32° ANNO - N. 242 - NOVEMBRI 1956 SPed. m nbb. post. 3° Gn.PPo LIRE 400 L I MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE D R A INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI M M A i n t u i t o ì f m a n d o Tra i successi più lusinghieri di questi ultimi anni nel campo della profumeria internazionale e il Tabacco d’IIarar Gi. Vi. lumie. Venduto nelle capitali più famose del mondo, apprezzato dai conoscitori, il Tabacco d’Harar, per la con fezione originale e la tonalità amara e persi stente del suo profumo, è usato e richiesto dalle persone eleganti e raffinate dei più importanti Paesi. Tabacco d’Harar è il profumo italiano venduto all’estero più ancora clic in Italia. PROFLMO E COLONIA BRILLANTINA CREMA PER BARBA TALCO SAPONE T A B A C C O i r i I A R A R ; ( t j ^ o j u m ì i t i v i H f i u a m c 4 # / T E R Z O P R O G R A M M A 30 N O V E M B R E 1956 //y ,- . / ¿ / / y L o t t a f i n o a l l ’ a l b a R A I R A D I O T E L E V I S I O N E I T A L I A N A 21 D IC E M B R E 1956 R A I SUL TERZO PROGRAMMA T E R Z O P R O G R A M M A R A I . y/,.Jry/ L a d o n n a d e l m a r e R A D I O T E L E V I S I O N E I T A L I A N A f y . . / / . ■ y / „ „ - T o r n i a m o a M a t u s a l e m m e A CURA DI GERARDO GUERRIERI ANNO 32 - NUOVA SERIE N. 242 L R A M I MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI D M A N O V E M B R E 1956 DIREZIONE-AMMINISTRAZIONE-PUBBLICITA’: ILTE (Indu.tri. Libr.ri. Tip.- graiic* Editrice) Torino, cono Bramante, 20 - Telefona 693-351 - Un fascicolo costa L. 300 - Abbonamenti: annuo L. 3200; semestre L. 1700; trimestre L. 850 - Conto corrente postale 2/56 - Estero: annuo L. 3708; semestre L. 2000; trimestre L. 1000 eri’ azeed So /ajc/co/i? Taccuino■ CI VUOLE ANCHE PATRIZIA * BUONANOTTE, PATRIZIA, commedia in Ire atti di ALDO DE BENEDETTI * Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubblicatone): FRANCESCO BERNARDELLI, VITTORIO BEONIO BROCCHIERI ELI- CIO POSSENTI ORIO VERGANI, ANTONIO BATTISTELLA, MARCEL LE DUC, GIGI LUNARI, BASIL MALONEY, ITALO ALIGHIERO CHIOSANO, VITO PANDOLFI, ENRICO BASSANO, VITTORIO VECCHI, GIGI CANE, SERGIO PISCITELLO, JOHN BEAUFORT VITTORIO VIVIANI * Copertina: POMPEO BORRA (Riproduzione di un dipinto ad olio espressamente eseguito ed ispirato al personaggio dì Patrizia) * Disegni di ANNA SALVATORE * Fotografie di Invernizzi, Alfred Poszkovlak, Foto Wall, Coppini, Archivio Fotografico ILTE. C i V U O L E A N C H E P A T R IZ IA Queste parole sono dedicate a tutti coloro che “ storcono il muso ” , come si dice, quando viene rappresentata una commedia come “ Buonanotte, Patrizia! Naturalmente se la commedia è italiana; che se poi l’hanno scritta Barillet c Lrédy, o qualche altro medio- crissimo straniero nel genere — del quale o dei quali Aldo De Benedetti è senz altro maestro allora tutto va bene, compreso i diritti d’autore che vanno a “ qualcuno , sia importatore o traduttore, attore o regista. Il Teatro di prosa in Italia può contare, forse, su 20.000 per sone: una minuscola barchetta, un vero sandolino, in rapporto alla intera popolazione. Ma il Teatro di prosa, scaduto come “ divertimento ” per altre forme di spettacolo nate col progresso, più comode ed attraenti che lo hanno detronizzato in questi ultimi trent’anni, viene da qualcuno erroneamente considerato “ tout court ” un fatto di cultura e, come tale, alla stregua dei musei e delle pinacoteche e biblioteche, pagato dallo Stato e dai Comuni. Invece il Teatro, se tale, non può che essere e restare “ Teatro ” , ed il “ fatto di cultura ” è una vera sciocchezza di orecchianti o di volponi che hanno un interesse perso nale per cambiare le carte e dare al teatro nostro un volto che non ha, o per lo meno un volto che non è italiano. I maggiori responsabili sono coloro che hanno scambiato o confuso (in buona o cattiva fede: un giorno si vedrà) la “ lezione teatrale ” con la ribalta, nella scìa di Silvio D’Amico, il peggior nemico di questi ultimi trent’anni della nostra scena di prosa. Nemico nel senso indicato, si capisce. Perchè D’Amico ha fatto male al Teatro in buona fede (speriamo), sbagliando l’impostazione di quello che egli ha creduto essere il problema teatrale italiano, mentre era soltanto il suo personale desiderio. Ammiratore degli stranieri, infatuato della regola, come alcuni italiani sono infatuati degli svizzeri come turismo, ha creduto nelle loro virtù e si è adoperato in ogni modo affinchè quelle regole diventassero nostre. Ha insomma sognato di poter importare e far adottare abitudini, schemi, indicazioni di teatro, se non proprio contrari, affatto amalgamabili con la nostra sensibilità, gusto e, diciamolo pure, improvvisazione. Perchè l’improvvisazione, essendo alla base del nostro Teatro da tre secoli, potrà essere corretta ed anche modificata, come d’altronde lo è già, ma non cancellata e distrutta. Tanto più che gli stranieri hanno riedi- licato proprio su quella nostra improvvisazione — che, se sincera, è genio, duttilità, estro — e con regole e straregole hanno costruito ciò che noi, ora, dovremmo adottare: cavallo di ritorno. D’Amico avrà agito in buona fede, e pace alla sua anima, ma non avendo capito il nostro Teatro alle origini, ha usato le regole fisse, appesantendo il complesso teatrale fino alla intolleranza ed alla noia per gli italiani. Con la faccenda delle regole altrui, adattate e messe in pratica da D’Amico, noi abbiamo fatto come i fabbricanti, pure nostrani, di flanella e di stoife “ scozzesi ” che riproducono i cento e mille colori dei clan di quel Paese; ma essendo estranei alla loro tradizione, riproducono pedissequamente, ben lontani dal fabbricare il “ tartan ” . Dii scozzesi, invece, hanno soltanto tartan. Dii accoliti di Silvio D’Amico si studiano di continuare l’equivoco in nome della cultura: quando arriva una bella e divertente commedia come “ Buonanotte, Patrizia! ” parlano di teatro minore 0 digestivo, di telefoni bianchi e primo dopoguerra ungherese. Come si fa a non capire che ei vuole anche Patrizia, che è assolutamente necessario avere molte Patrizie nel piatto forte del pranzo stagionale del Teatro, perchè Patrizia diverte, ed il Teatro è anche divertimento; così come il cinema è anche Sabrina? Dobbiamo con piacere constatare che i programmi delle varie Compagnie di questa Sta gione recano commedie italiane in certo numero ed ostentato rilievo, e senza pavoneg giarci crediamo di aver concorso anche noi a sveltire alcune meningi. Ma resta sempre il “ fatto Durale ’’ dei Piccoli Teatri, ancorati a Silvio D’Amico, tanto per capirci, che si palleggiano i cadaveri dei vari classici e si contendono i vari Anouilh ormai vituperati nel loro stesso Paese. Volete vedere, ed al momento potremmo anche riderci su per essere stati facili profeti, che tradurranno e rappresenteranno subito “ Pauvre Bitos ” appunto di Anouilh, recitato a Parigi al principio di ottobre? Si tratta di una commedia scritta unica mente per dimostrare che “ la vita è sporca e che nessuno è puro” ! Tale pessimismo si trascina ormai dall’ultimo colpo sparato nella sciagurata guerra di ieri e forse rispecchia 1 problemi sociali della Francia. Ma perchè dovremmo o dobbiamo dibatterli anche noi quei problemi che non ci riguardano, sulle nostre ribalte? Non basta che gli “ intellettualmente interessati” leggano il testo che sarà fulmineamente pubblicato dall’editore abituale di Anouilh ì Che c’entra il pubblico nostro, lo spettatore che tutti si propongono, in congressi e discorsi, di “ riportare a teatro” ? Noi non vogliamo tutte Patrizie e ci auguriamo che il nostro discorso non sia frainteso, così come gli amanti del cinema non vogliono tutte Sabrine, ma al momento, con i guai teatrali che ci ritroviamo, sia grazie ad Aldo De Benedetti per aver aperto la “ Stagione ” presen tandoci la bella Patrizia. Ritrovarla poi col volto di Laura Adani, è ancora una gioia. SETT ANT AMILA LIRE DI INDEGNITÀ Ancora una volta — per fortuna rare volte — due giovani attori sciagurati cd irresponsabili hanno avvilito l’Arte Drammatica cd hanno portato discredito e recato disdoro tra coloro che la compongono. La compagine teatrale non sarà più una “ famiglia ” , ma la dignità, l’onore e la disciplina non fanno difetto; purtroppo c’è qualcuno clic non merita l’appellativo di attore e dovrebbe essere messo al bando per indegnità. Ciò che è avvenuto al Teatro Carignano di Torino, la sera di domenica 28 otto bre, è gravissimo; richiamiamo sull’episodio disgustoso l’attenzione dei Sindacati, se hanno voce, dell’Associazione Capocomici, pregando Eemigio Paone, presidente, di ascoltarci, primo fra tutti, per un provvedimento di ostracismo che riteniamo necessario. Così in sede pratica, che in sede morale ancora più autorevole, denunciamo pubblicamente il fatto alla Direzione Generale del Teatro, affinchè i nomi degli attori Annamaria Alegiani e Giamberto Marcolin (quest’ultimo venuto non l’avevamo mai sentito nominare) siano segnati in quella lista nera istituita o da istituire per ripulire il teatro di prosa italiano da persone che non esitiamo a dichiarare indesiderabili. Ed ecco i fatti: la Compagnia di Diana Torrieri, con Filippo Scelzo ed altri venti attori, ha agito al Teatro Carignano per una settimana, la cui scadenza era il 28 ottobre. Buon successo; buon concorso di pubblico. Ma praticamente quella sera era anche l’ultima della Compagnia, formata avanti la Stagione col proposito di poterla continuare. La buona fortuna non è stata dalla loro, pur meritevoli. Ma oggi la vita delle Compagnie di giro è difficilissima, come tutti sanno. Pazienza. li capocomico amministratore, Pastorino, ha tenuto la Compagnia nei termini di rispetto morale e materiale ed ha fatto tutto il possibile; alle 21 di domenica 28 ottobre doveva ài suoi scritturati un importo ciascuno di 140.000 lire. Non più. Prima della rappresentazione, Pastorino ha proposto di dare ad ognuno la metà, cioè 70.000 lire, promettendo il saldo entro dieci giorni, con la garanzia della sovvenzione ministeriale che intanto sarebbe andato a Roma a ritirare. Soluzione quanto mai normale e pacifica, ma non per la Alegiani e il Marcolin che hanno “ rifiutato di comparire in scena ” se non fossero stati interamente soddisfatti del loro avere. Non è possibile pensare che una tale grave decisione poggi soltanto su settantamila lire, visto che col rifiuto di recitare non avrebbero incassate le altre settanta. Il loro operato e la loro decisione, alle ore 21, è frutto di insensibilità, di dileggio c di odio: verso i compagni, verso il pubblico, verso l’Arte Drammatica. In dispregio alle regole elementari del vivere civile, i due sciagurati si sono allontanati, insensibili alle preghiere di Pastorino, di Daniele Chiarella, dei compagni, dei presenti. Al pubblico, ormai alle 21,80 passate, è stato rimborsato il biglietto; si trattava di un numerosissimo pubblico, che avrebbe permesso certamente, come ai due attori fu detto e ripetuto, di portare l’incasso a buona cifra in modo che alle settantamila lire di ognuno già pronte, si sarebbe potuto aggiungere altra somma, diminuendo così a meno della metà il saldo. Niente. Lo persone costrette ad abbandonare il teatro (e nei Congressi si studia e ristudia come riportarlo alla scena di prosa, questo pubblico) ripetevano sconsolati “ la scena di prosa è giunta all’ultimo livello ” poiché giustamente la verità non è stata nascosta col solito ed accomodante sistema dell’" attore indisposto ” e sono stati fatti chiaramente i nomi dell’Alegiani e del Marcolin, affinchè il pubblico potesse ricordarli per l’avvenire. E speriamo davvero che non li dimentichi. Le parole di fuoco degli spettatori delusi erano rivolte al Teatro perchè in ogni caso si usa generaliz zare, ed i responsabili, pertanto, non sono da salvare. L’episodio disgustoso pesa sul nostro euore di vecchi teatranti quanto sui cuore dei compagni, primo fra tutti quello provatissimo di Diana Torrieri. Siamo vicini e non per facile retorica. Diciotto attori la sera di domenica 28 ottobre hanno “ smontato il camerino ” e rifatto i bauli con la umiliazione di non aver recitato, di aver rimandato il pubblico; una vergogna che solo attori onesti e coscienti possono sentire e capire. Diciotto attori hanno lasciato più tardi il teatro, nascondendosi per non essere riconosciuti. Un provvedimento a carico della Alegiani e del Marcolin deve essere preso, vicino o lontano che sia; altrimenti dovrebbero vergognarsi tutti gli attori di essere tali. Che questi due sciagurati non abbiano più a comparire sulla scena, tra persone per bene; solo così le settantamila lire di indegnità saranno pareggiate. Quanto sopra ha uno strascico di cronaca cittadina, che va chiarito e precisato, poiché in un primo tempo è stata confusa l’opinione pubblica, attraverso « La Stampa » e la « Gazzetta del Popolo », per le temerarie affermazioni dei due interessati. Che eviden temente allarmati dalla reazione pubblica al loro operato, hanno affermato ai cronisti dei due quotidiani che la recita è stata sospesa, non per loro colpa, ma per decisione deU’ammimstratore-capocomìco, Pompeo Pastorino. Sarebbe bastato, da parte dei cro nisti, rivolgersi a Daniele Chiarella o riflettere che l’impresario non avrebbe mai chiuso il teatro, col pubblico già in sala e 350 mila lire di incasso già fatto, se gli attori fossero stati « tu tti » pronti a recitare. Daniele Chiarella, da noi interrogato ha smentito nel modo più assoluto, sotto la sua responsabilità, la versione data ai giornali torinesi dai due colpevoli, e ci ha anche riferito che esiste il verbale fatto dal Commissario di polizia chiamato al momento della sospensione dello spettacolo. A ristabilire di fronte alla citta dinanza la verità dei fatti, Carlo Trabucco, direttore del « Popolo Nuovo » ha pub blicato il mattino di mercoledì 31 ottobre 1956, nella terza pagina del suo giornale, il testo che segue, col titolo « I motivi di sospensione di ima recita al Carignano »: La stagione della prosa iniziata al « Carignano » l'altra settimana si è conclusa domenica con un episodio che si può definire increscioso. La Compagnia Torrieri aveva rappresentato venerdì sera la novità di Priestley I cari inganni e avrebbe dovuto terminare la sua attività domenica sera. La « tournée » non era stata for tunata (si trattava di compagnia « estiva » che aveva prorogato la sua attività) e pertanto l'impresario Pompeo Pastorino aveva deciso di troncare il giro. La cosa era nota agli attori ai quali, per essere precisi, il Pastorino non aveva potuto corri spondere, per intuitive ragioni dovute al « mercato teatrale », la paga di cui erano in credito, se ben siamo informati, per l'importo pari a due settimane. I l Pastorino fra giovedì e domenica si era recato a Roma ed era riuscito a trovare una certa somma che gli poteva servire per liquidare in parte, circa al cinquanta per cento, il suo debito nei confronti degli attori; chiese poi ad essi di attendere il suo ritorno a Roma, dove contava di incassare presso la Direzione Generale dello spettacolo le sue competenze con le quali inten deva saldare il residuo debito presso gli attori. A/ termine della recita pomeridiana di domenica, due elementi della compagnia e precisamente la signorina Anna Maria Alegiani e Giamberto Marcolin, dichiaravano al signor Pastorino che se alle 20,45 non avessero ricevuto il saldo di quanto loro spettava, non avrebbero recitato nella rappresentazione serale. Interveniva, oltre al Pastorino, il doti. Chiarella il quale tentava di comporre la vertenza. Ma i due attori non recedevano dal loro atteggiamento intransigente (è da osservare che dalla Torrieri a Scelzo a Giovampietro, fino all'ultimo macchinista, nessuno faceva obiezioni ed erano tutti truccati e pronti per entrare in scena) ed esigevano una aggiunta prò capite di circa 25.000 lire. I l Pastorino non potè accogliere la proposta, perchè con il denaro recato da Roma poteva tacitare parzialmente tutta la compagnia solo rispettando la percentuale del 50 per cento. I due attori non accettarono (viene da domandarsi in che cosa abbiano migliorato la loro posi zione assumendo un atteggiamento del genere), cosicché la recita non ebbe luogo. Danneggiato fu il Pastorino, danneggiata l'impresa Chiarella che ebbe a suo danno le spese generali e il mancato incasso, danneggiato il pubblico il quale va già così a rilento al teatro di prosa, che non aveva bisogno di questa delusione per sentirsi sempre più allontanato dalle nostre sale. Ora la vertenza è in mano agli avvocati; bastava, a nostro parere, non tirare troppo la corda e ogni cosa sarebbe andata, col tempo, a buon fine. Non è la prima volta, e non sarà purtroppo l'ultima, che un capocomico si trova in difficoltà; le cose ogni volta si sono risolte con buon senso per cifre di ben altra consistenza: ma è la prima volta — a detta di coloro che hanno un attività di palcoscenico ultra trentennale — che attori compiono un gesto di tale genere. ■ Naturalmente, appena partita da Torino, e raggiunta la vicina Milano, l’attrice Anna Maria Ale giani ha ormeggiato alla TV dove è stata «immediatamente» scritturata. È noto come alla TV attrici delle stesse qualità della signorina Alegiani, non riescono a varcare nemmeno la soglia del l’ascensore, ma forse in premio (o in polemica) con quanto è accaduto a Torino per sua colpa, la Alegiani, ha trovato pronto ed immediato lavoro. Grazie, Terron. Aldo De Benedetti non vuol rinnegare il gusto un po’ leg gero ma garbato della sua ge nerazione che fu quella del teatro scritto con una punta di spillo sui petali di una gar denia. Amori eleganti, alcove da cui sono partiti appena i mobili liberty per essere so stituiti da qualche buona trou vaille scovata in un’asta di piazza di Spagna, donne che hanno nella valigia pantofo- line orlate di piume di struzzo, garçonnières con i pavimenti resi muti da ima moquette di sbiadito color salmone, viveurs o «vitaioli», come il fasci smo voleva che li chiamassimo, che davano del tu a Ciro Giu liani e a Domenico Caraceni, artigiani delle supreme ele ganze maschili. Che delizioso libro di memorie potrebbe scrivere, di quel gusto e di quegli anni, se dopo trentanni e più non fosse ancora tanto indaffarato con il cinema, Al do De Benedetti, l’antico « in divisibile » di Mario Came rini ! Ma gli italiani, si sa, non scrivono memorie se non han no da giustificare qualche co lossale batosta politica o da spiegare perché, una sera, han no sparato all’amante durante un defilé di moda: e quello che potrebbe essere un garba to diario di De Benedetti pro babilmente non lo leggeremo mai. Egli preferisce lavorare ancora attorno ai suoi amabili piccoli personaggi, nati in una musica che sta fra la valse chaloupée e il primissimo charleston quando passavano ancora i tram in via Condotti: personaggi che, ormai, sanno già un po’ di bacheca. Del resto, si tratta di una fedeltà assai gentile: e ci permette di stabilire al «Teatro di via Man zoni » una pausa, fra i morfino mani di Michael Gazo che ab biamo ascoltati all’« Odeon » e quelli di O’Neill che abbiamo ascoltati al « Piccolo Tentro ». La commedia di Aldo De Bene detti è una breve storia d’amo re, lieve satira assai divertente del mondo dei convegni poli tici internazionali, non tanto nel genere di un Peyrefitte, quanto in quello della ironia francese cl’avant guerre. La commedia raggiunge il suo scopo di fresco passatempo, e si presta a quella capacità, ti pica di Laura Aduni, di deli neare un personaggio monda no a volte pungente e a volte delicatamente sommesso e uma no. Al suo fianco un simpati cissimo Carlo Ninchi, nel tipo del generalone in imbarazzo, un ottimo Nino Pavese, che in poche ore, senza apparente im paccio, ha sostituito Giulio Oppi ammalato, nella parte del ministro, una piacentissima Dina Sassoli negli abiti di una ex-taccheggiatrice di Grandi Magazzini diventata moglie di un miliardario fabbricante di cioccolato, e un divertente Ric- cardini, nella macchietta di un commissario di polizia. A- vremmo voluto un po’ più di chiaroscuri e di malizie di mestiere nel Francioli, che era l’affascinante « topo d’al bergo » : ma bisogna anche dire che, di tutte, la sua era la parte meno caratterizzata. Numerose chiamate dopo ogni atto, e alcuni applausi a scena aperta. Dopo il secondo e il terzo atto si è presentato alla ribalta anche l’autore. Orio Vergimi p a t h j i a ! C O M M E D IA IN TRE ATTI E QUATTRO QUADRI DI a f f i d o S e b e n e d e t t i RAPPRESENTATA DALLA COMPAGNIA LAURA AD ANI - CARLO NINCHI, IL 13 OTTOBRE 1956 AL «TEATRO DI VIA MANZONI» DI MILANO IL GENERALE BURTON IL MINISTRO LANSEN A LBERTO IL SEGRETARIO L'ISPETTORE UN GIORNALISTA UN FOTOGRAFO Diplomatici, giornalisti, fotografi PATRIZIA LANSEN LA SIGNORA Y AN LA ER LA STENOGRAFA DE BENEDETTI Nella fotografia: Qui sotto, Francioli, Carlo Ninchi e Laura Adani. Nell’interno, due scene con Nin chi, la Adani e Francioli; nel risvolto, foto in alto: Alessandro Ninchi, Nino Pavese e Anna Colombo In mezzo, scena d’insieme. Sotto; Dina Sassoli La commedia è piaciuta. Il pubblico ha riso spesso ed ha ripetutamente applaudito ad ogni atto e più volte a scena aperta. Scritti in punta di penna, pervasi da un’ironia signorile e da un gusto satirico garbato, continuamente sor retti da successive gradevoli e gioconde inven zioni, questi tre atti rinnovano con fresca abi lità i temi di una caricatura intelligente e spi ritosa che anni fa erano stati di De Flers e De Caillevet. Nessuna delle frecciatine scoccate nella commedia è andata perduta. Eligio Possenti A T T O P R IM O (Il salotto di una camera d’albergo riccamente arre data. A sinistra, su una -parete obliqua, una grande arcata con cortinaggi, oltre i quali s’intravede fi letto. A destra una porta finestra, mascherata da tendaggi, che comunica con una terrazza. Nel fondo una porta. Poltrone, divani e qualche piccola tavola bassa. A destra un tavolino da toilette con specchio. A sinistra un piccolo mobile con cassetti poggiato contro il muro. Vicino alla porta qualche valigia posata su un banchetto portabagagli. Al levarsi del sipario la scena è immersa nella penombra. Una piccola lampada con abat-jour vicino al letto illu mina debolmente l’alcova. La porta in fondo si apre ed entra rapida Patrizia Lansen. E’ una bella donna molto elegante nel ricco abito da sera. Sulle spalle nude ha gettato un leggerissimo scialle ricamato. Appena entrata accende la luce e si dirìge verso il tavolino da toilette. Rapidamente si ravvia i mor bidi capelli biondi e ritocca il rosso delle labbra. Torna verso la porta; la riapre lasciandola accostata ed attende nervosa, impaziente. Dopo un istante entra rapido e guardingo il generale Burton. E’ un bell’uomo sui quarant'anni, coi capelli leggermente brizzolati alle tempie; è in abito da sera col frak costellato di decorazioni; una fascia di seta rossa e azzurra gli attraversa obliquamente lo sparato. Appena entrato chiude a chiave la porta, si volge con un sorriso a Patrizia e, senza pronunziare parola, la serra tra le braccia e la bacia lungamente). Patrizia (sciogliendosi dal bacio) — E’ una pazzia John, una terribile imprudenza! Se mio... (Burton non la lascia finire e attirandola a sé la bacia ancora lungamente. Patrìzia si divincola fra le sue braccia vigorose, riuscendo a staccarsi) Basta, John, basta, mi fai mancare il respiro! Sei sicuro che non ti abbia visto qualcuno? Burton — Nessuno... sta’ tranquilla! (Facendo l’atto di riattirarla a sé) Cara, cara, finalmente! Patrizia (nervosamente puntandogli una mano con tro il petto per impedirgli di baciarla ancora) —■ No... lasciami, ti prego, lasciami! Ma perché, perché vederci così, in questo modo? E’ troppo pericoloso! Sarebbe meglio aspettare. Burton —• Ancora?! Ma Patrizia, sono già tre giorni che aspetto! Da quando sei arrivata non abbiamo potuto restare soli un momento! Patrizia —• Ma se mio marito mi cerca... Burton (con tranquilla sicurezza) — Non aver paura! Non può cercarti! Sta parlando, ha comin ciato proprio adesso a leggere il suo discorso. Patrizia — Sì, lo so, ma dopo il discorso. Burton —■ Dopo deve ascoltare le risposte dei delegati di tutte le nazioni. Sono trentadue! Per BUONANOTTE PATRIZIA! un’ora almeno non potrà muoversi. (Prendendola tra le braccia e parlando con appassionato trasporto) Bisogna approfittare dell’occasione. Patrizia, amor mio, non perdiamo questo tempo prezioso che forse non riusciremo a trovare più. (Cerca di trarla verso l’alcova ma Patrizia resiste). Patrizia — No, John, ti prego... no. Burton (sorpreso) —• Perché?... Patrizia (staccandosi da lui con risoluta fermezza) —■ Perché... perché... non mi piace... subito... così... Mi urta, mi ripugna! Burton (sempre più sorpreso e sconcertato) —- Ti ripugna?! Patrizia (nervosamente) — Ma sì! Dovresti capirlo! Dopo tanto tempo. Scusami, John, è più forte di me! Burton — Ma noi ci amiamo. Patrizia (con imbarazzo) —• Sì... va bene... ci amiamo. Ma non è questione di amore! Oh Dio! dovresti rendertene conto anche tu! E’ quasi un anno che non ci vediamo. E’ come se fossimo due estranei. Burton —• Estranei?! Ma che cosa dici? Io non ho pensato che a te! Patrizia (con crescente nervosismo) — Che c en tra?! Anch’io ho pensato a te. Ma questo non basta. Possibile che tu non riesca a capirmi?! C’è un senso di imbarazzo, di disagio. Per te può essere naturale, ma per una donna. Anche tra moglie e marito, quando si ritrovano dopo un periodo di separazione, è lo stesso! T i prego, John, non insistere. Burton (sconcertato e deluso) —• Ma come?! Al lora non vuoi? Patrizia —• No... così no... te l’ho detto... mi ripugna. Burton — Ma, Patrizia, se non approfittiamo di questo momento. Patrizia (interrompendo) — Sì... lo so... forse non capiterà più l’occasione. Pazienza! Ne faremo a meno! Burton —• Patrizia. Patrizia (interrompendolo ancora, decisa) —■ Senti, John, è meglio che ci parliamo chiaro. Non è pos sibile continuare ad amarci in questo modo. E’ ridicolo, è grottesco! E ti dirò che è anche un po’ disgustoso. Burton —• Disgustoso?! Patrizia — Ma certo! Ecco, lo vedi in che consiste il nostro amore? Aspettare un anno per arrivare a che cosa? A una piccola, volgare avventura clan destina in una camera d’albergo! Burton — Ma non è colpa mia se non possiamo vederci più spesso! PATRizrA —• Non dico che sia colpa tua! Non è colpa di nessuno! Dipende dalla nostra posizione. ALDO DE BENEDETTI Tu sei un generale del Pentagono, io sono la moglie di un ministro degli esteri. Viviamo in paesi diversi, ci incontriamo una volta all’anno, solo quando si riuniscono le conferenze internazio nali, ci vediamo un momento, di nascosto, con mille difficoltà, con mille paure... e qualche volta non riu sciamo nemmeno a vederci perché la conferenza si scioglie, tu ritorni a Washington, io ritorno in Eu ropa... e dobbiamo aspettare un altro anno, un’altra riunione. Burton — Ma, mia cara Patrizia, purtroppo sarà sempre così. Patrizia — No, no, è assurdo! Per te potrà andare, ma per me è impossibile! Non te la prendere a male, John, se ti parlo con franchezza. Sono ormai cinque anni che dura questa nostra relazione... eppure... che vuoi che ti dica... ho l’impressione di conoscerti appena. Tutte le volte che ti rivedo mi sembri diverso. Burton (preoccupato) — Invecchiato? Patrizia — No, non invecchiato... forse ringio vanito, ma diverso, diverso da come ti ricordavo. E’ naturale! Il tempo trasforma i ricordi. E di tempo ne passa abbastanza per dimenticare! Burton (amorevolmente affettuoso) — Patrizia, mia cara Patrizia, forse adesso tu sei troppo agitata, troppo nervosa. Patrizia — No... sono calmissima! Burton (conciliante e suadente) — C’è del vero in quello che tu dici. Io ne soffro quanto te. E’ una dolorosa fatalità! Patrizia —• Ecco... appunto, una fatalità! Ma noi non possiamo far nulla per cambiarla! Burton — Ma allora... non vuoi più vedermi? Patrizia — Ma sì! Certo che ci vedremo! Per forza! Alle riunioni della conferenza. Ma ci ve dremo come due buoni amici, senza avere la preoc cupazione di essere amanti, di doversi incontrare di nascosto. Sarà più comodo per tutti e due! Burton — E me lo dici così... d’improvviso? Patrizia — Eh, caro, se non approfitto di questo momento chi sa quando si ripresenterà l’occasione! Mi dispiace, John, mi dispiace molto, ma non c’è altro da fare! Credo che ne sarai convinto anche tu. Burton (cambiando tono) — No, non ne sono convinto! Di’ la verità... c’è qualcun altro nella tua vita? Patrizia (con una breve risata) — Oh, per carità, John, non facciamo il melodramma. Non ne vale davvero la pena. E poi non ne abbiamo nemmeno il tempo. E’ meglio tornar giù, i discorsi saranno quasi finiti. Burton •—• No, aspetta, rispondi a quello che ti ho chiesto. C’è qualcun altro nella tua vita? Patrizia —■ Sì... c’è mio marito. Burton — Che c’entra! Tuo marito c’è stato sempre! Patrizia ■—• Non voglio più tradirlo. Burton -— Ma se sono ormai cinque anni. Patrizia — Appunto per questo. Adesso non mi va più! Mi secca dover avere dei rimorsi, dovermi creare delle preoccupazioni. E perché poi? Perché oltre l’Oceano, a cinquemila chilometri di distanza, c’è uno che ha il diritto di considerarmi la sua amante! No... basta! Preferisco essergli fedele! Quando una donna manca ai suoi doveri deve avere qualche giustificazione verso se stessa... un bisogno d’affetto, un grande amore. Burton — Allora io per te non sono mai stato un grande amore? Patrizia (dolcemente, con una punta d'amarezza) —■ No, John, mi sarebbe piaciuto... l’ho sperato... l’ho anche creduto. Avevo tanto desiderio di un grande amore! Ma non potevi essere tu! Burton —■ Ma tu lo sei stata per me! lo sarai sempre. Patrizia —• No, John, non inganniamoci con le parole! Ormai questi nostri incontri sono diventati una consuetudine, un numero del programma delle conferenze, una specie di formalità diplomatica- come i pranzi ufficiali, come la corona sul monu mento dei caduti. Forse... chi sa... se fossimo stati della gente comune, sconosciuta, avremmo potuto amarci veramente. Ma siamo troppo in vista! Per noi l’amore è troppo difficile, troppo complicato! E poi c’è anche troppa responsabilità! Pensa che cosa accadrebbe se si venisse a sapere che il gene rale Burton del Pentagono e la moglie del ministro Lansen... (S’interrompe e si volge vivamente verso la porta. Allarmata) Hai sentito! Burton — Che cosa? Patrizia —■ Qualcuno ha provato ad aprire la porta. Hai chiuso a chiave? Burton —- Sì... a chiave. (Guardano tutti e due con apprensione verso la porta. Si ode bussare ener gicamente). Patrizia (con voce soffocata) — Mio Dio... Burton (preoccupatissimo) — Chi può essere?! Patrizia (a voce bassa, affannata) — E chi vuoi che sia?! Mio marito! Burton — Dannazione! (Si guarda intorno smar rito, parlando a bassa voce con estrema agitazione) Non rispondere... non rispondere... Patrizia (parlando anch'ella a voce bassa, agitatis sima) — Come faccio a non rispondere? Se bussa sa che sono qui. (I colpi si rinnovano contro la porta più secchi e decisi). Burton (con voce tremante) ■— Ma se mi trova con te è un disastro! Che facciamo? Patrizia (smarrita) — Non lo so... non lo so... la porta finestra) — Là... Ma non possiamo restare così... (Sobbalzando ad altri col-pi più forti) E’ meglio che risponda... Burton (cercando di trattenerla) —- No... no. (Patrizia gli fa cenno col gesto di tacere, si avvicina alla porta e, cercando di dare alla voce un tono calmo e indifferente chiede). Patrizia — Chi è? Voce di Lansen (secca, autoritaria) — Apri, Pa trizia! Patrizia (presso la porta) — Ah... sei tu Edoardo? che vuoi? Voce di Lansen -— Apri ti dico! Patrizia — Sì... subito... un momento. (Si volge a Burton atterrito e gli sussurra a voce bassissima) Nasconditi... nasconditi. (Burton fa l’atto di slan ciarsi nell’alcova, ma Patrizia lo trattiene) No... lì no... ti trova subito. Burton — Dove, allora? Patrizia (indicando fuori... sul terrazzino. Burton —■ Sul terrazzino? Ma piove. Patrizia (spingendolo verso la porta finestra) — Non importa... non importa! Va’... spicciati. (Ad alta voce udendo bussare ancora) Eccomi... vengo. (A Burton con voce piena di sgomento) Deve aver saputo... Burton (aprendo la porta finestra) — Dannazione! Proprio adesso che stavamo per lasciarci! Nega... mi raccomando... nega tutto! Patrizia (con impazienza spingendolo fuori) — Ma sì! certo. Presto... presto. (Burton esce dalla porta finestra che Patrizia richiude tirando i cor tinaggi. Rapidamente cerca dì ricomporsi e va ad aprire sforzandosi di assumere un contegno calmo e disinvolto. Entra impetuosamente Lansen. E’ un uomo di mezza età, anch’egli in abito da sera con decorazioni sul frali e una sciarpa di seta blu che gli attraversa lo sparato. Pia un’espressione cupa e mi nacciosa. Appena entrato gira intorno uno sguardo indagatore e si volge a Patrizia che ha ripreso il dominio di se stessa e si mostra candidamente sorpresa). Lansen (duramente fissandola) — Perché sei salita in camera? Perché hai lasciato il salone? Patrizia — Non ne potevo più! M ’ero annoiata a sentire quegli interminabili discorsi! Hanno finito? Lansen —■ No, non ancora! Sta parlando il rap presentante delle Filippine. Ma tu che facevi? C’era qualcuno qui con te? Patrizia (col più innocente stupore) — Con me? Nessuno! Chi volevi che ci fosse? Ma che idea! Lansen (fissandola sospettoso) — E allora perché non hai aperto subito? Patrizia — Non potevo, mi stavo cambiando il vestito. BUONANOTTE PATRIZIA! Lansen — Non è vero! Hai ancora quello di prima! Patrizia — Eh sfido! Non ho avuto il tempo di togliermelo! Ti sei messo a bussare come un car rettiere! Ma si può sapere che c’è... che è successo? Lansen — Niente... niente. (Fa qualche passo per la stanza continuando a gettare intorno a sé delle occhiate sospettose. Patrizia segue ansiosa ogni suo movimento). Patrizia (sorridendo disinvolta) ■— Ma che guardi? Che cerchi? Lansen (volgendosi a lei di colpo) — Piai paura? Patrizia (scoppiando a ridere) — Paura?! Io? E di che? Oh, senti, Edoardo, mi fai proprio ridere! Ma davvero pensi che io... Lansen (interrompendola secco) ■— Non penso niente! Dimmi piuttosto... dove la tua trousse? Patrizia (disorientata dall’inaspettata domanda) — La mia trousse? Non so, non ricordo dove l’ho posata. Ah... forse l’ho lasciata di là. (E fa l’atto di dirigersi verso l’alcova ma Lansen la ferma). Lansen -—• No, è inutile che la cerchi! Non puoi trovarla! Eccola qui! (E le porge una piccola trousse d’oro che trae dalla tasca). Patrizia (con improvviso sgomento) — Ah... Lansen — E’ la tua, è vero?... Patrizia (cercando di padroneggiarsi) — Ma sì... certo che è la mia! Dov’era? Lansen — Giù, nel salone, sulla poltrona dov’eri seduta. Patrizia — Ah... la mia solita distrazione! Fortuna che l’hai trovata tu! Lansen (fissandola) — Non so se sia stata una fortuna! Sarebbe stato meglio se tu non l’avessi smarrita! Patrizia (con voce un po’ incerta) — Beh... certo... si capisce... Lansen (rigirando fra le mani la trousse) —■ E’ un oggetto di valore, un oggetto particolarmente pre zioso! Lo sai che cosa c’è in questa trousse? Patrizia (nervosamente) — Ma sì! Il rossetto, la cipria, le solite cose... Lansen — No. C’è qualcosa di più importante. Un biglietto... ecco. (Fa scattare il coperchio della trousse e ne trae un biglietto. Patrizia ha un attimo dì smarrimento mentre Lansen commenta con duro sarcasmo) E’ scritto in fretta, a matita. Poche pa role, ma abbastanza significative. Te lo leggo per il caso che le abbia dimenticate. (Leggendo) « Sali in camera tua che ti raggiungo subito». Non c’è firma! Evidentemente era superflua! (Mentre Lan sen parla, Patrizia si era già preparata a fronteggiare la situazione. Lo guarda sorridente con una espres sione divertita e canzonatoria). Patrizia ■—- E allora? ALDO DE BENEDETTI Lansen (duramente) ■—■ M i pare che sia abba stanza chiaro! Patrizia (con allegra ironia) —• Ah sì, chiarissimo! Adesso capisco! Hai trovato il biglietto e natural mente hai pensato subito... (Scoppiando a ridere) Ah... questa è bella. Eh già... non m’hai trovata giù, sei venuto a cercarmi in camera! Allora è per questo che... (Non finisce la frase ripresa dall’ilarità e alterna le parole con sempre più giocondi scoppi di risa) Il bello è che io mi domandavo: ma che ha? che cerca? Oh, povero Edoardo! Avevi una faccia! Beh, si capisce, se credevi che io... Ma si può immaginare una situazione più buffa?! A rac contarla non ci si crederebbe. (Continua a ridere con esagerata allegria mentre Lansen la guarda sconcertato). Lansen — Quando avrai finito di ridere spero che mi spiegherai! Patrizia (ridendo ancora) —■ Ma sì, caro, te lo spiego subito! E’ uno scherzo. Lansen — Uno scherzo?! Patrizia — Sì, uno scherzo che volevamo fare al segretario della Legazione del Guatemala... sai... quel giovanotto bruno che sembra un mulatto. L’ho combinato con quel mattacchione del generale Burton. Lansen —■ Non ho mai saputo che il generale Burton fosse un mattacchione! Patrizia —• Lo è... lo è! Sembra così serio, così compassato, ma invece ha certe trovate! Ci siamo accorti che quel giovanotto sta flirtando con quella giornalista svedese alta e bionda. Allora, stasera, durante il pranzo, io dovevo mettere quel biglietto nel tovagliolo di lui. Burton metteva un biglietto uguale nel tovagliolo di lei. Immagina il seguito. Appena finito il pranzo sparivano tutti e due, cor revano nelle loro stanze e restavano tutta la notte ad aspettare! Lansen (non troppo convinto) — Ah... è così? Patrizia — Sì... così. Divertente... no? Lansen (che intanto osserva qualcosa sul tavolino) —■ Sì, sì, divertentissimo! Stavi fumando? Patrizia (presa alla sprovvista) — Io no... Perché? (Lansen prende dal portacenere posato sul tavolino un hocchino col resto della sigaretta ancora fumante, lo osserva curiosamente e lo mostra a Patrizia). Lansen — Allora vorrei che mi spiegassi anche questo... Patrizia (guardando con viva sorpresa il hocchino che Lansen ha fra le dita) — Che cose? Lansen — Un bocchino con la sigaretta quasi completamente consumata, ma ancora accesa... Patrizia (sbalordita) — Ma... non capisco... Lansen (cambiando tono e afferrandola per il brac cio violento e aggressivo) ■— Questo non me lo puoi spiegare, è vero? La tua fertile fantasia non sa trovare altre menzogne?! Avanti, parla, confessa. Eri qui con qualcuno! Patrizia (smarrita) — No... no... ti giuro... credimi. Lansen — Ma come puoi negare? Ecco la prova, guarda... Qui c’era un uomo con te... e forse c’è ancora! (Si slancia nell’alcova. Si vede la luce che accende. Patrizia è rimasta nel mezzo della stanza sconvolta, gettando delle occhiate smarrite verso la porta finestra. Dopo qualche istante Lansen rientra cupo, stravolto. Con voce minacciosa) Adesso non riderai più, spero. Non continuerai a negare! (E rivolto verso l’alcova grida aspramente) Venga fuori lei. Ormai è inutile che rimanga nascosto! (Sulla soglia dell’alcova appare Alberto. E’ un giovane di 25 anni, distinto, elegante. Indossa un frali di taglio impeccabile. Si ferma incerto, indeciso e accenna un piccolo inchino verso Patrizia che lo guarda esterrefatta). Patrizia (disorientata) — E chi è quello lì? Lansen (fuori di sé) — Ah, non lo conosci? E’ uno scherzo anche questo? Patrizia — Ma ti assicuro che io... Alberto (interrompendola pronto) — T i prego, Patrizia... non dir nulla. Lascia che parli io... Lansen (scattando furioso) -—• Ma che vuol par lare... che vuol parlare? Non c’è niente da dire! Regoleremo dopo questa faccenda! Adesso favo risca di uscire. Alberto (gentilmente) —- Mi permetta almeno di... Lansen (con irosa violenza) —• Se ne vada... se ne vada! Non vorrà spero costringermi a scaraventarla fuori a calci! Alberto (garbatamente affrettandosi verso la porta) —• Per carità. Non s’incomodi! Lansen —■ Via... Via. (Alberto apre la porta, ac cenna un