32° ANNO - N. 239-240 - AGOSTO-SETTEMBRE 1956 sP«i. in LIRE 500 I L D R A M M A i n t u i t o ( J P w w n d f l Tra i successi più lusinghieri di questi ultimi anni nel campo della profumeria internazionale è il Tabacco d’Harar Gi.Vi. Piume. Venduto nelle capitali più famose del mondo, apprezzato dai conoscitori, il Tabacco d’Harar, per la con fezione originale e la tonalità amara e persi stente del suo profumo, è usato e richiesto dalle persone eleganti e raffinate dei più importanti Paesi. Tabacco d’Harar è il profumo italiano venduto all’estero più ancora che in Italia. PROFUMO E COLONIA BRILLANTINA CREMA PER BARBA TALCO SAPONE T A B A C C O I P I I A R A R & - i t f u i o j w x o i b T e w - w t w f c E S T E M I M O P E R O L I S C A M B I T E A T R A L I V IA M O LIS E 11 - ROMA in lingua francese dal IH L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, con sede centrale in Roma - Via Molise, 11 - ha iniziato nel febbraio 1952 la pubblicazione di un pro prio Bollettino titolo “ Echanges internationaux dans le domaine du théâtre ” , allo scopo di favorire la conoscenza all’estero della produzione teatrale italiana. Dal gennaio 1953 il Bollettino stesso, per rispon dere alle esigenze della sua crescente diffusione, è stato redatto anche in lingua inglese. A partire dal quarto numero dell’anno 1953 è pubblicato in unico fascicolo bilingue, francese ed inglese, dal titolo “ Italian Theatre lleview - Revue du Théâtre Italien” . Sono stati sinora pubblicati i testi de “ Il cal zolaio di Messina ” di Alessandro De Stefani, “ La sei giorni ” di Ezio D’Errico, “ Lo scandalo Fregonard ” di Umberto Morucchio, “ L’Ippo campo ” di Sergio Pugliese, “ Rii ultimi cinque minuti ” di Aldo De Benedetti, “ Nora seconda ” di Cesare Giulio Viola, “ Ovvero il commenda tore ” di Mario Federici, “ La scala ” di Rosso di San Secondo, “ Isa, dove vai? “ ovvero ” L’in crinatura ” di Cesare Vico Lodovici, “ Il Prin cipe Air ” di Giuseppe Luongo, “ Gian Carlo, il ragazzo maturo ” di Luigi Bonelli, “ Puccettino e l’orco ” e “ Gavino Baracca e la zucca ” di Mario Pompei (questi ultimi quattro compresi in un fascicolo speciale di Natale dedicato al Teatro per ragazzi), “ La fiaba di Namii ” di Angelo Rognoni, “ Nostra Dea ” di Massimo Bontem- pelli e “ I cugini stranieri ” di Turi Vasile. Ogni fascicolo comprende, oltre al testo di una commedia, sintesi e fotografie delle opere pre sentate in Italia nel corso della stagione, ed un vasto notiziario teatrale. L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, dont le siège centrai se trouve à Rome - Via Molise 11 - a commencé dans le mois de février 1952 la publication d’un Bulletin en langue française intitulé: “ Echanges internationaux dans le do maine du théâtre ” , afin de favoriser la con naissance à l’étranger de la production théâtrale italienne. A partir du mois de janvier 1953, le Bulletin, pour répondre aux exigences de sa croissante diffusion, a été publié également on langue an glaise. A partir du quatrième numéro de l’an née 1953, il a été édité en unique brochure bi lingue anglaise et française intitulée: “ Italian Theatre Rcvicw - Revue du Théâtre Italien ” . Jusqu’à ce jour, cette Revue a publié les textes complets des pièces suivantes: “ Le savetier de Messine ” d’Alessandro De Stefani, “ Les six jours ” d’Ezio D’Errico, “ Le scandale Frego nard ” d’Umberto Morucchio, “ L’Hippocampe ” de Sergio Pugliese, “ Les dernières cinq minu tes ” d’Aldo De Benedetti, “ La seconde Nora ” de Cesare Giulio Viola, “ Le patron ” de Mario Federici, “ L’escalier ” de Piermaria Rosso di San Secondo, fêlure ” de Cesare Vico Lodovici, “ Le Prince Air ” do Giuseppe Luongo, “ Gian Carlo, l’enfant déjà mur ” de Luigi Bo nelli, “ Pnccettino et l’ogre ” et “ Gavino Ba racca et la courge ” de Mario Pompei (ces der niers publiés dans le numéro special de Noël consacré au théâtre pour les enfants), “ La féerie de Namù ” d’Angelo Rognoni, “ Notre deesse ” de Massimo Bontempelli et “ Les cou sins étrangers ” de Turi Vasile. Chaque numéro comprend, outre le texte com plet d’une pièce italienne, des synthèses et des photographies de pièces représentées en Italie au cours de la saison théâtrale et des nouvelles théâtrales détaillées. “ La R A I - R A D I O T E L E V I S I O N E I T A L I A N A < / r PAOLA BORBONI WANDA CAPODAGLIO LAURA CARLI ELENA DA VENEZIA TERESA FRANCHINI LEA PADOVANI LUIGI ALMIRANTE LUIGI CIMARA CARLO D’ANGELO ARNOLDO FOÀ VITTORIO GASSMAN ALBERTO LIONELLO SALVO RANDONE RENZO RICCI AROLDO TIERI SERGIO TOFANO '¿etereo L a f u g g i t i v a di UGO BETTI B r a n d di ENRICO IBSEN S t e f a n o di JACQUES DEVAL P e e r O y n f di ENRICO IBSEN C r i s t o f o r o C o l o m b o di ALBERTO SAVINIO C e s a r e e C l e o p a t r a di G. B. SHAJF di G. B. SHAW ANNO 32 - NUOVA SERIE N. 239-240 I L D R A M M A MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI AGOSTO-SETTEMBRE 1956 DIREZIONE-AMMINISTRAZIONE-PUBBLI CITA* : ILTE (Industria Libraria Tipo grafica Editrice) Torino, corro Bramante, 20 - Telefono 693-351 - Un faacicolo coita L. 300 - Abbonamenti: annuo L. 3200; semestre L. 1700; trimeitre L. 850 - Conto corrente postale 2/56 - Estero : annuo L. 3700; scindine L. 2000; trimestre L. 1000 ? a /r- > r ' r/r r/rrr.ì yi'r/. i e/r f ' fr- Taccuino; «INCOMINCIA UNA NUOVA STAGIONE» * VENERDÌ SANTO, commedia in tre atti di CESARE GIULIO VIOLA * ANCORA ADDIO, commedia in un atto di VITTORIO CALVINO * SULLE STRADE DI NOTTE, commedia in tre atti di RENATO LELLI + Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubblicazione): CESARE GIULIO VIOLA, IITO PANDOLFI, LUCIO RIDENTI, ARTURO LAZZARI, GINO DAMERINI, ERNESTO GRASSI, CARLO ili. RIETMANN, GIUSEPPE LUONGO, VIT TORIO VECCHI, ELIGIO POSSENTI, GIGI LUNARI, ANTONIO BATTISTELLA, BASIL MALONEY * Copertina: ANNA SALVATORE (riproduzione di un dipinto a olio espressamente eseguito ed ispirato alla protagonista della commedia « Venerdì Santo y>) * Disegno di Lepri * Fotografie di Houston Toger, A. Di Crollalanza jr., Pubblifoto, Bosio, Invernizzi, Archivio Fotografico ILTE. INCOMINCIA UNA NUOVA STAGIONE Prima di ogni altra considerazione, il nostro augurio di bene e di fortuna a tutti coloro che — formando la parte attiva del teatro di prosa — concorrono a dargli una dignità sempre maggiore, un interesse continuamente rinnovantesi, un successo ancora più vivo. Solo un livello supcriore di qualità potrà far sorgere una maggiore attrattiva, dal momento che andiamo constatando come tutte lo forme di spettacolo siano ben accette dal pubblico, ma c ancora il teatro a godere la predilezione di una certa parte di spettatori. I valori dello spirito, anche se latenti o addirittura inconsapevoli nei meno preparati, portano istintiva mente verso orizzonti sconosciuti o quasi, incontro a nuove passioni, ad intimi sentimenti che sbocciano nel cuore dello creature umane. Prima lo spirito, poi i muscoli: è una legge che può anche altalenare in epoche diverse e circostanze particolari, ma poi fatalmente avviene il superamento. Questo diciamo al lettore che leggendo a pagina 68, forse non crederà ai suoi occhi, ma le cifro lo convinceranno: il Teatro, nel 1954-55, secondo la statistica ora pubblicata, ha superato di un miliardo l’incasso dello sport. Prendiamolo come augurio; conveniamo che — alla superficie — la constatazione ci lusinga, ma infine non illudiamoci troppo. Il nostro caro amico Giulio Trevisani, con affettuoso spirito di difesa, intitola una sua nota “ Il nostro teatro non vuole morire ” ed è evidente lo sforzo di dimostrare come ad onta di tutte lo avversità, il teatro resiste. E resiste — dico Tre visani — perchè la provincia viva e vitale lo desidera e lo aspetta, i Gad progrediscono continuamente e lo dimostrano nel loro annuale festival di Pesaro, i libri di teatro sono sempre in aumento, i concorsi teatrali fanno da balia con sempre maggiore larghezza, fino alla proposta di creare una apposita Compagnia che rappresenti le opere dei vincitori dei vari concorsi. E questo a noi sembra un errore, tal quale abbiamo denunciato delle Com pagnie che sorgono e vivono per rappresentare esclusivamente commedie di autori italiani. Sorgono, abbiamo detto, per fare un affare e vivono del denaro pubblico. Non è una con solazione, e nel taccuino del fascicolo scorso lo abbiamo ampiamente dimostrato, con l’esempio della Compagnia che nel bilancio dell’attività della Stagione (pagg. 69-80 di questo fascicolo) porta il n. 20. La “ Compagnia dei Concorsi ” si adagerebbe sulle medesime strutturo c non arrecherebbe beneficio alla divulgazione delle opere, perchè ad essa man cherebbe la spontaneità, che vai quanto dire quella sincerità che il pubblico capta come se gli spettatori fossero tutti rabdomanti, quando si tratta di rappresentazioni preordinate e non sorte da evidente valore artistico. Una commedia letta ed anche premiata, non è ancora un’opera veramente vittoriosa, poiché essa è stata creata per la ribalta ed alla ribalta soltanto vivrà la sua vera vita, se la possiede; oppure morirà per difetto, qualunque esso sia. Questo vuole dire che quell’opera non era teatro, anche avendo cento e mille qualità positive, ma che non avevano nulla a che fare con la legge del teatro. Una com media letta e anche premiata devo piacere all’interprete che portandola sulla scena a suo rischio, se ne rende materialmente garante. Se invece tutte le opere premiate vanno auto maticamente a “ quella” Compagnia, che passivamente le accetta, od a quegli attori che devono subirle per contratto, non si vede quale profitto possa trarre il teatro da una simile iniziativa. La proposta di promuovere la formazione di una “ Compagnia dei Concorsi ” , scrive Trevisani, parte dallo scenografo Paolo Bignami e, dice ancora Trevisani, “ pare abbia incontrato favore presso l’Idi ” . Ci sembra naturale che l’Idi non scarti mai e soprat tutto a priori, alcuna possibilità anche se anormale, per far rappresentare opere italiane, visto che tale compito ha assunto quale impegno di vita, ma — ripetiamo — si continua ad equivocare sulla formazione di un repertorio italiano dovuto ad autori nuovi, cioè a giovani non ancora rappresentati o alle primissime armi. E questo perchè l’autore già noto o comunque affermato, se vince il concorso (vedi Cesare Giulio Yiola al Premio Napoli 1955, la cui opera pubblichiamo in questo fascicolo c che sarà rappresentata nella imminente Stagione dalla Compagnia Morelli-Stoppa) e passa di diritto alla “ Compagnia dei Concorsi ” non rende ciò che dovrebbe a quella Compagnia e toglie una probabile buona ottima o bella commedia ad una Compagnia che chiameremo regolare, perchè indipendente, che ne ha “ bisogno come il pane” , per usare la frase fatta che ricorre sui palcoscenici. Si leggano a pagina 80 di questo fascicolo le norme che regolano i contributi dei Piccoli Teatri; il secondo comma specifica che “ si effettuino nel corso della Stagione almeno il 51 % di recito italiane, con particolare riguardo alla produzione contemporanea ” . Pnr con questa precisazione, crediamo proprio che i programmi dei Piccoli Teatri, che in questo momento devono essere pronti, andranno come nella passata Stagione, per quanto riguarda il repertorio italiano, da Goldoni, a Pirandello, a Giacosa, a Praga, a Bertolazzi ecc. Può darsi che ci sia anche Chiarelli, ma le due commedie nuove contemporaneo le aspettano dall’Idi che ne è il crogiuolo; poi le leggeranno, poi non le troveranno adatte agli attori che hanno scritturato e soprattutto agli scopi altamente culturali cui i “ Piccoli ” si ispi rano; infine, quando la solita acqua sarà alla consueta gora, una commedia pur che sia “ andrà su ” per rispettare il regolamento che salva la prebenda. Crediamo invece che ogni Piccolo Teatro, prima di fare il programma — che tanto Goldoni e Pirandello e Giacosa stanno li sul piedistallo e non si muovono — dovrebbero avere senza alcuna eccezione le due commedie nuove italiane contemporanee. Il che vuole dire averle cercate, aver tentato tutto, anche l’impossibile, ed esserci riusciti. E quindi poter dire la parola nuova e farsi merito di una attualità di intenzioni, scegliendo con una buona garanzia, accaparrandosi cioè quelle opere premiate clic debbono essere più di una se lo scenografo Bignami pensa e propone di creare una apposita “ Compagnia dei Concorsi ” . Siamo d’accordo che tale nuova formazione non ha ragione di essere? * IL RAPPORTO ATTU A LE TR A AUTO RE ED ATTORE * /y //r i y/ y/ y/' yy yy yy//y-y y y'/yy Jd>Z y yy-yy ?yy/y/yìyJyyyY'y'yyy « / y‘yy & ? y/y • yyyyy/y-» La gente im agina che, quando si abbia un qualche credito presso il pub blico, basti aver scritto una commedia, perché g li a tto ri picchino alla vostra porta, e facciano a gara per portarcela via. Per conto m io debbo confessare che d i regola i m iei tre atti, prim a di affacciarsi alla ribalta, dorm ono sapo ritam ente tre quattro anni nel rifu g io del m io scrittoio. E non credo d’es sere l ’u ltim o venuto. I rifiu ti, i cortesi ed affettuosi rifiu ti, che ho subito nella m ia carriera — ahimè, non breve — di autore dram m atico, non si contano. M a tant’è, orm ai ci sono abituato. Eppure un tem po, fra autori ed attori, c’era una m aggiore com prensione: il tem po di R uggeri, di Em m a Gramatica, ecc. Se una vostra commedia, nella interpretazione di questi due grandi attori, riusciva a cogliere un successo, la richiesta annuale di una nuova opera, non mancava mai. R icordo le letterine d i R uggeri, modeste, u m ili, graziose: « C ’è qualche cosa per me, nel vostro cassetto? ». U n rispetto affettuoso fra l ’attore e l ’autore, e quella reciproca fiducia, per la quale era una gran gioia lavorare. Si inviava il copione, o — ad Em m a Gram atica — lo si leggeva. E la com media, quando fosse accettata, partiva verso la rappresentazione. Coincideva qualche volta l ’indole dell’opera con le esigenze dell’attore: spesso l ’autore scriveva d i proposito i suoi tre atti perché il personaggio dom inante ade risce alla sim patia che l ’attore aveva per taluni tip i: si scriveva la commedia per R uggeri o per la Gramatica, come in a ltri tem pi si era scritta per Salvini, per Em anuel, per la Duse, per N o ve lli, per Zacconi: un guanto che cal zasse a pennello. N elle relazioni tra autore ed attore, quella è stata l’epoca d’oro. I l teatro era tutta una fam iglia. O g g i il teatro non è più tutta una fam iglia. I rap p o rti d i socialità sussistono ancora fra autore ed attore, al punto che se avvenga che s’in contrino cascano l ’uno nelle braccia dell’altro, ma questo è un fatto convenzionale, form alistico, non è un fatto umano e d’arte. N o n capita mai che l ’attore ti chiegga: — Che scrivi? — per il tim ore che a questa domanda tu possa rispondergli : — H o una commedia che andrebbe per te! — E se questo in contro si verifichi, l ’attore dice sempre: — Sai, non so se quest’anno reciterò! — Poi quell’anno recita, ma non ricorda la proposta che g li ha fatto l ’autore. Insom m a, se si debba contare sulla legge della domanda e dell’offerta, l’offerta c’è, la domanda non c’è. Q ual è l ’origine di questo sfasamento di collaborazione che si è andato determinando, specialmente nell’u ltim o dopoguerra, tra autore e attore? A n z itu tto la penuria delle Compagnie, sicché lo spazio è risicato; p o i l ’abo- lizione d i una continuità di form azioni che impedisce il consolidam ento di un repertorio e che orienta le imprese teatrali, per i sei mesi regolamen tari destinati alla recitazione, a creare uno spettacolo che possa far colpo sugli spettatori: fatto quello, siamo a posto: si gioca la carta grossa che sovente conduce al fallim ento. Collabora a tale in dirizzo l ’intervento dei registi, i quali giustamente, se sono in v ita ti a intervenire, volgono le lo ro attenzioni e pretese a realizzare opere che giustifichino la lo ro presenza. Si aggiunga una qualche tendenza esterofila da parte degli a tto ri e dei registi, e si capirà che il rapporto, tra autore italiano e attore, viene, per queste ragioni, fortem ente inficiato. A llo ra bisogna contare sul m iracolo di un in contro tanto valido, da far superare g li anzidetti ostacoli, per deter m inare un efficiente abbraccio tra creatore ed esecutore. M a può il teatro vivere di m iracoli? Può la religione vivere d i m iracoli? O non piuttosto deve consolidarsi in atti di fede? Ciò che manca ai nostri a tto ri è la fede nel teatro italiano. Tanto si dice, con estrema obiettività, senza sbandierare vessilli nazionalistici, ma stando alla verità dei fatti. Manca, sulle nostre ribalte, l ’Italia. Se debba affacciarsi si ricorre ai m o rti: G oldo ni, A lfie ri, Pirandello: il palcoscenico italiano è il regno dei m o rti. L o dice un autore che bene o male riesce a sfornare la sua annuale commedia. E con ciò? Io parlo di clima. È il clim a che io vo rre i m utato, per il rip ristin o di una collaborazione tra autori e a tto ri italiani. La riform a è nello spirito. O g g i ancora l ’Italia è una Colonia che serve al teatro straniero. E tale resterà se non si alim enti e si c o ltiv i la pianta dell’A u to re nazionale: pianta che è soffocata, poiché i giardinieri che dovrebbero accudirla se ne infischiano. E la pianta si inaridisce, uccisa da una terra dura e nemica. Queste parole sono scritte a prefazione di Venerdì Santo, opera che nella prossim a stagione dovrebbe essere presentata al pubblico da una delle nostre m aggiori form azioni teatrali. L ’attore che presiede alla Compagnia ed è uom o dotatissim o, fa ttivo , alacre, ha telefonato all’A u tore, ha p ro messo l ’inclusione della commedia nel cartellone, ha conferm ato fraterna mente la sua adesione. Insom m a tu tto farebbe prevedere un sicurissim o varo. M a io, m entre ringrazio l ’attore della sua premurosa assistenza, io v i dico la commedia non sarà rappresentata: dovrà riprendere il suo sonno nel m io cassetto, e attendere n u o vi am atori. Tanto avverrà, perché è una commedia italiana, chè se si trattasse di una commedia straniera ci si arrampicherebbe sugli specchi p u r d i realizzarla sulla scena. Basterà un piccolo intoppo, un granello di sabbia perché il congegno si arresti. Tranne che non avvenga il m iracolo. E d io m i auguro che il m iracolo avvenga: non tanto per me, cesare G iulio v io la ma per il teatro italiano che di m iracoli ha bisogno. v e n e r o COMMEDIA IN TRE ATTI DI » ^ s r o m ) ( s ? . a c y / ' / ' / / i ' U / QUESTA COMMEDIA HA VINTO IL PREMIO NAPOLI 1955 y'/r'/.ierie- GIROLIMA CALABRESE, 80 anni — COSIMO CALABRESE, 40 anni — ARDUINA, sua moglie, 36 anni — EFISIO, fratello di Cosimo, 45 anni — CLAUDIA, sorella di Arduina, 30 anni — Il Brigadiere DASPURO, 35 anni — DIONISIA, serva di casa Calabrese, 15 anni — LAURETTA, figlia di Cosimo, 12 anni. 0 Nella vecchia casa dei Calabrese, in un pic colo paese di Puglia, il giorno del Venerdì Santo. VENERDÌ’ SANTO A T T O P R IM O La scena: stanza umida e trasandata: il salotto di casa Calabrese. Una finestra di fondo: due forte, una a dritta e l’altra a manca. Alla finestra tende scolorite: divani logori, -poltrone con i piedi mal fermi. Un lampadario al centro del soffitto. Ogni cosa è segnata da una evidente decadenza. La stanza, tuttavia, è quella d’una casa che ebbe un tempo dignità e decoro. Ritratti di antenati alle pareti: i Calabrese nell’epoca d’oro. E quando si alza la tela, Dionisia lava il pavimento. E canticchia. Azione. Si affaccia alla porta di sinistra la vecchia Girolima. Girolima —• Che fai? Dionisia —• Lavo il pavimento... Girolima — E c’è bisogno di cantare? Non lo sai che, oggi, le campane della chiesa son legate? E come non cantano le campane non cantano gli uomini... Dionisia — Scusate, signora... Non canto più... GraoLiMA — Voi siete tutti della stessa razza... Miscredenti... Gente perduta... (Si ode un motivo infantile, sonato al pianoforte) E anche quella... Va’... Dille che la smetta... Dionisia (levandosi) ■—■ Ripassa la lezione... Girolima —• La ripasserà domani, eh e giorno di gloria... (Dionisia esce) Che educazione... E intanto il padre si infila il cappuccio e il camice e ieri ha licitato, alla confraternita del Carmine, la « troe- cola s> (1) per guidare oggi la processione... Il diavolo che guida la processione del Cristo morto... Arduina (entra e coglie il soliloquio di Girolima) —■ Che c’è, signora Girolima... Girolima — Io non so chi me l’ha fatta fare, a sposare il padre di tuo marito... E ad abbandonare quel mio paese lassù, dove ci stanno gli anarchici, sì, che odiano la Chiesa e i preti, ma sai che odiano e preti e Chiesa... Mentre qui vi battete il petto, e siete pagani... Ci son venuta, ci son restata, ci lascerò la pelle... Per fortuna non sono riuscita in tanti anni a perdere la mia parlata... Romagnola son rimasta, e romagnola morirò... Arduina — Ma perché dite questo? Girolima — Perché Dionisia canta e tua figlia suona, ed oggi è il Venerdì Santo... (Come a se stessa) L’ospedale... L’ospedale di Forlì... Se tuo suocero, mio marito, requiescat in pace, non avesse (1) Arnese di legno Iwngo e stretto con apertura ovale su periore per introdurre la mano. Sulle due facce di esso sono avvitate delle maniglie di metallo che battono su capocchie di grossi chiodi infissi corrispondenti. Chi porta la « troccola » Vagita per avvertimento tanto di passaggio alVincontro di altri due confratelli (perdane) come di risveglio dall’estasi della preghiera, quando i due confratelli (Confraternita dei Carmine o Confraternita dell’Addolorata) sono inginocchiati in chiesa in adorazione del Santo Sepolcro e ne sopraggiun gono altri due per il cambio. Di « troccole » ve ne sono anche piccole, ma di solito vengono usate quelle a tre o quattro maniglie per faccia. costruito l’ospedale di Forlì, io non l’avrei cono sciuto e non l’avrei sposato... E non sarei finita qui... « Andiamo laggiù, perché laggiù stanno le mie terre... ». Ed io condannata a stare, dove stanno le sue terre... E i miei figli condannati a star qui, perché ci stanno le terre... Che ne hanno ricavato? Tasse... E ora se la prenderanno i contadini, e tua figlia non avrà dote... Fai bene a farle studiare la musica: così è probabile che, a furia di battere i tasti, darà lezione di pianoforte qui, ai figli dei «massari»... Macché pianoforte... Dovrebbe impa rare a sonar la cornetta, così un posto nella banda del paese lo troverebbe... Arduina —• Voi vi lamentate sempre... Girolima — E che, vorresti lamentarti tu? Certo anche la tua, non è una,vita allegra... Mio figlio Cosimo non è un marito comodo... Ma sei nata qui, ti hanno educata alle « Marcelline » di Lecce, hai le abitudini di questo paese... Ottima famiglia, come la nostra del resto, con la corona della baronia in più... Ma qui siete tutti baroni, e se non lo siete, baroni vi credete... Hai, forse, da rimpiangere come me una città dove si vive civilmente? Se si pensi che qui non avete ancora la ferrovia, e che se volete partire dovete attendere sera e mattina i comodi della corriera... Arduina —• Avete ragione... Girolima — Per fortuna c’è una chiesa... E quando sei giunta in chiesa non c’è più, né questo paese, né Forlì, né la corriera, né il pianoforte: c’è la chiesa... E lì me ne vado, per dimenticare tutto e tutti... Ci rivedremo a colazione... Mi raccomando: magro... (Entra Efisio) Ah! Sei tu? Efisio —• Buon giorno, mamma... Girolima — Buon giorno... Finalmente ti si vede... Avevo detto al fattore che ci portassero per Pasqua tre capponi... Efisio —• Li ho portati io... Girolima -—- Bene! Quanti giorni resti? Efisio — Tre: le feste... Lunedì torno alla mas seria... Girolima — Ma che ci fai tu, alla masseria? Tosi le pecore? Almeno il marito di questa signora se la sciala... Gioca a carte, dalla mattina alla sera, al caffè della Piazza... Fa il «viveur»... Arduina — Signora... Girolima — Hai ragione... Tutte queste mie pa role sono peccati: peccati di insofferenza... E’ bene che me ne vada... Ché se resto qui, e seguito a parlare, mi piazzo dietro il confessionale e non la finisco più... (Esce lentamente. Pausa). Efisio (dopo che Girolima è uscita) — S’è alzata con un diavolo per capello, oggi... Arduina —■ No: è sempre la stessa... Tu stai lon tano,-beato te!... Certo non dovrei parlare così di tua madre... Ma ci sono momenti... CESARE GIULIO VIOLA Efisio — Io mi sono esiliato in campagna, per tante ragioni, ma anche perché non la tolleravo più... Arduina — Io invece debbo restar qui... Soffoco, caro Efisio... Ci seppellirà tutti... Efisio — E Cosimo? Arduina — Gioca a carte, pur di evitarla... Perché Cosimo, con quel suo carattere... E per scansare diverbi e maledizioni... Gioca a carte... Io e la bam bina dobbiamo sorbircela dalla mattina alla sera... Per fortuna passa le mezze giornate in chiesa. {Con altro tono) Hai un bel vestito, Efisio... Efisio — No... Lo comprai beffe fatto, qualche anno fa... Pochi soldi... Arduina — E dire che sei stato un uomo elegante... Efisio — Quand’ero studente... Quando eravamo tutti ragazzi, e d’estate si facevano in comitiva le scampagnate... Ricordi quella volta che ammazzam mo una vipera al bosco dei Rùssoli... Arduina — Già... Ceravamo tutti... Cerano le figlie del Ricevitore... E la povera Stellina che sposò Santeufemia e morì di parto... Efisio — C’era anche tua sorella Claudia... Arduina — Già... Efisio —■ Già... (Mutando discorso) Vado a pren dere la bambina e la conduco all’aperto... {Chia mando, mentre esce) Lauretta... {Esce. Sulla soglia della -porta si presenta Dionisia: quando vede gli uomini, è semprre un po’ elettrizzata). Dionisia —• Signora... Ce il brigadiere dei Cara binieri... Arduina — Chi? Dionisia — Quel bel giovine... Il brigadiere... Vuole parlare col signor padrone... Arduina — Gli hai detto che il padrone non c’è?... Dionisia —■ Sissignore... Arduina ■—■ Digli che può trovarlo alla Confra ternita del Carmine... Dionisia —- Sissignora... {Fa per uscire, quando sulla soglia è già apparso il brigadiere) Uh! Sta qua... Favorite, signor brigadiere... I l Brigadiere -— Mi scusi, signora... La ragazza aveva lasciato la porta aperta... Ho un po’ di fretta: debbo organizzare il servizio pubblico per la pro cessione... Dovevo comunicare una notizia a suo marito... Non so se mi sarà dato di vederlo in mattinata... Allora, quando rientra, le sarei grato se volesse dirgli, da parte mia, che riguardo a quella faccenda tutto è a posto... Non si preoccupi... Arduina {a Dionisia che sta incantata di fronte al brigadiere) —-Tu puoi andare... {Dionisia esce mal volentieri) Di che si tratta, signor brigadiere? I l Brigadiere — No... Un fatto di servizio pub blico... Lui è informato... Gliene parlerei, ma si tratta di cosa delicata... M i saluti don Cosimo... E buona Pasqua, signora... {Il brigadiere sta per uscire, quando Dionisia entra rapida). Dionisia — Il padrone è qui, signor brigadiere... I l Brigadiere — Bene, bene... Meglio così... (Entra Cosimo Calabrese. E’ un uomo sanguigno). Cosimo {alla moglie) — Buon giorno... Buon gior no, brigadiere... Accomodatevi... Non gli hai offerto neppure una tazza di caffè... Dionisia... Dionisia {accorrendo) —■ Pronta... Cosimo —• Due tazze di caffè... Dionisia —• Subito, don Cosimo... {Esce). I l Brigadiere — Veramente la signora non mi aveva offerto il caffè perché io non le ho dato il tempo... Le avevo chiesto di voi... Cosimo — Ed io sto qui... {Intenzionale) Si tratta?! I l Brigadiere —• Sissignore... Cosimo — Arduina, ti dispiace di lasciarci soli? Arduina —• Prego... I l Brigadiere — I miei ossequi, signora... {Arduina, dopo aver risposto con un cenno del capo al briga- diesce, esce. Pausa). Cosimo {a mezza voce) — Dunque? I l Brigadiere —■ Fatto: vi ho servito a puntino... Cosimo — Grazie, brigadiere... Perché voi capite... I l Brigadiere — L’onorabilità di una famiglia, e di una famiglia come la vostra... Ma che idea... Cosimo — E per fortuna, stamattina - io faccio la solita partita al caffè di Mazzacuto, è l’unico posto dove si può bruciare questo nostro tempo infame - te la veggo che entra, siede a un tavo lino, tutta impennacchiata, pittata sulla faccia... Il solito giro... Lo fanno tutte appena mettono piede in paese... E non l’ho riconosciuta... Soltanto quan do ha ordinato il caffè: la voce... M i ha fatto sba gliare uno spariglio... E ho perduto la partita... {Entra Dionisia con due tazze di caffè. Le offre ai due). Dionisia {a Cosimo) — A voi senza zucchero... I l Brigadiere — Perché? Cosimo — Diabete... Mentre voi, eh!... I l Brigadiere — Due cucchiaini... Dionisia {dopo aver versato lo zucchero) — Il si gnor brigadiere sta bene... Si vede... Cosimo {quasi scacciandola) — Va’ via... Dionisia — Sissignore: io non volevo offendervi... {Esce, sempre guardando il brigadiere). Cosimo {riprendendo il discorso) — Ma siamo certi che... I l Brigadiere —■ Le ho fatto il foglio di via... E stasera parte con la corriera... L’ho fatta chiamare: è venuta in caserma... Cosimo —■ Vi ha detto che io l’avevo affrontata? I l Brigadiere —- Mi ha detto : « Questi sono or dini che vengono da casa Calabrese... Dal mio di letto cognato e dalla mia amata sorella...». Cosimo —- Mia moglie è al buio di tutto... E non VENERDÌ’ SANTO deve sapere... Né lei, né mia madre, né mio fra tello... Questa è cosa che deve restar circoscritta fra noi due... Mi ha guastato il Venerdì Santo... Come sapete io ci tengo a guidare la processione del Cristo morto: ho speso ventiduemila lire per aggiudicarmi la « troccola » : il crepitacolo... Ed ora non so come farò a infilarmi il cappuccio e il ca mice... Insomma, finché non sarà partita... I l Brigadiere — Parte alle sei... Cosimo — E la processione esce alle cinque dalla chiesa... Bah! Purché ci si levi dai piedi... lo vi ringrazio, signor brigadiere. M i avete dato una prova d’amicizia... Cè, in più, che io non posso innervosirmi... Il diabete... I l Brigadiere — Ma vi curate? Cosimo —• E come... Insulina.... Perché a tutto posso rinunciare, tranne che a mangiare. E con l’insulina, si mangia... Ma è un grosso fastidio: sem pre a punzecchiarsi... I l Brigadiere — Non vi preoccupate... Un mio zio, col diabete, è morto a ottantasei anni... Allora: arrivederci, don Cosimo... {Si salutano: il brigadiere esce. Pausa. Cosimo è solo. Fa un gesto, come per raccogliere le idee). Cosimo — Dunque, dunque... Ah! Dionisia... Dionisia (accorrendo) — Comandi, padrone... Cosimo — Hai preparato il camice e il cappuccio? Dionisia — Sissignore... Li ho lavati... Cosimo — Li hai stirati? Dionisia — C’è tempo, padrone... Li stiro più tardi... Cosimo (innervosendosi) — Non c’è tempo da per dere... Questa è la casa del disordine. Invece di far l’occhietto al brigadiere... Me ne sono accorto, sai... potresti lavorare... Non fai niente dalla mat tina alla sera... Dionisia {ribellandosi) — Io? Io ho tutta la casa sulle spalle, signore... E lava, e stira, e cucina, ed apri la porta, e rammenda, e fa la spesa, tutto sulle mie povere spalle... Uffa, uffà, uffà!... Cosimo {gridando) — Vuoi smetterla, cialtrona?... {Affare sulla soglia dell’uscio Arduina). Arduina — Che c’è?... Dionisia — Ce che il padrone ha i nervi e se li sfoga con me... Cosimo — Va’ via, va’ via... Se non vuoi che ti agguanti per le trecce e ti sbatta al muro, come un cencio sudicio... Dionisia {rifarcmdo dietro le gonne di Arduina) — Signora... Cosimo —■ Va’, ti dico: civetta del diavolo... (Dio nisia scaffa comicamente e infila l’uscio) Ma ce l’hanno tutti con me, oggi: non mi lasciano in pace... Ed io che non dovrei innervosirmi... Qui vogliono che mi aumenti lo zucchero: una zucche riera vogliono che diventi... Del resto, io non so perché mi preoccupo: tanto, prima o dopo... Che ci sto a fare, io, qui... Alzarsi al mattino, passare le giornate fra quattro tangheri : estate e inverno, quat tro passi dalla casa al caffè: sempre lo stesso mar ciapiede: il giornale, la radio, tanto per sapere che si fa nel mondo... E quando l’hai saputo?... Piatti così di pasta asciutta: vino, un bicchiere, due bic chieri, quattro bicchieri... E ti alzi da tavola, sto nato... É dormi il pomeriggio: non sulla poltrona per schiacciare un sonnellino: ma ti infili nel letto, ti svesti, ti togli le scarpe... Come se fosse notte... Più tardi un cinematografo, se c’è... E torni a casa quando per le strade non incontri che quattro di sperati come te... « Buona notte, don Cosimino... Buona notte, buon sonno...». Passiamo la vita a dormire. Arduina -— E di chi è la colpa? Cosimo —- Tua... Quando dormo e quando mi sveglio... Perché ci sono i momenti in cui ti svegli... Come stamattina... Arduina — Che ti è capitato, Cosimo? Cosimo —■ Niente... La tua famiglia... Arduina —• Che c’entra la mia famiglia... Lasciala in pace, la mia famiglia... Oggi il Signore sta nel sepolcro: il Signore s’è fatto crocifiggere per i no stri peccati... Ma io ho capito che tu hai voglia di leticare, stamani... E mi cucio la bocca per non rispondere... (Si fa il segno della croce) E anche tu, cuciti la bocca, da buon cristiano, almeno per una giornata, ché devi condurre la processione,- ed è bene che sotto il camice e il cappuccio ci vada col cuore leggero... Cosimo — 1 u sei l'olio di ricino per i bambini, che ci mettono l’alchermes così non se ne accorgono... Gesù, il Santo Sepolcro, il camice e il cappuccio, la bocca che si cuce, e sotto sotto mi dici : « Non essere quel villano che sei sempre stato»... Arduina — Questo lo dici tu... Sei tu che ti qua lifichi... Cosimo —■ E invece dovresti inginocchiarti dinanzi a me... Perché io, il fannullone, - sì, sì, questo pen sate di me, tu, mia madre, tutto il paese - quando viene il momento, non perdo tempo... Una saetta divento... E quando dico «la tua famiglia», so che mi dico... Arduina —• Dici ciò che hai detto in quindici anni di matrimonio... Sempre: so a memoria le tue parole... Cosimo — No, no... Potrei aggiungere qualche nuova battuta... Ma lasciamo andare... Dionisia... Dionisia {accorrendo) — Pronto, signore... Cosimo — LIai stirato il camice e il cappuccio? Dionisia — Sissignore... Cosimo —- Bene... Giacché ti sei sbrigata, ti dò la libertà per domani al pomeriggio. Così potrai goderti la festa per la strada... CESARE GIULIO VIOLA Dionisia — Grazie, don Cosimo... Cosimo — Ma alle sette dovrai essere tornata... Dionisia — Sissignore... (Esce). Cosimo (ripigliando il discorso) — E specialmente l’onore... Se non ci fossi io.... Mia madre in chiesa, Efisio alla masseria, tu qui come una tartaruga.... Ma ci sono io, che vi difendo... Arduina — Non ti capisco... Cosimo — M i capisco io... Efisio non se visto?... Arduina —■ E’ già venuto.... E’ uscito con la bam bina... Cosimo (allarmato) -— Dove è andato? Arduina — Sarà andato al caffè... Lui le offre sempre il gelato... Cosimo (sempre più inquieto) — Al caffè? Ma che gli è saltato in testa? Arduina — Ci vanno sempre insieme... Ogni do menica... Cosimo —• Ma non è il caso... I gelati... La bam bina può agguantarsi un tifo... Scusa: vado a pe scarli... Se ne va al caffè... E offre i gelati... Che ne sa lui, come son fatti i gelati... (Mentre Cosi mo esce rapido e affannato si incontra con Giro- lima) Ah! Siete tornata... Girolima — C’è una folla in chiesa... Non respi ravo... Non è stato possibile... Gli anni!... Cosimo —■ Avete incontrato Efisio e la bambina? Girolima — No... O forse li ho incontrati e non li ho visti... Cosimo •—■ Scusate... Scappo... Girolima (interdetta) —■ Questa è una casa!... Tutti scappano... Vado di là e mi tolgo la pelliccia... Poi mi chiamate all’ora del pranzo... Arduina —■ Sì, signora Girolima... Girolima —-Tu non sai chiamarmi «mamma»... No... Ti capisco... Arduina —• M i sono abituata così, dai primi tempi... Girolima — Non ho sostituito tua madre... E’ logico.... (Esce lentamente). Arduina (pigra) —- Dionisia... Dionisia (accorrendo) —- Pronta, signora... Arduina —■ Che facevi? Dionisia — Ho messo a bollire il pesce... Arduina — Poi, prepara la tavola... C’è un posto in più: il signor Efisio... E portami la coperta di seta che s’è scucita, e oggi dobbiamo metterla al balcone... E porta l’ago e il filo, Dionisia — Subito, signora... (Esce. Torna subito, con la coperta di seta, il filo, gli occhiali) Vi ho portato pure gli occhiali... Arduina (stanca) -—• Grazie... Ho fatto un sogno stanotte... Sono tanto stanca... Non potevo riad dormentarmi... (Dionisia esce. Arduina sbadiglia. Poi, a passo lento, va verso una poltrona. Siede) Ah, un po’ di pace... (Arduina inizia il cucito. Poi la coperta le cade dalle ginocchia. Si appisola. Si riprende. Poi s’adagia col capo sulla spalliera della poltrona. E, stanca, si addormenta. Il silenzio è nella casa. Lunghissima pausa. Dionisia rientra con impeto, ma trova Arduina addormentata). Dionisia — Signo... (Ma si interrompe: poi si vol ge all’interno e sottovoce) Dorme... (Entra Claudia. E’ vestita con un abito vistoso : imbellettala, i ca pelli ossigenati e ondidati: una donna artefatta che stona con l’ambiente di casa Calabrese. Fa un cenno a Dionisia perché se ne vada via. Contempla la sorella. Sorride ironica. Si decide a parlare). Claudia — Disturbo? Arduina (destandosi di soprassalto) ■— Oh! Chi è... (Riconosce Claudia) Tu, Claudia... (Fa per av viarsi verso di lei, ma Claudia la trattiene con un gesto). Claudia — Un momento... Niente abbracci. Pri ma mi fate scacciare... Arduina — Chi? Che cosa... Perché stai in piedi, ferma, così... Claudia — Non sto affatto ferma, cara... Il mo tore gira forte... Permetti? (Indica una sedia). Arduina —• Figurati!... E come ti trovi qui?,. Claudia (ostile) — Ma che vogliamo recitare la commedia? Tu non sai perché io sto qui? E al lora domandalo a tuo marito... Non ti ha detto che ci siamo già incontrati? Arduina — No... Non so... (Smarrita) Ma che cosa accade... che accade oggi?... (Si porta, come disperata, le mani nei capelli). Claudia —• Calmati... Calmati... Le mani nei ca pelli, caso mai, dovrei metterle io... Ti meravigli, eh? Arduina —■ Di che? Claudia — Che io sto qui,. Arduina —- Mi meraviglio che tu non ci abbia avvisato.. Tanti anni che non ci si vede,. Claudia — Tu sempre qua.. E’ vero? Ed io per il mondo.. Tu, dunque, non sai che cosa è acca duto stamani., Arduina — Ti giuro., Claudia — Beh! Te lo dico io.. Mi hanno, dap prima, diffidata., Eppoi mi impacchettano, sulla corriera delle sei, col foglio di via,. Arduina —■ Ma perché.. Che vuol dire questo foglio di via., Claudia — Perché esercito il mestiere della me retrice., Arduina — Claudia., Claudia — Sì., Tuo marito mi ha pescata al caffè.. Gli ho detto che iersera ero scesa alla Casa di Maria Cassala., Dove vanno i soldati, gli ope rai, i contadini., E ora mi si impedisce di eserci tare il mio mestiere, perché in questo paese vivono i miei rispettabili parenti Calabrese., Cioè tu.. Poi ché l'unico legame coi Calabrese sei tu., E allora io sono venuta da te, per chiederti ragione., E per fare lo scandalo... Sì... Poiché io partirò alle sei, questa sera, con la corriera... Ma prima di par tire avrò sporcato tutto... Imbrattato di sterco le mura della vostra casa, di dentro, di fuori... Non potrete più uscire per le strade... Ecco: ora sai tutto... Arduina — Non so niente... Sei partita sposa, quindici anni fa, e mi torni... Ma tuo marito? Claudia —- Chi? Arduina — Tuo marito... Claudia — Orazio?... Ah! Ah! Ah!... M i avete costretta a sposarlo... Tu, tuo marito, quella male detta signora Girolima... Perché non vi faceva co modo ospitarmi, qui, con Efisio che aveva perduto la testa per me... Papà e mamma erano morti... E tu avresti dovuto difendermi... No... Il ragioniere Orazio Foresi, purché mi levassi dai piedi... E me ne andassi lontana... M i avreste accompagnata alla stazione con la banda, pur di vedermi partire... Arduina — Era un bravo giovane... Claudia —• Sì, sì, ma non mi piaceva: aveva le mani pelose come una scimmia... E gli ho fatto un fracco di corna... Finché mi ha cacciata di casa... Dopo la morte del bambino... La tua invece è viva... Arduina — Sì... Claudia — Non la voglio vedere... Non mi fate vedere la bambina... Arduina — Non te la faccio vedere... Claudia — Perché ti faccio schifo?... Perché non vuoi che le rimanga l’immagine di me, così come sono? Arduina — No, Claudia... Perché tu usi un lin guaggio che è bene non sia ascoltato da una bam bina... ingenua, ecco, ingenua... Claudia — E’ giusto... Vuol dire che la risolve remo fra noi, grandi... Dammi un cognac... Arduina — Non abbiamo cognac... Abbiamo qual che rosolio che facciamo noi con gli estratti... Claudia — Rosoli fatti in casa... Portami un bic chiere d’acqua... Arduina — Sì... (Esce. Claudia sola cava dalla borsetta uno specchietto, si tinge col lapis le lab bra: accende una sigaretta. Ride, come all’entrata in scena, il suo riso sarcastico. Arduina rientra con una brocca d’acqua e un bicchiere sopra un vassoio. In silenzio, senza ringraziare, Claudia beve l’acqua). Claudia — Acqua di cisterna... Arduina — Non abbiamo ancora l’acquedotto... Claudia — Se sapevo, t’avrei chiesto un bicchiere di vino... Arduina — A quest’ora? Claudia —• E che c’è un’ora per bere il vino?... Vino di Puglia: delle vostre proprietà... Le avete ancora le vostre proprietà? Arduina —• Sì... Claudia — E siete tutti vivi?... VENERDÌ’ SANTO Arduina — Sì... Claudia — Anche tua suocera? Ancora il diavolo non l’ha spazzata dalla terra? Arduina — E’ viva... Claudia — E tu, come stai? Arduina — Male... Claudia — Quasi mi fa piacere... Dunque: io vengo da Brindisi... Io non posso tornare a Brin disi... E voi volete farmi tornare a Brindisi, col foglio di via... Qui mi è impedito di esercitare il mio mestiere... Io mi stabilisco in casa vostra, e se mi arresteranno, mi arresteranno in casa vostra... Ma, prima che mi arrestino, mi ammazzo, in casa vostra... Ecco: questo è il programma. Tanto per intenderci... Arduina — Perché vuoi far questo? Claudia — Ho le mie ragioni... Arduina —- Puoi anche dirmele... Claudia — No! Sono fatti miei... (Pausa. Arduina si raccoglie, poi parla con voce pacata). Arduina — Senti, Claudia... Come già ti ho detto, io non ero al corrente di nulla. Né del tuo arrivo, né di tutto ciò che ha seguito il tuo arrivo... Sta mani è venuto il brigadiere e ha parlato con mio marito... Mi hanno pregata di allontanarmi da que sta stanza... Tutto avrei immaginato, tranne che si trattasse di te... E’ stato bene che tu mi abbia chiesto da bere... Nei pochi minuti che mi hanno allontanata da te, io, come faccio sempre, ho po tuto raccogliermi, e recuperare una relativa calma... Sai, a volte, basta una pausa... Sono esercitata a questo, perché non passa giorno che io non sia investita, o da mio marito, o da mia suocera, o dalle stesse cose della vita, e non debba armarmi a difesa... Sorprese... Sempre sorprese... E questo tuo arrivo è forse la più grossa sorpresa... Beh! Oggi è il Venerdì Santo... Claudia — Già... Arduina — E accogliamo questa sorpresa, in nome del Signore, che si è sacrificato per noi... M i ac corgo che tu non sei in grado di rispettare que sta giornata... Claudia —■ E la rispettate voi, nei miei riguardi? Arduina — E’ vero... Ma se non la rispettano gli altri, la rispetto io... Claudia (ironica) ■—• Fai la pinzòcchera? Arduina —• No... Io non mi batto il petto dinanzi agli altari... Ma, ogni sera, quando mi chiudo nella mia camera, prima di coricarmi accanto alla mia bambina, ché da anni io e mio marito dormiamo separati, prego per i vivi e per i morti: e ho tanto pregato per te... Da anni non sapevo più nulla di te, non ti sei fatta più viva, ma io ho sempre pensato a te... Claudia —- Grazie... Con pochissimo profitto da CESARE GIULIO VIOLA parte mia... Evidentemente le tue preghiere non giungevano al Signore... Arduina —- Per mia indegnità... Claudia — O per indegnità mia... Arduina —■ Perché rispondi così?... Claudia —• E come vuoi che ti risponda? Arduina — Io non conosco la tua storia.... Claudia — Eccola qui... (Si batte il volto imbel lettato, agita i capelli ossigenati, palpa il suo ve stito sgargiante) Più chiara di così... Senza inganni... Ci leggi tutto... Arduina —• Non so come ti sei ridotta in questo stato... Claudia — Questo lo so io... Un romanzo... Hai letto mai un romanzo? Arduina — Non leggo più... Ma forse il tuo è un romanzo in cui si può anche leggere qualche pagina lieta. Claudia — Mentre il tuo? Grigio... Arduina — Nero... Ma questo non importa... Claudia —■ Oh! Se importa... Come che sia an data, hai mangiato, hai bevuto, hai dormito sem pre in una stessa camera... E scommetto che ti lamenti... Se hai pregato anche per te, il Signore in qualche modo ti ha esaudita... Lascia che te lo dica io... Arduina — Sarà! Forse è così... Ma io so che se non avessi avuto la bambina, a quest’ora... Claudia —■ Che avresti fatto? Arduina — Quello che vuoi fare tu... Claudia — Io l’ho perduto il bambino... Arduina — Oh! Se nostro padre e nostra madre ci potessero guardare: non so chi vedrebbero più infelice... Stanno qui, in un brutto cimitero, e io ci vado sempre... E mi raccomando a loro... Claudia —• Evidentemente non ti ascoltano, per ché, se ti ascoltassero, non avrebbero permesso che io venissi qui... Che vuoi che veggano, che vuoi che veggano?... Quando uno se n’è andato... Arduina — Be’! Io ci credo... Ed è a nome loro che ti scongiuro... Claudia —• Di infilare la porta di casa?... To gliere l’incomodo, insomma... Arduina — No... Io non posso dirti questo... Tu lo sai... E forse ne abusi... Tu resterai qui... Lo so... A dispetto di tutto e di tutti, finché ti farà comodo... T i conosco... Ma alle sei dovrai assolu tamente lasciare questa casa... E’ la tua vita che ti conduce a questo... Non voglio giudicare la tua vita... In questo momento fa’ che io ti vegga come ci siamo lasciate tanti anni fa... Claudia —■ E’ un po’ difficile... Arduina — No... Si può... Si può... Voglio che, in queste poche ore... tu sia quella d’allora... Sei venuta di passaggio... Devi partire... Andare a Brin disi... E hai voluto riabbracciare tua sorella... Sei la moglie di Orazio... La signora Foresi... Io e Cosimo sappiamo... Ma gli altri... Perché tu te ne vai... e io resto... Claudia — Beh? Arduina — Sono la donna che non ha portato un soldo di dote... che avrebbe accalappiato Co simo... Quella che mangia a ufo... La vecchia mi ha condannata sotto questo continuo dileggio... Sai perché si oppose al tuo matrimonio con Efisio? Per ché, come me, non avevi un soldo di dote... « Ne basta una! », disse. Ché qui tutto è soldi... Non im porta essere una brava onesta donna. Tutto è sol di... Ora non voglio che mi si dica: «Non sok> è una pezzente, ma è anche la sorella duna...». E’ per i nostri due morti che te lo chiedo... E an che per la mia bambina... Claudia — Ma se lo sa tuo marito: lo sa il bri gadiere... Arduina — Mio marito tacerà... Sai: se nel tempo questa bambina dovrà sposarsi... Basterà dirgli que sto a mio marito... E in quanto al brigadiere... Sia mo amici con i carabinieri... L’importante e che non lo sappia mia suocera... E questo dipende da te... Eccola: sento i suoi passi. Dipende da te... Gerolima (mentre apre la porta) — Dove stai, Ar duina... (Si affaccia, vede Claudia) Oh! Hai vi site? (Si ritrae). Arduina (con altro tono) — No, signora... E un’improvvisata... Vedete chi c’è?... Girolima (aggrottando le ciglia) — Ma... Se non sbaglio... Arduina — Sì... Claudia... Girolima — Oh! Oh! Oh! Guarda chi si vede... E’ resuscitata Claudia... Non solo è resuscitata, ma si fa viva con noi... Sei venuta con tuo marito? Arduina — No... Il marito l’attende stasera a Brindisi... Lei ha approfittato per darci un saluto... Voleva vederci... Girolima (a Claudia) — Di’ un po’... Lassù: dove stai tu, son finiti i francobolli, le cartoline, la carta da lettera, le penne e gli inchiostri? Come dovremmo accoglierti noi? Morta... Morta per dieci anni... Fatti vedere... (Si avvicina a Claudia) Si vede che vivi in città.. Be’, io dovrei dirti « vat tene». Perché quando non ci si fa più vivi, per tanto tempo, non si merita l’ospitalità... Ma alla sola idea di respirare un po’ d’aria diversa... Siediti. Claudia — Grazie... Girolima — Come mi trovi? Claudia — Bene, signora... Girolima — Ottantanni... Claudia — Non si vedono... Girolima — Ma si sentono... Li sento io... E co me hai trovato tua sorella?... Claudia — ... Bene... Girolima — Sì... Ma se vi mettete una a fianco dell’altra, tu, sia pure con qualche correzione, hai la faccia della rosa, e lei pare un risotto alla mila nese color zafferano... Arduina — E che vorreste che qui, in questo paese... Girolima ■—• Già... Ma come si può piacere al proprio marito... Mentre questa, sia pure con qual che correzione... Scommetto che tuo marito è an cora innamorato pazzo di te... Dimmi, dimmi: par lami di lassù... Sei stata mai a Forlì?... Claudia — Sì... Due anni fa... Girolima — Io sono sessantanni che non ci vado... Dove abitavi? Claudia — Oh!... In albergo... Ci stetti una set timana... Girolima -—■ Con tuo marito... Claudia —• Sì, con mio marito... Girolima — Tuo marito ha fatto carriera... Claudia — Sì... Girolima — E dove state ora? Arduina — E’... direttore della sede di Ravenna... Girolima — Ravenna... Non la conosco... Ma dev’essere una bella città... Sei venuta in un giorno di magro... Ma sai, a casa Calabrese, di magro o di grasso, si mangia bene... Arduina, hai provve duto perché si aggiunga un posto a tavola?... Va’. Provvedi... (Arduina guardando intenzionalmente Claudia esce) Che mortorio, eh! Qui è sempre Ve nerdì Santo... Hai fatto bene ad andartene... Tu l’hai capita... Non te lo dovrei dire, ma sono con tenta di rivederti... Qui non posso parlare con nes suno. (Entrano Cosimo, Efisio e Lauretta. Cosimo ed Efisio, in diverso modo, restano meravigliati della presenza di Claudia) Guardate chi c’è... Che sor presa... Lauretta, abbraccia tua zia Claudia... (Lau retta abbraccia Claudia) E voi due... Stringetele la mano... State lì come due allocchi... (Cosimo ed Efisio in diverso modo eseguono) Ci ha fatto l’onore di una visita... Sta con noi tutto il Venerdì Santo... L’ho invitata a pranzo... A T T O SECO_N D O La stessa scena del primo atto. Quando si alza la tela la scena è