almirante Luigi . . Alzelmo Armando . Andò Flavio . . . . Angeleri Lia . . . Aumont Jean Pierre Baghetti Aristide . . Bagni Margherita Bagno Carlo . . . . Barnabò Guglielmo . Bartolucci Gastone Barzizza Isa . . . Baseggio Cesco Baseggio Luisa Bassano Serena Beisani Giulia . La dodicesima notte La sei giorni . . . La folle de Chaillot Delitto e castigo Come le foglie . Romeo e Giulietta I capricci di Ma rianna . . II bosco di Lob Cirano di Bergerac Ma non è una cosa seria . . . Il ventaglio . Febbre . . . I più begli occhi del mondo . . The pet shop . La famiglia dell’an tiquario La dodicesima notte Come le foglie II cardinale Lamber Les pavés du ciel Il matrimonio Il ratto d’Europa I più begli occhi del mondo . . . . II matrimonio . . . Candida............. Le pére humilié . . L’osteria della posta La dodicesima notte I fratelli Castiglioni Le baruffe chioz- zotte............. Le baruffe chioz- zotte............. Nora seconda . . . L’altro figlio . . . Ovvero il Commen datore . . . . La beffa del Deca- merone . . . . 214218-219 197 201 202203-204 203-204 203-204 203-204 195-196 195-196 195-196 203-204 203-204 203-204 203-204 214 198218-219 217 200199 201203-204 210207 203-204 203-204 203-204 198203-204 218-219 203-204 211-212 211-212 202203-204 217 211-212 Pag- 3987 48 32 37 73 73 7376109110 111 737373 7640 588835 24434876636 76767657738373 50 50774 6 70 Benassi Memo . Benvenuti Vittorina Bert Leon . . . . Besozzi Nino . . Bettarini Cesare . Bianchi . . . . Bianchini Alfredo Blacha Blancha . Bloom Claire . . Bogaert Lucienne Borboni Paola Borelli Alda Boreili Lyda Bovy Berthe Braccini Lola . Brazzi Rossano Bretty Beatrice Brignone Lilla . Brignone Mercedes Britton Tony . Buazzelli Tino Buratti Carlo . . I fratelli Karamazov Processo di famiglia leggiatura La dodicesima notte Come le foglie . I fratelli Castiglioni I fratelli Castiglioni La moglie saggia La trilogia della vii La sfinge furiosa La dame de trèfle Come prima meglio di prima . . . Vestire gli ignudi . La morale della si gnora Dulska . Inezie I masnadieri . . . L’allodola . . . . Processo di famiglia » » Anche le donne hanno perso la guerra . . . . Come le foglie . . L’importanza di chiamarsi Erne sto ............. Troilo e Cressida . Cirano di Bergerac II cardinale Lamber tini ............. Il cardinale Lamber tini ............. 209215195-196 197197 208 208218-219 217203-204 216203-204 218-219 218-219 205205206 207 207207 213198 198 200203-204 211-212 203-204 205195-196 197198 211-212 217213 216213 195-196 200 200 Pag- 3652113783334 8735 73 40 73 90 925653 646 4646 394847 45 76114 92 39108748 593539 4540m 24 25 T Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Caldani Giuseppe Calindri Ernesto . . Calov Cay............. Carère Christine . . Carli Laura . . . . Carlini Paolo . . . Carraro Tino . . . Casadesus Gisèle . . Casarès Maria . . . Cavalieri Gino . - . Cervi Gino . . . . . . Chantel Vivien Chaplin Charlie . . Charon Jacques . . Chaye ................ Cialente Renato . . Ciapini Gastone . . Cilenti................ Cimara Luigi . . . Clariond Aimé . . . Conte Luisa . . . . Cook Diana . . . . Cortese Leonardo Corti Enrica . . . . Costa Romolo . . . D'Angelo Carlo . . De Carmine . . . . De Daninos Ruggero De Filippo Eduardo . De Filippo Titina . . Degara Filippo . . De Giorgi Elsa . . . De Lullo Giorgio . . . . . Il ventaglio Teresa Angelica . . . . » » Affari di stato . Tredici a tavola . . Ma non è una cosa seria............. Addio giovinezza . Il ratto d'Europa . E' mezzanotte, dot tor Schweitzer . L'importanza di chiamarsi Erne ............. sto La sfinge furiosa . Amicizie pericolose Cirano di Bergerac Giulio Cesare . . . La giara............. La folle de Chaillot La trilogia della vil leggiatura . . Le jeu de l'amour et du hasard . . Macbeth............. ............. » Paese................ Cirano di Bergerac » Il cardinale Lamber tini ............. Auprès de ma blon de ............. Le jeu de l’amour et du hasard . . Barabbas . . . . Delitto e castigo . » Romeo e Giulietta . Quando la luna è blu L'alba, il giorno e la notte . . . Britannicus . . . Palommella zompa e vola . . . . Sei personaggi in cerca d'autore . I più begli occhi del mondo . . n bacio davanti al lo specchio . . Aminta............. Torquato Tasso . . Teresa Angelica La dodicesima notte La dodicesima notte II paese delle va . . . . Schiccheri è grande Il matrimonio . . . Teresa Angelica Il ratto d'Europa . Palommella zompa e vola............. Monsignor Perrelli . » » Monsignor Perrelli . » » Le pére humilié . . La moglie saggia . La vena d’oro . . La folle de Chaillot T> canze » 215203-204 208208213215197198 198 198 203-204 208210 213 216205211-212 211-212 198195-196 195-196 199 201 218-219 200211-212 211-212 215207195-196 195-196 195-196 200 206 200 200 200211-212 209201203-204 197197203-204 216 216 209 216200 199 211-212 203-204 203-204 209209 215208218-219 218-219 203-204 203-204 203-204 208210 199203-204 203-204 203-204 203-204 198218-219 203-204 201201 Pag- 5873563955056 58 73326 39 92 4556612581101124232 4579805833109110 111 4559 36 36 145960 743940 6 24 424545 3946 76 764748 5858888887374 766 6 411011021011025790733132 De Lullo Giorgio . De Muro Salvatore De Sanctis Alfredo Descaut France . Deschamps Jean . De Toma Vincenzo Di Lorenzo Tina . Dolfìn Marina . Ducaux Annie . Duse Eleonora . Domenica d'un fi . . . danzato colonnello Il Bri- deau Desiderio sotto gli olmi . . . . Le rose des vents Cinna............. La dodicesima notte Come le foglie . . La folle dé Chaillot Escande Maurice . Evans Edith . . . Falconi Armando Fanfani Ottavio . Fantoni Sergio Fâunenbëck . . . Ferrari Mario . . Ferrati Sarah . Ferro Lida . Feuillère Edwige Fine Harry . Foà Arnoldo Fonda Henry . . . Fortunato Valentina Franchini Teresa Galavotto Gianni Galli Dina . . . Gallo Igino . . . Gandusio Antonio . Garrani Ivo . . Gassman Vittorio . La vérité est morte Le jeu de l'amour et du hasard . Le acque délia luna Romanticismo . . La sei giorni . . . L'imbecille . . . . La folle de Chaillot Cirano di Bergerac Il cardinale Lam bertini . . . . Il sangue verde . . Giulio Cesare . . . La folle de Chaillot Corte marziale per l'ammutinamen to dei Caine . . La folle de Chaillot notte Come un ladro di . . . . Le père humilié . . Nora seconda . . . L'altro figlio . Ovvero il Commen datore . . . La moglie saggia La dame aux carnè lias . . . . Il piatto di legno Giulio Cesare . . Il matrimonio Candida . . . . The Caine mutiny court martial Il fuoco sulla terra La famiglia dell’an tiquario Saul . . . . La trilogia della vii leggiatura Così è se vi pare Il pellicano ribelle L'importanza di chiamarsi Erne sto . . . Come le foglie . . Corte marziale per l’ammutinamen to del Caine . . Il sangue verde . . Kean................ 203-204 199199199 199 199199211-212 218-219 198213217201205198207208 209 209211-212 200214209213213213197199201195-196 200199 195-196 195-196 200195-196 195-196 201 215198201201207217 198201202206203-204 195-196 217 218-219 