altro piccolo inchino verso Patrizia che l’ha seguito con lo sgtiardo sbalordito ed esce. Lan sen gli sbatte dietro la porta poi si volge verso Patrizia cupo, minaccioso) In quanto a te... in quanto a te, parleremo dopo! Ora devo tornare giù, devo adempiere i miei doveri. I delegati mi aspettano. Patrizia (riscuotendosi) — Ma senti, Edoardo... Lansen (interrompendola aspro) — Niente! Adesso non voglio sentire niente! Non ho tempo! Inten dimi bene... nessuno deve sapere, nessuno deve capire! Davanti agli altri fingeremo, sorrideremo, ci parleremo gentilmente. Poi... poi quando saremo soli. Adesso vado... Ti aspetto giù. (Si avvia verso la porta. Prima di uscire trae di tasca la trousse) Ecco la tua trousse! (L’apre, ne trae il biglietto che si caccia in tasca) Il biglietto lo tengo io! (Getta la trousse su una poltrona ed esce. Patrizia rimane qualche istante immobile, ancora annichilita per lo stupore, cercando di spiegarsi il mistero di quel l’uomo sconosciuto. A un tratto si ricorda di Burton. Va ad aprire la 'porta finestra. Burton rientra in fretta strofinandosi e asciugandosi col fazzoletto la testa e il vestito bagnato di pioggia). Burton (ansiosissimo) —■ Beh... se ne e andato? Patrizia (assorta, assente) —- Sì... se n’e andato. Burton — Che cosa ti ha detto? Aveva qualche sospetto? Patrizia —• Altro che sospetto! Sa tutto... ha tro vato il tuo biglietto. Burton (atterrito) — Dannazione. Allora sa che io... Patrizia — No, sta’ tranquillo, di te non sa niente. Burton (con sollievo) — Ah, meno male! Patrizia — Ma ce qualcosa di peggio. Burton (ripreso dal terrore) — Oh Dio! Che cosa? Patrizia — Ha trovato un uomo... Burton — Un uomo? Dove? Patrizia — Là, nella mia camera! Adesso capisco! era lui che aveva lasciato la sigaretta... Burton —• Che sigaretta? Patrizia — Tu non l’hai vista, è vero? Burton —• Che cosa? Patrizia — La sigaretta... Burton (spazientito) — Ma di che sigarette parli? Patrizia... spiegati... in nome del cielo! Ma che è questa storia! Che c’entra l’uomo, che c entra la sigaretta? Patrizia — Io non ci capisco nulla! E’ accaduta una cosa incredibile! Ecco... guarda. (Mostrandogli il bocchino che prende dal portacenere) C’era qui nel portacenere questo bocchino con la sigaretta ancora accesa. Burton (pronto) —• Io non fumo! Patrizia — Neanche io! Mio marito ha avuto subito la certezza che ci fosse un uomo qui con me e s’è messo a cercarlo. Burton — Fortuna che non gli è venuto in mente di guardare sul terrazzino! Patrizia — Non ce n’è stato bisogno! L’ha trovato lo stesso. Era nascosto là, dietro quella tenda. Burton —■ Chi? Patrizia —-U n uomo. Burton — Un uomo?! E chi era? Patrizia — Non lo so! Mai visto! Un giovanotto in abito da sera, distinto, elegante. Allora, si capisce, mio marito ha creduto che fosse lui il mio amante. Burton (rasserenato) — Ah... beh... tanto meglio! Patrizia — Come tanto meglio? Burton —• No... volevo dire... almeno così non può sospettare che io... Ma perché s’era nascosto là; che faceva in camera tua? Patrizia — Non lo so! E’ appunto questo che mi domando. Chi sa da quanto tempo era là. Dev’es sere entrato prima che arrivassimo noi! Burton (ripreso dalla paura) — Allora ha sentito tutti i nostri discorsi? Oh perbacco! Che fosse una spia? L’occhio di Mosca! BUONANOTTE PATRIZIA! Patrizia (alzando le spalle) ■— Macché spia! Non dire schiocchezze! Come avrebbe potuto immagi nare?! (Come colpita da un improvviso sospetto) Oh Dio! I miei gioielli! (Si slancia nell’alcova mentre Burton guarda intorno preoccupato, eviden temente impaziente di andarsene). Burton (avvicinandosi all’alcova) — Patrizia. Pa trizia... che fai? (Sulla soglia dell alcova riappare Patrizia tenendo in mano un cofanetto per gioie aperto). Patrizia (con voce sorda) — Era un ladro! Ha rubato tutto! La collana di perle, il braccialetto di brillanti, l’anello con lo smeraldo, la spilla coi rubini. Tutto... tutto m’ha preso! Burton — Davvero?! (Guarda anch’egli nel cofa netto aperto che Patrizia ha in mano) Ma no, guarda, c’è rimasto qualcosa. Patrizia (gettando il cofanetto su una poltrona) — Sì... quelli falsi! (Animata da una febbrile impa zienza) Presto... presto... bisogna telefonare, avver tire la polizia. (Si slancia verso il telefono e sta per staccare il microfono, ma Burton la ferma spa ventato). Burton — No... aspetta... Patrizia (nervosamente) — Ma non c’è tempo da perdere! Forse è ancora nell’albergo, forse riescono ad arrestarlo. Burton — Ma no! Per carità! Se lo arrestano quello parla. Ha sentito tutti i nostri discorsi. Patrizia — E va bene! Che parli! Basta che io possa riavere i miei gioielli! (Va a staccare il micro fono ma Burton glielo toglie di mano e lo rimette a posto). Burton (supplichevole) — Ma no, Patrizia, aspet ta... ragiona un momento... Patrizia —■ Ma che vuoi ragionare?! Mentre ra gioniamo quello scappa! Burton —■ Ma se parla, tuo marito viene a sapere che qui con te c’ero io... Patrizia — E che importa? Tanto ormai sa che io ho un amante! Che sia tu o un altro è lo stesso! Burton —• Ma non ti rendi conto che... (S’inter rompe sentendo squillare il telefono e istintivamente risponde) Pronto! Come? No... no... non abbiamo chiamato... è stato uno sbaglio! (Rimette a posto il telefono e preso da una nuova preoccupazione) Oh, perbacco! Ho risposto io! Speriamo che non abbiano riconosciuto la mia voce. Patrizia — Ma di’ almeno al portiere che lo fermi. Burton — Ormai è inutile! E’ troppo tardi! Patrizia (scattando esasperata) — Eh sfido! Ha avuto tutto il tempo d’andarsene! Chi lo prende più! Se non ci fosse stata la tua maledetta paura. Burton — Non si tratta di paura, si tratta di prudenza! L’hai detto anche tu poco fa. Pensa ALDO DE BENEDETTI che cosa accadrebbe se si venisse a sospettare che un generale del Pentagono... Patrizia —■ Ma io me ne infischio del Pentagono! Che vuoi che me ne importi del Pentagono? Io penso ai miei gioielli! Non voglio perderli! Valgono una fortuna! C’è la collana di perle che ho eredi tato da mia madre, un anello di Cartier. Me li ripagano forse i tuoi colleghi del Pentagono? Burton —• No, questo no... Non saprei come proporlo! Credi, Patrizia, io sono veramente deso lato per questa disavventura. E’ una dolorosa fatalità! Patrizia — Oh senti... fammi il piacere... finiscila con la fatalità. Ma, dico, non vorrai mica pensare che io sia disposta a perdere tutto? Burton —- Per forza! Non c’è altro da fare! Patrizia —• Ma neanche per sogno! Denuncerò il furto, faro avvertire tutti i posti di frontiera, met terò in moto la polizia di tutto il mondo. Burton — Ma Patrizia, pensa alle conseguenze! Se tuo marito aveva dei sospetti vorrà indagare, vorrà scoprire la verità. Ce l’ha ancora lui il mio biglietto? Patrizia —■ Sì, ce l’ha lui! Burton —• Ecco, vedi. Confronterà la calligrafia... lui la conosce bene; abbiamo firmato tanti trattati insieme! Oh, Patrizia, sarebbe spaventevole se sco prisse che io... Proprio adesso dobbiamo discutere l’accordo per i petroli! Pensa, pensa alla nostra situazione, alle nazioni che rappresentiamo! Po trebbero sorgere delle complicazioni politiche, forse una rottura, forse la guerra. Patrizia (alzando le spalle) —■ Mia no! Per carità! Non aver paura! Se la guerra non è scoppiata fino ad ora non scoppia davvero per queste scioc chezze! Burton —- Sciocchezze le chiami? Ora che l’at tenzione di tutto il mondo è rivolta verso di noi. Patrizia Ma no! Non t’illudere! Il mondo non s interessa di quello che fate! Tanto ormai lo sa che non combinate nulla! Voi vi riunite, parlate, discutete, ma la gente non s’occupa delle vostre chiacchiere e pensa ai fatti propri! Piuttosto lo sai qual è la verità? Tu sei un egoista, tu non pensi che a te stesso. Burton —- No, Patrizia, non è per me, è per la mia posizione... Patrizia —• Ecco, appunto... la tua posizione. Hai paura di perderla, hai paura de] ridicolo! Il gene rale Burton trovato nella camera della moglie di un ministro! Sai che risate! Burton — Ma anche per te, Patrizia... Patrizia —- Oh... di me non t’importa! Mio ma rito ha trovato un uomo in camera mia, un ladro è scappato con i miei gioielli! Ma tutto questo non ha importanza! Basta che tu non ci vada di mezzo! Burton — Sei ingiusta, Patrizia, sei ingiusta a giudicarmi così. Ti giuro che io... (S’interrompe di colpo sentendo bussare alla porta. Allarmato) Hanno bussato? Patrizia -— Sì, mi pare... Burton (con voce tremante) — Che sia ancora tuo marito?! Patrizia —■ Speriamo! Almeno così si chiarirà tutto. Burton (facendo l’atto di slanciarsi verso la fine stra) — No, aspetta, lascia che mi nasconda. Patrizia (a voce alta) — Avanti! (La porta si apre ed entra Alberto. Burton, che stava per aprire la porta finestra, sì ferma sorpreso). Alberto (richiudendo la porta dietro di sé e inchi nandosi verso Patrizia) — M i permette, signora... Patrizia (vinto il primo momento dì stupore grida a Burton) — E’ lui, è lui il ladro! Prendilo, lohn, prendilo! Non lo lasciar scappare! (D'un balzo John si pone fra Alberto e la porta e fa l’atto di affer rarlo per un braccio). Alberto (gentilmente schermendosi) — Non s’in comodi, generale, stia tranquillo, non scappo! Patrizia (affannosamente) -— E’ lei che ha rubato i miei gioielli! Non neghi, sa, non neghi! Alberto (sempre calmo e garbato) —• Ma no! Non nego! Eccoli qua! (Trae di tasca una manciata di gioielli e li pone ad uno ad uno sul tavolino) Una collana di perle, un braccialetto, due orecchini, una spilla... Ci dev’essere ancora qualcosa... (Fruga in tasca e ne trae l’anello) Ah, ecco... un anello... Ma gnifico questo smeraldo! Complimenti, signora! (Po sa anche l’anello sul tavolino con gli altri gioielli. Patrizia e Burton lo guardano sbalorditi. Accennan do ai gioielli) Li riprenda, signora, sono suoi! (Pa trizia, sempre guardandolo, prende il mucchiato di gioielli) Verifichi, la prego. Manca nulla? Patrizia (dopo aver dato una rapida occhiata ai gioielli che ha in mano) —- No, nulla... Ma come? Non capisco... me li restituisce? Alberto —• Sì, signora, non posso tenerli! Sarebbe indelicato! Ora sono il suo amante! Patrizia (scattando risentita) — Il mio amante? Ma che dice?! Alberto — Avrei come l’imnressione d’essere man tenuto da una donna... Non l’ho mai fatto, non mi piace, è contrario ai miei principii... Burton (intervenendo, in tono secco) —■ Insomma, giovanotto, si può sapere che cosa vuole? Che si gnificano tutti questi discorsi? Alberto (a Patrizia, meravigliato, accennando a Burton) — Ma come? I] generale non sa quello che è accaduto mentre lui era là fuori? Burton (prevenendo la risposta di Patrizia) — Sì, sì, so tutto! BUONANOTTE PATRIZIA! Alberto — E allora? Si metta nei miei panni, generale, che cosa farebbe se fosse al mio posto? Burton (alzando le spalle) —- Non facciamo ipotesi assurde! Io non sono un ladro! Patrizia (nervosamente) — Basta, basta, finiamola... T i prego, John, chiedi a costui che cosa vuole e mandalo via... Burton — E’ appunto quello che faccio! Avanti, giovanotto, si spieghi... Se intende speculare su questa spiacevole situazione ci dica quali sono le sue condizioni. Alberto — No, generale, i ricatti non rientrano nella mia attività professionale! Nessuna condizione! Non voglio nulla! Mi dispiace per i gioielli! Era stato un bel colpo! M ’avrebbe messo a posto per molto tempo! Pazienza! Sarò costretto a rubarne ^ Patrizia (con esitazione, mostrando i gioielli che ha tra le mani) — Ma se vuol tenere qualche cosa... Alberto (rifiutando con un gesto e con un piccolo inchino) — Grazie, signora, non si disturbi! Patrizia (con imbarazzo) — Ma almeno accetti del denaro! (A Burton) John, fammi il piacere, da glielo tu! Burton (facendo l’atto di tirar fuori di tasca il portafogli) — Ma sì, certo... Alberto (fermandolo col gesto) — Non s incomodi, generale. (Mostrando a Patrizia un fascio di biglietti di banca) Il denaro l’ho già preso, nella valigia di suo marito. (Lo squillo improvviso del telefono> fa trasalire tutti e tre. Si volgono a guardare verso l ap parecchio mentre si rinnovano gli squilli. A Patrizia) Risponda, prego. (Patrizia, dopo un attimo di esita zione si avvicina al telefono, ma ha le mani ingom brate dai gioielli e non sa come staccare il microfono. Alberto pronto, tendendo la mano) Dia a me! (Ve dendo che Patrìzia, con un gesto istintivo, ha serrato al petto i gioielli, aggiunge sorrìdendo) Non abbia paura! (Patrizia esitando glieli porge. Stacca il mi crofono e parla mentre Burton ascolta ansioso). Patrizia — Pronto... Chi è? Ab... che vuoi? No, ti prego, non me la sento di scendere! Come? Pensino quello che vogliono! No... è impossibile... non insi stere! Di’ quello che vuoi... Ecco, appunto... buona notte! (Riattacca il microfono. Alberto le restituisce i gioielli). Burton —• Era tuo marito? Patrizia — Sì, dice che i discorsi sono finiti e che sta per cominciare il pranzo. Burton •— Oh, perbacco! Allora anch’io devo scendere! Scusami, Patrizia... ma sai... non vorrei che la mia assenza... Sono alla destra dell’ambascia trice... Patrizia (nervosamente) — Ma sì, va’, va’... non la fare aspettare! Burton (volgendosi ad Alberto con tono vagamente minaccioso) — Giovanotto, credo che le convenga mantenere il più assoluto segreto su quanto e acca duto! Alberto — Naturalmente! Conviene a me e con viene a lei! Io non ci tengo ad andare in galera e lei non ci tiene a far sapere che stava sul terrazzino. Abbiamo lo stesso interesse! Ma ora andiamo. La signora è stanca, ha avuto troppe emozioni. Forse desidera restar sola. Patrizia — Sì, grazie. (Alberto si dirige verso la porta. Burton si avvicina a Patrizia che sta rimet tendo i gioielli nel confanetto). Burton — Vuoi che ti telefoni più tardi? _ Patrizia (snervata) — No, per carità! Lasciami in pace! Solo di questo ho bisogno, ora... d’essere la sciata in pace! Burton (imbarazzato) —■ Come vuoi! Cercherò di vederti domani... Patrizia (con tono evasivo ed annoiato) Si, do mani. (Burton si avvicina ad Alberto che è in ascolto presso la porta). Alberto — Un momento... sta passando gente. (Attende un istante poi socchiude cautamente la porta guardando fuori) Ecco, adesso non c è nessuno. Burton (con nervosa impazienza) — Vada... vada. Alberto (traendosi da parte per lasciargli il passo) __Prego, prima lei, generale. (Burton sporge la testa fuori e, rassicurato, esce rapido. Alberto sta per se guirlo, ma d’improvviso si ritrae, richiude e si volge verso Patrizia, appoggiandosi con le spalle alla porta). Patrizia (sorpresa e spaventata) — Ma che fa? Perché non esce? Alberto —- Non posso, ce dell altra gente nel corridoio. E’ meglio che non mi vedano! (Così di cendo avanza di qualche passo verso di lei). Patrizia (indietreggiando sgomenta) — Vada via, vada via, se no grido... chiamo aiuto. Alberto (gentile, sorridente) — Ma no, non gridi. Stia tranquilla! Non ha nulla da temere da me! Ec co, guardi, volevo solo riprendere il mio bocchino. (Tende la mano e prende il bocchino che era rimasto posato sul portacenere). Patrizia (disorientata) — Ah! Alberto — E’ mio, mi appartiene! (Rigirandolo fra le dita) Pensare che è stato questo la causa di tutto! Di solito io sono piuttosto rapido nel mio la voro. E anche oggi, dopo aver rubato i gioielli, avrei dovuto allontanarmi subito. Invece... non so perche... ho avuto l’idea di fumare una sigaretta. Pensavo che non sarebbe venuto nessuno. Mi piaceva guardare, osservare, toccare... là, sulla toilette tutti quei pic coli oggetti, quelle bottigliette preziose... i profumi, le ciprie, gli smalti per le unghie. E poi negli ar madi i suoi vestiti, le sue pellicce... sono così mor bide, così fresche a carezzarle... e sul bordo del ALDO DE BENEDETTI letto la sua vestaglia leggera come una piuma... e nei cassetti... Patrizia (sorpresa, turbata) — Anche nei cassetti ha guardato? Alberto Sì, in tutti! Li ho passati in rivista ad uno ad uno. A me piacciono le cose belle! Poi mi sono sdraiato su una poltrona... ecco, su quella... ho acceso una sigaretta e ho sognato. A lei capita mai di sognare? Patrizia — Sì, sì, qualche volta. Alberto — Ma non sognare quando dorme. Sve glia, ad occhi aperti, vedere se stessa dal di fuori... e immaginare, fantasticare. Quando ero ragazzo so gnavo sempre avventure bellissime, storie meravi gliose di cui ero il protagonista. Mi pareva quasi di viverle, la sera mi dispiaceva d’interromperle e il giorno dopo le riprendevo al punto in cui le avevo lasciate. Le ore volavano, non m’accorgevo del tem po che passava. E così m’è accaduto oggi: me ne stavo su quella poltrona, fumavo e immaginavo d’es sere io il signore che abitava in questa camera... E lei era la, seduta alla toilette. Pettinava i suoi morbidi capelli biondi e ogni tanto mi rivolgeva una parola, un sorriso... sì, perché, nella mia fantasia, lei si^ stava facendo più bella per me; per piacermi di più. La vedevo alzarsi, muoversi, andare, venire... sentivo il fruscio delle sue vesti... Poi lei passava là’ nell alcova... cominciava a spogliarsi... Patrizia (con disagio) — Adesso basta, la smetta! Alberto • Ah, sì... per forza! Proprio in quel mo- mento ho sentito aprirsi la porta e ho avuto appena il tempo di nascondermi dietro la tenda. E* entrata lei, poi è entrato lui... Patrizia —■ E lei, lei ha visto tutto? Alberto — No, visto no... sentito! Le confesso che per un momento ho avuto paura, non paura di es sere sorpreso, ma di dover assistere... Per fortuna è arrivato suo marito! E allora è avvenuta la cosa assurda, incredibile: m’ha trovato nascosto là die tro e mi ha creduto il suo amante. Il sogno è diven tato realtà. Eh sì, perché in quel momento io non ero più un ladro, ero un gentiluomo! Un gentil uomo sorpreso da un altro gentiluomo nella camera di sua moglie! Ero un signore come lui, un suo pari, un suo rivale. E lei... lei era la mia amante... Patrizia —• Ma... Alberto (interrompendola, pronto) — No... non s offenda se dico cosi! Lo so, lo so che non era vero, che era un illusione! Ma me la lasci quest’illusione ancora per un poco. A lei non costa nulla e per me invece... Ecco, vede, siamo qui soli lei ed io come se fossimo veramente due amanti... due aman- ti che stanno per lasciarsi dopo un convegno d’amore. Non abbia timore... adesso me ne vado. Non mi guardi con paura, mi guardi con fiducia... ecco, così. M i permetta di baciarle la mano e di chiamarla an- cora una volta per nome... Patrizia. (Patrizia lo guarda in silenzio come affascinata. Alberto le -pren de una mano, gliela bacia. Con voce tremante di emozione) Patrizia! (La guarda un istante commosso, incantato. Poi d’improvviso l’attrae a sé e la bacia sulla bocca. Patrizia non ha la forzai dì reagire e si abbandona vinta. Alberto sì stacca da lei e mormora con voce sommessa) Buonanotte, Patrizia! Patrizia (con ^ un soffio) — Buonanotte! (Alberto esce. Patrizia e rimasta immobile, stordita. Si passa le dita sulle labbi a che ancora serbano l’impressione del bacio. La porta si riapre e riappare Alberto che le porge un sottile filo di'perle). Alberto (in fretta, imbarazzato) — La sua collana di perle... Mi scusi. La forza deH’abitudine! (E ra pido esce; Patrizia disorientata guarda le perle e la porta che si è richiusa dietro di lui). A T T O S E C O N D O (Un salotto adiacente al grande salone delle adu nanze. La parete di fondo è costituita da una grande vetrata oltre cui si vede un’ampia galleria in cui passano delegati, invitati e giornalisti. In primo pia no il Ministro Lansen, assistito dal suo segretario particolare, sta dettando ad una graziosa dattilografa un comunicato per la stampa). Lansen —■ « Io sono ottimista... Ho la chiara sen sazione che un nuovo spirito di reciproca fiducia e e di cordiale cooperazione aleggi... ». I l Segretario (interrompendolo con deferente cava tela) —■ Mi permette, Eccellenza. Lansen — Che ce? I l Segretario — Mi sembra che questo comuni cato somigli a quello che Vostra Eccellenza ha dira mato ieri. Lansen — Si capisce che somiglia! E somiglierà anche a quello di domani! E’ la prima volta che lei partecipa ad una conferenza intemazionale? I l Segretario — Sì, Eccellenza. Lansen — Bene! Sappia che da dieci anni non facciamo altro che ripetere la stessa cosa. Mi rilegga il comunicato di ieri. I l Segretario (trae un foglio dalla busta di pelle che ha sotto braccio e legge) — Ecco... «Io sono ottimista. Ho la netta sensazione che un nuovo spi rito di fiduciosa cooperazione aleggi...». Lansen (fermandolo con un gesto della mano) — Bisogna cambiare l’«aleggi»... è questo che disturba. Scriva, signorina. La Stenografa — Devo cancellare tutto? Lansen —• No. Solo l’ultima parola. Invece di «aleggi» scriva «caratterizzi i primi contatti fra gli uomini politici che compongono questo alto con sesso». (Volgendosi al segretario) L’«alto consesso» l’ho messo anche nel comunicato di ieri? I l Segretario (consultando il foglio) —• Sì, Ec cellenza. Lansen (alla Stenografa) — Cancelli l’« alto con sesso». Scriva invece «fra gli uomini politici che partecipano a questo storico convegno... La meta che ci proponiamo di raggiungere... ». (Si interrompe perché dalla porta di destra è entrato un gruppetto di giornalisti). Primo Giornalista — Qualche parola, Eccellenza, per i nostri giornali... Lansen (infastidito) — No, no, adesso non posso. Ho già fatto avvertire che riceverò i giornalisti per una conferenza-stampa stasera al mio albergo. I l Segretario (cercando di spingere verso la porta i. giornalisti) — Prego, signori. Sua Eccellenza è molto impegnato adesso. La conferenza-stampa è indetta per le ore diciotto e trenta. Secondo Giornalista — Una domanda... Una sola domanda. I l Segretario — Dopo... dopo. Alla conferenza- stampa potrete rivolgere tutte le domande che vor rete... Terzo Giornalista ■— Ma per le prime edizioni. Anche gli altri delegati... Primo Giornalista — Due parole, Eccellenza; ci dica due parole. Lansen (con un sospiro di sopportazione) — Se mi promettete che poi mi lascerete in pace per tutto il giorno. Voci generali — Sì, Eccellenza. Grazie, Eccel lenza. (I giornalisti sono in attesa coi loro taccuini di appunti. Lansen si raccoglie un momento poi comincia parlando lentamente). Lansen ■— Io sono ottimista! Ho la ferma con vinzione che un nuovo spirito di collaborazione e di fiducia abbia creato un’atmosfera di reciproca comprensione fra gli uomini politici che partecipano a questo storico convegno! Per ora non posso dirvi altro! Arrivederci, cari amici. (I giornalisti si riti rano accompagnati verso la porta dal segretario. Intanto Lansen si rivolge alla stenografa) Cambi le due ultime parole. La Stenografa — Lo storico convegno? Lansen. — Sì! Scriva, invece, « quest’assise di po poli verso cui converge l’attesa e la speranza di tutto il mondo». Basta così! Lo passi all’ufficio stampa. (In questo momento rientra il segretario). I l Segretario — Eccellenza, c’è un tale che vuol parlare con lei. Lansen — Adesso non ho tempo! Chi è? I l Segretark> — Non lo so... non ha voluto dirmi il nome... Lansen —- Perché? BUONANOTTE PATRIZIA! I l Segretario — Perché dice che è inutile, che il suo nome lei non lo conosce... Lansen (alzando le spalle spazientito) — Ma lo mandi all’inferno! Le pare che io possa ricevere uno che non si sa nemmeno chi sia? I l Segretario — Ma dice che lei lo conosce molto bene. Anzi mi ha raccomandato di dirle che lui è quello di stanotte... Lansen — Quello di stanotte? Che significa que sto discorso? I l Segretario — Ah... io non lo so. Lia detto che lei avrebbe capito. Ah... guardi: eccolo là! (Infatti in questo momento è apparso dietro la vetrata di fondo Alberto. Lansen si volge vivamente. Alberto accenna un leggero inchino. Lansen è vivamente sorpreso e imbarazzato1. Resta un momento incerto, disorientato, si volge ancora a guardare verso la ve trata. Alberto si inchina nuovamente. Dopo un altro attimo di incertezza Lansen si decide). Lansen —■ Va bene! Lo faccia entrare. (Mentre il segretario esce, Lansen fa qualche passo per la stanza, evidentemente preoccupato). La Stenografa — Ha ancora bisogno di me, Ec cellenza? Lansen —- No, grazie, vada pure. (La stenografa si avvia per uscire. Sulla porta si incontra con Al berto e il segretario che entrano. Alberto avanza di qualche passo e accenna un altro lieve inchino. Lansen- freddamente, invitandolo col gesto ad acco modarsi) Prego. (Rivolto al segretario) Ci lasci, per favore. (Il segretario esce. Lansen fissa duramente Alberto, come in attesa di una spiegazione sul mo tivo della sua visita. Ma Alberto tace, restando an ch’egli in un atteggiamento di deferente attesa. Sec camente) Allora? Alberto (cortesissimo) — Allora... eccomi qui! Lansen (aspro, sgarbato) — Lo vedo che è qui! Che cosa vuole? Alberto —• Stanotte lei ha espresso il desiderio di rivedermi. Lansen — Io? Alberto — Sì, Eccellenza, quando ha minacciato di scaraventarmi fuori a calci. Lansen (con un’alzata di spalle) — Ma che vuole che mi ricordi di quello che le ho detto stanotte! M i meraviglio piuttosto che lei abbia la sfrontatezza di presentarsi ancora davanti a me! Alberto — E’ il mio dovere, Eccellenza! Sono a sua disposizione. Lansen — A mia disposizione? Per che cosa? Alberto — Quando un gentiluomo offende un altro gentiluomo s’impone l’obbligo di una ripara zione! Io riconosco di aver arrecato una grave offesa al suo onore e sono pronto a riparare. Lansen (con uno scatto d’impazienza) — Senta, ALDO DE BENEDETTI giovanotto, lei mi ha già seccato abbastanza! M i faccia il santissimo piacere di levarsi dai piedi! Alberto — Mi permetta d’insistere, Eccellenza. Se vuol nominare i suoi padrini... Lansen (disorientato) -—- I padrini? Che c’entrano i padrini? Alberto —• Sono necessari! Non se ne può fare a meno! Il codice cavalleresco prescrive che... Lansen (interrompendolo irritato) — Ma sì, ma sì, 10 so che cosa prescrive il codice cavalleresco! Ma che significa questo discorso? Adesso lei vorrebbe battersi con me? Alberto (gentilmente) — No, non sono io che voglio. E’ lei! Lansen -— Io? Alberto —- Per forza! Non è lei l’offeso? Lansen (imbarazzato) — Sì, sì, sono io... si ca pisce che sono io! Ecco, volevo dire... io apprezzo 11 suo gesto e la sua correttezza. Ma non le sembra che tutto questo sia un po’ eccessivo? Alberto —- Eccessivo?! Lansen — Sì, c’è stato un deplorevole incidente, ma non vedo la ragione di giungere a certi estremi... sì, insomma, di drammatizzarlo in questo modo. Alberto — Eccellenza, io mi metto nei suoi panni! Stanotte lei mi ha trovato in camera di sua moglie! Il mio dovere di gentiluomo mi impone di riparare. Lansen (scattando esasperato) ■— Ma, insomma, è una mania la sua di voler riparare! Riparare che cosa? Non c’è niente da riparare? S’è trattato di uno spiacevole equivoco! Inutile parlarne ancora! L’argomento è chiuso! Alberto (riprendendo il suo biglietto da visita) — Va bene! Come crede! Allora lei non vuol battersi con me?! Lansen — Non è che non voglio! Per carità! Io mi batterei volentierissimo! S’immagini! Non chie derei di meglio! Ma capirà, data la mia situazione, la mia carica, ho dei doveri, delle responsabilità. 10 sono un ministro, mi trovo qui a rappresentare 11 mio paese, devo partecipare ai lavori della con ferenza, presiedere delle riunioni, incontrarmi con uomini politici. Alberto — Ma questo è un affare privato. Lansen —■ Ecco, appunto, le pare che per un af fare privato io possa interrompere i lavori della conferenza?! Trentadue nazioni! Tutto il mondo che ci guarda! Pensi un po’ alle ripercussioni interna zionali: un ministro degli esteri che si fa prendere a schiaffi e che si batte in duello! E’ assurdo, è ridi colo! Alberto — Mi perdoni, Eccellenza, ma io non ci trovo nulla di ridicolo! Anche un ministro degli esteri, in certe circostanze, ha il diritto di comportarsi come qualsiasi altro gentiluomo! Il codice cavalle resco... Lansen (interrompendolo nervosamente) — Ma lasci andare il codice cavalleresco! Il codice caval leresco non c’entra! Un ministro non è un uomo! E’ un uomo-simbolo, come la bandiera! Ecco, pro prio così, come la bandiera! Che cos’è una bandiera? Un pezzo di stoffa qualsiasi dipinta a diversi colori. Ma se quel pezzo di stoffa, con quei colori, è attac cato a un’asta diventa qualcosa di sacro, l’emblema, il simbolo della nazione! E lo stesso è per me! L’uomo scompare, resta il ministro! (In questo momento passa, oltre la vetrata in fondo, il generale Burton che, vedendo Lansen che parla con Alberto, si ferma di colpo, allarmato) E un ministro deve essere pronto a qualsiasi sacrificio! I suoi sentimenti devono cedere il posto ai doveri che la carica gli impone. Ecco perché... (Non può continuare perché è interrotto da Burton che, entrato precipitosamente, si avvicina salutando con tono esageratamente cor diale). Burton —- Salute, salute, amici! Come va, caro Lansen? Lansen (stringendogli la mano) — Non c’è malel Lei sta bene, generale? Burton —- Magnificamente! (Si volge ad Alberto battendogli amichevolmente la mano sidla spalla) Ciao, vecchio mio! Alberto (dopo un attimo di esitazione) — Ciao. Lansen (sorpreso) — Ah... vi conoscete? Burton (circondando col braccio la spalla di Al berto con aria affettuosa) — Certo che ci conosciamo! Siamo vecchi amici, è vero? Alberto — E come no? Amicissimi! Burton — Piuttosto non sapevo che anche voi vi conosceste. Lansen (incerto, evasivo) — Sì, ho già avuto il piacere d’incontrarmi col signore... Alberto (pronto) —■ Stanotte! Burton (allarmato) — Stanotte? Lansen (preoccupato) — Stanotte?! Alberto (con un sorriso) -—- Sì, Eccellenza, sta notte, dopo il ricevimento ufficiale.. Lansen (con sollievo) — Ah sì, sì, è vero! Adesso ricordo! Burton (anch’egli sollevato) — Ah bene! Bene! Allora -possiamo dire: les amis de nos amis sont nos amis! Ho il piacere che vi conosciate! Il mio amico è una delle più eminenti personalità politiche mon diali... Lansen (con un gesto di debole protesta) •—■ Troppo buono, generale! Burton (accennando ad Alberto) —■ E il mio ami co... coso... sì... insomma... lui... è un giovanotto in gamba, abile, svelto, un giovanotto che farà molta strada... Alberto (con un sorriso modesto) — Grazie, ge nerale... BUONANOTTE PATRIZIA! Burton — Ma io ho interrotto il vostro colloquio! Scusatemi, non vorrei essere indiscreto... Lansen —- No... no... per carità! Stavamo par lando del più e del meno! (Guardando l'orologio) Piuttosto credo che sia ora d’avviarci. La seduta sta per cominciare... (Così dicendo si avvicina al tavolo -per raccogliere le sue carte. Burton ne approfitta per rivolgere a bassa voce delle domande ansiose ad Al berto). Burton — Che cosa è accaduto? Alberto — Niente. Burton — Ma come niente?! Non stavate par lando di stanotte? Alberto — Sì, ma non si preoccupi! E’ stato un equivoco! Burton — Un equivoco?! Non crede più che lei sia l’amante? Sospetta qualche cosa? Alberto — No, stia tranquillo, non sospetta nulla. E’ convinto che l’amante sono io, ma dice lo stesso che è un equivoco. Burton — Non capisco. Alberto — Non importa! Le spiegherò poi. Devo continuare a darle del tu? Burton — Eh sì, per forza... ormai che abbiamo cominciato. (Lansen si sta avvicinando) Attento, at tento... Lansen (mostrando un foglio al generale) oe vuol dare un’occhiata, generale. E’ un appunto per il comunicato ufficiale. Burton — Ah, sì? Vediamo. (Mentre Burton scorre con lo sguardo il foglio, entrano alcuni fotografi che si preparano a riprendere il gruppo composto da Burton, da Lansen e da Alberto). Lansen (infastidito) — Ma come? Ancora foto grafie? I Fotografi — Ci perdoni, Eccellenza. LTn minuto un minuto solo. E’ per la televisione. Un po’ più vicini per favore. (Mentre Lansen e Burton si met tono in posa, Alberto che è in mezzo a loro, fa l’atto dì trarsi da parte). Lansen (gentilmente) — No, no, rimanga anche lei... Alberto (imbarazzato gettando un’occhiata verso Burton) — Io? Ma sì, Burton (dopo un attimo di esitazione) visto che ci sei! (Alberto rimane al suo posto tra Burton e Lansen che assumono una posa sorridente e cordiale, mentre lampeggiano i flashes. Proprio in questo momento appare sulla porta Patrizia, molto elegante in un chiaro abito da mattina. Si ferma sbalordita a guardare i tre uomini in posa. Tanto Lansen che Burton appaiono estremamente imba razzati e seccati per essere stati sorpresi da lei in quella posizione. Mentre Burton e Alberto accen nano un inchino, Lansen si avvicina alla moglie. Durante la scena seguente Burton cerca di nascon dere la sua preoccupazione e di darsi un aria disin volta scambiando saluti con i delegati che traver sano la scena). Lansen (a Patrizia, parlando con voce bassa e tono sostenuto) — Che fai qui? Che vuoi? Patrizia —- Niente! M annoio, passeggio. (Ac cennando con sorridente ironia ad Alberto) Siete diventati amici? Lansen (cow malumore) — Macche amici. Sono stato costretto a fingere perché gli altri non capi scano! Puoi immaginare quanto mi secchi! Patrizia — Non si direbbe! Lansen —• Non fare dell’ironia che è assolutamen te fuori di posto! In quanto a quello che è accaduto stanotte, voglio credere che si tratti solo di una tua deplorevole leggerezza, e come tale preferisco di menticarla. Patrizia — Hai ragione! E’ meglio! Lansen — Non « è » meglio allatto, ma è neces sario! (Vedendo avvicinarsi il segretario, gli chiede con tono aspro) Che c’è? Che cosa vuole? I l Segretario (intimidito e spaventato) — M i per metta, Eccellenza, volevo ricordarle che bisogna no minare il presidente della commissione per i confini dei Sultanati arabi. Me ne in Lansen (alzando le spalle, irritato) fischio dei Sultanati arabi! Che cosa vuole che me ne importi? I l Segretario — M i scusi, Eccellenza, mi ha detto lei di ricordarglielo! E’ una questione importante! Si tratta delle zone d’influenza sui terreni petroliferi. Lansen (subito interessato) —- Ah, si, è vero! (A Patrizia) Scusami, cara. (Scostandosi col segretario) M i dica, mi dica, che notizie ha raccolte? Ce qual che proposta? I l Segretario —• Le solite manovre degli Stati orientali. Vorrebbero uno dei loro. Lansen — Per carità! Ci mancherebbe altro! Il generale Burton che cosa ha deciso? I l Segretario — Non s’è ancora pronunciato. Noi voteremo per il suo candidato? Lansen — Si capisce, siamo già d’accordo! Lo favo riremo in questa elezione e lui ci favorirà nelle altre. I l Segretario — Mi permette, Eccellenza, potrei domandarle un’informazione? Lansen — Dica. I l Segretario — Chi è quel giovanotto che sta parlando col generale? Come si chiama? Lansen — Non lo so! I l Segretario (sorpreso) — Ma come? Non lo conosce? Lansen (imbarazzato) —• Sì, sì, lo conosco. Certo che lo conosco! Ma perché mi fa questa domanda? I l Segretario — Perché me l’han già chiesto vari delegati. Pare che sia molto amico del generale Burton! ALDO DE BENEDETTI Lansen (pensieroso) —• Già, infatti! E pare anche che il generale ci tenga molto a farlo sapere! I l Segretario (colpito dalle -parole di Lansen) — Che vuol dire, Eccellenza? Non capisco. Lansen (con tono misterioso) — Caro giovanotto, si metta bene in mente che ogni gesto, ogni atteg giamento di un diplomatico nasconde sempre una ragione, uno scopo. Quale sia lo scopo del generale, non sono ancora riuscito a capirlo! E questo mi preoccupa! Intanto lei s’informi, indaghi... I l Segretario (perplesso) —- Va bene, Eccellenza... (Lansen si avvia per dirigersi verso il salone delle adunanze e passa vicino ad Alberto e Burton che indugiano presso la porta parlando con altri dele gati). Lansen (a Burton e agli altri) — Credo che ormai non manchiamo che noi... Burton — S’accomodi, Eccellenza, accomodatevi anche voi. Vi raggiungo subito, devo parlare un momento con lui. (E prende sottobraccio Alberto. Il gesto è notato e commentato dai delegati che esco no con Lansen. Appena gli altri si sono allontanati, Burton si stacca da Alberto e si avvicina a Patrizia che, in piedi presso un tavolino, sta sfogliando una rivista. Mentre si svolge la scena seguente, il segre tario parla con Alberto che, evidentemente, risponde alle sue domande con aria evasiva e distratta). Burton —- Patrizia... Patrizia (senza voltarsi, continuando a sfogliare la rivista) — Sta’ attento, è pericoloso! Potrebbe ve derti mio marito! Burton — No, tuo marito è uscito! De] resto se anche mi vedesse... Patrizia (con sarcasmo) — Non hai più paura di lui? Perbacco! Sei temerario! Burton (avvilito) — Patrizia, lascia che ti spieghi... Patrizia (interrompendolo ironica) ■—■ Ma no, è inutile! Lo so quello che vuoi dirmi: che anche tu hai dovuto fingere perché non si scoprisse la ve rità! Hai fatto bene! Perché vuoi giustificarti? Non c’è ragione! E’ tutto così carino, quasi commovente! Se sapessi che bel gruppo formavate! Incantevole! Il marito, l’amante e il ladro, sorridenti e soddisfatti! Domani apparirete sui giornali di tutto il mondo, nel posto d’onore, sulle prime pagine! Peccato che la gente non possa gustarne il significato! Solo io posso apprezzare il valore di quella fotografia! Vo glio tenerne una copia per ricordo... Burton (umiliatissimo) — Patrizia, io non so più che dirti. Patrizia — Non dire niente! Va’ a fare il tuo do vere! T hanno mandato qui per rappresentare il tuo paese, non stare a perdere tempo con me! E poi non è nemmeno prudente. Potrebbero sorgere dei sospetti. Burton (accennando ad Alberto) — Ma io non posso lasciarti qui sola con lui... Patrizia —■ Perché? E’ il mio amante! Se ci ve dono insieme è meglio, specialmente per te. Non ti pare? Va’, va’. (Burton esita come combattuto fra opposti sentimenti. Vorrebbe parlare ancora ma è disarmato dal sorriso ironico di Patrizia. Accenna un inchino e si dirige rapido verso l’uscita. Quando passa vicino ad Alberto questi lo saluta con tono confidenziale). Alberto —• Ciao, vecchio! Burton (a denti stretti con un forzato sorriso) — Ciao! I l Segretario (appena Burton è uscito) —• Lei non viene ad assistere alla seduta? Alberto —• Più tardi! Devo far prima qualche telefonata. Ma lei vada, non faccia complimenti. I l Segretario (con un rispettoso inchino) — Gra zie! I miei rispetti. (Esce dopo essersi inchinato ri spettosamente anche verso Patrizia. Patrizia, appog giata al bordo di una poltrona, si sta guardando in un piccolo specchio che ha tratto dalla borsetta. Al berto è rimasto all’altro estremo della stanza in at teggiamento di discreta riservatezza. Trae di tasca un portasigarette e fa l’atto di accendere una siga retta). Patrizia — Ha una sigaretta anche per me? Alberto (avvicinandosi premuroso) — Ecco, si gnora. (Le porge il portasigarette aperto perché élla si serva). Patrizia (invece di prendere una sigaretta, gli to glie di mano il portasigarette per osservarlo) — Bello questo portasigarette! A chi l’ha rubato? Alberto (senza scomporsi) — A un tale che mi son trovato vicino a un tavolo di roulette a Campione. Era tanto occupato a perdere i suoi quattrini che avrei potuto sfilargli gli anelli dalle dita senza che se ne accorgesse! Mi sono contentato di questo! Patrizia (prendendo una sigaretta) —• E’ stato di screto! Alberto — Non ne avevo bisogno. La stagione era andata discretamente bene! Avevo guadagnato abbastanza. Patrizia —■ Col giuoco o col furto? Alberto (porgendole Vaccendisigari acceso) — Con tutti e due! Patrizia (accendendo all’accendisigari) — Rubato anche questo? Alberto —■ No, questo l’ho comprato! Patrizia — Col .denaro degli altri? Alberto (con la massima semplicità) — Natural mente! Ma scusi, signora, non capisco perché mi fa queste domande! E’ come se chiedesse a un me dico se vive sui malanni dei suoi clienti! Ognuno ha la sua professione! Patrizia — Già, è vero. Ma la sua professione è BUONANOTTE PATRIZIA! così particolare. Non mi era mai capitato di parlare con un ladro! Ma mi dica, che ne pensa lei di questa nostra buffa avventura? Alberto (con slancio sincero) — Io la trovo mera vigliosa! Patrizia (dubbiosa) —■ Davvero? Alberto — Lo sa che ho passato tutto il resto del