deserta. Poi entra Claudia, subito seguita da Girolima. Girolima (sulla soglia dell’uscio) ■—• No... no... Voglio parlarle a quattr’occhi... Poi vi chiamerò... (Chiude l’uscio) Ché, se seguitiamo a stare a ta vola, passa il tempo, io debbo fare il mio pisolino ed è facile che tu parta senza che io ti rivegga... A quattr’occhi perché debbo dirti cose mie... (Sie dono) E anzitutto debbo dichiararti che se tu, al posto di tua sorella Arduina, avessi sposato mio figlio Cosimo, qui le cose sarebbero andate diver samente... VENERDÌ’ SANTO Claudia — Non capisco che cosa vogliate dire... Girolima — Tutto un programma sbagliato... Tu potresti rispondermi: “ Ma io avrei potuto sposare Efisio e voi vi siete opposta!... ”. Lo riconosco... Claudia —• Io non rispondo niente... Girolima — Perché sei stata felice con tuo ma rito... Claudia —- Ecco... Girolima —■ Ma io non sono stata felice con tua sorella... Né io, né Cosimo... Hai visto come s’è ridotta... Claudia — Che volete... In questo paese... Girolima —• Giusto... In questo paese... Io mi ci sono inasprita... Perché io non ero così... Mi pia ceva vestirmi, abbellirmi... Io ero come te... Claudia — Non credo... Girolima — Sì... sì... Tu sei una donna viva... Ed io per essere viva, ho dovuto tirar fuori tutte le mie unghie... Lo riconosco... Guarda questa casa... Le tende sono quelle del tempo in cui tua sorella s’è sposata... Che abbia mai pensato a rinnovarle... E allora le poltrone traballano... I tappeti si invec chiano... Ci invecchiamo tutti... Cosimo pare che abbia sessantanni e ne ha quaranta... E tua sorella fa la donna mortificata... Si lasciano andare... Tu, invece, non ti sei lasciata andare... E perciò io posso parlare con te... Io avrei potuto risposarmi... Non l’ho fatto per loro... Sì: un capitano dei ber saglieri... E mi avrebbe portata a Milano... Claudia — Credete che a Milano si stia meglio? Girolima —• Non lo so: a ottantanni ogni paese è buono... (Con altro tono) Dunque: sono contenta che tu sia venuta... Ti ringrazio di questa visita... Ma debbo chiederti un favore... Claudia — Ditemi... Girolima — Non basta che tu resti qui un giorno: tu devi trattenerti almeno una settimana... Claudia — Perché? Girolima — Perché si cambi l’aria di questa casa... (Entra Dionisia recando un vassoio e due tazze di caffè). Dionisia —■ Vi ho portato il caffè... Girolima •—• Bene, bene... Lascia le tazze sul ta volino... Dionisia — Sissignora. (Mentre esegue, a Claudia) Come siete bella, signora... E come siete elegante... Girolima (mentre Dionisia esce) — Vedi: anche la serva sente che la tua presenza... Claudia — E’ una ragazza di paese... Girolima — Ognuno vede le cose a modo suo... Dunque: me lo fai questo favore? Claudia —■ Volentieri... Ma alle sei debbo partire con la corriera... Girolima — E chi ti obbliga? Si fa un tele gramma a tuo marito... Lo faccio, a nome mio, ur gente... CESARE GIULIO VIOLA Claudia —• Ma mi aspetta per partire con me... Girolima — Di dove viene. Claudia — Dall’estero... E’ molto tempo che siamo lontani... Girolima — E gli diciamo che ci raggiunga qui... Starà una settimana con noi... Claudia — Deve... prima... recarsi a Roma, per conferire con la sede centrale... Girolima —■ E allora resti tu e ti raggiungerà appena sarà libero... Claudia —■ Non è possibile... E’ tanto tempo che non ci vediamo... Girolima —■ Doveri di moglie... Claudia —• Vuol dire che in un secondo tempo... Mi dispiace di non potervi accontentare.. Ho tro vato tanta cordialità in tutti voi... Girolima — Peccato! Sarebbe stata una bella no tizia per tutti... Anche perché volevo che prendessi confidenza con la bambina... Quella ha una buona disposizione per la musica... Ma qui, come studiar1 Fa lezione con Suora Ermelinda, che sa appena toccare i tasti... E se tu potessi condurla in città, con te: potrebbe frequentare un Conservatorio... C’è un Conservatorio a Ravenna?... A Pesaro, una volta, c’era... Claudia — Non so... Non mi occupo di musica... Girolima — Una volta cantavi... Claudia — Ora non canto più... Girolima — Beh! Diamo il passo a quelli, se no chissà che pensano... (Aprendo l’uscio) Venite... Venite... (Entrano Cosimo e Arduina) E la piccola? Arduina — Ho pregato Efisio che l’accompagnasse da Suora Ermelinda, per assistere con le sue com pagne al passaggio della processione... Girolima — E perché? C’è qui la zia... Non ne azzecchi una... Claudia —• Non esageriamo, signora Girolima... Forse ha fatto bene... Del resto se il nostro progetto potrà realizzarsi... Cosimo —- Quale progetto? Girolima — E’ una cosa che abbiamo combinato fra noi... E per ora non se ne parla... Claudia — No: glielo dica... Girolima —- Glielo debbo dire? Claudia —• E perché no, signora... Non è una cosa illecita... Girolima —■ Già... E diciamola... Ho invitato Clau dia a star con noi una settimana, due settimane, quanto piace a lei... Lei e suo marito... Cosimo — No... Ma non doveva partire? Girolima — Sì, parte, ma torna... tranne che anche voi non siate d’avviso di telegrafare a suo marito, perché ce la lasci qui... Cosimo •—- Ah! C’è il marito che l’aspetta... Girolima — Sì: a Brindisi... Claudia (con intenzione) —- ... a Brindisi... Girolima — Persuadetela voi, se ci riuscite... Io ho detto la mia parola... E vado a riposarmi... Non partire senza salutarmi... Se dormo ancora, mi svegli... Te lo permetto... Claudia — Sì, signora Girolima... (Girolima esce: sull’usció si volge a salutare confidenzialmente Claudia). Cosimo — Che cose... questo marito, questo in vito, questo telegramma a Brindisi? Claudia — E’ che per tua madre io sono la si gnora Foresi, moglie del ragioniere Orazio Foresi... Cosimo —• Tu per me resti... Claudia — La signora Foresi... Piai visto come ho descritto l’appartamento che abbiamo a Ravenna? Meglio del vostro: con cuoca e cameriera... Tant’è che tua madre intenderebbe di affidarmi tua figlia... Cosimo — Come? Claudia — Vuole che tua figlia venga a studiare musica da me, a Ravenna... Avevo parlato della camera per gli ospiti: a sua disposizione... Mi guar davate a tavola, tu e lei, con gli occhi spalancati... E sono anni che non ho una casa... Case, sì; casa no... E ora vorranno chiuderle... E dovrò tor nare a ramingare per le strade... Si fa l’occhietto al passante... E quello ti segue... E’ tua moglie che mi ha chiesto di recitare la parte... E non posso negarti che mi è piaciuta... D’improvviso mi è parso di essere la moglie d’un ragioniere che ha un suo quartiere ben mobiliato... Come quando c’era il bambino... Una moglie che ne fa di tutti i colori, ma quando torna fra le sue quattro pareti pur odiando suo marito, si siede a tavola ed è servita da una domestica; dorme in un letto ben spiu macciato, si desta al mattino e suona il campa nello e le portano il latte e caffè... Il pensiero è fuori, ma lei sta difesa, calda calda, fra le sue quattro mura... Ringraziami, Arduina, e ringra ziami, tu, Cosimo, per avervi salvato la faccia, di fronte alla vecchia madre, a Efisio, alla vostra figlia, alla serva che vede in me una bella signora... Arduina — Io ti ringrazio... Claudia — No... Lui deve ringraziarmi... Cosimo — Io dico che hai fatto il tuo dovere... Claudia — No: devi ringraziarmi... Cosimo —• Io dico che la faccia l’hai salvata per te stessa. Che figura avresti fatto se ti fossi rivelata quella che sei?... Claudia — Io? E a me che importa... Cosimo —- Io non so come tu abbia osato presen tarti in questa casa... Io, per convenienza, ho do vuto mettermi la mordacchia: far buon viso a cat tivo gioco... (Con altro tono) Ma ora non mi tiene nessuno... Claudia — Scusa... Ma chi ha riaperto i rapporti tra di noi? Tu... Io stavo al caffè... D’improvviso ti avvicini: avresti potuto fare a meno di ricono scermi... Cosimo — Per lasciarti la libertà di svergognarci?... Ci hai rubato un pranzo... Claudia — Io, recitando la parte della signora Foresi, te l’ho pagato, il pranzo... Arduina — No, Claudia, tu sei stata accolta alla nostra mensa, come se fossi quella che eri... Claudia — Ma se non sono quella che ero. In semina, ormai, tuo marito si deve decidere... O mi tratta come sua cognata, o come una femmina di strada... Cosimo — Come una femmina di strada... Arduina —• Cosimo... Claudia — Perciò hai voluto che Efisio accompa gnasse la bambina al convento delle suore? Per evitare il contagio... Cosimo — Si capisce... Claudia —• Allora quando vi fa comodo sono la signora Foresi, e quando non vi fa comodo... Beh! Giacché sono una femmina di strada, pagami... Non basta il pranzo... Cosimo {dopo una pausa, interdetto) — Quanto vuoi per andartene? Claudia —• Manco una lira... Voglio che tu vada dal brigadiere e faccia revocare il foglio di via... Arduina (disperata) — Ma che cos’è questo foglio di via?!... Cosimo — E’ il documento che serve a sfrattare le... la gente quando si vuole che abbandoni un paese... E io gliel’ho fatto fare perché lei qui non deve restarci... A costo di rinunciare a guidare la processione io non mi muovo, di qui, finché non sarà risoluto questo pasticcio... Venga pure lo scan dalo... La faccio portare alla corriera, ammanettata, da due carabinieri... Uscirà dal portone di questa casa... Ma la gente capirà che Cosimo Calabrese ha fatto rispettare madre, figlia, mura... Qui fusi non se ne appendono: caschi il mondo... Arduina —• Ma perché non l’accontenti... Cosimo —• Ma sai che significa? Vuol dire che lei torna alla casa di Maria Cassala... E si passa tutti i soldati, i barocciai, gli autisti, i contadini del paese che vanno a sfogarsi... Claudia (viperea) —- Ci vai anche tu... Cosimo —■ Io?... Esci, esci... T ’ammazzo, sai... T’am mazzo... (Cosimo fa per avventarsi su Claudia, ma è trattenuto da Arduina). Arduina — No... Non le credo, Cosimo... Ha par lato per ritorsione... Non le credo... {Con altro tono) Piuttosto esci... Va’ a far quattro passi... Non sei in condizione di seguitare questo discorso... O va’ a dormire.. Tu sei abituato a dormire il pome riggio... Cosimo — Dormire?... Questa è venuta per fare del Venerdì Santo il venerdì del diavolo... Ma VENERDÌ’ SANTO guarda un po’... Esco... Ma quando ritorno non voglio più ritrovarla qui... Siamo intesi? Arduina, mi affido a te... Arduina — Va’, Cosimo... va’... {Cosimo riluttante esce, senza salutare) Non ci ho creduto... Claudia — Dici di non averci creduto... Arduina — Del resto... Ormai... Gli uomini.. Claudia — Flai visto? Appena gli ho scagliato quella freccia si è afflosciato, non ha avuto il co raggio di seguitare... Che ne sai tu degli uomini? Non conosci che un solo uomo... Arduina —- E’ quanto mi basta. Claudia — Ma hai la famiglia... Arduina — E che me ne faccio? Claudia — Hai la bambina... Arduina — Sì: questo sì... Come ti è parsa?... Claudia —• Bella... Arduina — Sì, mi pare... Se non ci fosse lei, mi sarei buttata già nel pozzo del cortile... Lo fisso tante volte dalla finestra: con la sua bocca nera... Dicono che il mondo abbia camminato... Tu forse hai camminato... Claudia —■ ... nel fango... Arduina — Sì, forse... Non voglio giudicare né rimproverarti... Certo si è che nel mondo che non ha camminato ci sono zone, paesi, case, che stanno ancora nel buio... La luce elettrica... Sì, giriamo una chiavetta e la casa si illumina... Ma dentro... Ed è l’affanno mio, di Cosimo, di Efisio... Al buio, dentro: non ci vediamo... E mi domando, a volte, se questa non sia una condanna... Soffoco: chiusa, con la bocca cucita, perché se parlassi nessuno mi intenderebbe... Taccio e mi porto la mia croce, e mi curvo sempre di più, finché non sarò stesa a terra, sotto il suo peso... Aspetto, come una libe razione, quest’ora... Chi ce l’avrebbe detto, quando eravamo bambine, che sarebbe finita così... Tu, quella che sei: io quella che sono... E tremo per mia figlia... Anche lei, chissà... Un giorno incon trerà un uomo... E se quest’uomo fosse come il tuo, come il mio? Claudia {tra amara e sarcastica) — Dovrebbe spo sare l’arcangelo Michele... Ma dove stanno gli ar cangeli sulla terra? Io non ne ho mai incontrati, e sì che ne ho praticati di uomini... Gli uomini... Io non posso parlare con Cosimo perché se gli dicessi come sono finita in questo paese, e perché, sì, perché sono venuta in questa casa, si farebbe più spietato... Non capirebbe... Lo dico a te... Io sono fuggita da Brindisi... E non posso tornarci... Sono perseguitata... Arduina —■ Da chi? Claudia —• Da un uomo... Arduina — Chi? Claudia —• Un capotimoniere... S’è impazzito... E io non lo voglio più... Non lo voglio più... La CESARE GIULIO VIOLA casa di Maria Cassala era l’unico rifugio che mi si offrisse... E andiamo nella casa di Maria Cas sala... Pur di sfuggire alla persecuzione... In un paese dimenticato da Dio e dagli uomini... Ma ci state voi? Peggio per me e per voi... Lui è im barcato sul « Folgore»... Non può lasciare la nave... E’ come imprigionato: legato al suo timone... Sia benedetto il Ministero della Marina! Ma quando ho visto che mi si sconcertavano i miei piani, un’ira mi ha preso contro di me, contro di voi, contro le case che passano per oneste e non lo sono, non lo sono, non lo sono... E ho giocato e gioco tutto per tutto... Mi avete costretta a far la pagliacciata di fingermi una persona per bene... L’ho fatto per te... Perché mi fai tanta pietà... Davvero, sai... Non so chi stia peggio di noi due... Io ho avuto la forza di ribellarmi... M ’è andata male... Ma almeno ho avuto la forza di ribellarmi... Viva la faccia! Tu non puoi sapere che vuol dire stare con un uomo che non ti piace più... Arduina — Lo so... Claudia — Già: tuo marito... Ma è tuo marito'... E quando si resta, non c’è che fare, devi starci... Io invece me ne sono andata, proprio perché non volevo più starci... E per togliermelo di dosso, gli ho gridato senza pietà, tutto-. Una sera... E mi ha scacciata... Oh! Finalmente... Arduina —• Che ne hai ricavato? Claudia — La libertà di disporre di me... Dici niente... E dispongo di me anche con quest’ultimo... Non lo voglio... Non lo voglio più... E voi mi rimandate a Brindisi... Arduina •—• Io? Claudia — Voi, voi... Tutti... Tuo marito... Tua suocera... La tua bambina... Efisio... Queste mura... Questi mobili... Arduina (disperata) — E che dovremmo, che pos siamo fare? Claudia — Rimangiarvi il foglio di via... Tuo ma rito l’ha voluto, tuo marito va dal brigadiere e ci rinuncia! Perché io a Brindisi non ci torno... Mi butto piuttosto sotto la corriera... Se volete questo... Arduina — Noi? Claudia — Al punto in cui stanno le cose, po treste anche pensare che sarebbe l’unica soluzione... Oppure mi precipito nel pozzo del cortile: al po sto tuo... (E’ interrotta dall’entrata di Efisio. Con altro tono) Oh! Di ritorno... Bravo, Efisio... Efisio — Perché « bravo »? (Ad Arduina) Sai che la bambina c’è andata malvolentieri dalle monache? Le ho dovuto comprare un pacchetto di cioccolat- tini... Voleva restare con la zia Claudia... Le avete fatto una grande impressione... Arduina — Pensa che anche tua madre non vor rebbe lasciarla andare... Claudia — Ho già spiegato alla signora Girolima e ad Arduina... Non è possibile... E così, ci siamo rivisti, Efisio... Efisio — A voi non importerà... Ma debbo confes sarvi che anche a me, come alla bambina, questo incontro ha fatto una grande impressione... Claudia — E dire che ci saremmo potuti sposare... Efisio — Questo non è accaduto... Forse non era destino... E forse è andata meglio per voi... Claudia — E i versi? Efisio —■ Come? Claudia —- Le vostre poesie? Efisio — Voi vi ricordate ancora delle mie poesie? A vent’anni tutti scriviamo versi... Claudia — Io credevo di ritrovarvi ammogliato: con una bella nidiata... Efisio — Non è accaduto... Ma ho la bambina di Cosimo e di Arduina... E’ vero, Arduina? Arduina — Tu me la vizi... Per fortuna vivi in campagna, e la vedi di rado... Se stessi sempre in paese, sarebbe una rovina per me e per lei... Sai che è molto piaciuta a Claudia? Efisio — Sì? Claudia — E’ un simpatico pulcino... Efisio — Una tortorella... Io, se potessi, me la porterei, come una tortorella, sulla spalla... Eppoi le piace la musica... Perciò andiamo d’accordo... Claudia —■ Musica... Efisio — Anche voi cantavate... E io vi accompa gnavo con la chitarra... Claudia — Nostalgie? Efisio — No... Se fosse così non se ne potrebbe par lare... Storia: ognuno ha la sua storia... E c’è un momento in cui si può raccontarla: quando cioè non è più nostra... Fa parte del passato... E se ne può anche sorridere... Mentre a tavola parlavate della vostra vita... delle città dove, seguendo vostro marito, vi siete trasferita, io dicevo a me stesso: in fondo che cosa le avrei potuto dare io? Una vita come la tua, Arduina... Arduina — No: tu le avresti data una vita di versa... Perché tu non sei Cosimo... Ed io non sono Claudia... Nel senso che Claudia non si sarebbe assoggettata come ho fatto io... Perché Claudia si sarebbe ribellata, e avrebbe giovato a te e forse anche a me... Tu sai, Efisio: posso dirti che sei stato per me come un fratello... Debbo dirlo a Claudia, sì, perché lei se ne andrà, chissà se un giorno tornerà... Ma sappia che se c’è stato uno qui a difendermi... Efisio — Come potevo... Arduina — Sì, come potevi e quando potevi, sei stato tu... Forse, diciamolo pure, in memoria... d’un sogno... Si rimane spesso legati ai sogni... Claudia — Già... Ma sono sogni... Sono stati sogni... Voi, Efisio, avete fatto male a non crearvi una famiglia... Eppoi: chissà se sarei stata una buona moglie, io... Efisio — Lo sei stata con Orazio... Claudia — Già... Efisio —■ Lo sei ancora... Significa che Orazio sposandoti ha avuto quello che meritava... E anche 10 ho avuto quello che mi spettava... Oggi che ti riveggo mi dico: Bene... Sono contento... E’ una donna felice... E che il Signore l’aiuti... Qui, noi, invece, ci arrangiamo e ci arrangeremo: ormai la strada è segnata, e si cammina con coraggio... L’ac cordo, quando non lo si trova con gli altri, lo si trova con se stessi. E in campagna si sta bene... Claudia —• Molte... novità, in campagna? Io la ricordo, la masseria, si chiamava Girifalco... Efisio — La mia presenza: da anni... Sì, dopo qualche tempo che voi sposaste il ragioniere Orazio Eoresi... Claudia •— E gli studi? Efisio —■ Niente più... E non li rimpiango... Pensi che se mi fossi laureato avrei fatto il concorso in magistratura e se l’avessi vinto oggi sarei cavaliere o commendatore... Invece, nudo e crudo: Efisio Calabrese... {Interrompendosi) Ma voi mi fate par lare troppo. Io non parlo mai... Arduina — Infatti... Oggi se il Venerdì Santo lega le campane, scioglie la lingua... Efisio —■ Si fa forse per onorare l’ospite... Anche la bambina parlava, parlava... E del resto, partita lei, qui torna il silenzio... Acqua morta, e voi la pietruzza che casca in uno stagno... Nascono tanti cerchi... Poi l’acqua si ricomporrà... Acqua morta... Peccato: se foste venuta in un’altra giornata sa remmo andati in carrozza a Girifalco: a respirare l’aria aperta, e a mostrarvi come si è ridotto quel bifolco d’Efisio... Invece bisogna star qui, chiusi... 11 popolo per la strada, ma noi, i signori, qui chiusi per devozione, perché passa la processione... Oh! Starsene a Girifalco, seduto nel giardino, a quest’ora, con lo schioppo tra le gambe e il cane a lato... Quando i passeri si radunano nel pino... E cinguettano furiosi: prima di addormentarsi... E tu non spari... Sentite a me:, meglio Orazio Foresi... Almeno vi ha fatto vivere la vita delle città... Arduina — Certo qui non si sta allegri... (Entra Cosimo, rabbuffato: saluta appena col gesto: va a sedersi, in silenzio, in una poltrona). Arduina — Beh! Cosimo — Ho rinunciato a guidare la processione... Ho ceduto il mio posto a Peppino Scaturro, che l’altra sera aveva gareggiato con me alla licita... Efisio — E perché? Cosimo — Anzitutto perché non me la sento, oggi, di fare una passeggiata che dura due ore per lo meno... Eppoi perché quando si ha un ospite... VENERDÌ’ SANTO d’eccezione... si resta a casa... Temevo che te ne fossi andata... Invece stai qui... ed io sto qui... Claudia — Mi duole che per causa mia... Tuttavia ti ringrazio... Cosimo —• Staremo qui... insieme... Di che par lavate? Efisio — Non so... Di niente... Cosimo — Come, di niente? Che vuol dire par lare di niente... Seguitate, prego... Efisio —- Parlavamo di Girifalco... Cosimo — Ah! Della vita agreste... Efisio —• Già... Cosimo — Dicevi a mia cognata che si sta bene a Girifalco... Efisio — Già... Cosimo — Tra le pecore. Efisio —• Già... Cosimo — Ci si alza alle sei del mattino e ci si corica alle otto di sera... Senza tentazioni e senza sorprese... Si diventa una bestia... Efisio — Piuttosto che diventare una bestia in paese... Almeno si respira l’aria pura... Cosimo — L’aria dell’ovile... Efisio —• Anche quella... Ma c’è in compenso l’a ria dei campi... Cosimo — Pastorelleria... Ci manca la pastorella... Io non so come tu abbia fatto a vivere come un eremita... Senza una femmina... Arduina — Cosimo... Cosimo — E lasciami dire... Tanto qui non stiamo tra quattro educande... Conosciamo le cose del mondo... E’ pur vero che ognuno di noi ha una vita segreta... Avrai trovato la moglie del massaro, o una delle tante ragazze che vengono a cogliere le ulive... La «ciuccia», come diciamo noi... Oppure, ogni volta che vieni in paese, fai la tua capatina nella casa di Maria Cassala... Arduina — Cosimo, ti proibisco... Cosimo — Quanto pudore... Sai, Claudia, qui, come in tutti i paesi, c’è una casa che serve perché gli uomini, ogni tanto, debbono in qualche modo... Hai capito? E’ gestita da una vecchia baldracca, che raccoglie due, tre pollastre per i galli non coniugati... e coniugati... Ci vanno tutti: quelli che non vogliono farsi vedere, verso la mezza notte... A quell’ora ci va anche il brigadiere dei carabinieri, che è scapolo... Pensate che faccia gli tocca fare, quando è costretto a firmare un foglio di via... Ma, per la morale pubblica, non può esimersi... Claudia — Che cose il foglio di via? Cosimo — Ah! Non lo sapete? Efisio —• Come vuoi che lo sappia... Cosimo — Credevo... Chi ha girato il mondo... Chi legge i giornali, chi assiste a qualche processo... la nostra povera Arduina potrebbe non saperlo: CESARE GIULIO VIOLA Arduina, che oggi, ancora, si meraviglia di tutto... Arduina — Io non mi meraviglio di niente... Dico soltanto: ti pare che sia, oggi, giornata da usare questo linguaggio? Cosimo (facendosi il segno della croce) — Giusto... Eppoi, alla presenza di Claudia... Scusami, Claudia... Efisio -— Ed anche alla presenza di tua moglie e mia... Cosimo — Tua? Povero verginello... Arduina — Cosimo, perché non vai a riposare un poco... Cosimo — Non posso... Non voglio... E tu lo sai perché... Riposerò stanotte: finché starà con noi nostra cognata non sarebbe garbato riposarsi... Aspetteremo che lei parta... L’accompagneremo alla corriera... Tanto... La processione sarà già passata sotto il nostro balcone... E allora, conclusa questa cerimonia... potremo riposarci... Claudia — Allora... è per me... Cosimo — Per te... Per te ho rinunciato a guidare la processione... Per te sto qui... Claudia — Vuoi assolutamente accompagnarmi alla corriera... Finché non mi avrai visto salire sul predellino... Finché non avrò preso il mio posto a sedere... Cosimo —• Già... Claudia — Eppoi col fazzoletto mi saluterai finché la corriera non sarà scomparsa... Cosimo — Già... Omaggio completo... Claudia (audace) — E ri starà a fianco il briga diere dei carabinieri con la mano alla visiera... Efisio — Che centra... Arduina — No... Il brigadiere assiste sempre alla partenza della corriera... Claudia — Quando sì e quando no... questa volta è necessario... Efisio — Scusate... Che c’entra il brigadiere dei carabinieri? Claudia — Ordine pubblico... Efisio (passando al tu) —- E tu che hai a che fare con l’ordine pubblico? Claudia — Rispondi tu, Cosimo... Cosimo (dopo una pausa di incertezza) — E’ me glio che non risponda... Arduina — Claudia, andiamo di là... (Tenta di trarla verso un uscio). Claudia — No, no... Perché non vuoi rispondere? Forse di mia volontà sto recitando questa farsa?... E se ti dicessi che non resisto più? Arduina — Claudia... Cosimo — E lasciala parlare... Tanto... Efisio (costernato) — Ma di che farsa si tratta... Non capisco... Claudia (indicando Cosimo) —■ Questo crepa dalla voglia di svergognarmi... Io dalla voglia di dire la verità... Che me ne faccio di tutta questa finzione, se non mi salva? Sono false, caro Efisio, tutte le parole che ci siamo dette fino a questo momento... Cara Arduina, ad onta della tua buona volontà, non c’è nulla da riparare... Mio marito? Non esiste... Efisio — Non esiste? Claudia — Già: esiste, ma nei registri dello Stato Civile... Per me non esiste da anni... Lui lo sa, lo sa mia sorella, ma poiché è più opportuno non ri velare la verità, che non giova a questa casa, lo si fa rivivere accanto a me, si crea una famiglia posticcia... Ed io a recitare la parte, di fronte a tua madre, di fronte a te, di fronte alla bambina... Mi fanno abbracciare la bambina, poi la mandano dalle suore, come se io fossi un’appestata... Sono appestata... Hanno ragione... Efisio —• Claudia... Claudia — Sì, Claudia... Ma non Claudia d’una volta... Claudia della casa di Maria Cassala... Dove vanno... Voi sapete chi va... Anche il brigadiere dei carabinieri... (Accennando a Cosimo) E ci va lui... Lo ripeto... Me l’ha detto la padrona... E io, iersera, quando è giunto lui mi sono nascosta, per non incontrarlo... Cosimo (calmo e cinico) — Con te non ci sarei andato... Ma che credi di aver fatto con questa sparata?... Claudia — Ho messo le carte in tavola... Cosimo — Ti sei sporcata non solo di fronte a me e a tua sorella... Ma anche di fronte a Efisio... Bene: questo servirà a far capire a tutti che, in questa casa, non c’è posto per te... Efisio (a Claudia) — Perché hai mentito? Claudia —• Per pietà: perché Arduina mi ha fatto pietà... Pietà solo di lei... (A Cosimo) E se tu non fossi quello che sei, saresti dovuto tornare con l’abolizione del foglio di via, che ti sei procu rato... Invece torni dopo aver rinunciato a guidare la processione: per metterti di guardia, qui, e per ché gli ordini siano eseguiti... Cosimo (si alza e si avvicina a Claudia; vuol •pren derla per un braccio) —• Esci: quella è la porta... E veditela tu col brigadiere dei carabinieri... Claudia — Non mi toccare... Se mi tocchi grido, e desto tua madre... Efisio (interponendosi) — Cosimo... Cosimo — Levati di mezzo tu, imbecille... (Ha ag guantato per un braccio Claudia). Claudia — Ti ripeto: lasciami... Arduina — Cosimo... Cosimo (lasciando la presa) — Io son il padrone di casa... E qui comando io... Vattene con le buo ne... Io son pronto a tutto, ormai... Non consento sopraffazioni... Da chicchessia... E più che mai da te... Non fare che mi scateni... Ho ancora quel tanto di controllo che può servire a risolvere le cose, senza eccessi... Vedi: metto la mia sinistra nella destra, e stringo, per dominare ogni gesto... (Stringe la mano sinistra nella destra, ma è già tutto un sussulto) Non fare ch’io divenga un vil lano... Non sono villano... Claudia — Sei un perfido: un bruto... Elisio (deciso) — Un momento: in questa casa ce una camera che è mia... Va’ nella mia camera, Claudia... Arduina, accompagnala... (Claudia esita, foi forzando se stessa esce con la sorella. Pausa lunga. Efisio, dominandosi) Che cose questo im broglio... Cosimo — Infatti è un imbroglio... Ha imbrogliato te, nostra madre, la bambina, la serva... Ma non imbroglia me... E lo dico subito, è inutile che tu mi faccia l’eroe... Ti ho capito dallo sguardo... Ti conosco... Efisio (c. s.) — Che cos’è questo imbroglio... Cosimo — E’ che è una donnaccia, per sfortuna so rella di mia moglie: parte da Brindisi, viene nel nostro paese, in una casa di tolleranza, e quando si provvede perché cessi lo scandalo, si presenta in casa mia... E fa quello che sta facendo, lo vedi... EIo forse torto di agire come agisco? Efisio — Sicché lei ha ragione quando ti chiama bruto e vigliacco. Cosimo (sorpreso) — Senti, amico mio... Torna in campagna a pascolare le pecore... E lascia che questa faccenda la risolva io, che sono un uomo esperto... Efisio — Di che? Cosimo — Della vita... Efisio —■ Di quale vita? Cosimo —- Oh! Dio... Basta... Non mi seccare... Debbo discutere anche con te... Ho tanta sete... (Va verso il vassoio dove stanno ancora il bicchiere e la brocca che sono serviti a Claudia. Beve) Sitio... E tutto questo accade, mentre Cristo è nel sepolcro... A vergogna nostra... Ha scelto proprio la giornata adatta... Anche per questo mi rivolto... Efisio — Ma tu la processione la guidi per de vozione? Cosimo — La guido perché l’ha guidata mio pa dre, finché era vivo... Potevi sostituirmi tu, oggi... Ma tu... Ora poi che sai l’inferno che si è scate nato... E donde ha origine quest’inferno!... Chi ti muove di qui... Efisio —• E’ bene che io stia qui... Cosimo ■— Quella gente ci ha portato sempre jella... Ha ragione nostra madre... Che ne ho avuto io dalla vita... Efisio — E io... Cosimo — Ma almeno tu non te la sei sposata... Libero... E invece di aiutarmi, le dici: «Favorisca, s’accomodi nella mia camera». Siete tutti contro VENERDÌ’ SANTO di me. Quella, ci mette le radici nella tua camera... Si pianta come un albero... Elisio — Io l’ho fatto per sottrarla alla tua vio lenza... Cosimo — Vedrai le conseguenze... Dovevi, invece, prenderla per un braccio, ed io dall’altro, e di peso, scaraventarla fuori della porta... Non mi pare più casa mia, questa: un bordello, mi pare... Quel suo odore di belletto mi rivolta lo stomaco... Eppoi, di fronte a mia moglie, mi accusa... Anche se fosse vero... Vedi, quante malvagia... Una vipera che basta guardarla s’alza sulla coda... Efisio — Non era così... Cosimo — Io so come oggi... Alle corte, giacché ormai sei in ballo anche tu, secondo te, come la risolviamo? Efisio —■ Si va dal brigadiere e si fa revocare il foglio di via... Cosimo —■ Mai... Efisio — Vado io in persona a parlarne col briga diere... Perché sei tu che l’hai provocato, se mi autorizzi... Cosimo — Tu non ti muovi di qui... Oh! Per Dio! (Pentito si tura con una mano la bocca). Elisio — Ma scusa... Tu solo credi d’aver voce in capitolo, in questa casa? Cosimo —• Io... solo io... Cosimo Calabrese... Efisio — Voglio sapere se non ci fossi io, in que sta casa, come te la sbrigheresti tu... Cosimo — Questo lo dici perché stai in campa gna... E credi di lavorare... Ci sei andato di tua volontà... Al tuo posto ci si può mettere un fattore... Efisio — E ci ruba tutto... Cosimo — Macché, tutto funziona allo stesso mo do... Tu ci sei andato, in campagna, per esauto rarmi... Per fare il padroncino... Credi che non lo sappia... Da anni, sotto il manto della misericor dia, benefichi, con i tuoi pretesi sacrifici, la famiglia Calabrese... Efisio — Il tuo ozio... Cosimo — Sissignore, il mio ozio... Ho trovato uno scemo che lavora per me... Elisio —■ Lo scemo che paga le tasse, le tue cam biali, che coltiva il tabacco, la vigna, che semina il grano, raccoglie, e dà tutto a voi... Cosimo —■ Si capisce... E’ una cosa che ti di verte... Eppoi risponde a una tua fantasia di inna morato deluso... Perduto l’amore, uno si isola, e fa l’eremita... Eccolo, di là, nella tua camera, il tuo perduto amore... Che ne dici? Ti piacerebbe ancora? Con la faccia imbellettata... Ci gireresti pel paese sottobraccio... Efisio — Non so... Cosimo — Basta! Allora siamo d’accordo... Ba sta questa esitazione... Efisio —-Tu non puoi buttare per la strada quella CESARE GIULIO VIOLA creatala... Anche se non fosse Claudia, tu non potresti... Cosimo — Se non fosse Claudia, me ne infi schierei... Efisio — Allora lo fai per te... Cosimo —• Per noi... Efisio — Ti prego di non includere me nella pa rola noi... Perché io sono lo scemo, ma sono diverso da te, da mia madre, da tutti voi, escluse Arduina e la bambina... In un momento come questo, però, non consento che i Calabrese si comportino come tu fai... E poiché, qui, conto quanto te, più di te, ti consiglio di mutar rotta... (Montandosi) Che co- s’è questo linguaggio? Ma dove l’hai imparato? Gio cando a carte nel caffè di Mazzacuto, con i mani scalchi? Non fare che io sbotti, ché io divento un torrente in piena... Cosimo — Parla, parla... Diventa torrente... Io sono il mare, io, e ti raccolgo con tutti i tuoi detriti, e ti lavo... Efisio — Tu? Tu sei un pantano, e affoghi tutto e tutti nel tuo pantano... Tua madre, tua figlia, tua moglie... E Claudia, anche Claudia... E volevi condurre la processione del Cristo... Hai fatto bene a farti sostituire... Cristo non si sarebbe condotto come ti conduci tu... Cosimo (prorompendo in una risata clamorosa) — Ah! Ah! Ah! La Maddalena!... Ora facciamo di Claudia la Maddalena... (Gridando con dileggio) La Maddalena... La Maddalena... (Ride. Al riso di Cosimo sulla porta appare Girolima). Girolima — Che succede? Cosimo (quasi ebbro della sua voce) — Abbiamo sotto il nostro tetto la Maddalena... L’abbiamo invi tata a pranzo... Abbiamo preso il caffè con lei... In questo bicchiere c’è il rossetto delle sue labbra... Girolima — Ma chi è, dunque, di chi parli?... (Claudia, richiamata dalle grida di Cosimo, appare sulla porta). Claudia — Parla di me... Sono io... Girolima (costernata) — Ah!... Arduina (che è sopraggiunta) — Claudia... Claudia — Parla di me... (A Cosimo) Lo sa il brigadiere dei carabinieri, lo sapete voi, ora lo sa anche tua madre, poi lo saprà la serva, poi la bam bina... E i giudici saranno al completo... A T T O T E R Z O La stessa scena del primo e del secondo atto. Girolima., Arduina, Cosimo, Efisio, sono seduti e tacciono. Pausa. Poi Cosimo si alza nervoso, pas seggia per la stanza. Tutti lo guardano. Girolima — Siediti, Cosimo... Cosimo — Io non posso stare seduto... Non posso... • I nervi... Io ho il diabete... E con questa giornata... Girolima (autorevole) ■— Siediti... (Cosimo obbe disce sbuffando. Dopo una pausa) E come ha reci tato la parte della moglie onesta... E quel povero Orazio Foresi... Chissà dov’è finito... Cosimo — Gira per il mondo senza cappello... Non può più mettersi il cappello, tante sono le corna... Arduina — Cosimo... Cosimo — Che? Non si può più parlare? Per non offendere la tua famiglia... Onoratissima fa miglia... Arduina —• Mio padre e mia madre... Cosimo — Quelli son morti... Non parlo di loro... Arduina (scattando) —■ E io non posso sentire of fendere mia sorella, anche se è in colpa... Tutta la vita mi sarà rimproverata questa storia... Lo so come siete, tutti. Efisio (levandosi) — Io no, cara Arduina... Cosimo — Falla tacere, se no... (Avanza minac cioso verso Arduina). Efisio (frapponendosi) — Piantala, ti dico... (Co simo ritorna sui suoi passi. Pausa). Girolima — Ed io che volevo affidarle la bam bina... Sono davvero scimunita... La mia età mi ha scimunita... Mi si gioca in questa mala maniera... (Ad Arduina) E tu... tu connivente... Mi hai man cato di rispetto... Arduina — L’ho fatto per voi e per lei... E per noi tutti... Cosimo — Io ho la coscienza netta... Ho provve duto per farla tornare dond’era venuta... É lì ri torna, questo ve lo giuro... (Dopo una pausa) Del resto facciamo come se non fossimo noi, ma una casa qualunque di gente per bene... Ti giunge una sorella, una cognata, una figlia, una nipote, nelle condizioni in cui si è presentata quella signora, che fa questa famiglia? Efisio (ironico) — Il foglio di via... Cosimo — Precisamente... Il foglio di via... non si può agire diversamente... Bisogna avere il coraggio di tagliar corto... Anche se si debba apparire fe roci... Questa è la posizione autentica, obiettiva... (Entra Dionisia). Dionisia — C’è il signor brigadiere... Non poteva venire, ma io tanto ho detto, che è venuto... Lo faccio entrare? Cosimo — Sì, sì... (Dionisia esce) Voglio che parli alla presenza di tutti... Questo è un tribunale... Una camera di consiglio... A ognuno le proprie respon sabilità... (Entra il brigadiere, seguito da Dionisia. Cosimo fa segno a Dionisia di eclissarsi. Dionisia esce). I l Brigadiere — Permesso... Cosimo — Entrate... Entrate... (Gli offre una se dia) Accomodatevi... I l Brigadiere — Buon giorno a tutti... (Tutti ri spandono con un cenno al saluto del brigadiere). Cosimo — Noi vi ringraziamo d’essere venuto... I l Brigadiere — Io, veramente, dovevo organiz zare il servizio d’ordine... Fra poco esce la proces sione... E’ vero che qui non accade mai niente, nep pure al tempo delle elezioni... Ma, insomma, non si sa mai... Ho dato incarico che per il momento mi sostituisca il vice-brigadiere, un ragazzo in gam ba... E sono accorso qui... In che posso servirvi? Cosimo —• Il caso è gravissimo... Voi dovete inter venire nei riguardi di quella signora... I l Brigadiere — Perché? Che c’è di nuovo... Cosimo —- S’è piantata in casa nostra... I l Brigadiere — Qui? Cosimo — Qui... Nella camera accanto... Sta come una gatta arrabbiata... Girolima (alzando gli occhi al cielo) — In que sta santa giornata! Siamo tutti sconsacrati... Cosimo — Voi l’invitate a seguirvi... La portate in guardina... La tenete sotto la vostra vigilanza... E quando è l’ora, l’imbarcate sulla corriera... Disturba una famiglia... Una famiglia per bene... Questa fa miglia protesta, e quindi voi... I l Brigadiere — Vi pare una cosa da niente... Rischiamo quello scandalo, che abbiamo voluto evi tare... Perché quella signora, è tipo... almeno da quel che ho potuto giudicare io... Arduina — E’ una povera donna... Cosimo {di scatto) —■ E’ una... (Si preme la bocca con la mano) Uh! Uh! I l Brigadiere —■ Io se debbo darvi un consiglio... Vi proporrei di pazientare... Vuol dire che quando è l’ora della partenza io verrei a prelevarla... E me la porto... Ma in questo momento, con tutta la gente che sta per la strada... Invece alle sei la strada è già sfollata... Girolima — E noi dovremmo ancora ospitare... (Si leva dalla sua poltrona) Io me ne vado dalle monache... Efisio — No... Pensate che avete ottantanni... Già siete molto agitata... Evitiamo complicazioni... Girolima —• Per il rispetto almeno di questa ve- gliarda, che fra l’altro l’ha accolta... Ma io sono scimunita... Avrebbe dovuto baciarmi le mani, e filare... Niente... Qui... L’inferno... I l Brigadiere — Per concludere... Io, secondo me, ci andrei molto piano... Il foglio di via è fatto... Se volete proprio posso farla accompagnare da un mio dipendente fino alla sua residenza... E quando è tornata a Brindisi, chi se visto s’è visto... Arduina — E a Brindisi l’ammazzano... Oh! Se 10 potessi la prenderei sotto la mia garanzia... 11 Brigadiere — Certo, se uno di voi la prendesse sotto la sua garanzia... Io potrei anche lavarmene le mani... Cosimo — Scusatemi, brigadiere... Noi vi ringra VENERDÌ’ SANTO ziamo d’essere venuto, ma noi non vi abbiamo chia mato per questo consiglio... I l Brigadiere — No, dicevo... Cosimo — Voi siete un esecutore della legge... E non vi pare che essendo esecutore della legge... I l Brigadiere — Giustissimo. Vuol dire che io alle sei meno un quarto, sto qui... E’ quello che posso fare... Salutiamo... (Fa per uscire). Cosimo -—• Come andrà la processione? I l Brigadiere — Certo, se l’aveste guidata voi... Cosimo (turbato) •—■ E già... E già... (Il brigadiere, con un inchino a tutti, esce). Girolima —- Conclusione?... Cosimo — Verrà il brigadiere a prenderla... Girolima ■— E intanto ci dimentichiamo di met tere le coperte di seta e i lumi al balcone... Dioni- sia... Debbo pensare a tutto io... (Dionisia appare). Dionisia — Comandi? Girolima — Le coperte e i lumi... Dionisia —■ E’ tutto pronto... Le coperte le ho messe al balcone, e ora porto i lumi... (Esce). Cosimo —• E chi s’affaccia alla finestra? Girolima —- Tutti ci affacciamo... quelli che sono degni di affacciarsi. Io non voglio sapere niente, 10 m’inginocchio e prego... Mi chiudo nel fazzo letto di seta nera, e non veggo né a dritta né a manca... (Dionisia, con due lumi a petrolio, accesi, passa per la stanza, va oltre una delle porte). Cosimo (alludendo a Dionisia) — Questa non deve sapere niente, che basta un ette e appesta il paese... (Dionisia ripassa per la stanza. Silenzio di tutti). Arduina (umile, nel silenzio di tutti) ■— Io vi chiedo perdono... per lei... Cosimo — Ma fammi il piacere... Girolima —• Truffe... Ci ha truffati... Arduina (d’improvviso, audace) — E voi?... Girolima —• Come?... Arduina — Voi non avete mai truffato nessuno? Girolima — Che dici? Arduina (scattando) — Voi non avete mai truf fato nessuno? Girolima -— Noi? Arduina — Sì, voi... Voi che vi battete il petto... Che vi confessate ogni mattina, e vi comunicate... Che dite al sacerdote?... Se mangiate di grasso o di magro, se a sera avete detto le vostre preghiere, se vi siete fatto il segno della croce prima di addor mentarvi... E il resto? Il resto?... La vostra faccia la confessate? Il vostro ghigno? Il vostro sarcasmo? 11 dileggio per tutto e per tutti? E se lo confessate, vi assolvono? E forse promettete di correggervi... Sono ottantanni che non vi correggete... E dacché ho conosciuto lui, sono quindici anni che non si corregge... Efisio — Arduina... Arduina -—- Arduina, Arduina... Basta dire Ar- CESARE GIULIO VIOLA duina, e Arduina ricaccia il capo sotto il guscio, come la lumaca... Girolima — Ma questa è impazzita... Arduina — Perché finalmente parlo?... Io non difendo mia sorella... Sono io che l’ho pregata di non turbarvi, per rispetto alla vostra età... Ma quando, alla vostra età, non si trova una parola, che dovrebbe essere quella della vostra età... Di commiserazione, di pace, e si getta olio sul fuoco, allora c’è chi si ribella, e si alza e si avventa, e si mettono le cose a posto, finalmente... Che ha fatto mia sorella? Avrà sbagliato... Che ne sapete voi, perché, come, si sbaglia? Siamo in due a ta cere in questa casa: io ed Efisio... Sì, anche tu, sacrificato... Gli altri tutti a giudicare: il briga diere, voi Cosimo... A difendere i vostri interessi... Tutto bene finché si salvano i vostri interessi. Un filo di carità! Niente, niente... Duri come la pie tra... {Esce battendosi la porta alle spalle). Efisio —• Arduina... (La segue ed esce anche luì). Girolima — Che vipera... Cosimo — Non vi preoccupate... Ogni sei sette anni fa la sparata... Isterismi... Ho avuto la disgra zia di sposare una donna isterica... Girolima —• Io al tuo posto mi sarei già separato... Cosimo — Se non ci fosse la bambina, la cacce rei oggi stesso di casa e l’avvierei sulla corriera, a far da coppia con sua sorella... Gli è che lei non la vorrebbe nessuno... Come da anni io non la vo glio... Perché, il suo dispetto è questo... Dacché è nata la bambina non la tocco più... Girolima — Dodici anni? Beh... Allora la capisco... Cosimo — D’altra parte... Come finirei?... Con qualche contadina o con qualche serva... E allora Arduina resta... Si scalmani pure... Poi passa... E tutto ritorna al solito tran-tran... In fondo, quella sciagurata, ha sommosso lo stagno... Tanti tafani, sì, che mordono, ma ha sommosso lo stagno... Ora se n’andrà... E racconteremo, poi, per anni: «Vi ricor date quel Venerdì Santo? »... Ma se ne deve an dare... Girolima — Certo... Cosimo —• Siamo dunque d’accordo... Posso par lare anche a nome vostro... Girolima —- Assolutamente... Stanotte dobbiamo dormire tutti in pace, da buoni cristiani... Se vuoi le parlo io... Cosimo — No, mamma... Girolima —• Le parole duna vecchia... Cosimo — Proprio perché siete vecchia. E certa gente non rispetta i vecchi... Girolima — Lo dicevo, anche, perché tu possa andare alla confraternita... E guidare la proces sione... Non è possibile che, dopo tanti anni, un Calabrese manchi alla processione... {S’ode lontana la musica che accompagna la processione del Cri sto morto. Suonano la marcia funebre della Ione dì Petrella). Cosimo —• La processione è già uscita dalla chiesa... {Si fa il segno della croce). Girolima {appoggiandosi a una poltrona fatico samente si piega sopra un ginocchio, prega, poi si alza) — La processione... La processione... Arduina... Dionisia... Efisio... {Sulla soglia della porta appa iono Arduina e Dionisia. Hanno i veli neri e se li acconciano sul capo) Andiamo sul balcone... E’ uscita la processione... {Escono Girolima, Arduina e Dionisia. Sono apparsi ora Efisio e Clartdia. Co simo è sulla soglia della porta che conduce alla stanza del balcone). Cosimo {a Efisio) — Vieni anche tu... (Efisio ha capito che Claudia è esclusa dal balcone). Efisio — Vengo subito... Cosimo — Ti aspettiamo... {Cosimo chiude il bat tente della porta). Claudia ■— Non c’è posto per me, naturalmente... {Alzando i pugni verso il cielo) Maledet... Efisio {troncandole coir un gesto la parola) — Claudia... Claudia — E già... Efisio —■ Siediti... Ti farò compagnia... Non ti lascio... Non temere... Non ti lascio... Claudia — Tutti lì, a battersi il petto... Efisio — Se vuoi possiamo scendere per la strada... Claudia — Ci faresti una bella figura... Sotto- braccio, eh! Efisio... Come due fidanzati... Se ci vedesse il brigadiere, sai che risate... Efisio — Perché? Claudia — Ma come, il giorno del Venerdì Santo, mentre il Cristo passa per le vie, Efisio Calabrese, in compagnia di una... Efisio — Tu per me non sei una... Claudia — E che sono?... Efisio — Sei Claudia... Claudia — Il tuo perduto amore... Efisio — Sei Claudia... Claudia — Claudia del bosco dei Rùssoli... Efisio —■ No, neppure questo: Claudia!... Dacché ho saputo, mi domando: « Ma come è possibile? »... Non riesco a persuadermi... Claudia — Tutto è possibile nella vita... Efisio — Non è vero... Bada, non faccio il senti mentale... Alla mia età, ormai... Sono un uomo che non si è sposato, perché non ha sposato te... E la mia angoscia, oggi, sta in questo. Se t’avessi spo sata, forse... Claudia — Non mi hai sposata, e allora... Efisio — Già, avrei dovuto ribellarmi... A tutti, a mia madre, a Cosimo... E qui è il punto... Perché non mi sono ribellato? Perché non ho fatto a modo mio? Sempre sul collo la volontà degli altri... Ma com’è possibile! Io ti guardo e cerco di trovare il tuo volto d’allora, ti ascolto e cerco di rintracciare la tua voce... Claudia — Ma non trovi né il volto né la voce... Efisio —• Trovo la voce... Se chiudo gli occhi... Una voce da bambina... Così chiara... Claudia — Non parlarmi di questo... Anche quel pazzo dice che ho la voce da bambina... Dice che è innamorato della mia voce... Efisio —- Chi è? Claudia — Non lo sai? Non te l’ho detto? Efisio — Non so niente... Parla... Parlami... Ti farà bene... (Come a se stesso) Oh Dio! Oh Dio! Oh Dio! Perché sai, scusami il paragone, è come per le gomme d’automobile troppo tese... Basta aprire una valvola... E si cammina sicuri... Vorrei che tu allentassi questa tensione... E vorrei essere io ad aiutarti... Claudia — Sei sempre lo stesso, Efisio... Troppo buono... Efisio — E perché dovrei essere cattivo? E’ una colpa, forse, essere buoni? Claudia — No! è un difetto... Ad ogni modo ti ringrazio. Sei l’unica persona che oggi mi dice una parola umana... Gli altri, tua madre, Cosimo, il brigadiere... E quella povera Arduina... Efisio —■ Ti ha difeso... Claudia —• Lo so... Ha fatto male... Non doveva... Che bene può venirne a me e a lei? Efisio — Tu sei una disgraziata... Claudia — Forse... Ma, caro Efisio, non è il caso di fare di me una vittima... Una donna come me è scesa, scesa, scesa, fino all’ultimo gradino... E lo sa... Non chiedo attenuanti... Ciò che ho fatto è nato dal vizio, dalla curiosità morbosa, dal disor dine... Si dice... Ma se ti fossi incontrata in un uomo che avesse... No. Facciamo le vittime, ma lo siamo fino a un certo punto... Io conosco il gra dino dove sono scesa, e questa giornata me l’ha decisamente indicato. Ho accusato, insolentito gli altri, non avendo il coraggio di insolentire ed accu sare me stessa... E’ una forma di vigliaccheria... So no una vigliacca... Non ho neppure quel coraggio fisico, di chi ad un certo punto si butta nella mi schia e nel rischio... Tutto il mio coraggio sta nelle parole... Qui, tante parole... Battaglia, sfogo di pa role... Ma poi tutto si riduce a non tornare a Brindisi, perché ho paura... Efisio —- Che cosa è accaduto a Brindisi?... Claudia —■ Una rissa... tra marinai... Nella casa di... al porto... Aizzati da me, con questa linguac cia... (Come allucinata) Piano piano, nelle lunghe ore di ozio, si forma questo linguaggio, ce ne ubria chiamo; parliamo bruciando come il vetriolo... Si scende anche nelle parole... Io non so più parlare come prima... VENERDÌ’ SANTO Efisio — Prima... Claudia -—• Sì, al tempo quando mi volevi bene tu. Perché, questo tempo ce stato... Ci sono state nella mia vita ore serene, pure, buone... Quelli di Brindisi non lo sanno! Quasi che una donna non abbia avuto un’infanzia, un’adolescenza... Quasi che si nasca donne da niente... Si diventa... Dipende dalla strada che imbocchi... Non lo sai... Non lo sapevo... E cammini. Eppoi ti ritrovi, come oggi, io... E non puoi tornare indietro... Efisio —• Perché?... Claudia —- Perché non hai la forza di rifare la strada all’inverso... Perché non si può camminare contro corrente... Troppa fatica... Credi che non ci si pensi, qualche volta? E allora sei come una vecchia ciabatta che va errando, di qua e di là, sulle rive, e qualche volta si ferma in una insena tura, tra i giunchi; ma appena l’acqua la riprende, là deve finire, a quel mare... Hai visto mai un fiume che risale verso i monti? Anche tu, puoi tor nare indietro? E Cosimo, e Arduina, e tua madre? Efisio — Io sì... Claudia — Non t’illudere... Efisio —■ Io sì... La vecchia ciabatta si ferma in una insenatura, ed uno passa sulla riva, si curva, e la raccoglie... Claudia — Che vuoi dire? Efisio -—- Fino a questo momento tutti, qui, hanno gridato... Tu hai gridato, e gli altri hanno gridato... Io non so gridare... Mi sono abituato al silenzio del la campagna, dove sto solo... E allora con chi posso parlare? Con me stesso, e quando si parla con se stessi, non si grida... E non scrivo più poesie, come quando ero innamorato di te... Ma non è detto che, così com’è, la mia vita non sia poesia... Di cevo: «Quando quel tale ha raccolto la vecchia ciabatta, la mette al sole, e attende che si riasciu ghi... ». Ecco... La