205 205218-219 195-196 203-204 203-204 201 197 198208208 218-219 203-204 205198 216195-196 195-196 203-204 215215218-219 Pag. 52424950 49 5044798844635323944 47 31 35 42 7345 44 4553656 6484131109110 111 249511231 5748313233 5 107574774174 6 90 55 56301127676 30 48 583334 9173845 457374 73 5758 109 Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag. Gatti Lillà . . . . Gazzolo Nando . . Geniat Marcelle . . Genovese Rino . . . Genta Gabriella . . Giorda Marcello . . GiufFrè Aldo . . . Gordon Ruth . . . Gramática Emma Gramática Irma . . Grassilli Raul . . . Graziosi Gina . . . Guarnieri Anna Maria Guérin François . . Guerrinl Ottorino Guidi Guido . . . . Guinnes Alec . . . Harnacher Eugen . . Hepburn Audrey . . Herlie Eileen . . . Herodier Julia . . Hinz Werner . . . Isnenghi Gualtiero . Jahen Emanuel . . Jamois Marguerite . JefFord Barbara Jourdan Louis . Jouvet Louis . . Lawson Wilfrid Lazzarini Giulia Lecourtois Daniel . . Leigheb Claudio . . Levene Sam . . . . Lione Alberto . . . Livesey Roger . . Lori Renzo . . . . Lupo Alberto . . . Macario Erminio . Maestri Anna . . Magni Eva . . . Mahon (Mac) Aline . Mammi Fulvia . . . Marais Jean . . .- . Marceau Marcel . . Marchand Jean . . Marchesini Celeste . Marchiò Fanny . . . Marini Virginia . . Martelli Arnaldo . . Masiero Lauretta . . Il cardinale Lam bertini . . . . La vena d’oro . . . La dodicesima notte La vita alla rovescia Monsignor Perrelli . La famiglia dell’an . . . La trilogia della vil . . Crimine perfetto Il pellicano ribelle . tiquario leggiatura » canze Il fuoco sulla terra Il colonnello Bri- deau . . . . Quando la luna è blu » » La danseuse et le collégien . . . Il ventaglio . . . La beffa del Deca- merone . . . . La moglie saggia . Il burattinaio . . . Ondine............. Compras de Navi- dad............. Il sangue verde . . Il ratto d’Europa . Compras de Navi- dad............. Un nommé Judas . Amicizie pericolose » La bisbetica domata The immoralist . . Don Juan . . . . Il piatto di legno . Il paese delle va . . . . Schiccheri è grande U bosco di Lob . . Amicizie pericolose Marito di Babette . Le baruffe chioz- zotte . . . . Keep in a cool place Teresa Angelica . . Cirano di Bergerac Il cardinale Lam bertini . . . . Corte marziale per l’ammutinamen to del Caine . . Il ventaglio . . . Il ratto d’Europa . Crimine perfetto Il pellicano ribelle . » L’impiegato di fidu ............. Elena o la gioia di . . La trilogia della vil . . Britannicus . . Bip dans le mètro Bip fait du sport . La verité est morte Il matrimonio . . Così è se vi pare . » cia vivere . . leggiatura . x> ■» Le baruffe chioz- zotte . . . . L’importanza di chiamarsi Erne- 200203-204 218-219 217203-204 198 218-219 197 205 213198 198198 197 199 209209 199203-204 211-212 218-219 205205 201 213 211-212 195-196 210 211-212 206211-212 211-212 213201200218-219 203-204 203-204 203-204 211-212 211-212 216216213 211-212 214 208195-196 200 215207203-204 210197205205 201 197 218-219 200207207199203-204 203-204 198 197 197 211-212 58 24 73 88 38102 9248728435843 48 4856 44 73 709054562928 113956 1134251240294829 7374 76512464628 50406 no 57457364878 92454950 44 76 73 445960 25 Mastrantoni Augusto Matteuzzi Andrea Mauri Glauco . . Maurisse Paul . Mauro Luciano Mayne Ferdy . Melato Maria . Meyer Jean . . Michael Ralph . Miller Joan . . Miomi Fabrizio Miserocchi Anna Mitchell Keith . Mondaini Sandra Monfort Silvia . Montemurri Davide Montesi Rossana . Moor Carlo . . . Moradei Alina . . Mordeglìa Mari Misa Morris