la notte senza chiudere occhio? Patrizia —• Perché? Alberto — Avevo paura d’addormentarmi! Di so lito i sogni si interrompono quando uno si sveglia! Per me invece accadeva tutto il contrario. Sognavo finché ero sveglio, e non volevo che il mio sogno finisse. Patrizia ■— Perché? C’era un seguito? Alberto — Certo che c’era. L’alba, una grigia alba nebbiosa. Due carrozze chiuse che avanzano nei viali deserti di un immenso parco. Si fermano, scen dono degli uomini in abito nero e cilindro, si salu tano con un inchino. I due avversari si pongono spalla contro spalla con le pistole in pugno, si al lontanano mentre una voce conta i passi : uno, due, tre, quattro. D’improvviso il silenzio è rotto da uno scalpitar di cavalli. Una carrozza sopraggiunge, si ferma; una donna scende affannata, ansante, si slan cia piangendo a fare scudo col suo corpo all uomo amato gridando: No, no, non l’uccidere! Patrizia — E quella donna sarei stata io? Alberto — Sì, signora. M i scusi, se mi sono per messo. Patrizia — E chi sarebbe stato l’uomo amato che volevo difendere col mio corpo? Lei o mio marito? Alberto (dopo una breve esitazione) — Sarei stato io! La prego ancora di scusarmi. I sogni sono sempre un po' assurdi! Patrizia —• E poi? Alberto •— Poi che cosa? Patrizia (con una leggera punta d’ironia) — Che accadeva poi? Non moriva nessuno? Alberto (smontato) —• No, non moriva nessuno. Le sembrano ridicole, è vero, queste mie fantasti cherie? Patrizia (con indulgenza) — No, ridicole, no; ma credo che siano un po’ fuori tempo! Alberto — Lo so, non usano più! Infatti me l’ha fatto capire anche suo marito. Patrizia (sorpresa) — Mio marito? Quando? Alberto — Stamattina quando gli ho detto che ero pronto a battermi con lui. Patrizia (sbalordita) —• Come?! Battersi con lui?! Ma voleva scherzare? Alberto — No, signora, non scherzavo affatto. Avevo trovato anche due distinti signori che erano disposti a farmi da padrini! Ma suo marito m’ha detto che non poteva battersi perché era una bandiera. Patrizia —-Una bandiera?! Alberto —- Sì. Non ho capito bene che centrino le bandiere con la nostra faccenda! Ma per quanto io abbia insistito, non ha voluto battersi con me! Patrizia — Sfido che non ha voluto! Non ci sarebbe mancato altro che un duello! Bella figura ci avremmo fatto tutti quanti! Ma come le era venuta in mente questa idea? Voleva ammazzare mio marito? Alberto (prontamente) — No, signora. Avrei spa rato in aria! So bene come deve comportarsi un gentiluomo in questi casi! Patrizia — Senta, bisogna che lei si calmi! Lei ha un concetto troppo melodrammatico della vita! I duelli! Le donne che fanno scudo al corpo del l’amato. Ma queste cose non accadono più! Adesso fanno ridere solamente a parlarne! Alberto — Lo so che fanno ridere! A lei sembrano sciocche, ma per me invece sono importantissime! Ecco, vede, io sono abituato a frequentare gente ricca; è una mia necessità professionale. Vesto bene, viaggio in vagone letto, abito nei grandi alberghi: insomma vivo nel vostro ambiente, come voi, in mezzo a voi, ma non sono uno dei vostri! Patrizia — E questo le dispiace? Alberto — Enormemente! Non so che cosa darei per essere accolto nel vostro mondo! Invece mi sento escluso, estraneo, isolato. C’è come una bar riera insuperabile che mi separa da voi! Stanotte questa barriera è caduta. D’improvviso sono diven tato uno dei vostri. Un ministro mi tratta come un suo pari, una bella signora mi accetta come amante. Patrizia (piccata) — Che accetto?! Io non accetto niente! Alberto (con garbata sicurezza) —- Si sbaglia, si gnora. Lei adesso deve accettare tutto! Anche un altro bacio se mi viene il capriccio di darglielo! Patrizia (indietreggiando istintivamente) —- Non ci provi, sa! Alberto — Perché? Che cosa accadrebbe se ci provassi? Chiamerebbe suo marito? Mi parlerebbe ancora delle bandiere! Il generale? Troppo pru dente! Dunque, vede? Nessuno correrebbe a di fenderla! Patrizia — Non importa! Saprei difendermi da sola! Alberto — Non ne dubito! Ma non abbia paura, non ce ne sarà bisogno! I baci presi con la forza non mi interessano! Sono l’unica cosa che non mi piace rubare! Patrizia — Ah, sì? Interessante! E allora quello di stanotte? Alberto — Quello era un’altra cosa! Mi spettava! Era nella mia parte! Ma piuttosto, signora... (S'in terrompe vedendo passare oltre la vetrata di fondo ALDO DE BENEDETTI una giovane bella signora che tiene al guinzaglio un magnifico cane di razza). Patrizia (accennando alla signora) — La conosce? Alberto — No no, mi pare di no. Avevo avuto l’impressione di averla già incontrata in qualche posto, ma forse mi sbaglio. Chi è? Patrizia — La signora Van Laer. Un nome abba stanza noto. Alberto — Mai sentita nominare! Patrizia — Non è possibile! Chi sa quante volte l’ha mangiata! Alberto — Che cosa? Patrizia — La cioccolata Van Laer! E’ celebre in tutto il mondo! Su ogni strada si trovano dei grandi cartelli pubblicitari con le scritte: Cioccolata Van Laer... Cacao Van Laer. Caramelle Van Laer... Alberto — Sì, sì, adesso ricordo. E quella signora... Patrizia •— E’ la giovane moglie del vecchio Van Laer. (In questo momento la signora Van Laer ri passa nel fondo guardandosi intorno come cercasse qualcuno. Vedendo Patrizia, la saluta e si avvia per raggiungerla). Patrizia (ad Alberto, con imbarazzo) — Probabil mente dovrò presentarla. Vuol dirmi il suo nome? Alberto — Adesso mi chiamo Alcantara... Alberto Alcantara. Patrizia — Adesso?! Alberto —• Ho diversi nomi secondo le necessità. (Intanto la signora Van Laer è entrata in scena e saluta con effusione Patrìzia). La signora Van Laer —■ Buongiorno, cara signora. Come sta? Patrizia — Bene; grazie. E’ venuta ad assistere alla seduta inaugurale? La signora Van Laer — Oh no, per carità! Me ne guardo bene! Io le trovo insopportabili queste sedute! Non capisco davvero come ci sia della gente che si affanna tanto per avere i biglietti d’in vito! Che divertimento ce? Tutti fanno dei discorsi interminabili e nessuno li sta a sentire! Non ha visto per caso il mio Boby? Patrizia (indicando il cane) — Non è lui Boby? La signora Van Laer (con una limpida risata) — No, lui è Rommy. Boby è mio marito! Mi aveva dato appuntamento qui, ma come al solito se lo sarà dimenticato. (Nel volgere il capo vede Alberto ed ha un rapido trasalimento di sorpresa. Alberto s’inchina). Patrizia (presentando) —• Il signor Alcantara... la signora Van Laer. La signora Van Laer (ha subito ripreso la sua sorridente impassibilità e tende la mano ad Alberto che gliela bacia) — Molto lieta. Scusi, vuol ripe termi il suo nome, non l’ho capito bene. Alberto (un po’ esitante) — Alcantara... La signora Van Laer — Alcantara?! Che cose? Una città della Spagna? Alberto —■ No, è un fiume della Sicilia. La signora Van Laer (con una fatua risata) — Oh mio Dio! Come sono ignorante! Mi scusi, Al cantara! Bel nome! Sembra davvero di sentire scor rere le acque d’un fiume! Anche a me sarebbe pia ciuto avere il nome di un fiume, di una montagna, d un fiore! E’ un peccato che non si possa scegliere il nome che più ci piace! Sarebbe simpatico, e anche comodo, non le pare? Alberto (dopo aver gettato una rapida occhiata verso Patrizia) —• Ah, si, certo! Patrizia (intervenendo per sviare il discorso) — Non ha provato a dare un’occhiata nel salone delle adunanze? Può darsi che il suo Boby sia là... La signora Van Laer — Ah, si, è probabile. Quando non sa che fare, assiste alle riunioni. Dice che lo interessano moltissimo! Invece, appena uno comincia a parlare, si addormenta dolcemente e non si sveglia che quando sente gli applausi! E anche lei, signor Alcantara, è qui per i lavori della Conferenza? Alberto (evasivamente) — Sì, in certo qual modo... La signora Van Laer — E in quale veste, se non sono indiscreta? Come delegato, come giornalista, come curioso? Alberto (imbarazzato) — Ecco, signora, le dirò... veramente io... Patrizia (intervenendo ancora per toglierlo d’im barazzo) — Vogliamo andare a vedere che succede di là? La signora Van Laer (avviandosi con Patrizia) ■—■ Andiamo pure! Ma che vuole che succeda?! Non succede mai niente! Almeno leticassero qualche volta! Ha visto quello che è accaduto nel Parla mento giapponese? Botte da orbi! Quelle sì che sono sedute divertenti! (In questo momento entra Lansen che la saluta con un lieve inchino). Lansen — Signora... La signora Van Laer — Buongiorno, Lansen, è già finita la riunione? Lansen —■ No, c’è una breve interruzione. La signora Van Laer — Ha visto per caso il mio Boby? (Lansen fa l’atto di accennare al cane ma ella lo previene prontamente) No, non il cane, mio marito! Li confondono tutti! Lansen — Ah no, non l’ho visto. Ma può essermi sfuggito. C’è tanta gente! La signora Van Laer — Vado io a vedere! Per mette signora... Patrizia — Prego... (La signora Van Laer esce dopo aver scambiato sorrisi e saluti coi delegati e gli invitati che entrano ed escono. Intanto il segretario si avvicina ad Alberto). I l Segretario (deferente e premuroso) — Per- mette. C’è l’ambasciatore del Parkistan che desidera conoscerla. Alberto (sorpreso) —■ Me? I l Segretario (avviandosi) —■ Sì, se vuol favorire per cortesia. (Alberto lo segue ed esce con lui. Intanto Lansen che evidentemente è di pessimo umore si avvicina a Patrizia e le parla a bassa voce). Lansen (accennando ad Alberto che sta uscendo) ■— Ma chi è quell’individuo? Patrizia (candidamente) — Quale individuo? Lansen (a denti stretti) — Non far finta di non capire! Quell’individuo là, quello che era stanotte in camera tua. Chi è? Che fa? Da dove viene? Patrizia —• Non lo so. Lansen (con ira repressa) — Ah, non lo sai?! E stupida questa tua tattica! Tu adesso vuoi appro fittare delle circostanze che mi impediscono di agire come vorrei. Patrizia — Quali circostanze? Lansen — Quell’individuo è un amico del gene rale Burton. Patrizia (sorridendo) — Credi? Lansen (cupamente) ■— Non c’e dubbio! Sono amici intimi, si danno del tu. Il generale rappre senta una grande nazione con la quale devo con cludere degli accordi importantissimi. Capirai che non posso mandare allaria una intesa fra due grandi potenze, per le tue divagazioni notturne! Se il generale venisse a sapere... Patrizia — Non aver paura! Non verrà a sa pere nulla! Lansen (aspro) —- Apprezzo il tuo ottimismo, ma non lo condivido! Malgrado la repugnanza che provo, sono costretto a reprimere il mio sdegno e a mantenere verso costui un atteggiamento di ri guardo! E’ un penoso sacrificio che devo compiere nell’interesse del mio paese! Patrizia — Meriteresti una medaglia! Lansen (irritato) —- Non mi sembra proprio il caso che tu faccia dell’ironia! Dovresti vergognarti piuttosto! Patrizia —• Sì, sì, mi vergogno! Non puoi imma ginare quanto mi vergogno! Lansen (guardando verso sinistra) — Ecco, sta venendo qui il generale. Fammi il piacere, cerca di essere un po’ gentile con lui. Patrizia —• Ci tieni? Lansen —- Si capisce che ci tengo! Ho bisogno del suo appoggio. Mi pare che poco fa t abbia salu tato con una certa freddezza. (In questo momento entra il generale che è anch’egli di pessimo umore. Parla a voce bassa con tono irritato al segretario che lo accompagna). Burton — Macché amico, macché amico! (Ripren dendosi) Sì, sì, va bene, amico, si capisce che è mio amico! Ma appunto per questo mi secca! Io non BUONANOTTE PATRIZIA! voglio che i rapporti diplomatici siano influenzati dafle mie amicizie personali. (E' interrotto da Lansen che si avvicina deferente e cordiale). Lansen —- E’ contento, generale, per l’andamento dei lavori della Conferenza? Burton — Contentissimo! E lei? Lansen — Sono lieto di poter constatare la nostra identità di vedute specialmente sulla delicata que stione dei Sultanati arabi. Burton — Ah, sì! I Sultanati arabi! Importantis simi! Dovremo studiare insieme una linea di con dotta... Lansen (inchinandosi) —■ Io non chiedo di meglio che farle cosa gradita, generale. Accetto fin da ora le sue decisioni. Burton (inchinandosi anch’egli) — Grazie, Eccel lenza, qualunque decisione sara ispirata ai nostri comuni interessi e alla nostra cordiale amicizia. Lansen (con un altro inchino) — Generale... Burton (con un altro inchino) — Eccellenza... (Lansen si allontana col segretario parlandogli a bassa voce animatamente. Burton si volge avvilito verso Patrizia che ha assistito alla breve scena con leggero sorriso ironico). Patrizia (beffarda) — Dunque? Come vanno i tuoi rapporti col ladro? Ho saputo che ora siete amici, che vi date del tu! Burton (imbarazzato) — E’ stato per la verosimi glianza. Volevo evitare che potessero sorgere dei sospetti e allora ho pensato di far finta che fosse mio amico. Mi è venuto così, d’istinto. Ma ho fato male. Non avrei dovuto trattarlo con troppa familiarità! Patrizia — Perché? Quel giovanotto e stato una vera provvidenza per te! T ’ha salvato da un grosso guaio! Hai ragione d’essergli grato! Burton — Ma adesso, tutti credono che sia vera mente un mio amico. Sai com’è quest ambiente, ba sta che uno mostri un po’ più di cordialità verso un altro perché subito si facciano delle congetture, delle illazioni. Ci sono mille occhi che osservano, che spiano; si dà un significato a tutto, a una stretta di mano, a un colloquio, a un sorriso. Figuriamoci se si viene a sapere che ci sono dei rapporti di ami cizia! Patrizia — Beh, che c’è di male? Penseranno che quel giovanotto sia un tuo protetto! Burton — E ti par niente? Ma non pensi alle conseguenze? Sono già tutti in subbuglio, vogliono sapere, capire. Un amico, un protetto del generale Burton? Che vorrà? Che sarà venuto a fare? Per ché è scappato fuori proprio adesso? (In questo mo mento appare sulla porta Alberto, che scambia strette di mano coi delegati che lo trattano con la massima deferenza) Eccolo là! Guarda, guarda che faccia to- ALDO DE BENEDETTI sta! E tutti quegli imbecilli che lo prendono sul serio! (Alberto si avvicina a Burton e a Patrìzia che 10 accoglie con un sorriso). Patrizia — Bravo! Ha fatto presto ad ambientarsi! Rallegramenti! Alberto •— Grazie, signora. (Volgendosi a Burton con tono confidenziale) E grazie soprattutto a te, vecchio mio! Burtìon (scattando irritato) — Mi faccia il piacere... la finisca con questo « vecchio mio » e non si per metta di trattarmi con tanta familiarità! Alberto —■ Ma è stato lei, generale, che ha vo luto... Burton —- Sì, davanti agli altri, per forza. Ma quando siamo soli, non c’è nessuna ragione! Io sono 11 generale Burton del Pentagono e lei... lei è quel lo che è. Alberto —• Va bene, generale, come crede. E adesso che cosa devo fare? Burton —■ Adesso? Adesso, visto che c’è, continui a far finta di essere un diplomatico. Alberto — Ma come deve comportarsi un diplo matico? Io non sono pratico; è la prima volta che mi capita... Burton —■ Non si preoccupi, è facilissimo! Parli poco, anzi non parli affatto! Sorrida! Se le chiedono qualche cosa, non risponda, sorrida! E’ questo l’im portante! Un buon diplomatico deve saper sorridere! (Guardando verso sinistra) Mi. pare che stia per ricominciare la seduta. Patrizia (accennando ad Alberto) — Deve assistere anche lui? Burton (dopo un attimo d’incertezza) — Ma sì! Forse è meglio! (Si avviano per uscire. Sulla porta si incontrano con la signora Van Laer che rientra. Scambio di saluti). La signora Van Laer (fermando Alberto) —• Per mette, signor Alcantara... Vorrei domandarle una cosa. Alberto (si ferma un po’ sorpreso, mentre Patrizia e Burton escono) — Mi dica, signora... La signora Van Laer — Non vorrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che noi dobbiamo esserci già conosciuti. Alberto (cauto, diffidente) — Non credo, signora. La signora Van Laer (fissandolo, attenta) — Sì, sì, più la guardo e più ne sono convinta. Alberto — Forse si tratta di una somiglianza. La signora Van Laer — No, no, non si tratta di una somiglianza. Sono sicura che ci siamo cono sciuti! Sono ormai passati molti anni. Io sono un po’ cambiata, ma lei è rimasto tale e quale! Ma mi guardi bene. Non si ricorda proprio di me? Alberto — Mi dispiace, signora. La signora Van Laer — Allora può darsi che abbia ragione lei. Forse mi sono sbagliata, mi scusi. Alberto —- Prego. La signora Van Laer —■ Vuole offrirmi una siga retta? Alberto — Una sigaretta? Subito! (Mette la mano in tasca per prendere il portasigarette, ma non lo trova. Cerca nelle altre tasche con gesti sempre più nervosi e impazienti, mentre la signora Van Laer aspetta sorrìdendo. Borbottando tra sé) Ma dove l’ho , cacciato? La signora Van Laer —• Che c’è? Ha perduto qualche cosa? Alberto (nervosamente) — Sì, il mio portasiga rette. Non lo trovo più! Non capisco, eppure ce l’avevo. L’ho usato poco fa. La signora Van Laer (trae dalla borsetta il porta- sigarette di Alberto e glielo porge) ■— E’ questo? Alberto (vivamente sorpreso) — Dove l’ha trovato? La signora Van Laer — Nella sua tasca... Mi ri conosce adesso? Alberto (con un grido, come illuminato da una rivelazione improvvisa) — Mariettina! La signora Van Laer —■ Sì. Alberto — Mariuccia! Mariuccia la svaporata/ La signora Van Laer — Proprio io. Alberto —■ Ah, ecco! Infatti mi pareva di ricono scerti! .Anch’io, appena t’ho vista, ho avuto l’impres sione, ma come potevo immaginare? Tu! Mariettina la svaporata! Ma come hai fatto a diventare la si gnora Van Laer? La signora Van Laer — Eh, casi della vita! C’è chi scende e c’è chi sale. Ma anche tu. Perbacco, sei diventato una persona importante! Alberto — Ti ricordi quando lavoravamo insieme nei grandi magazzini? La signora Van Laer — Certo cbe me lo ricordo! Sono stata io che ti ho insegnato a rubare le bor sette! Alberto — Accidenti, avevi la mano svelta! Ma dimmi, dimmi, da quanto tempo sei diventata una signora per bene? La signora Van Laer — Son quasi cinque anni! Se sapessi che barba! Una notte m’ero introdotta in una grande villa in Riviera. Credevo che non ci fosse nessuno! Invece, proprio mentre stavo scassi nando un cassetto, mi son vista apparire davanti un uomo completamente nudo con una pistola in mano! Alberto — Chi era? La signora Van Laer — Era Bartolomeo Van Laer. Alberto — Il re della cioccolata? La signora Van Laer —• Proprio lui! Era spaven- tatissimo! Poverino! Voleva telefonare alla polizia per farmi arrestare! Allora mi sono messa a piangere, gli ho raccontato che ero una povera orfana, che ero la vittima del destino e che rubavo per sfamare i miei fratellini. i _ Alberto — E lui? La signora Van Laer — S’è commosso, s è messo a piangere anche lui e non ha piu telefonato alla polizia. Per consolarmi mi ha fatto restare quella notte in casa sua. Ci sono rimasta per sempre. Ma tu, tu, come hai fatto? Alberto ■— Io? Ah, per me e tutto diverso. Figu rati che... (S’interrompe perché sulla -porta appare il segretario affannato). I l Segretario — Mi permette, Eccellenza? Alberto (sconcertato) — Dice a me? I l Segretario — Sì, signore, vorrei pregarla di favorire un momento di là. Alberto (preoccupato) — Di la... dove? ; I l Segretario — Nel salone delle adunanze. E’ necessaria la sua presenza. Alberto — La mia presenza? Perché? I l Segretario :— Non saprei dirle... Se vuol favo rire... Alberto (perplesso, stringendosi nelle spalle) • Va bene! Andiamo! (Rivolto alla signora Van Laer) M i permette, signora? La signora Van Laer — Prego, Eccellenza. (Men tre Alberto si avvia, cala il sipario). A r/"} f':- J ''r' r-Jf (Dopo un brevissimo intervallo, si rialza il sipario sulla stessa scena. Nella stessa posizione in cui: ab biamo visto, al principio del secondo atto, il ministro Lansen, vediamo ora Alberto che, assistito dallo stes so segretario, sta dettando un comunicato ufficiale alla stessa graziosa stenografa). Alberto — « Io sono ottimista! Nella mia qualità di Presidente della Commissione per i confini dei Sultanati arabi, ho il piacere di constatare che nel l’atmosfera di cordiale solidarietà e di reciproca com prensione, si può auspicare una pacifica e amiche vole intesa... ». I l Segretario (interrompendolo, con deferenza) M i permette, Eccellenza, pare che stiano sparando. Alberto — Dove? I l Segretario — Laggiù, ai confini fra i Sultanati arabi. Alberto — Ah, sì? Perché sparano? I l Segretario (stringendosi nelle spalle) ■— Eccel lenza, hanno sempre sparato, non vanno d accordo. Sa, è per la questione del petrolio. Alberto — Perché? Non hanno il petrolio? I l Segretario —-No, Eccellenza, vuole scherzare? Ne hanno troppo! Alberto — E allora? Non sono contenti? Ma il petrolio non è una ricchezza? I l Segretario — Sì, sì, una grande ricchezza! Ma per gli altri, non per loro! Lei sa bene, Eccellenza, come stanno le cose. BUONANOTTE PATRIZIA! . Si, si... Alberto (con Varia di essere informato) 10 so benissimo! 11 Segretario (a bassa voce) —- Quel petrolio inte ressa ad alcune grandi potenze. Alberto — Eh, già! I l Segretario — Per accaparrarselo, sono ricorse alla solita tattica... risvegliare lo spinto nazionale delle popolazioni perché si ammazzino fra loro... Così possono intervenire per pacificarle. Alberto — E si pigliano il petrolio! I l Segretario — Appunto! Ma lei, Eccellenza, queste cose le sa meglio di me! Alberto — E come no! (Traendolo un po da par te) Però c’è una cosa che non ho ancora capito. Per ché hanno nominato proprio me, presidente della Commissione? I l Segretario — Eccellenza, lo sa come vanno queste cose. Il ministro Lansen ha proposto la sua candidatura per far piacere al generale Burton. Il generale Burton l’ha appoggiata per far piacere ai ministro Lansen. Gli altri delegati 1 hanno^ accettata per far piacere al ministro e al generale! E così che avvengono normalmente le elezioni! Alberto — Ah, ecco! E si può sapere a che cosa serve questa commissione? I l Segretario — A niente! Infatti è stata già nomi nata una sottocommissione di esperti incaricati di studiare le cause dei conflitti e riferire. ^ Alberto — E mentre la sottocommissione studia, quelli laggiù continuano ad ammazzarsi? I l Segretario — Per forza! Ormai... _ Alberto — Eh, già! Ormai non c 6 niente da fare. (Riprende a dettare alla stenografa) Scriva, signo rina. «Io sono ottimista...». La Stenografa — Scusi, Eccellenza, questo lho già scritto. Alberto — Ah, sì, è vero. Dove eravamo arrivati? La Stenografa (rileggendo) — « ... si può auspi care una pacifica e amichevole intesa... ». Alberto (perplesso, al segretario) — Che cosa pos siamo auspicare? I l Segretario (suggerendo) — ... una rapida cessa zione degli incresciosi incidenti... Alberto — Benissimo! (Dettando) « Una rapida cessazione degli incresciosi incidenti... in un clima di pacifica e amichevole intesa ». (Al segretario) Cre do che possa bastare! I l Segretario — Sì, sì, è più che sufficiente! (Alla stenografa) Ne faccia tre copie. La Stenografa (avviandosi) — Va bene. (Mentre la stenografa esce, Alberto, si avvicina ad una grande carta geografica attaccata ad una parete). Alberto — Senta, per favore, vuole mostrarmi do ve si trovano questi benedetti Sultanati arabi? I l Segretario — Sì, Eccellenza, subito! (Si avvi cina anch'egli alla carta e comincia a cercare con lo ALDO DE BENEDETTI sguardo) Ecco, si trovano... si trovano precisamente... Alberto — Non lo sa nemmeno lei?! I l Segretario (confuso) — Sì, sì, lo so, ma in que sto momento non riesco a individuarli. Eppure do vrebbero essere da queste parti! (Alberto e il segre tario continuano a cercare sulla carta. A destra entra Patrizia che vedendo Alberto ha un ■pìccolo moto di contrarietà e fa l atto di tornare indietro). Alberto (si volge, la vede e rapido traversa la scena per trattenerla) — Signora... Patrizia (fermandosi) —• Buonasera... (Intanto il segretario che ha continuato a cercare sulla carta, si volge trionfante indicando un punto). I l Segretario —• Eccoli qui, Eccellenza. Li ho trovati! Alberto (evasivo) — Va bene, grazie, vedrò poi... I l Segretario (inchinandosi verso Patrizia) — Ha ancora bisogno di me, Eccellenza? Alberto — No, grazie, vada pure... (Il segretario esce da sinistra. Appena rimasto solo con Patrizia, Alberto le si avvicina ansioso) Oh, finalmente! E’ quasi una settimana che non riesco a vederla! Ma dove è stata? Patrizia (con indifferenza) — In nessun posto. Eln po’ qui, un po’ là, come al solito. Alberto Ma no, non è possibile! In questi gior ni non ho fatto altro che cercarla, negli alberghi, alle riunioni della conferenza, al golf, a teatro... per fino in camera sua. Patrizia -— In camera mia?! Alberto Ma si, per forza! Volevo vederla, par larle. Ma lei non c’era. Erano quasi le due di notte e lei non c’era! Dov’era a quell’ora? Patrizia (con una risata nervosa) — Che è? Una scena di gelosia! Non ci mancherebbe che questo per raggiungere il colmo dell’assurdo, che lei mi facesse delle scene di gelosia. Alberto (gravemente) — Io non ho il diritto di farle delle scene, ma nessuno può impedirmi di es sere geloso! Patrizia — Geloso? lei?! Be’, adesso non esaoeri! Non prenda la sua parte troppo sul serio! Alberto — Ma io in questo momento non recito una parte. Siamo soli. Perché dovrei fingere? Le dico che sono geloso perché è la verità! Me°ne sono accorto in questi giorni. La gelosia non dipende mica dalla volontà. Nasce così, d’improvviso, non si sa perche... Una volta mi e capitato di esser geloso di una regina. Patrizia Ah! Allora sono in buona compagnia. Alberto — Sì, una regina molto bella! L’amavo ed ero pazzamente geloso. Ritagliavo le sue fotogra fie dai giornali, restavo delle ore vicino al palazzo reale per vederla passare. Soffrivo pensando che ogni sera il re andava a letto con lei. Patrizia — Non avrà mica avuto l’intenzione di ammazzare il re! Alberto Si, qualche volta, ma non potevo: ero monarchico! Ecco, vede, adesso la stessa cosa mi capita con lei. Lei per me è lontana, irraggiungi bile, come quella regina. Eppure sono geloso lo stesso! Non so se questo voglia dire che mi sono innamorato di lei. Può darsi, anzi ho paura che sia proprio così. Ma a lei che importa? Che fastidio le dà? Non le chiedo di ricambiare il mio amore! Credo che a una donna faccia sempre piacere di essere amata, anche se chi l’ama è un uomo qualsiasi, un uomo come me. Non è così? Patrizia (turbata e nervosa) — Sì, credo, non so. Ma che significa questo discorso? Adesso vorrebbe farmi credere... Alberto (interrompendola) — No, signora, non voglio farle credere nulla! Non badi a quello che le ho detto. Sono sciocchezze. Piuttosto mi dica: perche è tanto arrabbiata con me? Patrizia — Arrabbiata con lei?! Affatto! Alberto —■ Sì, sì, non può negarlo! In questi gior ni ha cercato sempre di sfuggirmi... Anche adesso, appena mi ha visto! Patrizia ■ Ebbene, sì, è vero! Non desidero in contrarmi con lei! Alberto — Ma perché? P -kizia Può immaginarlo! Questa nostra stu pida avventura sarà piacevole per lei; ma non è af- fatto divertente per me! Alberto — Lo capisco, signora, ma non è colpa mia. Lei ha visto come si sono svolte le cose. E’ stato come un ingranaggio. Patrizia — Già! Un ingranaggio. Ma mi pare che lei ci si trovi bene in questo ingranaggio. Alberto Oh Dio! Non mi posso lamentare. Patrizia — Io, invece, mi ci trovo malissimo. E' una situazione ridicola e irritante. Non vedo l’ora di uscirne. Sono stufa di tutte queste finzioni. Sa rebbe stato meglio che avessi detto subito la verità a mio marito. Alberto ■ Gliela può dire adesso. E’ ancora in tempo. Patrizia — No, adesso è troppo tardi. Ormai sia mo nell ingranaggio e dobbiamo restarci. Ma lei, piuttosto, sara contento. Il suo famoso sogno con tinua. Alberto — Altro che continua. Tutti sono genti lissimi con me: ministri, ambasciatori, generali. Mi invitano a pranzo, mi confidano i loro segreti, mi raccontano le barzellette. Patrizia Ebbene? Non è questo che deside rava? Ci teneva tanto ad entrare nel nostro mondo! Adesso c e entrato in pieno! Non è soddisfatto? Alberto (senza troppo entusiasmo) — Sì, sì, ma non so, forse è perché non mi sono ancora ambien- & BUONANOTTE PATRIZIA! tato, ma prima, quando ero fuori, tutto mi sembrava affascinante, meraviglioso. Adesso invece... Patrizia — Deluso? Alberto — Eh, sì, un poco. M i sembra una vita piuttosto noiosa. Patrizia — A chi lo dice. Lei la vive da pochi giorni! Pensi che divertimento per chi è condannato a viverla sempre! La noia! Questa terribile noia che ci accompagna per tutta la vita... Quando ero bam bina, sbadigliavo in mezzo ai miei costosi giocattoli e invidiavo i ragazzacci che giocavano per ia strada. Alberto — Io ero un ragazzaccio di strada! Patrizia — Beato lei! Poi quando sono cresciuta mi hanno mandata in un collegio di signorine in Svizzera... Alberto — A me mi hanno rinchiuso in un rifor matorio, ma dopo quindici giorni sono riuscito a scappare. Patrizia (un po’ sognante) — Anch io avrei voluto scappare! E’ sempre stato il mio sogno poter scap pare! Dal collegio, dalla casa di mio padre,^ dalla casa di mio marito. Cambiare, vivere una vita di versa, liberarsi una volta per sempre da questa in sopportabile noia che non ci abbandona mai! Ma 10 sa che in certi momenti quasi quasi la invidio... Alberto (sbalordito) —■ M ’invidia? Patrizia — Sicuro che la invidio! La sua dev es sere una vita scomoda, agitata, piena di rischi e di pericoli, ma non sarà certamente monotona e noiosa come la nostra! Alberto —• Noiosa? Per carità. Non si ha davvero 11 tempo di annoiarsi! Sempre in ansia, sempre sul chi vive, senza mai un momento di tranquillità. Patrizia — Ma dev’essere emozionante, piena di sorprese, d’imprevisti. Alberto — Ah, sì, le emozioni non mancano di sicuro! Basta un piccolo errore, un momento di di strazione per finire in galera! Patrizia — Ma è appunto questo continuo peri colo che deve rendere appassionante la vostra vita! Alberto — Sì, signora, ha detto la parola giusta: appassionante! E poi c’è il gusto, il piacere dell az zardo, del rischio. Lei non può immaginare quanto sia eccitante questo piacere; probabilmente non le è mai capitato di rubare. Patrizia — No, mi manca questa esperienza. Alberto — Ecco, appunto. Bisogna aver provato. Per esempio, l’emozione di entrar di notte in una casa sconosciuta, di avanzare nel buio trattenendo il respiro, sapendo che intorno c’è della gente che dorme e che al minimo rumore potrebbe svegliarsi. Sfiorare con le dita i mobili, gli oggetti, cercare e scoprire dove sono nascosti i gioielli, il denaro. Patrizia — Ma lei non ha paura quando compie queste imprese? Alberto —- Certo che ho paura, una paura male detta! Se non ci fosse la paura, non ci sarebbe più gusto, sarebbe un lavoro stupido, banale... un la voro che potrebbe fare chiunque. Patrizia — E non le è mai capitato d esser sor preso mentre rubava? Alberto —• No, mai! M ’è sempre andata bene! Prima che acchiappino me! (Mentre Alberto pro nuncia con sorrìdente sicurezza queste parole, un uomo di mezz’età, che è entrato da sinistra, gli si avvicina e gli posa una mano sulla spalla). L’Ispettore {con tone rude) — Giovanotto, siete in arresto! Alberto {volgendosi vivamente) — Come?! L’Ispettore (afferrandolo per il braccio) — Avanti, poche storie. Non cercare di fare resistenza perché è peggio! Alberto (mostrandosi sorpreso e indignato) — Ma insomma, si può sapere che cosa vuole da me? Non capisco. L’Ispettore — Che cosa voglio?! Adesso te lo fac cio vedere! Voglio metterti le manette. Avanti, 1 al tro braccio! (E con un brusco movimento gli afferra l’altro braccio e gli mette ai polsi le manette, mentre Patrìzia assiste ammutolita dallo spavento). Alberto (cercando ancora di protestare) — Ma badi che lei si sbaglia! Qui c’è un equivoco! Lei mi con fonde con un altro! (Accennimelo a Patrizia) Anche la signora può dirle... Patrizia (emozionatissima) —- Sì, sì, le assicuro... dev’essere un errore. Lui è il signor Alberto Alcan tara! L’Ispettore (con una risata) — Ah, sì? Alberto Al cantara? Questa è l’ultima edizione? E Pablo Rodri- guez? E Leone Guerrieri?! E Ludovico Santel? E il barone Martinelli dove sono andati a finire? Alberto (fingendo la massima sorpresa) —• Chi sono questi signori? L’Ispettore — Ah, non li conosci? E’ la prima volta che li senti nominare! (Volgendosi a Patrizia e accennando ad Alberto) Questo di nomi ne ha più di un elenco telefonico. Patrizia (tentando ancora di difenderlo) — Ma guardi, le assicuro che io... L’Ispettore (interrompendola con garbata fermez za) — Lei non c’entra, signora. Lei è fuori causa! E’ stata ingannata come sono stati ingannati tanti! Le posso garantire che non c’è nessun equivoco! Io sono un ispettore dell’LIfficio internazionale! Questo signore è un pericolosissimo ladro ben noto a tutte le polizie! Lo teniamo d’occhio già da molto tempo! (In questo momento entra gaia e sorridente la si gnora Van Laer). La signora Van Laer (salutando Patrizia) — Si gnora Lansen, come sta? Patrizia (nervosa e preoccupata) ■— Bene, bene, grazie... ALDO DE BENEDETTI La signora Van Laer (volgendosi verso Alberto) — Caro signor Alcantara... [Si ferma sorpresa veden dolo ammanettato) Oh, ma che succede?... Patrizia (costernata) —■ L’hanno arrestato... La signora Van Laer — Davvero? E perché? Alberto [con aria rassegnata) — Pare che abbiano accertato che io sono un pericoloso delinquente! La signora Van Laer (indignata) — Oh, ma che sciocchezza! Chi è quel cretino che dice una cosa simile? L’Ispettore [con tono sostenuto) ■— Quel cretino sono io! E la invito a misurare i termini! La signora Van Laer — Io non misuro niente! Le ripeto che lei è un cretino o un pazzo. L’Ispettore (minaccioso) — Badi, signora! La signora Van Laer (beffarda, provocante) — Che vuol fare? Vuole arrestare anche me? (Porgendo i polsi) Avanti, si accomodi, mi metta le manette! Patrizia [intervenendo) — Senta, signora, forse sa rebbe meglio... La signora Van Laer (sempre più indignata) — E una cosa inaudita! Il signor Alcantara è amico mio... e i miei amici sono tutte persone rispettabi lissime! (L'ispettore, sempre tenendo Alberto per un braccio, si avvicina ad un tavolino su cui è un tele fono. Comincia a comporre un numero. La signora Van Laer si avvicina a Patrizia e le parla a \bassa voce) Che facciamo, signora? Non possiamo abban donarlo così! Bisogna cercare di salvarlo! Patrizia — Salvarlo come? Non è possibile! Pur troppo non si tratta di un equivoco! E’ meglio che lo sappia anche lei! Lui è veramente un ladro! La signora Van Laer — Ah, lo so... Patrizia (sorpresa) —- Lo sa? La signora Van Laer — Certo che Io so! Ma come? Lo sapeva anche lei? Patrizia — Sì, ma io... (Si interrompe vedendo passare oltre la vetrata di fondo il generale Burton che sta parlando con un delegato) Oh, ecco il gene rale Burton! Lui forse potrà aiutarlo! La signora Van Laer — No, no, per carità! Se viene a sapere che è un ladro... Patrizia —■ Non si preoccupi. Lo sa già! La signora Van Laer (sbalordita) — Lo sa?! Anche lui?! Ma insomma, lo sanno tutti... (Intanto Patrizia e andata a raggiungere Burton. Lo trae da parte e 10 informa della situazione indicandogli Alberto ammanettato, tenuto per il braccio dall’ispettore. 11 generale appare preoccupatissimo. Breve scambio concitato di parole fra lui e Patrizia. Poi Burton entra. Traversa risolutamente la scena e si avvicina all’ispettore che sta tentando invano di parlare con un numero che è sempre occupato. Patrìzia e la signora Van Laer seguono di lontano la scena). Burton (secco, autoritario) — E’ lei che si è per messo di arrestare questo signore? L’Ispettore (sconcertato e intimidito) —■ Sì, signor generale... Burton (con tono di comando) —- Gli tolga subito le manette! L’Ispettore — Ma, signor generale... Burton (interrompendolo, aspro) — Ha sentito quello che le ho detto? Obbedisca! Gli tolga subito le manette! L’Ispettore —• M i permetta, signor generale, ma questo è un ladro! Burton — Non dica sciocchezze! Il signore è un distintissimo diplomatico e gode di tutta la mia fiducia! L Ispettore — Ma c’è un regolare mandato di cattura... Burton — Un mandato di cattura?! Faccia vedere! L’Ispettore (affrettandosi a trarre di tasca un fo glio e mostrandoglielo) — Ecco, signor generale... guardi... è firmato dal Capo della Polizia. Burton (dopo aver gettato un’occhiata al foglio se lo getta in tasca) — Questo lo tengo io! Parlerò io stesso col Capo della Polizia! Intanto nella qualità di generale del Pentagono e di membro del Supremo Consiglio Internazionale, le ordino di mettere subito in libertà questo signore! Assumo io tutte le responsabilità! L’Ispettore (sbalordito, inchinandosi con deferente rispetto) — Ah, se è così... non mi resta che ubbi dire! Mi perdoni, signor generale, io credevo di compiere il mio dovere... Burton (seccamente, con impazienza) -— Avanti! Si spicci! L’Ispettore — Sì, signore, sì, signore... (Si affretta ad aprire con l’apposita chiave le manette che toglie dai polsi di Alberto, mormorandogli confuso) Mi scusi, mi scusi tanto. Alberto (con un sorriso indulgente) — Prego! (Tendendo la mano a Burton) Grazie, generale! Burton (ostentando la massima cordialità) — Ma di niente, amico mio! Sono ben lieto di aver potuto dirimere questo increscioso contrattempo! (In questo momento entra da sinistra il ministro Lansen. Scam bio di saluti con Burton). Lansen — Buona sera, caro generale. Burton —■ Come sta, caro ministro? Lansen (vedendo Alberto, lo saluta con particolare effusione) — Oh, Eccellenza... sono molto lieto di vederla! Avevo proprio bisogno di lei. Alberto — Di me?! Lansen (prendendolo sotto braccio) — Non so se il mio segretario le ha già accennato. Si tratta di una cosa che mi sta particolarmente a cuore. (Men tre l’ispettore li guarda esterrefatto, Burton lo trae in disparte e gli parla con tono misteriosamente allusivo). Burton —- E’ inutile che le raccomandi la massima riservatezza! Sono in giuoco degli importantissimi BUONANOTTE PATRIZIA! interessi internazionali. Lei mi capisce, e vero? L’Ispettore — No, signor generale... Burton (con tono ancor più misterioso) Segreti di Stato! Non posso dirle di più! Ma bisogna evi tare qualsiasi rilerimento a fatti precedenti. Chiaro?! In ogni modo confido nella sua intelligente com prensione... Lei che grado ha? L’Ispettore — Sono ispettore aggiunto di seconda classe. Burton (battendogli una mano sulla spalla) Bene! M i ricorderò di lei! (Si avvicina guardingo a Patrizia e le parla a bassa voce) Sta’ tranquilla! Nessun pericolo! Dopo ti spiegherò... Patrizia — Bada che la signora Van Laer sa tutto! Burton (impressionato) — Ma no, non è possibile! Come lo sa? Chi glielo ha detto? Patrizia — Ah, io no davvero! Attento, eccola. (Infatti la signora Van Laer si avvicina). La signora Van Laer — Allora, generale, mi dica... che cosa era successo? Burton •—• Uno spiacevole equivoco che è stato facilmente chiarito. La signora Van Laer (con un sorriso) — Uno dei soliti errori giudiziari! Questi funzionari non hanno il senso dell’opportunità! Fortuna che è arrivato lei. Ci vogliono sempre i generali per salvare le situa zioni difficili! (Volgendosi verso Lansen che si sta avvicinando con Alberto) Signor ministro, mi per metto di farle notare che lei non mi ha ancora salutata! Lansen (baciandole la mano) —• Mi scusi tanto, signora. Non l’avevo vista. La signora Van Laer — Beh, questo non mi sembra un complimento! Ma non importa. (Volgen dosi ad Alberto) Signor Alcantara, vuole accom pagnarmi? Alberto —• Dove? La signora Van Laer (infilandogli il braccio sotto il braccio) — Non si preoccupi dove. Stia tran quillo. Non la porto alla perdizione! (Si avviano^ verso sinistra. Passano davanti all’ispettore che si profonde in inchini rispettosi ed escono da sini stra. Intanto Patrizia, Burton e Lansen sono rimasti un po’ imbarazzati senza sapere che dirsi. Per vin cere il disagio del silenzio, Burton ha offerto delle sigarette e vorrebbe accenderle). Burton (frugandosi nelle tasche) ■— M i dispiace, non ho fiammiferi. Avevo un ottimo accendisigari ma l’ho perduto. Lansen (frugandosi anche lui nelle tasche) — Anche il mio non so dov’è andato a finire. Burton (all’ispettore) — Per favore, avrebbe dei fiammiferi? L’Ispettore (slanciandosi premuroso) — Si, ecco, subito! (Si affretta a trarre di tasca una scatola di fiammiferi e ad accendere le sigarette dì Patrizia, di ispettore, _ Lansen e di Burton. Mentre sta compiendo questa operazione, Burton lo raccomanda a Lansen). Burton — A proposto, caro ministro, vorrei ri chiamare la sua benevola attenzione su questo so lerte funzionario... Lansen — Ah, sì, senz altro! Perche? che ha ratto. Burton — Ha dimostrato una perspicacia e una avvedutezza che credo meritino un adeguato ap prezzamento! Lansen — Giusto, giusto! Il merito deve essere sempre riconosciuto! (All’ispettore) Lei che grado ha? L’Ispettore — Ispettore aggiunto di seconda classe. Lansen — Bene. M i faccia avere subito un ap punto con le sue generalità. Si, Ec- L’Ispettore (-profondendosi in inchini) cedenza; grazie, Eccellenza! Grazie, signor gene rale! Signora... (Sempre inchinandosi indietreggia ed esce. Un momento di silenzio generale imba razzante). Burton (guarda l’orologio che ha al polso) Oh, perbacco! Già le sette e mezzo! Come vola il tempo! Ora che mi ricordo avevo un appuntamento per le sette! Permettono? Lansen — Prego, prego. Signora. Burton (inchinandosi verso Patrizia) Patrizia — Buona sera, generale. (Burton esce da sinistra. Un altro momento di silenzio. Patrizia, dopo aver gettato qualche boccata di fumo, schiaccia la sigaretta in un portacenere e fa l’atto di avviarsi verso destra). Lansen — Dove vai? Patrizia —■ A cambiarmi per il pranzo. Lansen — Aspetta. C’è tempo! Vorrei parlarti un momento! Patrizia —■ Proprio adesso? Lansen —- Abbiamo così poche occasioni di ve derci! Bisogna che ne approfitti! Forse ti mera viglierai per quello che sto per dirti. Patrizia —- Ormai non mi meraviglio più di nulla! Lansen — Tanto meglio! Del resto tu sei una donna intelligente e soprattutto sei una donna di spirito! Ci sono delle situazioni che non possono essere giudicate secondo una convenzionale men talità borghese, ma che richiedono una certa spre giudicatezza, una coraggiosa modernità di vedute. Patrizia (diffidente) — A che cosa vuoi alludere? Non capisco? Lansen — Vengo subito al fatto. Tu sai che il nostro paese è particolarmente interessato alle con cessioni dei territori petroliferi. Patrizia — Ebbene? Lansen — Tu puoi immaginare quali ingenti inte ressi dipendano da queste decisioni... interessi che io debbo tutelare come ministro degli esteri, ma anche, è bene che tu lo sappia, anche come privato cittadino, perché ho impegnato dei forti capitali ALDO DE BENEDETTI nelle società petrolifere. Naturalmente, per ovvie ragioni di delicatezza, il mio nome non appare. Patrizia —- Ma scusa, non capisco che centro io con questi affari! Lansen — Ecco, è questo il punto. Tu sai che è stata nominata una commissione per la delimita zione dei confini... e che a presiedere questa com missione e stato eletto il signor Alcantara. Patrizia (fissandolo duramente) —■ E allora? Lansen ■—- Allora, tu sei troppo intelligente per non aver capito quello che voglio dire. Patrizia - Si, si, 1 ho capito, l’ho capito perfetta mente! In altre parole tu mi chiedi di rivolgermi ad Alcantara per ottenere il suo appoggio! Lansen —• Esatto! Patrizia (indignata e sprezzante) — Tu sei con vinto che Alcantara e il mio amante e mi mandi proprio da lui per chiedergli di aiutarti nei tuoi sporchi affari?! Lansen (con aria annoiata) — No, ti prego, la sciamo da parte i paroioni altisonanti! Restiamo nella logica dei fatti! Tu sei l’amante di Alcantara, questa è una realtà che tu hai creato e che io non posso modificare. Ebbene, se da questa realtà, in dubbiamente spiacevole per me, può derivarmi un qualche vantaggio che possa servirmi in parte di compensazione, non vedo la ragione per cui io, proprio io, dovrei escluderlo! Patrizia (con duro sarcasmo) — E questa tu la chiameresti una coraggiosa modernità di vedute?! Piai ragione! Ci vuole veramente del coraggio! Lansen — Del buonsenso, cara, soprattutto0 del buonsenso! Non dimenticare che il buonsenso è la prima qualità di un diplomatico! Patrizia ■ E non hai vergogna di parlarmi così?! Ma non ti accorgi che questo tuo cinismo... Lansen — ...