corrente non la condurrà al mare... Se fermata... Vuoi fermarti, Claudia? Claudia —■ Che dici? Efisio —• Vuoi fermarti? Rispondi... Oppure c’è quello? Chi ti aspetta a Brindisi? Claudia — No, non mi aspetta nessuno... Non credere, però; non è un cattivo ragazzo... Ma vuole redimermi: ed io non sono redimibile, come il pre stito... Mi conosco... Vuol mettermi in una casa sua, due stanze. Vuole che divenga la sua mantenuta... Sacrificandosi, poveretto... Ma vuol chiudermi a chia ve... in carcere. Eh! Se si trattava di questo, sarei rimasta con mio marito, ché anche lui era geloso... Efisio —• Ma io non voglio chiuderti a chiave... Claudia — Tu? Efisio — Non hai capito... Claudia — Ma va’, ci mancherebbe anche questo... (Con uno scatto improvviso) Non mi far piangere, non mi far piangere! E’ tanto che non piango... E CESARE GIULIO VIOLA proprio qui, oggi... (Si è alzata, passeggia, mentre Efisio la guarda). Efisio — Non voglio chiuderti a chiave... Che hai pensato? No... 11 brigadiere ha detto che se qualcuno prende la responsabilità... Beh! La prendo io... Sì, vado a parlargli, prima che venga qui.. Gli faccio una dichiarazione scritta... La firmo... E tu non torni a Brindisi... Claudia — E dove vado? Efisio —■ Ho giù, nella stalla, il biroccio e il ca vallo... Senza che gli altri se ne accorgano... Andiamo in campagna... Claudia — Con te? Efisio — Con me... Oh! Ti ripeto: non credere... Per respirare un po’ d’aria buona... C’è una grande camera con un lettino... Nessuno ci dorme mai... L’occupi tu... Senza interesse, intendiamoci... Vuoi che alla età mia, e con tutto quello che ho pas sato... Stai lì, al riparo... Dormi sonni tranquilli... Al mattino ti svegli, t’affacci alla finestra, le gal line razzolano, ti godi la frescura... Passi le gior nate in santa pace... Non posso offrirti altro... E quando ti sarai stancata, te ne vai... Claudia — Così? Efisio — Così. Che c’è di strano... Claudia — C’è che domani verrebbero alla mas seria Cosimo e tua madre, e forse Arduina, e do vrei far fagotto... Efisio —■ E che sono un minorenne, io? Claudia — Sei, Efisio, un uomo troppo buono... Efisio (d’improvviso autorevole) —■ Senti: tu devi obbedirmi ora... Devi obbedire... Hai capito? Ora comando io... Claudia —• Comandate tutti qui... Efisio — Sì... ma in un altro senso. (Si ode dall’al tra stanza la voce di Cosimo). La voce di Cosimo — Efisio... Efisio —■ Vado... Aspettami... (Esce rapido. Entra rapida Dionisia). Dionisia — Signora, signora... Venite... La proces sione è arrivata sotto la finestra... Sta passando Ge sù... Come bello, signora... La voce di Cosimo — Efisio... (Cosimo appare sulla porta. A Dionisia) Va’ via, tu... (Dionisia esce) Non ce Efisio... Dove andato? Claudia — Non lo so... Cosimo — Credevo che lo stessi «affascinando»... Claudia — Non l’ho affascinato... Cosimo (più arrendevole) — Non ti abbiamo vo luta sul balcone. Perché... Spero avrai capito... Claudia — Ho capito... Giusto... Debbo comu nicarti che avrei avuto un invito... Cosimo —-U n invito? Claudia — Sì! Da Efisio... Vorrebbe che io me ne andassi, con lui, in campagna... Cosimo — E’ matto? Claudia — No... Che grosso guaio potrei combi narvi... Ma io non ci vado... Efisio è l’unico che mi abbia detto una parola buona... E questo mi basta... Approfitto della sua assenza... Cosimo —- Dove andato? Claudia —■ Dal brigadiere per assumere la respon sabilità della mia persona... Poi, con il suo cavallo e il biroccio, dovremmo andarcene alla Masseria... Io, invece, me ne vado alla corriera... E parto... La vec chia ciabatta... Cosimo — Come? Claudia —• La vecchia ciabatta non può risalire il fiume... Cosimo -—- Che dici? Claudia —• Niente, Cosimo... Torno a Brindisi... Ma sono serena... Vedrai che il Signore mi proteg gerà... Basta a volte una parola per non aver più paura della vita... (Musica della -processione). Cosimo — E’ il Cristo morto che passa sotto la finestra... (Si segna). Claudia (mentre, istintivamente si curva) — Salu tami tutti... Ringrazia Efisio... Digli... Digli ciò che vuoi... (Quando è sulla porta) E bacia per me, la bambina... (Esce. Silenzio. Cosimo ha acceso una sigaretta. Sta solo ed esita a tornare sul halcone. La musica della processione si è fatta più intensa. D’improvviso si ode la voce di Arduina). La voce di Arduina — Claudia... (Arduina ap pare sulla porta. Con disperazione) Claudia... Cosimo (con ostentata fermezza) — Se ne andata... Arduina — L’ho vista passare per la strada... Do vè andata?... Cosimo —■ Alla corriera. Arduina — E tu? Cosimo — Volevi che la trattenessi?... E’ meglio che se ne sia andata con i suoi piedi, piuttosto che fra due carabinieri... Arduina (avviandosi verso la porta d’uscita) -— E non mi ha salutato... Io la raggiungo... Cosimo (fermandola) — Sta’ ferma... Arduina —■ No... Cosimo (forte) — Alla, cuccia. (In Arduina si spe- gne l'impeto a raggiungere la sorella. Si rifà umile). Arduina — Oh! Cristo, dov’è finita la tua pietà... Cosimo — Cristo ha già funzionato... Le ha fatto capire che quella era la sua strada... (E indica la porta. Arduina non l’ascolta, non risponde, ha chiu so il volto tra le mani. Ora soffia una parola che riassume tutta la sua vita e quella della sorella). Arduina — Pietà... Pietà... Oh! Signore, pietà di lei, pietà di tutti... * Copyright hy Cesare Giulio Viola Cinquantanni dalla m orte del papà di Nenneiie I L M O N D O D I G I U S E P P E G l A C O S A L ’ultimo dramma di Giacosa, I l più forte, rappresentato la prim a volta a Torino dalla Compagnia Gramatica-Talli-Calabresi, la sera del 29 novembre 1904, porta questa dedica « A i miei amici Ernesto De Angeli e G. B. P ire lli, dedico questa commedia in segno di vivissimo affetto » a cui segue in calce la data «M ilano, 14 febbraio 1904 » ; a poca distanza dalla morte, dunque. G. B. P ire lli ed Ernesto De Angeli erano allora i due maggiori esponenti del mondo industriale milanese; si può dire di p iù : i suoi due p iù tenaci e intelligenti artefici: essi dotarono l ’Ita lia di industrie fondamentali per i l suo benessere e per i l suo lavoro. In altra sede si potrà giustamente valutare su quali duri sacrifici di lavoratori siano venuti ad erigersi i m uri delle loro fabbriche: e come ogni mattone fosse dovuto a l sudore e alla miseria di un operaio. Oui basti ricordare i l senso positivo della loro iniziativa in un’Ita lia che, per quanto imita e indipendente, ancora stentava a libe rarsi dalle strutture feudali, e soprattutto ci occorre in questa sede sottolineare la loro stretta amicizia con Giuseppe Giacosa, e i l fa tto singolare che quest’ ultima sua commedia — aspra polemica contro l ’affarismo finanziario, a cui però si contrap pone la fievole onestà di un giovane pittore, piuttosto che la voce dei sacrificati e delle vittime inconsapevoli di esso — sia dedicata proprio ad esponenti di quel inondo che Giacosa voleva, intendeva risolutamente condannare. L a fam ilia rità con De Angeli e P ire lli era continua. S i organizzavano piacevoli trattenimenti a cui partecipava anche A rrig o Boito, e le conversazioni si mescolavano ai giochi e alle discussioni. N on è possibile non supporre che P ire lli e De Angeli non approvassero i l tono e i l senso morale della sua commedia. Risulta evidente da queste e molte altre partico larità della sua vita e soprattutto dal senso riposto delle sue opere, che Giuseppe Giacosa si fece esponente dei sentimenti, delle preoccupazioni, dei drammi di quella classe dirigente liberal-conservatrìce, che prim a attuò, a l seguito di Cavour, l ’unità d ’Ita lia , e p o i ne costituì l ’elemento egemone, attraverso la direzione politica, l ’alta burocrazia, la costituzione della grande industria. I drammi odierni spesso prendono a tracciare i tormenti dei loro nipoti: ma ormai le strutture industriali si sono total mente trasformate, e così le coscienze. Abbiamo un mondo con leggi del tutto nuove ed anche degradanti, legate ai rapporti internazionali, alle complicità in seno allo Stato. A llo ra , come appare appunto dai drammi di Giacosa ( li chiamo drammi e non commedie, perche i l loro contenuto è sempre tragico, anche se sulla scena non appare mai in forme scoperte, violente) , si credeva invece pienamente in ciò che si faceva, le coscienze volevano reggere i l loro peso, sentirsi giustificate. Trascuro di proposito i dram?7ii storici, in versi e in prosa. S i tratta di esercitazioni letterarie nel gusto dell’epoca, che pochi anni dopo scomparvero, non vennero p iù ne ristampate, ne riprese sulla scena, quantunque a l loro prim o apparire avessero otte- nuto un largo successo. I modelli francesi trasparivano ad occhio nudo, e traspari ranno del resto anche net rinnovamento realista che ha inizio nel 1888 con T ris ti am ori, e viene protratto e portato a compimento con I d iritti dell anima (1894)! Come le foglie (1900) ; e infine II più forte. Prim a valsero De Musset e i post-roman- tic i; poi Becque, Ibsen, e ipost- naturalisti. Giacosa attraverso la sua terra d’origine, era legatissimo a l teatro in lingua francese: lo stesso influsso ibseniano risconti abile in D ir itti dell’anima, dal tema così vicino a quello di Casa d i Bam bola e di D onna del mare, viene trasfigurato da una violenta drammatica che ha i tipici moduli veristi, la loro graduale e veemente progressione scenica. D e l resto — questo serve a valutare i l fenomeno anche nei suoi aspetti positivi — molti problemi storici e morali si posero allora in comune tra la borghesia francese e quella italiana. Ciò che appare rivelatore in questi drammi, e ne costituisce i l significato storico, e la posizione morale dei loro personaggi, in conflitto con la situazione storica, in quanto strumento non p iù adeguato ad essa. Le figure di Giacosa — che sono g li esponenti principali della loro società, ne raffigurano i vertici e le possibilità concrete — vengono poste dinangi ad alternative, in cui si mettono in luce i nodi stessi della loro morale, praticata 0 idealizzata ( sono due morali sempre ben diverse). V a notato anzitutto che e scomparsa pressoché totalmente qualsiasi traccia dell ideologia cattolica, sia nelle forze che influiscono sulle azioni, sia nel pensiero in cui esse tentano d ’inscriversi. L a loro è una morale civile, benthamiana, che risponde al necessario controllo e a l necessario sfogo degli is tin ti, come alle leggi che debbono regolare la società per favo rirne lo sviluppo. Che cosa spinge Cesare N a lli, l ’eroe di II più forte, questo nuovo Cesare del mondo moderno, a compiere operazioni finanziarie sempre p iù straboccanti e sempre p iù rovinose per i l prossimo? H a ottenuto tutto quello che desidera dalla vita, la sua fortuna è ormai salda e può assicurare una esistenza tranquilla a sé ed ai suoi senza lim iti di tempo e senza rischi. A che scopo abbandonarsi a l suo infernale ingranaggio, in cui non può conoscere né pietà né riposo, finché non vedrà travolto in esso anche i l suo stesso nucleo fam iliare, che non può comprendere la sua durezza > la sua inesorabilità, e le giudica infamanti? Vediamo in questo lavoro come in a ltri del repertorio francese (da Becque a Mirabeau, a Favre, a Kistemaeckers) un’eco diretta della trasformazione del capitalismo industriale in capitalismo finanziario, trasformazione a cui evidentemente né P ire lli, né De Angeli, g li amici a cui non senza ragione viene dedicato i l lavoro, consentivano, anzi a cui intimamente ripugnava. A la come l ’ingranaggio dell’industriale N a lli non può e non deve ferm arsi, così la trasformazione in atto procede inesorabilmente, seguendo i l cammino della storia, senza che le nostalgie conservatrici possano porvi riparo. Contemporaneamente va in rovina la morale che era servita un tempo per erigere questo mondo e dargli solide fondamenta: di qui una contraddizione insanabile, un conflitto dall’essenza tragica, che tenta di porre i termini di una nuova morale, 0 meglio di un nuovo comportamento che serva da guida nelle azioni da compiere 0 da stimolare, nella nuova configurazione sociale: ma in verità agisce maldestramente, con strumenti fu o ri causa. I l nucleo centrale di questa economia e di questo vigore produttivo con cui si vuole avanzare nella vita e nella scala sociale, sta ancora m a volta nelle risorse della ja m i glia e dei suoi affetti. L à vediamo rifrangersi le onde del mondo esterno, prodursi i naufragi o g li approdi. I l destino di questi personaggi lega in modo che si direbbe singo lare ed invece è soprattutto significativo, le vicende di un affetto a quelle dei propri affari, le catastrofi economiche a quelle sentimentali : i l dramma sta appunto in questa loro contemporaneità, se non coincidenza. In T ris ti am ori tutto ciò è visto con p u re ra e con sottile, assai pudica poesia, e a me sembra i l momento p iù schietto di questa analisi, i l p iù libero da ricordi e da influssi, come da fa c ili patetism i: forse perche ne ricordo un’edizione di Ruggeri, in età la scabra e rattenuta semplicità prendeva un aspetto essenziale ( nel senso di «storico»), rivelava la segreta nota disperata di un mondo, che ci appare oggi come ancestrale, ma non per questo grava meno sulla nostra coscienza. Perchè la verità e lo stile di Giacosa sono tu tti in questo odio dell’enfasi, in questi dolori così cocenti e così m uti, in questo pro vincialismo che ritratto nel suo grezz0 e meschino patire quotidiano, rivela la sua tragedia. Non è mai nel dramma romantico e colorito da cercarne i l corso, ma proprio nell’elen care crudamente la nota della spesa, nel giro attediante e mortificante dei C ircoli, delle catfibiali, delle speculazioni vane, che va ricercata la sua acre novità: tutto ci appare stantio, polveroso, fradicio, appena lievemente riscattato dal sorriso di m a bimba e dall’irrompere di un sano vigore giovanile capace di salvarsi in virtù della sua purezza• H mascheramento prodotto da Visconti, con estetizzante quanto ingenuo desiderio di nobilitare la materia, sviava completamente i l discorso da Come le foglie, i l cui senso invece è buio, contratto, mortificante, autunnale. In effetti si spegneva un mondo: i l mondo che partiva alla conquista della sua struttura indu striale con semplicità e forza di concetti m orali, con un saldo senso della sua coscienza e magari della sua ipocrisia, fornitogli dalla piena partecipazione a l movimento storico, di cui era a ll’avanguardia, assieme — e non a caso — alle prime m ilizie operaie, che contemporaneamente, e anche questo non a caso, vedevano riflessa nella produzione teatrale la loro lotta ( I tessitori di Hauptmann sono quasi contemporanei a I co rvi di B e eque). In T ris ti am ori lo stile di Giacosa raggiunge la perfezione: lineare, parlato ed evidente a l massimo grado, in diretta relazione ai sentimenti dei perso naggi senza mai cedere alle tentazioni dell’autore. Le cose taciute vengono spesso maggiormente in primo piano di quelle dette (per questo lo si è avvicinato a Cecov: ma i l richiamo non ha senso per poco che si ponga mente alla fondamentale diversità delle concezioni borghesi da cui i due autori traggono origine, e soprattutto alla cupa povertà di prospettive del mondo ritratto da Giacosa, che non coltiva mai neppure prospettive da vedere infrante, illusioni da sentir crollate). L a quotidianità del lin guaggio non ha terrore del banale, anzi si tuffa in esso come salvezza- a^ a dìspera- Zione, come assopimento dopo la sconfitta. L o si vede colorarsi appena e nei momenti scenicamente conclusivi, ha qualche grido, ma p o i subito soffocato e contratto. Come le foglie indulge a volte a l patetico, e per i l fa tto stesso di far aleggiare ma speranza, una possibilità di riscatto, si commuove sui propri personaggi quel tanto che basta a intenerire i l pubblico e a distrarlo dalla nuda realtà di cui aveva ritratto 10 sfacelo in T ris ti am ori. Lo stile stesso non è p iù così vero e sobrio. Certo, i l suo potere di commozione sulle platee italiane — che sono tradizionalmente borghesi — risultò grande, i l punto di coincidenza si verificò in profondità e raggiunse quello strato della coscienza, in cui si esprimono i p iù sinceri desideri, g li abbandoni diretti del l ’animo: in cui le aspirazioni vorrebbero approdare ad una piccola felicità quotidiana fa tta di rinunce, ma in compenso di sicurezza■ D i tutto i l nostro repertorio, antico e recente, Come le fo g lie resta ilpezgp p iù sicuro: e con ogni probabilità per lungo tempo seguiterà a commuovere, anche quando i suoi personaggi sembreranno oggetto di fantasia e non rappresentazione diretta del mondo egemone dei nostri avoli. C ’è più verità in Edoardo, un personaggio giovane e ributtante che personifica la nuova gene razione in II più forte, che in Massimo, l ’onesto ingegnere di Come le foglie. I crudeli avvenimenti storici a cui siamo stati sottoposti dalla volontà dei gruppi a cui appartiene Edoardo, lo stanno a di??20strare. Tuttavia, Massimo esprime una via d ’uscita, tma corda tuttora sensibile: un’onestà laboriosa che potrebbe costituire 11 fondamento della vita, e in fondo g li crediamo di p iù , perchè Edoardo costituisce invece un paradigma giusto nella sostanza-, nia la cui realtà è ben p iù complessa, torbida nel senso di una sconfitta finale, anch’essa prevedibile. Così come Cesare non può non apparire assurdo nelle sue spiegazioni : « Devo lavorare. Si chiude i l riparto degli effetti domestici » quando per lavoro intende « In affari non ci sono interessi comuni. C ’è i l mio che m i sta a cuore, e quello degli a ltri che non m i riguarda »: l ’idea può apparire anche giusta, ma nella realtà le idee si confondono ben altrim enti, e così ci si osa mai esprimere, mentre dentro di sè, inespresse, si odono voci ancora p iù spietate. I d iritti dell’anima insegue anch’esso la prostrazione e poi la ribel lione dell’animo femminile nella società, rivendicando libertà d ’azione, ben sapendo quanto essa sia in contrasto con le necessità sociali: la violenza morale del m atri monio viene a galla ancora p iù veementemente e dolorosamente che in T ris ti am ori, e crolla così, in modo definitivo, uno dei maggiori fondamenti del suo mondo: quel mondo da cui Giacosa era stato educato, di cui era l ’esponente, di cui adesso prospet tava la svolta critica (perchè la borghesia ha sempre amato considerarsi e condan narsi senza pietà). E g li ne riconosceva i saldi fondamenti — quegli stessi da cui era stato guidato i l Risorgimento, condotto lo sviluppo industriale — ma constatava come essi, posti dinanzi alla nuova svolta della storia, non riuscissero a rinnovarsi e ad assumere un nuovo compito, non riuscissero a prospettarsi ideali schietti, temi concreti di lavoro, ma sapessero solo manovrare in funzione egemonica, con la violenza o con la corruzione. I l mondo di Giacosa non intendeva porsi una struttura morale che lo sorreggesse saldamente. In questo senso serpeggia tra g li accenti accorati dei suoi perso- naggi, un giudizio non appellabile, che oggi ha un chiaro senso di anticipazione storica. Vito Pandoifi L A G E N E R A Z IO N E D I V E L L U T O P R IN C I P I O D I S E C O L O Riproduciamo la prima lettera che Giuseppe Giacosa scrisse a Renato Simoni. E da queste parole che nacque un’amicizia che nel tempo si rilevò Iraterna, consolidandosi nel lavoro, perché Simoni passando dal giornale “ Il Tempo” (dove era entrato nel 1899) al “ Corriere della Sera” (1908) incominciò a lavorare anche per “ La Lettura ” diretta da Giacosa. Di questa rivista Simoni assunse la direzione dopo la morte di Giacosa (1906). Fu solo nel 1914, alla morte di Giovanni Pozza, critico drammatico del “ Corriere ” che Simoni assunse ufficialmente la critica, mentre da tempo già sostituiva il Pozza, iniermo. Il 31 gennaio 1900 al Teatro Manzoni di Milano, la Compagnia Tina Di Lorenzo-Flavio Andò, rappresentò “ Come lo foglie ” ; Renato Simoni recensì la commedia il primo febbraio: il giorno dopo ricevette da Giacosa questa lettera. Giuseppe Giacosa aveva 63 anni; Renato Simoni, 25. S . fÙ> ■ — ' ^ f f • ■ - yjTUXZ A ^ .'^ u v u £iì3 w—- I 'Sii- , -ca ^ f t - . . 'l'U-tgi -fWW <.* ,4. (Lucia entra nello studio, sorrìdendo) Stavo constatando che in questa casa nemmeno si saluta più, quando si va a dormire... Lucia •—• L’ha detto a me di salutarti e di scusarlo... L’ho fatto subito spogliare: era tutto bagnato di sudore. Valerio (con leggera ironia) — Già, esistono anche i malanni. Lucia (sedendo su di una poltrona) — Non pen siamo più a lui, ora che è rientrato. Facciamo piut tosto come si faceva un tempo... Valerio — Che cos’è questa novità? Va’ a letto che ti raggiungo subito. Suvvia. E’ molto tardi. Lucia — Non ho sonno. Tu parli e io sono il tuo pubblico. Valerio — Non so nemmeno quel che ho combi nato... Non mi riesce di mettere insieme quattro parole. Lucia — Non ti è mai accaduto! Valerio —■ Ebbene mi sta accadendo. Lucia —• Fammi sentire! Valerio •—- Gli hai chiesto della rivoltella? Lucia (dopo un silenzio) — Lo farò domattina, non appena salirò per svegliarlo. Valerio — E’ una cosa che non mi piace affatto. (Lucia nasconde improvvisamente il viso e piange convulsamente. Valerio scattando) Io lo so perché non mi riesce di lavorare, stanotte! Ora salgo, gli dò quattro ceffoni e gli proibisco, d’ora in avanti... Lucia —• No... no... no... Valerio — Dimmi allora che ti divertono queste tue crisi di nervi! (Lucia gli tende le braccia. Valerio le si avvicina) Mia povera e cara Lucia! Malgrado' tutto, ti voglio tanto bene, sai?... (E la stringe a sé). A T T O S E C O N D O Dalla fine del primo atto, sono trascorse poco più di due ore. La camera da letto, dove Lucia e Va lerio stanno dormendo, è completamente al buio. Al buio è il corridoio. Nello studio, invece, dalla grande finestra entra un lieve raggio di luna. Nel silenzio più assoluto, l’orologio da tavolo suona lie vemente le quattro. Subito dopo, d’improvviso, un po’ di luce nel corridoio : luce che giunge, attraverso la scala, dal piano di sopra. E’ Maurizio che scende lentamente, in pigiama, zoppicando. Lucia subito si muove, solleva il capo dal cuscino e resta in ascolto. Maurizio, ai piedi della scala, sosta. Ha un calzone insanguinato, il destro, e continua a pre mersi un fazzoletto contro la fronte. Poi si avvicina in punta di piedi alla porta dello studio. Apre, en tra, chiude e si dirìge verso la porta di fondo. Lucia scende dal letto, attenta per non svegliare Valerio. Si infila la vestaglia, si avvicina al corri doio. Maurizio muta direzione. Si porta accanto al tavolo e accende la lampada verde. Vede la bottiglia di cognac e beve a collo. Sulla fronte, molto visi bile, una ferita che comprime con un fazzoletto inzuppato di cognac. Lucia è nel corridoio. Intrav- vede la luce nello- studio e si avvicina; fa per entrare. Maurizio, accorto, spegne subito la lam pada. Lucia (entra e sottovoce) — Maurizio!... (Mau rizio non risponde e tenta di nascondersi) Mauri zio!... (Chiude la porta dietro di sè) Se non rispondi accendo la luce... e sveglio tuo padre, se chiamo ad alta voce... Maurizio (malamente) — Che cosa vuoi? Lucia —■ Perché mi parli così? Maurizio — Come debbo parlarti... Lucia — Con rispetto. Da più di due ore sono a letto, immobile, per non destare tuo padre... e con un’angoscia che mi tormenta. Gli occhi sbarrati, il cuore in gola... Maurizio -—• E perché? Lucia — Me lo domandi!... Accendi quella luce sul tavolo, che voglio vederti. Perché sei rientrato in uno stato che non si racconta... Accendi, ti dico! (Maurizio accende. Lucia verso di lui) Ma ti sei guardato?... Maurizio (scostandosi) —■ Non ti avvicinare. Lucia —• Parla sottovoce... e non con quel tono. Gli ho detto soltanto che sei rientrato tutto sudato... egli non sa ancora niente... Maurizio (eccitato) — E non gli dirai niente, siamo d’accordo. Lucia — Ma domani ti vedrà! Non sono ferite che puoi nascondere. Maurizio —■ Quella alla gamba, sì. Lucia — Guarda, tutto il pigiama insanguinato!... Maurizio —- Lo laverai tu, non lo darai alla donna... Lucia — Ma quella alla fronte? Maurizio —• Domani, quando rientrerò... sarò ca duto allora. Lucia —■ E lo smoking, con un calzone strappato... Maurizio —- Non bisogna dirgli nemmeno questo. Lucia — Tu detti legge! Tu dai degli ordini! Maurizio —■ E’ un brutto momento che passerà. Devi ritornare a letto. Lucia — Che cosa facevi, qui? Maurizio — Niente. Lucia — Come, niente?! Maurizio —- Volevo bere del cognac... Le ferite mi fanno male, ora scendo in cucina per medicarmi meglio: su, non ho trovato quel che mi occorreva. Va’, dunque, non pensare ad altro. Lucia — Non mi riuscirà. Spegni. (Maurizio spe gna la lampada. Lucia verso il corridoio) Comin cia a far giorno. (Accanto alla porta) Non vuoi che scenda con te? Maurizio — No. Lucia —- Mi farai ammattire. (Apre la porta). Valerio (muovendosi nel letto) — Lucia!... (Lucia e Maurizio si immobilizzano) Lucia!... dove sei?!... Lucia (piano, a Maurizio) —■ Scendi in cucina, su bito. Muoviti, non esitare. (Maurizio le passa ac canto, va nel corridoio e scompare scendendo la scala). Valerio (alzando il tono) —■ Lucia!... Lucia (esce dallo studio, si affaccia in camera da letto) — Sono qui. Non potevo dormire, non po tevo star ferma, temevo di disturbarti... e allora sono andata di là, a sedermi su di una poltrona... Valerio —- E con chi parlavi? Lucia — Con nessuno. Non me ne sono accorta, di parlare. Valerio —• Con chi parlavi?... Lucia — Avrò parlato da sola, inconsciamente... Valerio —• Accendi. Lucia •— Perché?! Tu devi riposare! Non pensare a me! Potrò restarmene a letto, io... non ho nessuno che mi attende... mentre tu... Valerio — Accendi una volta tanto e non mi fare inquietare. (Lucia fa per accendere) Un momento: che cos’è quella luce nel corridoio?... Lucia —• Oh, già! Ho dimenticato la luce della scala. (Fa per uscire). Valerio •—■ Che non hai accesa tu. Lucia — Come? Valerio — A meno che... tu non sia salita da Maurizio... Lucia — Sono salita, infatti! Volevo vedere se dormiva. Valerio —• Dormiva? Lucia — Sì, dormiva. Valerio — Non mi nascondi niente?... Lucia — ... no... Valerio (scende dal letto, cerca la veste da camera) —• Accendi, accendi... Lucia — Tu ti vuoi agitare per forza. Non ti basta che lo sia già io... Valerio — Perché lo sei ancora? Lucia — E’ un periodo!... Dammi ascolto, Valerio! Valerio — Questo è una notte sciupata, ma non importa. (Si infila la vestaglia). Lucia (ponendosi sulla porta) — Tu metti in dub SULLE STRADE DI NOTTE bio tutto quel che dico. Me ne risentirò. Questo mi offende. Valerio (verso di lei) — Senti, Lucia: (accende la luce) me ne sono andato a letto col pensiero di aver fatto male a non salire prima dal signorino per dirgli quel che meritava. Non si rientra senza nemmeno farsi vedere, quando ci si accorge che tu stai aspettando e che io sono ancora nello studio. No, cara, non si rientra così. Lui non è ancora il padrone e noi non siamo ancora rimbecilliti. E ora, siccome sono certo che non mi riuscirebbe più di dormire se prima non gli parlassi, lasciami passare perché... Lucia — No, ti prego! Valerio (alzando il tono) — Insomma... non ti sembrerà logico che io e te si continui di questo passo, solo per evitargli, e in continuazione, ogni piu piccolo disturbo... Eh, no! Basta! Io sono deciso a batterlo anche contro il muro... e solo se oserà ri spondermi appena fuori tono, come fa spesso con te. Tutto ha un limite. Io pretendo d’ora in avanti di vederti tranquilla, che da lottare ne ho abba stanza fuori di casa. (Tenta di scostarla) Oh, vedrai che dopo una buona lezione egli muterà d’avviso. (Lucia gli si aggrappa, per trattenerlo) Muterà nello studio dove si dimostra assolutamente insufficiente... muterà nell’educazione dove si rivela ignorante... e nelle sue azioni dove non mi garba affatto. (Riesce a liberarsi) Adesso non mi seguire. (Va nel corridoio e sale in fretta la scala). Lucia (smarrita) —- Fai male, Valerio, fai male! (Lo segue collo sguardo. Quando non lo vede più, rientra in camera e cammina, cammina, tenendosi il capo tra le mani) Tu non sai rimproverare. Io sono debole, ma tu non hai misura. Pare incredi bile! Colla professione che fai, non ne hai il garbo, il metodo... Giudichi gli uomini e non sai guidare un ragazzo. (Lo sente scendere e va sulla porta). Valerio (ricompare, scendendo) —• Io non ti cre derò più davvero. Perché mi lasci salire, se poi... Dove?! Lucia — ... giù in cucina... Valerio —- E che fa?! (Senza attendere risposta fa per scendere). Lucia — No! Valerio (si ferma) —■ Perché? (Lucia gli tende una mano tremante. Valerio va verso di lei) Che cosa succede? (Lucia gli prende una mano e lo conduce con sé, nello studio) Perché non parli?... (Lucia lo lascia e siede stancamente su di una pol trona. Valerio accende la luce. Lucia si porta istin tivamente una mano davanti agli occhi) E allora?... Lucia —. ... è vero... ti sto mentendo di continuo... e per qualcosa, poi, che non è eccessivamente gra- RENATO LELLI ve!... ma solo per impedire che tu lo punisca troppo severamente. (Marcando e scoprendo gli occhi) Come meriterebbe, hai ragione, proprio come me riterebbe!... eppure io ho sempre tanta paura. I gio vani, oggi, non sono più come eravamo noi... Valerio — Avanti, avanti, sono qui che aspetto. I giovani sono sempre giovani, come i guai sono sempre guai. Sono favole, che tutto sia cambiato! Lucia — Mi sbaglierò. Certo sono io che complico così, che dal niente ne faccio una tragedia... Valerio —- Dimmi cos’è accaduto... Lucia — Ieri sera io telefonai, per sapere... Valerio — Stanotte. Sì. Continua. Lucia — Non essere così preciso... e reciso! Valerio —- Come, così reciso?!... se me ne sto qui fermo come un idiota, invece di scendere per far mela raccontare da lui questa bella storia!... Lucia — Non è una storia! E’ la verità! Il ragazzo non è andato a ballare in casa Vallardi... ma in sieme ad un altro amico che non so chi sia... e in motocicletta, si è recato fuori città... per ballare da altra parte, con un’altra comitiva... Valerio — In smoking... Lucia — Come si trovava. Valerio —• In motocicletta... Lucia —• Aveva il soprabito! E’ così, è così!... e poi, non so come... non lo sa nemmeno lui... sono caduti. Dell’altro non ho avuto tempo di chiedere, ma Maurizio si è ferito a una gamba, alla fronte e un po’ alle mani. E’ tutto qui, non c’è niente di peggio. Valerio — E ti par poco?! E giù, che fa?! Lucia — Si sta disinfettando... Valerio (verso il corridoio) ■— Dopo due o tre ore? Lucia (tendendo un braccio verso di lui, per trat tenerlo) — Si è curato anche di sopra, ma gli è mancato qualcosa... (Valerio è nel corridoio. Lucia, alzandosi) Vi vedrete domani, quando sarete più calmi... Valerio (ritornando sui suoi passi) — Non voglio scomodarmi, fallo salire. (E gira attorno al tavolo per raggiungere il suo posto di lavoro). Lucia -—• Non ti sedere a quel tavolo... Impressioni tanto anche me! Sembra che tu voglia... Valerio (battendo un pugno sul tavolo) — Io vor rei che avesse battuto la testa... e forte. (Accende la lampada verde e siede) Chiamalo, chiamalo!... Lucia (dopo un attimo) — Va.bene. (Muove verso il corridoio. Dal fondo della scala, sale Maurizio; sulla porta, lo vede) Tuo padre ti vuole. Maurizio (fermandosi) — Ho sentito... ma si par lerà domani. Valerio (lo chiama, con forza) — Maurizio! Maurizio (sempre fermo, alzando il tono) — La gamba mi fa male, la fronte mi brucia... Se ho mancato, mi pare di essere già stato punito abba stanza... Valerio (reciso) — Non farti richiamare che è meglio per te... Maurizio (qualche passo verso la porta dello stu dio) ■—■ E poi, mancato perché? Ero in motocicletta con un amico, siamo caduti... Non credo sia tanto riprovevole... è cosa che capita a tanti... Lucia —■ Ubbidisci a tuo padre! Maurizio —• Se non sono andato dai Vallardi... se ho preferito andare altrove... è cosa che riguarda me solo! Non vorrete che anche quando sono fuori, la sera, io debba... Valerio —■ Tu devi venire qui! (Maurizio si avvi cina lentamente alla porta dello studio. Lucia si scosta per lasciarlo passare. Maurizio entra nello studio) Chiudi la porta. (Maurizio eseguisce). Lucia (nel corridoio, avvicinandosi alla scala) — Oh, Valerio! (Siede sul primo scalino, raggomito landosi quasi). Valerio — Ascoltami attentamente, Maurizio... (Una pausa) Quando pronuncio questo nome mi vengono in mente tutti i bei sogni che si sono fatti per te... e tutta la gioia che ci diede la tua nascita... Per te ci voleva un bel nome, ci voleva ogni cura... Eri il nostro orgoglio, l’unica nostra ricchezza... E invece, tutto sbagliato. (Altra pausa) Che io non sono affatto contento di te, tu devi averlo capito da un pezzo, vero?... e se riconosco che sei un inetto, un disamorato e un pigro, solo desideroso di facile e comoda vita, tutto invaso di vanità e vuoto d’orgoglio e d’amor proprio, debbo pur riconoscere che una certa intelligenza non ti manca, se vuoi... Avvicinati! (Maurizio eseguisce) Tutto, dunque, deve cambiare. Radicalmente. Da questo stesso momento. Vedi bene che non ho nemmeno voluto lasciar passare la notte. Gli altri dormono, a quest’ora... gli altri riposano... e noi no. Bisogna dunque dedurne che di te io ne sono talmente stanco da non poterne più. Purtuttavia l’ultima carta te la voglio lasciar giocare... tanto più che di carte tu devi intendertene... Maurizio •—- Non è vero, non gioco mai. Valerio —- Non rispondere. Ma l’ultima, inten dimi bene... e sappi che questa mia generosità tu la devi a quella povera donna di tua madre che non merita davvero di vivere sempre così allarmata e solo per te. Non credo di dovermi spiegare di più, perché tu mi capisca in tutto... e nemmeno di dover gridare, perché tu debba credere che questa volta faccio sul serio. Alla tua prima mancanza, di qualunque genere essa sia, io provvederci. E sai anche quel che ti aspetta. Siamo d’accordo? Maurizio — Sì. Valerio — Perché tu, se ti si lascia andare, sei tipo da sgarrare. E io sono uno di quelli che non credono che i giovani che sgarrano, possano essere continuamente scusati... perché cresciuti in tempi tragici di lotte e di sangue. Tu parti già male verso la tua maturità. Non ho altro da aggiungere. (Maurizio si volge appena, per andarsene) Per quelle tue ferite, domattina farò venire il dottore. Maurizio (cpuasì di scatto) — Non è necessario... sono superficiali... Valerio (marcando) — Domattina farò venire il dottore. Non si discute. Non ho visto bene, non desidero vedere... ma non voglio complicazioni. Maurizio — Preferirei di no... anche perché... perché quel mio amico che guidava la macchina... non avrebbe dovuto essere fuori con me... Ragioni tutte sue, un po’ delicate... e tu capisci che se il medico indagasse... (Lucia si è alzata e resta ferma accanto alla scala). Valerio —• Perché dovrebbe indagare? Ti sei fatto male... e ti cura! Maurizio — Non si sa mai! Valerio —■ E invece si sa per certo che dell’altro non se ne occuperà! Maurizio — Te lo chiedo per favore! Non voglio nuocergli in nessun modo! Non puoi capire e ben poco ne capisco io, ma prima di lasciarmi mi si è molto raccomandato. Valerio — Non capisco davvero. E chi è, questo tuo amico... Maurizio — Non lo conosci, non è un mio com pagno di scuola. Valerio —• A sentirsi, si direbbe che i tuoi amici di scuola io li conosca tutti... Maurizio — Volevo dire... che non puoi cono scerlo! Valerio —• Di’ piuttosto che non sai quello che dici! Maurizio — Forse perché ho sonno... Valerio — Non è vero, tu non hai sonno. Maurizio — La caduta e le ferite mi hanno un po’ stordito... Valerio •— E’ della tua età? Maurizio — Sì. Valerio — Si è fatto male anche lui? Maurizio — Un po’ meno di me, direi. Valerio — E che significa? Maurizio — Un po’ meno!... Valerio — Non afferro bene, non... SULLE STRADE DI NOTTE Maurizio -— Per forza. Vi sono dei piccoli se greti che... Valerio — Per forza cosa? Che c’entra? Che dici? Maurizio — ... Piccoli segreti... Magari anche stupidi... Valerio — Che centra il segreto col male che può essersi fatto... Maurizio — Sei tu che mi confondi, con questo interrogatorio... Valerio — Vuoi dirmi il nome di questo tuo amico? Maurizio — Un nome qualunque, un nome che non ti « direbbe » niente! Valerio ■—• Non ti preoccupare... Maurizio -—■ In questo momento, mi è uscito anche di mente... (Lucia è accanto alla cassapanca, attentissima). Valerio — E’ molto strano! Avrà una casa, un telefono... Maurizio — La casa di certo... il telefono non so... Ci si trovava fuori, non in grande intimità... Valerio — Sei reticente! Maurizio — Può sembrare, infatti... Valerio — E va bene. (Apparentemente convinto) Niente medico... e niente di niente. Maurizio —- Posso andare? Valerio —• Puoi andare. (Maurizio muove verso la porta. Lucia corre in camera da letto. Valerio, improvvisamente e lentamente) Quella rivoltella, poi, che tua madre ha visto nel tuo armadio e sempre in posti diversi... (Maurizio si è fermato. Non si volge) ... vorrei che tu me la consegnassi. Anche subito. Subito, anzi... Maurizio — Non ce l’ho più. (Volgendosi ap pena) Era appunto di questo mio amico... e gliel’ho ridata ieri sera. Valerio — Ah, bene! Non mi piaceva che tu tenessi armi per casa. Bene, bene. (Maurizio è appena nel corridoio) Perché poi l’aveva data a te? Maurizio —-U n giorno me l’aveva fatta vedere... m’era piaciuta... Valerio —• Lo vedevi dunque anche di giorno... Maurizio —• Qualche volta di giorno... qualche volta di sera... Valerio — No, siccome tu m’hai detto che lo vedevi solo di sera... Maurizio — L’ho detto... per dire! Valerio — Sì, capisco. Ti era dunque piaciuta... Maurizio — ... Volevo provarla... Valerio ■—• Contro chi? Maurizio (tentando di sorridere) — Contro un bersaglio qualunque... per gioco... ma poi, natu ralmente, non sparai mai. RENATO LELLI Valerio — Un desiderio un po’ strano... Maurizio — Proprio un sciocchezza. Valerio — Infatti. Maurizio — Buona notte. Valerio — Dimmi ancora che siamo pienamente d’accordo... Maurizio — Sì, siamo d’accordo. Valerio — Buona notte. (Maurizio fa per chiu dere la porta) No, non chiudere. (Lucia è sempre attentissima. Maurizio non chiude e fa qualche passo verso il fondo del corridoio) Avrai sciupato anche lo smoking, ferendoti alla gamba... Maurizio — Sì, ma non molto. Valerio — Meno male, sai quel che costa... mentre la gamba guarisce da sola... no? (Maurizio tace, fa qualche altro passo verso il fondo, sempre zoppicando) Hai pensato di scusarti presso i Vai- lardi? Se ti aspettavano. Avrai telefonato! Maurizio (soffermandosi ancora) — Lo farò do mattina. Valerio — Non ti dimenticare! (Maurizio si porta accanto agli scalini) Quel tuo amico, lo co noscono anche loro? Maurizio — No. (Sale il primo scalino). Valerio —-T u andavi dai Vallardi... hai incon trato quell’altro... Maurizio — Perché mi rivolgi tutte queste do mande? Valerio — Perché tu mi risponda... Maurizio —- Si può pensare che non mi credi! Valerio (marcando) — Hai incontrato quell’altro... Maurizio (fermo sul primo scalino) — ... Mi ha chiesto di andare con lui... la motocicletta mi è sempre piaciuta... Valerio —- ... Ti avrà promesso di lasciar gui dare un po’ anche te... Maurizio —• ... Sì... Valerio — E a te non è parso vero. (Lucia si avvicina alla porta per ascoltare meglio) C’è però qualcosa di molto vago. Andavi dai Vallardi... non sapevi d’incontrare quell’altro... eppure tu avevi in tasca la rivoltella che volevi consegnargli... (Mau rizio scende lo scalino) ... O meglio restituirgli... (Attende qualche parola che non viene pronun ciata) Col silenzio non si danno spiegazioni... Maurizio (ritornando di un passo) — La portavo sempre con me, pensando che alla prima occasione... Valerio —■ Questo non è vero. Quando tu uscivi, la si poteva trovare in una tasca di una tua giacca o da qualche altra parte... Soltanto ieri sera la ri voltella non c’era più! (Maurizio non risponde e sale in fretta) Io ti consiglierei di non allontanarti, Maurizio, perché la cosa sta diventando veramente interessante... Maurizio (si ferma) —• Io sono stanco... ho sonno... Te le darò domani tutte le risposte che vuoi! Valerio -—■ No, no, io le voglio subito! Non dor miremo nessuno dei due, per pensare! Io voglio invece che tu riposi... e voglio riposare anch’io. Finiamola finché ci siamo. Vieni, vieni, che voglio vederti ancora, risentire delle altre frottole!... Sop pesarti, vagliarti, confonderti, magari!... E per rag giungere quella verità che non so ancora quale importanza può avere!... Ma quella verità. (Mau rizio ridiscende. Lucia esce dalla camera da letto e lo guarda) Vieni, vieni... Lo sai che se il nostro patto è cominciato da appena un quarto d’ora, tu lo stai già tradendo? (Lucia muove verso Maurizio) No, Lucia! (Lucia si ferma) E lo tradisci per una ragione che non vale la pena, se la cosa, come vuoi lasciar credere, non ha grande importanza? (Lucia entra nello studio, si avvicina al tavolo) Cambiare idea e seguire un amico in motocicletta, può capitare... Mancare di riguardo verso chi ti aspetta in casa sua per una festicciola, non è poi eccessivamente riprovevole!... (Lucia si avvicina len tamente a Valerio. Maurizio nel corridoio, siede sulla cassapanca) Credere di portare sempre con sé un oggetto da restituire, dimenticandolo invece qualche volta a casa, anche questo può essere! (Lu cia gli posa un braccio sulle spalle) ... E può anche essere che un padre, non molto tranquillo desideri conoscere questo nuovo amico del figlio, per sa pere chi è... (Lucia posa le labbra contro la fronte di Valerio e lo bacia. Anche per contenerlo) ... E chi è, me lo dirai. Maurizio — Non lo conosco che di nome. Valerio —• Non ti sento! Maurizio (volgendosi e alzando la voce) —- Non lo conosco che di nome. Valerio —• Non è molto credibile... E gli interro gatori non mi piacciono fatti a distanza! Non ve dendoti, posso pensare che tu stia tremando. Fam mela vedere la tua tranquillità! Maurizio -—- Che lo conosco solo così, posso anche giurartelo! Valerio — Le parole grosse, tienile per la fine. Dove sei stato a ballare? Maurizio — Non siamo giunti dove si voleva... Siamo caduti prima... Valerio — Dove eravate diretti? Maurizio —■ Non lo so... in campagna... in una villa isolata... Valerio — Perché non vuoi il medico? (Maurizio non risponde) Per quale piccolo segreto? Che co s’hai fatto, stanotte? (Lucia, per trattenerlo, lo com prime sulle spalle. Quasi gridando) Dimmi almeno che c’erano delle donne, con voi, e che proprio per loro... Maurizio (subito) —■ Sì, c’erano delle donne. Valerio — L’hai afferrata al volo! Donne non ce n’erano! Eravate voi due soli, chissà dove, in qual- che brutta tresca! Bada che se non vieni qui, mi alzo io... se mi alzo ti costringerò a parlare a forza di ceffoni... se non ti ho mai messo le mani ad dosso comincio ora... (Maurizio si alza, e non sa che fare, che dire) Che cos’è che avete com messo?! Se qualche sciocchezza, sarà da ragazzi... Ebbene dillo!... Alla tua età ne commisi anch’io! Non lasciarci credere chissà che cosa! Vorrei che tu sentissi il tremito che è in tua madre!... (Lucia si scosta subito, da lui) La motocicletta non era né tua, né sua... L’avete rubata... Maurizio (avvicinandosi allo -porta dello studio, quasi barcollando) — No, è sua, è sua!... Valerio —■ ... quella rivoltella doveva servirvi per spaventare qualcuno... (Maurizio è sulla porta, si appoggia allo stipite, più morto che vivo) ... per aggredire qualcuno... (Maurizio crolla in terra) Lucia {in un urlo strozzato) —- Maurizio!... (Va lerio è scattato in piedi. Con un braccio teso trat tiene Lucia che vorrebbe raggiungere Maurizio. Per un attimo, come un quadro, tutti e tre immo bili e muti. Con voce paurosamente spenta) Al zati! (Maurizio si solleva lentamente, faticosamente, raggiunge a malapena una poltrona, vi si butta sopra e scoppia in un pianto convulso. Lucia rie sce a liberarsi dal braccio di Valerio, raggiunge Maurizio e, muta, lo scuote. Valerio è ricaduto a sedere ed ha abbassato il capo, quasi a posarlo sui fogli. Solo dopo uno sforzo le riesce finalmente di parlare) No... No... non è possibile! Parla, Mauri zio, parla per carità... non farci pensare. Siamo qui per aiutarti. Non aumentarci l’angoscia! Qualun que cosa tu abbia fatto... qualunque cosa tu debba dirci... La tua mamma non ti abbandonerà!... Le mamme ci sono appunto per questo, per non abban donare mai i figli che si sperdono! Se domani avrai tutto il mondo contro di te, tra te e il mondo ci sarò sempre io! Io e tuo padre, perché anche lui, sai, ti vuol bene!... anche lui, anche lui! Non pian gere dunque più, sii uomo, sii forte e parla se vuoi che noi si possa fare qualcosa... (Si scosta e grida) Mi senti? (Fuori di sé guarda Valerio che è sempre accasciato. Gli è vicino e lo accarezza ner vosamente) Diglielo anche tu, Valerio, che lo aiu teremo!... Diglielo anche tu! (Maurizio solleva il capo e la guarda. Valerio si alza, con una mano spazza via malamente tutte le sue carte, molte di esse volano in terra. Maurizio nasconde di nuovo il vis-'). Valerio (spegne la luce verde della lampada) — Io... io non ho più niente da dire... più niente da sapere... non ho più nessuna volontà. (Si muove. Lucia, per lasciarlo passare, indietreggia, si appog gia allo sfinite della finestra e resta così, come pie trificata. Valerio, girando attorno al tavolo) So che tutto è distrutto... che non c'è più nulla da sal- SULLE STRADE DI NOTTE vareL. E’ come se in me non esistesse più niente, nemmeno la ribellione, nemmeno l’ira. L’onore... il ■lavoro... la casa... la famiglia... Niente! Ogni mia facoltà si è come addormentata e le leggi che ho sempre tenute in pugno, ora si ritorcono contro di me. (E’ accanto alla porta che dà nel corridoio) Sei un mostro! Lucia (quasi in un soffio) —• Parla, Maurizio! Maurizio — A me non resta che scomparire, an che se dovrò lottare contro la paura! Lucia (disperatamente) —• Non è questo! Maurizio — E che cosa?... Che debbo dire, se non chiedere che mi si salvi! Valerio (volgendosi di scatto verso di lui) — E come?!... e che hai fatto, che non lo so ancora?... Maurizio — Si voleva partire... Valerio (un po' come folle, con larghi gesti, ri volto a Lucia) — L’itinerario che hai trovato. Maurizio —• ... si voleva andare lontano.., Valerio — I segni su quella carta. Maurizio — ... ci occorreva molto denaro... Valerio — Per andare alla ventura! Qui non ci stava bene, qui ci soffriva! (Gli è accanto e alza una mano per colpirlo). Lucia (verso i due, tragicamente asciutta) •—• No, Valerio! (Valerio la guarda, abbassa la mano, si scosta) Vi occorreva molto denaro. E poi?... Maurizio — Per giorni e giorni si pensò... Lucia —- Per giorni e giorni. E poi?!... Maurizio —• Si era certo come due pazzi... Lucia —- Continua!... Maurizio — ... si cercavano questi mezzi, come qualcosa che ci spettasse... se ne parlava quasi con tranquillità... alfine si trovò... Lucia — Avanti!... Maurizio — Si seppe che un tale avrebbe per corso, di notte, in auto, una strada non molto bat tuta... e che portava con sé sempre molto denaro... che era sempre solo... (Nasconde il viso). Lucia (urtandolo con forza) —• Non ti vergognare ora! Maurizio — Ci siamo appostati... abbiamo rove sciato la moto... mi sono sdraiato fingendo di es sere ferito... Valerio — Banditi da strada! (Esce, attraversa il corridoio, entra in camera da letto). Maurizio — ... l’altro mi si piegò sopra come per soccorrermi... e abbiamo atteso. Quando finalmente la macchina è giunta, ci ha illuminati coi suoi fari... chi la guidava ha scorto dei gesti e si è fermato... è sceso... gli siamo stati addosso, la lotta si è fatta furibonda... stava per essere il più forte... ha gri dato con quanto fiato aveva in gola... (Tace di nuovo). Lucia (afferrandolo per i capelli e scuotendolo co sì) —• Non ti fermare! RENATO LELLI Maurizio —• Io non ho potuto sparare, ma l’altro sì, l’altro sì... e l’uomo è caduto, non si è più mosso... Lucia (scostandosi, terrorizzata) — L’avete ucciso?!... Valerio! (Valerio è come trasognato. Sembra non senta il richiamo della moglie) Maurizio — Siamo corsi accanto all’auto per pren dere il denaro... c’era una grossa borsa, piena... ma i fari di un’altra macchina sono apparsi, subito, là, in fondo alla strada, dalla parte opposta... Se non fossimo fuggiti ci avrebbero presi... Abbiamo avuto un attimo ai smarrimento, siamo risaliti sulla moto, siamo partiti a tutta velocità, abbiamo cambiato strada perché quella poteva venire bloccata da un momento all’altro... ed è stato là che siamo slit tati e caduti. Il male non l’ho nemmeno sentito. Ci siamo guardati attorno, non c’era nessuno... e allora, in macchina di nuovo, siamo ritornati in città. Mi ha accompagnato a casa, poi è andato a casa anche lui. {Un silenzio) Ora non so quel che farà. (Altro silenzio) Vorrei un po’ d’acqua. (Lucia lo guarda a lungo, quindi esce dallo studio). Valerio {sulla 'porta della camera) -— Dove vai? Non scenderai per servirlo! Io lo lascierei morire, di sete! E sarebbe ancora poco! E’ un fuori legge! Hai capito che è un fuori legge? Lucia {con voce spenta, quasi non udibile) — Acqua... chiede acqua... e io... io... (Esce, va nel fondo del corridoio e scende la scaletta. Scompare. Intanto, dalle finestre, la luce del giorno). Valerio {sulla porta dello studio) —■ Se non sai quel che farà, che cosa farai, tu? Io lo so bene quel che vorrei fare: saltarti al collo, strozzarti, o afferrare la prima cosa che mi capita tra le mani e spaccartela sulla testa. {Entra e gli gira al largo). Maurizio — Non ho sparato io e l’ho detto. Valerio {urla) — E che credi, con questo, di ren derti innocente? Delinquente! {Lucia riappare, sa lendo. Porta un bicchiere colmo d’acqua, ma le mani le tremano e l’acqua si versa) Ma la mia parte anche per me, anche per me che ti ho creato! An che per me che condannnavo l’odio improvviso e non sapevo che cosa fosse veramente... che impe ravo sullo sgomento degli altri giungendo quasi a deriderlo... Solo ora m’accorgo quanto fossi ingiu sto... Sembra una favola orrenda. (Lucia ha conse gnato il bicchiere a Maurizio che l’ha vuotato d’un fiato. Valerio improvvisamente, imperioso) Vattene! {Maurizio muove verso la porta) Posso ben dire, però, che uno come te non l’avrei mai difeso! Lucia -— No, Valerio... Valerio — E non ti difenderò. E non aiuterò al tri a difenderti! Lucia — No... no... Valerio •— Vattene via! Oppure, guarda, tu puoi fare anche più presto. {Toglie la rivoltella dal cas setto e la lascia cadere sul tavolo) Sparandoti al cervello! Pagare scomparendo! Lucia — Metti via quell’arma, Valerio! Nessuno deve servirsene! Io e lui si parte, col primo treno, ovunque esso vada... Valerio — No, non partirete... Lucia —■ Ovunque esso vada, ripeto... Valerio —■ Io griderò la verità... Lucia -—- Tu non griderai niente. Tu mi devi ascoltare. (A Maurizio) Sali in camera tua e aspet tami. {Maurizio fa per ubbidire). Valerio {puntando l’arma contro il ragazzo) — Non ti muovere, Maurizio! {Maurizio si ferma). Lucia {ponendosi a scudo del figlio) ■— Spara con tro di me, allora! Avanti! Tu pensi a te, tu pensi a lui... ma a me, a me, chi pensa? Avanti, spara! {Valerio lascia cadere la rivoltella e cade a sedere. Lucia è sulla rivoltella, l’afferra e la stringe com primendola contro il proprio petto. E siede, schian tata. Un silenzio pesantissimo) Ho freddo. Sono gelata. (Poi) Che cosa avresti ricavato, a colpirlo? Valerio —■ Avrei tentato di salvare il mio onore. Lucia — Sciocchezze. Tenta invece di salvare ogni cosa! {Valerio lascia il tavolo, va a sedere su di una poltrona) Se non sono stati veduti... se quel disgraziato è morto... capisci?... salvando lui, salvi te. Lascia stare l’onore. Siamo in gioco noi tre. Un’altra azione orribile, lo comprendo bene... ma non c’è altra via. Lui, poi, sarà punito dal rimorso, non aver timore... ma intanto non lo perderemo e non ci perderemo. Valerio — Non potrei più guardarlo, non potrei più vivere... Lucia ■—- Sì, che si vive sempre!... e sarà sempre meglio che sapere lui in carcere e te completamente a terra. Valerio — Ma c’è quell’altro!... Lucia — Che pensi? Valerio — Non era solo! Come agirà, queU’altro? Basta che ne cada uno, nella rete, perché anche il suo complice venga scoperto! Lucia {rivolta a Maurizio) — Il suo indirizzo!... (A Valerio) Vado da lui. Valerio {quasi pauroso, in quella sua calma tra gica) — No. E non a quest’ora. (A Maurizio) Quante rivoltelle avevate? Due? Maurizio — ... sì... Valerio — Dove sono? Maurizio — ... le abbiamo sepolte dove siamo ca duti... Valerio —• Le troveranno? Maurizio — ... no... Valerio — Erano state acquistate da poco tempo? Maurizio —• ... no, le aveva da molto tempo... Valerio -—• Nessuno vi ha visti? Maurizio —- ... no, nessuno... ingannare te Valerio — Prima di raggiungere quel luogo, vi siete fermati da qualche parte? Maurizio — ... no... Valerio — M i detesto! Lucia — Anch’io, ma non importa. Valerio — Per far giungere la notte, dove avete trascorso quelle ore? Maurizio — ... sempre in casa sua... Valerio — E la motocicletta? Maurizio — ...