Mary . . . . Nardi Vanna . . . Nergal Jean . . . . . . Nerval Natalie Ninchi Ave . . . . Ninchi Carlo . . . Noël Bernard . . Nolan Lloyd . . O’ Brien David . Page Geraldine . Pagliarini Giuseppe Pagnani Andreina » » » Le pére humilié . Nora seconda . . . » L’altro figlio . . . Ovvero il Commen datore . . . . La folle de Chaillot L’allodola . . . . Processo di famiglia La dodicesima notte Un nommé Judas . La moglie saggia . All for Mary . . . Sei personaggi in cerca d’autore Il piatto di legno Come le foglie . Come le foglie . Troilo e Cressida La bisbetica domata Sera d’inverno Cinna . . . . Saul . . . . La beffa del Deca . . merone I masnadieri . . Nora seconda . . La moglie saggia Sei personaggi in cerca d’autore . Nora seconda . . . . . . . Barabbas Amicizie pericolose Le baruffe chioz- zotte . . . . Elena o la gioia di vivere . . . . La rose des vents . The Caine mutiny court martial . Sogno di una notte di mezza estate The immoralist . . Cirano di Bergerac II cardinale Lamber tini ............. Elena o la gioia di vivere . . . . Pandolfì Elio . . Pandolfini Piero . Paolieri Germana Patzer Franz . . Paul Betty . . . Pavlova Tatiana . Pélayo Sylvie . . Pepe Nico . . . . Perdrière Pertile Giuseppe . Pezzullo Margherita Piamonti Giorgio . Pianforini Massimo Pica Pina . . . Pierantoni Aldo Pierfederici Antonio Pilotto Camillo . . Pola Isa............. Porelli Giuseppe . . La carrozza del SS Sacramento . Sera d’inverno . Addio giovinezza Il ratto d’Europa L’amica delle mogli Così è se vi pare Il burattinaio . . All for Mary . . Delitto e castigo La danseuse et le collégien . . Lettere d’amore . La carrozza del SS Sacramento . Le jeu de l’amour et du hasard Così è se vi pare Monsignor Perrelli n matrimonio . . Il cardinale Lamber tini . . . . Monsignor Perrelli Il ratto d’Europa L’importanza di chiamarsi Erne sto ............. Febbre ............. La carrozza del SS. Sacramento . . 108202206203-204 217201195-196 197197218-219 206218-219 214 '198 205 211-212 218-219 217203-204 213213203-204 211-212 208208 211-212 203-204 202218-219 197 211-212 202211-212 211-212 211-212 197199 201 213 201195-196 200 197197198199 208210215 198198 205214209 201 203-204 203-204 199203-204 203-204 200203-204 203-204 203-204 200203-204 210 216203-204 197199 203-204 57741 74 631108788842 90 40 4839 69 30 35 7340 40 76 793334 70 9279060 697596 5044 30 4029m 25 4950 48 42 747632658575756403636 4473 74 45 7310276 251026 4573 59 48 74 Seme: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Prandi Thea . . Presle Micheline Proçlemer Anna . Quayle Anthony . Rama Lucio . . . Ramazzini Anty Randone Salvo Reece Brian . . Reiter Virginia Ricci Renzo . . Rimoldi Adriano Rissone Checco Ristori Adelaide Rivière Madeleine Rizzi Gualtiero Rizzoli Laura . Robin Dany . . Robinson Madeleine Rocca Laura . . Rogers Paul Sabbatini Ernesto Sabbatini Gino . . Salerno Enrico Maria Salvatori Alfredo Sammarco Gina . Sanipoli Vittorio . Santuccio Gianni Sassoli Dina . . Savelli Loredana . Seripa Renata . . Shelton Joy . . Shepley Michael Siletti Mario Sivieri Paola Solari Laura Spada Fausta Spada Marika Spega . . . . Spinola Matteo Stebbings Alan Palommella zompa e vola . . . . Les pavés du elei . Aminta............. Torquato Tasso . . Sogno di una notte di mezza estate Le pére humilié . . Ovvero il Commen datore . . . . La moglie saggia . Il cardinale Lamber tini ............. Brand ................ Come le foglie . . Incontro con un ca davere . . . . Crimine perfetto . Il pellicano ribelle Buon viaggio, Paolo La patente . . . . Barabbas . . . . Meridiano spagnolo Processo di famiglia » La dodicesima notte The girl on thè via Flaminia . . . La dame de trèfle . » La beffa del Deca- merone . . . . Macbeth............. » » » La vita dell’uomo . La maschera e il volto............. Ma non è una cosa seria............. Processo di famiglia S aul................ Quando la luna è blu » » Il cardinale Lamber tini ............. La folle de Chaillot Corte marziale per l’ammutinamen del Caine . . Come le foglie . Il cardinale Lamber tini . . . . Processo di famiglia L’altro figlio . . Ovvero il Commen datore . . . Incontro con un ca davere . . All for Mary . . La beffa del Deca merone . . Il matrimonio . . Meridiano spagnolo Lettere d’amore . Il bacio davanti al lo specchio . Meridiano spagnolo La beffa del Deca- merone . . . I capricci di Marian na ................ II matrimonio . . . La beffa del Deca- merone . . . Sei personaggi in cerca d’autore . 199199 209 209 213198 217218-219 200 201 217 211-212 198197 205205203-204 199198211-212 203-204 197197218-219 201206 206 211-212 213209215215215 215197 203-204 197208209209 200 201 215217 200197203-204 217 211-212 214 211-212 203-204 203-204 203-204 203-204 203-204 211-212 203-204 203-204 211-212 211-212 Pag- 41434748 4057 90 24 3535 69 48 4378 74 41 4359 7678 88 3056 70 283656 6 660 7333456 25 32 5735 24874 69 40 70 76 76 73 7676 70 7376 70 69 Talli Virgilio . . Tanner Gordon . Tate Reginald . . Tedeschi Gianrico Tessero Adelaide . Thorndike Sybil . Tieri Aroldo . . Tilvern Alan . Toccafondi Bianca Todd Anna . . . Tofano Sergio . . Tommei Fausto . Torrieri Diana . . Tucher Cecile . Valente Edda . Valeri Valeria . Valle Romolo Valli Tullio . Vanne Marda Vazzoler Elsa Verdiani Guido Vergani Vera . Vilar Jean . . Vitold Michel . Volo Andrea Volonghi Lina . Volpi Franco . . Wake Costance . Woodbridge George Zanchl Celeste . . Zanoli Maria . . Zareschi Elena . . Zoppelli Lia » Come le foglie . . Il piatto di legno . Sei personaggi in cerca d’autore . Aminta............. Torquato Tasso . . La dodicesima notte Le acque della luna n piatto di legno Domenica di un fi danzato Macbeth . . . La trilogia della vii leggiatura La moglie saggia Delitto e castigo Il ventaglio . . . Il burattinaio . . Ovvero il Commen datore . . . Affari di stato . » Tredici a tavola . Addio giovinezza Giulio Cesare . . L’imbecille . . . La giara . . . . La folle de Chaillot Il ratto d’Europa Sei personaggi in cerca d’autore Torquato Tasso . Le baruffe chioz zotte . . . Buon viaggio, Paolo Il ratto d’Europa Macbeth Cinna ............. La dame de trèfle La vita alla rovescia Girano di Bergerac La famiglia dell’an tiquario La baruffe chiozzot te . . . . Come le foglie Affari di stato Addio giovinezza Il ratto d’Europa L’importanza di chiamarsi Erne . . . . sto The pet shop . . Il piatto di legno La folle de Chaillot Il sangue verde Brand . . . Inezie . . . . E’ mezzanotte, dot tor Schweitzer Affari di stato . Tredici a tavola . Addio giovinezza Il ratto d’Europa L’importanza di chiamarsi Erne sto ............. 