è ributtante! Lo so! Anche questa è una frase fatta! Rientra nel repertorio classico, ma ricordati che io non agisco solo nel mio inte resse... io agisco soprattutto nell’interesse del mio paese. Patrizia (con uno scatto sdegnoso) — Ma lascialo in pace il tuo paese! Il paese non c’entra! E’ inutile che cerchi di mascherare di patriottismo le tue sudice speculazioni! Lansen (con fredda, amara pacatezza) — E perché no? Il patriottismo nobilita qualunque cosa, anche le più spregevoli. Non abbiamo più nulla da per dere! D amore non è il caso di parlare! Di stima nemmeno! Tu hai voluto rinunziare alla mia e io non ci tengo a conservare la tua! Che cosa resta dunque fra noi? Niente! Una tranquilla, indiffe rente sopportazione! Ma c’è ancora una cosa che ci lega, e che ti consiglio di valutare seriamente. Quelle sudice speculazioni, quegli sporchi interessi, come tu li chiami, sono miei, ma sono anche tuoi! Tu ami le belle case, i gioielli, le pellicce! Tutto questo si chiama petrolio! Non lo dimenticare! É ora credo che non abbiamo altro da dirci. Puoi andare a cambiarti per il pranzo... Patrizia (che lo ha ascoltato in silenzio, resta immobile a capo chino, umiliata, avvilita. Cupa mente, con voce sorda) — Che schifo! Lansen -— D’accordo! (Sulla porta appare Alberto che, vedendo Lansen e Patrizia, ha un attimo di incertezza). Alberto — Oh, mi scusino. Lansen (con molta cordialità) — Prego, prego, s’accomodi. Alberto (esitante) — Ma non vorrei interrompere... Lansen — Non interrompe niente! Stavamo par lando di cose di nessuna importanza. (Rivolgendosi gentilmente a Patrizia) Se permetti, mia cara, ora che sei in buona compagnia, ti lascio un momento, perche ho qualcosa da fare. (Ad Alberto) Credo che noi ci vedremo stasera al pranzo della dele gazione svedese. Alberto —- Sì, infatti. Lansen (avviandosi) — Allora a più tardi, amico mio. Alberto — A più tardi! (Lansen esce. Alberto che lo ha seguito con lo sguardo, si volge sconcertato verso Patrizia) Ma perché è tanto gentile con me? Non capisco! Patrizia —• Strano, è vero? Alberto — Poco fa mi ha preso sottobraccio e mi ha parlato come fossimo dei vecchi amici. E adesso, ha sentito? Anche lui mi ha chiamato « amico mio » come il generale! Patrizia — Probabilmente finirete per darvi del tu! Alberto (perplesso) — Ma come è possibile? Dopo quello che è accaduto? Patrizia — Ma lei crede veramente che mio marito sia un cretino? Alberto — Ma non so, il suo modo d’agire... Patrizia —- Magari fosse un cretino! Meriterebbe almeno della compassione! Lo sa di che cosa sta vamo parlando poco fa, prima del suo arrivo? Parlavamo proprio di lei! Alberto (sorpreso) ■—■ Di me? Patrizia — Sì, di lei e dei nostri rapporti. Proba bilmente lei immagina che mio marito mi abbia chiesto d’interromperli. Neanche per sogno! Mi ha chiesto invece di renderli più intimi, più teneri, più affettuosi. Alberto (sbalordito) — E perché? Patrizia — Perché mio marito è un uomo pratico! Se ne infischia che io abbia un amante e si preoc cupa solamente di curare i suoi interessi. Alberto — Quali interessi? Patrizia -— Ma come? Non ha ancora capito? In 1 ' BUONANOTTE PATRIZIA! cambio delle mie espansioni, lei dovrebbe favorirlo nelle concessioni petrolifere! Alberto (ancora incredulo) — Suo marito le ha chiesto questo?! Patrizia — Si! Ma perché si meraviglia? E un modo pratico, intelligente, moderno di vedere le cose! Ma che credeva? Che quelle gentilezze, quei sorrisi che le facevano tanta impressione, fossero per lei! Non si illuda, povero ingenuo! Erano per il petrolio, per quel dannato petrolio che fa impaz zire tutti! E per averlo tutti sono pronti a ricorrere a qualsiasi bassezza. Le butteranno nelle braccia le mogli, le figlie, le amanti! Ma perché mi guarda cosi? Scandalizzato?! Eh, sì, capisco... le prime volte si prova un senso di nausea, di disgusto! Ma poi a poco a poco ci si abitua! Vedrà che col tempo, finirà per abituarsi anche lei! Alberto (con uno scatto orgoglioso di rivolta) Io? Abituarmi a queste cose?! Ma per cbi mi prende, signora? Io queste cose non le ho mai fatte! Io sono un ladro! Patrizia — Oh scusi, non volevo offenderla! Alberto ■— Certo che mi offende! Io, il mio me stiere, l’ho fatto sempre apertamente senza im brogli, senza intrighi. Servirmi di una donna?! Ma io mi vergognerei solo a pensarla una cosa simile! Se sapesse quante volte ho rischiato la galera per la gioia di far felice una donna! Aveva ragione d’invidiarmi per la mia vita! Anch io la rimpiango ora che posso confrontarla con la vostra. Ora mi sembra tanto più onesta, più rispettabile, più gene rosa! Non è per me questo mondo, non lo capisco, non mi ci ritrovo! Patrizia — Sì, ha ragione. Se ne vada, se ne vada finché è in tempo! Si levi da queste vergogne, da queste brutture! Oh, se potessi anch’io. Alberto — Lei?! E perché non può? Chi glielo impedisce? Venga via con me! Patrizia (spaventata all'idea) — Io? Alberto — Venga via! Anche lei non e fatta per questa gente! L’ho capito fin dal primo momento che l’ho vista! Lio sentito che lei aveva un’altra anima, un altro cuore! Venga via, venga via. Patrizia (turbata, perplessa) — Via?! Ma via dove? Alberto — Via, via per il mondo! Non importa dove, non ci pensi! La vita è bella appunto perché non si sa quello che ci aspetta! M ’ha detto che ha sempre sognato di poter scappare. Ecco, è questo il momento! Lei forse non ha mai avuto il coraggio perché era sola, ma ora ci sono io ad aiutarla! Patrizia — Lei?! Alberto (con slancio appassionato) — Sì, io, Pa trizia! Prima non avrei osato parlarle in questo modo, avrei avuto paura d’offenderla, ma ora la so così sola e infelice, sento che ha tanto bisogno d'aiuto. Si affidi a me, non abbia paura, le offro di vivere la mia vita. Non è certo comoda e tranquilla come quella che ha vissuto fino ad ora, ma e vita! Una vita che vai la pena di vivere! Ecco, è questo che conta, Patrizia, vivere! Patrizia (incantata) — Sì, sì, ha ragione! Alberto (serrandola tra le braccia con un impulso improvviso) — Patrizia! (La bacia. Patrizia si abban dona vinta. Qxtando si stacca da lui, lo guarda tur bata, smarrita, cercando debolmente di respingerlo. Alberto, trattenendola tra le braccia commosso, fe lice) Siamo tornati indietro, a quel nostro primo bacio, ricordi? Non avrei dovuto lasciarti, quella notte... avrei dovuto portarti via con me! Patrizia (con gli occhi chiusi e con voce sommessa, dolcissima) — Perché non l’hai fatto? Alberto — Perché non sapevo ancora d’amarti. Patrizia — Nemmeno io! Quando l’hai saputo? Alberto — Appena t’ho lasciata. Patrizia —■ Anch’io! Alberto — Veramente? Patrizia — Veramente! Alberto (attirandola a sé per baciarla ancora) Oh, Patrizia. Patrizia (staccandosi bruscamente) — Attento... c’è gente! (Oltre la vetrata di fondo si vedono pas sare frettolosamente due delegati che parlano anima tamente. Patrizia e Alberto hanno assunto un con tegno indifferente. Appena i delegati sono scomparsi, Alberto si riavvicina a Patrizia). Alberto (con impazienza) — Andiamo via, an diamo via! Patrizia (un po’ spaventata) — Ma come? Così?! Subito?! Alberto — Sì, sì, subito, subito! Perché aspettare? Ormai abbiamo deciso. Patrizia — Ma lasciami almeno il tempo di pre pararmi, di prendere qualche cosa. Alberto — Ma no... che vuoi prendere? Non hai bisogno di niente! Prendo tutto io! Patrizia (con un sorriso) — Ma perche tanta fretta? Alberto —• Non voglio lasciarti il tempo di pen tirti, di cambiare idea. Telefono alle nove. Trovati pronta. Patrizia (facendo l’atto di avviarsi) — Va bene! Alberto (trattenendola ancora per la mano) Giurami che non mancherai! Patrizia — Non mancherò! Giuro! (Esce rapida da destra. Alberto resta un momento a guardare nella direzione verso cui si è allontanata. Si volile con una espressione di serena felicità e fa latto di diri gersi verso sinistra. Ma fatti pochi passi, si ferma di nuovo impietrito vedendo l'ispettore che entra e avanza deciso verso di lui). L’Ispettore — Oh finalmente ti ho trovato! Pro- ALDO DE BENEDETTI prio te cercavo. (Alberto lo accoglie con aria rasse gnata già preparandosi a porgere i polsi per le ma nette. L ispettore, cambiando a poco a poco il tono cordiale in un tono deferente e rispettoso) M i di spiace per quello che è accaduto! Abbi pazienza! Chi poteva immaginare che tu... che lei... sì, in somma, mi scusi... non sapevo che lei fosse diventato una persona così importante! Se l’avessi saputo, s’immagini. Alberto (rinfrancato, posandogli una mano sulla spalla, con gesto di protezione) — Ma sì, capisco... capisco perfettamente! Non si preoccupi, ispettore, non è più il caso di parlarne... L’Ispettore (inchinandosi) — Grazie, Eccellenza. Ho già provveduto ad informare l’ispettore capo. Anzi a questo proposito vorrei permettermi di rivol gerle una preghiera. Alberto — Mi dica. L Ispettore Si tratta della mia promozione. Il generale Burton ne ha parlato al ministro Lansen e il ministro ha fatto prender nota del mio nome. Se anche lei volesse mettere una buona parola. Alberto — Ma sì, certo... ci conti! L’Ispettore (profondendosi in inchini) — Grazie, Eccellenza, non so come esprimerle la mia grati tudine! La prego di considerarmi sempre ai suoi ordini! Se ha bisogno di qualunque cosa disponga di me, senza complimenti! Non ha altro che da comandare! Alberto (colpito da un’idea) — Grazie, ispettore. Ah! forse potrebbe farmi un favore. L Ispettore —- Mi dica, Eccellenza. Alberto — Avrei bisogno di una macchina. L’Ispettore — Senz’altro! Le metto subito a dispo sizione una macchina di servizio. Come la prefe risce? Grande o normale? Ha del bagaglio? Alberto molto bagaglio! L Ispettore Allora e meglio una macchina grande. Provvedo subito! Desidera anche una scorta? Alberto — Una scorta?! L’Ispettore — Sì, un paio di agenti. Potrebbero esserle utili. Alberto Sì, buona idea! Possono servire per caricare e scaricare il bagaglio! Mandi anche gli agenti! L Ispettore — Inteso! Una macchina grande con due agenti di scorta. Dove debbono trovarsi? Alberto — Qualche minuto prima delle nove... dietro al Grand Hotel. L Ispettore — Non dubiti, ci saranno! Alberto (avviandosi verso sinistra) —- Grazie, ispettore! L’Ispettore (inchinandosi profondamente) — Ec cellenza!... No, no... cioè sì... avrò del bagaglio... b 6 A T T O T E R Z O (La stessa scena del ■primo atto. Patrizia, seduta al tavolino da toilette, sta scrivendo una lettera. Si ferma incerta, scrive qualche altra riga, si ferma ancora per rileggere. D’improvviso si alza, si avvi cina al telefono e stacca il microfono). Patrizia (parlando al telefono) — Pronto... mi dia la comunicazione con la camera del generale Bur- ton... sì, grazie, aspetto all’apparecchio... (Dopo una breve attesa) Pronto... sono io, Patrizia. Come? Ma no, non aver paura... come vuoi che stiano a sentire al centralino?! Ma si, sta tranquillo. Sono pruden tissima. Senti, ho bisogno di parlarti... puoi venire un momento da me? Sì, qui, in camera mia... Ma non ti preoccupare! Mio marito non viene. No, no, subito subito. Fa’ presto! ti aspetto! Ma sì, è urgente, molto urgente. (Riattacca il microfono. Mette qualche oggetto personale da toilette in una piccola valigia posata su una sedia. Si sente bussare alla porta) Avanti, avanti... (La porta si apre e Burton, che è già in abito da sera, entra rapido e guardingo, richiudendo subito la porta dietro di sé). Burton (evidentemente preoccupato) — Beh? Che c’è? Che è successo?! Patrizia (in tono risoluto) — Ho deciso! Scappiamo. Burton (spaventato) — IVIa no! Sei matta?! Ti pare che io possa scappare così? Patrizia (interrompendolo pronta) —- Ma no, non voglio scappare con te! Scappo con lui, con Alberto. Burton (tranquillizzato) —- Ah, scappi con lui... Patrizia — Sì, fra poco. Non mi dire che è una pazzia! Lo so! E un salto nel buio! Probabilmente dopo mi pentirò, anzi mi pentirò certamente, ma non importa! Qualche volta bisogna avere il co- raggio di chiudere gli occhi e di buttarsi allo sba raglio! Burton cattiva idea! PATRizrA (stupita) — Trovi? Burton — Eh, sì, perché questo mette tutto a posto! Tuo marito ha la prova evidente che voi due siete amanti e non può più sospettare d’altri. Ed è anche un vantaggio per la Commissione dei Sulta nati arabi. Sai, dopo la complicazione di quell’ar resto cominciavo ad essere preoccupato. Se si veniva a sapere che il presidente era un ladro e che pro prio io avevo votato per lui. Invece così è tutto siste mato. Lui se ne va, si nomina un altro presidente e non ci sono più pericoli! Patrizia (con sprezzante sarcasmo) — Già. Non ci sono più pericoli! Adesso puoi dormire i tuoi sonni tranquilli. Tutto è a posto, tutto è sistemato! Ma che io scappi con un altro... io che bene o male sono stata la tua amante... questo non t’interessa, non ha per te nessuna importanza! • Beh, tutto sommato non mi sembra una Burton -—• Nessuna importanza?! Ma che dici, Patrizia?! Come puoi pensare una cosa simile?! Sof fro, soffro enormemente, ma è per te che mi sforzo di soffocare, di nascondere 'la mia pena! PATRizrA — Per me?! Burton (patetico) — Sì, mia diletta, ho sempre cercato di nasconderla per non aumentare l’ama rezza di questa nostra triste situazione! A che sa rebbe servito parlarti della mia angoscia? A che servirebbe adesso parlarti del mio amore?! Patrizia — A niente, hai ragione! Servirebbe forse a farmi ridere! Burton — Sei crudele, Patrizia! Non vuoi rico noscere che la fatalità degli eventi mi ha costretto ad agire nel solo modo possibile. Io vorrei poterti convincere, vorrei che tu ti ricredessi sul mio conto; ma purtroppo ormai non c’è più tempo! Patrizia —• Perché? Hai fretta? Burton — No, io no. Ma tu hai detto che fra poco devi scappare. Patrizia —-No, c’è tempo! Burton (preoccupato) —■ Sì, ma non vorrei... pro prio adesso che la situazione sta per risolversi. Lo dico per te, non per me, ma se per caso capitasse tuo marito... Patrizia — Non capita, sta’ tranquillo. E poi an che se capitasse, gli diremo la verità! Burton (spaventato) — La verità?! Patrizia — Sì, gli diremo che io ti ho pregato di venire da me perché volevo informarti che me ne vado con Alberto. E’ appunto questa la verità. Anzi, guarda... (prendendo dalla toilette la lettera inter rotta) avevo cominciato a scrivere una lettera per lui, ma non mi riesce, non so come andare avanti. Fammi il piacere, diglielo tu! Burton —- Io?! Ma scusa, ti pare delicato che pro prio io vada a dirgli... Patrizia — Ma sì! Che male c’è? Tu sei amico mio e amico suo. E’ più che naturale che io ti af fidi questo incarico! Non temere, non c’è nulla di compromettente! Anzi, in questo modo, tu sei esclu so da qualsiasi sospetto! T i pare che una donna si servirebbe del suo amante per informare il marito che ha deciso di scappare con un altro? Burton (colpito) ■— Già... questo è vero! Patrizia —■ E’ inutile che gli spieghi le ragioni della mia fuga. Se le può immaginare! Se vuole evi tare lo scandalo, può dire che sono partita per un lungo viaggio. Nessuno ci crederà, ma non importa! Hai una sigaretta? E’ l’ultima sigaretta che fumiamo insieme! (Vedendo che Burton esita gettando delle occhiate verso la porta) Non vuoi? Burton (nervosamente, offrendole la sigaretta) — Sì, sì, figurati! Io vorrei fumare con te non una, ma cento sigarette! BUONANOTTE PATRIZIA! Patrizia (ironica) — Ma hai una gran fretta di an dartene! Burton (imbarazzato) — No, ma capirai, non mi sembra prudente. Non credere che io sia un pau roso. Ho fatto due guerre, sono stato ferito, ho avuto delle medaglie. Ma rischiare così... inutilmente... Patrizia (fumando) — Lo so che sei un eroe! Che ci vuole a fumare una sigaretta? Cinque minuti! Cinque minuti soli! Puoi concedermeli! Non sono molti per darsi un addio dopo cinque anni d’amore! Un minuto per ogni anno! Eppure, vedi, non ab biamo niente da dirci. E’ triste! Burton —• Mia cara Patrizia, se io potessi espri merti... Patrizia (interrompendolo infastidita) — No, lascia andare, non esprimermi niente! Risparmiamoci le commemorazioni! Piuttosto non t’interessa sapere perché scappo con Alberto? Burton — Non osavo domandartelo. Patrizia — A te lo voglio dire! Sono innamorata! Burton (incredulo) — Di quel ladro? Patrizia — Sì, di quel ladro! M i sono innamorata subito, appena l’ho visto. Burton —- E anche lui è innamorato? Patrizia —- Sì, credo, non lo so. Spero. Che vuoi? Se svolto tutto con tanta rapidità! Fino a pochi minuti fa ci parlavamo come due estranei... e poi d’improvviso... quando mi ha baciata... Non ti di spiace se ti faccio queste confidenze? Burton —• No, no, figurati! Patrizia — Quando mi ha baciata ho provato un senso di smarrimento, di abbandono. Capirai, era la prima volta! Burton — Ma come la prima volta?! E tutti i baci che ti ho dato io? Patrizia — Ma no, che c’entra! Quelli erano un’al tra cosa! Vuoi mettere!? Burton (piccato) —■ Ah, perché? Lui bacia in un altro modo? Patrizia — Ma no, cerca di capirmi; non dipende da lui... dipende da me! I tuoi baci, io li accoglievo con piacere, non dico di no, ma erano baci che mi lasciavano perfettamente tranquilla. Questo, invece, lo aspettavo con un’ansia, una trepidazione... (Si sente bussare alla porta. Burton e Patrizia si vol tano vivamente allarmati). Burton — Hai sentito? Hanno bussato! Patrizia —■ Eh, sì, ho sentito. Burton — Chi può essere? Tuo marito? Patrizia — No, non credo. Burton (agitatissimo) — Hai visto? Hai visto! Io lo sentivo! Dannazione! Proprio adesso che era tutto a posto! Patrizia — Sta’ calmo, sta’ calmo, non t’agitare così! Burton — Ma si capisce che mi agito! Senti, bus- ALDO DE BENEDETTI sano ancora. Tutto rovinato per quella tua stupida idea della sigaretta. Io mi nascondo sul terrazzino! Patrizia —• No, aspetta, sentiamo prima chi è! Burton (che intanto si è diretto verso il terrazzino) — Ma è tuo marito, è certamente tuo marito. Patrizia (facendogli cenno di aspettare, si avvicina alla porta e chiede con voce che cerca di rendere sicura) — Chi è? Ah, un momento! Apro subito, mi scusi. (Si avvicina a Burton che ha già alzato la tenda per uscire sul terrazzino e gli dice a bassa voce)' E’ la signora Van Laer. Burton (sorpreso e tranquillizzato) — La cioccolat taia? Che cosa vuole? Patrizia —• Non lo so, non ho idea. Burton — Non posso farmi vedere. Se quella pet tegola mi trova qui in camera tua... Patrizia (indicando la camera) — Va’ di là. Burton (esitando) — Non è meglio sul terrazzino? Patrizia — Ma no! Vuoi che venga a frugare in camera mia?! Va’, va’, presto! (Burton si affretta a scomparire nella parte della camera nascosta dalld . tenda. Patrizia si avvicina alla porta ed apre. Entra la signora Van Laer in abito da sera). La signora Van Laer •— Scusi, se mi son permessa di venire a disturbarla a quest’ora. Patrizia —• Ma no, s’immagini! La signora Van Laer (guardandosi intorno) — Siamo sole? Patrizia (sorpresa per la domanda) — Sì, sì... sole! La signora Van Laer (guardando verso l’alcova) — Possiamo parlare liberamente, senza pericolo che qualcuno ci ascolti? Patrizia (nervosa) —■ Ma sì, non si preoccupi! Le ripeto che non c’è nessuno! La signora Van Laer — Oh, io non mi preoccupo mica per me! Mi preoccupo per lei! Patrizia — Per me? La signora Van Laer (abbassando la voce) — Lei sta per fuggire con Alberto Alcantara... è vero? Patrizia —■ Come lo sa? La signora Van Laer — Non importa come lo so! Mi risponda, è vero? Patrizia — Ma scusi, non capisco con qual diritto lei si permette di rivolgermi questa domanda. La signora Van Laer —- Nessun diritto! Ma che vuole... quando vedo qualcuno che sta per andare sotto il tram mi viene istintivo il gesto di trattenerlo. Ma si rende conto di quello che fa? Fuggire con un ladro?! Ma è una pazzia! Patrizia (fredda, scostante) —- Può darsi! Ma a lei che importa se sto per commettere una pazzia? Per ché ci tiene tanto a salvarmi? La signora Van Laer — Gliel’ho detto... quando vedo qualcuno che sta per andare... Patrizia (interrompendola spazientita) — Lasci stare il tram! Parliamo di noi! Ammetterà che è abbastanza strana questa sua opera di salvataggio! Strana e anche poco credibile! Immagino che debba esserci qualche altra ragione. La signora Van Laer — No, nessuna ragione! Volevo solo metterla in guardia! Eh... che diamine! Fra noi donne ci deve essere una certa solidarietà! Ma lei ha pensato alle conseguenze? Lia pensato a quello che rischia, a quello che perde? Ma non sa che Alberto... Patrizia (risoluta) — Sì, so tutto! So che è un av venturiero, un fuorilegge. Non importa! Sono pronta a vivere la sua vita... La signora Van Laer — La sua vita? Ma lei lo sa come la sua vita? Patrizia — Me l’immagino! La signora Van Laer — Ah... se l’immagina! Io invece la conosco bene perché l’ho vissuta. Patrizia (sorpresa) — Lei?! La signora Van Laer — Sì... io! Perché anch’io sono stata un’avventuriera, una fuorilegge come Al berto. Non è davvero divertente quella vita! Se ne accorgerà alla prima retata! Dover correre col cuore in gola, nascondersi nelle cantine, arrampicarsi su per i tetti! Mi pare di vederla... lei... la distinta con sorte del ministro Lansen scappare inseguita dai poliziotti! Già lei si farà acchiappare subito come una gallina! Patrizia (sconcertata) — Io?! La signora Van Laer — Ma si capisce! E allora dovrà imparare a conoscere anche il resto... il carroz zone cellulare, le notti passate sul tavolaccio, gli in sulti e gli schiaffi per farla parlare! Queste cose non le aveva previste, è vero? Patrizia (sostenuta) — Le ripeto che avevo pre visto tutto! Ed è perfettamente inutile che lei si affanni tanto per cercare di spaventarmi! Non mi mette paura. La signora Van Laer (con un’alzata di spalle) — Ah no?! E allora faccia un po’ quello che vuole! Tanto peggio per lei! Patrizia —• Ecco... brava! Lasci andare la solida rietà femminile che non c’entra! Parliamoci chiaro. E’ lui che le interessa! La signora Van Laer — Certo che è lui! Che vuole che me ne importi di quello che può capitare a lei?! Per me può anche andare sulla forca se le fa piacere! Oh... non è mica perché sono innamo rata di lui. Patrizia — Ah, no?! La signora Van Laer — Sono stata innamorata, ma molto tempo fa! Se sapesse che cotta m’ero presa! Ma ormai è cosa finita! Però sento ancora dell’af fetto per lui e mi dispiace di vederlo finir male. Patrizia — Finir male?! La signora Van Laer — Ma si capisce! Che vuole che se ne faccia di una donna inutile e ingombrante BUONANOTTE PATRIZIA! come lei?! Per lui ci vuole una donna in gamba, una donna di fegato che sappia anche aiutarlo. Patrizia — Ma non è mica detto che debba con tinuare a fare il ladro. La signora Van Laer — E che vuole che faccia? Il galantuomo? Bella prospettiva! Lavorare come un cane, lottare contro mille difficoltà, pagare le tasse! E poi lo arresterebbero subito! Patrizia — Perché? La signora Van Laer — Perche la giustizia non ammette certi cambiamenti! Se uno è ladro continui a fare il ladro! Ma se vuol diventare un galantuo mo... in galera! Dev’essere punito! Ma che cosa cre de? Che si possa cambiare la propria vita come si cambia un vestito?! Lui e un ladro e deve conti nuare ad essere un ladro... lei invece è una signora... una signora che per passare il tempo vuol divertirsi con una facile avventura. (Patrizia si volge di scatto come se volesse replicare, ma la signora Van Laer la previene prontamente) Ma si! Un modo come un altro per vincere la noia! Ma poi quando crede che potrà durare questa sua avventura? Poche ore! Prima di domani sera sarà tutto finito... Patrizia — Perché? La signora Van Laer — Ma che crede? Che suo marito se ne starà con le mani in mano? Ci pen serà lui a farle interrompere il passatempo. Patrizia (alzando le spalle) —- Mio marito non farà nulla! La signora Van Laer — Non s’illuda! Le pare che un uomo in vista come lui possa permettere che sua moglie se ne vada in giro per il mondo con un ladro?! Ma davvero è tanto ingenua da pen sare una cosa simile? Probabilmente a suo marito non importa nulla che lei abbia un amante, ma non può ammettere lo scandalo! E per evitare lo scandalo metterà in moto le polizie di tutto il mon do! Non avrete il tempo di fare un passo che sarete subito acchiappati! A lei non daranno nessun fa stidio! Lei in questa faccenda non ci perderà nulla! Se ne tornerà a casa di suo marito come dopo una scampagnata e suo marito sarà ben lieto di ripren derla! Si sa come finiscono queste storie! Ma lui no, lui pagherà per tutti! Lo metteranno dentro e ce lo terranno un pezzo! Certi ricordi sono fasti diosi e importuni! Meglio tenerli seppelliti in una galera. Vede, è questo che mi fa rabbia! Gli è an data sempre bene, è riuscito a non farsi mai acchiap pare... e adesso per colpa sua... Patrizia (con uno scatto iroso) — Ma che c’entro io?! Non dica sciocchezze! La signora Van Laer — Ma non sono sciocchezze! Lei lo sa benissimo... come lo sa anche lui. Patrizia (volgendosi vivamente) —• Lui?! La signora Van Laer —• Sì... lui! Gli ho parlato proprio adesso, prima di venire qui. Gli ho detto le stesse cose che dico adesso a lei. Speravo di riu scire a dissuaderlo. Di me si fida. Siamo vecchi ami ci! Ho tentato in tutti i modi, non ci sono riuscita! E’ perfettamente convinto che io ho ragione, che questa fuga sarà la sua rovina. Ma non gli importa di quello che accadrà, non ci vuole nemmeno pen sare. Adesso vuol fare il bel gesto, vuol fare 1 eroe! Vuole giocare tutta la vita per un ora d amore! Bella frase, èvero?! Se ne accorgerà poi quanto gli costerà cara quest’ora! Ecco perché sono venuta da lei. Cre devo che in lei ci fosse qualche cosa di buono, di umano, di generoso. Macché! Lei adesso non pensa che al suo egoismo, al suo piacere! Non mi sta nem meno a sentire. Si capisce... non vuole rinunziare alla piacevole avventura! Che le importa di quello che accadrà poi?! (Si volge bruscamente e va ad aprire la porta per uscire. Si ferma udendo squillare il campanello del telefono. Accennando al telefono) Ecco... è lui che la chiama! Non se lo lasci sfug gire! Se la goda l’avventura. Buon divertimento. (E- sce richiudendo la porta. Patrizia resta immobile con lo sguardo fisso verso l’apparecchio. Cessano gli squilli. Dalla camera da letto rientra guardingo Burton). Burton (guardandosi intorno) — Se n è andata? (Patrizia che è ancora presso il telefono assorta, pen sierosa, non risponde. Avvicinandosi) Patrizia. Non ti ha chiesto di me? Patrizia —■ No. Burton —• Allora che voleva? Patrizia — Non hai sentito? Burton — No, sono andato a chiudermi nel ba gno... sai, per prudenza. (Di nuovo si ode squillare il telefono. Patrizia e Burton si volgono vivamente; Patrizia turbata, Burton spaventato e sorpreso, ve dendo che Patrizia fissa l’apparecchio senza staccare il microfono) Non rispondi? Patrizia (con uno sforzo) —■ No! (Il telefono con tinua a squillare, poi tace. Patrizia si avvicina al l’apparecchio, stacca il microfono e lo posa sul ri piano del tavolino). Burton — Ma se lo lasci così, il tuo apparecchio risulta sempre occupato! Patrizia — Non importa! (Si avvicina alla toilette, prende la lettera che aveva cominciato a scrivere). Burton —- La lettera per tuo marito... (Accenna al foglio). Patrizia — Sì, ma non occorre più! Burton — Perché? Patrizia — Ce una novità. Burton (già allarmato) —- Oh, Dio! Che novità? Patrizia — Non vado più via con Alberto. Ri mango. Burton (sorpreso) — Hai cambiato idea? Patrizia —■ Sì, ho cambiato idea! Burton —- E anche lui rimane? ALDO DE BENEDETTI Beh, tutto sommato, mi sembra che Patrizia — No, non credo. Lui se ne va, non ci tiene a restare fra noi! Burton questa non sia una cattiva soluzione! Patrizia — Ah, no!? Burton No, no, tutt’altro! Mi sembra anzi che sia la soluzione ideale! Se Alberto scompare, tuo marito crederà che la vostra relazione sia finita e penserà che voi due siete stati amanti, sì, ma che in fondo la vostra è stata una piccola avventura, senza troppa importanza! Questo mi pare che sia un vantaggio anche per te! In quanto alla Commis sione dei Sultanati, la situazione non cambia. Si no mina un altro presidente e si inventa qualche scusa che giustifichi la sua partenza. Certo sarebbe stato meglio che avesse scritto una letterina di dimissioni! Peccato! Non ci abbiamo pensato! Credo che ormai sia troppo tardi! Patrizia (cupamente) — Sì, è troppo tardi! Burton Dunque, vedi, non si poteva desiderare una soluzione migliore! Ognuno riprende il suo po sto e tutto ritorna nell ordine! Credo che, tutto som mato, sarai contenta anche tu! Patrizia — Io?! Contentissima. Burton Abbiamo passato dei brutti momenti specialmente tu, povera cara! Non ci pensiamo più! Piuttosto, mia diletta, ora che tutto è sistemato e che ognuno ha ripreso il suo posto, credo che anche noi.... Patrizia (volgendosi vivamente e fissandolo con un’espressione dura) — Noi che cosa? Burton (smontato) — Ecco... appunto... volevo dire... mi pare che nulla ci impedirebbe... (Pa trizia continua a fissarlo dura, sprezzante, senza interromperlo. Burton si confonde, si ingarbu glia. Sempre più smontato) No... non dico ades so... ma sai... pare che ci sia una nuova riunione fra tre mesi... Allora pensavo... sì, insomma, visto che ormai... siamo affiatati. Beh, comunque, avre mo tempo di riparlarne. Adesso sei un po’ ner vosa, forse è meglio che ti lasci. Patrizia (con voce sibilante) — Sì, vattene è meglio! (Burton fa l’atto di muoversi, ma in que sto momento la porta si apre ed entra Alberto). Alberto — Patrizia! Ma perché non rispon devi? Ho provato tante volte a chiamarti. Burton (accennando al telefono) — Ecco, vedi te l’avevo detto. Se qualcuno chiamava, il tuo apparecchio risultava occupato. Alberto (sorpreso, prendendo il microfono) __ Era staccato? Ma come... (Colpito) L’hai staccato tu? (Patrizia non risponde. Alberto ansioso, incal zante) Patrizia... l’hai staccato tu? Patrizia (risoluta, evitando di guardarlo) — Sì, l’ho staccato io. Alberto — Perché? Ma perché non volevi ri- spondere? (Patrizia tace. Alberto l’afferra ■per im braccio chiedendo in tono quasi implorante) Ma parla, in nome di Dio! Che è accaduto? Perché non volevi rispondere? Burton — Senta, giovanotto, è inutile che in sista. Se la signora non voleva rispondere... Alberto (voltandosi inviperito) — Ma che cen tra dei? Non mi stia a seccare! (A Patrizia) Ma dimmi, Patrizia. Perché non volevi rispondere? Non eravamo d’accordo? Che è successo? Ti sei pentita?! Patrizia (con sforzo, sempre evitando di guar darlo) — Sì, Alberto, mi sono pentita! Alberto — Ma come è possibile! Non puoi aver cambiato la tua decisione, così, d’improvviso, senza una ragione! Poco fa mi dicevi... Patrizia (sforzandosi di apparire decisa) — Poco fa pensavo in un modo... adesso penso in un altro! E’ inutile che mi chieda la ragione. Ce ne sono tante di ragioni! Puoi immaginarle! Alberto (aspro, quasi minaccioso) -— No, non le immagino! Voglio che me le dica! C’è qualche cosa che non capisco, ma che ho il diritto di sapere. (Accennando a Burton) E’ lui che ti ha fatto cambiare idea? Burton — Io?! No, no, io non c’entro! Patrizia (nervosamente, liberando le mani dalla stretta di Alberto) — Lasciami! Mi fai male! Alberto (cupamente) — Allora? Non vuoi dirmi? Patrizia (con tono evasivo) — Non ho niente da dirti! E accaduto quello che doveva acca dere. Stavo per commettere un errore... me ne sono accorta in tempo! Del resto dovresti capirlo anche tu. Alberto (torvo, quasi minaccioso) — No, no, non capisco. Burton (intervenendo garbatamente) — Scusi, gio vanotto, ma mi sembra abbastanza chiaro... la si gnora vuol dire... Alberto (interrompendolo, aspro) — Non parlo con lei! Parlo con la signora. (A Patrizia) Non ca pisco! Ricordati quello che mi hai detto poco fa, specialmente le ultime parole. Non puoi averle di menticate. Se vuoi posso ripetertele ad una ad una... Patrizia (con uno scatto di esasperazione) —■ Ba sta! Finiscila! Perché vuoi tormentarmi così? La sciami in pace! Burton Se posso fare qualche cosa. Patrizia (seccamente) — Sta’ zitto, tu. (Ad Alberto, con voce tremante di commozione) Ti scongiuro, non chiedermi più nulla! Pensa quello che vuoi’ giudicami come vuoi... Scusami se ti ho fatto del male, non avrei voluto... devi credermi! Solo questo posso dirti, solo questo... Alberto (freddo, ostile) —■ Va bene! Non ti chie- Patrizia, io sono a tua disposizione. BUONANOTTE PATRIZIA! derò più nulla! Hai ragione! A che servirebbero ormai le spiegazioni? Parole, chiacchiere inutili... come quelle di prima! Che stupido! Dovevo imma ginarlo! Per te ci vuole gente del tuo rango, come lui. (Accenna a Burton) Lui è il tipo adatto per te... importante, decorativo... E quando ti sarai stancata di lui, troverai qualche altro generale... qualche al tro ambasciatore... Non potevi sporcarti con un po vero diavolo come me! Sta’ tranquilla! Non t’annoio più! Me ne vado, ti lascio con lui! Buona fortuna! ('Volgendosi a Burton) E buona fortuna anche a lei, vecchio mio. E tanti saluti ai Sultanati arabi! Burton —• Grazie, trasmetterò. Anzi, a questo pro posito, le dispiacerebbe, prima d’andar via, di scri vere due righe... Alberto —■ Due righe, a chi? Burton — Alla Commissione, per rassegnare le di missioni. Credo che sareb... (S’interrompe e si volge vivamente verso la ■porta sentendo bussare. Allar mato, a bassa voce) Hanno bussato?! Alberto (guardando anch’egli verso la porta) — Sì... mi pare... Burton (a Patrizia, preoccupato) — Hai sentito? Hanno bussato! Patrizia (indifferente) ■— Sì, ho sentito! Burton -—■ Bisogna sapere chi è... Senti, bussano ancora! Patrizia (avvicinandosi alla porta) -— Chi è? La voce di Lansen — Sono io! Burton (fuori di sé) —■ Dannazione! Proprio ades so che tutto era a posto. Io lo sentivo che sarebbe firijta male! Alberto (anch’egli preoccupato) ■— Stia calmo! Stia calmo! Non perdiamo la testa! Io mi nascondo là, nella camera da letto. Burton — E io?! Alberto —■ Lei vada fuori, sul terrazzino. Burton (slanciandosi verso la tenda del terrazzino) — Sì, sul terrazzino. (Alza la tenda e prima di usci re si volge verso Patrizia) Patrizia, mi raccomando. (Alberto è scomparso nella camera da letto e Burton ha riabbassato la tenda del terrazzino). Patrizia (si guarda intorno e, traendosi da parte, dice ad alta voce) — Avanti! (La porta si apre ed appare Lansen in abito da sera). Lansen —• Buonasera... disturbo? Patrizia (che presso la toilette si sta lucidando le unghie) — No, affatto. Lansen (guardandosi intorno) — Non c’è nessuno? Patrizia (calma) — Sì... c’è un uomo nascosto nel la camera da letto e un altro uomo nascosto sul terrazzino. Lansen (sorridendo) — Brava! Sei diventata spiri tosa. Patrizia — Sto acquistando anch’io il dono del l’umorismo. (Accennando alla camera da letto) Per ché non verifichi? Lansen — Ti credo sulla parola! Patrizia —■ Fai bene! Dunque? A che debbo Tono- re di questa tua visita? Lansen -—■ A un piccolo fastidio che debbo darti. Te ne chiedo anticipatamente scusa. Domani siamo invitati ad una colazione offerta daH’ambasciatore brasiliano. Ti sarei molto grato, se potessi evitare la solita emicrania che ti colpisce sempre in queste circostanze. Patrizia — Prenderò un cachet. Lansen — Grazie! Tu siederai fra l’ambasciatore e il signor Alcantara... Patrizia — Non è possibile! Il signor Alcantara non ci sarà... Lansen (sorpreso) — Perché? Patrizia — Perché parte questa sera. Lansen — Ah, sì? E quando torna? Patrizia — Non torna più! Lansen -—• Ah... (Un breve momento di silenzio. Lansen appare sorpreso e sconcertato per la inaspet tata notizia). Patrizia — Adesso dovrai metterti d’accordo con Burton per la nomina di un nuovo presidente! Lansen (pensieroso) ■—- Già... Patrizia — Vorrei pregarti di scegliere un giovane aitante e di bell’aspetto. Lansen — Perché? Patrizia — Perché prevedo che mi chiederai di essere gentile anche con lui! Lansen — Può darsi. Se gli interessi del mio paese lo esigeranno. (Un momento di silenzio. Patrizia lo fissa con uno sguardo pieno di disprezzo. Lansen mantiene la sua aria tranquilla e sorridente) A pro posito. Debbo darti una cosa che ti appartiene... (Le porge un biglietto che trae dal portafogli) Ecco. Patrizia — Che cos’è? Lansen —■ Il biglietto che ho trovato quella sera nella tua trousse. E’ meglio che tu lo restituisca a chi l’ha scritto... al generale Burton... Patrizia (trasalendo, sbalordita) —• Ma come?! Tu sapevi che era lui?! Lansen — No, quella sera no... non lo sapevo ancora. Ma l’ho capito subito dopo. Per un mo mento ho pensato di affrontarlo, ma ho capito che non mi conveniva e il più danneggiato sarei stato io. Ho preferito invece prestarmi al vostro giuoco... anzi, l’ho secondato in tutti i modi. L’idea di nomi nare il ladro presidente, è stata mia! Patrizia — Ma allora hai fatto sempre finta di credere... Lansen — Sì. Voi vi affannavate a recitar la com media ed io mi divertivo. Adesso puoi capire perché ti ho chiesto con tanto cinismo di essere più gentile con quel giovanotto. ALDO DE BENEDETTI Patrizia -— Anche questo faceva parte del gioco? Lansen —• Sì, ma un gioco che non era perico loso! Sapevo bene di non aver nulla da temere! Patrizia — Credi? E se intanto io mi fossi inna morata di lui? Lansen — Di chi? Del ladro? Tu? Una donna come te, innamorarsi di un ladro?! Ma via, non dire assurdità! Patrizia — Sì, è vero, hai ragione! Sarebbe stata un’assurdità! Ma se questa assurdità si fosse verifi cata, che cosa avresti fatto? Lansen —• L’avrei fatto arrestare. Ah, ti prego, non dire niente a Burton. Adesso lui crede che io sia un imbecille ed è pieno di premure verso di me... io invece so che l’imbecille è lui e ne approfitto! Guai se venisse a sapere la verità! Non me la perdone rebbe! Patrizia — Non temere, non la saprà mai! Lansen — Mai? No, perché mai? Un giorno vo glio che la sappia... gliela dirò io stesso, ma quando non potrà più servirmi come amico e non potrà più essere pericoloso come nemico! E tu, spero che non mi serberai rancore se mi sono divertito un poco alle tue spalle! Patrizia — No, no, figurati! Ti sono anzi grata! M i esoneri dai rimorsi! Lansen — Ne avevi? Patrizia — Sì, prima. Adesso non ne ho più! Sia mo pari! Lansen — Ma scusa, mia cara... Patrizia (infastidita) — No, basta, ti prego. Sono stanca, ho sonno. Ne parleremo domani... Lansen —• Va bene! Come vuoi! Buonasera... Patrizia Buonasera! (Cotí un amabile inchino Lansen si dirige verso la porta ed esce. Patrizia ri mane immobile presso la toilette. Ha nel volto una espressione di estrema stanchezza. Dalla camera da letto esce Alberto, mentre dalla tenda che nasconde il terrazzino sporge cautamente il capo di Burton, che interroga con gesti Alberto che gli risponde coi gesti, rassicurandolo. Patrizia si riscuote, si volge e li vede) Ma sì, uscite fuori... uscite fuori! Non c’è più pericolo! Se ne andato! Burton (rinfrancato, rientra asciugandosi col faz zoletto l abito bagnato, con malumore) — E’ una disdetta! Tutte le volte che vado là fuori, si mette a piovere! (A Patrizia, con ansia) Ebbene? Che vo leva? Patrizia — Peccato che tu non abbia potuto sen tire! Sarebbe stato divertente. (Guarda alternativa- mente Burton e Alberto ed ha una breve risata ner vosa) Eccoci qui tutti e tre come quella sera! L’a mante sul terrazzino, il ladro nascosto in camera. Tutto eguale come allora. Che buffa coincidenza, è vero? Ora il marito se n’è andato, potete andarvene anche voi! (Burton, disorientato, getta un’occhiata verso Alberto, che è rimasto presso la tenda della camera da letto, come per consultarsi con lui. Pa trizia, irritata e impaziente) Avanti? Che aspettate? Andate via! Andate via! Burton — Ma, mia cara Patrizia, permetti che ti dica... Patrizia (interrompendolo, esasperata) ■— Non mi dir niente... per carità... Va’ via... (Burton si stringe nelle spalle e senza azzardar più una parola si avvi cina alla porta, la socchiude cautamente, guarda fuori e, rassicurato, esce rapido. Patrizia si volge verso Alberto che non si è mosso) E tu che fai? Perche non te ne vai anche tu? Hai sentito quello che ha detto mio marito? Alberto — Sì... ho sentito. Patrizia (dolorosamente) — Ma perché, perché non te ne sei andato via quella sera? Sarebbe stato meglio per tutti! Alberto — Ma io sono restato per te! Patrizia — Lo so, ma è stato questo l’errore! Ci siamo tormentati, ci siamo fatti del male, inutih mente! Alberto gare i sogni... Patrizia — Non ti dimenticherò, Alberto. Anche se volessi, non potrei... Tu resterai sempre il ricordo più caro, più bello della mia vita. Alberto — Ma allora, Patrizia... Patrizia (chiudendogli dolcemente la bocca con la mano) — No, no, non parlare, non dirmi più nulla! Va via, va’ via... come se fossimo ancora a quella sera... come se non fosse accaduto niente! Va via, caro, va’ via! (Alberto la serra a sé e la bacia. Patrizia dolcemente lo allontana da sé, verso la porta, senza poter parlare dalla commozione). Alberto (con voce tremante) — Buonanotte, Pa trizia! Patrizia (con un soffio) —• Buonanotte! (Alberto indietreggia ed esce tenendo ancora lo sguardo ri volto verso di lei. La porta sì richiude. Patrizia si serra le mani sulla bocca come per trattenere un grido, mentre le lacrime le rigano il volto). Hai ragione! Non si possono prolun -k Alla prima rappresentazione di questa commedia, da parte della Compagnia Laura Adani-Carlo Ninchi al « Teatro di Via Manzoni » di Milano, il 13 ottobre 1956, le parti furono così distribuite: Patrizia Lansen (Laura Adam) ; Signora Van Laer (Dina Sassoli) ; La stenografa (Anna Colombo); Il generale Burton (Carlo Ninchi)- Il ministro Lansen (Nino Pavese); Alberto (Armando Fran toli); Il segretario (Alessandro Ninchi); L’ispettore (Mi chele Riccardini); Un giornalista (Cesare Polesello)- Un fotografo (Antonio Susana). Regìa di Alessandro Brissoni. * Della Compagnia Adani-Ninchi, fa parte Giulio Oppi, cui era stata affidata la parte del ministro Lansen, ma per indisposizione dell’attore fu, all’ultimo momento, recitata da Nino Pavese. ■k Copyright by Aldo De Benedetti. I L D I A V O L O E L ’ A T T O R E N e l contrasto tra Chiesa e teatro Bossuet usò parole ferocissime. Contro Molière, colto sul palcoscenico dalla prim a stretta mortale, s’avventò spietatamente con una citazione che, nel caso, non poteva essere p iù stortamente inopportuna : « Malheur à vous qui riez, car vous pleurerez ». L a storia dei comici scomunicati, che non veni vano sepolti in terra consacrata, creduti fig li del diavolo, lusinghieri e corruttoi i, e nota a tutti. M a Bossuet non era soltanto appassionato, settario e rettorico, era una gran mente acuta, e anche qui indico i l male, o la possibilità del male, con acre intui zione. N egli spettacoli egli paventava una prodigiosa dissipazione, i l turbamento, la « cotnmotion de l ’esprit » che cosi poco s’addice a l cristiano: perche i l cuore del cri stiano è i l santuario di una pace divina. L a passione eccitata si insinua nel sangue, è febbre violenta che infiacchisce e spossa l ’uomo; e nella spossatezza già si delinea la dannazione. Sono tra tti stupendi, e parziali, che sfiorano e non avvertono i l motivo profondo e spirituale dell’ambiguità del teatro. I l rischio, la corruzione, l abisso del teatro sotge e si risolve nella condizione dell’ attore ; non come fomentatore di concupiscenze, non per le illusioni fa lla ci che suscita, né per la licenza ed i l libertinaggio, ma perché l ’attore è una creatura che ad ogni istante mette a repentaglio l ’anima sua. L attore finge mille personaggi, si incarna nelle p iù strepitose e sconfinanti fantasie, l attore si sfoglia : e questo sortilegio può diventare per lui, e per chi assiste, i l dissolvimento senza speranza, la vera, la irrimediabile «perdizione ». Siamo sulla soglia del p iù grande dei peccati: la rinuncia alla propria persona. Non è forse i l Cristo quegli che lega i l nostro spirito alla realtà e unità di D io? E d essere cristiani non equivale forse a prendere coscienza di se stessi, sempre p iù a fondo, sempre p iu sinceri e com piu ti, sempre p iù interiori? Non è forse in quel punto supremo della rivelazione del nostro « io » che ci si ricongiunge a ll’eterno, con i l nostro volto creato e segnato, e la nostra anima pura, schietta, individuale? M a l ’attor comico si disperde nella molte plicità del fittiz io , nella stravaganza dei personaggi, deforma se stesso, caricatu re ggfa i p ro p ri sentimenti; ìlei successivo sdoppiarsi, in quella leggerezza delle finzioni che p u r lo prende e assorbe intero, risica di cancellare e annullare per sempre e i l volto e l ’anima. Tale la minaccia estrema, anti-cristiana, anti-spirituale degli spet tacoli teatrali. A tto r i d’oggi, intelligenti, sottili hanno ben colto questo rischio, e la pena e l ’ansietà. Pierre Fresnay confessa di avere interpretato e sopportato in un sol giorno, tra film e palcoscenico, dieci personaggi d’aspetto e atteggiamento diverso. A mezzanotte stentava a ritrovarsi : e non ho mai sentito così chiaramente, egli aggiunge, ciò che vi è di anormale, di « contro-natura », nel nostro mestiere. Certo, in a ltri tempi, egli dice, la Chiesa doveva lanciare i suoi anatemi non contro la dissoluzione del costume dei comici, tna contro la simulazione della vita, e quelle assurde idolatrie. Barrault racconta, a sua volta, che una sera a l teatro la commozione f u così grande, l ’illusione così perfetta, che i l pubblico smarrito, preso da una specie d i panico entusiasta, si buttò ad applaudire: «pour se ressaisir », sottolinea con p in e ta . E Jouvet, dopo una rappresentazione di O ndine di Giraudoux, annotava che a l terzo atto si era sentito tanto turbato da averne imbarazzo e soggezione: «me perte d’identité qui m ’a f a it peur ». M a Copeau scrisse le parole p iù penetranti e inquietanti e dolorose su questo « mistero ». E g li ricorda Shakespeare che «¿//’A m le to dice meravigliosa e orribile la natura stessa dell attore : « Monstrous ». E non è orribile per menzogna, inganno, ipocrisia, perché l ’attore è sincerissimo; e orribile perché l ’attore sente l ’im maginario, ciò che non è, come se fosse: ed è spaventoso, in un essere umano, tanto travolgimento, tale « détournement des facultés naturelles à un usage fantastique ». Abbiamo tratto le citazioni e la tessitura stessa del discorso dal hbriccino prezioso di un sacerdote, A . M . Carré, elemosiniere dell’ Unione Cattolica francese del Teatro e della Musica, che si intitola: L ’ Église s’est-elle réconciliée avec le théâtre? M a dobbiamo dire che da gran tempo proprio questo problema, tra la meraviglia per la stupenda arte dell’attore e una p iù intima sollecitudine e inquietudine umana, ci assillava : se l ’attore è degno, possente magico sublime, se si lascia davvero investire e « abitare » dal personaggio, se si converte e incarna e trasfigura in lui, dovrà dunque subire l ’estrema condanna della dispersione ai quattro venti, come le ceneri di un povero suppliziato ? A vrà, i l demonio, tanto potere da intaccare e rompere e distrug gere, o meglio da travolgere nel male le p iù luminose rappresentazioni umane ? I l de monio, dice Carré, non può creare, non può inventare, può soltanto contaminare, stor cere, contraffare la creazione di D io. E l ’attore ne sarebbe dunque lo strumento? A questa idea, noi che crediamo non solo nella sincerità, ma nella verità assoluta della poesia, ci ribelliamo. E i l buon sacerdote, confessore di attori e di attrici, ci consola e conforta. N o, egli afferma, i demoni non trionferanno neppure in teatro. A esorciz za rli un modo solo e valido: « essere qualcuno », essere un uomo autentico, una coscienza, un pensiero attivo anche nell’esercizio dell’arte, anche nella professione : non mestie rante, non schiavo, non succube dei fantasmi, ma dominatore. I l che vuol dire coltura, sovranità intellettuale, riflessione; non lo spolvero della col tura lezjosa, superficiale, cerebrale, piccole informazioni, minuscoli dilettantismi ed estetismi di cui sì compiace la mondanità, ma una abitudine umile e ardita a ricono scere la grandezza della vita e dei poemi, ad affrontarli con fertile energia, ad esserne interpreti e sovrani. E don Carre ci ricorda che tutta la vita cristiana favorisce la formazione di questo « io » segreto e raggiante. S i tratta di offrire alla Grazia, perché lo animi, lo risani, lo schiuda, un essere bene individuato; Jouve diceva « saisir le personage avec son âme ». M a per fare questo, ammoniva, dì anime bisogna averne una, e « s’j exercer ». Sono, nell’intimo dello spettacolo scenico e nella vita degli attori, prospettive affascinanti: qualcosa che tocca e sommuove i l fondo stesso del destino umano, e delle immagini della terra e del cielo, e di m a fantasia che non ci illude ma ci riscatta. Sul tumultuoso istinto e nel fuoco dell’invenzione scenica, sono accenni e inviti, discreti, alla delicatezza ed alla religiosità. FrailCMco B e r c i l i A P P E L L O A L P R E S ID E N T E D E L L A R E P U B B L IC A G IO V A N N I G R O N C H I S U L P R O B L E M A D E L T E A T R O I T A L I A N O Vittorio Beonio-Brocchieri, giornalista e scrittore, professore ordinario nell’Università di Pavia (scienza e filosofia) ha al suo attivo anche una serie di Saggi critici e monografie erudite. L’opera sua maggiore è il “ Trattato di Storia delle dottrine Politiche” (Hoepli - Milano) del quale fino ad oggi sono usciti quattro volumi ed è in preparazione il quinto. Uno di questi volumi è dedicato alla filosofia politica del popolo di Israele: il medesimo grande argomento è stato da Brocchieri ripreso, nel terreno arti stico, nel dramma in tre atti dal titolo “ Il fuoco del Sabbato ” . Con questa opera, Beonio-Brocchieri inizia la sua nuova attività teatrale. E’ con vivo compiacimento che segnaliamo l’interesse dell’illustre scrittore per la nostra scena di prosa, perchè l’attenzione c soprattutto la partecipazione degli uomini di cultura per il Teatro, lo abbiamo molte volte ripetuto, è un apporto necessario, decisivo alla sua migliore interpretazione. “ Il fuoco del Sabbato ’’ è già stata pubblicata in volume da Cesehina di Milano e la commedia è nel cartellone della Compagnia Stabile di Trieste per questa Stagione. Beonio-Brocchieri ha creduto di rivolgere un “ Appello al Presidente della Repubblica ” sul “ pro blema del teatro Italiano ” . Riportiamo tale “ Appello ” . Signor Presidente, poiché E lla riassume la suprema autorità dello Stato, a l disopra di ogni interesse di parte, m i permetto rivolgerLe questo rispettoso appello, prim a che venga emanata la nuova Legge sul 1 eatro. Colgo l ’occasione dal patto che la Casa Editrice Cesehina pubblica in questi giorni un mio dramma intitolato II Fuoco del Sabbato, non ancora rappresentato sulle scene. Questa circostanza è insolita e va segnalata perché non riguarda un semplice caso personale; ma dimostra come sia possibile rompere un circolo vizioso, deleterio per la produzione teatrale. In fa tti, salvo eccezioni, tanto g li editori quanto i direttori di Riviste, usano oggi rifiutare a p rio ri la pubblicazione di drammi e commedie, che non abbiano già avuto i l battesimo del palcoscenico; ma tale battesimo dipende dalle incontrollabili decisioni di capocomici. N e deriva questo assurdo: che la possibilità di rendere noto a l pubblico un lavoro drammatico Sta nell’arbitrio dì terze persone, le quali si inseriscono tra editore e autore. Cosicché, mentre in tu tti g li a ltri campi dell’attività letteraria un’opera può imporsi anzitutto come libro, affrontando direttamente i l giudizio del pubblico, a l contrario un testo teatrale è ostacolato in partenza dalla difficoltà di venire previamente rappre sentato. Tale rappresentazione sarebbe facilitata, se l ’opera fosse già conosciuta tra verso la pubblicatone, e sorretta da un consenso di critica e di lettori. M a proprio qui sta i l circolo vizioso: che un copione non può essere conosciuto, se prim a non è eseguito sulla scena; e così diventa disperatamente diffìcile superare i l punto morto. Conseguenza di questo controsenso e proprio la mancata collaborazione della critica; in quanto, di fatto, i l solo giudizio che oggi conta in materia teatrale e quello di un capocomico, i l quale può portare o non portare i l copione alla ribalta, secondo i l pro prio tornaconto. Quando un dramma è stato rappresentato, la maggior battaglia è vinta, qualunque sia i l giudizio dei critici espresso dopo la rappresentazione. M a fin che non arriva alla rappresentazione, si tra tti pure di un capolavoro, e come se non esistesse. M i pare che sia venuto i l momento di denunciare questo stato di cose, deleterio agli effetti dell’arte e della cultura, e di cercare un rimedio. Forse non sarebbe male che la Libreria dello Stato considerasse i l problema e cominciasse a dar buon esempio, pubblicando opere teatrali inedite, sull’unica base del loro valore; e che i signori critici sentissero indipendentemente dalla avvenuta o non avve nuta rappresentazione. i l dovere di occuparsene, A ia questa non è che una questione preliminare. Problema assai p iù complesso è la responsabilità dei Dicasteri che dirigono, e degli E n ti che sovvenzionano i l Teatro. Credo che molti guai nascano da un equivoco: quando si dice che lo Stato ed altre pub bliche Amministrazioni intervengono per favorire la vita del Teatro, la parola « Tea tro » prende, secondo le opportunità, due significati diversi: x) creazione artistica; 2) allestimento spettacolare. N e l prim o caso si tratta di dar vita a qualche cosa che non esisteva ; nel secondo caso, basta riportare sulla scena roba già acquisita a l p a tri monio letterario ed artistico. È la stessa differenza che corre tra pubblicare un libro nuovo e ristampare un classico (0 tradurre un best seller forestiero). Che anche questa seconda attività abbia la sua ragion d’essere, nessuno nega; ma essendo meno rischiosa e p iù lucrativa, sarebbe logico lasciarla ai capocomici privati, i quali ten gono in piedi i l teatro solo per averne un tornaconto. Non e altrettanto logico che seguano la stessa strada i teatri sovvenzionati a scopo culturale. In fa tti i soldi del contribuente dovrebbero essere erogati in proporzione a ll’u tilità ; ed e p iù utile aiutare un parto che commemorare un defunto. Le statistiche dei repertori sono eloquenti e npn so fino, a che punto tornino ad onore dei responsabili. I l pubblico non si rende conto dell’inganno, perché chi paga i l biglietto ha già accet tato i l programma e se alla fine si è divertito, batte le mani agli attori, allo sceno grafo, a l regista; convinto che i l teatro sia ben diretto e meglio amministrato. Se gli ammaniscono opere di repertorio vecchio e vecchissimo, o qualche straniero conclamato dalle fanfare cosmopolite, crede che ciò avvenga perché g li autori italiani sono ridotti alla sterilità. I l pubblico non sospetta che i l denaro profuso in lussuose ed ambiziose « regìe » di roba classica, importata, o riesumata, costa l ’esclusione e i l soffocamento di una tra le tante opere nuove, che inutilmente invocano di entrare nella vita. Non sa che approvando quegli spettacoli si rende complice di un infanticidio. H o spiattellato queste idee a l Consiglio Milanese dell’ « Opera Nazionale A u to ri e Scrittori », ed anche in uno degli ultim i Congressi teatrali a Saint Vincent, susci tando malumori e urtando interessi contrari (oggi però m i accorgo che quelle mie idee cominciano ad essere accettate'). S i obietta che attuali disposiqioni e istituti incoraggiano l ’allestimento di opere ita liane; ma è noto che nella massima parte dei casi l ’esecuzione di qualche copione nuovo (scelto quasi sempre secondo opportunità politiche, o di consorteria) viene abbor racciata per poche recite, a l solo scopo di arraffare la prevista sovvenzione; o viene allestita con le briciole del bilancio a fine stagione, negli angoli m orti del calendario teatrale. (.D el resto l ’esperienza personale m i ha dimostrato che un copione, inviato a ll’esame di competenti Is titu ti parastatali, può giacere negli archivi romani in obliosa trascuranza per mesi illim ita ti/). I competenti Dicasteri si accorgono di questo andazz0 > oppure no ? V ’ha di peggio. I l punto cruciale di tutto i l problema verte su questa domanda: « la delicatissima funzione di scegliere in repertorio le opere p iù meritevoli, a chi viene affidata?». L a risposta è ancora amara, quella funzione viene per solito affidata a ll’arbitrio di persone che nessuna norma legale e nessuna prassi amministrativa qua lifica, per ciò che concerne la capacità culturale e la idoneità di giudizio. Sicché si arriva a questo assurdo che, mentre per vagliare i tìto li presentati a concorso da una maestra elementare o da un geometra è prescritta nel collegio giudicante la presenza di tecnici qualificati, a l contrario la scelta delle opere offerte ad un teatro sovvenzio nato (cioè la funzione diffìcile e delicata di giudicar in prim a istanza quel che ancora non è stato avallato da a ltri) può essere affidata a gente che magari non ha mai pub blicato m a sola pagina, né ha mai data alcun’altra prova, atta a dimostrare prepa razione e competenza critico-artistica. N é basta m a vantata pratica di palcoscenico per conferire capacità di valutatone estetica in materia tanto grave e complessa; così come non basta la fam a di guaritore per mettere un empirico a vagliare opere di concorrenti in medicina. Anche ammettendo qualche lodevole eccezione, e tollerabile — negli intei essi della produzione drammatica — che nessuna adeguata norma disciplini queste attribuzioni? Quando, per esempio, uno scrittore si accorge che i l destino del proprio lavoro è stato affidato a giudici incapaci di comprendere i l testo, o magari di rispettare la buona sintassi, perfino nella lettera che respinge i l copione, non ha forse i l diritto di risentirsi contro uri Amministrazione che affida in ta li mani la scelta dei repertori? Talune gestioni teatrali meritano di essere conosciute nel loro meccanismo giuridico : non di rado sono strutture societarie che rendono praticamente impossibile l ’accesso a ll’assemblea da parte di nuovi elementi sgraditi a chi comanda. Ottima difesa contro qualunque opposizione. M a alla Presidenza e nel Consiglio di Amministrazione ven gono designate per statuto personalità pubbliche nella loro qualifica d’ufficio. In ta l modo, l ’ « apparenza pubblicistica » serve per attrarre fa c ili sovvenzioni dello Stato o di E n ti locali, i cui capi figurano anche come responsabili del teatro (e cioè nella strana situazione di finanziare se stessi fi. A l contrario l ’interna « costituzione priva tistica » immunizza tutta la gestione dai controlli a cui la Legge sottopone g li E n ti pubblici veri e propri. Sistema molto ben congegnato per garantire ai dirigenti indisturbate prerogative nella scelta dei programmi, e insindacabile disponibilità del pubblico denaro; ma non rispondente alle finalità artistiche e culturali invocate per giustificare i l finanziamento. Comunque, la produzione drammatica dei nostri scrittori non deve essere boicottata per difetto di norme, o incompetenza di funzionari. Perciò è da ritenere che con la nuova Legge tutto questo settore debba essere radicalmente riveduto; anche per ciò che riguarda la responsabilità della Radio e della Televisione, nella scelta dei reper tori teatrali. Confido, Signor Presidente, che i l Suo alto ed imparziale giudizio vigili sull’emana zione di norme migliori. Si tratta di salvare una tra le fo n ti p iù vive della cultura nazionale: si tratta di difendere da una minaccia mortale i l Teatro Italiano, non inteso quale semplice fa tto spettacolare, ma quale produzione creativa di arte nuova. M i creda, Signor Presidente, col p iù profondo ossequio miiorìo Be„nio.BroccIlle.., (N. d. R.) Comunichiamo con vivo compiacimento che la Presidenza della Repubblica ha già co municato all’illustre scrittore la assicurazione che “ si 6 già provveduto ad inoltrare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’appello redatto sul problema del Teatro Italiano L’accoglienza così solle cita, le espressioni di ringraziamento e l’assicurazione di cui sopra sono di conforto alla pubblica opinione per la formulazione della progettata Legge sul Teatro. Èva Magni e Renzo Ricci in Lunga giornata verso la not te, di O’ Neill. Il successo di questa magnifica opera è stato vivissimo, dalla prima rappresentazione al Piccolo Teatro di Milano, il 16 otto bre 1956. Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi, nella commedia di Michael Gazzo Un cappel lo pieno di pioggia, rappre sentata con vivissimo succes so al Teatro Odeon di Mila no, il 12 ottobre 1953, dalla Compagnia Proclemer-Alber- tazzi-Sanipoli. Romolo Valli, Rossella Falk e Giorgio De Lullo, nella commedia di Testoni 11 suc cesso, con la quale si sono ripresentati in questa Sta gione Teatrale, rinnovando il vivissimo successo ottenuto al Sesto Festival di Bologna, nel marzo scorso. La Com pagnia, sempre nella stessa esemplare formazione, ha re citato Il successo a Milano. PICCOLO TEATRO della Ci® di Mila» Grofion Hot» d»r Stontsthaater O -a Z O < c u r - 1 = c — re 2 «i s s- i 5 ò » ® « '« ? °■J O 3 2 O 3 O O * ** o Ü 71 — a — re U -o Q_ 0) a) 0) C o r I C 0) o ÛJ £ *■ £ Q .2 a - o>“— O) c z « ° c z £ 0 ° < O « • . . . , . . * . i t f ra,zie a tur i! Avete fat,t0 CÌÒ che u,nanamente era possibile. Ricordatevi che voi amate il teatro, anche vostro malgrado. Non vergognatevi mai di ciò ». LordTroÌo«tCM °RÌam° 1 -i0S-"mi • “ ™ tìam° da sera P« andare al ricevimento del l ' M RlS*0ne! 11 P!u.anzlano dl noi attori, dimostra ancora una volta di essere anche il pm saggio e il piu previdente. Ci consiglia di cenare sul serio prima di andare al il evimento perche non sappiamo che cosa precisamente ci sarà offerto e noi, che siamo digiuni dalla sera prima non possiamo permetterci il lusso di cavarcela con qualche sardina e due o tre pasticcini. Siamo stanchi ed esausti. Seguiamo il consiglio di Checeo e quando usciamo dal ricevimento siamo più che convinti di aver fatto bene a mettere in pratica la saggezza di Rissone. 1 ” 31 agosto — La giornata si presenta magnifica. È la prima bella mattina che vediamo dal giorno del nostro arrivo a Edimburgo. Leggiamo i giornali con le prime critiche di Questa sera si recita a soggetto: sono stupende. Alla sera, replica di Pirandello e successo come alla prima. Dopo lo spettacolo ci dirigiamo tin ti assieme, verso il piazzale del Castello. Vedremo il Tattoo, spettacolo dato tu tti elì anni m occasione del Festival e chiamato propriamente: « The Edimburgh Military Tattoo°» Tattoo e una derivazione di Taptoe che è a sua volta la sintesi molto contratta di una frase che significa: « Si devono chiudere i tappi alle botti ». Questa frase voleva significare la fine della libera uscita per la truppa scozzese del xvm secolo, che nelle ore di libertà era solita trattenersi nelle osterie a bere appunto birra o altri liquori. Quando suonava la «tiiata » si smetteva di bere, si chiudevano i tappi alle botti e si tornava agli allog giamenti. il Taptoe divenne m seguito il Tattoo ed ora, con questo nome, si designa una specie di palata fatta da militari con uniformi di diverse epoche e di differenti corpi o specialità con bande di ottoni, pifferi e cornamuse. Questa esibizione spettacolare seria e parodistica nel medesimo tempo, è contemporaneamente carosello storico, circo, panto mima ed esibizione di virtuosismi di bande militari e di gruppi tecnici moderni socializ zati. In definitiva e una esaltazione delle forze di terra, del mare e dell’aria britanniche che manda ogni sera m visibilio un pubblico di 10.000 persone. La parata funziona con un ritmo perfetto sotto la luce dei riflettori che aiutano a mettere m risalto questo o quel particolare. Alla fine dello spettacolo, basato soprattutto sulla esibizione, acclamatissima, delle Guardie Scozzesi (per intenderci: quelle con le cornamuse le sottane, una specie di coperta appesa alle spalle, le ghette bianche sui calzettoni ^ il colbacco nero e altissimo m testa), appare, sugli spalti del Castello, in alto, nel buio della notte nuvolosa e già fredda, un solo suonatore di cornamusa della Guardia Scozzese illu minato soltanto da una piccola luce messa ai suoi piedi. Il silenzio che accompagna la sua apparizione e stupefacente. Suona, solo, lassù in alto, circondato dalle tenebre con alle spalle le cupe sagome delle torri del Castello. La teatralità della sua apparizione cessa subito di essere « effetto » per diventare poesia. Diecimila persone tengono il fiato e ascoltano la lamento.» suonata dal solitario soldato ohe s e m i, ] ' f 3 ^ momento per diventare un’apparizione da leggenda. Il Castello diventa uno dei tanti della Scozia e la notte è una qualunque notte nordica, lunga, misteriosa euosa’ fredda, piena di fantasmi e di streghe. A ll’uscita ci confidiamo le nostre impressioni: sono quasi tutte entusiastiche Rur essendo ormai mezzanotte passata, Grassi invita Moretti, De . Chiara e Battistella a seguirlo m una casa scozzese dove è stato invitato e dove non vuole andare da solo anche perche non conosce bene le persone che gli hanno rivolto l’invito dal quale per altro sono escluse le donne. Ed infatti assistiamo, prima sbalorditi e poi anche T m ^ i Ì ad Z strano ricevimento dove comprendiamo deve esserci gente di teatro. Ma non sono diver b i daweio. Il padrone di casa m sottana scozzese ci spiega che la regola tradizionale del suo paese stabilisce che gli uomini, con la sottana, non debbano portare nessun altro idumento intimo essendo essa sufficientemente decorosa, calda e confortevole. al brass! che ha finito un abbondante spuntino, incomincia a parlare della Francia della « Comedie Française », 1 Italia, l’Inghilterra e la Scozia. Si spinge un attimo fino in Irlanda J-10' 113', ]|pUlrd! e. n01 Sla™° stanchi. Gli scozzesi invece sono vivacissimi, al colmo gioia e dell eccitazione e sollecitano Grassi a parlare. Facciamo tre tentativi di fuga; . , ^ , . ^ 1° settembre. — Stiamo in teatro tutto il giorno per le ultime due repliche di Pirandello. Due nostre compagne che hanno lasciato a Roma il marito e il fidanzato, piangono perche non hanno ancora ricevuto posta. Dopo lo spettacolo ci troviamo nel ristorante italiano con gli attori canadesi, come da ordine del giorno del 30. In un locale sufficiente appena per 20 persone, ci riuniamo in una quarantina. Accanto alla Ronfigli c è una signora di Edimburgo che nessuno conosce, ma che ad ogni frase di Rissone sbotta m una risata cosi terribile da costringere Marina a cambiare di posto per non rimetterci un timpano. Sembra che sia proprio ed unicamente la robusta voce di Checco ad eccitare così violentemente la sconosciuta scozzese. Gli attori canadesi sopraggiungono alla spicciolata. Tutti hanno un aspetto interessante e quattro o cinque tra i più giovani hanno i capelli lasciati crescere e tagliati ad arte per Enrico V al fine di fare a meno delle parrucche. Le donne nostre vanno m visibilio per loro e, avendo visto alcune di esse Enrico V, assicurano che questi magnifici giovani hanno anche gambe stupende. Un giovane attore canadese figlio di italiani ci racconta come gli attori di prosa vivano a Stradford in Canada. Fanno sei mesi di teatro e poi un po’ di tutto: radio, televisione e qualche puntata in provincia con spettacoli ben riusciti ma con distribuzione ridotta. Proprio come da noi. Tra canadesi e italiani vengono scambiati brindisi e complimenti. Il chiasso è infernale, sono quasi le quattro del mattino e domani si deve parine per Londra. Ci congediamo e cerchiamo di raggiungere i nostri alberghi. Edimburgo si agita ancora: è sabato. Gli autobus riportano a casa gruppi di gente con segni evidenti di essersi divertita. 2 settembre. — Poco prima della partenza, a corredo degli affannosi sforzi per far entrare la roba nelle valige, al North British Hotel, Grassi fa un discorso sulla necessaria pianifi cazione del lavoro in genere e di quello teatrale in particolare, ed invita ancora lina volta gli attori ad organizzarsi. Giunge con naturalezza a ripresentare un progetto che gli scrit turati del « Piccolo » nell’anno 1948 avevano rifiutato: egli propone di comperare a rate dei loculi al Cimitero Monumentale di Milano per poter avere dopo morte una degna sepoltura, sotto l’egida del Piccolo Teatro e nella giusta graduatoria dei ruoli. Miracolo dell’organizzazione. Carraro guarda la campagna e sogna un po’ di tranquillità in una casetta con orto e galline; Strehler, vegliato da alcuni fidi, dorme sotto un’enorme e calda coperta scozzese; Lbecco Bissone’ ogni tanto, cava di tasca uno spruzzatore e si cosparge di preziosa Acqua di Colonia.’ Appena giunti a Londra alcuni notano che qui, nei confronti di Edimburgo, e tutta un’altra cosa. Non si capisce il perché, dal momento che qui piove e fa freddo come a Edimburgo. All’albergo troviamo posta e ce n’è per tutti, anche per le due attrici deluse, ad Ldimburgo, dal silenzio dei loro uomini. Ceniamo al « Quo Yadis? » e andiamo a dormire. 3 settembre. — Visitiamo, nella mattinata, il British Museum; al pomeriggio facciamo una rapida visita all’Abbazia di Westminster e al Palazzo del Parlamento. Quindi, passando dal grande ponte apribile sul Tamigi, entriamo nella Torre di Londra. Nelle sale delle armi, le donne si interessano soltanto dei numerosi e crudeli strumenti di tortura e si soffermano davanti ad un bel ceppo con tanto di mannaia che, come dice il cartellino, è molto consumata per le numerose esecuzioni a cui è servita. Tra le armature viene particolarmente notato un completo in acciaio di Enrico V ili, ben rigonfio dallo stomaco in giù per dar posto al suo ventre mostruoso. Alla mostra dei gioielli della Corona le donne vanno in estasi. Ed ancora, uscendo dalla Torre, ci soffermiamo in un grazioso angoletto di prato verdis simo tra gli alberi, dove gli uccellini beccolano molliche di pane che ì gentili visitatori poroòno loro; al centro, fra quattro colonnine unite da una catenella notiamo una placca d’ottone ben lucidata: contiene nomi di regine, ministri, principi e duchi decapitati in quel punto. Nella lista è compresa Anna Bolena. Le nostre attrici ne sono rapite. Alla sera andiamo tu tti al Palace Theatre per assistere allo spettacolo dato dal Berlmer Ensemble: Madre Coraggio di Berteli Brecht. Ci distribuiamo in tre magnifici palchi di proscenio e ammiriamo la straordinaria bravura della protagonista Helen Weigel, vedova di Brecht. Strehler ci indica come esemplare la sua recitazione nello stile di Brecht definito « epico ». . . . . n „ X t E H e t e s l i T e 3 a V " r ‘ perché faremo P® U g g ia te e cumplimentare i ad “ “ * * » * “ “ » « aP«,acoK th 'Í “ Vt " ,in.f Fr U" a“ ’ ™ * comPerarsi tre „ quattro Í . E X E » E 8É o CX PS comprende la beUefza tin ta d e l t Ì T Y duecent0 anni- Valentina non sarebbe molto più bello se le sue falde f m «¡gliore dei modi. Ci si ,Una,SPeCÌ' di “ ffi™ P® lui e De Chiara, annunci, con orgoglio di ave, cntto trentadue lettere e attende che gli portino un caffè all’italiana. g ¡rare il tramonto del sole ap“ E , r i X r t Ì,md !píta í a, COmpa, í r a SUl P°“ te P“ “ E ; t ; J dell Inghilterra. Ma non tu tti rispondono al patetico appello del ì attesa per deteriori c Z . r , 7 „ t t e L L T ei . S?Pere Cl,e .la T U è p0nte- DoP° 11 caffè Grassi invita di nuovo tutta la compagnia ad ammirare llna cg UolnTdTe1 7 s t s T l rescenza delle “ de, quindi preoccupato di non veder quattro attori non sono turisi • V° j ' T af df tl a nire’ ammonisce 1 presenti, ricordando che gli v i T s Z e Z i ™ ! ™ regime ^ i §h 3tIet1’ 6 C°me taU deVOn° SCmPre ^ - , “ Alle cinque sveglia, alle sei colazione: la mattina è chiara e dalla Svezia ci 6 settembre. r a s S c T S u r ? gdbbians ci viene car^.oncmo: ore tredici colazione dal Console Generale (Storario^Ih Ahi* A * °re w ’45 conferenza stampa; ore 20 Arlecchino; ore 23 cena offerta dalla ^ Gnmd HÓteb Entria™ in P««o ed alle otto siamo T a lb e to M e 13 Iad V Colaz,lorlV come stabilisce l’orario di marcia, a casa del Console Ahlimd ìl rT l r C3Sa’ d°P° d Pranzo’ ci dà ü E ve n u to con un discorso in f italiano a i rassi risPon e e ringrazia per tu tti noi. Alla sera Arlecchino ottiene un caloroso sur 1 e’ t e t T u g l applausi del finale’ Viene in P-lcoscenico il direttore del teatro per ringraziarci e per consegnare a Strehler, in presenza del pubblico, una lira d p -g — den. ? dorata (fatta come l’omonimo strumento musicale, ma in foglie d’alloro) e a Moretti un mazzo di fiori. Il successo però è stato meno entusiastico di quello conseguito tre anni fa dallo stesso spettacolo e nello stesso teatro. Dopo la recita ci mettiamo in abito da sera e andiamo alla cena offertaci dalla città di Goteborg. Il menu comprende, fra l’altro, scampi alla Goldoni e carne alla Pirandello. La riunione è cordialissima e dopo i discorsi svedesi e italiani tor niamo in albergo verso le due. Non ne possiamo più dalla stanchezza. 7 settembre. — Il tempo è pessimo: piove e fa freddo. Alle 18,30 siamo convocati in teatro da Strehler che per un’ora parla sulle possibili cause del minore entusiasmo con cui il pubblico ha accolto FArlecchino 1956 nei confronti dell’edizione 1953. Incomincia col dire che all’origine di qualunque fatto teatrale ci sono dei fattori imponderabili che non si pos sono razionalmente prevedere nè, dopo, valutare. Aggiunge che fra i fattori valutabili c è la nostra stanchezza e la cattiva stagione. Conclude con l’affermare che noi non abbiamo immesso nella nostra recitazione quel « quid » che e indispensabile per valorizzare questa ultima edizione deW Arlecchino, più evoluta, completa e maturata dell altra. Andiamo a truccarci quando mancano venti minuti all’alzarsi del sipario. La storia di questa nuova edizione dell’Arlecchino è già cominciata. Questa sera si recita a soggetto ottiene consensi calorosissimi. Prima di andarci a cambiare leggiamo l’ordine del giorno. È costituito da ventiquattro righe dattilografate divise in cinque paragrafi, con tutte le indicazioni degli spettacoli, dei viaggi e degù orari per i prossimi giorni. E, poiché ormai la lunghezza media degli ordini del giorno è di quindici righe almeno, gli attori decidono di prendere appunti su appositi taccuini. Ci strucchiamo e andiamo a cenare in un locale notturno caratteristico, dove assistiamo a una specie di innocentissimo spogliarello svedese e alla cena di alcuni nostri colleghi. Grassi dice di essere stanco e di non avere appetito. La sua cena infatti si limita a un po’ di salmone affumicato, a due uova al burro, ad una fetta di carne con tre contorni, a un po’ di gamberi bolliti e a diciannove panini imburrati. 