è in casa sua, come sempre... Valerio — Il denaro non lo avete preso? Maurizio — ... no... Valerio —■ Da chi lo avete saputo che ne portava sempre, con sé? Maurizio •— ... lo sapemmo per caso, una sera, a un cinema, da delle persone che stavano sedute die tro di noi. Parlarono sempre di lui, sempre di lui, come avessero voluto informarci su tutto... Valerio —• Quando vedeste giungere la macchina, quando vi appostaste, come poteste essere certi che era quella che aspettavate? Maurizio —• Non lo so. Non pensammo. Valerio — Il tuo complice, ha già avuto a che fare colla polizia? Lucia — Non ingannarlo! Non stesso! Maurizio —- No. Assolutamente no. Valerio (si alza, gira attorno al tavolo, ■pensa, poi si avvicina al telefono) — Dove abita? Maurizio — Che cosa vuoi fare? Valerio — Dove abita? Lucia —• Devi solo rispondere! Valerio —- Ha il telefono? Maurizio — ... sì... Valerio — Con chi vive? Maurizio — Solo, in una camera d'affitto. Valerio —■ Perché, solo? Maurizio •—• I suoi padroni di casa sono via per tre giorni. Valerio — Dammi il numero... (Scostandosi) Fallo tu, chiamalo tu. Maurizio —- No! (Lucia gli è accanto e lo urta verso il telefono. Maurizio segna un numero e attende) Nessuno risponde. Valerio — Resta in comunicazione. Risponderà. Maurizio —• Che debbo dirgli? Valerio — Che mi hai detto ogni cosa... che vo glio parlargli... (A Lucia) E’ una cosa spaventosa. Lucia —• Dio ci perdonerà. Valerio — Domattina bisognerà subito avere il giornale. Lucia — E’ giorno, ormai. Ci penserò io. Valerio — Non bisogna servirsi della donna. Lucia — Certo no. (E colla rivoltella sempre stretta nelle numi, rivolgendo gli occhi al cielo) Tu vedi, SULLE STRADE DI NOTTE signore Iddio, come siamo disperati. Aiutaci. Pro teggici, anche se quel che stiamo facendo... Maurizio (improvvisamente) — Pronto?... Pron to!... sono Maurizio! Sei tu, Mario? Rispondi! Ma rio!... La voce di Mario — Pronto1. Maurizio —- Sei Mario? La voce — Sì. Maurizio —• Mio padre sa tutto... vuole parlarti... Pronto?... Pronto?... Rispondi!... (Guarda Valerio, posa il ricevitore sul tavolo, si scosta). Valerio (all’apparecchio) — Sono l’avvocato Ros- sello... M i sente? La voce — Che cosa vuole da me? Valerio — Ora non le sto a spiegare... Fra qual che ora verrò da lei... Dovrà aprirmi, suonerò tre volte... Risponda se va bene... La voce — Io non capisco... Svegliarmi a que st’ora... Valerio — Io non l’ho svegliata affatto... lei non poteva dormire... Sarò dunque da lei... lei dovrà attenersi a tutto ciò che le dirò... non dovrà vedere nessuno... non uscire... M ’intende? (La voce non risponde) Perché non risponde? Preferisce che la denunci insieme a mio figlio? La voce •— Sì, ho capito. Valerio -—• Non ho altro da dire. (Posa il micro fono. Lucia si piega lentamente su se stessa e cade. Maurizio fa subito per sollevarla. Valerio, con forza) Non la toccare, tu!... (Gli è addosso, lo urta lontano) Non toccarla!... (La solleva di peso, poi, tenendola sulle braccia, muove verso la camera da letto. La rivoltella è rimasta in terra). A T T O T E R Z O Dalla fine del secondo atto sono trascorse più di tre ore. Sono quasi le otto del mattino. La luce è accesa soltanto nel corridoio. Nelle due stanze, la luce del giorno. Cartelle e fogli sono stati rac colti e malamente ammucchiati sul tavolo. Sul tavolo, cè sempre la bottiglia di cognac e i tre bicchieri. Il letto è stato rifatto alla meglio. Sul letto, una valigia aperta. Una valigia-baule, pure aperta, è in terra, accanto alla toletta. Maurizio, vestito, ma senza cravatta, è nello studio, accanto alla finestra, e guarda fuori. Sembra che si regga per puro miracolo. Lucia, pure vestita, scende la scala a chiocciola portando degli indumenti del figlio. La sua espressione è da allucinata. Lucia (dirigendosi verso la camera da letto) — Maurizio!... (Le due porte che danno nel corri doio, sono spalancate. Maurizio volge appena il capo. Ponendo gli indumenti nella valigia che sta sul letto) Maurizio!... (Alzando il tono) Perché non rispondi? Dove sei? RENATO LELLI Maurizio (lascia la finestra, si appoggia al tavolo) — Sono qui... Lucia — Ti sei vestito? Sei pronto? Maurizio •—■ ... Sì... Lucia (dirigendosi verso la piccola porta a muro) —• Fatti vedere... (Maurizio muove verso il corri doio. Lucia scompare nello spogliatoio. Maurizio entra appena nella camera da letto. Lucia ricom pare con degli indumenti suoi che va a posare nella valigia-baule. Trilla il telefono. Lucia «vola» verso il telefono, nello studio. Maurizio, che ha guardato di scatto verso lo studio, si sposta all’in- dietro, verso il letto) Pronto... Pronto... Pronto!... Non risponde nessuno. Pronto! (Posa lentamente il ricevitore, pensa per un attimo e ritorna in camera da letto) E’ un tormento per ogni più pic cola cosa. (Riprende a disporre i - suoi indumenti) Non so come faccio a stare in piedi. E Valerio non torna, Valerio non torna... (Guarda Maurizio) Per ché non metti la cravatta? Bisogna essere a posto come gli altri giorni. Avanti, non restartene così immobile. (Maurizio si dirige verso il corridoio) E il soprabito! Dev’essere a portata di mano anche quello! (Maurizio si dirige verso la scala) E il cap pello! Devi nasconderla, quella ferita alla fronte! (Maurizio sale, scompare. Lucia siede alla toletta e si pettina frettolosamente e nervosamente. Trilla il telefono. Corre all’apparecchio) Pronto... La voce di Valerio — Pronto, Lucia... Lucia —• Sei tu, Valerio! Finalmente! Qualcuno ha chiamato, poco fa, e nessuno... La voce — Ascoltami. Cerca di non agitarti trop po... Io torno a casa subito... Lucia — Sì, sono calma... ma non tardare, non lasciarci qui soli... La voce — Torno subito. Lucia — E non hai niente da dirmi? La voce — Ho il giornale... Non è morto... Lucia —■ Oh, Dio sia lodato! E nemmeno grave? La voce — No. Ma ora ti lascio. Lucia — Valerio, un momento... Dimmi se ha parlato, se li ha riconosciuti... La voce — Ti dirò a casa. Lucia — E’ giusto, è giusto. Vieni presto. (La voce borbotta qualcosa) Come? Parli così piano! La voce (quasi scandendo) —• L’hai veduta la mia rivoltella? Guarda se è ancora in terra, dove ti è caduta stanotte... Lucia (guardando) — No, non c’è... Io non l’ho toccata... La voce — Non importa, non pensare... Sarò lì fra poco. Lucia — Valerio... l’hai veduto il ragazzo? Va lerio! (Non ottenendo risposta) Valerio! (Lascia l’apparecchio. Respira forte) Non è morto. Dio mio, non è morto. Oh, Signore, ti ringrazio. (Mau rizio scende col cappello in mano e il soprabito sul braccio. Ha messo la cravatta. Lucia va ad aprire i cassetti del tavolo e vi fruga. Non trova quel che cerca e li richiude) Maurizio!... (Corre sidla porta che dà nel corridoio) La rivoltella di tuo padre, quella che mi è caduta di mano sta notte... dovè? Maurizio — ... Non lo so... Lucia (rientra nello studio. Guarda attorno. Fru ga tra i cuscini delle poltrone) — Qui non mi sono seduta... almeno non ricordo... (A Maurizio) Guarda in camera mia... (Maurizio resta fermo nel corridoio. Lucia va nel corridoio) Ti ho detto di guardare di là! (Fa per entrare nella camera, si ferma. Guarda il figlio, gli va accanto, gli toglie di mano cappello e soprabito che getta ma lamente sulla cassapanca, malamente lo afferra per il bavero della giacca, e lo scuote) Dove, quell’arma? Non 'puoi averla presa che tei Che te ne vuoi fare? Sparare anche contro di noi? Bada, Maurizio, che se non mi dici subito dov’è, io non lo so, sai, cos’è che posso fare! Ho i nervi a pezzi, ho la testa che mi scoppia... ho un tale desiderio di gridare forte chi sei e che cosa sei, da non poterne più! E guai, sai, guai, se riesco d’improvviso a veder proprio chiaro in questo ma rasma dove hai cacciato anche noi, insieme a te! (Gridando) Dov’è quell’arma? Maurizio (liberandosi ed entrando nello studio) —• ... Ho detto che non lo so... (Lucia ha un at timo di smarrimento, poi, invece di seguirlo, entra in .camera da letto e cerca tra le coltri e ovun que. Maurizio, nello studio, è come una piccola belva che cerca una vìa di scampo). Lucia (sempre cercando) — Se s’impazzisse, non si capirebbe più! Oppure morire. Che cos’è la morte, se di tutto ti libera! Allevare un figlio nel l’amore... adorarlo... difenderlo... curarlo... scusar lo... scrutarlo giorno per giorno, ora' per ora... averlo sempre dentro di sè come quando lo si concepì, e non avere mai sentito che ti ingannava, che piantava a poco a poco le sue unghie avvele nate nella tua carne... Non aver mai sentito! (Stre mata di forze siede sul letto. Maurizio ha tolto di tasca la rivoltella del padre e la guarda. Le mani gli tremano) Volevi molto denaro, per andare chis sà dove. E dove andavi? E che cosa ti mancava, qui? Ma volevi procurartelo colla mentalità dei delinquenti. E dei delinquenti, ora, ne sconterai la pena. Anche se riuscirai a sfuggire alla giusti zia. Ma noi due, noi due, perché dobbiamo scon tare anche noi? Non è giusto! Cosa sono questi sentimenti che ci legano? Perché ci sono? E questa febbre per salvare qualcosa. Perché c’è? Perché si deve crollare tutti e tre? (Ha come un risveglio, si comprime la fronte, si alza, si dirige verso il corridoio. Maurizio, accorto, rimette la rivoltella in tasca. Nello studio) Era qui, perché qui me ca duta! E’ venuto in mente a tuo padre, me lo ha telefonato... Non c’eravamo che noi... Maurizio —• Hai detto bene tu, mamma: desi derare la morte. (Lucia si immobilizza, tace e non lo guarda) Ed è già tanto che ci penso. Ma ne ho sempre lo stesso terrore. E se lo puoi capire, io non so ancora bene quello che ho fatto. Pro prio... come se avessi vissuto e stessi vivendo la vita di un altro. (Lucia si sforza per mostrarsi un poco tranquilla) E’ così. Se parlo, mi pare di non riuscire quasi ad intendermi. Se vi guardo, non vi riconosco quasi più. E niente, mi è più riconosci bile! Sono come nel vuoto. So soltanto che sono vivo. Lucia (lentamente e timorosamente) — Lo sai... che quell’uomo è solo ferito? E nemmeno gra vemente? MAURtzio (stupito e subito agitato) ■— Chi te l’ha detto? Lucia — Tuo padre. C’è solo da sperare che non vi abbia riconosciuti. Maurizio (di scatto, diverso, già pieno di mille speranze) — No, questo no. Lucia (marcando) — Che non abbia visto in voi qualcosa per cui si debba temere! Maurizio —• Nulla, nulla, non può aver visto nulla. Lucia —• Non possiamo ancora esserne certi! Maurizio — Ma certo, sono! Se mi domandi co m’era lui, non saprei dirtelo! Lucia (avvicinandolo) —• Dammi quella rivol tella... Maurizio (scostandosi) — E l’altro? Se qui si fa di tutto per salvarci, non potrà l’altro fare qualcosa per perderci? Lucia — Non lo farà. Maurizio — Senza volere! Lucia — Non lo farà. C’è tuo padre, ora, da lui... Dovrà attenersi a quel che gli dirà... Maurizio —- Ma ci si atterrà, poi? Come pos siamo esserne sicuri? E’ solo! Non sarà prudente! Lucia (avvicinandolo cmcora) — Che cosa vuoi dire, con questo? Maurizio (verso la porta che dà nel corridoio) — Non lo so! Se nessuno gli è accanto per sorve gliarlo... Lucia — Ti ho già detto che c’è tuo padre! Maurizio — Ma lo lascerà! Lucia — Che cosa vuoi fare? Maurizio (entrando nel corridoio) — Andare da lui, restare con lui... Lucia — No, Maurizio! Maurizio (prendendo cappello e soprabito) — E’ SULLE STRADE DI NOTTE uno spavaldo... Da solo, chiuso in casa, non ci resterà! Lucia (sulla porta) — Non ti muovere! (Maurizio sta per scendere la scala) Te lo ordino! (Maurizio si ferma) Non sei ancora salvo, se noi non ti si aiuta! (Maurizio ritorna) Riponi quella roba! (Mau rizio ripone cappello e soprabito sulla cassapanca. Lucia tendendo una mano) E ti ordino di conse gnarmi quella rivoltella. Vuoi servirtene ancora? Vuoi andare a sopprimere il tuo complice? Quando si è cominciato a scendere, si rotola. Ubbidisci! (Maurizio toglie di tasca la rivoltella e gliela dà. Litcìa, stringendo la rivoltella nelle mani) E non ti muovere, sai, non ti muovere. (Rientra nello studio, si avvicina ad una poltrona e vi cade so pra) Sarebbe tanto peggio per te. (Abbandonando il capo sullo schienale) Oh, mio Dio! avrei tanta voglia di piangere! M aurkio (sulla porta dello studio) — Come ha saputo che non è nemmeno grave... Lucia — Dal giornale. Maurizio (entrando) —- E che dice, ancora... LucrA (socchiudendo gli occhi) —■ Non lo so. Maurizio (portandosi dietro di lei) — Se mi sal verò, sarò tanto diverso. (Lucia sembra che dorma) Non avrete più a lamentarvi, di me. Lo giuro. Sì, lo giuro, anche se non potete più credermi, anche se non ho più il diritto di dirlo. Quell’uomo gua rirà... sarà stata solo una brutta avventura... tutto sarà cancellato... Una brutta, orribile avventura come la nostra. Cancellato, come fra qualche tempo la mia ferita alla fronte. Dimmelo, mamma, dim melo che verrà un giorno in cui nessuno più ri corderà! Non lasciarmi credere che per tutta la vita, io dovrò trascinare questo peso! Non m’im porteranno i brutti sogni, se quando aprirò gli occhi tutto sarà invece luminoso e tranquillo! (Co prendosi il volto colle mani) Vorrei non parlarne e non posso! (Scoprendosi) Dei pazzi. Dei pazzi. Facile doveva essere la fuga. Facile passare il con fine. Facile scomparire. Facile la nuova vita. La ricchezza e la fortuna, ci avrebbero sempre tenute per mano. Proprio degli incoscienti. Qui la scuola era una pena. L’insegnante un nemico. I genitori un ostacolo alla nostra volontà, alla nostra libertà. I padroni del mondo, capisci? Senza più obblighi, senza più legami... (Ode un rumore e tace. Guarda verso il corridoio e indietreggia sin quasi contro la libreria. Lucia solleva il capo, guarda anch’essa verso il corridoio, si alza, corre accanto al ta volo, apre un cassetto e vi ripone la rivoltella. Dalla scala sale Valerio, lentamente, faticosamente. Sambra invecchiato di molti anni. Nel corridoio, si toglie il soprabito e il cappello, entra nello stu dio, si sofferma, guarda Maurizio che abbassa su bito il capo e poi guarda Lucia). RENATO LELLI Lucia {fremente) — La rivoltella era qui nel cas setto. Io, forse... e non ricordavo... {Valerio getta soprabito e cappello su di una poltrona, poi muove verso il telefono e solleva il ricevitore) Perché non parli? Valerio! Che fai? {Valerio non risponde. Se- gna un numero e attende) A chi telefoni? Rispondi! {Maurizio esce dallo studio, entra in camera da letto, va a sedere sul piccolo divano, volgendo le spalle. Valerio ha atteso inutilmente. Posa il mi crofono. Siede) L’hai veduto? Gli hai parlato? Valerio — No. Lucia — Perché? Valerio — Perché non ho potuto. Sembrava che tutti mi guardassero, quando mi sono avviato per quella strada... Che tutti dovessero riconoscermi e stupirsi... Ho suonato alla porta e nessuno mi ha aperto... Ho risuonato non so più bene quante volte... Mi sentivo colpevole, eppure aspettavo che mi si aprisse. Finalmente una donna mi ha con sigliato un piccolo caffè dove lui è solito andare. Ci sono andato, ho ordinato qualcosa sedendomi a un tavolo... Nel locale, appoggiato al banco, non c’era che un ragazzo... Ho avuto l’impressione che vedendomi si mettesse in sospetto... Aspettava del latte che gli stavano scaldando... L’ho tanto guar dato, fingendo di leggere il giornale... E anche lui, senza parere... sino a che mi è venuto vicino per chiedermi il foglio, un attimo solo. Gliel’ho dato... l’ha sfogliato abbastanza tranquillo... e non s’è soffermato su niente. Me lo ha restituito, mi ha ringraziato, pareva volesse chiedermi qualche altra cosa, pareva che avesse indovinato chi ero e non osasse domandarmelo... E anch’io, come lui. Poi è andato a bere il suo latte... Lucia {interrompendolo) — Voglio vederlo anch’io, questo giornale! Valerio — Non m’interrompere... (E, sviato, ri cerca il filo. Maurizio tende l’orecchio) Ha anche lui una ferita, ma alla guancia... Il barista gli ha chiesto come mai, e la risposta è stata semplice e logica : « Con quella motocicletta, cado quasi ogni giorno! Bisogna che mi decida a venderla! »... e ha riso. Male, ma ha riso. Non poteva dunque es sere che lui. Non ha pagato ed è uscito, mentre l’uomo del bar scriveva su di un pezzo di carta... e parlava rivolto a me, senza che io lo avessi inter rogato. Ha detto che è studente... che paga di tanto in tanto... che ha una camera in affitto che presto dovrà lasciare perché non è mai in regola col pagamento... che i suoi vivono in campagna... brava gente!... e che anche il ragazzo, in fondo, è un bravo figliolo... Solo un po’ strano. (Si alza) Benché ne fossi ormai certo, avrei voluto chieder gli il nome, ma non l’ho fatto per non destar so spetti. Poi me ne sono uscito anch’io, e ben de ciso a risuonare a quella porta... ma non ho più potuto. (Ritorna al telefono, segna un numero e attende. Lucia fruga subito nelle tasche dell’im permeabile e non vi trova il giornale. Valerio, al telefono) Pronto? La voce della signorina di studio — Studio dell’avvocato Rossello... Valerio ■— Sono io, signorina... La voce — Buon giorno, avvocato... Valerio — Volevo dirle che non mi sento bene, stamattina... e non so nemmeno se in istudio po trò venire nel pomeriggio... (Maurizio, in camera da letto è sempre attentissimo. Lucia, accanto a Vale rio, lo tiene per un braccio). Disdica, dunque, per favore, tutti gli appuntamenti e non appena giun gono i miei sostituti li avverta... Penseranno loro a giustificarmi in tribunale... La voce — Sissignore. Oggi, poi, non ci sono nem meno cose importanti... Valerio — Per fortuna. La voce — Ma che cos’ha, avvocato? Valerio — Niente, niente, non si preoccupi. Pro prio niente. Cedo più che altro alle insistenze di mia moglie. La voce — Qualche volta avrà pure il diritto di sentirsi anche male, no? Valerio (ridendo appena) — E’ quello che penso anch’io. La voce — E per la conferenza all’Ordine degli avvocati? Valerio — Vedo come si mette il malessere e, al caso, telefono io. La voce — Rimanderanno la conferenza! Valerio — Ecco. Grazie, signorina... e che nes suno si disturbi, per venire qui. Lo dica. La voce — Bene. Tanti auguri. Valerio — A rivederci. {Posa il ricevitore). Lucia (subito) — Il giornale, Valerio, dov’è il giornale... Valerio -—- Il giornale... {Pensa. Lucia si scosta e lo guarda. Valerio, appoggiandosi di schiena al ta volo) Non mi sembra vero, sai, Lucia... non mi sembra ancora vero. {Quindi) Il giornale debbo averlo lasciato in quel caffè. Lucia —- Ma allora... queste notizie... Maurizio {lasciando la camera da letto) —• Scendo io, un momento... Lucia {gli grida) -— Tu non ti muovere! Valerio {pure gridando) — E non parlare! Non la voglio sentire, la tua voce!... e non voglio ve derti!... Maurizio {ritornando nella camera da letto, an ch’egli ad alta voce) — Dovevi vederlo e non hai potuto... (Valerio, fuor di sé, muove verso il cor ridoio. Lucia, davanti, lo trattiene a stento) Dovevi consigliarlo e non l’hai fatto... Valerio — Ti ho detto di tacere! Maurizio — Non posso più! Lucia — Maurizio! Maurizio (timoroso e audace) — Aspettate forse che commetta qualche sciocchezza... che ritorni in quel caffè... Lucia — Maurizio! Maurizio — E non posso più aspettare, non posso più star fermo! Valerio — Io ti stroncherò, se non la smetti! Lucia (trattenendolo ancora) — Ti prego, Vale rio. Ti prego! Valerio — Assassini... che aspettate al varco un disgraziato che se ne ritorna a casa tutto tranquillo per derubarlo... e se si ribella, lo battete... e se sta per essere il più forte, lo colpite colle armi! Vigliacchi! Se non puoi più tacere, che cos'è che puoi dire? Siete dei ladri! Dei delinquenti! (Lascia Lucia e gira... gira... Lucia si pone sulla porta e tende le braccia verso di lui per indurlo alla cal ma. Maurizio si è avvicinato alla finestra) Se non puoi più aspettare, vattene! Ve ne sono degli al tri uomini che di notte viaggiano con dei quat trini! Ritenta ancora! Colpisci ancora!... e vola, vola verso il carcere sicuro! Il carcere che meriti! E a vita, dovrebbero tenervi! Se non puoi più star fermo, là ci starai! (Dirigendosi verso la porta sem pre sbarrata da Lucia) Non ho potuto parlargli, perché era già troppo ch’io fossi dov’ero! Lucia — Le parole non servono, le parole non servono a niente! Valerio — Non l’ho consigliato e non lo consi glierò. Mi sono ridestato in tempo dal commettere un errore che se avesse salvato la tua pelle avrebbe poi guastato la mia coscienza e quella di tua ma dre! Bisogna ridestarsi, Lucia! Lucia — Sì, Valerio, parole sante, ma si tratta di nostro figlio (Valerio la guarda, senza parole) E non guardarmi così... (Si scosta e cammina die tro di lui) Pazza, pazza... ma non posso fare altri menti. Non è morto... i denari gli sono rimasti... Valerio (paurosamente calmo) — La colpa non è minore! Lucia — Per me, sì. Valerio — Proprio pazza... come lo sono stato io per qualche ora soltanto... Lucia — E come lo sarai ancora se è vero che mi vuoi bene. Valerio (esasperato, tappandosi le orecchie) — Non venire a patti ignobili! (Maurizio lascia la ca mera da letto, è nel corridoio). Lucia (accorta) — Dove vai?... (Corre alla porta) Non fare il gradasso... e non credere che ti si salvi per te! Ti si salva per noi! E non è ancora certo1. (Maurizio siede sulla cassapanca. Lucia, accanto a Valerio, stringendogli una mano su di una spalla) Tenta di comprendermi... Voglio salvarlo e lo ripe SULLE STRADE DI NOTTE terò all’infinito. Ma non credere che se dovessi dare ascolto al mio istinto, non lo punirei colle mie stesse mani... Lo fulminerei. Non credere che quando questo terribile momento sarà passato, io non giungerò a vederlo come dovrei apche adesso. Oh, sì! Forse lo odierò. Lo detesterò!... mi darà spavento!... ma ora... ora è solo mio figlio!... e non lo consegnerò nelle mani di nessuno, nemmeno nelle tue, costi quel che costi. Valerio (alzandosi) — In te c’è solo egoismo! Sal vare tuo figlio, salvare il mio lavoro! Trarre dal naufragio una barca che affonderà qualunque sforzo tu faccia! Se non oggi, domani; se non domani... un altro giorno qualunque! Lucia — Non si può dire. Valerio — Perché sei cieca. (Siede al tavolo) E cieco avrei voluto essere poco fa, tornandomene a casa, quando ho pensato più volte di gettarmi sot to alla prima macchina che passava! Non me ne sarei nemmeno accorto, di... (Lucia ha un singulto e nasconde il viso nelle mani) Ma qui tu mi aspet tavi... quindi non dovevo. Ho negli occhi quell’ar ticolo, sempre quell’articolo di giornale, a grandi caratteri... Le prime supposizioni, le prime indagini, già di notte i primi fermi... (Maurizio si è alzato, attentissimo). Lucia (accanto al tavolo) — Non temerai per que sti! Non avendo prove, li rilascieranno! Valerio — ... per continuare a cercare!... a cer care!... nelle sale pubbliche o nelle case private dove si è ballato in abito da sera... e si segneranno i no mi di tutti... e si chiederà se qualcuno, pur avendo promesso, non è intervenuto. Lucia — Perché in abito da sera? Valerio — Perché quell’uomo che non ha po tuto riconoscerli, ha però dichiarato di aver visto, alla luce dei fari della sua macchina, che uno dei due, sotto il pastrano, indossava uno smoking... Lucia — Non significa niente! Valerio — Nulla, significa per te! Lucia (verso il corridoio) — Lo si fa sparire! Lo si brucia! (Maurizio è già sul primo gradino della scala a chiocciola. Fermo, guarda verso la porta dello studio come in attesa di un ordine. Lucia, sulla porta, a Maurizio) Hai sentito? Portalo giù, non perdere tempo! (Maurizio scompare, salendo). Valerio — Non servirà! Lucia (volgendosi verso di lui) — Servirà certo, invece. Valerio — E se verranno anche qui, per chiedere dov’era tuo figlio, stanotte, che cosa risponderai? Lucia (dopo un attimo di smarrimento) — Lo chie deranno anche a te! Valerio — Che cosa dovrò rispondere... Lucia — Si penserà, si cercherà un alibi! Valerio — E per le sue ferite? RENATO LELLI Lucia (in un grido) — Non analizzare così! (Si muove agitatissima, -poi) Dato che non ho ancora capito, dimmi se tu senti il tuo dovere solo per il timore che egli venga scoperto! (Valerio la guarda e tace) In altre parole: se tu fossi certissimo che nessuno lo scoprisse mai, vorresti denunciarlo ugual mente? (Valerio continua a guardarla e a tacere. Lucia, accanto al tavolo, di fronte) Dimmelo, Va lerio! Valerio — Non lo so più. (E abbassa il capo. Lu cia si muove per andargli vicino. Trilla improvvi samente il telefono. Valerio, solleva il capo di scatto e guarda l’apparecchio. Lucia, si immobi lizza, come agghiacciata, cogli occhi sull’apparec chio. Il telefono continua a trillare. Maurizio scen de tenendo infagottato il suo smoking e sosta nel corridoio, ai piedi della scala, in apprensione). Lucia —- Bisogna rispondere. (Valerio posa una mano sul ricevitore) Ricordati di lui, di te e di me. Valerio (solleva il ricevitore e lo porta all’orec chio) —■ Avvocato Rossello... La voce di Mario (concitata, sempre udibilis sima) — Pronto... pronto, avvocato... io ho tanto aspettato... la sto aspettando ancora... Perché non è venuto?... perché non viene? ... perché mi fa tanto penare?!... Io non ne posso più, non resisto più!... Pronto? Risponda! (Valerio stacca il ricevi tore dall’orecchio e lo guarda) Sono uscito solo un momento per bere qualcosa... credevo di svenire... Forse era lei quello che è entrato in quel caffè e mi ha tanto guardato... Me lo dica!... Le ho chie sto un giornale che avevo già letto... Perché non risponde? Come avrei potuto rivolgerle altre do mande?... Sono qui solo, mi sembra di ammattire... mi vado ripetendo che non è morto, che non e morto, per sollevarmi un po’, ma non serve!... Vor rei barricare la porta con tutto quel che ho qui!... ogni rumore sulle scale, mi batte sul cervello!... correrei alla finestra per gridarlo a tutti, quello che ho fatto!... Per liberarmi! Vorrei partire, per rag giungere i miei... Io non lo so cose meglio fare!... ma farmi arrestare no, farmi arrestare no!... Tut to, ma non lasciarmi prendere! Risponda! Valerio (avvicinando il microfono alla bocca) — Risponda a me: chi è stato, a sparare, dei due?... (.Maurizio muove qualche passo verso la porta del la camera da letto) La voce — Non lo so, non lo so... (Lucia si av venta contro Valerio e tenta di strappargli di mano il microfono). Valerio (impedendoglielo energicamente) — Chi è stato, a sparare?... La voce — Ripeto che non lo so. Le rivoltelle le abbiamo sepolte... Gliel’avrà detto! (Imperioso) In- somma, lei m’ha promesso di venire e deve venire! Sono anche senza denaro!... Non può lasciarmi così! M ’intende? Valerio —- Non urli, la sento! La Voce — E allora?!... Valerio — Fra pochi momenti richiamerò io. At tenda. La Voce -— Pronto!... pronto!... pronto!... (Vale rio abbassa il ricevitore e muove verso il corridoio). Lucia — Dove vai? (Valerio non risponde. Mauri zio lascia cadere lo smoking infagottato e si avvi cina alla portq). Valerio ■— Chi ha sparato, dei due?!... (Lucia muove qualche passo verso Valerio. Maurizio tace e abbassa il capo) Tu vero? Hai sparato tu! (Mau rizio tace ancora) Io lo sapevo. (Rientra nello stu dio. Giunto al tavolo vi si appoggia, piegato in avanti) Vieni qui! (Maurizio entra nello studio, lentamente). Lucia — Ora non darai ascolto all’altro, che per difendersi... Valerio (volgendosi) ■—■ Sono dei piccoli camorri sti senza scuse! Sono piaghe spaventose che se gnano nel tempo quest’epoca di disfacimento mo rale! Sono dei focolai da distruggere senza pietà! Lucia (inconsciamente) —- Non sempre! Valerio — Sempre, sempre. Anche se una ma dre grida, implora, supplica e giunge a patti do lorosi. Lucia —- Sì, Valerio, e li mantengo. (Esce in fretta dallo studio, entra nella camera da letto, raccoglie lo smoking infagottato e lo comprime nel la valigia-baule). Valerio (alzando il tono) — Anche se perisce tutta l’opera mia? Lucia (gettando roba nella valigia) — Sì. Valerio — Anche se tutta la famiglia va in sfa celo? Lucia — Sì. Valerio — E va bene. Maurizio... (Lucia si im mobilizza) ... tu ti consegnerai alla Polizia... Lucia (in un grido) — NoooL. Siamo noi i mag giori colpevoli, noi .che gli abbiamo dato la vita, che lo abbiamo fatto così, che non abbiamo saputo conoscerlo, cambiarlo... per la nostra debolezza, per il nostro cieco amore! Noi, noi! (E corre nello studio). Maurizio — Mamma! Lucia (lo stringe a sé e lo bacia follemente sul viso, tante e tante volte) — Non dargli ascolto, sai, non dargli ascolto. Valerio — Libero così, non sarebbe più vita la sua... Lucia — Non dargli ascolto, non dargli ascolto... Valerio — E non sarebbe più vita la nostra... Lucia — ...non dargli ascolto. (La lascia e a Va lerio) Si tenta, si tenta. (Ritornando in camera da letto) Se nemmeno lui sapeva d’essere quello che è, come potevamo saperlo noi! (E chiude la va ligia). Valerio — Tua madre non ragiona per la soffe renza, non c’è altro da fare... Maurizio (■piangendo) — Papà! Lucia (brontola, quasi tra sé) — Non dargli ascolto! (Porta la valigia ai -piedi della scaletta e ritorna in camera da letto dove chiude la valigia-baule). Valerio — Tu, un giorno, alla giustizia, avrai pagato. Siamo noi due che non sapremo mai a chi pagare! Noi due! E per la mia ambizione, per la mia felicità e per il mio onore... Ma questi, forse, non sono debiti tuoi. Piangi, piangi, se senti la volontà di piangere. A me non riesce ancora, ma penso che ne avrò tutto il tempo. Lucia (che sta tentando di trascinare la valigia- baule nel corridoio) — Maurizio, vieni ad aiu tarmi! E chiama un tassì! Non ce la faccio da sola. (Maurizio corre in camera da letto per aiutarla. Valerio si è avvicinato al telefono. Maurizio e Lu cia trascinano la valigia-baule nel corridoio. Vale rio segna un numero al telefono. Lucia siede sulla valigia-baule e attende trepidando. Maurizio si strin ge alla madre). Valerio (all’apparecchio) — Pronto? La voce della signorina dello studio del l ’avvocato Gigante —• Pronto? Studio dell’avvo cato Gigante. Valerio — Sono l’avvocato Rossello. La voce — Le dò subito l’avvocato. Attenda. Lucia — Bada, Valerio, che se lo denuncerai, non mi ritroverai mai più! Mai più, intendimi bene! La voce d e ll’avvocato Gigante — Pronto, Va lerio! Oggi, poi, come ti ho detto stanotte, passo da te... Valerio — Ascoltami attentamente, ti prego, e senza interrompermi, nemmeno con una parola... T i chiedo un grande favore... Si tratta di una cosa molto grave, forse incredibile... Lucia (soffocando un grido) ■—■ No!!! Valerio — Questa notte mio figlio ha commesso un reato spaventoso... I giornali di stamane possono raccontartelo... Grassazione e ferimento della vit tima... Maurizio è uno dei due... Avrà dunque necessità della tua assistenza legale... (Anche Mau rizio siede sulla valigia-baule, stretto stretto a Lu cia) Questa notte m’hai chiesto quando sarebbe venuto, per te, il momento di essermi utile... Ecco, SULLE STRADE DI NOTTE dunque. Ti aspetto qui... Non farne ancora pa rola... Io stesso, fra poco, lo denuncerò. Poi lo affiderò a te, anche per accompagnarlo. La voce •— Ma che dici? Valerio —■ Scusa! (Non può continuare e lascia l’apparecchio). Lucia (si alza, entra nello studio, barcollando) — Non dovevi, non dovevi, Valerio! Valerio — Perché sei ancora fuor di te... ma ti ritroverai. E non credere che non stia soffrendo!... che non stia lottando! Pensa soltanto se ci fossi rimasto io, stanotte, là in terra, colpito!... Che cosa avresti voluto, per i miei aggressori, che cosa avre sti preteso?... Lucia — Ognuno pensa a sé! Valerio — Io penso al mio dovere, e il mio dovere è questo. Lucia — Vuol dire, allora, che non ami abba stanza tuo figlio! Valerio — Tu bestemmi, Lucia! Lucia — ... perché io lo amo anche così com’è fatto. Forse ancora di più. (Si avvicina ad una pol trona e siede. Trilla il telefono). Valerio (al telefono) — Avvocato Rossello... La voce di Mario (disperata) — Perché mi fa tanto aspettare... M i ha detto qualche momento e sono ore, ore, ore... Valerio —• M i lasci parlare... Stavo appunto per chiamare... e per dirle che fra un’ora io stesso de nuncierò mio figlio... La voce —-No, non è vero! Valerio — Fra un’ora, ripeto. Su di lui ho dei diritti che non ho su di lei: perciò l’awerto... La voce — Voglio che Maurizio venga all’appa recchio... voglio sentirlo dire da lui... Valerio — Maurizio non le parlerà... La voce — E’ stato lui, è stato lui a sparare!... Se denunciandolo mi denuncerà, io la dirò la ve rità... Valerio —■ Non denuncerò che mio figlio!... e mio figlio non so come si comporterà. L’awerto in tempo, un’ora prima, perché lei possa decidere come crede meglio. Restare o fuggire... La voce — Lei mi ha ingannato perché mi trat tenessi!... è stato un tranello, il suo, una vigliac cheria!... Valerio —■ Un’ora, ripeto!... e non un minuto di più. La voce (disperata) — Maurizio... Maurizio!... Maurizio!... (Valerio abbassa il ricevitore). * Copyright hy Renato Lelli C i f r e a l l a m a n o e l o c r e d e r e b b e n e s s u n o ) b a t t e B o S p o r t i l T e a t r o ( n o n LO SPORT HA ACCUMULATO NEL 1955 POCO PIÙ DI OTTO MILIARDI IL TEATRO HA INCASSATO UN MILIARDO DI PIÙ Dai rilievi compiuti dalla SIAE (Società Italiana Autori Editori) ri sulta che la spesa del pubblico per i vari spettacoli è salita nel 1955 a 147,6 miliardi di lire da quella di 134,2 miliardi di lire del 1954. Il ritmo delle spese per spet tacoli è proporzionalmente in au mento soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, pur mantenendosi in tutta la penisola, in termini assoluti, en tro limiti relativamente modesti, e risultando all’ultimo posto nelle varie categorie dei consumi privati. Tra i vari tipi di spettacolo, la spesa complessiva di 147,6 miliardi di lire si suddivide come segue: 116,7 per il cinematografo (79% del totale); 12,8 miliardi per il ballo e i trattenimenti vari (8,7%); 9 mi liardi per le manifestazioni spor tive (6,1%) e circa altrettanto per il teatro (6,2%). Tra il 1954 ed il 1955 la spesa com plessiva aumenta del 10%, quella per il cinema sale dell’11%; quella dello sport del 13,7% e dei trat tenimenti vari del 9,5%. Per il teatro, invece, nonostante l’inter vento statale, la spesa diminuisce del 2,6%. Anche nel primo seme stre del 1956 la spesa del cinema tografo non è stata inferiore a quella del corrispondente periodo del 1955. H La spesa degli spettacoli in Italia è, dunque, in aumento. Essa è salita da 134 miliardi nel 1954 ad oltre 147 miliardi nel 1955. Eligio Possenti ha così commentato la notizia: « I dati sono stati desunti dall’Annuario statistico sullo spettacolo in Italia, pubblicato dalla Società degli Autori. Essi offrono l’opportunità di due note. « Premesso che gli italiani hanno speso complessivamen te la bellezza di 147 miliardi per divertirsi durante l’anno 1955, ed esclamato: ” Che bel la cifra! ” e rimpiangendo tut te le cose utili che si sarebbe ro potute attuare con quella le cifra nel nostro Paese, indu giamo rapidamente a conside rare quello che più interessa la nostra professione: il teatro di prosa. « Le manifestazioni sportive hanno accumulato 8 miliardi e rotti. E’ molto, certo, ma non quanto un profano pote va aspettarsi date folle ” oceaniche ” che vengono sempre denunciate sui giorna li e alla RAI per ogni riunione di boxe, calcio, ciclismo e via via. Anzi comunemente si di ce che va più gente agli stadi che ai teatri. E allora com’è che il teatro, poverino, non strombazzato, non sorretto da grandi esibizioni di pagine nei giornali ha incassato nove mi liardi e rotti, cioè un miliardo più dello sport? « Il teatro, e specialmente quello di prosa, se, come si dice, è in fase decrescente, (ma se ha realizzato più dei decantatissimì affollamenti de gli stadi!) deve recitare il ” mea culpa” ? Quali conclu sioni si dovrebbero trarre? Che la televisione l’ha dan neggiato, che il cinema segui ta a danneggiarlo, che gli al tri divertimenti tendono a danneggiarlo? Tutte belle e fondate ragioni. Ma non ve ne sono altre più serie e più pertinenti? Non ne allontana il pubblico il repertorio che si è rappresentato nell’anno 1955? Non devia il pubblico il sistema, ormai invalso, di imporgli una commedia per un mese o due, senza invitar lo a frequentare i teatri col mutamento degli spettacoli? Non lo induce a scegliere al tro modo di passare la sera, o di farsi una cultura il me todo dei registi di mettere in scena le commedie che piac ciono magari soltanto a loro e che sono lontane dalla sensi bilità della massa? Non lo di samora dal teatro la recita zione meccanizzata, disumana ta degli attori? Non lo lascia alle sue case la scarsità di at tori e di attrici di potente ri chiamo? Non lo ha guastato il vezzo del grande spettacolo che ha reso minimi, al con fronto, gli spettacoli normali? Il teatro di prosa decresce non per colpa sua ma per quella di coloro che lo fanno, lo pra ticano, lo sfruttano, lo consi derano passerella di lancio, sfogo di ambizioni, fonte di rapidi successi, e infine non lo servono, ma se ne servono. E se ciò avvenendo il teatro ha raccolto un miliardo di suf fragi di più dello sport, via, non è il caso di strapparci i capelli. Speriamo invece che chi ha posto le mani sul ti mone modifichi la rotta per ché la nave che ha tutte le qualità per arrivare sempre in porto non abbia cattivi e pe ricolosi incontri. Non c’è altro che arrendersi alla realtà del le cifre. « E l’arte? Non abbiano timo re i suoi sacerdoti. L’arte, con le modifiche del caso, non ne soffrirà molto. Anzi! ». B I L A N C I O UFFICIALE DELL'ATTIVITÀ DELLE COMPAGNIE PRIMA RIE DI PROSA NELLA STA GIONE TEATRALE 1955-1956 N E LLA STAG IO N E 1 95 5-56 hanno agito 26 compagnie primarie di giro, che hanno realizzato un incasso lordo complessivo di L. 1.345.830.862. Dette com pagnie hanno effettuato 4.634 rappresenta zioni, di cui 3.130 italiane o 1.504 straniere, con una percentuale del 67,50% di lavori italiani. I lavori rappresentati sono stati 152 di cui 115 italiani c 37 stranieri. Le novità italiane sono state 49, di cui 15 atti unici. NELLA STAGIONE PRECEDENTE 1954-1955 agirono 21 compagnie primarie che realiz zarono un incasso lordo complessivo di lire 1.068.280.418. Tali compagnie effettuarono 4.066 rappresentazioni, di cui 2.413 italiane e 1.633 straniere con una percentuale del 58% di reeite italiane. I lavori rappresen tati sono stati 151 di cui 111 italiani e 40 stranieri. Le novità italiane sono state 28. LE SOVVENZIONI. Le sovvenzioni erogate dallo Stato a favore delle compagnie primarie (rientri, contributi per novità italiana, integrazioni per reeite a Trieste, Venezia, Lugano, Italia meridionale e Tripoli) ammontano, per la stagione 1955-56, a L. 177.513.864 mentre nella precedente stagione furono di L. 136.821.061. INCASSI LORDI E M EDIE PER RECITE Si elencano qui di seguito le 26 compagnie che hanno agito nella stagione 1955-56 con l’indicazione, per ciascuna di esse, degli incassi lordi realizzati e delle relative medie per recita. 1. MORELLI-STOPPA 2. ALIDA VALLI 3. EDUARDO DE FILIPPO 4. ADANI-CIMARA 5. BRIGNONE-SANTUCCIO 6. RICCI-MAGNI 7. COMPAGNIA « PROCESSO A GESÙ ” 8. NINO TARANTO 9. VILLI-TIERI-LUPI 10. VALERI-CAPRIOLI 11. SCARPETTIANA 12. DE LULLO-FALK 13. 15 NOVITÀ 14. PEPPINO DE FILIPPO 15. PORELLI-PAVESE 16. TEATRO DI VENEZIA 17. TEATRO CRONACA 18. SANT’ERASMO 19. MICHELUZZI 20. COMPAGNIA TEATRALE ITALIANA 21. GIALLO (GIROLA) 22. GHERALDI-SEVERINI 23. BARBARA-TAMBERLANI 24. CAVALIERI 25. PIRANDELLO 26. COMMEDIANTI 126.856.087 65.968.783 139.494.688 124.081.000 93.195.440 118.432.973 49.013.100 104.762.635 51.760.694 61.593.520 95.676.150 64.781.049 41.688.889 26.075.800 7.838.800 25.968.100 11.895.720 41.976.000 24.581.220 11.117.900 27.357.115 10.297.770 8.889.780 8.047.500 2.804.600 1.685.550 834.580 578.670 567.000 530.000 511.000 505.000 480.000 398.330 342.786 319.100 318.900 270.000 236.900 210.300 195.000 192.200 167.500 150.000 128.695 126.300 93.100 68.000 49.300 45.500 17.000 16.855 L’attività e i risultati di gestione di ciascuna compagnia possono inoltre essere rilevati dai seguenti brevi cenni riassuntivi. 1. COMPAGNIA MORELLI-STOPPA 2. COMPAGNIA ALIDA VALLI 5. COMPAGNIA E. DE FILIPPO Gestita da Paolo Stoppa e Carlo Alberto Cappelli e diretta da Luchino Visconti, ha svolto cinque mesi di attività, dando dal 20 dicembre 1955 al 16 maggio 1956, 152 rappresentazioni. Ha prolungato la gestione per il riallestimento de La Locandiera di Goldoni che ha presentato dal 14 al 18 giugno al Festival Internazionale del Teatro drammatico di Parigi. Attori principali: Rina Morelli, Paolo Stoppa, Eleonora Rossi Drago, Marcello Mastroianni, Franco Interlenghi, Mario Pisu, Elvira Betrone, Alberto Cartoni. Ha rappresentato due lavori: Zio Vania, di Cecov e Morte di un commesso viaggiatore di Miller, per la regìa di Luchino Visconti. Ha toccato otto piazze: Roma, Milano, Bolo gna, Firenze, Genova, Torino, Modena e Napoli. Foglio paga L. 236.000, costo compagnia L. 350.000 circa. Ha beneficiato di contributi sta tali per complessive L. 8.212.400 (7.162.400 per rientri e L. 1.050.000 per integrazioni recite nellTtalia meridionale). Gestione passiva. Gestita da Ferdinando Benzoni, ha svolto quattro mesi di attività, dando dal 6 gennaio al 7 maggio 1956, 114 rappresentazioni, di cui 79 italiane e 35 straniere, con una percentuale del 70 % di recite italiane. Ha rappresentato tre lavori, uno italiano e due stranieri: L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello, La casa dei Rosmer di Ibsen, e Gli innocenti di Archibald. Attori principali: Alida Valli, Raoul Grassilli, Tino Buazzelli, ed altri. Ha toccato 60 piazze in centri grandi e piccoli della Sicilia, della Puglia, dell’Abruzzo, del la Campania, delle Marche, nonché della Lombardia, dell’Emilia, della Toscana, del Veneto e del Piemonte. Foglio paga L. 150.000, costo compagnia L. 210.000. Media generale per recita L. 578.570; media per recite italiane L. 592.656, media per recite straniere L. 567.100. Ha beneficiato di contributi statali pep complessive L. 12.258.384 (8.358.384 per i rientri e L. 3.900.000 per integrazioni recite a Lugano, Venezia, Trieste e Italia meridionale). Gestione passiva. Gestita da Guido Argeri, ha svolto sette mesi e mezzo di attività, dando dal 5 ottobre 1955 al 24 maggio 1956, 246 rappresentazioni, allestendo cinque lavori, tutti di Eduardo: Ditegli sempre di sì, Le voci di dentro, Non ti pago, Sic sic artefice magico e la no vità Bene mio, core mio. Ha toccato 27 piazze: Salerno, Roma, Milano, Savona, Sanremo, Pisa, Lucca, Firenze, Verona, Padova, Trieste, Venezia, Bergamo, Como, Bologna, Parma, Cesena, Ravenna, Bari, Chieti, Pescara, Ancona, Ascoli Piceno, Napoli, Messina, Palermo, Catania. Foglio paga L. 150.000, costo compagnia L. 170.000. Media a recita L. 567.000. Ha percepito dallo Stato sovvenzioni per comples sive L. 20.405.700 (L. 17.255.700 per i rientri, 500.000 per l ’allesti mento di una novità italiana e L. 2.650.000 per integrazioni recite a Trieste, Lugano e Italia meridionale). Gestione attiva. 4. COMPAGNIA ADANI-CIMARA 5. COMPAGNIA BRIGNONE SANTUCCIO PILOTTO 6. COMPAGNIA RICCI-MAGNI PROCLEMER-ALBERTAZZI Gestita da Aldo Cappellina, ha svolto sei mesi e mezzo di attività, dando dall’8 ottobre 1955 al 15 maggio 1956, 234 rappresentazioni, di cui 35 italiane e 199 straniere, con una percentuale del 14 % di recite italiane. Ha rappresentato cinque lavori: due italiani (Come si dovrebbero amare le donne di Viola [novità], e Ho sognato il paradiso di Cantini) e tre stranieri (Paolino ha disegnato un ca vallo di Storn, Non c’è età per l’amore di Roger Ferdinand, La sen sale di matrimoni di Wilder). Attori principali: Laura Adani, Luigi Cimara, Franco Volpi, Lina Volonghi, Dina Sassoli, Alberto Lio nello, Guido Verdiani, Giulia Lazzarini, ecc. Ha toccato 17 piazze: Milano, Biella, Torino, Bologna, Roma, La Spezia, Sanremo, Genova, Alessandria, Pavia, Piacenza, Modena, Firenze, Lucca, Perugia, Viterbo, Napoli. Foglio paga L. 168.400, costo compagnia L. 366.800. Media generale per recita L. 530.000; media recite italiane L. 461.500; me dia recite straniere L. 547.000. Ha beneficiato di contributi statali per complessive L. 10.539.000 (10.039.000 per i rientri e 500.000 per l’allestimento di una novità italiana). Gestione attiva. Gestita da Carlo Alberto Cappelli e dall’ETI, ha svolto sei mesi di atti vità, dando dal 14 novembre 1955 al 22 aprile 1956, 182 rappresen tazioni, di cui 40 italiane e 142 straniere, con una percentuale del 28 % di recite italiane. Ha rappresentato 4 lavori, due italiani e due stranieri: Il ventaglio di Goldoni, La scala di Rosso di San Secondo (data in prima al Festival della prosa a Venezia), Il crogiuolo di Miller e Casa di bambola di Ibsen. Regìe rispettivamente di Carlo Lodovici, Luigi Squarzina, Luchino Visconti e Gianni Santuccio. A t tori principali: Lilla Brignone, Gianni Santuccio, Camillo Pilotto, Carlo D’Angelo, Paola Borboni, Edda Alberimi, Vittorina Benve nuti, Olinto Cristina, Feliciani, ecc. Ha toccato 17 piazze: Roma, Firenze, Pisa, Torino, Sanremo, Genova, Milano, Piacenza, Reggio Emilia, Bologna, Cesena, Modena, Perugia, Pavia, Venezia, Ravenna, Napoli. Media generale per recita L. 511.000; media recite italiane L. 282.400, media recite straniere 576.500. Foglio paga L. 350.000, costo compagnia L. 550.000. Ha percepito dallo Stato sovvenzioni per complessive L. 7.387.800 (L. 7.187.800 per i rientri e L. 200.000 per integrazioni recite Italia meridionale). Gestione passiva. Gestita da Lucio Ardenzi e diretta da Renzo Ricci, ha svolto 7 mesi di attività, dando, dal 4 novembre 1955 al 21 maggio 1956, 234 rap presentazioni, di cui 70 italiane e 164 straniere, con una percentuale del 31 % di recite italiane. Ha rappresentato 4 lavori, uno italiano e tre stranieri: Il seduttore di Fabbri, Re Lear di Shakespeare, Resur rezione di Tolstoj e La ragazza di campagna di Odets. Attori prin cipali: Renzo Ricci, Èva Magni, Anna Proclemer, Giorgio Alber- tazzi, Giulio Oppi, ecc. Ha toccato 32 piazze: Milano, Verona, Fi renze, Lugano, Roma, Sanremo, Piacenza, Bologna, Torino, Pavia, Bergamo, Como, Legnano, Padova, Treviso, Brescia, Modena, Genova, La Spezia, Cremona, Trieste, Udine, Ferrara, Rovigo, Belluno, Vittorio Veneto, Mantova, Bassano del Grappa, Carpi, Venezia, Imola e nuova- mente Pavia. Foglio paga L. 240.000, costo compagnia L. 280.000. Media generale per recita L. 505.000; media recite italiane L. 459.900; media per recite straniere L. 525.850. Ha percepito dallo Stato contributi per complessive L. 11.328.600 (L. 10.653.600 per i rientri e L. 675.000 per integrazione recite a Lugano). Gestione in pareggio. 7. COMPAGNIA « PROCESSO A GESÙ' » Gestita dal Piccolo Teatro di Milano, ha svolto 3 mesi di attività, dando, dal 7 dicembre 1955 all’l l marzo 1956, 102 rappresenta zioni della commedia Processo a Gesù di Diego Fabbri. Ha toccato 36 piazze da Milano a Genova, Perugia, Bologna, Roma, Firenze, Napoli, Salerno, Bari, Taranto, Palermo, Messina, ecc. Attori prin cipali: Achille Maieroni, Teresa Franchini, Augusto Mastrantoni, Rol- dano Lupi, Edda Valenie, Sergio Fantoni, Franco Castellani, Giovanna Galletti, ecc. Foglio paga L. 260.000, costo compagnia L. 335.000. Media per recita L. 480.000. Ha beneficiato di contributi statali per complessive L. 6.619.300 (L. 5.869.300 per i rientri e L. 750.000 per integrazioni recite Italia meridionale). Gestione passiva. 