217218-219 211-212 209209218-219 198214215218-219 203-204 213 218 219 218-219 201 202203-204 205 217197198198 208195-196 199 199 201210 198 211-212 211-212 209 211-212 203-204 210216211-212 211-212 211-212 206 206 217195-196 217213215197198 198 208 210 216214218-219 201215 201203-204 213213197198 198 198 203 210 Pag- 35 30 5228 6948 694748 88475630 9290363773 56 6505 58 321124142316 5074 6407980 805638no 503539 5505632 6 45403032583576 39395056 58 326 58 216 199205205210210 45 Pag. 445475253 Achard Paul Anouilh Jean . Antoine André 211-212 205199199 136 A U T O R I Pag. (Riproduzione fotografica o disegno) 6535556 Antonelli Luigi Arout Gabriel . Atkinson Brooks 206206206201 3132 529 Aymé Marcel . . Bassano Enrico . Benavente Jacinto SCENE (Riproduzione fotografica o disegno) Pag. Bernstein Henri . . Bertheau............. Bompiani Valentino . Bonacci Anna . . . Bonelli Luigi . . . Bourdan ............. Bourdet Edouard . . Buzzolan Ugo . . . Cavacchioli Enrico . Chamarat............. Christie Agatha . . Claude! Paul . . . Cocteau Jean . . . Colette . . . . . . D'Arborio Silvano . Delprat Serge . . . Eliot Thomas Stearns Eschilo................ Fabbri Diego . . . Favre Emile . . . . 195-196 195-196 200197208205200200200200203-204 197197200202200200211-212 197217201202197199 Acque della luna (Le) Addio giovinezza . . Affari di stato . . . All for Mary . . Allodola (LJ) . . Altro figlio (LO . Amicizie pericolose Aminta............. Anche le donne han no perso la guer Auprès de ma blonde Bacio davanti allo specchio (II) . Barabbas . . . . Baruffe chiozzotte (Le) . . . . Beffa de! Decarnero ne (La) . . . Bisbetica domata (La Bosco di Lob (II) . Bourgeois gentilhorn me (Le) . . . Brand ............. Britannicus . . . Buon viaggio, Paol Burattinaio (II) Caccia alle stregh (La) . . . . Caine mutiny cour martial (The) Candida . . . Capricci di Mariann ( I) ............. Cardinale Lambert ni (II) . . . . Carrozza del SS. Sa cramento (La) Casa da te alla lun d'agosto (La) Cinna............. Cirano di Bergerac Colonnello Brideau (M)................ Come le foglie . . . Compras de Navidad Così è se vi pare . . 214208197198 198 214195-196 203-204 211-212 211-212 211-212 211-212 209 211-212 206 203-204 211-212 211-212 211-212 211-212 213203-204 200201200203-204 205 211-212 201215203-204 203-204 200200 203-204 216 216211-212 195-196 195-196 195-196 199203-204 217217211-212 203-204 Pag. 919245 595535152474652535445 314648 11343 38 30 38744 5325056 401087456 11 12 47 5942 7659 4950 704076 4635467456 59 3057 76 73 2425 74 56 79109110 m 49733536 11373 Fayad Samy . . . Federici Mario . Giacosa Giuseppe Gide André . . . Giovaninetti Silvio Hunter Norman C. Husson Albert . . Jaujard . . . . Lari Carlo . . . Laurent Jeanne Leonelli Nardo Lopez Sabatino Maugham William So merset . . . Mauriac François Niccodemi Dario Obey André . . O' Neill Eugene Pandolfì Vito . Pirandello Luigi Pag. 8663645 95543 47 577414744 40 262748 4046858647 54 211-212 217217200195-196 214199200 198 202 206 200 197 216 200200200216200195-196 195-196 209205 Crimine perfetto . . Dame de trèfle (La) Danseuse et le collé gien (La) . . . Delitto e castigo . . Dodicesima notte (La) Domenica d'un fidan zato ............. Elena o la gioia di vivere............. E' mezzanotte, dottor . . Schweitzer Enrico IV............. Famiglia dell'anti quario (La) . . Febbre ................ Folle de Chaillot (La) Fratelli Castlglioni (I) Fuoco sulla terra (II) Giara (La) . . . Girl on thè via Fla milia (The) . Giulio Cesare . . Gran teatro del mon do (I!) . . • Imbecille (L') . . Smmoralist (The) . Importanza di chia marsi Ernesto (L.') Incontro con un ca . . . davere Inezie............. Jeu de l'amour et du hasard . . !

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Tipologia

Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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