8 settembre. — Lasciamo l’albergo al mattino presto e ci sistemiamo in uno scompartimento di seconda dell’espresso Goteborg-Stoccolma. Stiamo stretti, non c e posto per le valige, ma dobbiamo lasciare spazio per i preziosi cappelli inglesi di Grassi e Rissone. Andiamo, per la prima colazione, nel vagone-ristorante dove Grassi, dopo sei ore di digiuno, dimostra di essere tornato in gran forma. A Stoccolma, dopo aver atteso in stazione un ora e mezza per lo scarico il controllo e il carico delle valige, alle quattordici partiamo su un grosso pullman alla volta del Grande Albergo descrittoci come un luogo di riposo e di delizie. Ma al Grande Albergo non ci vogliono. Non si sa per quale spiacevole equivoco, dovuto alla colpa di non si sa chi, non ci vogliono; ma molto gentilmente ci indirizzano ad una « dépendance » del medesimo Grande Albergo, che si trova tra gli alberi, sull acqua, in posizione meravigliosa anch’essa, appena mezzo chilometro più in la. Faticosamente ripren diamo il cammino su una strada ancora più stretta e pericolosa di quella già percorsa. Giungiamo a destinazione e scopriamo che la « dépendance » non e altro che uno chalet in legno, fragile residenza estiva da week-end per i robusti svedesi. La situazione si pre senta difficile. Entriamo in albergo, e, nel prendere possesso delle nostre camere, dobbiamo amaramente constatare che sono fredde, senza acqua calda e prive di possibilità di riscal damento. Dietro la porta leggiamo un cartello trilingue col quale la direzione prega i clienti di accertarsi bene di tutte le possibili uscite esistenti in albergo per poterle eventualmente utilizzare in caso di incendio. Dobbiamo pranzare e sono quasi le tre. Qui non c’è servizio di ristorante e dobbiamo ritor nare al Grande Albergo percorrendo tra l’andata e il ritorno circa un chilometro. Dopo pranzo cerchiamo di riposarci un’oretta e alle 18 il pullman è di nuovo pronto per ripor tarci a teatro. È un crepuscolo polare, freddo e nebbiolo e noi siamo piuttosto abbattuti. Recitiamo FArlecchino ed il piacere di recitare e il calore del pubblico entusiasta ci fanno dimenticare i nostri guai. Dobbiamo riconoscere che, dopo tutto, stiamo meglio in teatro che in qualsiasi altro posto. Carraro vorrebbe proporre alla direzione di farci viaggiare come il materiale scenico, dentro grandi bauli, con buchi per respirare. Ne otterremmo tutti grandi vantaggi e se non altro riposeremmo di più. Durante gli applausi il direttore e intendente del teatro, signor Gierow, viene sul palco- scenico e, dopo un discorso in francese e in italiano, consegna a Strehler una grande corona di foglie d alloro, fatta come una ciambella di salvataggio, con due nastri sui quali è scritto in lettere d’oro: « A Strehler, ecc. ». Durante gli applausi che seguono, ad ogni alzai si del sipario, tale corona viene fatta passare di mano in mano affinché a ciascuno tocchi, com’è giusto, la parte di gloria che gli spetta. ' 9 settembre. “ Alle undici partiamo in pullman per il Drottningholms Teatern, teatro della residenza estiva della Corte Reale Svedese, distante da qui 45 chilometri e vi giungiamo dopo un ora di viaggio. Il teatro settecentesco è isolato nel bellissimo parco ricco d’acque popolate di cigni e anatroccoli. Nel suo interno è disposto un museo teatrale che contiene, fra le altre cose, una sala dedicata alle scenografie del Bibbiena e una raccolta di costumi appartenuti a comici italiani del ’700, fra le più ricche del mondo. Grassi non consente che ci si soffermi molto ad osservare le meraviglie del museo perchè siamo attesi sul palco- scenico per provare. Come Napoleone con i suoi soldati prima della campagna d’Italia, egli ci invita a proseguire con coraggio verso le glorie che ci attendono. Al posto del bastone da maresciallo, egli dice, ciascuno di noi ha nel suo bagaglio una corona d’alloro. Noi, pensando alla forma delle corone che qui usano regalare agli artisti dopo lo spetta colo, facciamo gli scongiuri di rito. Siamo in teatro alle 13,15 e prendiamo visione delle novità che dobbiamo affrontare. Prima di andarci a truccare abbiamo dieci minuti di tempo per visitare il palcoscenico: sembra un grande teatro di burattini, di quelli belli che usavano una volta, tanti anni fa. Osserviamo da ogni lato del palcoscenico sei ordini di quinte e ogni ordine lo vediamo composto di quattro quinte disposte tutte su binari di scorrimento. Il loro movimento simultaneo avviene con un solo comando semplicissimo. Le quinte si spostano, scivolando 1 una contro l’altra, come se fossero delle grandi carte da gioco, e a mano a mano che una si ritira sopravviene l’altra, sicché da giù si ha lo stesso effetto che nel cinema si dice « dissolvenza incrociata »: in trenta secondi va via un ambiente e ne viene un altro, a vista. Le lampadine elettriche sono disposte, di qua e di là in quinta, con il colore e l’intensità di mce delle candele che c erano una volta al loro posto. Il palcoscenico è inclinato verso la platea e la platea verso il palcoscenico. Tra questo e quella c’è il posto per l’orchestra. A destra e a sinistra della platea, un po’ in alto, ci sono due palchetti fatti come balcon cini, con le grate di legno per vedere senza essere visti. Questi palchetti consentono a noi attori, durante lo spettacolo, di andare a turno a vedere l’effetto della scena con i compagni che recitano. E la sensazione è indescrivibile: lo spettacolo acquista colori e proporzioni magiche. Su questo palcoscenico l’attore diventa veramente una divinità che domina la platea. Recitando in questo teatro, con i soli costumi nostri e nient’altro, noi abbiamo 1 impiessione di essere aiutati a recitare liberamente, con gioia, e di poter avvicinare straordinariamente a noi il pubblico anche se durante la recita la sala resta illuminata e siamo da essa separati dalla fossa dell’orchestra. Il sottopalco e la soffitta ci confermano 1 alto livello tecnico raggiunto dal teatro nel ’700 e i camerini ci testimoniano l’alta civiltà di questo paese e il rispetto per il teatro e per chi lo serve. Durante gli ultimi applausi 1 intendente del teatro, prof. Agne Bejer, viene fra noi e, di fi onte a un pubblico che non si stanca di festeggiarci, ci ringrazia e ci elogia in italiano. Abbiamo quaranta minuti per struccarci e partire. Il pullman sta già aspettandoci. 10 settembre. — Sveglia alle cinque e valige pronte alle 6,15. La giornata è meravigliosa. Nell’atrio ci attende Grassi in gran forma, lock in testa e documenti alla mano per control lare e smistare tutte le valige. L’unico facchino dell’albergo le depone ai suoi piedi ed ere- mattino visitiamo il Deutsclies Museum, ed al pomeriggio Fossati, corri spondente dell « Avanti! », si offre di farci fare una gita culturale nella Berlino Ovest, da im ben conosciuta per ragioni professionali. Ma vengono con noi Marina Bonfigli e Valentina Fortunato e per due ore dobbiamo seguire le due gentili nostre compagne dentro e iuon di una quindicina di negozi di scarpe, calze, borsette, vestiti e biancheria intima, beguendo le due signore nella loro gita culturale, Fossati ha però modo di parlarci della. Berlino Est e Ovest e di metterci al corrente della vita teatrale di qui. Ci dice che gli a ito li stanno benissimo, fin troppo bene, perché l’eccessivo benessere li impigrisce e li rende piu simili a funzionari diligenti e soddisfatti che ad artisti irrequieti e curiosi. Uopo io spettacolo che ha l’esito consueto, gli attori tedeschi che la sera prima hanno recitato Goldoni vengono a portare personalmente in palcoscenico ed in presenza del pubblico, fiori al collega italiano che ha sostenuto il loro stesso ruolo. 6 ottobre. \erso le dieci del mattino andiamo tu tti a rendere omaggio alla tomba di Brecht che si trova m un giardino proprio sotto le finestre di quella che fu la sua casa a meno di duecento metri dal letto in cui morì. La mattinata è fredda e piovosa e noi procediamo con gli ombrelli aperti, in mesto corteo, sotto agli alberi stillanti acqua, fino al luogo dove il 1 oeta è sepolto, sotto i platani, contro un muro privo d’intonaco, certo per potervi apporre la lapide, e riposa in eterno vicino a Fichte e Hegel. Prima di lasciare il giardino salutiamo la modesta casa del Poeta. Dopo avere partecipato ad una conferenza stampa al « Volksbuehne », pranziamo in fretta nella cantina del teatro stesso perché oggi lo spettacolo è alle ore 15. Brassi informato dai giornalisti presenti delle alte paghe degli attori e registi della Ger mania Orientale, propone come modello per un teatro italiano dell’avvenire la Germania ccidentale, anche se reazionaria, dove però pare che gli attori siano pagati un po’ meno, e assicura formalmente che se dovesse un giorno diventare Direttore Generale dello Spet tacolo, non permetterà ad alcun attore di guadagnare 30.000 lire il giorno, né che i registi percepiscano più di 600.000 lire a prestazione. Poiché nessuno di noi attori, qui presenti, è giunto ancora a guadagnare tale cifra, non protestiamo, ma al contrario sor ridiamo tranquilli e fiduciosi in un avvenire di migliore giustizia sociale promosso dal direttore del Piccolo Teatro. Andiamo a truccarci ed entriamo nel nostro camerino accolti con profondissimi inchini dal cameriere personale fornitoci dal teatro. Questi camerieri personali che la « Volksbuehne » mette a disposizione dei suoi attori per le necessità di palcoscenico, hanno tu tti l’abito maschile, un età incerta e atteggiamenti femminei e striscianti. Noi, non siamo abituati ad essere serviti così nemmeno a casa nostra, e quindi ci troviamo un po’ imbarazzati a vederci girare intorno, in camerino, questi strani individui che ci tolgono la camicia, le calze, i pantaloni e quasi ci strappano di dosso le magliette ed altri indumenti intimi per impedirci di svestirci senza il loro concorso. L’imbarazzo diventa incubo, ma nem meno la diplomazia di Checco Rissone è riuscita a liberarsi del domestico. UArlecchino finisce verso le 18, ed alle 19, invitati da Helene Weigel, ci raduniamo nell atrio del «Berhner Ensemble» per assistere allo spettacolo. Il teatro, aH’interno, è acco gliente, tutto a velluti rossi, stucchi e putti; un teatro borghese della Germania di un tempo. Davanti al sipario c’è però in bianco e nero una grande colomba di Picasso che vuol polemicamente definire la nuova linea politica ed artistica del «Berliner Ensemble». La commedia che vediamo rappresentare è di un promettente scrittore della nuova gene razione tedesca, tutta scritta in versi sciolti e intitolata Katzgraben dal nome della loca lità dove si svolgono gli avvenimenti. È stata messa in scena dallo stesso Bertolt Brecht prima di morire. Narra la storia di un villaggio tedesco dal 1947 al 1950 e, in due tempi, numerosi quadri, col concorso di 36 attori e di un trattore di modello antiquato, vuol dimostrare I utilità della collaborazione tra gli operai e i contadini e quanto sia vantag gioso per lo sviluppo economico di un Paese avere una strada moderna al posto degli antichi trattori e trattori al posto dei cavalli. L interpretazione data dal complesso del «Berliner Ensemble» è ammirevole. Dopo lo spet tacolo ceniamo nella cantina del teatro ospiti di Helene Weigel. A tavola ci rendiamo conto che un regista svizzero del complesso, con aria di grande cordialità e deferenza, ci prende tranquillamente in giro. Lo lasciamo fare. Lo abbiamo poi visto assistere di nascosto a tu tti gli spettacoli di Arlecchino da noi dati a Berlino. Non sappiamo se ha potuto imparare qualche cosa. 7 ottobre. — Un gran numero di bandiere rosse e tedesche sciorinate ovunque senza eco nomia di tessuto e Ü sole splendente non riescono a farci dimenticare 1 aspetto desolante di questa città semidistrutta, le cui strade deserte la fanno assomigliare piu che mai a un caposaldo appena abbandonato. È la festa della Repubblica Democratica Tedesca. Facciamo una rapida escursione nella Berlino Ovest. A Wannsee ci fermiamo a pranzare e, durante il ritorno, ci soffermiamo ancora ad ammirare le ricche vetrine e gh alienatis simi caffè della Berlino Ovest. 8 ottobre. — Dalla mattina presto la compagnia si disperde in tutte le direzioni di Ber lino Est e va a comperare prodotti di tu tti i generi per i quali il Governo germanico ci dà il permesso di esportazione a patto che non se ne faccia commercio. L « ebbrezza » delle compere invade le donne, e Marina Bonfigli fa lavorare freneticamente il suo cer vello come una macchina calcolatrice, per trasformare con rapidi conteggi, lire in dollari, dollari in marchi ovest, marchi ovest in marchi est e viceversa per trovare il cambio piu conveniente. Checco Rissone riesce a procurarsi un diamante artificiale che molto miste riosamente mostra ai suoi colleghi, sostenendo che non differisce da uno vero altro che A teatro il sipario si alza con mezz’ora di ritardo, secondo alcuni per attendere il Presi dente della Repubblica Pieck e secondo altri per consentire lo sblocco di un ingorgo di spettatori alla cassa. Ma non si riesce a stabilire quale delle due versioni sia la vera. Alla fine applausi a non finire, fiori e addii. Rientriamo a! nostro alloggio a piedi, m ima serata così gelida che non ci fa rimpiangere di dover lasciare domani questa citta. 9 ottobre. — A mezzogiorno siamo invitati al pranzo ufficiale offertoci dal Ministero della Cultura della Repubblica Democratica Tedesca. L’autorevole rappresentante del Governo, dopo averci ringraziato, elogiato, ed aver sottolineato l’importanza che per i tedeschi ha avuto la nostra tournée, ci dà l’arrivederci per Fanno prossimo. Durante il pranzo veniamo a sapere dal direttore del Deutsches Theater che gli attori del suo complesso sono più di 120 pagati tutto Fanno con sei settimane di vacanza ogni 12 mesi; che le prove hanno luogo ogni giorno dalle 10 del mattino alle 2 del pome riggio e che tali prove devono sempre finire cinque ore prima dello spettacolo per consen tire agli attori di riposare; e che, infine, se il regista ritenesse necessario prolungare 1 orano stabilito delle prove stesse deve, prima di decidere, chiedere il consenso della Associazione Nef pomeriggio alcuni di noi vanno a fare rifornimento di viveri nella Berlino Ovest perché sul percorso Berlino-Vienna non ci sara vettura ristorante. Entriamo in stazione alle 19,45 e ci accomodiamo nel vagone-letto messo a nostra dispo sizione. È il momento dei saluti. Giungono da Helene Weigel ancora messaggi e fiori. Le giovani interpreti, che ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, piangono dispe rate ma, sembra, il loro dolore non è soltanto quello di non poter più rivedere Arlecchino. Il treno parte lasciando sulla banchina una piccola folla di tedeschi malinconici e qualche fanciulla in lacrime. Noi, pur sapendo di lasciare un Paese che ci ha accolto con amore, che ci ha seguito nei nostri spettacoli con entusiasmo e che fino all’ultimo istante ci ha ricoperto di attenzioni gentili, di fiori e di regali, siamo impazienti di ritornare m Italia e pensiamo con una certa indifferenza a ciò che a Vienna ci attende. 10 ottobre. — Al risveglio ci troviamo già in territorio cecoslovacco, ci accorgiamo di essere due ore in ritardo sull’orario e veniamo a sapere che il vagone contenente il mate riale scenico e il grosso del nostro bagaglio è stato sganciato dal treno alla frontiera ed è rimasto in Germania. Giungiamo a Breclav quando il direttissimo su cui dovevamo salire è già partito da piu di un’ora e dobbiamo rassegnarci ad attendere in stazione un accelerato che ci portera fra tre ore, non già a Vienna ma a un paese nelle vicinanze della città che ci attende. , Il momento è difficile. A un certo punto, nel tentativo di chiarire la situazione, sentiamo Grassi alzare la voce e lo vediamo allontanarsi e scomparire col suo sacco dei regali in spalla (che scherzosamente è stato definito « il sacco delle rapine »), tra due guardie arma tissime e seguito da un gruppo di ferrovieri. Noi dobbiamo restare sul vagone perché è proibito scendere e, del resto, non l’oseremmo neppure. Dopo più di due ore di sosta Paolo ritorna trionfante ed il treno si muove, lentamente, ma si muove. Al tramonto giungiamo al confine austro-cecoslovacco dove, finalmente’ possiamo vedere da vicino la famosa « cortina ». È costituita da una siepe di filo spinato e da una barriera di fili metallici nei quali passa corrente ad alta tensione. Ogni tanto una torretta con sentinella armata di mitra e dotata di riflettori domina la terra di nes- suno dove pascolano in pace centinaia di lepri. Il treno si ferma. Due gendarmi vestiti come i nostri partigiani nel 1945, armati di corti mitra a tracolla, ispezionano tutto il treno vettura per vettura e guardano minuziosa mente dentro i gabinetti, tra i vagoni, sotto i vagoni e tra le ruote. Finita la lunga ispe zione ci viene concesso di lasciare la Cecoslovacchia ed entriamo nella prima stazioncina austriaca, gremita di suore. Proseguiamo e alle 20 scendiamo dal treno e in pullman rag giungiamo Vienna. Dopo 20 minuti siamo in albergo. Vienna è affascinante: una belfa vecchia signora, un po’ decaduta, ma ancora piena di dignità e desiderosa di apparire al mondo con quel fascino di un tempo che qualcuno ancora ricorda e rimpiange. 11 ottobre. — Giorgio Strehler arriva sulla sua fiammante « Giulietta » che non denuncia di aver subito nel viaggio danni di sorta. Grassi è molto avvilito perché contrariamente a quanto supponeva e ci aveva dichiarato, il capo stazione di Breclav non ha ascoltato i suoi consigli e non ha fatto proseguire il vagone. Lo spettacolo è sospeso per colpa della burocrazia cecoslovacca che non ha voluto ascoltare le illuminate direttive di Paolo Grassi. Giunge dall’Italia un messaggio urgente col quale il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per lo Spettacolo, on. Brusasca, comunica all’attore Tino Carraro, primo attore del Piccolo Teatro di Milano, che il Presidente della Repubblica, su sua proposta, gli ha conferito l’onorificenza di Ufficiale al merito della Repubblica in riconoscimento della sua brillante e lunga attività artistica. 12 ottobre. — Al mattino visita ai Musei, al Danubio, al Prater, alla Chiesa di S. Stefano, alla cripta degli Asburgo, al Palazzo Imperiale, ai giardini, e allo zoo di Schonbrunn. Al pomeriggio prova di Arlecchino e alla sera recita. Il successo questa volta è superiore a quello del 1955 e Strehler, soddisfatto, e sorridente, viene assieme a noi a prendere gli applausi che il pubblico ci rivolge. Siamo ricevuti, dopo teatro, nel grande e fastoso atrio del Burgtheater e ci viene offerta una cena fredda servita ai tavoli dagli stessi attori tedeschi del Teatro di Stato. Un’orchestrina di quattro elementi suona i famosi valzer viennesi che, alla fine della cena, le nostre donne ballano con grazia ed eleganza tra le braccia di maturi cavalieri del luogo. Il Burgtheater è monumentale all esterno ed eccessivamente fastoso all’interno e ci fa ricordare, forse a torto, quello che un tempo dovevano essere le Terme di Caracalla. 13 ottobre. — Dopo la prova generale di Pirandello, alle 18,30, siamo invitati a un cocktail all Ambasciata italiana. Attraversiamo la piazza tra il Burgtheater e il Municipio mentre 30.000 persone con urla che ci ricordano altri tempi poco gloriosi, chiedono al governo l’annessione all’Austria dell’Alto Adige. Ceniamo in un triste locale caratteristico e quindi decidiamo di andare ad assistere a uno spettacolo di « spogliarello » dato in un famoso locale notturno. Lo spettacolo però ci sembra noioso e riusciamo a distrarci solo trovando somigliantissimo a De Chiara un ballerino travestito da turco, a Diego Fabbri il batterista dell’orchestra. Un danzatore tzigano ha le mosse feline di Gassman e il sorriso beffardo di Millo. Matteuzzi condanna severamente la licenziosità delle esibizioni che trova pericolose per la salute dell’anima, quanto il viaggiare in aereo per il corpo. . ? 14 ottobre. — Alle 10,30 entriamo nella sala del maneggio della Scuola di equitazione spagnola. Il programma che ci viene consegnato è compilato secondo lo stile di quelli dei concerti. Lo spettacolo è diviso in otto parti, gli interpreti sono cavalli di razza lipiz- zana e delle casate dei Neapolitano, Modena, Maestoso, ecc. e le musiche appartengono a Mozart, Boccherini, Strauss, Bizet, Chopin e così via. Nella sala tutta bianca e soste nuta da colonne corinzie i cavalli si muovono come grasse e bene educate signore in un salotto settecentesco. Alla sera, prima di Pirandello e applausi a non finire. Per comprendere Peccezionalita del successo da noi conseguito con Goldoni e con Pirandello che hanno totalizzato piu di quaranta chiamate agli attori e al regista, bisogna ricordare che al Burgtheater di Vienna anche gli interpreti più celebri non ringraziano il pubblico se non dopo un gran dissimo successo. Tuttavia noi, ormai, non siamo più in grado di apprezzare in pieno il privilegio di partecipare a questi trionfi che, ripetendosi continuamente, hanno prodotto in noi una specie di sazietà. 15 ottobre. — Replica di Pirandello, nuovo successo e fine della tournée. Qui sarebbe opportuno fare un bilancio riassuntivo del nostro giro, ma non ci sembra che tocchi a noi questo compito che, forse, non saremmo in grado di assolvere. I risultati in dati, cifre ed elenchi statistici verranno valorizzati da chi lo vorrà fare nell interesse del teatro italiano e del «Piccolo di Milano». Quanto a noi potremmo risentire il rumore degli applausi ricevuti incisi su nastro magnetico, rileggere debitamente tradotte le critiche inglesi, svedesi, finlandesi, danesi, norvegesi, tedesche e austriache che ci hanno ricoperto di elogi. Ma avremmo forse l’impressione di aver portato in Italia della valuta pregiata, sì, ma non utilizzabile. E allora, di questo viaggio, a ciascuno di noi attori rimarranno soltanto le esperienze umane con le quali si è arricchita la nostra vita e che col passare dei giorni acquisteranno valore o sbiadiranno a seconda della loro natura. 16 ottobre. — Il ritorno desiderato ormai da tutti ha inizio alle 20,30 dalla stazione di Wien Sudbahnhof. Alla frontiera italiana, alle cinque del mattino, i funzionari di polizia ci ritirano i passaporti che non risultano avere il visto di transito per la Cecoslovacchia. Grassi, esasperato, si fa prestare da Rissone il suo lock grigio-perla, accende un grosso sigaro e cerca di impressionare gli agenti dicendo che noi abbiamo vinto delle battaglie artistiche in nome dell’Italia all’estero, asserisce di avere tutti i permessi dai vari Mini steri e di voler parlare al commissario capo. Ma non succede nulla di quanto egli aveva sperato. Gli agenti lo scambiano per un capo comitiva di un qualunque C.R.A.L., igno rando assolutamente che esista in Italia un Piccolo Teatro, che cosa sia e che cosa abbia fatto, si rifiutano di prendere in considerazione le credenziali di Grassi e, quanto al com missario, non lo possono svegliare, dicono, prima delle sei. Abbiamo proprio la certezza di essere in Italia. Incominciamo a salutarci perché qualcuno da Mestre va direttamente a Roma. E si riparte. Dell’arrivo a Milano è stato detto da tu tti i giornali. Sulla banchina della stazione milanese ci vengono incontro gli stessi amici che abbiamo lasciato allo stesso posto il 23 agosto. Moretti svanisce nella nebbia milanese prima che qualcuno si accorga di lui. In pochi minuti, dopo qualche flash e una ripresa televisiva, la compagnia si disperde. La tournée è proprio finita. Abbiamo percorso più di 10.000 chilometri (in treno, pullman, nave, aereo), abbiamo toccato diciannove città in ben sette Paesi stranieri, con una assenza di 55 giorni, durante i quali abbiamo partecipato a quarantun recite nei due spettacoli in programma Arlec chino servitore di due padroni di Carlo Goldoni e Questa sera si recita a soggetto di Luigi Pirandello, ma siamo certi che quando torneremo a Roma, fra pochi giorni, per gli impegni che laggiù ci attendono, qualcuno ci chiederà: « Ma dove sè stato tutto sto tempo? Qui Antonio Battistcìi» se lavora sul serio e tu te ne vai a girà co na compagnia! ». P M u m L ’ULTSM© ANO U ILH P E S S IM IS T A E D ISG USTATO a POVERO BITOS O POVERO ANOUILH? Jean Anouilh, considerato il maggior drammaturgo vivente di Francia, ha inaugurato la nuova stagione teatrale con uno scandalo voluto e deliberato, infine ribadito dal suo fermo contegno di fronte alla ribellione di non pochi uomini, a loro volta considerati importanti, che lo rimproverano, contestano, rimbeccano, e per ultimo alzano le spalle con la commiserazione che si ha per chi si ostina a voler sostenere una tesi impossibile, un assurdo. Povero Anouilh, si dice, come lui ha detto ai francesi « Pauvre Bitos », perché Bitos vuole essere l’esponente di quella società che, sempre secondo Anouilh, non ha nulla di pulito e dove nessuno è degno. Ma andiamo per ordine: in ottobre al Théâtre Montparnasse, che fu di Gaston Baty, Anouilh ha fatto rappresentare la sua nuova commedia Pauvre Bitos ou le dîner de têtes. Si tratta di questo; meglio, faremo cenno soltanto alla situazione centrale poiché il tema polemico non ha sviluppo. Con tano le parole, insomma. Un signorotto di provincia eredita, tra altri beni, una vecchia dimora ecclesiastica, un « priorato », che, nel 1793, servì al tribunale rivoluzionario per le sue sedute. Nella città in cui si trova, vive ed opera, come sostituto del procuratore della Repub blica, un compagno di scuola del quale non ha conservato un buon ricordo. Il povero Bitos, per l’appunto, come lo chiamavano in classe. Figlio di una lavandaia, accettato come allievo per carità, questi infatti distanziava tutti i condiscepoli, in ogni materia, di molte lunghezze, umiliandoli e compensando, con ciò, Vumiliazione che lui stesso rice veva sul piano sociale. La concomitanza dei due fatti suggerisce al signorotto un’idea. Dà un pranzo, ma un pranzo speciale, in cui gli invitati dovranno apparire m veste diversa dalla loro: infatti ciascuno incarnerà un eroe della rivoluzione francese. Bitos, sollecitato in tal senso, sarà Robespierre: una parte che non gli dispiace e ben si accorda, d’altro canto, al suo recente passato di magistrato inflessibile nel dar la caccia ai collabo razionisti. A l pranzo sono presenti, col finto Massimiliano, Mirabeau, Danton, Camille e Lucilie Desmoulins, Saint-Just, Tallien, Maria Antonietta, Luigi X VI ed altri ancora, anch’essi finti. A questo punto la situazione stagna: questi commensali debbono affrontarsi tra loro, secondo le intenzioni dell’autore che lì ha collocati in quelle sedie. E costoro discutono interminabilmente, servendosi del passato, per dare sfogo agli odi del presente. La commedia non fa un passo di più fino a che Anouilh ritiene si dia il segnale del sipario. E quando questo si è abbassato il pubblico applaude, ma la critica strepita. Ha tanto strepitato, la crìtica, l’indomani della rappresentazione, che è nato quello scandalo cui s’è fatto cenno. « La discussione politica è sempre difficile in Francia. Abbiamo troppe brutte storie dietro di noi. L ’odio è francese e lo sarà ancora per molto tempo », dice un personaggio di Pauvre Bitos ou le dîner de têtes. E’ una delle battute più applaudite, ed è anche quella che spiega e giustifica in parte la violenza, l’animosità della antica, con tro l’ultima fatica del fecondo e senza dubbio irritante comme diografo. Ed ecco qualche esempio di quanto in proposito è stato pubbli- calo sui giornali: il crìtico del quotidiano « Combat » ha scritto: « Questo lavoro è una provocazio ne e un insulto. A l governo. Ai partiti. Alla Repubblica. Al po polo. A l Patronato. Alla Resi stenza. Alla Giustizia. Ma soprat tutto alla Francia. E per ciò che riguarda la Francia, la condanna è unanime ». Non di meno il cri tico del quotidiano « Liberation »: « Miscuglio caotico e anarchicheg- giante. Verbosità invertebrata in cui si esprimono, forse, cupi com plessi. Ma allora il caso Anouilh appartiene alla psichiatria e non più all’arte drammatica». Dal canto suo, il « Parisien L i- bére », moderato anche in mate ria di forma, ha scritto: « L’odio, decisamente, è una mediocre mu sa. Da una decina d’anni, Anouilh ha lasciato imputridire nel suo cuore certi rancori, tante indigna zioni. Bitos è fiorito su questo terriccio. E’ un fiore che non man ca di colorì, ma è un fiore abba stanza velenoso ». Più o meno, questo motivo, tra aggettivi e considerazioni varie, occupa in tutti i giornali lo spa zio dedicato a Bitos e Anouilh. Si tratta, dunque, di una batta glia perduta? Sul piano teatrale, anche se il pubblico accorre ed applaude, diremmo di sì, perché il teatro-polemica ed il teatro- tribuna, non lascia nulla in ere dità al Teatro vero; sul piano del la morale, il drammaturgo ha vinto per la seconda volta (la pri ma è stata con Ornifle) visto che d pubblico dimostra di capire e condividere lo sfogo del comme diografo. Siamo di fronte, indub biamente, ad un uomo di alta considerazione, pessimista per na tura, ed il cui pessimismo ■— dal la fine della guerra — è diven tato disgusto. Non deve essere il solo in Francia se sono in tanti ad applaudirlo, sia pure da una poltrona di teatro. Ma si comincia sempre così. Forse per questo la reazione è più violenta. Marcel L,e I>uc A N O U I L H La « scandalo Anouilh », cioè Pauvre Bitos è tutto in queste tre fotografie: l’autore, alla prima rappresentazione, è nascosto in galleria, dietro la grata del Théâtre Montparnasse, e non è sta to riconosciuto dal pubblico. A destra, l’attrice Charlotte Chardon nella parte di Lucile Desmoulins. Si dice che sia stata sposata da Anouilh e che reciterà soltanto in questa commedia, che è la più nera delle « pièces noires » dello sconcertante autore. La critica ha con dannato all’unanimità la commedia, ma il pubblico applaude e si diverte. Fu così anche con OrnifLe, che è alla tre centesima rappresentazione. Ecco la scena al completo della cena Pauvre Bitos ou le diner de tètes, cioè i capi rivoluzionari del 1793. La cena si tiene in una vecchia abbazia. Il sostituto Bitos, al centro, personifica Robespierre. Sono presenti Danton e Camillo Desmoulins. s e U J I Mentre nella contropagina vediamo Anouilh, nascosto in loggione, assistere alla sua prima di Bitos a Parigi, qui, Miller, assiste alla sua prima di Uno sguardo dall’alto del ponte a Londra, occupando con sua moglie Marilyn Monroe, rispettivamente le poltrone 18 e 17. Sedevano accanto a Laurence Olivier e Vivien Leigh e si sono goduti mondanamente lo spettacolo: una vera e propria esibizione. La nuova opera teatrale di Miller è stata data al Comedy Theatre, che è una sala privata, perché la censura aveva proibito la commedia in un pubblico teatro per « immoralità ». La signora Miller era raggiante, come dicono i giornali, e sempre questi aggiungono che indossava un abito di raso rosso, « così attillato che pareva un guanto ». « Non si capisce come faccia a camminare », domandava il pubblico. L O N D R A CRONACA DI GIGI LUNARI A view from thè bridge (« Una veduta dal ponte »), l’ultima fa tica teatrale di Arthur Miller, che Peter Brook ha allestita da par suo sulla scena del Comedy Thea- tre, venne rappresentata l’anno scorso al Coronet Theatre di New York, assieme ad un altro dram ma dello stesso autore (A memory of tivo mondays); ma si può ugualmente parlarne come di una cosa nuova, tali e tante sono sta te le modifiche e le aggiunte che il Miller ha apportato al suo copione in occasione di questo allestimento londinese. A New York A view from thè bridge era uno scarno bozzetto, velocis simo e stringato, fatto di istan tanee e di cenni fugaci e di sot tintesi, che offriva allo spettatore più indizi che spiegazioni abbon danti e accurate, che sottintende va e lasciava intendere più assai di quanto apertamente dicesse: tuttavia, efficacissimo. Da quel breve dramma, Arthur Miller ha tratto ora un’opera di assai maggior lunghezza ed an che, vorremmo dire, di assai mag gior impegno. Come è noto, la censura inglese non è stata gene rosa e ne ha vietato la pubbli ca rappresentazione; tuttavia, un simile veto non è in Inghilterra quel serio ostacolo che sarebbe in Italia: A view from thè bridge è stata allestita sul palcoscenico di un club privato e chiunque può assistere alla rappresentazione purché si faccia socio del club. In sostanza, il veto del Lord Ciambellano è servito soltanto a decuplicare il numero dei soci del New Watergate Theatre Club nel breve spazio di ventiquattr’ore, e a far aumentare indirettamente di quattrocento lire (cinque scel lini: il prezzo dell’iscrizione) il costo del biglietto. A view from thè bridge è ambien tato a New York, nei sordidi am bienti del porto. Protagonista è un portuale sui quarantanni, di origine italiana, Eddie Carbone, forte di braccia assai più che di cervello, rozzo e ineducato, per nulla in grado di analizzarsi e di dominarsi, privo insomma di. ogni capacità introspettiva: un essere un po’ bestiale, non cattivo ma tutto impulsi ed istinti che egli non è in grado di capire, non che di dominare. Beatrice, italiana anch’essa, è la moglie di Eddie: è una donna come ce ne sono tante, laboriosa, senza am bizioni e senza una spiccata per sonalità. Privi di figli, Eddie e Beatrice hanno adottato una ni pote, che all’inizio del dramma ha diciassett’anni; procace e pie na di vita, ma in tutto normale, e destinata ad una quieta vita di sposa e di madre, Caterina sarà tuttavia l’incolpevole causa della tragedia. La famiglia Carbone non è una famiglia felice : il ma trimonio di Eddie e Beatrice de nuncia ormai le sue crepe, e l’af fetto che Eddie prova per Cate rina è tutt’altro che paterno, an che se egli stesso non se ne rende conto. Caterina trova inoltre in una sorda e inconscia gelosia pa- terna l’ostacolo alle sue ambizioni e al suo desiderio di vita. Il dramma inizia con l’arrivo di due cugini di Beatrice, giunti clandestinamente dalla Sicilia in cerca di lavoro e di fortuna nella più ricca America. Marco è una tipica figura di siciliano, buon lavoratore, che la piaga della di soccupazione ha spinto all’estero contro suo desiderio : sposato, con figli, il suo unico sogno è di in camerare al più presto un gruz zolo che gli consenta di tornare alla sua terra coi mezzi necessari per affrontarvi la vita e per vin cerne la miseria. Rodolfo, al con trario, è un tipo di siciliano assai poco comune: biondo, alto e sot tile, pallido, delicato, con un viso da efebo, passerebbe certo inosser vato in una sala da concerti, ma nel rude ambiente degli scarica tori del porto non manca di susci tare una certa comprensibile sen sazione. Anche per contrasto con quanti lo attorniano, Rodolfo ci appare un poco effeminato: « bambola di carta » è il nomi gnolo che gli affibbiano i suoi compagni di lavoro; inoltre, veste troppo bene per un portuale, can ta un po’ troppo alto per un uo- Questi i tipi siciliani-americani che hanno interessato Arthur Miller, per la sua commedia Una veduta dal ponte. Prima di Miller, Tennessee Williams, con La rosa tatuata ha creduto di poter trarre materia teatrale dal carattere, indole, manie, superstizioni dei meridionali italiani nati nel Nord America da genitori emigrati. (Disegni di Anna Salvatore) mo, e non disdegna d’aiutare Bea trice a cucinare o Caterina ad ag giustarsi le gonne. Il suo deside rio è di diventare cittadino ame ricano e di non dover più ritor nare al suo paesello fatto di nien- t’altro che di sole e di noia. Rodolfo, che è giovane e non è sposato, comincia ad avere per Caterina qualche attenzione che non garba punto ad Eddie. Senza che egli se ne renda conto, Eddie è come soffocato da una sorda gelosia. Se fosse in grado di ana lizzarsi e di prendere coscienza dell’origine di questa sua oscura gelosia, Eddie sarebbe il primo ad averne orrore; ma non è in grado di farlo e la spiegazione che il suo inconscio gli propone è un’altra: Rodolfo è un inver tito, e vuole sposare Caterina solo perché così può divenire cittadino americano. Durante una violenta scena con Caterina, le grida: « Una ragazza per un passapor to: una manovra vecchia come l’America! ». E per dimostrarle, inoltre, che Rodolfo non è nor male, lo afferra e lo bacia sulla bocca; ma neppure questo (che per la verità non dimostra nulla, nel senso voluto da Eddie) riesce ad impedire che Rodolfo e Cate rina decidano di sposarsi. Eddie non sa più che cosa fare per evi tare il matrimonio: denuncia Ro dolfo e Marco alla polizia, per immigrazione clandestina. I due vengono arrestati, ma Rodolfo sposerà Caterina e resterà così in America, e Marco verrà invece imbarcato per l’Italia. Ma, prima di partire, Marco accusa Eddie di delazione, di fronte ai com pagni di lavoro del porto: nel drammatico finale, Eddie, col col tello in pugno, chiede a Marco di ritrattare l’accusa che lo infa ma di fronte ai suoi compagni di lavoro. Nella zuffa che nasce tra i due, Marco, pur disarmato, uccide Eddie dopo avergli strap pato di mano il coltello. Delineati così brevemente i carat teri dei personaggi, e riassunta per sommi capi la trama, resta a dire dell’intrinseco valore del l’opera. Tutti i critici sono stati anzitutto d’accordo nell’elogiare e nel mettere in risalto la grande abilità tecnica del Miller, cosa peraltro già nota e già apparsa chiara particolarmente nell’ulti mo Crucible. Quanto al dialogo e al linguaggio, sicuramente il Miller si è avvicinato questa vol ta più di quanto altre volte abbia fatto, ad una forma avanzata del realismo o verismo america no: per questo aspetto, non sem bra contestabile che l’illustre au tore si sia trovato a risentire del l’influsso di Williams. Si tratta, comunque, di un linguaggio for te e scarno, aderente e preciso, senza compiacenze d’alcun ge nere. I caratteri sono ben delineati : an che la conoscenza di certi strati della nostra società, si rivela assai sicura nella caratterizzazione del le figure di Marco, di Beatrice, di Eddie. Ma proprio il carattere di quest’ultimo è, a mio avviso, la cosa più notevole dell’importante lavoro. Senza dubbio, Eddie è un caso clinico: abbiamo detto più sopra che se egli avesse coscienza della natura di quel suo oscuro senti mento di ira e di rivolta verso il progettato matrimonio di Ca terina e di Rodolfo, sarebbe stato il primo ad averne ortore. E’ co sì: il caso di Eddie si può ricon durre a quello, ben noto agli psi canalisti, profondamente studiato dal Freud, che gli diede il nome di « Verdrangung », tradotto in italiano col termine di « repres sione » o di « rimozione ». Si ha repressione quando un soggetto reprime in sé un suo desiderio, senza permettere che venga sod disfatto, anzi: senza permettere neppure che giunga ad affiorare dall’inconscio. Tra gli impulsi ri mossi o repressi, vi sono certa mente gli impulsi sessuali più bassi, quelli che — per usare l’e spressione di un illustre psica nalista italiano — « qualora si affermassero, ci apparirebbero in degni della nostra umanità e con trari ai più alti valori spirituali ». La forza antagonista che opefa la rimozione o repressione di que sti inconsci desideri e impulsi — forza cui il Freud diede il nome di « Ueber-ich » — è costituita da un complesso di norme etico sociali, di vincoli, di scrupoli, di convinzioni, risultato di un’evo luzione e di un affinamento di secoli : anche l’« Ueber-ich », pe raltro, ha sede nell’inconscio. Per questo abbiamo detto che il povero Eddie, se avesse avuto co scienza del suo desiderio insano, ne avrebbe avuto orrore: la sua passione per Caterina è un desi derio rimosso, costretto a rima nere celato nel suo inconscio dal- l’« Ueber-ich » che anche in Ed die fa sentire la sua voce impe riosa. Ma il concetto di « rimo zione » non è che il primo passo per chi voglia rendersi esatto conto del carattere di Eddie e della straordinaria verità — an che scientifica — dell’opera del Miller. Quei desideri rimossi di cui s’è detto, non per il fatto di esser rimossi cessano d’esistere: anzi, premono con energia sulla psiche del soggetto, imponendo gli anzitutto una spiegazione. E così Eddie, che sente questa sor da ira e avversione verso il ma trimonio di Caterina, ma che tie ne represso nel suo inconscio il sentimento di gelosia che pur lo fa soffrire, si « fabbrica » la spie gazione: non vuole il matrimo nio di Caterina, non perché egli voglia Caterina per sé, ma perché « Rodolfo è un invertito, e vuole sposarla solo per procurarsi la cit tadinanza americana ». Eddie è in fede quando dice così: di fronte al premere e al manifestarsi del de siderio rimosso, l’« Ueber-ich » ha costruita la sua scusa e la sua spiegazione del rancore, e l’ha messa a far da paravento al vero motivo. Anzi : l’ha costruita fa cendo appello proprio all’elemen to di cui è maggiormente in gra do di