8. COMPAGNIA NINO TARANTO Gestita da Francesco Consalvo (Flirt) ha svolto sette mesi e mezzo di attività, dando, dall’8 ottobre 1955 al 20 maggio 1956, 263 rap presentazioni, tutte italiane. Ha rappresentato cinque lavori: le no vità Lo strano caso di Salvatore Cecere di Curcio, Il califfo Espo sito di Marotta e Randone, L’amico di sua eccellenza di Giannini e O’ presidente di Turco, nonché la ripresa L’indimenticabile ago sto di Morucchio. Attori principali: Nino Taranto, Iole Fierro, Giuf- fré, Landi, Crispo, ecc. Ha toccato 14 piazze: Torino, Milano, Na poli, Palmi, Crotone, Messina, Catania, Bari, Lecce, Brindisi, Ta ranto, Roma, Pisa, e nuovamente Milano. Foglio paga L. 236.000, costo compagnia L. 310.000. Media per recita L. 398.330. Ha bene ficiato di contributi statali per complessive L. 15.331.100 (L. 13.031.100 per i rientri, L. 1.300.000 per l ’allestimento di tre novità e L. 1.000.000 per integrazioni recite Italia meridionale). Gestione passiva. 9. COMPAGNIA VILll-TIERI-LUPI Gestita in forma sociale da Pompeo Pastorino, ha svolto cinque mesi di attività, dando, dal 10 novembre 1955 al 20 maggio 1956, con alcune interruzioni, 151 rappresentazioni, tutte straniere. Ha rappresentato due lavori: Tè e simpatia di Anderson e II potere e la gloria di Greene. Attori principali: Olga Villi, Aroldo Tieri (sostituito in se guito da Roldano Lupi), Luca Ronconi, Ivo Garrani, Zora Piazza, ecc. Ha toccato 20 piazze: Roma, Perugia, Viterbo, Como, Milano, Firenze, Bergamo, Pavia, Verona, Brescia, Cremona, Padova, Reggio Emilia, Cesena, Ravenna, Pescara, Bari, Napoli, Ascoli Piceno e, nuovamente, Roma. Ha beneficiato di contributi statali per L. 3.988.300, importo dei rientri percentuali maturati nel periodo di attività svolta. Gestione passiva. 10. COMPAGNIA VALERI-CAPRIOLI-SALCE Gestita da Vittorio Caprioli, ha svolto sei mesi di attività dal 18 novem bre 1955 al 15 maggio 1956, dando 193 rappresentazioni, tutte dello stesso lavoro L’arcisopolo, di Caprioli-Valeri e Salce (novità). Attori principali i tre in ditta. Ha toccato 37 piazze: Roma, Terni, Perugia, Napoli, Pisa, Lucca, Firenze, Verona, Belluno, Vicenza, Padova, Udine, Trieste, Venezia, Treviso, Ferrara, Bologna, Modena, Brescia, Lugano, Bergamo, Piacenza, La Spezia, Genova, Torino, Cesena, Ravenna, Vercelli, Novara, Biella, Como, Milano, Roma, Trapani, Palermo, Mes sina e Bari. Foglio paga L. 94.500, costo compagnia L. 105.000. Media per recita L. 319.100. Ha beneficiato di contributi statali per com plessive L. 9.502.900 (L. 7.742.900 per i rientri, L. 500.000 per l’alle stimento della novità e L. 1.260.000 per integrazioni recite Venezia, Trieste e Lugano). Gestione in attivo. 11. COMPAGNIA SCARPETTIANA Gestita dalla società SIT, ha svolto otto mesi di attività, dando, dal 30 settembre 1955 al 31 maggio 1956, 300 rappresentazioni, tutte del repertorio scarpettiano: A nanassa, O’ scarfalietto, Il romanzo di un farmacista povero, L’albergo del silenzio, Tre pecore viziose, La casa, Nina Bonè. Attori principali: Beniamino Maggio, Franco Sportelli, Vera Nandi, Renato Grisolia; partecipazioni di Carla del Poggio e di Franca May. Foglio paga L. 150.000, costo compagnia L. 180.000. Media per recita L. 318.900. Ha svolto la sua attività stabilmente al teatro San Ferdinando di Napoli ed ha effettuato un lungo corso di recite al Nuovo di Milano. Ha percepito dallo Stato, quale rientro percentuale, contributi per L. 13.325.600. Gestione in attivo. 12. COMPAGNIA DE LULLO-FALK GUARNIERI-VALLI Gestita da Carlo Alberto Cappelli, ha svolto otto mesi di attività, dando dal 22 settembre 1955 al 16 maggio 1956, 240 rappresentazioni, di cui 68 italiane e 172 straniere, con una percentuale del 28 % di recite italiane. Ha rappresentato sei lavori, due italiani e quattro stra nieri: Lo bugiarda di Fabbri (novità), Il successo di Testoni, Gigi di Colette, La calunnia di Kelman, Una donna dal cuore troppo piccolo di Crommelinck, Lo strattagemma dei bellimbusti di Farquhar. Attori principali. Giorgio de Lullo, Rossella Falk, Annamaria Guar- nieri, Romolo Valli, Lola Braccini, Elsa Albani, Valerio Ruggeri, ecc. Ha toccato 31 piazze: Roma, Viterbo, Perugia, Pisa, Lucca, Ce sena, Ravenna, Reggio Emilia, Bologna, Verona, Padova, Brescia, Bergamo, Milano, Pavia, Modena, Torino, Biella, Novara, Sanremo, La Spezia, Genova, Firenze, Civitavecchia, Salerno, Palermo, Napoli, Bari, Ancona, Pesaro e Lugano. Foglio paga L. 90.000, costo compa gnia L. 220.000. Media generale per recita L. 270.000, media recite italiane L. 385.580; media per recite straniere L. 225.940. Ha bene ficiato di contributi statali per complessive L. 11.188.680 (L. 8.068.680 per i rientri, 500.000 per l ’allestimento di una novità italiana e L. 2.620.000 per integrazione recite Lugano e Italia meridionale). Gestione in pareggio. 1S. COMPAGNIA TEATRO DELLE 15 NOVITÀ' Gestita e diretta da Maner Lualdi, ha svolto sei mesi di attività, dando, dal 25 ottobre 1955 al 15 aprile 1956, 176 rappresentazioni, tutte italiane. Ha rappresentato quindici atti unici; tu tti nuovi: Resistè di Montanelli, Drammatica fine di un noto musicista di Buzzati, Avvenne nel bosco di Mosca, Il provino di Moravia, La prova del nove di Soldati, L’uccelliera di Stefano Pirandello, Facile, troppo facile di Longanesi, L’ispezione di Vergani, Il principale di Bar- zini, Ancora addio di Calvino, Il responsabile di Malaparte, I curiosi di Carlo Manzoni, Aeroporto di Campanile, La domenica ci si sposa di Bompiani, Il malato per tutti di Marotta e Randone. Attori prin cipali: Carlo Ninchi, Laura Solari, Mario Castellani, Cesare Betta- rini, Nando Gazzolo, Maria Donati, ecc. Ha toccato 29 piazze: Mi lano, Varese, Piacenza, Lugano, Bergamo, Mantova, Reggio Emilia, Firenze, Bologna, Modena, Ferrara, Ravenna, Cesena, Rosignano, Siena, Perugia, Roma, Genova, Torino, Novara, Rho, Como, Pavia, Verona, Belluno, Padova, Venezia, Trieste, Napoli. Foglio paga L. 231.500, costo compagnia L. 320.000. Media per recita L. 236.900. Ha percepito dallo Stato contributi per complessive L. 10.042.500 (L. 5.067.500 per i rientri, L. 1.900.000 per l’allestimento dei quin dici atti unici e L. 3.075.000 per integrazione recite Venezia, Trie ste, Lugano). Gestione passiva. 14. COMPAGNIA PEPPINO DE FILIPPO Gestita da Enzo Ardovino, ha svolto quattro mesi di attività, dal 1° no vembre 1955 al 4 marzo 1956 effettuando 124 rappresentazioni, tutte italiane. Ha rappresentato sei lavori: Quelle giornate, Io sono suo padre, Aria paesana, Spacca il centesimo, Pranziamo insieme, tutte di Pep- pino, nonché A me la libertà di Ernesto Grassi. Attori principali: Lidia Martora, Loris Gizzi, Luigi De Filippo, Mario Siletti, Guido Riccioli, Nanda Primavera, ecc. Ha recitato stabilmente alle A rti di Roma. Foglio paga L. 140.000 giornaliere, costo compagnia L. 175.000. Media per recita L. 210.000. Ha percepito dallo Stato, quale rientro percentuale sugli incassi, contributi per L. 2.998.700. Gestione attiva. 15. COMPAGNIA PORELLI-PAVESE Gestita da Angelo Silvestri, ha svolto un solo mese di attività dal 2 ottobre all’11 novembre 1955, dando 40 rappresentazioni di cui 13 italiane e 27 straniere, con una percentuale del 33 % di recite italiane. Ha rappresentato due lavori: Moglie per due di Mino Roli (novità), e La casa da tè alla luna d’agosto di Patrick. A ttori prin cipali: Giuseppe Porelli, Nino Pavese, Giuseppe Caldani, Romolo Costa, Gina Sammarco, Edmonda Aldini. Ha toccato 6 piazze: Pavia, Milano, Modena, Brescia, Novara, Lugano. Foglio paga L. 126.000, costo compagnia L. 160.000. Media generale per recita L. 195.000; media per recita italiana L. 97.500, media per recita straniera lire 243.500. Ha percepito dallo Stato contributi per complessive lire .1.393.000 (L. 577.000 per i rientri, 500.000 per l’allestimento di una novità e 316.000 per integrazioni recite a Lugano). Gestione passiva che ha costretto il capocomico a sciogliere la compagnia dopo un brevissimo periodo di attività. 16. TEATRO DI VENEZIA 17. COMPAGNIA TEATRO CRONACA 18. COMPAGNIA DEL TEATRO SANT'ERASMO Gestita dal Piccolo Teatro di Milano e diretta da Carlo Lodovici ha svolto sei mesi di attività, dando, dal 3 dicembre 1955 al 2 giu gno 1956, 139 recite. Ha rappresentato: La casa nova, La fami glia dell’antiquario e La cameriera brillante di Goldoni, Il parla mento di Ruzzante e II matrimonio di Ludro di Bon. Attori prin cipali: Cesco Baseggio, Marcello Moretti, Elsa Vazzoler, Marina Dolfin, Pina Cei, Luisa Baseggio, Cesco Ferro. Ha toccato 26 piazze: Bergamo, Mantova, Piacenza, Firenze, Fidenza, Reggio Emilia, Bologna, Torino, Novara, Monza, Pavia, Parma, Rovigo, Bassano del Grappa, Padova, Merano, Bolzano, Treviso, Brescia, Verona, Ravenna, Trieste, Genova, Roma, Milano, Ivrea. Ha beneficiato di sovvenzioni statali per com plessive L. 21.050.000 (L. 20.000.000 quale contributo straordinario e L. 1.050.000 per integrazioni recite a Trieste). Gestione passiva. Gestita da Franco Parenti, ha svolto due soli mesi di attività, dando dal 15 novembre 1955 al 29 gennaio 1956, 71 recite, tutte italiane. Ha rappresentato due lavori: Italia, sabato sera di Contarello e II diluvio di Betti. Attori principali: Franco Parenti, Franca Taman- tini, Domenico Modugno, Carlo Bagno, Delia Bartolucci, ecc. Ha toc cato 20 piazze: Napoli, Viterbo, Firenze, Lucca, Pisa, Siena, Pistoia, Livorno, Arezzo, San Giovanni Valdarno, Perugia, Ascoli Piceno, Chieti, Cesena, Rovigo, Modena, Padova, Torino, Pavia, Milano. Foglio paga L. 164.700, costo compagnia L. 195.000. Media L. 167.500 a recita. Ha percepito dallo Stato, quale rientro percentuale per l ’unico bimestre di attività, L. 1.598.700. Gestione passiva. Gestita dalla società EST e diretta da Carlo Lari, ha svolto otto mesi e mezzo di attività, dando dal 1° ottobre 1955 al 15 giugno 1956, 298 rappresentazioni, di cui 194 italiane e 104 straniere, con una percen tuale del 65 % di recite italiane. Ha rappresentato 6 lavori, cinque italiani e uno straniero: L’amico di tutti di Bertolazzi, Nora seconda di Viola, Isa dove vai? di Lodovici, Il nostro prossimo di Testori, Simili a Dio di Galeazzi (novità), e Frou frou di Maillac e Valéry. Attori principali: Lida Ferro, Renata Seripa, Gianni Mantesi, Gastone Bartolucci. Ha recitato stabilmente nel teatro in pista di Milano ed ha toccato sette piazze: Busto Arsizio, Como, Brescia, Verona, Vicenza, Gallarate e Lugano. Foglio paga L. 150.000, costo com pagnia L. 135.000. Media generale L. 150.000 a recita. Media per recite italiane L. 128.000, media per recite straniere L. 164.000. Ha beneficiato di contributi statali per complessive L. 4.233.900 (L. 3.553.900 per i rientri, L. 500.000 per l ’allestimento di una no vità italiana e 180.000 per integrazioni recite a Lugano). Gestione passiva. 19. COMPAGNIA MICHELUZZI Gestita da De Cristofaro e dallo stesso Micheluzzi, ha svolto, dal 10 ottobre 1955 al 17 giugno 1956, otto mesi di attività, dando 191 rap presentazioni tutte italiane. Ha rappresentato 10 lavori del consueto repertorio veneto della compagnia oltre alla novità Buongiorno allegria di Wulten e Micheluzzi. Attori principali: Carlo Micheluzzi, Margherita Seglin, Andreina Carli, Tonino Micheluzzi, Ruggero dal 20. COMPAGNIA TEATRALE ITALIANA 21. COMPAGNIA DEL GIALLO (GIROLA) Fabbro. Ha toccato 21 piazze: Milano, Abano, Terni, Torino, Novara, Verona, Treviso, Padova, Venezia, Rovigo, Belluno, Siracusa, Calta- nissetta, Trapani, Sanremo, Genova, Asti, Conegliano, Mestre, Trie ste, Tripoli. Foglio paga L. 90.000, costo compagnia L. 115.000. Media L. 128.695 a recita. Ha percepito dallo Stato contributi per complessive L. 5.031.200 (L. 3.231.200 per rientri percentuali, lire 500.000 per l’allestimento di una novità italiana e L. 1.300.000 per integrazioni recite a Venezia e Tripoli). Gestione passiva. Gestita dalla società TEDIT e diretta da Turi Vasile, ha svolto oltre tre mesi e mezzo di attività, dando, dal 16 marzo al 10 giugno 1956, 88 rappresentazioni tutte italiane. Ha rappresentato cinque novità: Paura di me di Bompiani, La vedovella di Terra, Viaggio di nozze di D’Errico, Sulle strade di notte di Ledi e Noi due di De Stefani. Ha rappresentato anche La patente di Pirandello con la partecipa zione di Peppino De Filippo. Ha agito stabilmente al teatro delle A rti di Roma, mentre i lavori di Lelli e De Stefani sono stati anche rappresentati a Milano, a Genova ed in altre piazze del nord. Attori principali: Margherita Bagni, Vivi Gioi, Isa Miranda, Anna Mise- rocchi, Mario Ferrari, Arnaldo Foà, Carlo Ninchi, Giancarlo Sbragia, Mario Siletti, ecc. Foglio paga L. 180.000, costo compagnia L. 223.000; media a recita L. 226.300. Ha beneficiato di contributi statali per complessive L. 3.200.000 (L. 1.300.000 per i rientri e L. 1.900.000 per l’allestimento delle 5 novità). Gestione passiva. Gestita e diretta da Giulio Girola, ha svolto otto mesi e mezzo di attività, dando, dal 5 ottobre 1955 al 15 giugno 1956, 293 rappresentazioni di cui 72 italiane e 221 straniere con una percentuale del 25 % di recite italiane. Ha rappresentato 13 lavori, 4 italiani e 9 stranieri. Italiani: Inchiostro blu di Giannini (novità), La notte dell’esecu zione di Luongo e Barricelli (novità), Autopsia di Sereno (novità), L’ombra dietro la porta di De Stefani. Stranieri: Alibi, di Christie, Lo straniero di Volper, L’affare Barton di Hackett, Tre topi grigi, Dieci piccoli negretti e La parola all’accusa di Christie, Il signore e la signora Nortk di Davis, La polizia non ne sapeva nulla di Guitton, Dieci minuti di alibi di Armstrong. Attori principali: Giulio Girola, Nada Fraschi, Corrado Sonni, Gigliola Sonni, Felice Girola, ecc. Ha toccato sei piazze: Roma, Genova, Verona, Firenze, Torino, Milano. Foglio paga L. 50.000, costo compagnia L. 76.000. Ha beneficiato di contributi statali per complessive L. 2.198.200 quale rientro percen tuale oltre a L. 1.300.000 per l’allestimento di tre novità italiane. Totale L. 3.498.200. Gestione passiva. 22. COMPAGNIA GHERALDI-SEVERINI Gestita dagli stessi Gheraldi e Severini in forma sociale, ha svolto sei mesi di attività, dando dal 17 dicembre 1955 al 19 giugno 1956, 148 recite di cui 100 italiane e 48 straniere con una percentuale del 67% di recite italiane. Ha rappresentato 14 lavori, nove ita liani e cinque stranieri scelti nel consueto repertorio del « giallo », comprese tre novità: Trappola per topi di De Stefani, Morte alle bionde di Luongo e Barricelli, Il delitto del viale dei colli, di Caglieri. Attori principali: Cesarina Gheraldi, Leonardo Severini, Gualtiero Isnenghi, Gaetano Verna. Ha toccato 25 piazze dell’Italia setten trionale, centrale e meridionale, ed ha effettuato una tournée a Tripoli e a Malta. Foglio paga L. 60.000, costo compagnia L. 85.000. Media generale per recita L. 68.000; media recite italiane L. 73.988; media recite straniere L. 60.393. Ha percepito contributi statali per com plessive L. 5.076.400 (L. 1.276.400 per i rientri percentuali, L. 1.300.000 per l’allestimento di tre novità e L. 2.500.000 per integrazione recite Tripoli, Malta, Italia meridionale e Venezia). Gestione passiva. 23. COMPAGNIA BARBARA TAMBERLANI VILLA Gestita in forma sociale da Enzo Girone, ha svolto sei mesi di attività, dando, dal 20 ottobre 1955 al 17 aprile 1956, 180 rappresentazioni, tutte italiane. Ha rappresentato nove lavori: Storia di un uomo molto stanco di Sarazani (novità), Quando regnava re Vinceslao di Girone (novità), Oro e argilla di Girone (novità), I più cari amici di Girone (novità), Due dozzine di rose scarlatte di De Benedetti, Vita mea di Viola, La cosa più cara di Toffanin (novità), Non c’è regola ahimè di Saitta, Don Pietro Caruso di Bracco. Attori prin cipali: Paola Barbara, Carlo Tamberlani, Roberto Villa, Adriana Par- rella, Fiorella Betti, ecc. Ha recitato stabilmente a Roma al Teatro delle Muse. Foglio paga L. 60.000, costo compagnia L. 75.000. Media L. 49.300 a recita. Ha percepito dallo Stato contributi per comples sive L. 2.547.500 (L. 1.600.000 per Tallestimento di 4 novità italiane e L. 947.500 per i rientri). Gestione passiva. 24. COMPAGNIA GINO CAVALIERI Gestita in forma sociale da Gino Cavalieri ha svolto sei mesi di attività dando, d a in i novembre 1955 al 4 maggio 1956, 178 rappresentazioni, di cui 163 italiane e 15 straniere con una percentuale del 91% di recite italiane. Ha rappresentato, oltre ai lavori del consueto repertorio veneto e goldoniano, le novità italiane: Tutti quanti veneziani di Boscolo, La notte degli dei di Luongo e Masci, Settimo non rubare di Chiesa e Cavalieri. Ha rappresentato inoltre Sette sapienti e una donna di Rossignol. Foglio paga L. 40.000, costo compagnia L. 52.000. Media L. 45.500 a recita. Giro: Veneto, Emilia, Lombardia. Ha per cepito contributi statali per complessive L. 3.093.700 (L. 1.093.700 per i rientri, L. .1.300.000 per Tallestimento di tre novità e L. 700.000 per integrazione recite a Venezia). Gestione passiva. 25. COMPAGNIA DEL TEATRO PIRANDELLO Gestita in forma sociale da Carlo Epifani, ha svolto sei mesi di attività dando dal 30 novembre 1955 al 17 giugno 1956, 165 rappresentazioni, tutte italiane. Ha rappresentato 10 lavori: Avventura di cronaca di Nicolaj (novità), Il diritto di rubare di Massa (novità), Le mani del diavolo di Bellodi (novità), Pensaci Giacomino, A ll’uscita, L’imbecille, L’altro figlio, Lumie di Sicilia, La morsa, Il sogno di Pirandello. Attori principali: Dora Calindri, Ennio Balbo, Anna Lelio e, per un certo periodo, Luigi Almirante. Ha recitato nella sua sede stabile 26. COMPAGNIA DEL TEATRO DEI COMMEDIANTI di Roma. Foglio paga L. 45.000, costo compagnia L. 55.000. Media L. 17.000 a recita. Ha percepito contributi statali per complessive L. 1.615.400 (L. 315.400 per i rientri e L. 1.300.000 per allestimento di tre novità italiane). Gestione passiva. Gestita da Gianfilippo Carcano. Ha svolto tre mesi di attività, dando, dal 1° ottobre 1955 al 2 febbraio 1956, 106 rappresentazioni, di cui 38 italiane e 68 straniere con una percentuale del 38 % di recite italiane. Ha rappresentato 4 lavori: I begli occhi di Alice di Cavalli (novità), L ’incantevole Ariel di Candoni (novità), La moglie di Claudio di Dumas, L’uomo dal parapioggia di Dinner. Foglio paga L. 40.000, costo compagnia L. 56.000. Media per recite italiane L. 14.500, media per recite straniere L. 18.500. Media generale L. 16.855. Attori principali: Maria Teresa Albani, Achille Maieroni, Aldo Besesti, ed altri. Ha recitato stabilmente a Roma nel teatro mobile di via Achille Papa che fu distrutto poi dal maltempo. Ha percepito dallo Stato contributi per complessive L. 1.452.300 (L. 152.500 per i rientri e L. 1.300.000 per l’allestimento di 2 novità). Gestione passiva. I p r e m i g o v e r n a t iv i a lle c o m p a g n ie , a g li a t t o r i e d a g l i a u t o r i La presidenza del Consiglio dei ministri, Direzione Generale dello Spettacolo, sentito il parere di uno spe ciale Comitato di esperti (1) ha concesso ai sensi delle nonne vigenti, premi finali alle seguenti Compa gnie di prosa che si sono particolarmente distinte per varie e diverse ragioni vagliate dal Comitato — che in effetti ha il compito di “ proporre ” dopo aver deliberato in sede artistica — nella Stagione Teatrale 1955-1956: 1. Compagnia De Lnllo-Falk-Guarnieri-Valli, otto milioni 2. Compagnia Morelli-Stoppa, sette milioni 3. Compagnia Ricci-Proclemer-AIbertazzi, cinque milioni 4. Teatro di Venezia, cinque milioni 5. Teatro Sant’Erasmo di Milano, cinque milioni 6. Compagnia Nino Taranto, quattro milioni 7. Compagnia delle 15 novità, quattro milioni 8. Compagnia Adani-Cimara, tre milioni 9. Compagnia Brignone-Santuccio-Pilotto, tre milioni 10. Compagnia Alida Valli, tre milioni 11. Compagnia Teatro Italiano, tre milioni. Sono state inoltre segnalate le attività, il successo ed il prestigio tanto del Piccolo Teatro di Milano per la sua “ tournée ” , come della Compagnia di Eduardo De Filippo, e questa non soltanto per ciò che riguarda la propria formazione, ma anche per la Compagnia Scarpettiana, da Eduardo promossa allo scopo di tener viva la tradizione scenica napoletana. Sono stati attribuiti cinque premi di un milione ciascuno a cinque attori, militanti e no, per ricordare ed onorare la loro personalità artistica e l’apporto di ogni singolo al Teatro di prosa, di ieri e di oggi. Essi sono: Memo Benassi - Pio Campa - Marcello Giorda - Dora Menichelli Migliaci ed Egisto Olivieri. Un particolare riconoscimento hanno avuto gii attori Giovanni Grassi, Oscar Andriani e Nella Montagna. Ugualmente con un milione ciascuno sono stati premiati autori drammatici di chiara fama e di lunga affermazione teatrale, come pure lo stesso premio ha avuto il regista Luciano Ramo, che al teatro ha dedicato !a ‘Sua vita con amore, disinteresse, bravura, dando la propria collaborazione, per almeno trent’anni, a spettacoli vari, alcuni dei quali non di menticati e dimenticabiii. (1) Nel « taccuino » del fascicolo scorso abbiamo riportato i nomi degli esperti che hanno fatto parte del Comitato per Vassegnazione dei premi. Involontariamente e ce ne rincresce proprio, è stato omesso il nome di Federico Frascani, critico drammatico del quotidiano « Il Giornale » di Napoli. Ripetiamo quindi che la Commissione era formata dal presidente Mario Vinciguerra; Franz De Biase, relatore e dai giornalisti Buc ciolini, Di Chiara, Dursi, Fiocco, Frascani, Possenti, Radice, Ridenti, Trabucco. CONTRIBUTI E PREM I PER LA PROSSIMA STAGIONE 1956-1957 S o lo c ittà c o n 6 0 0 .0 0 0 a b it a n t i p o s s o n o a v e r e u n P ic c o lo T e a tr o Nel mese di luglio la Direzio ne Generale del Teatro ha ela borato imo schema delle nor me che dovranno regolare la attività del Teatro di prosa. Lo schema ha, nel settore Tea tri stabili, un interesse parti colare in quanto prevede che dei Teatri stabili siano sov venzionati quelli che hanno sede in città con popolazione superiore ai seicentomila abi tanti. Ma è anche previsto che ricevano particolari aiuti fi nanziari quei teatri che hanno « lo scopo di difendere e va lorizzare il teatro e la cultura italiana nelle rispettive zone di competenza » : di questa norma beneficeranno i « Pic coli » di Trieste e Bolzano, che senza di essa, dovrebbero es sere abbandonati a se stessi poiché le rispettive città non raggiungono il numero di abi tanti fissato dal regolamento. Oltre a questo requisito i Tea tri stabili dovranno posse derne altri: a) siano costituiti ed organiz zati per iniziativa dei Comuni, impegnati con regolare deli berazione dei Consigli comu nali ad assicurare all’impre sa un finanziamento non in feriore al 50 % dell’effettivo e riconosciuto fabbisogno di gestione oltre la gratuita e permanente disponibilità di un teatro attrezzato; b) svolgano un’attività che, per la qualità degli attori chia mati a parteciparvi e i chiari criteri d’arte cui è ispirato il programma, giustifichi l’inte ressamento e il particolare intervento dello Stato; c) effettuino nel corso della stagione almeno il 51 % di re- cite italiane, con particolare riguardo alla produzione con temporanea; d) estendano la loro attività ai centri maggiori e minori della propria regione; e) abbiano organi amministra tivi responsabili e dirigenti qualificati, la cui nomina sia convalidata dalla Direzione Generale dello Spettacolo; f) promuovano e favoriscano la frequenza di sempre più vaste categorie di pubblico ed in particolare di studenti e di lavoratori. Alle iniziative che dimostrino di essere in possesso dei pre detti requisiti e impegnate ad osservare le predette condizio ni potranno essere concesse, su parere della competente Commissione, s o v v e n z io n i commisurate all’ importanza delle iniziative stesse. Tali sovvenzioni, anche in di pendenza della ridotta disponi bilità dei fondi, non potran no superare il massimo di 20 milioni per ciascun teatro. Può essere fatta eccezione per c[uelle iniziative che abbiano conseguito risultati di parti colare rilievo sul piano nazio nale ed internazionale cui po tranno essere concesse sov venzioni adeguate alle loro esigenze organizzative. I contributi saranno erooati un terzo all’inizio della gestio ne, un terzo dopo il primo tri mestre ed il saldo al termine della stagione, previo accerta mento della esatta osservanza delle condizioni b) c) d) e) f). Le provvidenze per le Compa gnie di giro che abbiano una durata continuativa di alme no sei mesi prevedono la cor responsione per ogni rappre sentazione, limitatamente ad un massimo di 240 recite, di contributi pari al dieci per cento dell’incasso lordo, fatta eccezione per le piazze di Ro ma e Milano per le quali la quota è fissata nella misura di sette per cento; per le rap presentazioni di lavori di au tore italiano tali percentuali saranno aumentate del quat tro per cento. E’ inoltre proposto che per le recite effettuate nelle città di Trieste, Venezia (Ridotto), Ao sta e Lugano e per quelle ef fettuate nell’Abruzzo e nell’I talia meridionale ed insulare le quote assegnate alle Com pagnie siano ulteriormente aumentate del sei per cento, perciò una Compagnia che rappresenti un’opera teatrale italiana in queste regioni go- drà di un beneficio pari al venti per cento. E’ da avver tire però che il sei per cento sarà concesso soltanto per un massimo di dieci recite per ciascuna Compagnia nelle cit tà di Trieste, Venezia (Ridot to), Aosta e Lugano e per un massimo di trenta recite nel l’Italia meridionale e insulare e nell’Abruzzo. I contributi percentuali saran no concessi per incassi lordi serali non superiori alle sei centomila lire. Tale limitazio ne non si applica però alle re cite effettuate nell’Abruzzo, nel meridione e nelle isole. Alle Compagnie primarie che rappresenteranno novità di autore italiano sarà corrispo sto un premio di L. 500 mila per ciascuna delle due prime novità assolute replicate al meno otto volte nel corso del la stagione. Si aggiungono a queste provvidenze dieci pre mi finali: due di otto milioni, tre di sei milioni, tre di quat tro milioni e due di due mi lioni. Alle Compagnie prima rie ammesse alle provvidenze statali saranno concesse all’i nizio della stagione anticipa zioni sui contributi previsti. L L EI N O’ E N E G U E DI O T E R G E S A M M A R D L I E T T O N A L O S R E V A T A N R O I G A G N U L Nel fascicolo di «Il Dramma » numero 234 del marzo scorso abbiamo dato — unica rivista di teatro nel inondo che ha avuto un ampio servizio dell’avvenimento — resoconto, critica, fotografie, ecc. del dramma postumo e segreto di Eugene O’ Neill, recitato al Reale Teatro Drammatico di Stoccolma il 9 febbraio 1956. Il lettore potrà rifarsi a quel fascicolo sapendo che quest’opera sarà rappresen tata in Italia da Renzo Ricci ed Èva Magni nella Stagione Teatrale che sta per iniziare. Ricci ha formato una apposita Compagnia per questo spettacolo, condotta dall’impareggiabile Paolo Raviglia, e completerà la sua tournée in Italia, per sei mesi, recitando anche «Tristi amori» di Giuseppe Giocosa. «Lunga giornata verso la notte » (questo è il titolo italiano) sarà rappresentato al Piccolo Teatro di Milano il 15 ottobre 1956. o o E o N Z HI oc z a < 2 < > LU 2 3 r r t i ) t IO VENNI TRA GLI UOMINI - AL TEMPO DELLA RIVOLTA - E CON LORO MI RIBELLAI - COSI TRA SCORSE IL TEMPO - CHE MI FU DATO SULLA TERRABRECHT -fa II drammaturgo tedesco Bertolt Brecht è morto improvvisamente a Berlino, la notte sul 15 agosto, per una crisi cardiaca. Era nato ad Augusta, in Baviera, il 10 febbraio 1898 e risiedeva a Berlino-Est, presso il Theater am Schiffbauerdamm — il teatro sulla riva dei costruttori di navi — ove dal 3 aprile 1954, aveva sede la sua com pagnia, il « Berliner Ensemble », diretta da sua moglie, l’attrice Helene Weigel, e fondata nel 1949 dal Ministero dell’Istruzione della Germania orientale. esistenza di un uomo. Ma più di un intero mezzo secolo: un’epoca della storia degli uomini, un’epoca oscura e du rissima, nella quale, come egli disse, « un discorso sugli al beri è quasi un delitto — per ché nasconde il silenzio su tante malvagità », un’epoca in cui « l’odio contro la bassez za — stravolge la faccia. — Anche l’ira per l’ingiustizia — rende la voce roca ». Ecco: ora che il suo tempo sulla terra è finito, è a questo Brecht amaro e triste « per non poter essere benevolo», è a questo Brecht così assetato di giustizia per tutti gli uomi ni, e altrettanto consapevole che perché essa trionfi è un delitto parlare degli alberi, ma bisogna insegnare a guar dare lucidamente alla verità, e anche a odiare e a colpire, è a questo Brecht che va il nostro rimpianto. Da lui ci aspettavamo ancora molto: sa pevamo che stava scrivendo nuovi tèsti teatrali i cui temi — come sempre — ci tocca vano da vicino: la scienza, i problemi della ricerca scien tifica nella società di oggi; e il conformismo. Ne avremmo avuto, certamente, delle illu minazioni: ai suoi lettori, al pubblico, ne sarebbe venuta una nuova, originale « le zione ». E invece, la « lezione » è fini ta. Si è conclusa con l ’ultima sua opera I giorni della Co mune, con le ultime regìe, con gli ultim i scritti teorici. Brutta parola, « lezione ». Fa arricciare il naso ai critici del l ’arte pura; e trae in ingan no, spesso, anche gli stessi so stenitori di quello che, con una certa aria di mistero, si suol chiamare « il teatro di Brecht ». Che esso voglia es sere programmaticamente di dascalico, non c’è dubbio: dal saggio che accompagnava, nel Quando, nella sala buia del Piccolo Teatro — gli attori stavano provando una scena di Arlecchino servitore di due padroni — Giorgio Strehler mi porse, senza parlare, il « lampo » col quale Helena Weigel annunciava la morte di Bertolt Brecht (terribili pa role che ci sarà difficile di menticare: Bertolt Brecht ist gestern gestorben [E’ morto ieri]) mi tornarono alla men te quei suoi versi bellissimi Veramente io vivo in tempi oscuri! E ricordai, pensando alla sua vita, al significato del- U M A N E S I M O D I ' S r t f l r t la sua presenza nella storia del teatro contemporaneo, ai due versi che fanno da ritor nello a questa poesia, dedicata ai posteri: Così passò il tempo che mi fu dato sulla terra. Non gliene fu dato molto. Cin quantotto anni: pochi per la fortemente 1928, l ’opera Mahagonny fino al Breviario di estetica tea trale, fino agli appunti rac colti in Theaterarbeit, Brecht insiste sull’esigenza di farla finita con il teatro « gastrono mico », puramente dilettevole, a favore di un’opera dramma tica impegnata nell’insegnare. Ma è lui stesso che poi ci mette in guardia contro il suo stile « troppo af fermativo » : il suo teatro epi co, la recitazione epica che egli esige (col distacco, con l'estraneazione dell’attore dal personaggio, in modo che io spettatore non venga soggio gato dalla bravura dell’inter- prete-personaggio, ma messo in posizione critica nei con fronti del personaggio con l’aiuto dell’attore) non vo gliono affatto essere fredde e meccaniche lezioni (o, co me egli dice, musei di storia naturale), ma intendono pre sentare « degli uomini vivi, completi, pieni di contraddi zioni, con tutte le loro pas sioni ». Lasciamo dunque da parte, ora, la « forma » di questa sua lezione, il suo linguaggio nel quale confluirono le piu varie esperienze dell’avanguardia teatrale tedesca ed europea dell’« entre - deux - guerres », linguaggio scenico e tecnica di recitazione che insieme al l ’insegnamento di Stanislawki, e in aperta polemica con esso, si pongono nel cuore del tea tro del XX secolo. E non è neppur qui il caso di soffer marsi su quanto di formali stico avesse in sé questa ri cerca di un linguaggio nuovo, che ad un certo momento par quasi sopraffaccia lo stesso contenuto o ne riduca e di storca il valore profondamen te rivoluzionario. Quel che conta, ora, è sentire, staccan- doci serenamente, come egli certamente vorrebbe, da lui, tutta la sua opera per quel suo umanesimo così radical mente nuovo. Figlio di un piccolo industria le, avviato agli studi di medi cina interrotti dalla prima guerra mondiale, poeta e in tellettuale d’avanguardia nel la Germania sconfitta e scon volta dai sussulti sociali che seguirono il 1918, Brecht con cesse tre sole opere dram matiche al gusto dello sfacelo e della dissoluzione, tipico di quel periodo: Baal, Tamburi nella notte, Nel cuore delle città. Storie di sesso e di vio lenze; storie di abbrutimenti, di devastazioni morali, di com piaciute e morbose volgarità. Poi, rincontro col marxismo fa germogliare e via via fiori re il suo nuovo umanesimo. Dapprima, soltanto la critica spietata alla società, al modo come è organizzata la convi venza umana (da Un uomo a un uomo, storia dello scari catore Galy Gay trasforma to in soldato dell’armata co loniale, all’Opera da tre sol di): critica amarissima, risol ta nell’un caso e nell’altro, ma soprattutto nel secondo, in un gioco divertente, e per questo tanto più efficace. Dopo il ’28- ’30 ciò che domina la scena di Brecht è la ragione: una lu cidissima, serena, obbiettiva ragione, che ora mostra come sia giusto (e si pensi al tragico uso di questo aggettivo) nella società borghese che il porta tore venga ucciso dal mer cante, quando nel deserto a costui il primo offre la sua borraccia, che viene scambia ta per una pietra (L’eccezione e la regola); come sia altret tanto giusto che i rivoluzio nari uccidano il loro compa gno che, spinto da inutile pie- tismo e da intempestiva com mozione, ha messo in pericolo l ’azione intrapresa (La linea di condotta) ; quale sia il cam mino che le semplici menti de gli umili e degli sfruttati deve percorrere per arrivare alla piena consapevolezza dei pro pri diritti umani (La madre). Ma si badi. Quando parlia mo di questo « razionalismo » di Brecht, non ci riferiamo ad una astratta razionalità, di staccata, fredda, come di chi oggettivamente ricerchi e in dichi le contraddizioni della convivenza umana, senza ad esse parteciparvi, senza sen tirle in se stesso. Il raziona lismo di Brecht è concreto, terreno, di un realismo appas sionato. Pensiamo alle sue opere maggiori, scritte intor no agli anni ’38-’40: a Madre Coraggio e i suoi figli, soprat tutto allo stupendo Galileo Ga lilei. Qui un tormentoso nodo di contraddizioni ci vien di sciolto, con una straordinaria lucidità, e con una rara par tecipazione. Il grande scien ziato ci viene mostrato non più nella luce dell’agiografia, ma in quella di una ricca, mul tiforme umanità. Egli abiura, egli viene meno alla sua di gnità di uomo e di scienziato, cedendo alle pressioni del San to Uffizio: lo condanneranno per questo? Ma egli, con la sua abiura si garantisce la pos sibilità di continuare, nella so litudine della sua villa, gli studi! Più forte dei suoi ne mici, egli ne avrà in fine ra gione, perché l ’eredità della sua opera passerà ai discepo li, che la continueranno. E la civiltà avrà vinto sull’oscuran tismo. Ciò non toglie, tuttavia, che Galileo ha abiurato, ha ce duto: ma gli piace mangiare, gli piace bere, è un povero uomo. Che sente tutta la pro pria debolezza, e anche la col- pa di aver messo la sua scien za a disposizione dei potenti. Su loro, infine, cade la pesante condanna di aver costretto un Galilei a cedere, a ridursi così... E pensiamo al Cerchio di gesso del Caucaso. La fiaba del bam bino conteso, e affidato — con trariamente alla leggenda tra dizionale — non alla vera madre, ma a colei che con la sua cura materna, con il suo amore, lo ha fatto proprio in un senso più alto e più nobile che non nel sangue, è davve ro l ’epica della solidarietà, del la fratellanza, di una bontà attiva e feconda quali si tro- veranno in una società profon damente rinnovata. In una lettera ad un attore, Bertolt Brecht osserva, ironi camente, che i suoi interpreti, i critici che discutono del suo teatro, si comportano spesso come quel tale che, ad un gran de matematico dicesse: « Sì, sono perfettamente del vostro avviso. Due più due fanno cin que ». Corriamo anche noi questo rischio, parlando come abbiamo fatto, con un nodo alla gola, della sua opera? Ma mentre egli oramai riposa nelle sue fredde foreste, que sto ci sembrava giusto dire Arturo Lazzari di lui. B Poeta e autore drammatico tedesco, Bertolt Brecht era nato ad Augu sta il 10 febbraio 1898. Alla fine della guerra mondiale abbandonò gli studi di medicina per l’attività di scrittore cominciando, fra l'altro, a comporre poesie dalle cadenze popolaresche che raccolse poi, nel 1927, in volume. ■ La sua prima opera teatrale fu Baal, scritta nel 1919 e rappresentata all'Altes Theater di Lipsia. Il critico Alfred Kerr lo giudicò « non un dramma ma un caos di possibilità drammatiche ». S Con il secondo dramma, Trommeln in der Nacht (1922) vinse il pre mio Kleist. Il successo ottenuto gli procurò la chiamata al Kammerspiele di Monaco e poi, come autore, al Deutsches Theater di Berlino. g Le altre sue opere sono: La vita di Edoardo II d’Inghilterra (ridu zione da Marlowe, 1922): Im Dickicht der Staedte (1924): Un uomo è un uomo (1925); Il Medioevo (1926, inedito); Calcutta, 4 maggio (1927); Mahagonny (1927); Xeizen (1927-28); Die Dreigroschenoper (L’opera da tre soldi - 1928); Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1930); Il volo di Lindbergh (1929) - con musiche di Kurt Weill); Happy End (1929 - inedito); Das Badener Lehrstueek vom Einverstaendnis (1929 - musiche di Hindemith); Die sieben Tonsuender der Kleinbuerger (1930); Der Jasaeger e Der Maessnahme (1930); Santa Giovanna dei Macelli (1931 - musiche di H. Eissler); La madre (da Gorki, 1932); Die Gewehre der Frau Carrar (1937); Die Rundkoepfe und die Spitzkoepfe (1936); Die Aus- nahme und die Regel (1930 - rappr. nel 1947); Gli Orazi e i Curiazi (1934); Herr Puntilla und sein Knecht Matti (1940); Furche und Elend des III Reichs (1945); Der gute Mensch von Sezuan (1939); Der Kau- kasiche Kreidekreis (1948); La vita di Galileo Galilei (1938); Madre Co raggio e i suoi figli (1945); Antigone (da Hoelderlin, 1948); Der Hofmei- ster (1950). Et La sua ultima opera è stata Die Tage der Kommune (I giorni della Comune), dramma storico non ancora rappresentato. S Dopo l’avvento del nazismo, Brecht, che già aveva subito persecu zioni, andò in esilio a Praga, a Vienna, a Parigi dove pubblicò una rac colta di liriche di propaganda antinazista. Dopo una sosta in Danimarca, passò negli Stati Uniti. Finita la guerra, tornò in Europa: prima in Sviz zera e poi definitivamente nella Repubblica democratica tedesca. Nel 1949 assunse la direzione, insieme con la moglie Helga Weigél, del Ber- liner Ensemble, teatro popolare fondato dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica democratica tedesca. S Nell’inverno scorso Bertolt Brecht venne in Italia per assistere alla prima rappresentazione di L'opera da tre soldi, messa in scena da Gior gio Strehler al Piccolo Teatro di Milano. L ’a u to re ita lia n o o ra ha d iritto in tu tto i l m o n d o Il Governo italiano ha ratificato recentemente ia nuova convenzione universale di Ginevra sul diritto d’autore, grazie alla quale i nostri autori di opere letterarie, scientifi che, musicali ed artistiche vengono ammessi a fruire della protezione dei loro diritti in numerosi altri paesi che non fanno parte della convenzione di Berna del 1886. Gli Stati che vi hanno aderito si impegnano a riconoscere agli autori degli altri Stati contraenti gli stessi diritti che riconoscono ai propri. Non solo, ma un articolo stahilisce che la durata della protezione per le opere tutelate dalla convenzione, non deve essere inferiore ad un periodo comprendente la vita del l’autore ed i 25 anni successivi alla sua morte. La disposizione più importante pre vede che, quando la legislazione interna di uno Stato contraente ri chiede per accordare la protezione del diritto di autore, il compimento di formalità quali il deposito di copie, la loro registrazione, paga mento di tasse ecc., tali formalità si devono considerare soddisfatte per le opere pubblicate in un altro Stato contraente se esse portano sul frontespizio il simbolo « C » iniziale della parola « Copyright ». Tale simbolo accompagnato dal no me dell’autore e dalla indicazione dell’anno della prima pubblicazio ne, vorrà dire infatti che tutte le formalità sono state espletate nel paese di origine e che perciò l’opera ha diritto ad essere protetta negli altri paesi contraenti. E’ interessante sottolineare che la nuova convenzione non solo non contrasta, ma si affianca a quella di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche che resta perciò pienamente in vigore. Quest’ultima concede una tutela molto estesa alle opere straniere, ma appunto a causa dell’alto grado di protezione accordato, non era stata accettata da molti paesi che seguono in materia criteri più re strittivi. Ne restavano fuori ad esempio, tutti i paesi americani trarrne il Canada e il Brasile e la maggior parte dei paesi afro-asiatici. Particolare importanza assume per gli autori l’applicabilità della nuova convenzione nei con fronti degli Stati Uniti dove finora ia tutela dei loro diritti era sog getta a formalità lunghe e compli cate particolarmente gravose per i piccoli autori e per quelli che non poggiavano su grandi case editrici. italiani Z I B A L d M è O È Ì M e S T A T E V E N E Z IA CREDE DI AVER AVUTO UN F E S T IV A L DI ARTE D R A M M A T IC A . M A È IN ERRORE Anche considerato così a distanza, come tocca fare a noi, non si può certo dire che il Festival ’56 del teatro drammatico, della Biennale, sia stato immaginato con molta fantasia e realizzato con l’esito felice di altri precedenti. Le solite due recite della più o meno mediocre compagnia francese di seconda mano, buona per battere nei mesi estivi la provincia e farle respirare un poco della polvere della capitale, lo spettacolo goldoniano di prammatica e una vecchia commedia del primo Pirandello: cinque o sei recite, complessivamente, comprese le repliche, taluna delle quali a teatro semivuoto; ed è tutto: quando si consideri che la Moschetta di Ruzzante capitava pleonastica mente a Venezia da Ferrara; e qui infatti se n’è discorso come di un fatto della città estense, sicché non ce ne occuperemo in questa rassegna. S’era pensato, dobbiamo lealmente ricono scerlo, a un omaggio a Sfiato, nella ricorrenza del centenario della nascita, con una rappresentazione di Cesare e Cleo patra a cura dell’Old Vie, ma poiché da Londra si chiedevano troppi milioni non se ne fece nulla. Se si fosse risparmiato metà di quanto s’è speso per ridurre a balletto Liolà, forse anche lo spettacolo inglese sarebbe potuto passare, con che il Festival avrebbe preso un po’ più di quota salvando almeno la internazionalità della facciata. La mancanza di fantasia è il difetto principale della organizzazione di questi festival del teatro della Biennale. Con una apertura maggiore sul panorama immenso della let teratura drammatica nostra e straniera, con una più chiara coscienza degli scopi che si vogliono perseguire, con un attimo di previdente coraggio e con la medesima spesa passiva di ogni anno, si potrebbe e si dovrebbe fare il ben di Dio. Ma la sempre più contrastata autonomia riconosciuta all’Ente della Biennale e ai suoi uffici, le incertezze derivanti da quella del finanziamento, protratta fino all’estremo limite del tempo utile e della pazienza, la schiavitù di un conformismo che vien iterando da anni una formula assolutamente scontata legano le braccia e precludono la mente a coloro che pur tuttavia por tano davanti al pubblico la responsabilità della organizzazione, cirenei di una situazione che sarebbe ora di sbloccare dato che a sbloccarla non si pensi a Roma demolendo a una a una le strutture di un istituto glorioso al quale si deve se l’Italia conta qualche cosa, fuori dei suoi confini, nel mondo del l’arte moderna. Si crede proprio, per esempio, e per venire a dire il merito (per usare un modo goldonia no) che possa interessare un qualsivoglia pubblico, e che possa avere un significato non esclusivamente didattico, la rappresentazione senza un mi nimo di apparato scenico — com’è nei sistemi delle équipes francesi di giro — della Bere nice di Racine? di un teatro tragico, cioè, insigne e famoso bensì, ma sfornito oggi di ogni altro elemento di attrazione, all’infuori di quello storica mente letterario noto a quanti studiano nelle scuole di Fran cia e fuori di Francia la lingua in cui è verseggiato, perché materia inderogabile e stereo tipata di commento, quasi co me I promessi sposi da noi? Della Berenice, che appare o- gni tanto sulle scene della « Comédie » per la beneficiata di qualche anziano sociétaire, e a integrazione, appunto, dei programmi scolastici, Annie Ducaux (Berenice), Jean Des- camps (Tito) e René Arrieu (Antioco) hanno modulato nel la cornice del gremito teatro di San Giorgio, animata di sta tue e di verzure di ripiego, la consueta sicura declamazione nobilmente regolata dalle ca denze dell’alessandrino. Quan to alla tragedia in sé, che ap partiene al bagaglio critico della cultura teatrale corren te, non credo che il mio let tore di « Dramma » abbia in mente che occorra riscoprirla! « I monumenti del passato — lasciò scritto Sainte Beuve — sono sempre un po’ freddi, e anche quando si ha la coscien za di avere a che fare con dei grandi modelli, sembra, attra verso la diversità dei tempi, e malgrado la consacrazione del le epoche trascorse che essi siano di una natura dissimile dalla nostra. I modelli del pas sato, nell’ammirazione tradi zionale che li circonda, hanno qualche cosa dello splendore fisso degli astri e della fredda bellezza dei marmi. Si può di re di essi che regnano ma non palpitano ». Questo lapidano giudizio del maestro ottocen tesco della critica francese, va le, più che per ogni altro capo lavoro di Racine, per la Bere nice: tragedia senza morti e senza sangue, è stato ripetuto sempre, fin dall’autodefinizio ne del poeta, dominata dallo sforzo di un lirismo patetico e sentimentale in cui, tornia mo a Sainte Beuve, sebbene la frase non riguardi direttamen te la tragedia, « on sent le jeu, même quand on est séduit et charmé ». Questi ricorsi a Sainte Beuve non sono nati a caso. E’ pro prio Sainte Beuve, infatti, che ci aiuta a trascorrere da Ra cine a Montherlant (si parva licet...). Di Montherlant, im memore e forse pentito dei suoi trascorsi di romanziere, i medesimi comici francesi che avevano recitato al « S. Gior gio » Berenice recitarono la sera seguente alla « Fenice » quel Port Royal che, dato nuo vo nel dicembre ’54 al Théâtre Français, suscitò vivaci discus sioni ed ebbe, anche per esse, un buon successo di curiosità. Dicono che a Parigi si sia un poco chicané su questo pas saggio al Festival di Venezia, e al seguito di Racine, del chilometrico atto unico del l’autore di Les Jeunes Filles e di Pitié pour les femmes. In Francia la cultura non è quasi mai un gioco del caso; e la gente di cultura ha ben presente, colà, ancora, il te stamento di Racine. « Deside ro che, dopo la mia morte, il mio corpo sia portato a Port Royal... (Vedete un po’!). Sup plico molto umilmente la ma dre Superiora e le religiose di volermi accordare questo onore sebbene me ne ricono sca molto indegno... per il po co profitto tratto dall’eccel lente educazione ricevuta co là... ». Già, perché Racine che era stato allievo delle «pic cole scuole » di Port Royal era stato pure, già trageda glorio sa, in polemica con il rettore di quel convento, ed in una celebre « petite lettre » all’autore delle Hérésies imaginaires aveva difesa l’attività propria di scrittore di teatro doman dando ai suoi denigratori: « E che possono aver di comune i romanzi e le commedie col Giansenismo? E perché volete voi che le opere dello spirito siano una occupazione poco onore vole davanti agli uomini, e orribile davanti a Dio? ». I rap porti di Racine con Port Royal furono illustrati da Sainte Beuve (torniamo a lui) in quella sua formidabile monografia che reca per titolo il nome del celebre ritiro e che non può essere ignorata, quando ci si imbatte nella sceneggiatura del Mon therlant, se non altro perché vien spontanea alla mente una domanda: « Che penserebbe mai il grande critico francese di codesta mediocre raffazzonatura di quello che rimane, forse, dal punto di vista degli studi storici, il suo capolavoro? ». E possiamo aggiungere: e che ne penserebbe Racine medesimo? Di tutta la gloria religiosa, di tutta la grandezza spirituale di Port Royal, di ciò che il monastero (fondato da Matilde di Garlande al principio del X III secolo alle porte di Parigi, di strutto in odio alla sua tradizione di indipendenza, e poi filo giansenista, cinquecento anni appresso) significò fino alla sua drammatica chiusura nella vita morale e nella evoluzione del pensiero filosofico, in Francia, la commedia di Montherlant non dà che una idea meschina, una immagine sconnessa. Per ren dersene conto è sufficiente prendere per mano — e scorrere — l’opera di Sainte Beuve, viva come un romanzo, animata come un grande affresco, profonda nella indagine relativa alla luce di pernierò che si sprigionò dal monastero e dalle sue scuole, minuziosa ma ariosa nell’evocare le relazioni inter corse fra esso e molte delle figure principali della Francia letteraria: da Pascal a Montaigne, da De Saci ad Antonio Arnauld, a Pierre Nicole, all’Hamon, ecc. ecc. Basterebbe il confronto fra il ritratto della mère Angélique tracciato da Sainte Beuve e quello ricavatone da Montherlant per intuire lo scarso valore artistico della commedia rispetto al tema. Quanto alla conclamata scena fra l’arcivescovo Perefix e Suor Angelica, leggerne il corrispondente dibattito rico struito da Sainte Beuve concluso dalla monaca col celebre augurio « que larmes qu’il allait faire répandre eussent pu composer un bain pour lui qui lui pût servir devant Dieu ». Indimenticabile figura quella della mère Angé lique in Sainte Beuve di cui il potere patetico, mistico e austero, dolce e fervido, è tutto nella apostrofe alle sue « pen sionnaires »: « Je crois que l’on pleure ici... Allez, mes enfants, qu’est-ce que cela?... N’avez donc point de foi?... Quoi, les hommes se remuent. Eh bien, ce sont des mouches, en