servirsi, in questo caso, nel- tutta buona la sua attività repressiva: il sen timento paterno, cui Eddie cre de, e che invece è proprio quello che maschera i suoi istinti ince stuosi. Anche questa spiegazione che Eddie dà a se stesso è dunque1 un nuovo espediente repressivo: ma a lungo andare, il conflitto tra il desiderio represso ed atti vità repressiva (tra « Es » e « Ue- ber-ich », per usare la termino logia freudiana) giunge all’apice ed i sintomi di uno squilibrio si fanno sempre più precisi ed ab bondanti nel comportamento di Eddie. Eddie prende Rodolfo e 10 bacia: espediente inutile, che non dimostra affatto che Rodolfo sia un anormale, e che non può giovare a nulla nel senso voluto da Eddie. Ancora: Eddie denun cia Rodolfo: neppur questo è un espediente in grado di evitare che Rodolfo e Caterina si sposino; anzi, non farà altro che accelerare 11 matrimonio, e danneggerà il solo Marco che non c’entra af fatto. Tuttavia, anche questi due gesti di Eddie, che potrebbero lasciare incredulo e poco convinto lo spettatore sprovveduto, sono scientificamente esatti e credibi lissimi : si tratta di manifestazioni del panico che prende il protago nista all’avvicinarsi dell’evento te muto. Ci siamo dilungati non poco sul carattere di Eddie, perché ci è parso di sorprendente verità e credibilità scientifica oltre che umana: lo studio di un tal ca rattere, oltre che opera di artista e di profondo conoscitore dell’ani- mo umano, risponde ai più mo derni concetti della psico-analisi in termini d’assoluta veridicità scientifica. Anche gli altri caratteri sono ben delineati e poeticamente veri; ma rimangono per forza di cose nell’ombra del carattere princi pale. Concludendo, chi ha parlato di opera « scandalosa » nei riguardi di A view from thè bridge, non ha colto nel segno. Si tratta di un’opera seria e meditata e dolo rosa; scabrosa, se si vuole, ma che trova nella sua stessa verità e nel partecipe affetto per le vi cende dei personaggi, la piena assoluzione da ogni sospetto di bassa e morbosa compiacenza. Anthony Quayle, ritornato alle scene dopo parecchi anni d’assen za, è stato autore di una magni fica interpretazione nei panni di Eddie: accanto a lui non sono stati da meno Mary Ure, Mi chael Gwynn ed altri ancora. La regìa era affidata a Peter Brook, un regista che non ha certo biso gno di presentazione, e che anche questa volta ha offerto tutto quel lo che era lecito attendersi da lui. (nigri Lunari Q U I B A S IL M A L O N E Y : NO N D IS P E R O PER IL FUTURO TE A TR A LE A M E R IC A N O Qui Basii Maloney, sempre in America. Teso all’avvenire per quanto riguarda le scienze in genere e quelle atomiche in specie, il Paese che da qualche anno ospita il vostro corrispondente è, teatralmente par lando, nostalgicamente volto al passato. Non so che cosa gli sia preso, quest’anno, ai teatranti americani, ma sta di fatto che i loro cartelloni pullulano di riprese e di rentrées: da Shakespeare a Rosalind Russell, da Shaw a Barbara Bel Geddes, senza contare Eugene O’Neill, Maxwell Anderson, Elmer Rice, Robert Sherwood, Russel Crouse e Howard Lindsay, Lillian Hellman e Paul Osborn. Non riesco ancora a dare un’interpretazione convincente di questo fenomeno, ma non dispero per il futuro. Le cause di un tale ritorno al passato possono infatti essere molte: inaridimento della vena dei piu giovani commediografi (che, oltre tutto, negli ultimi anni non hanno espresso un solo nome che si levasse oltre il livello del dignitoso mestiere); stanchezza della formula neo-verista che sembra essersi esaurita, almeno nell’interesse del pubblico, con le ultime opere di Tennessee Williams; pretese eccessive dei giovani autori di cui sopra che hanno preso l’abitudine — se non gli si dà d’urgenza quel che chiedono con petulanza — di trasferirsi a Hollywood dove ottengono con estrema lentezza il poco che sollecitano con immensa umiltà. Sta di fatto comunque che la stagione 1956-57 si annuncia piuttosto in sordina. I primi spettacoli cui ho avuto la ventura di assistere consisto no infatti in mia pregevole edizione del Macbeth andato in scena al « Winter Garden » la sera del 30 ottobre; in un non meno brillante al lestimento della shawiana Major Barbara curato al « Martin Bec\ Theatre » dalla compagnia diretta da Charles Laugkton e infine in una squisita edizione dei due atti che Jerome Lawrence e Robert E. Lee hanno tratto da un romanzo di Patrick Dennis intitolato Aulntie Marne. Tutto qui, per il momento, e sul piano tecnico non c’è one stamente di che rammaricarsi: solo che, come usa comunemente Aire, non si vive di solo Macbeth. Anche se l’opera, vigorosamente inscenata da Michael Bentall, è apparsa brutalmente viva, attuale, aderentissima a questi nostri tempi di ferro: i fatti d’Ungheria insegnino. Major Barbara conferma che il mio caro, il mio povero G. B. S. era un grande commediografo e che Charles Laughton è un grandissimo commediante. Abile re gista come sapevamo già fin da quando, cinque o sei anni fa, diresse una non dimenticabile edizione del Don Giovanni, Laughton ha inoltre il raro merito di sapersi scegliere i compagni di lavoro e di manovrarli con l’autorità e l’accortezza di un autentico stra tega del palcoscenico. Barbara era (anzi è ancora perché, al momento in cui scrivo, le repli che continuano con caldo suc cesso) la deliziosa Glynis Johns, a Cornelia Otis Shjnner è affi data la parte di Lady Britomart, quel meraviglioso attore che è Burgess Meredith ( noto, sup pongo, anche in Italia per i sette o otto film che, nei ritagli di tempo, ha interpretato) è Adol- phus Cusins, Charles Laughton è Andrew Undershaft. Sull’insieme dello spettacolo l'au torevole collega Broofis At\inson ha avanzato qualche riserva dalla quale, pur essendo ospite in pae se straniero, mi permetto di dis sentire. Per At\inson, la Major Barbara diretta da Laughton è un tradimento commesso ai dan ni di Shaw. Conoscevo G. B. S. come un figlio conosce il padre, andavo a prendere il té la dome nica a casa sua (tutte le volte che potevo), l’ho sentito centinaia di volte spiegare come avrebbe de siderato veder recitate le sue commedie; e dunque credo di poterlo ben dire: la regìa di Laughton può piacere oppure no (nulla di più opinabile che il modo di presentare uno spetta colo) ma, assolutamente, non tradisce lo spirito shawiano, anzi l'interpreta perfettamente. Ga rantisco. Auntie Marne, andata in scena il 1° novembre al « Broadhurst Theatre» deve il novantanove per cento del suo successo alla interpretazione di Rosalind Rus sell, attrice che il Maloney ed altri guardano invecchiare con ammirato rispetto: un raro esem pio di donna che accetta ogni anno che passa come fosse un omaggio alla sua intelligenza e, lungi dall' esserne amareggiata, riesce a farne tesoro: gran don na, Rosalind Russell, donna ve ramente esemplare che, per citare ancora una volta il mio autore vole collega Broofs Atìfinson, has reverted to thè theatre, è tornata al teatro, proprio e solo perché neither party nominated her for President a nessun par tito è vemito in mente di pro porla per la Presidenza. Cosa che, aggiunge il Maloney, se è lecito a un irlandese esprimere il proprio parere sulle questioni interne degli Stati Unifi, cosa che non sarebbe stata che troppo giu sta. Ma non stiamo a parlare di politica. Tornando dunque a Auntie Ma rne (auntie, per chi non lo sa pesse, vuol dire zietta), è la storia un poco fantastica e fantasticheg- giante di una svampita signora che adotta nel 1928 un nipotino rimasto orfano dei genitori e ne segue, nel pensiero, la crescita fino al 1946 immaginando epi sodi, inventando successi e via discorrendo: qualcosa, insomma, come la famosa Dream Girl di Timer Rice o come certe situa zioni immaginate dall’umorista James Thurber. La cosa in sé non è molto peregrina. In altre mani che non fossero quelle ve ramente fatate di Rosalind Rus sell (la cui bravura, se non mi fa velo l’antica amicizia, è egua gliata in Italia solo da Andreina Pagiiani alla quale, come sempre, vi prego di porgere i miei me mori omaggi di esule), in altre mani il fragile personaggio di Auntie Marne si sarebbe sbricio lato, la tenue vicenda non sareb be giunta alla fine. Rosalind Russell riesce a farne un mira colo di grazia e di « humour », giunge a creare un « tipo » lad dove era soltanto l’appunto di una « macchietta». D’ accordo, quindi, questa volta, con Broofs Atfiinson: Pity she is not going to be President, peccato, peccato davvero che Rosalind Russell non sia in predicato per diven tare Presidente. Sebbene possa essere una consolazione pensare che, in caso di riuscita, l’avrem mo perduta come attrice. Avremmo forse (anzi, avrebbero gli americani) potuto acquistare un commediografo di polso se, anziché rielaborare e adattare la Filumena Marturano del vostro Eduardo De Filippo, un benin tenzionato mestierante di quassù si fosse limitato a tradurla lette ralmente, senza metterci niente del suo e, soprattutto, senza af fibbiarle un titolo, The Best House in Naples (La miglior casa di Napoli), che si è rivelato veramente micidiale. Inutile che un irlandese come il Maloney (esule, per di più) venga a dire a voi che cosa rap presenta il teatro di Eduardo nella produzione contemporanea: la cosa è ormai consegnata alle storie della Drammatica contem poranea e il sassolino che il sot toscritto potrebbe portarvi sa rebbe quantomeno pleonastico. A me rimane solo da deplorare che una commedia dell’impor tanza della Filumena sia stata presentata al pubblico newyor kese — che con tutti i suoi difetti merita comunque maggior ri spetto e, soprattutto, esige mag gior scaltrezza — in una edizione di livello non più che filodram matico. Stupisce che l’allestimento sia stato curato da Hugh Herbert che qui, sulla piazza, gode fama di abile e accurato regista: son cose che, purtroppo, accadono. E non sto a dirvi quanto, sulla sua poltrona al °N>ren' dente l’immagine posso citare la Medea di Cherubini. E per l Ote o, l’opera di Verdi. Non conosco i grandi interpreti in lingua originale del dramma. Per quanto riguarda le messe in scena e le incarnazioni a cui ho assistito, debbo ammettere con ogni evidenza che solo Verdi (anche in Macbeth e in Falstaff), poteva portarsi all’intensità espres siva di Shakespeare, comprenderla ed animarla. La rappresentazione di prosa offre il vantaggio di consentire un piu attento e concentrato esame del testo. La grande interpretazione anche musicale naturalmente, corre il rischio di sopraffare l insieme dei par ticolari per darci lo spirito nella sua interezza, nella sua ri-creazione. Un rischio che suscita anche una grande apertura d orizzonte, lo schiudersi delle maggiori possibilità, un ritorno del testo alle Madri L’esposizione effettuatane sulla scena di prosa nella forma tradizionale permette invece di apprezzarne la concreta espressione, nel suo deter minato ambito psicologico e storico, come un momento ben preciso; nei suoi dati, anziché nel suo riverbero. L ’Otello realizzato da Gassman (Otello) e Rondone (Jago), con una compagnia appositamente formata, al teatro Quirino, rientra proprio nel caso che abbiamo esposto: viene istintivo di elencarne tutte le manchevolezze, di discutere il rapporto creatosi tra l’attore e il suo personaggio; si deve però concludere che ci è stato fatto ascoltare Shakespeare senza diaframmi, consentendoci di sentirne echeggiare le virtù e le emozioni. A l desiderio di commentare l’interpretazione, di misurarne la portata, si è sovrapposto quasi sempre - sempre quando erano presenti i due interpreti principali — la possibilità di ascoltare un testo nella sua purezza espressiva, in una presentazione che poteva apparire inadeguata, mai però presuntuosa e distraente. Ci veniva esposto con limpidità e rigore stilistico uno Shake speare autentico (nonostante l’intervento piuttosto frequente di . , cattivi vezzi nella' traduzione di Salvatore Quasimodo, a volte sconcertante per la sua piattezza, a volte efficacemente discorsiva). Il maggior mento dei realizza tori è stato dunque di essersi mantenuti in questa rigorosa mi sura, e di aver trovato in essa spazio per il saldo maturarsi di alcune scene, dirette e intei pre tate in modo fermo, unitario, potentemente drammatico. Lo stesso equilibrio e la composi zione dei gruppi scenici, nel gio co dei chiaroscuri, adempiva in modo eccellente al compito di guidare lo svolgimento dramma tico, fissandone gli aspetti, la pla stica. L’impegno e la cura non mancavano certo a questo spet tacolo, in un suo armonioso de coro, in un clima di attenta e a volte profonda sensibilità. L’Otello personificato da Gass man appariva nella sua eleva tezza d’animo, nella sua dispe razione, nel suo dolore vasto e cieco dettato dall’inferiorità in cui da secoli e secoli viene a tro varsi la sua razza — ed era psi cologicamente studiato e appro fondito. Mancava tuttavia di na turalezza: la sua cupa unifor mità, a volte lamentosa, non la sciava che gli avvenimenti ope rassero quelle trasformazioni che dovevano sboccare in tragedia. La natura del personaggio non era vista nel suo sviluppo, ma in una sua tipizzazione, volta a volta esaltata oppure opprimente. A questo contribuiva l'uso di una dizione sempre di nota alta, senza i chiaroscuri necessari a far risaltare l'empito drammatico (in cui Gassman ha avuto mo menti dì vera potenza). Più agile e credibile l’fago di Rondone, estremamente mosso e libero nei suoi colori e nei suoi toni. Va anche detto che il per sonaggio di Jago offre di per se stesso un suo complesso gioco di sfumature nel testo: e la recita zione di Rondone, ricca di ri- in sorse e dì caratteri, sa seguirne, a volte con potente vitalità, i sot tili meandri, dando forte rilievo alla natura torbida e tormentante di questo male che opera, alla marea che sale e travolge dal suo incosciente. Randone riesce in questo suo personaggio a trasfe rire un’espressività che non su pera mai i limiti del vero, delle natura: lo si guarda recitare co me se lo si guardasse vivere. Ab biamo iti ogni epoca quel « quid » che dà alla ribalta il senso del- l autentico: Randone è tra i po chissimi, nel nostro teatro, che °ggt lo possiedono, e in questo Jago, particolarmente negli in dugi riflessivi, le sue virtù si esprimono forma singolar mente suggestiva. Frettolosi ap paiono taluni suoi passaggi psi cologici, e convenzionali taluni atteggiamenti, quando sì fa ri corso esclusivamente all’esperien za della teatralità.- Fra gli altri interpreti, Edmonda Aldini (Emilia) dopo un inizio incerto e impacciato, ha avuto schiette espressioni tragiche nel finale, Mario Feliciani (Braban- zio) si è giovato delle sue ma ture e vigorose doti interpreta tive. Gli altri invece sono rimasti m genere inferiori al loro com pito, e dispiace accorgersene in uno spettacolo sotto ogni aspetto così accurato. Infelice la scelta del giovane Osvaldo Ruggeri per il ruolo di Cassio, ed in quanto ad Anna Maria Ferrerò (Desde- mona) le qualità fisiche, di di zione e di voce le hanno consen tito di dare al suo personaggio un aspetto talora commovente: ma non si può parlare di inter pretazione vera e propria. La regia dello spettacolo ha avu to naturalmente la sua responsa bilità nei molti lati positivi e in quelli negativi della recitazione. Un ritmo lento e solenne, un adeguato snodarsi di azioni, di voci, di contrappunti sonori e visivi, vanno posti anch'essi al suo attivo. Dove la regìa ha la- !L BEL TEMPO CHE FU Abbiamo assistito alla ripresa de La maestrina di Niccodemi, tra un fitto pubblico domenicale. Le lacrime brillavano spesso e volentieri sulle pupille di giovani e vecchi, al punto da divenire contagiose, i fazzoletti venivano chiamati in soccorso ai nasi ap pesantiti, si diffondeva un com piacimento generale. Il ritorno dello spettacolo di prosa al dram ma popolare non può essere che bene accetto. Sorprende che Nic- codemi, a distanza di svariati de cenni, conservi ancora questa vi talità. D ’altra parte tutto ciò che richiama nuovamente il pubblico a teatro ha una funzione posi tiva, anche se strappa lacrime (purché non nasconda di esser lo). Verso gli equivoci e gli in-' gannì dovunque si trovino, oc corre invece appuntare gli strali. I propositi de La maestrina ri sultano abbastanza chiari, e direi onesti: offrire implacabili cause di « pathos », attraverso il tradi sciato veramente perplessi è stato invece nelle soluzioni scenogra fiche (bozzettista Coltellacci) gof fe e incerte nello stile, anche se bene impiantate per il gioco degli attori, arbitrarie rispetto all’epoca, al testo, allo spinto shakespea riano. Piu fedeli e di ottimo ef fetto teatrale, i costumi. L’insieme dello spettacolo, per uno di quei fenomeni che solo conoscendo la natura abbastanza misteriosa dell arte si possono spiegare, pur disponendo di tanti elementi favorevoli, di una così acuta e appassionata intelligenza nella direzione, rivelava come un intimo disagio, un modo non fe lice di essersi concretato, un in volontario impaccio espressivo. Ma il suo valore culturale (se non vitale) deve dirsi indubbio, il suo effetto educativo, la sua fedeltà allo spirito shakespearia no, nell ambito del nostro teatro, veramente apprezzabili. zionale e comodissimo z suspen se» dell’agnizione. L’abilità 'del l’Autore in questo ordine d’idee e tanta, che ci fa sembrare la vicenda persino verosimile, pro spettata in quel lontano ante guerra. Appartiene — oggi ci sembra — a un’epoca di giovi nezza e di candore, ai cuori sen sibili di un pubblico ormai lon tano nel tempo. Non sembra pos sibile, eppure cuori allo stesso modo sensibili esistono ancora °ggi; e nonostante tutti gli altri richiami domenicali, accorrono a teatro, da Niccodemi (il che di mostra quanto conti possedere la maestria della scena, e come duri il suo potere). Si e cercato per lungo tempo il teatro «teatrale». I registi si sono dannati a inventarlo. Perché complicare le esigenze e la vita del teatro ? Eccolo qui, il « teatro teatrale »; ecco qui gli elementi base, quegli stessi elementi che identifichiamo nei classici, e che oggi si stanno sperdendo. Quan to sarebbe utile che i nostri gio vani autori imparassero a « fare » il teatro presso Niccodemi. Su queste basi, ci si possono permet tere poi tutti i lussi e gli appro fondimenti. Ma senza di esse, si cade nelle velleità. La maestri na ci spiega perché quarant'anni fa si stesse maturando un teatro nazionale. Se ne erano poste le fondamenta, le strutture: si era trovata la « comunicazione > col pubblico. Poi sopravvennero le femore. Per chi non si scanda lizza del banale e detesta invece la presunzione, per chi approva la funzionalità — cioè un tipo di dramma, o per meglio dire di melodramma, che bisogna pur concedere al pubblico, per le sue vacanze, che a teatro debbono accogliersi numerose — La mae strina non può risultare sgrade vole anche in quelli che oggi appaiono i suoi scoperti propo siti. Si condannino pure i facili voli lirici, i caratteri semplicistici, ma ci si ricordi che non si pud fare a meno delle scene ad ef fetto, di evidente conflitto, quan do risultino debitamente logiche, e si noti l’involontario piacere che si prova quando sulla scena si possono riconoscere ambienti e personaggi abbastanza famdiari alla nostra vita quotidiana (ed anche questo è un motivo che non dovrebbe mai dimenticare chi si appresta ad offrire un nuo vo dramma). Sedotta e abbandonata la nostra « maestrina ». Il « vilain » della situazione è stato un grosso agra rio del luogo, non nuovo a ma lefatte del genere. Le restituirà la figlia creduta morta ed invece occultata dal seduttore il sindaco- conte, che all’inizio vediamo com portarsi da signorotto prepotente, poi, convertito dall’amore, tra sformarsi in angelo benefico. Troviamo raccolti gli elementi tipici del dramma popolare: la seduzione, il figlio abbandonato e poi miracolosamente ritrovato, anche a dispetto della logica, e la sotterranea, gradita, polemica di classe che si chiude nel con sueto paternalismo. Niccodemi si è concesso una sola piccola liber tà, la sola variante rispetto ai < melo » dell’Ottocento: quella di non far sposare i nostri due eroi. L’amore del conte si manifesta in forme sempre più clamorose, ma la < maestrina » dichiara che nel suo cuore, « per ora », ha dato posto soltanto alla sua bim ba, al grande affetto di cui lei avrà bisogno, ora che è final mente tra le braccia di sua ma dre. Tuttavia, nelle pause... Sul futuro non si può mai giurare. Questa rottura della linea pre scritta, o per meglio dire, questa sospensione di esse, garantiranno il pubblico — naturalmente nella sua parte meno smaliziata — del- l’anticonvenzionalità: il trucco è necessario, anche se illusorio. L’età della protagonista è segna ta, accanto al nome del personag gio, venticinque anni. Elsa Mer- lini, che se ne è fatta interprete, non ha ormai nessuna possibilità di apparirle coetanea — lo si av verte anche nella voce —■ e ciò ha suscitato qualche perplessità perfino tra chi giudica superfluo il ritorno di Niccodemi. Il nostro parere è diverso. Non che si vo glia difendere questo genere di drammi o il diritto delle attrici a vedersi sulla scena perenne- mente giovani. Ma considerando l’attività teatrale nel suo comples so, e sapendo com’essa non possa ogni sera offrire cibi sopraffini, ma debba far anche ricorso al l’umile pane quotidiano, così uti le a crearsi un pubblico fedele, non ci scandalizziamo se una compagnia ritorna a Niccodemi per poter contare su di un risul tato economicamente sicuro, a patto però che si affrontino an che prove ardue ed aleatorie. Come non ci scandalizziamo se un’attrice interpreta un perso- naggio da lei distante negli anni. In questo genere, gli arbitrii non sono così gravi, e poi, dipendono sempre da come ' li si compie. Elsa Merlini — incantevole ap parizione ai tempi della nostra adolescenza — sta ora superando le incertezze dell’attrice che non è più giovane, sta affinandosi nei toni e nella sincerità, e, a parte qualche momento di reazione non frenata e non gradevole, ha soffuso mestizia e tenerezza sul le mille improvvise emozioni del la « maestrina », in quell’astuta al talena di sentimenti che le porge l’Autore. Alberto Lupo ha dato elegante e saldo rilievo alla fi gura del conte (perdendo però qualche effetto, per inesperien za ); Angela Lavagna, Olinto Cri stina, Edoardo Tomolo, hanno ri solto con accorto mestiere le fi gure di contorno. Regìa di Gu glielmo Morandi, accurata, e sce ne dì Christìanvolpe (in verità piuttosto sommarie, almeno nel l’esecuzione, sprovvista di una si cura impronta di gusto). DUE NOVITÀ Il ballo dei ladri di Jean Anouilh (al Teatro dei Satiri) è uno spet tacolo veramente gradevole. La regìa di Carlo di Stefano lo ha risolto in chiave fantasiosa, con eleganza raffigurativa e spiritosa comicità. Forse avrebbe giovato una più attenta ricerca di stile e di ritmo. L’interpretazione di_ Mario Siletti, Roberto Villa, Ma rio Bardella, Adriana Ranella, Ginella Bertacchi, ha conferito ai personaggi una franca e ama bile spigliatezza; particolarmente gustosi gli atteggiamenti da far sa tradizionale rievocati con mo di cordialmente parodistici da Mario Siletti. Il lieve capriccio di Jean Anouilh stentava un po’ a ritrovarsi nel teatrino dei Satiri, sia perché richiede un ambiente che dìa maggiori possibilità sce nografiche, sia perché ci sono lontani diversi suoi riferimenti tra umoristici e nostalgici, pro babilmente diretti verso una let teratura e un teatro di ordine popolare, verso un clima, che co nosciamo in maniera approssi mativa. Il Casque d’or di Becher, in questo senso ci sembrava più riuscito, più comprensibile nel l’umanità dei suoi personaggi. Jean Anouilh, come del resto, su di un piano inferiore, ' Roussin, nel fare la parodia di certi generi e di certi temi, appare meno con vincente dell'oggetto di essa. Il vero vaudeville resta inimitabile. Ad ogni modo qui se ne con servano alcune qualità: lo svelto procedere dell’intrigo, la diver tente sorpresa offerta dalle situa zioni, il brillante disegno dei ca ratteri. Il mago della pioggia, di Ric cardo Nash (al Teatro delle Ar ti), dipinge un ambiente e per sonaggi di gusto tipicamente americano. Ambiente western, ca ratteri alla Saroyan — tra il pa tetico e l’umoristico — in una vicenda che procede in modo la siccità. consueto, secondo i dettami della più tradizionale tecnica dramma tica. In quei mitici paesi del west, di cui attraverso i film co nosciamo ormai intimamente la storia e i tipici protagonisti, im perversa Importato probabilmente dall’Italia meridio nale o dalla Spagna, vi ha fatto la sua comparsa il « mago della pioggia », un ciarlatano che rie sce ad ingannare i farmers, pro mettendo loro la salvezza di una pioggia dietro congrua ricom pensa. Qui, oltre a questo singo lare taumaturgo, estroso e com movente come si conviene, ab biamo una zitella desiderosa che la luce dell’amore venga a illu minare la sua vita, e uno sceriffo malinconicamente abbandonato dalla moglie. Tutto si risolve nel migliore dei modi, lasciando con tenti tutti. Il bozzettismo dì ma niera viene sorretto da un abile mestiere. In definitiva si tratta di un comodo canovaccio offerto agli attori. L ’interpretazione di Elsa Merlini è stata schietta e commovente. Sergio Fantoni — il mago della pioggia — ha ri velato belle qualità di fantasia interpretativa, di stile, di finezza (ma il suo personaggio avrebbe forse richiesto maggiore autori tà). Alberto Lupo è stato un sim patico e burbero sceriffo. La re gìa di Guglielmo Morandi e le scene di Mischa Scandella han no ottimamente servito agli sco pi del lavoro. LA MOLLA DEL RISO Furono le maschere della Com media dell’Arte a scoprire per prime, nella nostra vita civile, come funzionassero i segreti con gegni dell’ilarità. A tutta prima resta arduo comprendere perché determinate situazioni o deter minate battute suscitino quella singolare reazione che può dirsi il riso (assai meno del pianto le- gato a stati d’animo individua li). Aia l’attore, ottenuto questo effetto quasi senza supporlo, nel caso del suo scherzo, comincia a poco a poco a padroneggiarne i motivi e a saper provocare la comicità con arte. Conscio di questo suo potere diviene autore, si fa maschera nella recita all’im provviso. Come è ben noto, le maschere italiane trasmisero al teatro fran cese queste loro suggestioni e ve le trapiantarono, perché la loro patria non poteva più aprire, or mai, un palcoscenico libero — almeno relativamente — di ac cogliere i loro umori. Da allora, per secoli, il teatro francese è stato il maestro del sapore comico, capace di fondere la visione umoristica della vita con le modalità e le risultanze possibili nella sua raffigurazione sulla scena. Lo spettacolo pre sentato in questi giorni al Tea tro Arlecchino, Sei storie da ri dere, offre una convincente ri prova di questa padronanza — che già nel secolo scorso fu mae stra, col « vaudeville », a Gogol e a Oscar Wilde — indican done altresì, con gustosità spet tacolare, l’evoluzione nel tempo, la straordinaria astuzia nel se guire le età nei loro segreti umo ri, esprimendoli e soddisfacen doli. La sene delle sei' farse com prende sei traguardi felici di tutta l’ampia produzione, sei pic chi nella sua catena, ì pezzi forti che fanno da esempio illumina tore, e segnano Iandamento 'di una società e del suo modo di specchiarsi, d’irridersi piacevol mente. La defunta signora mam ma condensa la visione che Fey- deau coltiva della borghesia fran cese e della sua vita quotidiana, in un frenetico tourniquet di tem peste da bicchier d’acqua, che ai colpi di scena alternano le biz zarrie e le futilità dei caratteri, lasciando scoprire al fondo una desolante aridità, gremita di pic coli risentimenti e di grandi egoismi, di viltà e di miserie. Come avviene solitamente, tanto maggiore è lo scatenamento co mico, tanto più amare sono le costatazioni nascoste dell’autore, di cui ci si accorge solo quand’è calato il sipario. Gli effetti di un lutto improvviso, e le rea zioni dinanzi ad esso, in una coppia di piccoli-borghesi pari gini, mette a nudo la vera na tura e i meschini orizzonti tra cui si racchiude la loro esistenza, legata solo alla soddisfazione di piccoli e gretti desideri. L’umo rismo di Courteline, come noto, preferisce invece il grottesco, ed abbandona l’attento realismo di Feydeau, per una interpretazio ne della realtà tesa fino all’estre mo limite delle sue inimmagina bili reazioni. Partendo da un dato di fatto reale — ne I Boulingrin la situa zione imbarazzante di chi fa da bersaglio a due coniugi litigiosi —• se ne espongono tutte le pos sibili conseguenze, che in un crescendo allarmante e sensazio nale, divengono apocalittiche. Il solo neo di tutto lo spettacolo — che, come esporremo più avan ti —- ha molte e belle qualità, e può dirsi d’eccezione nel mi glior senso del termine, lo abbia mo visto nelle modifiche che si sono fatte subire al finale di I Boulingrin. Il malcapitato ospi te, coinvolto nella lite sempre più furibonda della coppia presso cui sperava di trovare simpatica e cordiale accoglienza, si perde nel buio, provocato dal marito nel tentare di sfuggire alla vendetta della moglie, che brandisce mi nacciosamente un revolver. Par te un colpo, e l’ospite grida « Una palla nel culo! ». A questa tragica esclamazione è stato so stituito un ben più fiacco « As sassini ». Dopo di che, in Cour- teline, assistiamo allo scoppio di un incendio, accompagnato dal l’urlo lugubre della sirena dei pompieri. Mentre qui, torna la luce e vediamo l’ospite arrampi carsi sulle pareti in preda a fol lia. E non abbiamo più quella travolgente fine del mondo prean nunciata dall’incendio. Il gioco di Courteline è più fine e più originale di quello di Fey- deau; meno abile però nel se guire la dovuta parabola e pro gressione drammatica. Piu elabo rato nel linguaggio, diretto a un gigantesco « cocasse » piuttosto che a scoprire l’essenza dei suoi personaggi, oltre la folle logi ca degli avvenimenti riprodotti, Courteline nasce nell’ambito del naturalismo (venne difatti rap presentato soprattutto nel « Théà- tre libre » di Antoine), mentre Feydeau resta saldamente anco rato al mestiere teatrale e del boulevard. Courteline avverte l’e sigenza di ricorrere a mezzi più decisivi che non quelli della fe dele riproduzione di ambienti e tipi. Feydeau si serve invece del congegno teatrale per dare alla raffigurazione del mondo bor ghese e piccolo-borghese parigi no un significato di cui sembra egli stesso non saper misurare la portata, la profondità. A Courteline doveva succedere Jarry; e Jarry manca a questa serata, è il necessario anello di congiunzione per collegarsi a Tardieu ed a Ionesco (delle cui esperienze l’atto di Roussin — Lo straniero a teatro — si fa eco diretta, anche se abile; Rous sin vive sempre di eleganti pre stiti). Il grande Jarry scopre per primo come possa rivoluzionarsi un linguaggio parlato e come di questa rivoluzione si possa dare un « monstrum » teatrale. Ribal tando le costanti della vita quo tidiana, se ne scopre l’assurdo. Jarry, nel suo Ubu roi fu coe rente oltre ogni limite in questo processo, in modo da esporre la vergogna e l’abiezione del mon do moderno che da ridicolo si fa penoso, umiliante, fradicio di impotenza e di falsa ebbrezza. Ionesco e Tardieu addolciscono la lezione, per poterla iscrivere fra le ineliminabili convenzioni del teatro (da cui Jarry trasborda per troppa violenza e sincerità). Costruiscono il vaudeville della nuova epoca. Tardieu (e non dobbiamo dimenticare le espe rienze similari di Oueneau) nello sketch : Parole in libertà, usa i vo caboli in senso completamente diverso da quello tradizionale ; li rovescia, per così dire; ma in situazioni di estrema banalità, così che sia agevole attribuire ad ogni vocabolo il nuovo senso con feritogli (per esempio, in que sto primo dialogo, i personaggi dicono « congresso » invece di «permesso », « mantice'» invece di « amante » e via di seguito). In Lo sanno solo loro il gioco con siste nella continua allusione a fatti che rimarranno permanen temente inespressi. Ionesco ne La cantante calva punta invece sulla situazione, adoperando il più tri to linguaggio quotidiano. Fa real tà viene espressa nel suo intimo attraverso l’esasperazione di un suo dato reale. Ad esempio en trano in scena due coniugi. Si sa quanta indifferenza spesso si accumuli in seno ad una coppia, nonostante le due esistenze ri sultino in apparenza compieta- mente unite. Per esprimere l'u morismo e quindi la verità di questo concetto, si fanno vedere i due coniugi talmente dimenti chi l’uno dell’altro che solo a fatica e gradatamente riescono a riconoscersi. Roussin nel suo atto traccia una situazione melodram matica con linguaggio di pura « lettrista » fantasia. Per ottenere l’effetto comico deve però, in un prologo, fornirne i dati di fatto. Alla base di questi spiritosi e amabilissimi divertimenti, non è difficile riconoscere le esperienze avanguardistiche, in specie da daiste, di quaranta anni fa, da Satie e Duchamp. Esse sono pe netrate talmente nel gusto dell'e poca, che si prestano agevolmen te a queste deliziose divulga zioni. Sorge la tentazione di scoprire, seguendo quest'arco, le metamor fosi subite dalla società francese in poco più di mezzo secolo. L’impegno di Feydeau, serio per quanto possa apparire futile, non ha avuto un seguito positivo, uno sviluppo deciso e capace di su scitare un effetto di liberazione nell’autocritica del costume e del-- le debolezze, anche delle vergo gne. Dopo di lui e dopo di Jarrv ci si è volutamente persi nell’innocuo: le cause storiche dell'indebolimento non è diffici le identificarle. L’interpretazione che la compagnia dell’Arlecchi no, diretta da Luciano Mondol- fo, e composta da Alberto Bo- nucci, Gianrico Tedeschi, Bice Valori, Monica Viti, ha dato del le sei «storie » (scelte e tradotte con vera finezza di gusto ) ci è parsa dotata di straordinaria dut tilità, intelligenza teatrale, pene- trazione psicologica, compiutez za formale. In qualche caso va leva più dei testi, e poteva dirsi un rinnovamento della grande tradizione italiana, una nuova invenzone di maschere, ri trovate dopo un giro di secoli e di esperienze, con una vera e propria capacità di creazione. Par ticolarmente sensibile, in ammi revole equilibrio tra realismo e sfrenata parodia, la regìa di Mon- dolfo; accanto ad essa l’arte così elegante e acutamente espressiva di Bonucci, la serietà mefistofelica e paradossale di Tedeschi, e la grazia delle due attrici, non sem pre personali e sicure nello stile, ma ottimamente intonate. Vito Pj»nd«9Jll felice L A S T A G I O N E T E A T R A L E A M I L A N O IL MALE CORRE. A trenta chilometri da Parigi, in uno di quei vil- laggi che i Re dt Francia videro edificare intorno alla propria magnificenza, vive Audiberty. Non vi inganni la «y» greca posta alla fine del cognome: Audiberty e figlio di italiani, nato iti Francia. Non ha saputo compiutamente■ mescolarsi ai movimenti, ai cartelli della letteratura e del teatro francese. Lo si direbbe un emigrato in aristocratica posizione. La sua finezza, il suo andar libero fra le cose non gli consente di confondersi fra le molte rive della Senna. La campagna e il suo diletto, una sua mentale provocazione. Lo si pensa un erede di Montaigne trasmigrato in tempi impropri a più compiuta meditazione. Parla con l’ampiezza di gesti degli ita liani, esprimendosi con puntualissimo e cartesiano stile francese. Il teatro per Audiberty è un punto di passaggio, e magari anche di sosta, nel percorso della sua intelligenza. Non cè mai intera mente dentro né mai interamente fuori. Lo stesso rapporto che ha con Parigi. E quanto mai un irregolare. Lo collocano con Supervieille, con lonesco, ma se fosse adunato in brigata con loro rimbalzereb bero le sue eccezioni, il suo personale modo di toccare le cose e di concedersi alla fantasia. L anno scorso, a Parigi, ha avuto un grosso successo: centinaia di repliche. Non facciamo torto a Audi berty se diciamo che la sua fragile, amara commedia è stata portata a tanto risalto dalla bizzarra e bizzosa interpretazione di un’attrice; ma noi avevamo una esordiente. Colpa nostra. I parigini sono an dati a godersi l’interpretazione ed hanno trovato anche la commedia. Ma così, come da noi, lasciata a sé, questa risulta un sofisma a cui è stata data una veste di fatti. Enzo Ferrieri, rabdomante di correnti sotterranee e del fiume Po (vedi la rappresentazione dell’Amleto di Bacchetti) ha trasferito sulle scene del « Convegno » l’opera, sperandone un successo pari, nette proporzioni, a quello francese. La delusione che gliene venuta sta nette ragioni che abbiamo già dette. Ma Ferrieri queste cose non sa; altrimenti non sarebbe Ferrieri. In questa favola di Re, una principessa portata a nozze è visitata da un ufficiale che si finge il Re promesso sposo. D i sorpresa giunge questi, per una conoscenza preventiva detta giovane, visto che ra gioni di stato od altro possono opporsi al matrimonio. La princi pessa passa così da una attesa d’amore, atta condizione detta tradita senza che amore sia stato. Si scatena in lei il delirio dette libertà nascoste; si apre il gorgo dei contenuti istinti. Finge un amante, l ufficiale che dapprima e giunto, e amante se lo fa davvero, esau rendo netta delusione piu amara la sua vagheggiata ansia d’amore. Si rivela così una donna che il mondo non ha accolto in ciò che di più raro essa offriva e che sfida il mondo stesso con una dissennata insolenza. La commedia è quel personaggio che, più che vivere in essa, medita la propria innocenza e il proprio furore senza offrirle la giustifi cazione dei mutamenti, dei passaggi, tutti esemplati su una intel lettualistica retorica. Si sente che la fine detta favola, Audiberty, se l’è assaporata prima ancora di narrarsi e di narrare la favola medesima. Virtù e vizio dell’intelligenza. La commedia è disarmonica nelle sue proporzioni. Fida in qualche colpo di scena e poi ristagna in una lungaggine di dialogo. Quello che è intuitivo viene giustificato; quello che giustificato non è si appetta all’assurdo. La parabola di delusioni che essa comprova ha incerto percorso e lascia estranei alla nostra partecipazione i fatti e i personaggi. Nella campagna francese intorno a Parigi Audi berty ha raccolto le foglie secche di un autunno e per magica il lusione le ha volute far rivivere. Secche sono rimaste. La regìa di Enzo Ferrieri, se ha acutamente intravisto il tono do minante dell’opera è stata, tutta via, di questo troppo osservante. Le libertà, qui erano permesse e, in una commedia che vede an che esplosioni, occorreva forse una regìa meno laccata, meno inter na. Lo spettacolo è tuttavia ele gante, di una decadente armonia. Anna Maria Menichetti, atte pre se col « partone » ci si è arram picata. Ma la parete era di vetro. Anche Dettori, di cui ci piace quel suo parlare così echeggiato, non ha definito il personaggio. Volpi di una impegnata indiffe renza (1). Il Giangrande ci ha dato una « ragion di stato » di sapore buffonesco. Molti gli applausi, poche le re pliche. UN CAPPELLO PIENO DI PIOGGIA. C’è oggi nel mondo chi lavora sul vizio, chi dal vizio, cioè, trae ragione per emozioni, eccitamen ti, esaltazioni. I beati tempi del giallo, dove non si trattava che di un morto e di un colpevole, sono ormai tempi di arcadia. 