avez vous peur?... ». Che una battaglia di idee e di sentimenti tra un gruppo di monachelle fieramente agguerrite nella loro fede e nei loro convincimenti e ben decise a resistere « al papa, agli arcive scovi e ai Gesuiti » — come scrisse Racine — e un arcivescovo opportunista e un messo di Re, possa avvincere — anche e soprattutto pel genere delle idee in contrasto riferito a una sottointesa attualità — questo si comprende; ma si tratta, evidentemente, di un interesse fuori dell’arte del commedio- tant de grafo, al quale si può tutt’al più riconoscere l’abilità posta nello sfruttare scenicamente situazioni ed elementi storico letterari sovraccarichi di una propria eloquenza drammatica. D’altronde non è da credere che lo scarso pubblico che assi stette alla rappresentazione della « Fenice » vi si sia divertito molto. Al di là di ogni riserva sulla pièce, esso ha tuttavia riconosciuto ed applaudito i pregi di una recitazione ben concertata, varia e precisa. Particolarmente notevoli il Debu- court, prodigo di effetti anche comici, nella parte dell’arcive scovo e la Ducaux in quella di Suor Angelica. Mi dispiace di dover dire un’amara verità ad artisti i quali, come Cesco Baseggio, il Lodovici, Misha Scandella e i loro compagni tutti, hanno la passione di Goldoni nel sangue: ma presa nel suo complesso la rappresentazione delle Donne gelose s’è risolta in un grande spettacolo mancato. L’illusione di poter conseguire con questa commedia i risultati conseguiti con le Baruffe chioggiotte era, e doveva apparir subito, fallace per molte ragioni, tutte perfino troppo ovvie. Prima, e pregiu diziale, e rientra in quella pregiudiziale più lata sulla quale non mi stancherò mai di insistere, le Donne gelose, ammirabile espressione del teatro vernacolo veneziano, intesa la parola vernacolo nel suo senso integrale, sono, nonostante le brevi pa rentesi del secondo e terzo atto che si svolgono per istrada, una commedia da camera, priva di caratteri (tolto quello di donna Lucrezia) che si regge esclusivamente sulla lucentezza del dialogo. Per la fragilità stessa del suo contenuto, questo non può riempire né l’immenso boccascena né superare l’imponenza e la suggestione della vasta cavea del Teatro verde di San Giorgio maggiore. Seconda ragione: l’inserzione dei luoghi della commedia — piccoli salotti borghesi, per lo più — nella enorme cornice stravagante e malamente dipinta di una Venezia quasi sempre deserta e afosa, lungi dall’aiutare a colorire la recita zione, finisce col risolversi in un dannoso gioco visivo di cui la maggioranza degli spettatori, non potendo sempre cogliere, per lo meno senza fatica, le battute del testo, si distrae a rile vare le molteplici incongruenze. Terza ragione: i personaggi delle Donne gelose appartengono a una umanità viva, sì, ma di una vita tanto meschina, e per se medesima insignifi cante, da rendere assolutamente illogico, se non addirittura assurdo, ch’essa abbia a sopportare il peso delle sovrastrut ture colossali inevitabilmente destinate a schiacciarla. La preoc cupazione scenografica e spettacolare è andata, in questo caso, a tutto danno d’una commedia la cui bellezza riposa quasi esclusivamente sulla bellezza del suo dialogo. Va aggiunto, a questo proposito, che le Donne gelose sono state scritte da Goldoni in un dialetto pittoresco e scintillante schietto ed esatto, ma secco e scattante, che domanda una recitazione idonea a rendere invece che, forse per rimediare alla vastità dispersiva dell’ambiente, esso venne diluito, e quasi liquefatto, in cadenze lunghe, stra scicate, manierate, dominate da una commistione di intona zioni impure, nella quale le differenze fonetiche proprie di approssimativi linguaggi veneti avevano il loro común deno minatore in un « birignao » insistente, influenzato a sua volta dai ricordi del « convenzionale » chioggiotto delle Baruffe, o del non meno convenzionale panano ruzzantino. Ebbene, no, le commedie veneziane di Goldoni non debbono esser recitate la lucentezza. E’ accaduto sacrificandole a generici sche mi di pronunce e di cantilene; ed impongono ai registi chia mati a metterle in scena e agli attori chiamati a interpretarle la conoscenza e la cura più viva della materia ad essi affi data e della parlata in cui tale materia ha da essere espressa. Anche chi non è veneziano può giungere a tanto: valga per tutti il grande luminoso esem pio di Ferruccio Benini. Dopo di che, eccoci alla conclusione sulla quale non si insisterà mai abbastanza: perché il pub blico si persuada della gran dezza, nella quale crediamo, di Goldoni, questi va riportato in teatri piccoli e chiusi, valo rizzato al massimo grado nella sua consistenza dialogica, libe rato da tutto il ciarpame spet tacolare che si tende a sovrap porgli e contro il quale, fin da quando incominciò a lavorare per la sua « riforma », il com mediografo sempre lottò; va quindi ridotto alle tipiche e- spressioni scenotecniche del suo tempo; va, insomma, re stituito a lui stesso e al suo stile. Tutto ciò che si fa al- l’infuori di coteste esigenze lo offende e lo tradisce, e giu stifica le posizioni negative di coloro che non lo capiscono, o non lo amano, o addirittura (e ce n’è!) lo negano. Devo ora suggerire che le mie os servazioni sulla recitazione delle Donne gelose, non toc cano, presi ognuno individual mente, Cesco Baseggio troppo eccellente attore e troppo ve neziano per non essere un in tonatissimo « sior Boldo »; né la piccola Luisa Baseggio che ha nel sangue l’estro delle « putte » settecentesche, né, in parte, la Vazzoler sebbene la sua « siora Lucrezia » sia alquanto svanita nel quadro troppo ampio in cui agiva, o Laura Solari perfin troppo ele gante, o la Bovo; o infine Ce sco Ferro che ha saputo dare all’Arlecchino della commedia quel sapore della transizione che il Goldoni forse immaginò. Quarto spettacolo del Festival, Liolà di Luigi Pirandello, dato alla « Fenice » nella regìa di Orazio Costa da un complesso formato di allievi, ex allievi e maestri dell’Accademia d’A r te Drammatica di Roma, rin forzato da qualche altro vali dissimo attore. I motivi di que sta scelta sono stati molteplici, ma somiglianti: cadevano in sieme, infatti, e insieme si vo levano commemorati, il qua rantesimo anniversario della prima rappresentazione della commedia interpretata da An gelo Musco nel 1916, in piena guerra, all’« Argentina » di Roma nella originale versione in dialetto siciliano di argen ti; il ventesimo anniversario della morte dello scrittore; il ventesimo della creazione del l’Accademia (ma la Biennale non celebra, che si sappia, le ricorrenze natalizie dei Con servatori di musica o degli Isti tuti di Belle A rti) e il secondo della morte di Silvio d’Amico che la fondò. Peccato che, at traverso la realizzazione regi stica, lo spettacolo abbia as sunto un inatteso aspetto, gra zie anche alla collaborazione del compositore Roman Vlad e al corpo di ballo di Raja Garo- sci; e che in luogo della « com media campestre » di Piran dello (commemorato da Mario Apollonio) si sia avuta la rap presentazione di un’operetta- ballo, nella quale il testo del l’autore si perdette, per buo na parte, fra canti, danze, cori in scena e fuori di scena, ed altre simili invenzioni ispirate all’estetica coreografo Massine e a un folclorismo per due terzi, almeno, fasullo. Liolà ha caratteri e riflessi ti pici suoi, dai quali chi voglia rispettarne il contenuto, la consistenza, non lineamenti, del i dovrebbe, ritengo, prescindere. Liolà è infatti una commedia curiosamente culturale in cui ritrovi lo spirito della letteratura naturalistica siciliana, da Capuana a Verga, che l’ha preceduta (rileggetevi di Verga La roba per capir meglio la individualità di Zio Simone in Liolà, ricco sfondato e senza eredi della « roba » da lui messa insieme in tanti anni di lavoro) un singo lare accoppiamento di elementi della commedia classica e della commedia popolaresca del Rinascimento, e, con un formidabile balzo indietro, una risonanza del dramma satiresco greco, in dotta non tanto dalla parlata agrigentina, la più pura fra quelle del gruppo etnico siciliano, quanto dal clima stesso di Agrigento che ripete, nelle luci e nei monumenti del suo paesaggio, il clima dionisiaco della sua antica civiltà. E qual che cosa di dionisiaco, di supremamente indifferente al dramma delle persone è in Liolà, pur dominata dall’orgoglio dei sessi, dai puntigli dettati appunto da tale orgoglio, dal contrasto tra la decadenza fisiologica del vecchio Simone e la lirica attrazione fecondatrice di Liolà, che agisce da calamita sui bisogni inconsci delle donne in fregola. Commedia cam pestre la definì Pirandello; commedia solare possiamo aggiun gere, dove tutto è scoperto, senza mezze tinte, senza stati d’animo arrovellati, dove l’interesse egoistico e la beffa car nale convergono senza reticenze verso il trionfo fallico. Non c’è neanche un poco di ombra romantica nei cuori dei perso naggi di Liolà; i tre figlioletti che il maschio vittorioso educa al suo canto gli sono nati non già da tre diverse Santuzze vergini ed appassionate ma da tre « ragazzone di fuori via » ; Tiuzza gli si è data per impedire che la mettessero a riscal dare invano il letto dello zio; e Mitta gli si dà alla fine per ridiventare padrona e regina della casa accanto al marito, sosti tuendo, con un figlio bastardo ma per legge legittimo, il figlio illegittimo che Simone si vanta di aver avuto con la nipote. Né palpiti di cuore, né morale: lo sprezzo anzi degli uni e dell’altra nel gioco degli interessi materiali e nella estempo raneità dei contatti di alcova. Commedia agra e spregiudicata a cui soltanto lo Strawinski orgiastico della Sacre du Prin- temps avrebbe potuto por mano per trasferirla nella esalta zione musicale. Come abbia potuto il Costa immaginare di compiere un tale travaso con il povero apparato operettistico da lui addossato al testo, così umiliato frainteso e sopraffatto, rimane veramente incomprensibile. Sono stati interpreti principali di Liolà Giorgio De Lullo nella parte del protagonista da lui caratterizzata e resa con molta intelligenza ed efficacia anche se cantata più professionalmente che estemporaneamente (ma perché non s’è vestito secondo le precise indicazioni della didascalia pirandelliana, che parla di giacchetta a vita, di calzoni a campana, cioè lunghi, di ber rettino a barca all’inglese con nastrini), il Tofano, bonario ed umano zio Simone; Wanda Capodoglio, brava come sa esserlo lei, ma costretta in una interpretazione esagitata della figura di zia Croce; la Falck e la Mommi (Tuzza e Mita) rivali e con giunte nei calcoli di Simone e nell’appetito di Liolà, ottime entrambe. Ma non vanno dimenticate la Argenzio, la Andreini, la Galvan nelle parti minori. Bellissima la scena di Virgilio Marchi; bene stilizzati i costumi della De Matteis, subordinati alla eguaglianza della concezione ballettistica, meglio che al Gino Damerini povero realismo dell’ambiente. HANNO RECITATO “ LA FIACCOLA SOTTO IL MOGGIO” A POCHI PASSI DALLA TOMBA DEL POETA Con quattro recite della Fiaccola sotto il moggio, incominciando il 14 luglio, e con altre tre del Racconto d’inverno di Shakespeare, inco minciando dal 28 luglio, una apposita formazione — guidata da Al berto Casella — ha inaugurato gli spettacoli all’aperto del Vittoriale; quel teatro bellissimo ed altamente suggestivo, che D ’Annunzio non fece a tempo a vedere finito. La Fondazione del Vittoriale e l’Ente del Turismo di Brescia, hanno compiuto — dopo una confusione di idee e di utilizzazione — quello che fu uno dei maggiori desideri del Poeta. Differente da ogni altro teatro all’aperto, quel luogo richiede opere che in un certo senso si inquadrino col Vittoriale. Quest’anno la scelta è stata abbastanza facile, ma in avvenire tra le opere di D’Annunzio si troverà sempre meno, dopo Gioconda e Francesca. Meglio sarebbe pensare alla Nave, certo la più adatta al richiamo « dannunziano ». Non bisogna dimenticare, anche scegliendo opere straniere, che il Vittoriale è un eremo, un museo, un cimitero. Infatti si recita a pochi passi dalla tomba del Poeta. Gli interpreti principali della Fiaccola sotto il moggio sono stati: Maria Letizia Celli (Donna Aldegrind), Glauco Mari (Tibaldo), Lilla Brignone (Gigliola), Antonio Pierfederici (Simonetto), Mario Feli- ciani (Bertrando), Edda Albertini (Angizia), Vittoria Benvenuti (Annabella), Laura Rizzoli (Benedetta) e Gianni Santuccio (Serparo). La quarta recita della Fiaccola è stata trasmessa, con ripresa diretta dalla TV italiana. Magnifico successo di tutti gli attori ed una regia da far grande onore ad Alberto Casella, certo il regista più dannun ziano ed estetizzante, se mai ve ne furono altri. Gran merito dell’ecce zionale risultato delle rappresentazioni del Vittoriale spetta ad Alberto Casella. UN F IN A LE NUOVO (S B A G L IA T O ) PER “ C A S A D I B A M B O L A ” A C A S A M IC C IO LA Al nuovo teatro all'aperto costruito sulla collina della «Grande Sentinella» di Casamicciola, nel corso delle manifestazioni commemorative del cinquan tenario della morte di Enrico Ibsen, è stata rappresentata « Casa di bam bola » da un complesso appositamente formato, protagonisti Valentina For tunato ed Arnoldo Foà. Il tonfo di porta chiusa che si ode al finale di Casa di bambola (e la sera della rappresentazione non si è udito avendolo soppresso il regista Luciano Lucignani) definisce e conclude la pietrificazione della madre che abbandona i teneri figli per essere finalmente « lei », e non già la mogliettina al tempo stesso coccolata ed igno rata dallo scialbo e tirannico burocrate Helmer. Non bisogna te mere di pensarlo; il finale di Casa di bambola si può non ac cettare. Non sarà certo una riserva del genere, a limitare le pro porzioni dell’angelo nero che da più di sessantanni si libra sull’uni verso drammatico, e da Catilina a Quando noi morti ci destiamo condanna senza rescritti le colpe, i delitti e il peccato di origine della società umana. Del resto, nelle ultime parole di Nora, lo stesso Ibsen ha un lieve sopras salto di compassione. Se accades se il miracolo; se un giorno tra Nora e Torvald Helmer venisse a sussistere la possibilità del vero matrimonio armonico e comple to dalla comunione delle anime all’unisono nell’amore, ella forse potrebbe tornare. Fra dunque le cito ad una regìa diligente e stu diosa come quella del Lucignani alimentare quel barlume di spe ranza, bagnare di luce un poco più morbida il macigno dell’asso luto. Ma inventare un finale nuo vo per Casa di bambola, franca mente no, non dev’essere fatto. E si badi bene che qui non si vuole alludere soltanto all’intan gibilità del testo come norma di ordine artistico: è l’epilogo del dramma, è il personaggio Hel mer, che mutano di colorazione drammatica. La bambina che nel la « versione » Lucignani appare sola, in camicia da notte, eviden temente desta dal dialogo tra i genitori; l’uomo che si. prende la figlioletta in braccio, e se la stringe al petto, e la riporta a dormire quasi volesse cominciare a farle anche da madre, tutti que sti accenti sono improbabili nel- l’Ibsen di Casa di bambola. Nel finale scritto, il drammaturgo tro va le sue parole con impegno meticoloso, con attentissima gra dualità: adombra come ho detto la possibilità di un miracolo, ma subito dopo, uscita Nora, gli sem bra di aver troppo concesso e fa dire desolatamente ad Helmer, che si guarda intorno smarrito, parole che stanno a significare un abbandono irreparabile, una soli tudine definitva. « Solo! Non c’è più! ». Dopo di che, anche Hel mer accenna al miracolo: « Il gran miracolo? ». (Si sente richiudersi la porta di strada dice la dida scalia) e infine risuona il colpo della porta che si chiude. Nora Helmer ha lasciato la casa « senza voler vedere i figli »; le leggi non riformate e il conformismo di Helmer hanno condotto la vi cenda alla catastrofe. 1 personaggi di quasi tutto il teatro di Ibsen hanno costituzione umana, ma si no a un certo punto: oltre quel punto sono termini di una eterna polemica; sono « argomenti vesti ti ». E’ Ibsen, in Casa di bambola, che afferma: «Il mondo va inale, dunque questo matrimonio non può durare ». Lo afferma Ibsen, e non la povera Nora né tanto meno Torvald Helmer. Tutto considerato, se i due fossero per sonaggi compiutamente realistici, la conciliazione non sarebbe im possibile. Che cosa ha fatto Nora se non indebitarsi per salvare la vita al marito infermo? E, mal grado i suoi discorsi di pavido egoista, che cosa ha fatto Helmer se non paventare la rovina della propria carriera nell’apprendere il falso in cambiali commesso da Nora? Oltre tutto ci sono i tre bambini; potrebb'essere forse la stessa crisi a condurre i coniugi sul terreno della comprensione e dell'indulgenza, nonostante la leggerezza di Nora e l’egoismo di Torvald, il quale ultimo dopo tutto non è che un padre di fa miglia messo allo sbaraglio. Ma interviene il poeta, irremovibile, e demolisce la piccola casa. Altro che effusioni paterne al finale! Altro che tenerezza dell’uomo abbandonato, il quale si dispone a sostituire la madre presso i figli! No, Casa di bambola va rispettata alla virgola, non fosse altro che per lasciare a Ibsen, di fronte a una possibile revisio ne avvenire, il torto o la ragione della sua crudeltà verso i perso naggi. A parte questo rilievo, inevitabile, la rappresentazione di Casa di bambola su pedana circolare è risultata interessantissima. L’in novazione importata da Carlo Lari si dimostra sempre più vi tale e funzionale. La tragica fa vola di Nora, di Helmer e dei tre bambini inconsapevoli era co sì vicina a noi spettatori da sem brar vera; da darci la sensazione di « essere in visita » dagli Hel mer. Era un interno con figure, e appropriatissima mi è sembrata, soprattutto nei primi due atti, la tonalità della recitazione. Tono discreto, rattenuto, intimo; né, d’altra parte, a due o tre metri dal pubblico, la voce degli attori si sarebbe potuta registrare altri menti. E veniamo agli interpreti. E’ chiaro che Nora dev’essere una creatura smarrita. Nel primo atto, fino alla tetra apparizione di Krogstad il ricattatore, ella è la bambola della casa, viziata, leg- gerina, un po’ vana. Al secondo atto prevale in lei l’angoscia che il falso commesso venga a cono scenza del marito. Al terzo, la donna si irrigidisce in un’assenza disperata: Helmer divenuto un estraneo, Nora non cè più. La moglie ribelle deve guardare con una sorta di stupefazione sprez zante il mostro di normalità che è il marito; deve « vederlo per la prima volta ». Questo vuole Ib- sen, e, con l’approsimazione ine vitabile dell’interpretazione dram matica, questo è stato reso bene da Valentina Fortunato. Oltre tutto, il « sottotono » è risultato funzionale per il personaggio No ra. Ma c’era Helmer. Helmer non è glaciale. Helmer non è pietri ficato. Nonostante il suo qualun quismo, e forse appunto per esso, Helmer soffre crudelmente poi ché subisce un trauma tanto più forte quanto più inaspettato. Ar noldo Foà, che comunque ha re citato da attore di prim ordine, non avrebbe potuto salire di tono proprio per la specialissima acu stica della scena e per l’« inti mità » della recitazione cui s’ac cennava in principio. E allora? Allora, secondo me, bisognava, farlo recitare con la stessa inten sità di voce e fors anche un po’ più basso, ma più aspro, più sof focato, più « di petto », conferen dogli così la pena e l’agitazione cònsone al suo stato d’animo. Sono notazioni che si riferiscono all’esperimento di una forma sce nica ancora nuova, e che non in- ficiano l’importanza e la riuscita dello spettacolo unanimemente, vibrantemente applaudito. Di Va lentina Fortunato, di Arnoldo Foà e dello scenografo Gianni Polidori ho implicitamente detto. Ferruc cio De Ceresa ha dato del ter ribile personaggio Ronfi una fi gura in nero bellissima. Christin amorevole, un po’ patetica, Lidia Alfonsi. A posto il Giangrande nella parte di Krogstad, bene An namaria la governante ch’era El sa Albani, graziosa Simona Sor lisi, aggraziati i tre figli di Hel mer; Berto, Aldo e Maria Grazia Monaci, belli i costumi, sapienti le luci. Ammirato e soddisfacente il pubblico densissimo che aveva assistito alla rappresentazione. Prima dello spettacolo, Roberto Minervini ha parlato dal balco ne di « Villa Ibsen » sul tenia « Ibsen a Casamicciola ». Discorso di elevata ideazione, di nobile linea, e soprattutto centrato sulla interpretazione umana, veramente nuova, del vecchio vestito di nero che venne dalle pallide luci del fiordo a immergersi nell’aura ma gica dell’arcipelago napoletano. Il successo di Minervini è stato ec cezionalmente vibrante. Infine Vittorio Gassman ed Arnoldo Foà hanno recitato alcuni brani del Peer Gynt (concepito come è noto a Casamicciola) mentre gli amplificatori diffondevano le musiche di Grieg. Moltissimi i telegrammi di adesione a Roberto Minervini e al collega Giacomo Deurìnger, animatori delle ma nifestazioni promosse dall’Ente per la valorizzazione dellTsola di Ischia. A Napoli si è inaugurato il “ T e a tro del P o p o lo ” con “ Napoli in frak ” di Viviani Se voi, qui a Napoli, salite al Museo di San Martino a con templarvi i quadri di Giuseppe Miglioro, non pensate certo che quegli interni od esterni con fi gure siano ubicati od ambientati fuori d’Italia. Così in teatro, per le tele animate di Raffaele Vi- viam. In fatto di linguaggio, poi, Viviani è per noi la più grande firma dell’italiano argotico, della Coquille italiana, del romanzo picaresco in Italia. E’ a ragion veduta, e per principio stretta- mente unitario, che scrìviamo « in Italia » e non « a Napoli ». Sa rebbe strano che la Francia rifiu tasse Vilion per via dell’« argot», degli stracci e della corte dei mi racoli; e la Spagna il giovane bac celliere Fernando de Rojas con la scusa dell’indecenza di Cele stina. Al mondo, se Dio vuole, non vi sono e non vi sono state soltanto ghirlandette ed altre gen tilezze: vi sono stati e vi sono anche pezzenti, tagliaborse e me retrici. Con ciò non si vuol dire che l’opera di Raffaele Viviani, la cui risultante è comunque ri gorosamente morale, sia tutta rap presentazione dei bassifondi, ma ciò che in Viviani scoppia di polpa realistica; ciò che in Viviani è lazzaresco, picaresco, fortemen te caratterizzato (qualche perso- naggio sembra sgusciato addirit tura da una ballata di impiccati) contribuisce a dar sangue all’arte unitaria per le vene della narra tiva, della lirica e più che mai del teatro. Son cose del resto che risulteranno evidenti dai te sti e dai saggi dei due mirabili volumi che ci auguriamo di veder pubblicati dopo la morte di Etto re Novi, che si era assunto questo compito, col teatro completo del commediografo ed attore italiano. Qui a Napoli in questo « Teatro del popolo », vedremo altre ope re di Raffaele Viviani che non la garrula, l’ariosa, la squillante, ! ammainatissima Napoli in frak. Ma vorremmo ascoltare dai più dotati fra i commediografi « in lingua » soltanto un abbozzo di un concentrato come quello del Vicariello, o di un corale come quello dei pescatori che tirano la sciabica a Sorrento, e a cui Vit torio Viviani regista dà un movi mento interiore di balletto, a co lori accesi, su fondale nero. Quel- l’impulso delle voci sul moto del le braccia! Quel vecchierello dai cerchietti d’oro alle orecchie, che partecipa alla fatica come può, riavvolgendo la « cima » della re te! Quell’invocazione alla divi nità che moltiplichi i pesci! E i guappi del quadro di Posillipo? Nessun personaggio come il guap po fu mai preso per il bavero da Raffaele Viviani. Intanto il guap po di Viviani (non siamo ancora nell’acquafòrte del puro realismo) è divertente e simpatico. Benché verboso e sempre agitato dalla paura di buscarle. Benché disce so da una genealogia comica che parte dalla petulanza del Miles plautino e genera gli Spaventa e i Matamoro dell’Arte, che di menavano le draghinasse ai cro cicchi del Seicento. La rivista « sui generis » Napoli in frak è del 1926. Ripresa dopo treni’anni, è del tutto valida an che se non del tutto aggiornata. Non v’è più il camion coi militi che rastrellano le masserìzie la sciate sulla strada, anche perché di masserizie lasciate sulla strada se ne vedono poche, quasi non se ne vedono più. Ma v’è sempre 10 spirito della plebe attrice pas siva e spettatrice distaccata di quelle requisizioni che mutarono 11 Municipio in un enorme depo sito di rigattiere. « Sergente, la- sciatela stare, quella poverella! Il marito sta in galera! ». La pove rella vende fagioli cotti all’an golo del vicolo, e dà una « voce » piena di acuti e vocalizzi. Tutto questo per campare la vita: nella ipotesi peggiore, ci sono sempre da mangiare i fagioli della pi gnatta. Totale: scioltezza, testa fresca, presa delle guardie per il fondo dei pantaloni, e, in defini tiva, doucer de vivre. Quadro relativamente ottimistico, si capi sce: c’è il rovescio della medaglia come abbiamo detto in principio, e lo dice anche Viviani. Insomma, uno spettacolo vero e sincero. La compagnia, numerosa e bene assortita, ha recitato da brava, dagli attori anziani ai gio vani delle ultime leve. Chiamate e applausi per Luisella Viviani, Irma De Simone, Ugo d’Alessio, Agostino Salvietti, Gennarino Di Napoli, Rino Genovese, Don Edoardo Guerrera, Nello Ascoli, Salvatore Costa, Ettore Carloni, Gino Maringola, Mario Laurenti- no, Nino Di Napoli, Lia Thomas, Anna Bruno, Bianca d’Amico, Gianni Crosio, Franco Cordone, Lilli Romanelli, Bianca Varriale, Lia Fiamma... Ma erano tanti, e lo spazio non abbonda. Successo pieno, affettuosissimo come si è detto. Moltissime repliche. Ernesto Grassi MEGLIO CHE A PARIGI IL “ GIUDA" DI PAQNOL A PORTOVENERE tirarlo -k II 16 agosto 1956, a Portovenere, nel piazzale di San Pietro, è stato rappre sentato il dramma sacro di Marcel Pagnol « Giuda »; regìa di Guido Salvini. Qui c’è il clima adatto alle con piombano, di indietro. ciliazioni. Quando uno ha finito Dal suo vertice la chiesetta butta di arrampicarsi su per gli scalini a piena gola pochi rintocchi che che lo portano al piazzale, il fiato restano fermi nell’aria prima di che gli resta può bastargli giusto planare dolcemente verso il golfo per ordinarsi un caffè. Il piaz che si rischiara di misteriose fo sforescenze. zale, marginato da un declivio Solo in grembo a questa natura che con un supplemento di ascen sione conduce alla chiesa di San così materna, protettiva e indul gente, si poteva tentare la riabi Pietro, se ne sta, appartato e litazione di Giuda. Sembra natu stracco, sull’orlo di un precipizio. ralissima. Persino generosa. In Viene voglia, a vederlo così a filo vece al Théâtre de Paris, l’autunno degli immensi roccioni che stra- scorso, scatenò la polemica. Ci si misero di mezzo i teologi, i cat tolici e gli ebrei. E se tanta pub blicità fece indirettamente il gio co di Elvire Popesco, riempiendo per mesi il suo teatro, non giovò al prestigio dell’autore di Topaze. Si trovò che il linguaggio di Judas non era al livello di una tesi così impegnativa, che il dramma era più marsigliese che palestinese, che tutto sommato Marcel Pagnol avrebbe fatto meglio a rimaner sene nel « boulevard ». La verità è che in tema di teolo gia il teatro francese aveva dato profondi e sottilissimi disquisitoti come il Bernanos dei Dialoghi delle Carmelitane e il De Mon- therlant di Port-Royal. Opere di respiro europeo hanno trattato re centemente la figura di Giuda. Paul Raynal, in A souffert sous Ponce Pilato, ne fa un soggetto credulo e debole, facilmente sug gestionabile. Claude-André Puget e Pierre Bost, nei tre atti di Un nommé Juda rappresentati nel 1954 alla Comédie Caumartin, si spingono a conclusioni anche più azzardate: l’Iscariota, strumento della redenzione, vi appare col pevole d’aver sostituito il suo di spositivo d’uomo al dispositivo di Dio, ma la moralità dell’opera non è disperata, in quanto, con la possibilità di salvezza per il discepolo che vendette Cristo, si ammette implicitamente che an che il « male » può essere tempo raneo e non eterno; e che solo Dio ha l’ultima parola. (In que sta tesi del perdono e dell’infi nita misericordia c’è una larvata affinità col Diavolo di Papini). Strana coincidenza. Il nizzardo Puget, lo squisito autore di Giorni felici, per emigrare dal « boule vard », si rivolge a Giuda. Il mar sigliese Pagnol fa lo stesso, ma il confronto non lo favorisce. Atti randosi addosso un sospetto di eresia, il lavoro ambizioso di Pa gnol è totalmente fuori dalle cor de del commediografo che fu schietto in Topaze, Marius, Fan ny, ossia nelle commedie dove prevaleva lo spirito e l’accento del mezzogiorno della Francia. Alla prima di Judas (il 7 otto bre 1955) seguirono polemiche a non finire in cui più tardi dovette inserirsi anche Raymond Pelle - grin, che ne era stato, con Jean Servais e Jean Chevrier, l’inter prete principale. Ma sotto il cielo di Portovenere le cose cambiano. Le parole si ascoltano meno e maggiormente si gode lo spettacolo nella sua ampiezza corale, nella bellezza del luogo deputato, e delle scene di Giulio Coltellacci, nella sug gestione dei canti ebraici. Guido Salvini è una volpe e sa bene da dove trarre i suoi effetti. In nanzitutto nella versione (Salvini e Di Martino) i dialoghi hanno perduto molti toni retorici con servando l’aromatico burlesco marsigliese che è la nota carat teristica di Pagnol. I cinque atti sono stati portati a due tempi. La sceneggiatura della Passione ha marcato, in esterno, la sua for za pittoresca e una singolare, e un po’ sorprendente novità dia lettica. Giuda è appena entrato in scena —■ una stanza della fattoria di suo padre Simone, vicina a Gerusa lemme — e già l’autore si preoc cupa di precisare l’indirizzo del dramma dando alle parole di Cri sto un valore di predestinazione. « Quello che devi fare fallo pre sto » ripetono Giuda e « lo stra niero » che impersona il maligno : ed è evidente la divergenza della lezione col Vangelo di San Gio vanni (XIII-27) « Quello che fai, fallo presto ». Su questo cardine polemico gira tutto il dramma del discepolo traditore. Giuda « deve fare » quello che fa per ché Cristo possa salire sulla croce e riscattare col suo martirio tutti i peccati degli uomini. « Hanno pagato trenta danari d’argento — dice un versetto di Geremia — il prezzo di colui che è stato messo a mercato per i figli di Israele. E li hanno dati al vasaio, così come il Signore ha ordinato ». Prima di essere un apostolo, il figlio di Simone era infatti un vasaio. Egli rifiuta i duemila pezzi d’oro che gli offre Caifa, ma ac cetta le trenta monete d’argento affinché si adempiano le Scritture. Delle parti che Dio ha assegnato a Giuda è toccata la meno rico noscibile, la più ingrata. « Che devo fare? — si domanda alla fine del dramma. — Non posso più essere apostolo: chi accette rebbe il sale del battesimo dalla mano di Giuda? Non posso più essere un vasaio: chi vorrebbe conservare il suo olio in una giara fornita da Giuda? Non posso più zappare la vigna di mio padre: chi vorrebbe bere il vino di Giu da? Non posso più creare una famiglia: chi vorrebbe essere il figlio di Giuda? Il mio ricordo sarà maledetto nei secoli. Mai più un essere umano sarà battez zato col mio nome. Signore, per ché mi hai scelto? Tuttavia questa amarezza io l’accetto. Mi hai fatto incarnare il male degli uomini. Che la tua volontà sia fatta ». Questo è il senso dell’opera di cui si è tanto parlato prima e dopo la sua rappresentazione al Théâtre de Paris. Le riserve pari gine si affacciano spontanee an che dopo questa prima italiana che reca in soccorso di un testo « in maniche di camicia » la stu penda ospitalità del piazzale di San Pietro. Al Giuda di Marcel Pagnol manca una convincente forza di linguaggio e soprattutto la sostanza filosofica e teologica che renda accettabile una tesi così ardita. Fra i dati positivi c’è l’innegabile mestiere dell’au tore, il suo riconoscibile sforzo per portarsi sul piano ideale della Passione, un apprezzabile pudore nel presentarne le stazioni. La salita di Cristo sul Golgota, per esempio, è descritta tutta in direttamente, dai passi trascinati con pena sotto il peso della croce al colpo di lancia inferto dal centurione. Una nervosa efficacia drammatica si insinua in questa scena dove la trovata meno pere grina è la cantilena di un cieco della Tiberiade. A ll’aperto, dove le parole hanno meno sottigliezza, gli effetti assu mono una consistenza impensata. E sono proprio i testi di grana grossa a presentare le maggiori sorprese. Salvini ha visto bene le possibilità spettacolari del Guida di Pagnol. Ha marcato la parte visiva. Ha inserito musiche e canti. Ha guidato gli attori con ritmo preciso e lunga proiezione di toni. Ad assecondarlo efficace- mente è stato anzitutto Carlo D’Angelo nella parte del prota gonista impostata sul dubbio pri ma, sulla sofferenza poi, sulla consapevolezza dell’azione tanto più esecrata quanto meno chia rita nella finalità. Interpretazione fonda e bella, alla quale si è affiancata quella vigorosa di Rol- dano Lupi nella parte del centu rione Marco, quella di Anna Mi- serocchi tenera e vibrante Re becca, di Filippo Scelzo autore vole Pilato, di Giulio Bosetti (lo straniero), di Cesare Polacco (Si- mone), di Raffaele Giangrande (Caifa), di Giannina Chiantoni (la madre), di Massimo Pianfo- rini, Dario Dolci, Di Simone e di tutti i minori. Pubblico folto e caldi applausi alla fine delle due parti, con mol te chiamate agli attori e al regista. C. M. Rictmann SARSINA HA IL SUO TITO MACCIO PLAUTO E SE LO TIENE BEN CARO Sàrsina, la città romana dalle tra dizioni illustri, ha celebrato l’arte del suo grande figlio T. Maccio Plauto. Egli fu il primo scrittore latino, dopo Andronico ed il cam- pàno Nèvio a trattare di teatro. Nelle sue composizioni ebbe pre sentissimi i testi dei grandi mae stri ellenici e si ispirò a Difilo o Filomeno e talvolta a Menandro, ma le sue commedie ebbero un sapore e un colore tipicamente romano e una loro originalità la tina che congiunse la fantasia creatrice alla satira sociale. Ori ginalità e consistenza artistica che rese e rende attuali le commedie plautine in ogni tempo e dovun que, più ancora di quelle del l'elegante Terenzio. Ea vita aveva riserbato le più in grate vicissitudini a T. Maccio Plauto, nato verso il 254 a. C. da genitori liberi ma poverissimi. E fu il bisogno che lo costrinse ad espatriare a Roma, dove ebbe la possibilità di entrare in teatro, prima come attore poi come capo di una compagnia. Vi guadagnò un po’ di denaro, ma ebbe la malaugurata idea di tentare gli affari e andò fallito. Ridotto alla miseria più nera, si vide costretto a chiedere lavoro a un esoso mu gnaio; il quale lo assunse per fargli girare la macina. Leggiamo nell’Asinaria che la vita lo portò ad esperienze amare ed ingrate « là dove la pietra sfrega contro la pietra... Dove piangono dei brutti esseri che pestano la polen ta; alle isole Battibastone e Stri- diferro, dove buoi morti, gli staf fili, inseguono uomini vivi ». Era un autodidatta, Plauto, ma la disgrazia e l’umiliazione gli aguzzarono l’ingegno e lo pun golarono nelle facoltà creatrici si no a indurlo a scrivere senza so sta per il teatro. Il successo pre miò la sua tenacia e lo afrancò dal bisogno e una relativa agia tezza ne confortò la residua esi stenza. Morì in Roma nell’anno 184 a. C. Gli attribuirono 130 commedie. La critica tedesca ha fatto giu stizia del numero, ma venti com medie sono sicuramente plautine, e due tra le più significative pos sono definirsi il Miles Gloriosus e i Captivi, le due commedie, ap punto, rappresentate a Sàrsina, in un teatro improvvisato, che s’è riempito di autorità, di artisti, di intellettuali e di folla. Erano tanti gli intervenuti che molti hanno dovuto ascoltare il Miles in piedi, come peraltro si costumava, per testimonianza di Tacito, ancora alcuni anni prima della venuta di Cristo, nei teatri romani. Con forto un po’ magro, invero, per coloro che erano in piedi (n.d.r). Perfette sono da considerarsi tec nicamente, registicamente e co me interpretazione le recite dei due lavori eseguiti dalla Compa gnia del Teatro dell’Università di Parma in cordiale collaborazione con i colleghi dell’Ateneo di Bo logna (bolognese era il regista Gianfranco Ferri e bolognese una delle migliori interpreti, la brava e bella Paola Dapinó). Occorre citarli tutti, gli attori, che si sono prodigati nelle due rappresenta zioni sarsinate-. Giorgio Belledi, Aldo Bertani, Andrea Borri, An na dall’Argine, Livio Cagnolati, Paola Dapino, Franca Giordani, Giancarlo Ilari, Franco Medioli, Pia Molinari, Giancarlo Pancal di, Ivo Pancaldi, Luigi Pignani, Luigi Salvatorelli, Luigia Sciacco, Francesco Sciacco, Luciana Spaz zali. La versione poetica, inappunta bile, dei due lavori è stata di Gui do Vitali; egregie le musiche di Roberto Lauro, efficaci le scene di Riccardo Battigelli, appropriati i costumi di Grazia Guarini, ot timi gli accorgimenti scenici di Le arco Vellutini e bene artico- late le luci ad opera di Antonio Guardaroli. Il pubblico ha molto applaudito, chiamando piu volte gli inter preti alla ribalta. Nel quadro delle celebrazioni si sono avute varie altre manifesta zioni : una erudita conferenza di Giovanni Calendoli su Plauto, te nuta nel locale teatro; una visita di omaggio è stata resa al monu mento che in ricordo di Plauto gli autori drammatici del Sinda cato Nazionale donarono, alcuni anni or sono, a Sàrsina. Il mo numento, che è opera di Duilio Cambellotti, sorge nello sfondo di pini e di cipressi secolari tra il Tempio Votivo ed il prege vole Museo locale, che racchiude opere e frammenti di eccezionale valore artistico e storico. Un gran de riflettore, a sera, illumina il monumento che si orna di una colonna romana tratta dal foro dei Cesari a simboleggiare la gra titudine della Città Eterna per il sommo commediografo della la tinità. L’idea di questo tributo di amore e di riconoscenza degli Autori drammatici e di Roma a Plauto venne a Lorenzo Ruggì, allora segretario regionale per la Ro magna del Sindacato Autori Drammatici, e trovò in Gugliel mo Zorzi, allora segretario na zionale del Sindacato stesso, il realizzatore paziente e tenace. Sàrsina ha premiato Ruggì e Zorzi nominandoli suoi cittadini onorari. Giuseppe Luong-o J O N E S C O T R E N T A N N I D O P O DAI « SALAMINI* DI ETTORE PETROLINI AGLI ATTI UNICI DI QUESTO AUTORE, L’ANTIBORGHESE, L'ANTIREALISTICO, L’ANTISENTIMENTALE E SOPRATTUTTO L’ANTIVEROSIMILE, ERA GIÀ’ SCONTATO PER NOI. LA SUBLIMAZIONE DELLA FRASE FATTA, L’ESALTAZIONE DEL LUOGO CO MUNE, L’ÀPOLOGÌÀ DELLA BANALITÀ’ FURONO IL PIEDISTALLO DELLA GLORIA DI PETROLINI. E PALAZZESCHI VI AGGIUNSE QUALCHE GRANELLO Al Piccolo Teatro di Milano, libero dalla Compagnia Stabile, la Compagnia Parenti-Lecoq ha rappresentato, il 27 luglio 1956, due atti unici di Eugenio Jonesco: «Le sedie» e « La cantatrice calva». Eugenio Jonesco, giunto in Italia in piena estate, a cavalcioni di queste sue commedie come una strega può esserlo di una scopa, ha fatto perdere il fil della logica a molte persone; ha sgomentato e messo a disagio critici e pub blico. Si dice anche che fra gli spettatori, parecchi che erano en trati in coppia e avevano comin ciato ad assistere alla rappresen tazione con amorosi sussurri, si siano lasciati all’uscita non solo irati, ma con un linguaggio da torre di Babele. Questo per Te sedie; questo per la Cantatrice calva. Gran paese l’Italia! Dorme il suo sonno teatrale con autori che scri vono commedie « interessanti » ; attori che cercano il lavoro a pro tagonista per sé, pubblico che vuole essere addormentato. I sov- vertimenti, sempre teatrali, che avvengono fuori non ci ridesta no, non apriamo neppure l’occhio su quello che ci succede vicino. Perché essere disturbati in questo stato agonico della nostra condi zione teatrale? E se mai un bel giorno ci troviamo in casa, nella stazione così detta morta, il gra nello di pepe degli altrui fer menti, ci meravigliamo e strepi tiamo. Di Eugenio Jonesco « Il Dram ma » ha ampiamente scritto, pub blicando anche un’opera: La le zione. Il fatto però è rimasto nel l’ambito di una conoscenza offer ta agli specializzati; di una pro posta non accolta. Ci è voluta la candida e provocatrice esperienza teatrale di Franco Parenti ad ac cendere, nel mese di luglio, que ste polveri. E dire che se consi deriamo il fenomeno Jonesco, te nendo ben presenti le date nelle quali si è manifestato, nulla tro viamo di che sorprenderci. Alla crisi del fatto e del personaggio deve corrispondere ovviamente una dissociazione delle forme tea trali. Nella restante arte moderna questo è acquisito attraverso mol te determinazioni. Il teatro solo sconosce ciò. Pretendere, riverbe rato dalla scena, un mondo che abbia la compiutezza di una to mistica, questo per un pubblico che in platea si esprime attra verso tutte le alogiche, può es sere l’ultima delle retoriche. E noi la coltiviamo. Vorremmo essere ricostruiti all’esterno, qua si per interventi sovrannaturali, da fantomatiche visioni sceniche, quando noi medesimi ci siamo scomposti in una libertà che non ha ancora misura. Con l’atomo sembra si sia disintegrato anche l’uomo. E la sua ricomposizione chissà per quali disegni potrà av venire. Come vedete Le sedie e La can tatrice calva ci hanno portato un po’ lontano. Bisogna spiegare pe rò l’evento, il limitato evento, se vogliamo, di una rappresentazio ne teatrale che risente di queste novità; bisogna render conto del sussulto che ne ha avuto il pub blico anche se ha applaudito, an che se è andato via mugugnando. Non era preparato, e la colpa non è sua. Circoscritto al teatro, il piccolo moto tellurico che si chiama Jo nesco nasce a Parigi, nell’età del l’esistenzialismo teatrale. La can tatrice calva è un po’ il suo pro gramma. Davanti a personaggi impegnati, tormentati, legati me diante cordoni ombelicali con preesistenze storiche, i personaggi di Jonesco hanno una deflagrante libertà, fanno quello che voglio no; il loro pensiero è una caprio la, il loro discorso l’assenza del discorso. Capita quel che capita. Sembra che l’uomo sovrasti con una taciuta crudeltà intinta di sadismo ad un precipitare di av venimenti che lo circondano in disordine. Raccontare i fatti sarebbe andar dietro alle mille giravolte e scon trarsi e tornare da capo. Ne La cantatrice calva (— A proposito che cosa fa la cantatrice calva? Continua a pettinarsi allo stesso modo? —) quello che conta è che i personaggi, dopo aver ten tato tutti i discorsi, finiscono ad incrociare fra di loro una ridda di vocali. Ritornano al primo bal bettio che è stato concesso all’uo mo dopo aver disperso ogni mo do di comunicazione. E questo avviene non per angoscia, pro poste tragiche, scarnificazioni, ma attraverso un vigoroso movimen to vitale che pare quasi moto pri mordiale, istintiva sanità. Dare del decadente a Jonesco può es sere rischioso. Caso mai a sal varlo c’è sempre quella vena di sadismo. In quanto a Le sedie, che hanno tenuto questo anno per trecento giorni la piazza di Parigi, e che sono, in ordine cronologico, opera successiva, notiamo che dopo il moto sussultorio imposto con La cantatrice calva e altre commedie congeneri, l’autore tenta una ri composizione metafisica astratta del suo mondo. Si sa cosa nelle Sedie avviene: due vecchi, iso lati dal mondo, allineano seggio le per inverosimili invitati che non appaiono che per l’apporto di una intensa attesa. Dovrà ve nire l’imperatore a prendere po sto fra di loro e dovrà essere let to un messaggio. Finisce che il messaggio appare un geroglifico incomprensibile, e i due restano fra le sedie che non furono mai popolate se non dall’illusione. L’opera vive di una geniale in venzione iniziale. Il barcollare trasognato dei due vecchi fra queste seggiole disposte per gli ospiti ha allusività e pregnante senso tragico. L ’attesa dell’impe ratore (forse era bene tagliare) è un po’ una defezione davanti ai vari messia per i quali si aliena la propria vita. Il finale è potente invenzione. Dobbiamo dar atto a Franco Pa renti, attore irregolare, avventu roso, di aver importato in Italia uno degli autori inquietanti e in teressanti di questi ultimi anni e di averlo imposto attraverso molti rischi al pubblico, e dob biamo pure dare atto che la sua ■ interpretazione è stata sorpren dente per studio, intelligenza e continua opera di scavo. Con lui Giovanna Galletti ha dispiegato le sue qualità drammatiche e di ironia. Ottimamente la Franca Tamantini. Da segnalare la Didi Perego. Penetrante, articolata, e- semplare la regìa di Jacques Lecoq. Così Eugenio Jonesco è entrato in Italia. Si sappia che la sua in ventiva e la sua intelligenza pos sono essere contagiose. Già all’uscita di teatro i giovani con la tintarella parlavano alla sua maniera... UN UOMO AL GIORNO DOPO DON CAMILLO Il giovane e ben disposto Pirro che ha scritto un libro: Le sol datesse e viene dalla pratica del soggettista e del dialoghista di cinema, ha deciso di entrare in teatro per dibattere un arrovel lante problema: che ne facciamo della prostituta? C’è chi la cosa la risolve come può; c’è chi la porta in piazza o sulle scene. Un uomo al giorno comincia alla maniera di Don Camillo con un sindaco comunista e un parroco che tiene alla Chiesa. Due squa dre di calcio, legate alla cellula e al campanile, trasferiscono nel campo sportivo questa lizza. Ma, ahimè, a indebolire i virtuosi del la squadra parrocchiale arriva Wanda, donna perduta, la quale vuole riscattarsi in paese. Arriva addirittura in canonica, beve il Vinsanto, si mette il cappello da prete in testa e comincia ad agire. Vuole comprare la casa vicina, si ricorda di essere sorella di latte del sacerdote, fa uno scompiglio da non dire. Al secondo atto la cellula è riu nita a discutere la domanda di iscrizione della perduta. I bene ficiati la appoggiano, sono restii i moralisti borghesi, è perplesso il capo cellula. Forse in lui nasce l’amore. Se ne avvede la moglie. Scena che ricorda i reciprochi do veri, le lotte passate. Retorica! Visto così dibattuto il suo ingres so nella estrema sinistra la fal- lofora si butta al prete il quale resiste. Nessuno dunque vuole essere il suo uomo. Nessuno si offre per redimerla. Quella società che la condanna non comporta scampi. E, allora, riprendiamo il mestiere. La commedia, chiamiamola com media, punta sullo scandalo, sulla sfida, ma si ferma a delle battute di settimanale umoristico. Certe sortite sgarbate, aspre, passano in fretta lasciando solo odore di zolfo. Dove entrano in campo le tesi e le ideologie l’opera fa acqua come un colabrodo, come se fosse contenuta da un colabrodo. Quel la cellula come ci viene presen tata non è né una cosa seria né faceta e i personaggi che vorreb bero dimostrare qualche cosa pen sano dicono e fanno fanfaluche. Stare in bilico, come vuole l’au tore, fra lo spirito schizzante e gli asserti sociali, pigliando a cuore la condizione della prostituta, è dif ficile. Di solito si casca male. La commedia è stata recitata con il solito impegno da Franco Parenti e dai suoi compagni. Segnaliamo la Lissiak, la Tamantini e il Par- meggiani. Gli applausi li potremo dire di curiosità, di compiacenza e di attesa per quella sorpresa che non vi è stata. Tutorio Vecchi DECIMA FESTA DEL TEATRO A SAN MINIATO V E G L I A D ’ A R M I D I D I E G O F A D B R I RIEVOCA SANT’IGNAZIO DI LOJOLA DI CUI RICORRONO ONORANZE CENTENARIE, E LE NECESSITA’ SCENICHE ERANO DI CREARE UN CON FLITTO CHE AVESSE UNA SUA FUNZIONALITÀ’ TEATRALE £ A San Miniato, nella piazza antistante il Duomo della città, il 29 agosto 1956, a cura dell'Istituto del Dramma Popolare, è stato rappresentato il dramma in tre atti di Diego Fabbri « Veglia d'armi », regìa di Orazio Costa. Il dramma di Diego Fabbri è pensato e congegnato con talento. Quando Renato Sirnoni riconobbe nel Fabbri un vero autore dram matico, era sicuro del fatto suo; quando noi, a ragion veduta, abbia mo riconfermato tale riconoscimento, non abbiamo sbagliato e tanto più ci conforta l’esito di quest’altra sua prova difficile, anzi diffici lissima, nella quale si trattava di fondere uno scopo celebrativo con le esigenze vere e proprie di una azione scenica. Lo scopo era quello di rievocare Sant’Ignazio di Lojola di cui ricorrono onoranze cente narie, e le necessità sceniche erano di creare un conflitto che avesse una sua funzionalità teatrale. Impresa difficilissima; e tanto più s’ha da elogiare Diego Fabbri che ci è, abilmente, riuscito. Seguiamolo nel suo lavoro. Ha imma ginato che, suonando nel mondo l’ora dell’Apocalisse (e qualcosa di simile è nella nostra storia contemporanea), un gruppo di Gesuiti si riunisca per trovare il modo migliore di affrontare le nuove bat taglie contro il mondo carico d’odio in nome dell’amore cristiano. E li riunisce, con trovata da autore di teatro, in un grande albergo d’una capitale europea moderna, svestiti dell’abito talare, convocati da chiamate convenzionali. Sono cinque i presenti: il direttore; Pe dro che viene dalla Spagna; Hudson che è un negro proveniente dal l’America insieme con padre Farrell pure di laggiù; Stefano che ar riva dalla Russia. Nella stanza dell’albergo, attigua a quella del diret tore, si incontrano all’ora fissata. Mancano Alessio che, partito da oltrecortina, avrebbe dovuto trovarsi con Stefano alla frontiera, e I inviato di Roma. Naturalmente anche i singoli nomi sono fittizi. Del resto qui non valgono i nomi, contano le idee. Nessuno dovrebbe essere a conoscenza di questo convegno che ha per fine di sondare le varie opinioni presso sacerdoti dello stesso Ordine e di diverse esperienze. II tema proposto loro è il seguente : « Qual è la posizione della Com pagnia di Gesù nella vita associata dei vari Paesi? ». Stefano rife risce che in Russia c’è la fede, ma è arduo operare se non clandesti namente, nonostante che il Cristianesimo sia, rischio e martirio; Pe dro informa che in Spagna la Compagnia influenza la vita associata; in America, dice Farrell, la Compagnia non ha alcun rapporto con gli uomini di governo, ma è presente attraverso la classe dirìgente conservando però l’indipendenza anche nei confronti dell’Autorità ecclesiastica. In Italia, Francia, Olanda, Belgio, Germania, Austria, atteggiamento misto, asserisce il direttore, influenza indiretta, a seconda delle cir costanze. E a Roma? Per Roma il direttore propone di attenderne l arrivo del rappresentante. Che poi non verrà. Esposti questi dati di fatto si avvia fra i cinque Gesuiti una discussione coraggiosa. Cia scuno può parlare apertamente. E Stefano sostiene che i Gesuiti, che hanno avuto da Sant'Ignazio, loro fondatore, il mandato di far cri stiana la Stona, sono invece intervenuti nella Storia, il che non è la stessa cosa; e quando la Storia l’hanno fatta, ne è uscito l’espe rimento del Paraguay, finito bene proprio perché, conclude Stefano, è fmto male. Errore è voler in fluenzare i capi, i politici : essi tradiscono, se occorre. Le Nazioni cattoliche non hanno persino scac ciato i Gesuiti? E poi, esistono uomini politici cristiani? Esistono uomini politici che sono cristiani personalmente ; ma la politica, col suo gioco senza freni, è, in sé, anticristiana, dominata sempre dall’orgoglio del potere. Per Farrell, che è un fisico, tra mezzo secolo i politici saranno soppiantati dagli scienziati. Ma la scienza, avvicinando a Dio, non allontanerà da Cristo? La fisica e la biologia aumentando la me raviglia per il creato non mette ranno l’uomo in rapporto diretto con Dio senza il bisogno di Cri sto? Terribile domanda che sgo menta gli altri fratelli e che sug gerisce al direttore l’opportunità di una sosta del dibattito, lasciato in sospeso sull’argomento che il dolore e la sofferenza avranno sempre Cristo a conforto. Ma se il dramma di Fabbri se guitasse così si assisterebbe a una riunione filosofico-religiosa inte ressante e non a un’opera di tea tro. Ma l’autore aveva già provve duto all'inizio ad evitare l’incon veniente, accennando ad alcuni e- lementi che hanno continuo svi luppo. Essi sono: l’assenza di A- lessio; la presenza di un autore vole e misterioso « maitre » del l’albergo che va e viene, ambiguo e riservato, che sa e non sa, ma ha l’aria di essere al corrente di tutto, anche dell’identità dei Ge suiti; e l’arrivo di un altrettanto misterioso viaggiatore sconosciuto che occupa la stanza vicina a quel la del direttore dei Gesuiti. E quel « maitre » suscita tali sospetti che Stefano lo insegue per interrogar lo. Questi è appena uscito che il « maitre » introduce nella camera del convegno una straniera che cerca, per l’appunto, di Stefano. Ma Stefano non ritorna. Entra, invece, l’atteso Alessio, in abito talare, il quale dichiara di non conoscere afatto Stefano. Qui si accendono nuove diffidenze e nuovi allarmi. Una sorta di intri go poliziesco si innesta nella va sta tela del dramma religioso. E’ l’azione che s’infltra nel conflitto di pensiero. Stefano non è un mi stificatore; mentre lo è proprio Alessio che si è sostituito al vero Alessio e che, così come la stra niera, è un emissario d’Oltrecor- tina con l’incarico di cercare coi Gesuiti un’intesa politica. Ma il mandato non è agevole. L’animo dei Gesuiti spazia in tutt’altro mondo. Essi sono i difensori di Gesù : Stefano con le sue idee con crete, Farrell con la sua conquista di Dio attraverso la scienza, e Hudson con tutto il suo amore per Cristo, che gli ha suggerito, a edificazione della straniera, un ispirato inno alla fede. E’ a que sto punto che il misterioso « mai tre » si rivela: egli ha udito tutto e ai tre Gesuiti dice: « Voi siete la verità nella realtà. State uniti. Uniti farete la storia cristiana del mondo ». Quando se nè andato, 10 richiamano, ma si presenta lo ro il vero « maitre » dell’albergo, 11 quale alle loro domande casca dalle nuvole. Allora i Gesuiti hanno una illuminazione improv visa. Le parole del personaggio appaiono loro splendenti. Sono le parole stesse di Ignazio di Lojola. Il misterioso individuo era lui ve nuto sulla terra a rincuorare alla lotta? Ne hanno la sensazione precisa. Si prendono per mano e riprendono l’interrotto cammino, uniti nella pratica della fede, nel la visione di Dio, nell’amore di Cristo. Materia densa, disciolta con chia rezza. Il Fabbri affronta temi complessi senza appesantirli. Non dimentica mai il teatro, e di que sto ci compiacciamo. Anche se, a un certo ptinto, la matassa pare arruffata, un po’ di proposito, ciò non guasta il complesso dell’ope ra che felicemente sì aggiunge a quelle che hanno procurato al Fabbri fama e successo anche al l'estero, e che tocca anche mo menti di suggestiva poesia. Orazio Costa ha dedicato cure fraterne al dramma con intelli genti risorse di regìa e ottima mente affiatando gli attori, i qua li tutti hanno degnamente figu rato: Antonio Crasi, Tino Buaz- zelli, Annibaie Ninchi, Mario Pi- su, Aldo Silvani, Augusto Ma- strantoni, Franca Domini, Delia Bartolozzi, Franco Melani, Ce sare Fanioni. Un bel lotto di in terpreti. Scelti bene, preparati be ne, risultati bene. E il pubblico ha calorosamente applaudito. Elisio Possenti SPETTACOLI SPARSI * Il Britannicus di Radile è stato tradotto in versi da Giovanni Cutrufelli, che la tragedia si ac cinge a mettere in scena il 6 set tembre 1956 al Teatro greco-ro mano di Taormina, con la Com pagnia del Teatro Mediterraneo che, con tale spettacolo, è alla sua XII Stagione di prosa. La tragedia non è mai stata rappre sentata in Italia e crediamo che del Britannicus questa sia la pri ma trasposizione in versi italiani, poiché le traduzioni esistenti sco lastiche e no (che noi almeno cre diamo di ricordare) sono in pro sa. Nerone sarà Ottorino Guer- rini; Agrippina, Elena Zareschi; Britannicus, Renzo Giovampie- tro; Junia, Berta Ugolotti. E fra tutti questi attori, la grande mae stria di Gualtiero Tumiati. Com pletano l’elenco Olga Vittoria Gentilli e Piero De Sanctis. H II 18 agosto, al Castello Svevo di Bari, la Compagnia del Tea tro stabile di quella città ha rap presentato uno « spettacolo » in due tempi di Gustavo d’Ara e Alberto Perrini : E gli angeli cantano. Regista lo stesso Perrini Lo spettacolo riassume e fonde insieme le diverse espressioni del dramma e del balletto, della Commedia dell’Arte e di quella musicale, e anche della farsa cir cense di clowns, i quali, a volte, rappresentano un vero e proprio coro da tragedia classica greca, a commento, preparazione e solu zione dell’azione basata su pro sa, musica e pantomima. E gli angeli cantano, a forti contrasti comici e drammatici, si ispira a modelli greci e plautini e fa te soro delle moderne esperienze di Andrejev, Achard e specialmen te di Brecht (teatro epico) Hanno preso parte quattordici at tori di prosa (in gran parte di plomati dall’Accademia d’Arte Drammatica di Roma). ® Al Teatro della Cittadella di Assisi, il 28 agosto 1956, è stato rappresentato il dramma sacro di Luigi Santucci: L’angelo, vinci tore del concorso bandito lo scor so anno dalla « Pro Civitate Chri stiana». Eligio Possenti, che ha assistito alla rappresentazione, ha scritto che « senza distaccarsi dal la tradizione del genere, e pur ammodernandone gli sviluppi, il Santucci ha fatto opera di mi stica suggestione rievocando la storia di Caino e Abele con no vità di proposta. Protagonista del dramma è l’Angelo custode e l’Adamo e l’Èva che vi figurano riecheggiano sì i progenitori, ma la loro vicenda ha l’aria di essere senza tempo, o meglio lontana e vicina, di ieri e di oggi. Nel dramma è introdotto un elemen to lirico, un coro di Anime del Purgatorio, cosicché lo spettacolo assume l’aspetto di una tragedia classica mista ai caratteri della drammaturgia medioevale. « Luigi Santucci ha gusto e ta lento di teatro e ha trovato nel regista Ferrerò un attento e sen sibile interprete del testo. Pre ciso ed espressivo Giorgio Alber- tazzi, sincera e sicura Irene Aloi- se ed efficaci Corrado Nardi, O- razio Orlando e Giammaria Vo lontà. Intonati i sei attori che formano il coro delle Anime ». Casamicciola: teatro all’aperto sulla collina della «Grande sentinella». Si recita Casa di bambola di Ibsen, interpreti principali Valentina Fortunato e Arnoldo Foà. Regista Luciano Lucignani. Leggere in « Z Grassi: non è d’accordo col regista che ha ci Z I B A L D O N E D E L L 9 E S T A T E Casa di Bambola: in alto la scena circo lare di Polidori, con Foà e la piccola Ma ria Grazia Monaci al finale; qui sopra: la Fortunato, Foà e De Ceresa. ibaldone dell'estate » la critica di Ernesto imbiato arbitrariamente il finale dell’opera. A sinistra: Rossana Montesi, Mario Si letti, Gianni Beveroni, Carlo Marrone in li Fiore del Decamerone, novelle del Boccaccio esposte in forma di spettacolo da Vito Pandolfi, regìa di Vito Pandolfi. Lo spettacolo — un’an tologia dei cinque che furono dati an nualmente a Certaldo — ha compiuto una tournée in luoghi storici e monu mentali dell’Italia centrale, riscuoten do ovunque largo plauso. A destra: Venezia ha mancato questo anno il suo Festival di Arte Dram matica. Pur con tutte le proprie ri serve il nostro critico Gino Damerini non è aggressivo quanto lo è stato la critica dei quotidiani e dei settimanali. E’ evidente che la manifestazione va riveduta: se non si può fare o « non la vogliono fare » si tolga dal pro gramma della Biennale; sempre me glio, per la dignità di Venezia e del Teatro, di quanto è stato messo insie me alla meglio quest’anno. E soprat tutto non ci si mortifichi con quei fran cesi che credono di dover andar a Pe- retola. Sappiamo in proposito cose da far arrossire. Infine, il Festival di Ve nezia si è concluso con lo « scandalo Costa » poiché il regista ha fatto di Liolà di Pirandello un balletto. Nella fotografia accanto: il regista Costa insegna all’illustre attrice Wanda Ca- podaglio, che lo guarda trasognata, un certo balletto della strega che alla rappresentazione ha fatto inorridire gli spettatori. ì l i I p U S M Ioca 0 " “ ¡ ! • i l I P r i i P i ¡ I f LL S £ m 1 I g “ ï i f i l M lO râ a ZD l i î I Lf5> IÍ9 05 i QJ I S Si «S w ÉH OJ f i o• Pi 0 5 f i W2 ^ 2 T 3 •P°H s•ppS i a Sopra: Scena della commedia The ratnmaker, di Richard Nowh: regìa di John Min,ster e Sam Wanamaker Attori: Noel Me Callum, Gordon Tanner, Wilfrid Lawson, Geraldine Page, Sam Wanamaker. Nella foto piccola: Geraldine Page. Nella foto in alto: una bella scena di insieme, per quanto intenzionalmente russa, ma perfettamente Inglese, del Gabbiano di Cecov, messo in scena da Michael Macowan. Sono in scena Hugh William, Diana Wyngard, Lyndon Brook e altri. "Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendefeJT mesi della calùta- estiva, solitamente dedicati da noi alle serie gialle e alle commediole di facili effetti, non ha smorzato la passione dei londinesi per il teatro, così che la bella fioritura di interessanti spettacoli, di cui si parlò alcuni mesi or sono su queste colonne, non accennò a diminuire durante luglio ed agosto. Si pensi, per poter misurare questa passione inglese per il teatro, a che cosa sarebbe del Gabbiano di Cechov, o della Riunione in famiglia di Eliot, rappresentati in agosto in una città italiana quale Roma o Milano. A Londra, la gente non se ne dà per inteso e, estate o no, non rinuncia ad andare a teatro, per impegnativo e per difficile che possa essere il lavoro presentato. The family reunión, per esempio: questa bella moderna versione del mito di Oreste, ma che certo non è molto indicata per rilassare il cervello ed i nervi dopo una giornata con trenta gradi all’ombra, è forse il miglior successo del momento, ed è effettivamente, a mio avviso, uno spettacolo enco miabile sotto ogni aspetto e che merita senz’altro il grande favore che presso il pubblico incontra. Quest’opera è stata presentata al Phoenix Theatre, con la regìa di Peter Brook e con Paul Scofield nei panni di Harry Monchensey, il protagonista. Peter Brook, che ogni giorno di più s’afferma come regista di altissimo valore, ha dato del lavoro di Eliot un’interpretazione che mi è parsa quanto mai appropriata: le luci sul palcoscenico sono sempre un poco smorzate, i personaggi si muovono come in un’atmosfera di penombra, quieta e raccolta, le finestre dietro cui compaiono le Erinni si stagliano sullo sfondo con linee d’estrema semplicità, appena illuminate di luce pal lida e fredda. In quest’atmosfera irreale, i personaggi si muovono e parlano tranquilli, con lentezza sovente distaccata, senza scatti o L O N D R A I L T E A T R O N O N S O F F R E L ’ E S T A T E pause eccessive, e si potrebbe dire con monotonia, ma badando bene d’osservare che la monotonia si fa qui pregio; e l’impressione che lo spettatore riceve è quella di un fluire dell’azione fuori del tempo ed oltre il tempo, di una rievocazione d’un antico mistero, di ombre che sorgono dalla loro tomba a rivivere ancora — col tono quieto e quasi personale del lontano ricordo — un loro dramma antico. Paul Sco field, s’è detto, era Harry Monchensey: assieme a lui hanno recitato Cyril Luckham, David Home, Nora Nicholson, Sybil Thorndike, e Gwen Ffrangcon-Davies : tutti bravissimi, fedeli interpreti del pen siero dell’autore e dell’interpretazione di Peter Brook. E più o meno le stesse cose si possono dire del Gabbiano di Cechov, che non è la più nota delle opere in quattro atti del grande russo, ma che non è forse inferiore ad altre più conosciute ed applaudite : come la Riunione di famiglia di Peter Brook ci è sembrata fedele interprete d’ogni inten zione di Eliot, così questo Gabbiano, con la regìa di Michael Mac- owan, sarebbe stato senza dubbio approvato dallo stesso Cechov. Tut tavia, non bisogna dimenticare — come scrive Harold Hobson sul «Sunday Times» — come Cechov fraintendesse questa sua opera, e come nutrisse la convinzione che la signora Ranewski fosse un personaggio comico. Distaccan dosi dalla interpretazione tradi zionale — che fu già dello Sta- nislawski e di Gielgud — il Mac- owan è ritornato alla visione del l’Autore ed ha posto l’accento sul l’aspetto comico (o meglio, ap parentemente comico) del lavoro. Si potranno discutere queste in tenzioni, ma è indubbio che la regìa del Macowan rappresenta un’interessante esperienza e che il Macowan s’è dimostrato un re gista preparato ed intelligente. Recitavano Diana Wynyard (Iri na Arkadina), Perlita Neilson (Nina), Hugh William (Trigo- rin), Lyndon Brook (Konstan- tin) ed altri. La traduzione in glese, assai bella, era di David Magarshak. Passando ad altre e meno eccel se opere, è da segnalare il ritorno alle scene di Brian Reece, uno dei beniamini del pubblico lon dinese, in una farsa di John Digh- ton, Man alive, che prende lo spunto da ciò che può succedere a un manichino d’un negozio d’ab bigliamento che prende a vivere e si muove e parla. Situazione piuttosto inconsueta e che rappre senta sì un buono spunto, ma che è parsa un po’ tirata per le lun ghe e in parecchi punti un po’ troppo farsesca. Brian Reece, pro tagonista, e Robertson Hare nei panni del proprietario del nego zio dove succede il fatto, si sono trovati alle prese con due parti non facili e assai faticose, ma hanno saputo ugualmente mo strarsi comici irresistibili. Al For tune Theatre, un certo interesse aveva suscitato l’attesa di To my love di Edgar Neville, con la re gìa di Maurice Colbourne e le scene di Hutchinson Scott, inte resse peraltro che ha ceduto il posto ad una notevole delusione subito dopo la prima rappresen tazione. Da To my love, che è l’adattamento inglese di El Baile, una commedia spagnola di suc cesso, vincitrice di non so qual premio laggiù, si attendeva in un certo senso l’indicazione del va lore dell’attuale teatro iberico, non molto noto in Inghilterra, e non solo in Inghilterra; tanto più che a fianco di Dennis Price e di Hugh Latimer, recitava Conchi- ta Montes, certo tra le più cele brate attrici spagnole. S’è detto che To my love ha deluso: è una scolastica storia, ancora più sco lasticamente narrata, dell’amore e dell’ammirazione di due uomi ni per una donna in cui nessuno del pubblico — così ha scritto un critico londinese •—■ ha saputo trovar niente né di amabile né di ammirabile. Forse che si possa spiegare col fatto che i due uo mini sono entomologi? Comun que sia, To my love non ha cer to soddisfatto nessuno mentre è assai piaciuta Conchita Montes, alle prese con un personaggio as solutamente vuoto e privo di spi rito; lo stesso dicasi per i due at tori che al suo fianco recitavano, e per la regìa del Colbourne. Ben altro successo ha saputo co gliere invece un’altra commedia parimenti attesa con interesse. Si tratta di The rainmaher, un gar bato lavoro di Richard Nash pre sentato al St. Martin’s Theatre, con la regìa di John Minster e Sam Wanamaker, e con la scena di Ralph Alswang. The rainma- \er, che letteralmente significa Colui che fa piovere, venne rap presentato la scorsa stagione a Broadway ove colse un immenso successo. La stessa Geraldine Page, che recitò colà, l’ha portato ora a Londra ove il successo s’è ripetuto tale e quale ed a mio avviso meritatamente. The rain- ma\er, di questo nessuno può du bitare, non è un capolavoro, ma ha tutto per piacere: è simpati ca, ben condotta, non lascia in tuire di pretender più di quanto possa offrire, non promette all’i nizio più di quanto mantenga poi nel corso dei tre atti. All’inizio, siamo in lina fattoria deo-li Stati Uniti, nel West classico dei films di buona lega, in periodo di pie na e persistente siccità. Giunge alla fattoria uno straniero, Star- buck, che si dice in grado di pro vocare la pioggia: è una profes sione come un’altra, anche la pioggia si può provocare e nes suno ha motivo di dubitare del lo straniero : lo accolgono e lo alloggiano in attesa che questi procuri davvero l’acqua tanto at tesa. Ma l’assenza di pioggia non è il solo cruccio della fattoria; c’è da sposare Lizzie, la figlia del padrone, ma non si è finora riu sciti a trovarle un marito. Lizzie è bruttina, trasandata, insignifi cante. Il padre, un vecchio fatto re uso West, convoca a casa sua lo sceriffo File, giudicato il tipo più adatto e tenta di rifilargli la figlia. Ma da questo orecchio File non ci sente, e Lizzie d’altronde peggiora la situazione nel tenta tivo di piacergli; un fratello le dice chiaro e tondo che non tro verà mai marito e le cose paiono mettersi male, quand’ecco che lo straniero parla a Lizzie, la per suade che ogni donna è bella (« Non tutte alla stessa maniera, forse — dice —■ ma tutte sono belle »), le cambia pettinatura, le cambia vestito, la fa sorridere un po’ più spesso... finché File cam bia idea e la sposa. Dopo questo bel successo, Starbuck può senza pericolo confessare di essere un mistificatore e di non essere asso lutamente in grado di procurare acqua altrimenti che girando un rubinetto; e lascia la fattoria per riprendere la sua vita errabon da proprio mentre dal cielo — oh, beato ottimismo della giovane America! — cadono le prime goc ce di pioggia, tanto perché la sic cità non perduri oltre le nozze di File e di Lizzie. Mi sono sof fermato a raccontare brevemen te la trama del lavoro di Nash, perché mi sembra che questa commedia sia la più americana delle commedie immaginabili: lo straniero che viene da lontano, un senso di fiducia e ottimismo che consola, un tono di bontà e di evviva diffuso per tutto il la voro : un’America opposta a quel la che abbiamo conosciuta attra verso i drammi del neorealismo di laggiù, ma altrettanto tipica e interessante. Non mancano i can ti del vecchio West con accom pagnamento di chitarra, per crea re l’atmosfera adatta, e non man cano alquante ingenuità e parec chi luoghi comuni. Ma neppur questo, che altrove risulterebbe intollerabile, riesce qui a dispia cere: perché vi si sente la spon taneità e l’immediatezza e la fa cilità d’espressione. Un altro lavoro americano, The trip to Bountiful, Il viaggio a Bountiful, di Horton Foote, che parimenti colse un buon succes so a Nuova York ove venne re citato da Lilian Gish, è giunto ora a Londra, presentato all’Arts Theatre con la regìa di Alan Schneider. E’ la storia di una donna che vive con un figlio e con un’isterica nuora, lontana dalla casa della sua giovinezza, e che pare vivere solo per il ricor do di quei giorni lontani di cui essa conserva un’immagine forse abbellita col passar degli anni e con l’affievolirsi nella sua mente d’ogni precisa memoria. Suo so gno è il viaggio alla città natale, a Bountiful, a rivedere i luoghi a lei cari, viaggio che alla fine rie sce a compiere. Mi sembra che tuttavia il particolare centrale del complesso lavoro sia l’urto, per così dire, dei tre caratteri princi pali : la protagonista, il figlio e la nuora, rispettivamente inter pretati da Margaret Vines, John Glen e Mavis Villiers, vecchio stampo e autoritaria e un po’ strana la prima, debole e senza forte personalità il secondo, cer to affetta da nevrastenia la ter za. Il valore dell’opera è tutto nel le interessanti relazioni che l’Au tore stabilisce tra questi tre ca ratteri, e nell’aver saputo ben il lustrare le reazioni che ciascuno dei tre provoca negli altri due. Un attento studio dei caratteri e un’indubbia capacità di analisi psicologica: fuori di qui, l’inte resse del lavoro è assai minore e spiacciono soprattutto certi vio lenti sbalzi e contrasti di toni e di coloriti. Ancora americana, ed assai nota in tutto il mondo grazie anche ad una superba versione cinemato grafica, è The Caine mutiny, di Herman Wouk, che Lloyd No- lan ha diretto all’Hippodrome Theatre, recitandovi anche nella parte del capitano Queeg. Il suc cesso è stato indubbiamente assai buono; la regìa intelligente, gli attori assai bravi, a cominciare dal Nolan : recitavano David Knight, Alee Me Cowen, Richard Newton, Robert Hardy, ed altri: tutti nomi noti e tutti ottimi atto ri. Tuttavia, ancora una volta mi è sembrato che il successo che questo lavoro va cogliendo per ogni dove sia un poco usurpato; e mi vien fatto di chiedermi se il dramma The Calne mutiny non debba molto al film The Calne mutiny, e se si regga da sé o se non lo reggono piutto sto gli attori che lo recitano e la cura con cui in ogni Paese que sto lavoro è stato allestito. Per sonalmente, e quale che sia il suo valore come romanzo, The Calne mutiny sulla scena non mi per suade, e mi sembra si valga spes so, anche se sempre con indubbia abilità, di effetti fin troppo fa cili. Opera di un irlandese, Brendan Behan, è invece The Quare Fellow, presentata al Comedy Theatre sotto la direzione di Joan Littlewood e recitata da Glynn Edwards, Dudley Foster, Brian Murphy e lo stesso Behan. The Quare Fellow ritrae la vita di una grande prigione situata, mi pare, nell’Ulster, il giorno pre cedente l’esecuzione di un dete nuto. Non è una polemica con tro la pena di morte, non è una denuncia dei sistemi carcerari, non è una polemica contro la so cietà; un grande pregio di que sto lavoro è quello di non essere affatto una polemica, di non aver proprio nulla contro cui polemiz zare, di non avere insomma ad oggetto un’idea da dimostrare o da avversare, ma semplicemente uno squarcio di vita da illustrare, una galleria di tipi umani da pre sentare, un’atmosfera da rendere sulla scena. Brendan Behan, leg go, è stato otto anni in carcere per la sua attività quale membro dell’Armata Repubblicana Irlan dese (la « Irish Republican Ar- my) e per essere egli un fautore ed un sostenitore dell’indipen denza irlandese. Probabilmente, avrebbe avuto motivi sufficienti per polemizzare contro qualche cosa che riguardi le galere, ma dall’opera nulla di questo traspa re: The; Quare Fellow crea stu pendamente quell’atmosfera tra gica ed isolata, quasi incosciente o insensibile, che ben può essere propria della prigione e degli uo mini sepolti vivi in essa; il dia logo è aderente e preciso, scevro d’ogni benché minima compia cenza verbale, e senza nessun par ticolare gusto per l’eccessivo rea lismo, o all’opposto per il facile sentimentalismo o per un ancor più facile moraleggiare. Si tratta di un’opera veramente viva, qua le di rado si vede, ed ispirata e ben costrutta e ben scritta. Dal l’ispirazione che la sostiene, la materia è stata come filtrata e pu rificata d’ogni motivo personale, d’ogni accento polemico, d’ogni aspetto che non sia puramente quello eterno della verità umana e quell’affetto partecipe che è proprio del poeta. A ll’indomani della prima rappresentazione si è parlato di capolavoro: e, del re sto, anche ciò che noi abbiamo scritto, conduce a questa conclu sione. Per Kenneth Tynan — tanto per sintetizzare con un mot to di spirito l’accoglienza che questo nobilissimo lavoro ha avu to in Londra — Brendan Behan è il drammaturgo che l’Irlanda suole periodicamente inviare a Londra a risollevare il teatro in glese da un periodo di grigio im- mobilismo. Pari al successo di critica è stato quello del pubblico: parte del merito va anche alla re citazione, alla regìa di Littlewood e alle suggestive scene di John Bury. Il centenario di Shaw si va com memorando in tutta l’Inghilter ra, e particolarmente a Londra dove la Bristol Old Vie Compa ny ha presentato all’Old Vie Major Barbara, nell’interpretazio ne di Moira Shearer, Joseph O’ Connor, Adolphus Cusins ed al tri. Sebbene non si tratti della migliore opera di Shaw, Major Barbara, che può contare per al tro su un bellissimo second’atto, ha saputo cogliere un vivissimo successo di pubblico, grazie an che al magnifico gruppo di atto ri che la recitava. La regìa era di John Moody e la scena ■— parti colarmente indovinata — di Patr ick Robertson. Per ciò che ri guarda Shakespeare, l’Old Vie —■ tralasciando di parlare dell’Open Air e degli altri minori che s’oc cupano del grande elisabettiano — ha ultimamente allestito il Macbeth, Romeo e Giulietta e Riccardo II. Della prima, nulla di particolare da osservare una volta detto che si tratta di una decorosa rappresentazione: ordi naria amministrazione, in un cer to senso, ma di artisti quali Mi chael Benthall — che ha curato la regìa — Paul Rogers (Mac beth) e Coral Brown (Lady Mac beth). Parimenti il Riccardo II, con la regìa dello stesso Benthall, e con John Neville nei panni del protagonista, ha goduto di una encomiabile realizzazione; discu tibile invece Romeo e Giulietta, con John Neville e Claire Bloom quali protagonisti, e Paul Rogers nella veste di Mercutio. La regìa, di Robert Helpmann è apparsa non poco discontinua: talora len ta, talora al contrario concitata e confusionaria. La cosa migliore di questo Romeo e Giulietta è senza dubbio il Mercutio di Paul Gigri I.un:iri Rogers. I L T E A T R O I T A L I A N O R I N N O V A C O L P IC C O L O D I M I L A N O L A T R A D I Z I O N E D E L L ’A R T E D R A M M A T I C A N E L M O N D O DAL )lL 15 OTTOBRE IL “ PICCOLO TEATRO DI MILANO” SARÀ IN INGHILfifiRIÌiff SVEZIA, FINLANDIA, DANIMARCA, NORVEGIA, GERMANIA, AUSTRIA G II 23 agosto il Piccolo Teatro della Città di Milano ha iniziato la sua ennesima visita all’estero, questa volta per una lunga tournée che toccherà diciassette città e sette Paesi stranieri; tournée che nessun teatro straniero, in anni recenti, ha effettuato con tale ampiezza. Con la regìa di Giorgio Strehler, gli spettacoli rappresentati saranno: Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, che supera così le 165 recite dalla fondazione e che si varrà delle nuove scene e dei nuovi costumi di Ezio Frigerio e delle musiche di Fiorenzo Carpi; Questa sera si recita a soggetto di Luigi Pirandello, che il Piccolo Teatro non rappresenta dal 1949 (quando fu dato anche a Parigi nel gran Théâtre des Champs- Elysées) e che viene ora riallestito con le nuove scene di Luciano Damiani, i nuovi costumi di Ezio Frigerio e le musiche di Gino Negri. La possibilità di poter recitare questo lavoro è dovuta alla gentile concessione di Marta Abba, proprietaria dell’opera. Gli attori partecipanti alla tournée sono: Tino Carraro, Marcello Moretti, Antonio Battistella, Giulio Chazalettes, Raoul Consonni, Ottavio Fanfani, Franco Graziosi, Ezio Marano, Andrea Matteuzzi, Gianfranco Mauri, Checco Rissone, Enzo Tarascio, Valentina Fortunato, Marina Bonfigli, Giusi Dandolo, Gabriella Giacobbe, Relda Ridoni, Ornella Vanoni. I tecnici: Gastone Martini (direttore del palcoscenico), Bruno Colombo (capo macchinista), Franco Camasso (capo elettricista), Cesare Frigerio (rammentatore), Ernesto Frimavori (attrezzista), Cesare Angelini (macchinista), Luigia Rizzi (sarta). La tournée sarà guidata da Paolo Grassi e da Giorgio Strehler, che sarà accompagnato dall’assistente Virginio Puecher. Le città che il Piccolo Teatro toccherà nella tournée sono: Edimburgo (Inghilterra, dal 21 agosto al 1° settembre); Goteborg (Svezia, il 6 e 7 settembre); Stoccolma (Svezia, l’8 e il 9 settembre); Helsinki (Finlandia, dal 9 al 13 settembre); Copenaghen (Danimarca, il 16 e 17 settembre); Malmoe (Svezia, il 18 settembre); Lund (Svezia, il 19 settembre); Oslo (Norvegia, il 20-21-22 settembre); in Germania Orientale: Rostock il 25 settembre; Berlino dal 27 al 30 settembre; Dresda il 2 e 3 ottobre; Chemnitz il 4 ottobre; Weimar il 6 ottobre; Jena il 7 ottobre; Halle l’8 e 9 ottobre; in Austria, Vienna dall’l l al 15 ottobre. Mentre è la prima volta che il Piccolo Teatro reciterà al Festival di Edimburgo (al quale non sono mai stati invitati sinora complessi italiani di prosa), Goteborg, Stoccolma, Copenaghen e Oslo conoscono il Piccolo Teatro in seguito alla non dimenticata tournée del marzo 1953. A Helsinki il Piccolo Teatro reciterà due sere al « Kansallisteatteri » (teatro nazionale finlandese) e due sere allo “ Svenska Teater” (teatro ufficiale della minoranza svedese); a Vienna, dopo il trionfale esito del giugno scorso, il « Burgtheater » ha rinnovato l’invito quest’anno nella sua rinnovata splendida sede; a Stoccolma, una recita di Arlecchino servitore di due padroni avrà luogo nello stupendo teatro settecentesco di Drottningholm, con le scenografie originali di due secoli fa del teatro stesso. In tal modo, alla fine del prossimo ottobre, il Piccolo Teatro di Milano avrà aggiunto, alle già effettuate 161 recite alV estero e alle già visitate trenta città straniere, altre quarantacinque recite e altre undici città straniere. Un bagaglio di prestigio invidiabile quale oggi pochissimi teatri al mondo possono vantare. II nostro cuore ed il nostro augurio segue il Piccolo Teatro di Milano nella sua eccezionale tournée. Quanta importanza essa abbia per la valorizzazione del Teatro Italiano, non crediamo di dover spiegare. Sono queste le prove di una raggiunta non comune nostra possibilità, poiché, oltre i confini del nostro Paese, sanno — anche in fatto di teatro — ben poco di noi. Ma l’Italia ha una grande tradizione che va conservata e sempre meglio valorizzata: la volontà e l’appoggio della Direzione Generale del Teatro partono da questo principio. Le infinite volte che parlammo in questa rivista del “ Piccolo ” di Milano come espressione artistica a parte da ogni altro ,, Piccolo ” teatro, volevamo dire, appunto, quanto ora confermiamo. Man mano che il “ Piccolo ” di Milano inizierà e proseguirà le rappresentazioni, i quotidiani ne daranno notizia; il lettore saprà quindi del successo di settimana in settimana. Quando questo fasci colo uscirà, il “ Piccolo ” di Milano avrà già recitato in Inghilterra, Svezia e Finlandia. Crediamo di interessare ugualmente il lettore con la pubblicazione di un “ Diario” , semplice e genuino, che sarà pubblicato in questo e nei seguenti fascicoli, scritto da un attore della Compagnia stessa — Antonio Battistella — dal primo giorno di riunione della Compagnia, all’ultima ora del ritorno. Ci sembrerà di aver vissuto con loro, di aver fatto parto di questo complesso di attori italiani in giro per l’Europa con la gloriosa bandiera teatrale di duo grandissimi nomi: Goldoni e Pirandello. Due epoche, due tempi, due ragioni. d i a r i o d i u n a t t o r e Milano 23 luglio. - La riunione della Compagnia avviene senza nessuna particolare for malità e non presenta nulla di eccezionale anche se è l’inizio di un giro artistico all’estero fra i più interessanti e i più lunghi che Compagnia di prosa abbia fatto. Gli attori si conoscono tutti, molti sono stati assieme nella scorsa stagione nello stesso Piccolo Teatro, altri in altre annate artistiche, ma nessuno di essi tiene a far sentire il suo « peso » o l’importanza del ruolo. Ci sono figli d’arte e ex allievi dell’Accademia di Roma e di Milano; ci sono attori che recitano da più di venti anni, altri sono alle prime esperienze. Quelli che hanno maggiori responsabilità hanno al loro attivo notevoli successi in Italia e all’estero e sono effettivamente attori bravi e importanti, ma non se ne danno l’aria. Pare accertato ormai il fatto che « in teatro tu tti sono necessari ma nessuno è indispen sabile ». All’infuori s’intende del regista e dell’organizzatore. Da questo slogan alcuni sono convinti abbia avuto inizio la crisi del teatro italiano. Strehler arriva con pochi minuti di ritardo e comincia a interessarsi di come i suoi attori abbiano passato le vacanze. Sembra che, data la stagione, l’argomento delle vacanze sia il più scottante. Strehler ha tutta l’aria di interessarsi vivamente alla salute dei suoi attori e ai loro problemi fami liari. Ma quando la compagnia ha raggiunto un buon grado di calore nella discussione sui luoghi più adatti per le vacanze delle mogli e dei figli nei dintorni di Milano, Strehler comincia a parlare sui due lavori da rappresentare in « tournée ». Fa intendere che vuol riprendere i due lavori con spirito nuovo e con nuovi criteri. Parla a lungo, senza interrompersi mai, facendosi domande da solo e da solo rispondendosi come se fosse in discussione con degli interlocutori. Ha quasi tu tti i capelli bianchi, l’occhio a tratti gli si ravviva in una fissità strana, quando, preso dalla frenesia di un argomento che lo interessa, lo spreme, lo esaspera, lo conduce a conseguenze dialettiche imprevedibili, sempre parlando da solo, concitatamente, senza finire le parole e saltando e scendendo dal pal coscenico col ritmo di un tigrotto in gabbia, davanti alla grata che lo divide dal pubblico. Gli attori ascoltano e tacciono. Nella sala fa molto caldo. Alcuni seguono attentamente altri invece « sembra » che seguano il pensiero di Strehler; in realtà cercano di risolvere il problema di prender parte alle prove che si svolgono a Milano e di andare di tanto in tanto a raggiungere la moglie e i figli a Varese, a Cittiglio, a Lugano. Strehler stabilisce quale metodo seguire nelle prove dei due lavori: Arlecchino servitore dei due padroni e Questa sera si recita a soggetto. 26 luglio. - Si comincia a parlare del giro perchè è arrivata una circolare di Grassi nella quale si ricorda la raccomandazione già fatta con altre due circolari negli ultimi tre mesi, e cioè il rinnovo dei passaporti. Quasi tu tti sono in regola; solo la Dandolo sembra non averlo in ordine perché a quanto lei dice è stata vittima dell’ostruzionismo veramente incomprensibile da parte delle autorità competenti. Un suo tentativo di raccontare le sue sventure, drammatizzando eccessivamente la situazione, cade nell’indifferenza generale. Cbecco Rissone ha tutto in ordine, come al solito, ma è preoccupato per un principio di itterizia. Fanfani, sempre soddisfatto perchè le cose per lui vanno sempre nel migliore dei modi, è solo preoccupato dell’orario dei treni che gli possono consentire, dopo le prove di ogni giorno, di raggiungere la giovane e graziosa moglie in villeggiatura a Cittiglio. Carraro invece non ha di queste preoccupazioni: porterà la moglie con sè. 27 luglio. — Si riparla con insistenza del giro perché a tu tti è arrivata un’altra circolare della Direzione. Questa circolare, in trentasei righe dattilografate, divise in nove paragrafi, oltre alle già note e dette e ripetute raccomandazioni a proposito del passaporto, ricorda tutto ciò che gli attori devono sapere e cioè: a) la lingua inglese bisogna conoscerla; chi la conosce già la ripassi e chi non la conosce la studi il più rapidamente possibile per potere almeno pronunciare le frasi di uso comune; b) nei paesi del nord il clima è ovviamente rigido e quindi bisogna coprirsi; c) nei paesi del nord piove spesso e quindi occorre l’ombrello; d) è indispensabile avere un soprabito; e) è prudente avere indumenti intimi di lana (maglie, pancere, ecc.); / ) tu tti devono avere un abito da sera e uno da cocktail; g) tali abiti potranno viaggiare in un baule cumulativo della compagnia; h) gli abiti in questione dovranno essere consegnati entro il 5 agosto, appesi su apposite grucce e ben disposti dentro sacchetti di plastica trasparente; i) le scarpe relative a detti abiti potranno essere consegnate allo stesso modo, negli stessi termini, e nella medesima confezione. 29 luglio. - Le prove continuano soddisfacentemente. Strehler dimostra di avere miglio rato molto le sue qualità professionali, ma continua a dimostrarsi pessimista nei confronti del teatro contemporaneo e di noi poveri teatranti. Moretti ha notevolmente migliorato il suo Arlecchino e noi colleghi lo seguiamo appassionatamente e ogni volta ridiamo di cuore ai suoi lazzi, alle sue trovate spiritose che continuamente arricchiscono il perso naggio. La sua dedizione al lavoro è commovente ed è di esempio per tu tti noi. Ogni volta Moretti prova « sul serio » e ce la mette tutta perché i nuovi ruoli siano trascinati dal « ritmo » vero dell’azione e imparino più presto. Valentina Fortunato è una magnifica Beatrice e Tino Carraro dà di Fiorindo una interpretazione particolarmente spiritosa, nuova, eccitante. Mauri è il nuovo Brighella ed è una scoperta di Strehler che lo cura con amore particolare. Battistella è il solito vecchio pazzo Pantalone e cerca anche lui di migliorare i suoi lazzi e la sua recitazione. Checco Rissone è il solito vociante, impor tante, tremendo « dottorone ». La Bonfigli è una Smeraldina dal corpo di dea (così la definì la critica parigina due anni fa) e dalla voce affascinante. I due amorosi Clarice e Silvio sono giovani ex allievi dell’Accademia del « Piccolo » di Milano e rappresentano senza sforzo e con grazia il loro ruolo. Fanfani sostiene il ruolo del facchino che porta i bauli e parla veneto con un leggero accento toscano. Tutti gli attori infine sono mera vigliosamente affiatati, vicini, innamorati del lavoro, entusiasti delle trovate degli altri, pronti ad accettare la collaborazione del regista e dei colleghi. Strehler compone il tutto con una direzione che, dice, mira ad una edizione più evoluta dell’Arlecchino, da farsi in un prossimo avvenire. Ci segue, ci consiglia, ci dirige, ci fa ripetere, ci critica; ma il suo pensiero è altrove. Pensa a un altro Arlecchino fatto forse con gli stessi attori, ma con una impostazione diversa. Intanto cerca di trarre il meglio da noi per 1 edizione attuale e, tra un svagamento e l’altro, immette nuova vita, nuove trovate, e nuove forme nella già collaudata edizione che il « Piccolo » ha portato quasi in tutto il mondo. Il caldo è opprimente, le parole di Strehler sempre interessanti e qualche volta affascinanti; ma gli attori sono sempre più preoccupati del « giro ». È arrivata infatti un altra circolare con cui la Direzione invita gli attori a provvedersi del necessario per il trucco senza dimenticare le tovagliette che ad un camerino conferiscono l’aspetto «civile», e di radu nare tutto l’occorrente in una robusta scatola di cartone fornita dalla Direzione stessa e a cura della medesima spedita assieme alle altre in un bagaglio cumulativo. Si discute se è possibile far entrare asciugamani e tovagliette assieme a tutto l’occorrente per il trucco, in una scatola da scarpe. Checco Rissone decide di rinunciare alla tovaglietta e Moretti non vuole portarla di proposito, in polemica con Grassi che molto tempo fa gliene ha promessa una meravigliosa in regalo senza mantenere mai la promessa. I o agosto. - Due giovani attori di sesso diverso, fin dalla riunione della compagnia, sem bravano non prestare molto interesse sia alle infuocate discussioni artistiche scatenate da Strehler durante le prove sull’interpretazione dei due lavori, sia ai problemi del giro discussi fra gli attori nelle pause di lavoro. Il mistero di questo loro assenteismo viene spiegato: sono innamorati e si sposeranno il giorno prima di partire facendo coincidere la loro luna di miele con la tournée. Sono tu tti e due giovani ex allievi della scuola di recitazione del « Piccolo » di Milano e la loro prima notte di nozze la passeranno in treno, durante il viaggio Milano-Edimburgo. 2 agosto. - La Direzione invia un’altra circolare con la quale si ricorda ancora agli attori quanto stabilito e comunicato con la circolare precedente. Strehler, durante la prova, dichiara di non essere molto soddisfatto di noi e appare tutto preso da una crisi di pessimismo più grave e più drammatico del solito. Negli attori circola un certo nervosismo. 5 agosto. — Vengono affannosamente consegnati gli abiti, le scarpe e la scatola del trucco confezionati nei modi richiesti dalla Direzione. Le prove continuano a svolgersi regolarmente e Strehler ci dichiara di aver superato la crisi di sfiducia dei giorni scorsi. È più ottimista e afferma di essere contento di noi. È sempre vivo però il problema delle mogli in villeg giatura. Arrivano da Roma il marito e il fidanzato di due giovani attrici. Si attende da Roma un altro marito per domani. Giunge una circolare della Direzione che convoca « tu tti indistintamente » i partecipanti al giro per le ore 15 di domani in teatro, per comunicazioni riguardanti il viaggio. 6 agosto. - Grassi parla a tutta la compagnia riunita nell’atrio del teatro e con l’ausilio di due grandi carte geografiche aperte sul tavolo traccia il giro che faremo e partico lareggiatamente comunica orari, arrivi, partenze, giorni di spettacolo, mezzi di trasporto, tipi di alberghi in cui andremo, genere di cibi che consumeremo, qualità di pubblici che incontreremo, ecc. Dice che non sempre potremo avere delle camere singole e che saremo costretti spesso a dividere la camera con un collega. A questo proposito ci invita a con ferire segretamente con lui, come con un abate in confessione, per comunicargli quali compagni gradiremmo avere eventualmente nella stessa camera. Ci comunica quali saranno i viaggi per via terra, quali per mare, e quali per aereo. Consiglia di portare solo due valigie e di mettere i cartellini alle medesime col nome e indirizzo del proprietario. Consiglia ancora di portare indumenti di lana. Le sue parole lasciano turbati gli attori: alcuni pensano al clima rigido che dovranno affrontare, altri ai viaggi per mare, ed altri ai viaggi in aereo. C’è infine il problema di dover eventualmente dormire in due nella stessa stanza o nelle cabine dei piroscafi e dei vagoni letto. Carraro però è tranquillo: ha ottenuto per sè e per la moglie il privilegio di avere sempre a disposizione cabine e camere separate e comunicanti e con bagno. Si sussurra che inoltre la Direzione si sia impegnata a fargli trovare nelle camere di ogni nuova piazza fiori freschi. E si capisce: e il primo attore. Non si sa ancora quali segreti privilegi abbia richiesto per sè la prima donna Valentina Fortunato. Il giro comincia ormai ad essere di una attualità piena di preoccupazioni e di problemi. 7 agosto. - Alcuni attori, impressionati per recenti disastri o per precedenti esperienze poco felici, indirizzano una petizione collettiva e firmata a Grassi perché eviti i viaggi in aereo. Su quelli per mare non si discute: purtroppo non si conosce ancora il sistema per eliminarli. Matteuzzi e un lucido e dialettico espositore dei rischi a cui di solito vanno incontro gli incauti che viaggiano in aereo. Checco Rissone è tranquillo: crede nel Fato. Dà informa zioni sulla Scandinavia a chi gliele chiede. Essendo egli già stato da quelle parti in una precedente tournee del « Piccolo » è in grado di affermare che in Svezia e in Norvegia 11 condimento abituale dei cibi è il grasso di foca, i polli sono sconosciuti, la frutta intro vabile, la carne immangiabile e, comunque, di strani animali della tundra, e molto calorosa. Moretti e più rasserenante nel racconto delle sue passate esperienze scandinave. Sostiene di avere sempre trovato buon tempo, cibi discreti e buona gente. Il caffè, però, dice, se lo fa da solo in camera. Consiglia tuttavia di portare appresso qualche salammo alla cacciatora. Nel 1948, a Londra, i salamini alla cacciatora consentirono a lui e al suo compagno Battistella di tornare vivi in Italia. Si parla di donne. Le svedesi, si sa, passano per entusiaste dell’Italia e degli italiani. Ma anche in questo campo le precedenti espe rienze non fanno sperare in nulla di buono. Il ritmo del lavoro, delle prove, dei ricevi menti e dei viaggi non consentono incontri sentimentali. Si spera almeno di comperare qualche cosa di bello, qualche cosa di esotico da portare a casa. Pare che nel Nord di particolarmente interessante in questo senso non ci siano che le pellicce. Ma anche in questo argomento si e piuttosto scettici: esperienze precedenti non hanno dato buoni risultati. 9 agosto. - Con nuova circolare la Direzione ricorda a tu tti gli attori il dovere di rin frescare le loro cognizioni di inglese. Ricorda comunque che, per chi lo desiderasse, è in vendita presso il signor Boschiero, amministratore della compagnia, un magnifico manua- letto in cui sono elencate in ben sei lingue tutte le frasi più comuni e di uso corrente nei viaggi e negli alberghi. Si scopre però che tra queste sei lingue sono comprese la portoghese, la spagnuola e la russa, parlate correntemente nei rispettivi paesi, che la nostra tournée però non tocca. Fra gli attori intanto circola un altro libretto che contiene le frasi inglesi di uso più corrente con la loro esatta pronuncia; particolare, questo, importantissimo. Ma ci si rende conto che, per un italiano, la pronuncia di una frase inglese è veramente un’opinione personale perché, pur col libretto alla mano, nessuno è d’accordo con l’altro sul modo di pronunciare le parole più semplici. Si conclude, tu tti d’accordo, e con ottimistica sicurezza che « un italiano all’estero si fa sempre capire ». 12 agosto. - Milano comincia a spopolarsi, le prove diventano sempre più lunghe e fati cose, il caldo è opprimente e si sogna il mare, la collina, i laghi, un po’ di riposo. Del viaggio non si parla più. Qualcuno è pentito di aver accettato. Molti pensano alle mogli ed ai figli che se la godono al mare o ai laghi. Fanfani è tranquillo: può raggiungere facilmente, quasi ogni sera, la giovane e graziosa moglie a Cittiglio. Gli scapoli sono irrequieti. Due giovani attrici attendono impazientemente l’arrivo da Roma del marito e del fidanzato. 15 agosto. - Alle ore 14, all’inizio della prova pomeridiana, Strehler riceve un telegramma che gli annuncia la morte di Bertolt Brecht avvenuta il giorno prima. Ci accorgiamo che Strehler è veramente addolorato e addolorati sono particolarmente gli attori che nella corsa stagione hanno preso parte all’Opera da tre soldi con tanto successo rappresentata a Milano e a Roma. Brecht era venuto a Milano in occasione della prima e si era dimo- strato agli occhi di tu tti un uomo di teatro eccezionale, vivo, operante, senza pose, senza atteggiamenti, schivo, timido, ma deciso nell’affermazione che « il pubblico non bisogna mai annoiarlo » e che « i tagli sono sempre necessari ed è indispensabile farli senza pietà ogni volta che occorra per la snellezza dello spettacolo che deve sempre rimanere un divertimento e mai deve risultare un noioso trattenimento da oratorio ». Tali sue affer mazioni egli le dimostrava vere in pratica consigliando a Strehler di tagliare la « sua » Opera da tre soldi nei punti richiesti. L’edizione di Strehler gli era piaciuta. Gli era parsa la migliore di quante mai ne fossero state fatte finora. Ma non voleva trattenersi dopo 10 spettacolo. Ripeteva con ostinazione infantile di « voler andare a casa » perché «doveva andare a casa ». Chissà perché lo diceva: per timidezza o forse per il male che già lo minava. Spinto e convinto da Grassi lesse poche parole dopo lo spettacolo e fuggi. Sembrava un monaco che tornasse frettolosamente al suo convento. Ma monaco non era. Era un artista vero, un vero uomo di teatro, essenziale, senza atteggiamenti. Strehler lo ricorda durante la prova con parole che sembrano dimostrare un vero e sin cero dolore. Egli attendeva da Brecht il giudizio sulla prossima messa in scena di altri suoi lavori. Ora, dopo la sua morte, si cadrà, con le opere di Brecht, nello stesso equivoco in cui si cade con le opere di Goldoni. Tutti sembra sappiano come si debbano ìappre- sentare, ma nessuno lo sa veramente. 11 discorso da Brecht si dilata verso altri argomenti: si parla di Jouvet; di ciò che disse di noi, di ciò che disse con le sue opere a tutto il mondo, di ciò che ha lasciato scritto, sul significato della sua opera. Insomma la prova finisce col diventare una commossa rie vocazione di grandi anime scomparse e verso sera ci lasciamo tu tti un po tristi e tuibati. Non si è fatta della rettorica: abbiamo detto e ascoltato parole che esprimevano sentimenti apparentemente veri e sentiti. Stasera però ci attende la prova dell Arlecchino e dovremo star su di giri. Con questo caldo e con lo stato d’animo che abbiamo, non e una cosa facile. 16 agosto. — Ferragosto ha spopolato Milano come al solito. Noi continuiamo a provare. Giunge una circolare (questa volta non inviata dalla Direzione ma da alcuni colleghi più anziani) con l’elenco di ciò che gli sposini gradirebbero per regali di nozze. Sono previsti trentaquattro articoli: il primo è la cucina a gas e l’ultimo è la spazzola elettrica. Si comin ciano a fare i conti. I fidanzati parlottano sempre fra loro e sono sempre piu preoccupati. Pare che il loro sogno d’amore venga intralciato dalla burocrazia che, insensibile ai loro problemi, non consegna in tempo i documenti. 17 agosto. — Grassi annuncia a voce, ad alcuni attori con cui e più in confidenza, d essere riuscito a dimagrire di dieci chili in venti giorni grazie ad una speciale cura segreta. A noi, per ottenere lo stesso risultato, sono bastati ventisei giorni di prove. I giornali comunicano che la prima neve e caduta a Londra e in Svezia. Giunge a tu tti i componenti la compagnia la partecipazione di nozze dei giovani fidanzati. Si sposeranno a Varese nella chiesa di Sant’Anna alle ore 11 del 22 agosto. 18 agosto. - Sul quadro degli ordini del giorno appare una lettera della Direzione, indi rizzata a tutta la compagnia, dattilografata in ventisei righe e quattro paragrafi che descrive il viaggio Milano-Edimburgo in tu tti i minimi particolari di orario. Dice anche che a Londra, dove ci fermeremo alcune ore, ci sarà un autopidlmann con guida, a nostra disposizione per una breve visita alla città. Aggiunge che la cena avverrà a Londra al Ristorante «Quo vadis?». E finisce col dire che la cena di giovedì 23 e la colazione di venerdì 24 in vagone ristorante, la cena di Londra di venerdì 24, il pullmann e i facchi naggi sono già stati pagati tu tti in partenza dalFAmministrazione del « Piccolo ». 19 agosto. - Riusciamo a dare un’occhiata ad un fascicoletto di quaranta pagine datti loscritte e contenente l’inventario di tutto ciò che la compagnia dovrà portare con sè per i due spettacoli della tournée. Tale inventario è scritto in italiano e in inglese. Tutti gli oggetti sono segnati nella misura, nel peso, nel volume relativo e col numero del baule al quale appartengono. A parte tutto quello che normalmente si può supporre porti con se una compagnia di prosa per due spettacoli (scene, costumi, trovarobato, apparecchi elettrici, ecc.) ci sono oggetti curiosi che forse un profano non sospetterebbe che facessero parte del bagaglio di una compagnia primaria. Per esempio nell’elenco troviamo (sce gliendo a caso): quattro galline (finte), due fìaschetti, due salami, trenta sigarette fumo gene, due sacchetti di monete, chilogrammi 1,50 di colla di pesce, quarantotto vasetti di gelatina, venticinque bustine di zafferano, grammi 300 di caramelle, grammi 300 cioc colatini, cinque pacchetti di muschio, quaranta ciuffi d’erba, quattro ali in piume, un turibolo, un porta incenso, un porta acqua santa, una chitarra, un crocefisso, una tromba da grammofono, sei berretti da aviatore, ecc. Stesso giorno. - Strehler cerca di chiarificare per se stesso e per noi l’importanza del l’opera di Pirandello. Al di là della caducità di situazioni, di scene, di battute strettamente legate al tempo in cui Pirandello viveva, si sente in ogni sua opera un anelito potente verso un assoluto poetico che qua e là appare con bagliori violenti. 20 agosto. — Grassi ripete alle signore la raccomandazione già fatta di non usare pantaloni durante il viaggio. Tale raccomandazione non ottiene l’approvazione immediata ed entu siastica delle attrici ma viene compresa la ragione che l’ha suggerita. Il passaporto collettivo per la Germania Orientale suscita qualche apprensione. Si dice infatti che, nel caso in cui uno di noi scomparisse, tu tti gli altri verrebbero trattenuti dalle Autorità del paese in questione come responsabili dell’eventuale fuga o diserzione di un nostro collega. Strehler alla fine della prova di Arlecchino, verso le 23,45, dichiara di aver avuto durante la prova, da noi, una grande gioia. Forse, nonostante il caldo, abbiamo raggiunto quell’allegria scatenata che in un lavoro del genere è indispensabile e gliela abbiamo comunicata. 0 forse era semplicemente Strehler di buon umore. O probabilmente egli ha detto ciò per chiudere in bellezza le prove. Noi, comunque, crediamo di avere la coscienza a posto: ogni volta mettiamo tutta la nostra buona volontà e sopportiamo una fatica fisica veramente eccezionale. L’ordine del giorno comunica alcune varianti del giro in Scandinavia e annuncia importanti modifiche del giro nella Germania Orientale. La « Grida » finisce con un arrivederci al marciapiede della stazione di Milano all’ora stabilita. Con domani le prove in Italia sono finite. 21 agosto. — Ultimo giorno di prova. Strehler si getta con passione a curare gli ultimi particolari della preparazione. Abbiamo l’impressione che anche Questa sera si recita a soggetto abbia raggiunto il limite previsto di maturazione. La Dandolo è brava come sempre (17 anni fa, sotto la direzione di Giannini, debuttò nel ruolo — il medesimo — di Ignazia, assieme a Battistella che sosteneva, come oggi, il ruolo di Sampognetta, otte nendo lusinghieri consensi a Roma, Milano e Ginevra). Carraro e Valentina Fortunato appaiono estremamente veri e appassionati nei loro ruoli tanto da commuovere gli stessi loro colleghi. Ghigo De Chiara viene a registrare per la radio alcune scene. Egli ci seguirà con l’incarico di cronista ufficiale della RAI per tutta la tornée. Nel pomeriggio c’è amministrazione (leggiadro eufemismo che vuol dire prendere la paga). Domani 22 ci viene concesso come giorno di riposo (non pagato) per gli ultimi preparativi. Gli attori si lasciano la notte, verso Luna, dopo una buona prova di Arlecchino, con un arrivederci alla stazione. Si parla ancora delle ultime cose da comperare. Moretti decide di acquistare un’altra macchina da caffè espresso (pare che sia la quarta) e con vince la Giacobbe a fare altrettanto. Gli sposini sono felici perché tutto è andato bene. E in tu tti c’è una certa ansia, una specie di apprensione non confessata. Tutto il nervo sismo si sfogherà dopodomani alla stazione quando quelli che rimangono avranno un po’ di malinconia e quelli che partono dimostreranno forse una eccessiva disinvoltura. Il Diario segue, nel prossimo fascicolo. Antonio Battistella I l p o r r i d g e s i a d d i c e a M a l o n e y V i ricordate di me? L ’ultima volta che ci incontrammo sulle pagine di questa rivista ero cotto di Andreina Pagnani (oh, Andreina), stavo sotto i quaranta che ormai ho varcato (D io, come passa i l tempo) e vivevo quasi esclusivamente di porridge e di teatro. N e i ritagli di tempo m i struggevo per i verdi p ra ti d’Irlanda. E ra ancora vivo Shaw, allora; e ogni tanto i l Direttore del giornale di Londra dove lavoravo m i concedeva licenza d’andare a trovare i l mio vecchio. Begli anni. Poi, sapete come vanno le cose, ricevetti l ’offerta di trasferirmi ad Hollywood. Sceneggiature. Un amico — falso amico, credo — m i disse : « Basii, con quella tua vena facile a Hollywood t i aspetta la fortuna. D o lla ri a cappellate. Che cosa aspetti in questo buco? (parlava di Londra, i l disgraziato, Londra, ombelico del mondo : la p iù grande città del mondo dopo i l mio paese natale, là nella verde Irlanda) Perché non ti comperi un biglietto d’aereo per l ’America, per i l cinema, per la ricchezza? ». Comperai tutte queste cose che m i diceva i l mio amico ma, a conti fa tti, m i ritrovai soltanto (e tuttora m i ritrovo) col biglietto d’aereo, con l ’America e i l cinema. L a ricchezza n°n era evidentemente compresa nel prezz0- Porridge in Inghilterra; porridge in America. I l porridge si addice a Maloney. M a non è di questo che m i cruccio, sibbene del fa tto che sempre p iù viva, p iù mordente, p iù lancinante mi rode la nostalgìa, i l bisogno, la « voglia » d’Europa. D arei una settimana di porridge per un’ora d’Europa. Non, con questo, voglio dire che l ’America sia un brutto posto, scomodo o ino spitale : tu tt’altro. M a, per un europeo educato in scuole europee, avvezz0 a fre quentare i teatri europei, a ragionare in termini di cultura europea, qui c’è qual cosa, come posso dire, di troppo sommario ad un tempo e troppo aggressivo. C ’è troppo e troppo poco in America, per un uomo di cultura europea (e ciò affermo, e D io m ’è testimone, senza la minima amarezza per i l fa tto di non essere riuscito a raggranellare un po’ di dollari: povero ero in Inghilterra e povero sono qui; dunque l ’America non m i ha preso niente del mìo). Non so: qualche volta ho avuto come la sensazione che nei campi della cultura americani sì rifugino g li tdtim i eredi dei conquistadores spagnoli, ì nipoti degli intrepidi cercatori d’oro e di avventure che colmarono d’ammirazione la nostra infanzia- ma che, francamente, non bastarono a saziare la nostra maturità. Forse sono stato un po’ oscuro e ora vedrò di spiegarmi meglio. Prendiamo i l nostro amato teatro, a mo’ di esempio. Ecco, io che l ’ho visto da vicino, che l ’ho vissuto per tu tti questi anni, anche se ho mangiato i l pane del cinematografo, ecco, io m i sento d’affermare che i l teatro di Broadway è qualcosa come un vero e proprio « assalto alla diligenza ». N e l senso che è vivo, forte, audace, teso dritto a uno scopo. M a, proprio come ì « duri » che eseguivano siffatte operazioni scarsamente gradite ai rappresentanti della legge, questo teatro ha fretta. Fatto i l colpo spa- risce, deve sparire. N on g li rimane più tempo, nella concitatone del ?nomento, di limare lo stile, di scavare in profondità o di levarsi in a lte ra . Non g li è concesso di soffermarsi a diramare messaggi alla posterità: si esaurisce, in certo senso, nell’atto stesso che si manifesta. Quest’anno è venuta a Broadway per una serie di rappresentazioni quella vecchia cosa, quella nobile cosa che e la Comédie Française. Bene: tu tti abbiamo avvertito — e m olti con stupore — che stava?no assistendo a qualcosa di profondamente diverso. D ’improvviso ci è apparso chiaro che i M ille r, i Tennessee Williams di qui sono dei barbari dal rozjçg linguaggio approssimato di fronte a questi Beaumarchais, a questi M arivaux. Un uomo di cultura europea come Thornton Wilder che si trovava presente ad una di queste rappresentazioni ebbe a dire in un gruppetto dove p u r io m i trovavo : « Te nostre commedie, di noialtri autori americani, sono assegni in bianco firm a ti in solido dagli attori e dal regista. Te commedie di questi classici sono assegni con ricca copertura, staccati da un vigoroso conto in banca, personalissimi. Ecco la differenza fr a noi e loro: noi siamo di volta in volta l ’attore che interpreta i l nostro personaggio o i l regista che mette in scena l ’opera. Toro sono loro, e basta: con c’è barba di attore o di regista che riesca a sopraffarli ». T ’Europa, amici, è ancora un grande paese. Persino una raccogliticcia compagnia anglo-canadese diretta però da quel maestro di recitazione che si chiama Tyrone Guthrie e che m olti in Inghilterra ricordano con ammirazione grandissima ha mostrato agli americani, recitando i l Tam erlano di Marlowe che cosa voglia dire dizione, movimento di scena, eleganza di spettacolo : stile, in una parola. Quello stile contro cui ha cozzato malamente i l p u r dotatissimo Orson Welles cui, peraltro, i l prepotente americanismo vieta di intendere e di rappresentare i classici così come usiamo intendere e rappresentarli noialtri in Europa. A. sua parziale discolpa, co?ne ormai tu tti sanno, Orson Welles può dire che prim a s’è rotto una caviglia e poi se ne è slogata un’a ltra : è certo che è difficile mettere in scena un decente Re Lear in quelle condizioni. M a sta di fa tto — io seguivo Olivier e l ’ «O ld V ie » a Tondra tutte le sere e lo posso ben dire — che caviglia o non caviglia Orson Welles p iù di tanto non può fare : può fingere di aver captato lo spirito di Shakespeare, fingere con tanta finezza da rendere persuasi anche taluni critici che non conoscono i palcoscenici europei. M a non la dà a bere a Basii Maloney che dava del tu a George Bernard Shaw e si passava i l week-end a Stratford-on-Avon. Buoni, ottim i giornalisti, questi commediografi, questi drammaturghi americani, informati, sensibili a l richiamo dell’attualità, abili e spesso coraggiosi polemisti. M a è questo, i l teatro? E « solo » questo, i l teatro? E quanto i l Maloney, solo col suo quarantenne cuore irlandese in quest’America dove c’è troppo e troppo poco per lui, seguita angosciosamente a domandarsi. Per sentirmi meno solo, se me lo permettete, m i riprometterei d’informarvi siste maticamente delle cose del teatro di qui. Come facevo, dall’Inghilterra, ai vecchi tempi in cui davo del tu a George Bernard Shaw. Memori ossequi a Andreina Pagnani. ,lasU Mai„nfty T E A T R q ^ I M p T f - & : h ^ M O N D O Per chi, come noi, abbia nel sangue accanto ai globuli la passione per il teatro, « Teatro di tutto il mondo » è un’espressione che seduce ed attira. Naturale quindi e compren sibile la nostra soddisfazione nel vedere lo scorso anno la terza sezione del « Thesaurus litterarum », la cui ideazione fu una delle ultime fatiche di Vincenzo Errante, dedicata appunto a questo argomento, dedicata cioè a raccogliere in quasi cinquanta volumi il meglio della produzione teatrale d’ogni tempo e d’ogni latitudine. Poteva ben nascere il dubbio se le forze di chi s’accingeva alla non lieve e pericolosa fatica sarebbero state all’altezza delle intenzioni, ed è possibile oggi, ad un anno circa dalla presentazione del piano dell’opera, e sulla scorta dei primi sei o sette volumi già apparsi, tentare una prima valutazione critica del lavoro e dei criteri che lo diressero. Tuttavia, al fine di porre in giusta luce il valore ed il significato di questa « codificazione » del teatro, pare opportuno far precedere un rapido esame di analoghi tentativi effettuati in precedenza, in Italia e all’estero, e un’esposizione dei criteri metodologici e sistematici che informarono tali raccolte. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il raccogliere organicamente il teatro di tutto il mondo, sia pur ristretto per necessità di cose al meglio di esso, è un’idea moderna; e pure se non mancarono nei secoli addietro collane e collezioni di teatro anche di proporzioni notevolissime, quali furono quelle della « Biblioteca Ebdomadario teatrale », che dal 1831 al ’68 pubblicò seicentoventi fascicoli, o quella diretta da Fran cesco Jannetti prima e da Pietro Manzoni poi, e intitolata « Florilegio drammatico », fu del tutto assente l’idea di dare attraverso i testi una visione generale del teatro d’ogni paese e d’ogni epoca, una visione che rispetto al passato fosse, in un certo senso, defi nitiva. E non per ragioni pratiche; non perché non si sapesse nulla di preciso dei teatri, ad esempio, orientali o di quelli nordici, perché questo avrebbe semmai ostacolato la realizzazione del piano, non l’ideazione di esso; ma per motivi vari che vanno da una diffusa incomprensione del passato, che portava a limitar l’attenzione e la cura alle sole opere contemporanee, ad un mal inteso nazionalismo, che portava ad escludere come artisticamente secondaria la produzione straniera. In una di queste raccolte, stampata a Lione « chez J. S. Grabit » nel 1780, e che raccoglie in otto volumi « les meilleurs pièces de théâtre faites en France depuis Rotrou jusqu’à nos jours », un anonimo presentatore scrive infatti quanto segue: « Eh! quel peuple peut nous disputer en richesses dramatiques? Notre supériorité en ce genre est reconnue dans 1 Europe; et malheur aux étrangers qui ne la reconnaîtraient pas! ». Certo che non è su simile terreno che può nascere l’idea del «teatro di tutto il mondo»! Tuttavia, anche se una ricerca in questo senso non può rivelarsi per nulla fruttuosa, può tornar utile ed interessante l’esame dei criteri metodologici che diressero il lavoro dei compilatori nella scelta delle opere da raccogliere, anche se spesso per la verità si tratti di criteri assai poveri e deboli. L’ignoto compilatore del « Recueil ecc. » più sopra citato, ha come unica guida nella scelta il suo personalissimo gusto, e quanto alla dispo sizione, accoglie la suddivisione per generi (tragedia, commedia e dramma) e nell’ambito delle tre categorie così stabilite pare non segua alcun criterio, neppure quello tanto intuitivo del semplice ordine cronologico. Pochi anni dopo, nel 1796, veniva iniziata in Venezia la pubblicazione di una serie di sessanta volumi, portata a termine nel 1801 (« Il teatro moderno applaudito, ecc. ») e con queste parole ne veniva presentato il programma: « Mentre l’Italia, madre e maestra delle arti e delle scienze, può giustamente andar superba di varie preziose collezioni in ogni ramo di letteratura, trovasi ella nel tempo stesso, non senza qualche discapito della sua gloria, priva quasi del tutto nel genere teatrale. La ragionevole lusinga, che il porre un riparo a codesta mancanza debba meritarci il pubblico aggradimento, ci ha animati a intraprendere una Collana di opere teatrali che : 1) mostrasse il merito della nostra nazione non inferiore a quello di ciascun’altra; 2) che fosse di vantaggio all’amena letteratura italiana; 3) servisse di dolce intrattenimento e di utile istruzione ad ogni classe di persone ». Anche in questo caso, i criteri cui s’è attenuto il compilatore sono assai discutibili e mancano d’ogni solido fondamento logico: le opere non sono dispostè in ordine cronologico, badandosi più che altro a variare il contenuto dei singoli volumi; la ripartizione fra i quattro Paesi rappresentati manca d’ogni ragionevole proporzione, dal momento che accanto a circa 130 opere italiane e 110 francesi non si hanno che sette lavori tedeschi e tre spagnoli; ed infine, nella qual cosa sta forse il maggior ostacolo ad una visione organica del teatro universale, s’è voluto mantenere la collezione, per usare la colorita espressione dell’anonimo compilatore « ...scevra del rancidume del l’antichità ». E doveva esser questa una mentalità diffusa, se anche nel 1821 Gaetano Barbieri ini ziava una « Nuova raccolta teatrale, o sia repertorio scelto ad uso dei teatri italiani », escludendo ogni opera del passato e limitandosi alla sola produzione contemporanea, e tra questa favorendo di gran lunga la produzione italiana. Quanto ai criteri che regolano l’ordine delle opere presentate, manca anche qui ogni ordine cronologico, ed anche qui la disposizione delle opere è dominata dalla cura di variare il contenuto dei singoli volumi. La scelta è condotta poi esclusivamente sui gusti del pubblico: « Il pubblico non dà passata ad una scena che non abbia interesse; ...è avido di avvenimenti che lo com movano o straordinariamente lo allettino, cessa dall’averli cari se sono alcun poco a pregiudizio della semplicità; ...domanda sceltezza di stile; ...non risparmia biasimo agli eventi non ben preparati, che però teme di saper troppo presto; ...non gli piace udire in teatro la morale annunziata con lo stile dei pergami... Tali considerazioni saranno la norma del repertorio che presentiamo ». Più solidi fondamenti e più ragionevoli criteri si ritrovano invece in altre collezioni che si distinguono per aver chiaramente compreso non solo il valore storico del teatro pas sato ed il suo indissolubile legame col presente, ma anche e soprattutto per averne compreso — dove naturalmente poesia vi fosse — la validità poetica assoluta; concezione questa che portava anzitutto a sopprimere sul piano puramente estetico la distinzione tra antico e contemporaneo, ed inoltre a concepire come necessaria la conoscenza del teatro nel suo sviluppo, per la piena comprensione e per l’esatta valutazione del teatro contemporaneo. Un bell’esempio di questa tendenza sono i dieci volumi del « Teatro ita liano antico » edito a Milano nel 1808 dalla Società tipografica dei classici italiani, ad imitazione peraltro di una raccolta livornese di vent’anni addietro, la quale ultima rac colta non c’è stato possibile rintracciare. Nella prefazione, non firmata, si legge: « Un antico errore è prevalso e domina tuttora non solo in oltramonte ma presso di noi ancora, che l’italiana letteratura nulla vantato abbia di bello e di grande nelle drammatiche com posizioni prima degb immortali Maffei, Metastasj, Goldoni, Alfieri e Monti. A sovvertire questa sì mal concepita opinione, bastar forse potrebbero i bei drammi pastorali... Ma altri monumenti ancor più insigni noi abbiamo, con cui dimostrare che prima anche delle straniere nazioni, ebbe l’Italia nel genere teatrale più poeti ». Anche qui, tuttavia, pur con il migboramento apportato dall’aver esteso l’interesse al teatro dei secoli precedenti, i criteri metodologici sono ancora incerti e poggiati su fragili basi, quando non ne sono del tutto privi. La scelta è indubbiamente condotta con criteri estetici, prescindendo da quello che avrebbe potuto essere un giudizio del pubblico contemporaneo, ma le opere prescelte sono presentate in ordine non cronologico, a casaccio, con l’unica e solita preoccupazione di variare i singoh volumi alternando drammi e commedie. Ed a proposito di questa polemica sulla contrapposizione del teatro moderno-valido al teatro antico-rancidume, riuscirà curioso il criterio adottato in una edizione inglese, « British Drama » « printed for William Miller » nel 1810 a Londra, nella quale i dieci volumi di cui è composta sono così ripartiti: cinque al teatro moderno, tre al teatro antico, e due al teatro di Shakespeare, ove però le commedie antiche sono quelle che videro la luce tra il 1547 e il 1678, e le commedie moderne quelle che apparvero dal 1610 al 1788; perché « antico » e « moderno », per il compilatore di questa edizione, significa solo attualmente rappresentate — o rappresentabili —, e no: « The distinction of Ancient and Modern, will be found to consist chiefly in reference to their having lost or retained possession of thè stage ». Da un lato quindi, nei cinque volumi moderni, il criterio con duttore è quello dell’attualità e del valore estetico (secondo, almeno, il gusto del tempo), e dall’altro, nei tre volumi dedicati al teatro antico, il criterio direttivo è quello del valore e del significato storico e culturale. Pur se la separazione apportata pregiudica la visione d’assieme, è palese qui Tintendimento di dare al lettore un quadro generale del teatro inglese, non solo attraverso quanto seppe produrre di meglio, ma anche attraverso quelle opere che, se non appartengono alla storia della poesia, rientrano però nella storia della cultura e del costume. Ci sembra che qui, per la prima volta in questi tentativi di « codificazione » del teatro, anche se limitatamente al teatro di un solo Paese, il fenomeno teatrale sia visto unitariamente nei vari aspetti (o meglio gradi) che può assumere: manifestazione di costume, di cultura, di poesia. Tralasciando altri consimili esperimenti ispirati a criteri che non si discostano molto da quelli più sopra enunciati, forse la prima pretesa di una raccolta universale, se pur som maria, è rappresentata dai due volumi, apparsi a New York agli inizi di questo secolo a cura di Albert E. Bergh, che sotto l’ambizioso titolo di «The world great classics », non comprende che tredici opere di altrettanti autori da Eschilo a Sardou: ma troppo lim itati gli scopi dell’opera perchè valga la pena di parlarne. Il Bergh stesso, nella pre sentazione, riduce a più giuste proporzioni il programma quale appariva dal titolo e scrive che non intende negare resistenza di altre opere, tra le escluse, meritevoli quanto quelle prescelte, ma semplicemente affermare l’assoluto valore poetico di quelle presentate. Con ben altre pretese si presentava invece tre anni or sono, all’attenzione degli appassio nati di teatro, una serie di tre volumi editi da Casini e curati da Corrado Pavolini, fre giati del titolo di « Tutto il teatro di tu tti i tempi » e che possono rappresentare vera mente il primo tentativo di offrire una visione del teatro, estesa sia nel tempo che nello spazio ad abbracciare il meglio e il più interessante della produzione drammatica. In realtà, il risultato è ben lungi dall’essere soddisfacente: le opere presentate sono settanta, delle quali sessantatrè europee, per cui più che un « tutto il teatro », si ha qui al massimo un « teatro europeo con appendice ». L’ordine con cui le opere vengono presentate è crono logico, con tu tti gli inconvenienti che derivano dal fatto di imbattersi dopo Seneca in Kalidasa, e dopo Seami Motokijo in Feo Beicari: nè minore è lo sbalzo tra un Saroyan e un Gbelderode. Si può facilmente osservare che il criterio cronologico ha valore nell’am bito di una stessa tradizione culturale, e che non è ordine ma gravissimo e grossolano disordine porre in mezzo a due opere appartenenti alla stessa corrente culturale un’opera nata a migliaia di chilometri di distanza, in tu tt’altro ambiente ed in tu tt’altro clima, solo perchè scritta nel tempo che intercorre tra quelle due. Anche più discutibile il cri terio di introdurre nella raccolta una commedia per ciascun autore, con due opere per il solo Shakespeare; l’esclusione di Pirandello perchè « già troppo edito » (1) ci spinge a chiedere se fosse davvero necessario, procedendo di questo passo, includere Shakespeare; il far rappresentare Euripide dal « Ciclope », per il fatto che si tratta dell unico dramma satiresco pervenuto, è infine un particolare che si commenta da sè. Neppure il criterio che sta alla base della scelta, può soddisfare; che, mentre per i classici ci si è attenuti, per usare l’espressione del Pavolini, « al più scandaloso buon senso » ammettendo i capolavori assoluti, o quelli che tali vennero creduti, per le manifestazioni teatrali recentissime ci si è affidati ad un criterio estremamente eclettico, e si è badato ad accogliere opere che fossero esempio del maggior numero possibile di correnti e di tendenze tra di loro anche estranee, in modo che il risultato non è tanto un quadro d’assieme quanto piuttosto un’arbitraria riunione di particolari disparatissimi. Giunti al termine di questa rassegna, è possibile alfine esaminare la collana che ha offerto lo spunto a questo scritto. Appariranno ora ben chiare anzitutto la necessità e l’utilità di una simile impresa, ed in secondo luogo la mole enorme di problemi di sistema e di metodo che si presentano a chi voglia dare una visione unitaria e fluida di un fenomeno così universale qual è quello del teatro. Due soprattutto sono i problemi: quello della scelta; l’altro dell’ordine. Cominciando da quest’ultimo, il puro criterio cronologico già s’è visto quanto poco soddisfi, e a quanti inconvenienti dia àdito; il criterio cronologico, ma applicato nell’ambito delle varie suddivisioni per generi, se da un lato eviterebbe quegli sbalzi di clima che prova chi si imbatte in un dramma giapponese dopo una commedia italiana, introdurrebbe però quella suddivisione per generi letterari oggi universalmente rifiutata come inconciliabile con l’idea dell’identità sostanziale del fenomeno artistico, qualsiasi forma esso assuma. Assai di più soddisfa, ed è il criterio accolto da Raffaele Cantarella, direttore della Collana, l’ordine cronologico applicato nell’ambito di una prima e fondamentale suddivisione per nazioni. Questa disposizione, mentre non nuoce alla continuità dello sviluppo d’una tra dizione teatrale inframmezzandola con opere del tutto estranee come abbiamo visto fare dal Pavolini, non nuoce neppure ad una visione unitaria del teatro, come farebbe chi volesse separare, ad esempio, teatro italiano lombardo e teatro italiano piemontese (a meno che non lo faccia in un teatro dialettale); tenere del tutto separati il teatro cinese dal teatro portoghese o che so io, non è falsificazione o alterazione della realta, ma anzi è fedele visione di essa, ed arbitrario sarebbe all’opposto voler unificare ed avvicinare manifestazioni che non interferirono mai l’una nell’altra e che sono quindi del tutto indipendenti l’una di fronte all’altra. Per quello che riguarda poi nazioni che effettiva mente ebbero tra di loro rapporti culturali tab da rendere impossibile una netta frattura (1) N. d. R. — Non perchè « già troppo edito », che sarebbe offensivo ed assurdo, ma perché le opere di Pirandello sono esclusive di Mondadori per la stampa e quindi non possono essere incluse in edizioni altrui. Ma l’editore che si accinge ad imprese simili, o riesce a mettersi d’accordo per Pirandello, o rinuncia al suo proposito. Pubblicare « Tutto il teatro di tutti i tempi » nel 1956, senza Pirandello è un non senso. tra le rispettive manifestazioni teatrali, a parte il notare che nessun criterio può esser totalmente scevro da sia pur piccoli inconvenienti, ci sembra che a stabilire i legami tra nazioni finitime e culturalmente affini, a porli nella giusta luce e ad illustrarne l’intensità e i caratteri, abbiano magnificamente provveduto, fino a questo momento e in questi primi volumi usciti, i compilatori dei singoli volumi nel « disegno storico » che introduce il teatro d’ogni paese. Ad esempio, nel volume sul teatro-serbo-croato, Arturo Cronia bada a stabilire quei continui richiami coi teatri nazionali di Germania e d’Italia, che giovano a far vedere il teatro serbo-croato non avulso dalla più vasta e super-nazionale corrente culturale nella quale ha la sua sede, e che giovano nello stesso tempo a fornire indispen sabili elementi per la sua piena comprensione. Quanto al secondo gruppo di problemi, quelli che provengono dal criterio da adottarsi in merito alla scelta, scrive il Cantarella che « criterio dominante della selezione delle opere deve essere quello della loro validità poetica assoluta. Subordinatamente a questa esigenza fondamentale si prenderanno in considerazione anche i valori storici e culturali ». E qui ben poco resta da aggiungere: è giusto che la precedenza alla validità poetica non sia tale da porre del tutto in ombra i valori storici e culturali, ed è forse superfluo ricor dare che la completa comprensione del capolavoro assoluto dipende anche dalla cono scenza dei tentativi che l’hanno preceduto e di quegli esperimenti che per le qualità dell’autore o per altri motivi non sono assurti al piano della poesia rimanendo su quello della cultura. A ltri problemi, infine, con le relative più facili soluzioni, provengono dalle traduzioni, che secondo l’attuale sensibilità si vogliono improntate « ...ad un’intima adesione ai modi espressivi dell’originale e ad una consapevolezza critica di fronte ai valori dei testi ». Il cbe porta ad escludere, tra l’altro, qualsiasi traduzione in poesia. L’estrema vastità della materia ha portato infine ad un’altra innovazione rispetto ai precedenti tentativi di consimili collane, particolarmente di quella del Pavolini; si è cioè proceduto ad una suddivisione del lavoro, allo scopo di dar soddisfazione così all’esigenza di un’unità di indirizzi per tu tti i vari volumi, come alla necessità che tu tti i teatri delle singole nazioni siano curati da specialisti. S’è suddiviso cioè il lavoro di scelta dei criteri e di applicazione pratica di essi: a Raffaele Cantarella è spettato il gettar le basi e il tracciar le linee direttive dell’intero lavoro, ai singoli specialisti spetta applicare i criteri prescelti nell’ambito della materia di loro competenza. Suddivisione di compiti, questa, che è una garanzia di serietà e di miglior riuscita del lavoro, giacché è assurdo e umana mente impossibile che un unico studioso possa compiere anche solamente la scelta delle opere da comprendere in tale collana. Agli stessi specialisti spetta poi tracciare una breve storia d’ogni teatro, in modo da offrire al lettore la possibilità di ben inquadrare storica mente le opere che gli vengono presentate, e corredare i lavori drammatici selezionati di note biografiche sull’autore e di note bibliografiche. Esaminati i validissimi criteri sistematici e metodologici su cui poggia la collana, e notato come i primi volumi apparsi (a cura di D’Amico quelli sul teatro italiano, a cura di Cronia, Yarady, ecc. quelli sul teatro serbo-croato, ungherese, ecc.) mantengano appieno le pro messe formulate nella presentazione generale della collezione, il nostro giudizio su questo « Teatro di tutto il mondo » non può essere che del tutto positivo. Si dice che una analoga impresa si stia progettando in Russia, ma non c’è stato possibile controllare la veridicità di tale voce, ed è comunque grandissimo merito della cultura e dell’editoria italiana l’aver intrapreso un così vasto ed impegnativo programma con una maturità ed una solidità di metodo quale sarebbe lecito attendersi solo dopo una lunga serie di esperimenti. Gigi Lunari Il Premio Riccione 1956 assegnato alla commedia Gli estranei di Massimo Binazzi che pubblicheremo nel prossimo fascicolo La giurìa del « Premio Nazio nale Riccione per il Dramma », presieduta da Lorenzo Ruggì e formata da Lorenzo Ruggì, A. G. Fragaglia, Ivo Chiesa, Ales sandro De Stefani, Arnoldo Foà, Salvator Gotta, Giuseppe Lanza, Carlo Terron, Giulio Trevisani, Ferdinando Virdia, ha assegnato il premio Riccione il T settem bre. Vincitore {L. 500 mila) è risultato Massimo Binazzi, con la commedia Gli estranei. Binazzi non è estraneo al teatro: tre anni fa ha vinto il concorso del «Piccolo Teatro di Milano ». L ’opera non è stata rappresentata, pare, per il veto della censura. Parentesi: questi « veti » andreb bero rivisti, a distanza di anni. Defnitìvi, nuocciono. Vi sono al cune commedie per molti versi importanti, imprigionate dalla censura. Una revisione sarebbe opportuna. Inoltre, Binazzi è autore di un monologo, L ’agguato, recitato da Wanda Capodaglio al Teatro del le Arti di Roma, e di una elabo razione del Doctor Faustus di Mann, dal titolo Delirio e morte di Adrian Laverkhun, che Alber- tazzi ha presentato in lettura pub blica ed è stata assai lodata dai cri tici. Aspetta la rappresentazione. Binazzi, a Riccione, ha parlato della sua opera. « Gli estranei — ha detto ■— è una commedia di incontri mancati, di rapporti fa miliari sbagliati, perché c’è un egoismo di fondo nei rapporti tra gli uomini, l’amore dell’uomo per l’altro non è che pietà per se stesso, ed è sempre noi soli che cerchiamo e proteggiamo negli altri ». Giuliano, il protagonista dell’ope ra, è un figlio « difficile », con vaghe aspirazioni umanitarie, tor mentato e tormentatore, che si sente ostile ai rapporti grettamen te borghesi, e sia pure onestamen te, umanissimamente borghesi, della famiglia. S’avvedrà alla fne — e sarà questo ad atterrarlo ■— che alla base dei suoi slanci è una malattia latente, l’epilessia, e che a questa son dovuti quel suo essere aperto e la sua falsa bontà. Morirà ucciso da un precettore, che aveva riconosciuto in Giulia no se stesso giovane e non vuole vederlo divenire cinico, non vuo le che la vita lo bruci. Neliordine di premiazione, se guono : secondo premio (L . 250 mila) a I conoscenti posero, di Carlo Maria Pensa, di Milano; terzo (L . 150 mila) a La stagione delle albicocche, di Aldo Nicolaj, di Fossano; quarto e quinto (mac china « Olivetti ») rispettivamen te a Morte di un borghese galan tuomo di Gian Paolo Callegari e ad Amleto di Alfio Val dar nini. Risultano poi segnalate, fra le al tre, le seguenti opere: Come si fa a vivere e Battesimo di un ne gro, di Marcello Gallian; Novità in casa Bogarte di Armida Rocca; Gli anni che abbiamo di Silvio Gnisi; La zitella del terzo piano, di Giuseppe Toffanello; Al tren tesimo miglio, di Giuseppe Va- lentini; La medaglia, di Franco Cannarozzo; Il fiore sul dirupo, di Enzo Lucio Durolo. In occasione di tale premio è sta to indetto a Riccione un « Con vegno dei premi teatrali italiani » {sono una diecina e forse piu) con l’intento di studiare la possibilità che una commedia premiata pos sa essere automaticamente rap presentata. Di qui l'idea di una costituenda apposita « Compagnia dei Concorsi » della quale par liamo nel « Taccuino ». E Q U ÌV O C O Il critico del quotidiano « Il Gior no », Roberto De Monticelli, figlio d’arte perché il non dimenticato suo caro genitore era nostro com pagno, era presente al Premio Ric cione ed al Convegno dei Critici (e dei... tecnici del turismo) come egli ha aggiunto nel titolo della sua cronaca. Staccato e niente af fatto convinto di quanto ha visto ed osservato a Riccione, ha scritto: « Come si potrà convincere, per e- sempio, tutta un’ala di coloro che scrivono e parlano di teatro, l’ala conservatrice, scettica e buonsen- saia, che invoca l’intervento dello Stato e considera le sovvenzioni come un necessario rimedio ad una situazione quasi tragica, come si potranno convincere questi signori che il male del teatro è nella so cietà italiana, in dissolvimento co me forza cosciente, come consape volezza culturale, come tribunale di se stessa? ». Diciamo: se la società italiana è in dissolvimento come forza co sciente, come consapevolezza cul turale, come tribunale di se stessa, il male è del solo teatro? E coloro che di teatro si occupano, anche se coscienti di tale dissolvimento, farebbero bene ad abbandonarlo alla deriva o non hanno invece il dovere di difenderlo? E se per di fenderlo, secondo la politica e le leggi del nostro Paese, occorre l’in tervento dello Stato perché lo Sta to Io giudica necessario, si deve impedirlo? E chi volesse impedirlo quali mezzi avrebbe a sua dispo sizione? la penna? La politica di un Paese si rispecchia forse solo nelle arti? Non c’è proprio altro, De Monticelli? Collega di suo pa dre, ieri, alla ribalta e collega suo, oggi, in giornalismo, permette a me personalmente, Ridenti, di dirle che le sue affermazioni assai gravi sono forse andate oltre le sue in tenzioni? INFORMAZIONE Dal settembre al dicembre del 1957 si terrà nel quadro della IV Bien nale di San Paolo del Brasile, la I BIENNALE DI ARTI PLASTICHE DEL TEATRO, esposizione interna zionale di architettura, scenografia, costumi e tecnica teatrale. Per qualsiasi informazione relativa al regolamento di detta manifestazione ed anche per l’invio delle opere, gli artisti italiani potranno rivolgersi al Piccolo Teatro della Città di Torino le condizioni richieste. La misura di tali anticipazioni sarà fissata caso per caso, e le somme recupe rate gradualmente dall’ammini strazione sulla liquidazione dei contributi maturati. Alle Compagnie minori, che si propongono un’attività continua tiva non inferiore a 3 mesi e che daranno adeguato posto al re pertorio nazionale, sono previste provvidenze sulla base delle di sponibilità del fondo e del nu mero degli aspiranti. Criteri di valutazione ai fini dell’accogli mento delle richieste saranno la consistenza organizzativa, il nu mero degli scritturati, l’entità del le paghe, la qualità del repertorio e degli allestimenti. Particolari aiuti dello Stato sa ranno assegnati, caso per caso, ad iniziative di « tournées » all’estero con eccezionali complessi. Le Compagnie di giro saranno almeno venti ma queste sono certe n Ernesto Calindri, Lina Volon- ghi, Enrica Corti, Alberto Lio nello con Giulia e Guido Lazza- rini metteranno in scena L’impa reggiabile signor Pennypacker di Liam O’Brien, che è la comica storia di un padre eccessivamente prolifico, Giulietta e RomanofT di Peter Ustinov, Il valzer dell’anni versario di Chorodov e Field, Ri cordati, amor mio di André Bi- rabeau e Visite improbabili, una commedia non napoletana di Giu seppe Marotta e Belisario Pian done. Inoltre per il centenario della nascita di G. B. Shaw la Compagnia riprenderà II mag giore Barbara e per il decennale della morte di Luigi Chiarini La morte degli amanti. ® Giorgio De Lullo, Rossella Fal\, Anna Maria Guarnieri, Ro molo Valli preparano due nuove commedie italiane-. E vissero fe lici e contenti di Enzo Biagi e Giancarlo Fusco e D’amore si muore di Giuseppe Patroni Griffi. Completeranno inoltre il giro di recite de II successo di Alfredo Testoni e de La bugiarda di Die go Fabbri iniziato nella scorsa stagione. ® Vittorio Gassman, Salvo Ran- done con Anna Maria Ferrerò. I due attori interpreteranno al ternativamente i personaggi di Otello e di Jago nella tragedia scespiriana. La Compagnia inol tre metterà in scena Ornifle ou le courant d’air di Jean Anouilh, moderna parabola di Don Gio vanni, e una nuova commedia di Federico Zardi, Scandalo all’ita liana. ® Anna Proclemer, Giorgio Al- bertazzi reciteranno la comme dia degli stupefacenti Una cappel lata di pioggia del rumeno-ame- ricano Michael V. Guzzo. Della Compagnia farà parte Vittorio Sanipoli. ® Laura Adani, Carlo Ninchi, con Giulio Oppi e Dina Sassoli. Compagnia comica. Promette commedie italiane di Terrón, De Benedetti, Pensa. Annuncia per certo le novità straniere-. Mon- sieur Masure di Claude Magnier, attore francese alla sua prima commedia. Il lavoro è collaudato abbondantemente-, tiene il cartel lone da un anno a Parigi. L’or et la paille, di Barilet e Gredy. The Winner di Elmer Rice. Esordio il 10 ottobre al Teatro di Via Manzoni a Milano. ® Renzo Ricci, Eva Magni. D i questa Compagnia è detto am piamente nella parte illustrata del fascicolo. PICCOLI TEATRI Notizie scarse. Nulla del « Pic colo » di Milano che è in tournée. Del « Piccolo » di Torino sappia mo invece quasi tutto, ed è natu rale: siamo in casa. Nico Pepe ci ha detto che va in scena il 3 novembre con Pamela nubile di Sovvenzioni e premi per la nuova Stagione Teatrale Una recente circolare della Dire zione Generale dello Spettacolo precisa l’assistenza dello Stato al le Compagnie di giro, ai teatri stabili ed alle Compagnie secon darie. Il criterio è di agevolare in tutti i modi la rappresentazione di commedie italiane. Per concor rere a tali benefìci le nuove for mazioni hanno tempo fino al pri mo ottobre; scadenza quanto mai opportuna per la maturazione di accordi che altrimenti andrebbero perduti. Le Compagnie debbono avere questi requisiti per essere definite primarie: direzione arti stica qualificata; complesso for mato per almeno due terzi di at tori noti e professionalmente at tivi; validità del repertorio, con adeguata parte alla produzione nazionale; garanzia di solvibilità dell’impresa; durata continuativa di almeno sei mesi di attività. Alle Compagnie primarie sarà corrisposto un premio di mezzo milione per ciascuna delle due prime novità assolute italiane re plicate almeno dieci volte nella stagione. Per l’allestimento di al tre novità assolute italiane o di commedie apparse nell’ultimo de cennio e mai rappresentate a Ro ma o a Milano, sarà corrisposto, secondo le disponibilità dei fondi, un premio di 300 mila lire. Su proposta di una speciale commis sione, a fine stagione saranno as segnati infine dieci premi: due di 8 milioni, tre di 6 milioni, tre di 4 milioni e due di 2 milioni. Le provvidenze previste potranno anche esser concesse all’inizio del la stagione con anticipazioni, sempre che le Compagnie diano sicura garanzia di osservanza del- P e r la C asa d i R ip o so degli A rtis ti D ram m atici 80.000 25.000 25.000 25.000 . . . . . . . . L. 200.000 Ottavo elenco del tredicesimo milione DARIA BERTINI, a no me del Comitato Mi lanese di Onoranze alla memoria di Ma ria Melato nel sesto anniversario della scomparsa della gran de Attrice LORENZO RUGGÌ, per ricordare persona a lui cara (versamento di luglio e agosto) . » NINO GIANELLO, per il Teatro delle Arti di Roma.................» B. L. R AND ONE, per ricordare Vittorio Cal vino ........................» GIUSEPPE MAROTTA, per ricordare Vitto rio Calvino . PIO CAMPA, dal Tea tro Valle di Roma per biglietti omaggio L. 19.910; dal Teatro delle Arti, resto bi glietti omaggio della gestione precedente L. 2235; dalla signora Edy Picello U. 2000 . » 24.145 5.000 , 5.000 5.000 TOTALE.................. L. 394.145 Somma precedente . . » 839.839 . . » 1.233.984 Totale a tutt’oggi . 233.984 L. 1.000.000 Chiuso il tredicesimo milione, abbia mo sottratto dalla maggior somma I,. 233.984 che riporteremo nel prossi mo fascicolo, come primo elenco del quattordicesimo milione. Il tredicesi mo milione è stato raccolto dal gen naio al settembre 1956. N. N............................. ELIRIO INVERNI//,! . GABRIELLA GIACOB ......................... Meno la la Goldoni; regìa di Giacomo Colli. A Goldoni, seguiranno: Giacosa (L’onorevole Ercole Mallodri), regìa di Colli; Pirandello (Liolà), regìa di De Bosio; Chiarelli (La maschera e il volto'), regìa di De Bosio; Brecht (L’anima buona di Seciuam) nuova per l’Italia, re gìa di De Bosio; Shakespeare (La bisbetica domata), non ancora affidata regìa; La- biche (Il più felice dei tre), non ancora affidata regìa. Se guirà per il « teatro dei ragaz zi » : Corneille (Don Sandro d’A- ragona), regìa di Enrico Romero, nuova per l’Italia. Attori princi pali : Carla Bizzarri, Leonardo Cortese, Mario Ferrari, Vittorina Benvenuti. Il « Piccolo » di Genova, direttore Ivo Chiesa; regista e attore En rico Maria Salerno; attrice Va leria Valeri. Reciteranno (dicono, ma crediamo poco) I giacobini, di Zardi; Il mostro di Lussendorf, di Salvato Cappelli; La bisbetica domata, di Shakespeare. Due bi sbetiche, dunque: una a Torino ed una a Genova. Come pure, due Maschera e il volto : una a Torino ed una a Trieste. In questa città reciteranno (attori principali, Anna Miserocchi e Carlo d’Angelo) La guerra, di Goldoni e la già detta commedia di Chiarelli. Questo sappiamo, per ora. Il teatro di Bolzano, ad onta delle voci contrarie, sembra possa riformarsi. Direzione di Fantasio Piccoli; attrice, Germa na Monteverdi. Napoli e Palermo, in alto mare. P E R S O N E EMMA GRAMATICA, la nostra più grande attrice, è stata fatta segno — al Festival cinematografico di Vene zia — di particolari attenzioni di ammirazione ed affetto. A nome di tutti gli attori italiani, Anna Ma gnani le Ila consegnato una medaglia d’oro, quale devoto omaggio alla sua grande arte. La cerimonia si è svolta in presenza del Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, di numerose per- sonalità e di un folto pubblico. Poi ché si proiettava il film / giorni più belli — la più recente interpretazione cinematografica dell’illustre attrice — le facevano corona gli interpreti stes si della pellicola, alla quale, per am mirazione e per onorare Emma Gra mática, hanno preso parte — quale omaggio — Vittorio De Sica, Carlo Ninchi, Andrea Checchi ed altri attori. ACHILLE LAURO, sindaco di Napoli, ha ottenuto dall’on. Segni, a mezzo della locale Intendenza di Finanza di Napoli, la cessione al Comune, da parte dello Stato, del Teatro Merca- dante, di proprietà demaniale. Il sindaco di Napoli si propone di de molire l’ormai decrepito teatro per ricostruirlo più grande e moderno, particolarmente adatto alla prosa, con almeno 1500 posti, con impianti ed attrezzature rispondenti alla tecnica più aggiornata, un teatro, cioè, vera mente degno di ospitare le maggiori Compagnie di prosa. Il nuovo fab bricato del teatro sarà architettoni camente armonizzato con la monu- mentalità della piazza Municipio, ora trasformata completamente. FERNANDO FARESE è morto a Fi renze il 27 agosto. Aveva 55 anni. Era molto noto ai radioascoltatori perché da cinque anni faceva parte della compagnia di prosa di Radio Firenze; e precedentemente, per ol tre dieci anni, aveva appartenuto al gruppo di prosa di Radio Milano; a quel gruppo diretto da Enzo Fer- rieri, di cui facevano parte Enrica Corti, Elio lotta, Renata Salvagno, Giuseppe Ciabattini e il compianto Guido De Monticelli. Qualche anno fa, prima di rientrare alla sede fio rentina della Radio, aveva recitato con Ruggero Ruggeri, nelle ultime stagioni in cui il grande attore fu in vita. E prima di arrivare alla ra dio, il Farese era stato con Donadío, con Calò, con Giorda, con Diana Torrieri, in numerose e importanti Compagnie. Il Farese era un attore preciso e limpido, un dicitore per fetto. La sua voce, leggermente me tallica, alternava splendori epici a morbidezze romantiche. Era un at tore di una sicurezza interpretativa singolare, di una sensibilità pronta a ricevere, sotto un apparente strato di freddezza. Ma quella flemma, quel- l’apparente distacco erano in realtà remanazione naturale di una intel ligenza viva, disincantata e insieme appassionata. LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 I manoscritti, le fotografie ed i disegni non ri chiesti, non si restituiscono per nessuna ragione BE EDIZIONI DI « ARCOSCENICO » Via de' Bauilari. 4 - ROMA Teatro per gli anni verdi: GIUSEPPE LUONGO FIORDIGIGLIO E I TRE COMPARI Commedia fiabesca in due tempi Commedia fiabesca in tre atti IL PRINCIPE AIR (Le due commedie sono state rappre sentate centinaia di volte in Italia e all’estero e costituiscono il maggior successo di questi due ultimi anni in fatto di teatro per i giovani per atte stazione unanime della critica, dei maggiori autori e del pubblico). Volume riccamente illustrato da M. Barbato LIRE 600 Inviare prenotazioni ed importo ad « Arcoscenico » Editore, via de’ Baul- lari, 4 - Roma. 1 s a l o n e i n t e r n a z i o n d e l l a t e c n i c l e a a IN T E R N A Z IO N A LE D E LLA M ECCANICA X V ! MOSTRA V II! MOSTRA INTERNAZ. DELLA M ECCANICA AGRARIA U l SALONE EUROPEO DELLE MATERIE PLASTICHE V i li ESPOSIZIONE IN TE R N A ZIO N ALE DELLA TECNICA CINEM ATO GRAFICA, FOTOGRAFICA ED O TTIC A r o i n t a 2 9 s e t t e m b r e - 1 4 o t t o b r e 1 9 5 6 P A L A Z Z O D E L L E E S P O S IZ IO N I A L V A L E N T IN O C a le n d a r io d is ile s n a n if e & f a z ie n i s • MOSTRA-CONCORSO NAZIONALE DELLE INVENZIONI E DEI PROGRESSI INDUSTRIALI DELLA MECCANICA « GIORNATE MECCANICO-AGRARIE E SPECIALI INTERNAZIONALI DIMOSTRATIVE DI LAVORAZIONI 29 - 30 settembre - 1« ottobre • Vili CONGRESSO INTERNAZIONALE DELLA TECNICA CINEMATOGRAFICA 1-2-3 OTTOBRE • Vili CONGRESSO INTERNAZIONALE DELLE MATERIE PLASTICHE 4-5-6 OTTOBRE • CONGRESSO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE MECCANICA ITALIANA 7-8-9 OTTOBRE • V ili SETTIMANA CINEMATOGRAFICA INTERNAZIO NALE 1 - 7 OTTOBRE • PROIEZIONI GIORNALIERE DI DOCUMENTARI TECNICI NELLA SALA CINEMATOGRAFICA DEL SALONE • RASSEGNA INTERNAZ. DELLA STAMPA TECNICA. SCIENTIFICA E PERIODICA • III CONVEGNO INVERNALE SESTRIERE - GENNAIO 1957 INTERNAZIONALE DELLA VIABILITÀ Paris Ville - Tel.: Elysées 46.27 - Balzac 39.80-41.88 Feldbergstrasse, 24 - Tel. 74.747 - 74.767 O e le g a z ie n i a l l ’ E s t e r o : PARIGI: CAMERA DI-COMMERCIO ITALIANA DI PARIGI - 134, Rue du Faubourg St. Honoré FRANCOFORTE SUL MENO: CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA GERMANIA BRUXELLES: CAMERA DI COMMERCIO BELGO-ITALIANA - Rue Royale, 43 - Tel. 183.855 AMSTERDAM: J. LÉONARD LANG - Stadhouderskade, 114 - Tel. 27.100 GINEVRA: PONDIL S. A. - Rue de la Tour de ITIe, 1 - Tel. 56.234 WEMBLEY (Middx): DR. F. PROSIO - FIAT ENGLAND LTD - Water Road - Tel. Perivaie 56.51 Comitato e Segreteria dei Salone: TORINO Via Massena, 20 - Telefono 40.229 - Telegrammi: Saitecnica - Torino e i r a i v o r r e f i n o i z u d i R

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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