1 delitti devono avere l’impronta del sadismo. Gli obliqui rapporti dei sessi devono succedere all’a more e morfina, cocaina, eroina ed altro sono i paradisi artifi ciali nei quali ci si rifugia. Ci preoccupa questo dedicarsi al la sensazione patologica, atta esal tazione viziata. Questa rinuncia (1) (N. d. R.) Ma, Volpi, che succede? si scuota, caro3 si scuota. Lei è un ottimo attore. dello scrittore, dei lettori, del pubblico alla condizione di uomo non suggestionato, non alterato, è la rinuncia alle proprie verità. Non vogliamo fare gli apocalit tici, né trarre da così scarso pre testo, come la commedia che stia mo per considerare, ragione per visioni più ampie. Ci viene però il sospetto che i morfinomani, già abbastanza in uso nella vita, stiano avendo successo in palco- scenico. Si dica pure che su di loro sovrasta la condanna mora le; e che la vivono loro medesimi nell’angoscia della loro condizio ne: il pubblico però li asseconda, condivide le loro crisi, i loro ab battimenti, potrebbe essere ten tato da esperienze analoghe. Che fa la censura dagli occhi strabici? Un cappello pieno di pioggia ve de un giovane tarantolato dal vizio delle iniezioni. 1 suoi smar rimenti la moglie arriva ad at tribuirli a un’altra donna; i suoi sgomenti sanno di crisi umane. Ma intorno a lui ci sono altri viziati che lo perseguitano e lo ricattano. Ha in casa il fratello che propone un suo affetto alla donna. La scena è violenta. C’è di mezzo anche il padre. Sco prono il vizio. Si danno tutti da fare. La moglie benevola lo con segna alla polizia perché sia in ternato e disintossicato. Brava. Non sappiamo se, in ordine più interiore di avvenimenti, una donna possa scegliere fra il pu dore di una situazione familiare che andrebbe tutta affrontata dal la sua amorosa femminilità o il ricorso alla legge. Il dubbio non ha sfiorato l’Autore — Michael V. Gazzo — il quale ha fatto la commedia a braccia, i personaggi a stampo e le azioni a « dagliela dentro ». Parlare di verismo si discredita una corrente teatrale che in passato ha avuto così illu stri propugnatori. Nell’Autore non vediamo che il calcolo, il mediocre calcolo di suscitatore di curiosità morbosa. Viene a svol gersi fra platea e palcoscenico un rapporto di riunione che è svilente. Il regista Squarzina, in una com media di tal natura, ci s’è tro vato a suo agio. Ha studiato gli effetti e li ha riprodotti. Il re citare americano, cioè il raschiare la gola agli attori, è stato abbon dantemente impiegato. Colpi su colpi, stiramenti, ricattatori in posa sardanapalica. Una droga, vi diciamo, una droga. La recitazione ha avuto nell'An na Proclemer una dolente ten sione, momenti di riscatto; in Giorgio Albertazzi un eccessivo ricorso agli effetti; in Vittorio Sanipoli una spavalda bravura e in Mario Carotenuto un verace piglio. Continua con le repli che e il successo lo spaccio del la droga. IL SIGNOR MASURE. Fate un uso appropriato dei sonniferi, nè vi accada mai di dimenticare il bic chiere, nel quale è una saporita bevanda, sul tavolino da notte. Spiacevoli equivoci potrebbero ac cadere. La commedia nasce di qui. Minuscola, ingegnosa. Non vorremmo fare i maldicenti, ma si capisce che è scritta da un at tore il quale pensa a suo modo di risolvere il teatro con un equi voco da capezzale. In un letto ci va chi non ci doveva andare; sor prese e stravaganze di donna; scambio di uomini. Il teatro fran cese, certo teatro francese, non ha rinunciato ai suoi meccanismi e li impiega fino all’esaurimento: questo. I fatti scorrono, il dialo go scorre, i personaggi vanno via. Niente resta. Appena si liba il divertimento: modico divertimen to di due ore. Il lavoro se lo sono giostrati, in bravura e fa tica, Laura Adani e Carlo Nin- chi. I quali hanno avuto come traballante terzo il giovane e Francioli. Lieta la accoglienza. Dimenticavo: l’autore della com media si chiama G. Magnier. LUNGA GIORNATA PRIMA DELLA NOTTE. Il « Dramma-* è stata la prima rivista che ha dato ampia relazione della prima rappresen tazione mondiale dell’opera po stuma di O’Neill. Ora si intende completare, dicendo come l’opera è venuta in Italia, vi è stata re citata e accolta. La vediamo ancora chiusa nel segreto testamentario, sigillato per i molti vizi e le molte confessio ni che essa narra. Possiamo dire che l’intera vita di O’Neill è stata un affannato impiego per risalire una sorte, ricercare una libertà, sfuggire a peccati origi nali. I drammi marini sono il lavacro chiesto al mare; la cono scenza e il contatto di figure so no una ricerca di innocenza; i dialoghi interiori, consegnati a personaggi in chiave freudiana, sono un ripercorrimento di fre miti, sensazioni, pensieri che giunge, per sottile ramificazione, fino al plasma della vita. Rive dere come siamo fatti; mettere in accusa noi stessi, investire nel la colpa gli ascendenti, coinvol gerci in un generale peccato, que sto sembra l’anelito ultimo di O’Neill: e il momento stesso in cui ha pensato di liberarsene lo conferma. Su queste scene, che sono le sue ultime scene, vive l'accusa e si affaccia la pietà; si addita un vizio e se ne chiede una discolpa: un’angoscia che solo la morte può aver placato. Renzo Ricci, che si è assunto no bilmente il compito di portare sulla scena italiana l’opera postu ma di O’Neill, ne è stato il sor prendente regista e il magnifico interprete. Èva Magni ha dato una delle migliori prove della sua bravura. Ottimi Sbragia e Mastri. Successo, un vero grande successo. Mentalissimo. Vittorio Vecchi DIMISSIONARIO IL COMITATO DIRETTIVO DEL PICCOLO TEATRO DI GENOVA. IL TEATRO DIVENTEREBBE PRIVATO PASSANDO AGLI INDUSTRIALI ED AGLI ARMATORI ■ LA STAGIONE INAUGURATA CON “ LÌOLÀ ” DI PIRANDELLO Il « Piccolo » genovese ha fatto sollevare il suo sipario colore smeraldo dal baciadonne siculo Liolà, inaugurando la nuova Stagione Tea trale col pensiero rivolto a Luigi Pirandello, nel ventesimo anniver sario della scomparsa. Intanto, mentre in scena Liolà cantava, in dialetto siciliano, « II mio lettacelo un palmo di terreno - il mio guanciale un cardoncello amaro » sul cardoncello amaro si trovava il Comitato Direttivo del Piccolo Teatro, da pochi giorni dimissionario. Ecco: una piccola nota pubblicata da un giornale cittadino, recante le sigle E. D., cioè quelle di un membro del Comitato dimissionario, denunciava la crisi e i motivi della crisi, con le seguenti parole: « E noto che in questi ultimi anni il Comune ha sovvenzionato la Stabile di prosa con un sussidio di otto milioni, attraverso il paga mento del fitto dei locali ove il Teatro agisce. Quest’anno la Presi denza del Consiglio dei Ministri che, come pure è noto, sovraintende alle sovvenzioni ai teatri, ha emanato disposizioni in base alle quali d’ora in poi lo Stato sovvenzionerà i Teatri stabili solo se i Comuni concorreranno a loro volta per la metà al fabbisogno dei rispettivi Teatri stabili. A questo punto, quindi, l’Amministrazione del Co mune di Genova avrebbe dovuto porsi in modo diretto ed organico il problema sottoponendo perciò all’esame del Consiglio comunale una delibera per una maggior sovvenzione al Piccolo Teatro della Citta di Genova (ci risulterebbe che essa non avrebbe superato i dieci milioni, oltre gli otto di cui sopra). Invece si ha notizia che si sarebbe preferito ricorrere ad un compromesso chiedendo agli in dustriali ed agli armatori di sovvenzionare essi il Teatro (1). Ciò che gli stessi avrebbero accettato, ponendo come contropartita come era, del resto, ovvio, la condizione che nel Comitato Direttivo en trassero propri rappresentanti ad amministrare il denaro da loro concesso. Il pericolo di tale situazione e di tutta evidenza; il Teatro comunale sta in tal modo rapidamente scivolando su un piano inclinato, che lo portera a diventare un teatro privato, in mano a gruppi privati i quali, naturalmente, lo dirigeranno secondo loro criteri, premi nentemente speculativi anziché unicamente artistici, come dovrebbe essere ». L’affermazione contenuta nelfultimo capoverso del comunicato re sta, come responsabilità di giudizio, di tutta spettanza del suo autore; noi abbiamo voluto, in sede cronistica, fare luce sugli av venimenti, ma ci guarderemo bene dal trarre, per ora, conseguenze dalla situazione creatasi in seno al Comitato. Per la verità dei fatti, diremo come anche lo scorso anno gli Armatori liberi e gli Industriali genovesi abbiano concorso alla gestione finanziaria del «Piccolo» con la somma di dieci milioni, senza aver chiesto in contropartita alcunché. Il fatto, nuovo sem mai, è questo: per tirare fuori quest’anno, una cifra quasi dop- (1) (N. d. R.) Che discorso è questo? Se è stabilito che lo Stato dà per sovven zione ai Piccoli Teatri il doppio di ciò che versano i Comuni, è ovvio che per il Piccolo di Genova, con la nuova situazione, estraneo cioè il Comune, lo Stato non ha più nulla a che vedere. Sarebbe infatti assurdo che sovvenzionasse un teatro divenuto privato beneficiandolo con le norme riservate ai Piccoli Teatri, pi tal modo agendo, il Comune di Genova ha distrutto quanto con i propri mezzi iniziali aveva felicemente costruito, lasciando ad altri di godere il beneficio della risonanza e dell’avviamento. pia, Armatori e Industriali han no chiesto (pare) due seggi in Consiglio; e, ovviamente, altret tanti Consiglieri in carica avreb bero dovuto lasciare il loro po sto. Prima del compiersi di tale gesto, ecco la crisi iniziata con le dimissioni dell’intero Consi- glio. Nulla di tutto questo sarebbe accaduto, pensiamo, se il Comu ne di Genova, come quelli di Torino, Trieste, ed altri, avesse potuto accettare la nuova « posi zione » di responsabilità finanzia ria richiesta dalla circolare 5202/ TL2; ma il Comune genovese, che ha avuto notizia del nuovo peso (pari cifra con la sovven zione governativa: 20 milioni, a parte la sala che incide per 8 mi lioni annui) solo il 23 luglio scor so, cioè con tre mesi di ritardo sulla approvazione del bilancio preventivo, non ha voluto sob barcarsi tale onere, ed ha chie sto aiuto ai due Enti. E’ nei voti di tutti una risolu zione della crisi, vuoi morale vuoi finanziaria; tanto più che i genovesi, in tutti i tempi, han no mostrato di avere le possibi lità di risolvere ben altri pro- blemini! Ora resta poco spazio per Liolà. Non riusciamo a capire quali siano i motivi esatti per cui, in poco tempo, tre diverse edizioni della commedia pirandelliana siano venute alla ribalta dello spettacolo nazionale di prosa: una estiva a Venezia (regìa di Orazio Costa), l’attuale a Geno va (regìa di Alessandro Fersen), la terza imminente al « Piccolo » di Torino (regìa di Gianfranco De Bosio); e più oscuro ancora resta per noi il « doppione » dei due « Piccoli » : l’uno o l’altro — in questo caso chi arriva per se condo — spreca forze e denaro, prima perché il testo è di tale levatura artistica da richiedere prove di confronti, secondo per ché, essendo i due « Piccoli » de bitamente (e dannosamente) de ambulanti, pensiamo che nelle « piazze » battute da entrambi, o l’uno o l’altro dovrà accanto nare la commedia. La realizzazione curata da Fer- sen ha il pregio di non scivo lare mai nello « spettacolo », nei giochetti musicali, nel folclore do polavoristico, nel colorismo car tolinesco. Su questi punti il re gista è stato intelligentemente drastico. Ed è forse per sottrarre l’aspra e in fondo amara favola di Liolà al cartolinismo spicciolo, che Fersen ha chiesto toni collet tivi che sono risultati alla prova scenica più consoni alla dannun ziana Figlia che al solare e in fondo popolaresco Liolà. Si re cita questo Pirandello con troppa meccanicità di posizioni, con ec cessivo impegno di figurazioni esteriori. E anche la recitazione dei singoli ha coinvolto un gros so problema : lingua pura o qual che influenza dialettale? La di zione di Enrico Salerno ha tra scinato tutti (o quasi) a una for ma di regionalismo piuttosto fa stidiosa: la forte cadenza sicula e il gestire « alla Musco » di Lio là, e addirittura l’uso di qualche battuta in dialetto puro (i canti), hanno suscitato una rincorsa al colorito dialettale anche in chi non ha saputo racchiudere le sue battute nella cadenza del pun gente e acceso linguaggio dell’i sola, ma è scivolato nel roma nesco, nel toscano, nel lombardo... Le repliche di Liolà hanno visto p>erò un maggiore equilibrio, una più logica soluzione d’ogni pro blema interpretativo. Con Enrico Salerno, aizzato da un pùngolo rovente nella pittura del suo Lio là, sono apparsi la vibrante Mer cedes Brignone, la Valeri, la Nu li, la Borione, Zanchi e la « nuo va » Gal van. Ma lo spettacolo di esordio dello scorso anno, cioè I mariti, era ben altra cosa. E questo ricordo valga a spronare il « Piccolo » genovese a mantenere, anche ar tisticamente, il passo della miglio re annata dalla sua nascita. Enrico Bassano G O L D O N I M IN O R E A L P IC C O L O D I T O R IN O Con la Pamela nubile di Carlo Goldoni la Compagnia del « Pic colo Teatro della Città di Torino » ha iniziato la sera del 3 novembre il suo secondo anno di attività. Molto bene: il pubblico è apparso elegante, folto e attento, conve nientemente adorno di belle signore, generoso di applausi ben meritati da tutti gli attori. Erano presenti in sala Paolo Grassi, direttore del « Piccolo Teatro » di Milano, e Gian Luigi Mananini, recente vincitore del gioco televisivo di « Lascia o raddoppia », il che assicura dell'importanza dell’avvenimento e del suo interesse così sotto l’aspetto tecnico-artistico che sotto quello mondano. Con poche trascurabili riserve marginali la critica dei quotidiani il giorno dopo è stata unanime nel lodare regìa, recitazione e alle stimento scenico: né le si può dar torto, anzi si deve convenire con essa, che, in effetti, difficilmente si poteva — per Pamela far più e meglio di quanto la Compagnia del «Piccolo Teatro» ha fatto. E dunque anche noi ci uniremo al coro affermando che, effettivamente, l’interpretazione di Leonardo Cortese (Lord Bonfìl) è stata un piccolo miracolo d’intelligenza, estro e vigore; che quella di Lucia Catullo (Pamela), pur riecheggiando un poco accenti e modulazioni che ameremmo riservati alla sola voce di Rina Mo relli, dimostra come questa giovane attrice sia sensibile e dotata; che tutti gli altri, D i Giuro, Ferrari, Giacobbe, Bosso, Enfici, Porta, Benvenuti, Diotajuti, hanno saputo trarre quanto umanamente si poteva trarre dai personaggi loro affidati. Non faremo ai lettori di questa rivista «specializzata» l'affronto di ricordar loro quali siano i casi illustrati da Goldoni in questa sua minore commedia; né staremo a discutere se l’abile regia di Giacomo Colli abbia ba dato a porre l’accento più sulla copia teatrale del commediografo veneziano o sull'originale narrativo del romanziere inglese Richard- son: son cose, in fondo, di cui non importa assolutamente niente a nessuno. Detto degli attori tutto il bene (ed è molto) al quale essi hanno diritto, riconosciuti per la seconda volta i meriti di quanti altri han no lavorato alla quasi perfetta riuscita formale dello spettacolo, a prendiamo invece la libertà di domandare a noi stessi: perché Pamela? Che cosa può dire un copione come questo, abile finché si vuole, a una platea contemporanea; come e quanto può giovare alle sorti vacillanti del teatro di prosa un siffatto rudere, per elegante, vene rando che sia? Perché, siamo franchi, rudere è: e ciò sia detto senzintenzione di mancar del dovuto rispetto ai nostri Classici. Ma c’è Classico e Classico, c’è Goldoni e Goldoni. C’è soprattutto (questione di saperlo e volerlo ricercare) il testo che forza obbliga costringe il pubblico a questo spettacolo d’eccezione che — ci piaccia o no — è diventato il teatro: o perché veramente esprime sentimenti e inquietudini reali e attuali di codesto pubblico; o perché ne asse conda le inclinazioni del momento per discutibili che siano; o perché ne sollecita scaltramente la curiosità; o, addirittura, perché ne suscita la collera. Il testo, insomma, che bene o male in qualche modo si manifesta cosa viva e quindi ci appartiene e ci interessa. Non è questo il caso di Pamela nubile che — non è colpa di nes suno — è stata riesumata in quel modo egregio che si è detto proprio nei giorni in cui cadevano gli av venimenti di Ungheria e d’Egitto. Onde più evidente, quasi dolo roso è apparso lo stacco di questo teatro dalla nostra realtà e, quel ch’è peggio, la sua incapacità a farci dimenticare nel gioco sce nico la presenza di questa realtà. Fossimo almeno riusciti, cinica mente, ad accantonare l’ansia e la pietà dei casi di guerra per seguire le meccaniche evoluzioni di Lord Bonfil e di Pamela po tremmo dire che, nonostante tut to, questo teatro c’è, esiste, ma non abbiamo accantonato niente, non abbiamo appreso niente che già non fosse a nostra conoscen za, non abbiamo nemmeno tro vato niente che ci obbligasse a dissentire (e quindi a interessar ci) di quanto stava avvenendo in palcoscenico. Abbiamo soltanto ammirato il buon lavoro degli attori. Ed a loro questo basta certamente, poi ché altro dovere non hanno che di recitar bene. Per quanto sia fa ticoso dare un peso a parole che ■— con buona pace dei volonterosi cui è sembrato di scorgere in esse chissà quale « carica sociale » — sono proprio e soltanto parole: uno sprecato « recitar bene » dun que, il loro, un disperato « reci tar bene ». Le riflessioni dovrà farle chi ha scelto il repertorio, né noi sappia mo se le commedie da rappre sentare, stagione per stagione, cioè anno per anno, le scelga uno solo o più di uno, d’arbitrio o per incarico. Insomma abbiamo constatato su bito che la voce repertorio va trattata su un altro piano, sem pre tenendo presente che si trat ta di un € Piccolo Teatro » con 300 posti. Il cuore, dunque, del Ciisì Cane teatro. G O LDO NI M AG G IO R E A L PICCO LO DI TR IESTE Dunque ritengo che, senza tema di smentita, si possa oggi affer mare che Trieste e la citta piu goldoniana d’Italia. Infatti, non conoscendo il pubblico triestino, qualcuno avrebbe potuto pensare che il Teatro Stabile di Trieste giocava una carta azzardata con lo scegliere una commedia goldoniana quale inizio del suo terzo anno di attività. Specie dopo il deplorevole insuccesso finanziario, che altro non è se non deplorevole insuccesso di pubblico, riportato dalla Compagnia del Teatro di Goldoni nel suo giro dell’anno scorso, pure avendo in cartellone due autentici capolavori e un terzo lavoro molto divertente, e contando fra registi e interpreti quanto di meglio si potesse desiderare. E invece... Invece bisogna riconoscere — e lo facciamo con la più viva soddi sfazione che il pubblico triestino ama Goldoni, di un amore in cui confluiscono e si fondono fattori culturali e sentimentali. I primi sono più vivi nelle giovani generazioni, che non ricordano quel passato in cui Venezia era la città più cara e più vicina al cuore dei triestini, ma che, tuttavia, nelle rappresentazioni dedicate alle scuole, hanno affollato, spontaneamente e in giorno di vacanza, la . sala del Teatro Nuovo. Vivi sono i secondi negli spettatori anziani, i quali invece ricordano le lunghe stagioni, di due e anche tre mesi, che le compagnie veneziane di Benini e di Zago facevano nel vecchio anfiteatro Fenice. Comunque sia, La bottega del caffè ha richiamato nelle dodici repliche esattamente 5507 paganti, con una media di quasi 459 persone per sera; il che, in un piccolo teatro come il « Nuovo », è una media assai alta. E’ vero altresì che la commedia ha avuto un prota gonista d’eccezione: Memo Benassi, il quale ha conferito un pro fondo senso di umanità a Don Marzio, pure mantenendolo sempre Uei limiti di personaggio goldoniano. E intorno a Benassi, sullo sfondo della bella scena di Scandella, la chiara e intelligente regìa di Carlo Lodovici ha mosso tutti gli altri artisti della Compagnia Stabile, che quest’anno comprende, oltre la Mantovani, Privitera e De Santis, già noti al pubblico triestino, Ottorino Guerrini, Mario Bosetti, Cesco Ferro, la Trampus e la Spinazzi. Insomma, un esordio felice e di buon auspicio, com’è di buon auspi cio il fatto che la campagna degli abbonamenti ha segnato esatta mente un risultato doppio di quello del primo anno e più del doppio in confronto all’anno scorso; tanto vero che agli iniziali quattro turni di abbonamento se ne sono aggiunti altri due. In più degli elementi stabili piu sopra elencati, la Compagnia è stata organizzata in modo da avere, in questi primi mesi di attività, la partecipazione straordinaria di Laura Solari, che sarà la protagonista dello spetta colo De Musset-Shaw (/ capricci di Marianna e L'uomo del destino), degli Ipocriti di Giovaninetti e di Lulù di Bertolazzi. Ai primi di gennaio ritornerà in sede Benassi, attualmente impegnato col Teatro di Bolzano di Fantasio Piccoli per il Re Lear, e seguiranno le sue maggiori interpretazioni, fra cui II Tartufo, l’Enrico IV, l'Assassinio alla Cattedrale e la novità di Beonio Brocchieri II fuoco del sabbato. La presenza di Benassi e della Solari in una Compagnia stabile che offre già di per sé sicure garanzie, la scelta del repertorio e l’apertura di abbonamenti popolari a prezzi minimi dovrebbero essere tre ra gioni di sicuro successo per questo terzo anno di attività così favo tuda Tranquilli revolmente iniziato. / IL P IC C O L O D I P A L E R M O S V O L T A Il « Piccolo Teatro » di Palermo, diretto da Vincenzo Tieri, è un vero « Piccolo Teatro», come Milano e Torino? Vogliamo dire: il Comune lo sovvenziona con la metà di quanto accorda lo Stato? Se è così, anche il « Piccolo » di Palermo rientra nei teatri che hanno scopi culturali e che debbono quindi attenersi a delle norme precise, tanto per il loro andamento come per il repertorio. Rappresentare una vecchia commedia di Priestley è un non senso: è 1 aperta dichiarazione di aver mancato allo scopo. Sono faccende da impresari privati. «Svolta pericolosa» fu rappresentata in Italia molti anni fa da Renzo Ricci; nel 1952, all’Eliseo di Roma, la recitarono nuovamente Ninchi, la Villi e Aroldo Tieri; a Genova, nello stesso anno, fu inscenata al Teatro Duse. Infine, l’hanno recitata la maggior parte delle filodrammatiche italiane. Ora, per ascoltarla nuovamente a Palermo, viene sovvenzionata dal Comune e dallo Stato! Scherziamo? ■ D. neretto di cui sopra è della nostra Redazione; quanto segue del cor rispondente. Il « Piccolo Teatro» di Palermo ha inaugurato sabato 3 settembre la Stagione Teatrale riprendendo un lavoro di John B. Priestley già noto a gran parte delle platee italiane, Svolta pericolosa. La verità è una svolta pericolosa. Essa delinea, con le sue improvvise rivelazioni, volti, personalità e situazioni nuove. Sotto il velo for male della ipocrisia corrente si celano imprevedibili complicazioni. Basta un nulla, il suono di un carillon in una riunione borghese, perché, improvvisamente, i due volti di una medesima realtà si contrappongano drammaticamente, si scompiglino le fila di un gioco quasi perfetto di menzogne, intrighi e passioni. Una verità, in fondo, superflua e del tutto occasionale: se la radio si fosse accesa al punto giusto, come allusivamente accade a conclusione del lavoro, tutto sarebbe rimasto come prima, il gioco fatuo delle menzogne comuni avrebbe retto alla prova del tempo ed alla debole minaccia della nascosta realtà. Il lettore vorrà perdonare questo sia pure fugace accen no di una commedia risaputissima. Il complesso stabile palermitano {che aveva concluso la scorsa stagione con un altro lavoro di Priest ley, L’ispettore in casa Birling) ha affrontato Svolta pericolosa con grande impegno e trasparenti ambizioni. La regìa di Vincenzo Tieri — che avrebbe dovuto forse usare altri espedienti tecnici per le due fasi di raccordo iniziale e finale — ha esattamente curato il ritmo e la distribuzione plastica della commedia, tralasciando pero un controllo più accentuato sulla recitazione. Quanto agli attori, Linda Sini, Riarò Ferrari, Lia di Leo, hanno dato buona caratteriz zazione. Meglio la Tattoli, ottimo Corrado Annìcelli, apprezzabile De Melis, fuori strada Severoni. Mentre il Piccolo Teatro di Palermo ha così iniziato la propria attività, numerosi altri fermenti teatrali si segnalano in Sicilia, a Catania, il regista Accursio di Leo ha messo in scena, nella Basilica di San Nicolò l'Arena, una riuscita edizione di Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot, con la partecipazione di Carlo d’Angelo, Nando Greco, Serena Michelotti, Grazia Marescalchi, Carlo Hiter- mann ed altri attori. Ad Agrigento si sono iniziate le prove per le rappresentazioni del ventennale pirandelliano. Sono impegnati due complessi: Laura Carli e Gualtiero Tumiati con la regìa di Renato Pinciroli: Lilla Brignone e Gianni Santuccio, diretti da Giulio Pacuvio e Guglielmo Morandi. Rispettivamente, daranno Così è, se vi pare, e Come prima, meglio di prima. Sergio Pisciieiio Mentre andiamo in macchina, ci comunicano da Palermo che quella Giunta Comunale ha deciso di dar vita ad un « Piccolo Teatro della Città di Palermo » (unico quindi ad avere il diritto di fregiarsi del titolo comunale) secondo quanto stabilito dalle norme governative che regolano il Teatro di Prosa in questo settore. Volevamo ben dire, diamine. F A T T I M II nostro caro Anton Giulio Bra- gaglia, ci comunica la sua lodevole intenzione di mettersi finalmente a lavorare. Ma non solo, aggiunge; vuole una ragazza. E ci spiega: «cerco una studentessa che mi aiuti per almeno un anno a dividere — secondo epoche — locandine, episto lario, ritagli di giornali, fotografie, ecc. che costituiscono quarantanni di attività scenica di un gruppo di attori, autori, danzatori ecc. che hanno collaborato con me. Tale smistamento (si tratta di smistare e schedare tre o quattro quintali di materiale) servirà al sottoscritto per stendere una cronistoria precisa dei fatti e delle polemiche suscitate, non ché delle conseguenze venute. La stu dentessa ricaverà dal lavoro la pos sibilità di preparare una laurea ori ginale e ferrata. Basti dire che nel solo Teatro degli Indipendenti, il prof. Schnitzler, figlio dell’illustre commediografo, che abita in Cali fornia ha preparato la sua tesi che 10 ha eletto docente dell’Università di San Francisco. “ Il Dramma ”, po trebbe passare la notizia che certa mente interesserà qualche bella • giovane studentessa ». Fin qui il «corago sublime» A.G.B. Aggiungiamo che egli intende faro semplicemente ciò che noi abbiamo già fatto in trentanni, con almeno tre persone, che hanno lavorato re golarmente retribuite otto ore il giorno. Ed è ciò che oggi, collocato in numerose stanze, in scaffali lun ghissimi, costituisce l’archivio ar tistico della « lite », cioè della nostra Editrice. Servendosi di una studentessa che ta le lavoro faccia graziosamente, occor rono una cinquantina di anni (poi ché ogni giorno ci sarà « l’aggiorna mento »), il tempo cioè che noi au guriamo con tutto il cuore ad A.G.B. di vivere. ■ Ivo Chiesa, direttore del « Piccolo Teatro di Genova » nel comunicarci 11 programma per la Stagione 1956-57, già iniziata, e che comprende cinque opere (Liolà, di Pirandello; Il cer chio di gesso nel Caucaso, di Brecht; Il diavolo Peter, di Salvato Cappelli; Una donna troppo onesta, di Ar- mand Salacrou; il quinto spettacolo non ancora fissato) ci prega di pre cisare le ragioni per le quali la commedia di Zardi 1 giacobini non ha potuto essere inclusa nel pro gramma, come Chiesa avrebbe desi derato pur non avendola mai an nunciata. Trascriviamo le sue paro le: «Avrei incluso di tutto cuore nel nostro cartellone I giacobini di Zardi, che ritengo uno dei copioni di gran lunga più importanti in que sto dopoguerra, e se ho rinunciato è stato soltanto per imprescindibili ragioni di costo. Io non ho mai annunciato 1 giacobini perché sape vo che con ogni probabilità mi sarei dovuto fermare di fronte alla spesa, ma poiché tu ne hai parlato, ed hai fatto bene (poiché / giacobini rap presentano un « caso » di cui ci si deve occupare, nella speranza, prima o dopo, di risolverlo) mi sembra giusto chiarire, nell’interesse di Zar- di, la ragione delia rinuncia ». Aggiungiamo: se esiste un copione così importante, ma che non può «ssere inscenato da Compagnia nor male, per le spese che comporta, non per questo si dovrà rinunciare ad esso per l’eternità. L’IDI, cui sta tanto a cuore il teatro italiano, ri nunci a far rappresentare 6 comme die mediocri e poggi tutti gli sforzi sulla rappresentazione « costosa » che però mette sul piano che merita un autore italiano di livello non comu ne e dà al teatro un’opera che po trebbe trovare subito la strada del l’estero, con quanta utilità per la scena nazionale non è il caso di stare a raccontare. Ma fino a quando si esalta sulla carta la commedia di Zardi, per quanto già premiata, la rinuncia alla rappresentazione è un pianto che non commuove nessuno. Abbiamo letto sui giornali, dopo il Convegno recente di Saint-Vincent, che il Sottosegretario Brusasca ha dichiarato nel suo discorso di voler indire una grande rappresentazione a Roma, di autore italiano, per far intervenire il Presidente della Re pubblica, ed i rappresentanti della politica italiana per interessarli « sul vivo » al Teatro, in attesa della or mai famosa « Legge ». Ebbene, quale altra ottima occasione, Onorevole Brusasca, per mettere in scena I gia cobini? B L’Istituto del Dramma Italiano (I.D.I.) che ha tenuto a fine ottobre Proibita la rappresentazione della commedia “ La governante „ di Vitaliano Brancati La censura ha negato il permesso di rappresentazione di «La governante » di Vitaliano Brancati, che la Compagnia di Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi, diretta da Lucio Ardenzi, si apprestava a mettere in prova a Milano, certa com’era — giu stamente — che l’antico veto sarebbe stato tolto, ora che l’illustre autore non c’è più, purtroppo, per una stagione come la nostra che non può contare su molti artisti della statura di Brancati. Ma la censura non permette ugualmente la rappresentazione, an che se la passata stagione ha concesso il visto alla « Calunnia » di Lillian Hallman ed a « Tè e simpatia » di Anderson. Questi due stranieri non meritavano davvero, per le due opere citate, che sono compiaciutamente sporche, il permesso di rappresenta zione. ^ Vitaliano Brancati è autore italiano nobilissimo, ma ha pubblicato nel 1952 l’esplosivo libello che ha titolo « Ritorno alla censura ». In appendice vi pose « La governante ». La cen sura gli ritorce — evidentemente — quel risentimento di sincero disinteresse artistico; la proibizione attuale non ha bisogno di molte parole per essere spiegata. Vitaliano Brancati scrisse, dopo la guerra, due commedie: « Raf faele » ed, appunto, « La governante »; entrambe, in vita, le ha difese dalla censura quanto e come ha potuto; non c’è riuscito, ed è morto — il povero e generoso Brancati — con questo cruccio. Si credeva, questa Stagione, di poterlo commemorare assolvendo un voto, fatto non soltanto da Anna Proclemer e dai suoi compagni, ma da quegli italiani — e non sono pochi — che nell opera sua vedono il simbolo di un’epoca e di un costume; un’epoca ed un costume che è più facile (e comodo) dimenticare che riscattare. Brancati, in questa commedia, che per fortuna è in vendita e quindi si può leggerla, dice una saggia parola sulle frivolezze, e le ipocrisie ed i pregiudizi sessuali, che sarebbe molto opportuno meditare e non proibire. Nascondere la testa sotto le ali è invece ipocrisia sciocca. Dare il permesso di rap presentazione a «La calunnia» e « Tè e simpatia», che non sono — come « La governante » — critiche di costume, ma com piacenze scurrili, è la dimostrazione di una inutile e sciocca vendetta. Ne siamo desolati. il consueto congresso a Saint-Vin cent, ha assegnato alcuni premi co me segue: Premio Idi di un milione (votazione segreta) alla commedia Bella di Ce sare Meano; due premi di 500.000 ciascuno a Noi due di Alessandro De Stefani e Simili a Dio di Galeaz zo Galeazzi; due premi di 300.000 ciascuno a Non si dorme a Kirkewal di Alberto Perrini e Storia di un uomo stanco di Fabrizio Sarazani; tre premi di 200.000 ciascuno a tre atti unici II malato per tutti di Ma rotta e Randone; La ragazza e i soldati di Gino Pugnetti; L’ispezione di Orio Vergani. Il premio di regìa di 500.000 è stato donato a Turi Vasile, non essendo egli regista professionista, ma sol tanto direttore della Compagnia che ha recitato Sulle strade di notte di Renato Lelli, Vasile ha allestito an che quella commedia. A Sergio Tofano una medaglia d’oro, e due premi di 200.000 lire ciascuno a Giuseppe Luongo e Mario Pompei per la loro attività a favore del teatro dei ragazzi. Infine il premio « Silvio d’Amico » per la critica è stato diviso con 250.000 lire ciascuno, tra il nostro cri tico da Roma, Vito Pandolfi, col qua le molto ci congratuliamo, e Giovan ni Calendoli. B Altri premi, visto che i premi in Italia non finiscono mai, ma questa volta non in denaro, ma in simboli che statuette. Si tratta del San Ge- nesio che l’editore Bompiani, diret tore della rivista « Sipario », assegna ogni anno ai migliori del Teatro ita liano di prosa. Questa volta gli eletti sono stati: Rina Morelli, per l’interpretazione di Zio Vania; Tino Carraro, per L’opera dei tre soldi; Luchino Vi sconti per la regìa del Crogiuolo ; Piero Tosi, per le scene di Zio Vania e Mario Carotenuto, per la caratterizzazione in L’opera dei tre soldi. B Riferendoci a quanto scritto in « Taccuino » del fascicolo scorso, ab biamo ufficialmente saputo che il « Premio Marzotto » ha un Ufficio Stampa, con a capo il dott. Alfonso Ferrio. Possiamo quindi comunicare che ai Premi Marzotto 1956, quello per il Teatro non è stato assegnato, ma la somma, o quasi, è stata divisa, con 300.000 lire ciascuno, alle se guenti commedie: Le ragazze brucia te verdi di Giampaolo Callegari; Bertoldo a corte di Massimo Durai; Gli dei di pietra di Paolo Levi; Tan ti soldi a mezzogiorno di Mario Mas sa e La grande famiglia di Fabrizio Sarazani. dello Stato per favorire gli autori italiani e la nascita di nuove sale; ha citato dati ed esempi, per conclu dere che tutte le facilitazioni e gli aiuti non bastano da soli a riempire i teatri. Occorre che il pubblico trovi anche spettacoli di qualità elevata, e di contenuto che lo appassioni per l’aderenza ai problemi e alle realtà del nostro tempo. E a questo fine il Sottosegretario per lo Spettacolo ha chiesto appunto la collaborazione di tutti, degli autori come degli at tori, dei registi, di quanti insomma possono destare queste ragioni di in teresse: lo Stato può aiutare, spia nare la via ma non può né intende sostituirsi alla funzione creativa. ■ La lunga e lietissima tournée di Peppino De Filippo e della sua Com pagnia, si è conclusa a Genova il 27 ottobre. Il « Giulio Cesare » ha riportato in patria tutti, esultanti del successo ottenuto nell’America del Sud, ma col dolore di aver perso laggiù, appena arrivati, l’amministra tore Enzo Ardovino. Noi abbiamo la documentazione, se ce ne fosse biso mente. Un successo vivo, immediato, talvolta addirittura fragoroso, che si è rinnovato nel corso di 122 recite in Argentina, Brasile, Uruguay. Par ticolare entusiasmo, naturalmente, de gli italiani di San Paulo, Rio de Ja neiro, Buenos Aires e Montevideo. La tournée aveva avuto inizio il 12 giugno, con la partenza da Genova. Peppino De Filippo riprenderà la sua normale attività a Roma, tra po che settimane. ■ Nella corrispondenza da New York del nostro Maloney, si parla della commedia di Eduardo « Filomena Marturano » nell’adattamento di F. Hugh Herbert. Che cosa mai avra « adattato » questo signore, non sì capirà mai; ciò che è certo risulta però dalla impossibilità, da parte del pubblico, di capire che dei tre figli di Filumena, uno è del ma rito. Non lo ha capito, ci scrive privatamente Maloney, nemmeno Brooks Atkinson, critico del «New York Times». Questo Herbert e tutti gli altri si sono impegolati nel tentativo di rendere « i valori par Il do». Ferrio ci comunica inoltre che « sarà ben lieto di intrattenersi con noi, in futuro, per ogni possi bile rapporto ». Grazie. ■ II primo novembre 1956, a Napoli, si è riunita la Commissione per asse gnare il premio teatrale di due mi lioni, ad una commedia che, secondo il bando, dovrebbe « ispirarsi alla vita, al costume ed ai caratteri del meridione ». Un assunto non certo facile; tanto è vero che dalle 170 commedie pervenute al recente « Pre mio Marzotto » (per ricordarne uno solo, il cui premio non è stato asse gnato pur con tanta dovizia) al Pre mio Napoli per il Teatro, hanno in viato le loro opere soltanto 18 autori. Tra queste, tre o quattro accettabili e discutibili, ma nessuna premiabile con due milioni. Il bando precisa, invece, che « la somma messa a dispo sizione è indivisibile ». Il Comitato ha quindi stabilito di rivolgere alla Presidenza dei Premi Napoli, una domanda di autorizzazione a poter dividere il premio; il che è stato fatto con le seguenti parole: «La Commissione trovatasi di fronte alla presentazione di lavori di notevole importanza e di scrittori di chiara fama, costretta dalla norma tassati vamente stabilita dal bando di con corso di assegnare un premio indi- visibile di L. 2.000.000, non poterulo, pertanto, suddividere il premio stesso fra i concorrenti, delibera di pro porre alla Presidenza del Premio Napoli la modifica della rigorosa indivisibilità dando alla Commissione stessa la facoltà di procedere even tualmente anche ad una suddivisione dei premi in base ad una graduatoria di merito ». ■ Il 5 novembre, a Milano, il Sotto- segretario Brusasca ha consegnato al vincitore Flavio Bertelli, autore della commedia Operazione Zia Cleofe il premio teatrale istituito dall O.N.A.S. (Ordine Nazionale Autori Scrittori) per onorare la memoria di Carlo Veneziani, che fu commediografo fe condo e molto contribuì, con le sue opere, a quel teatro sorridente, non scevro di pensosa moralità, pur tanto necessario alla vita del teatro, che non può essere tutto e sempre irto di problemi. Di tale necessità ci occupiamo in « Taccuino » a propo sito della commedia di Aldo De Be nedetti Buonanotte, Patrizia! In tale occasione, il Sottosegretario Brusasca ha tracciato un efficace panorama della propria esperienza di governo in relazione ai problemi teatrali. Egli ha fra l’altro accennato alla concor renza della televisione, che peraltro può anche agire per un ritorno del pubblico al teatro, alle provvidenze ■ Il «Corriere della Sera», del 4 novembre 1956 ha pubblicato la deliberazione presa dal Comune di Roma, di intitolare una strada della capitale ad Adriano Tilgher. Ecco l’annuncio: «Una delle nuove strade romane, situata tra via Ugo Ojetti e via Giovanni Verga, è stata intitolata dal Comune al nome di Adriano Tilgher, il filosofo e critico napoletano che si spense a Roma quindici anni fa, il 3 novembre 1941. Adriano Tilgher, che era nato a Vico Equense l’8 gemiaio del 1887, aveva studiato a Napoli dove, prima di laurearsi in giurisprudenza, pubblicò, appena sedicenne, il suo primo saggio: uno studio sui precursori del Lombroso, che rivelò le sue eccezionali doti specu lative. Fino a 23 anni, visse a Napoli dove fu allievo di Croce. Successivamente, si distaccava dalla filosofìa idealistica; anzi dive niva uno dei maggiori critici tanto del Croce quanto del Gentile. Dopo la prima guerra mondiale, il Tilgher si dedicò alla critica teatrale e fu uno dei primi interpreti di Pirandello (1): in questa attività, oltre che nella critica letteraria, dette forse le prove più alte della sua penetrazione. Esaurita l’esperienza teatrale tornò alla speculazione filosofica ispirata a una concezione intesa a rinno vare l’idealismo assoluto conciliandolo con le nuove correnti della filosofia dell’azione. (1) (N. d. R.) Errore. Fu il più accanito negatore dell’opera, del pensiero e dell’intelligenza di Pirandello, che avversò — senza mai volersi ricredere — fino alla morte. Ecco uno degli infiniti esempi: per la prima rappresentazione di Pensaci, Giacomino (1916), scriveva testualmente: «L’arte di Pirandello e arte di ozio e di divertimento, senza contenuto profondo, senza serietà morale, senza interessamento vivo allo spirito e ai suoi problemi. Gli scioc chi possono scambiare per profondità il sorriso ironico di Pirandello sui suoi personaggi, ma chi ha buon gusto non si lascia ingannare... ». gno, e di mese in mese abbiamo pubblicato gli articoli dei nostri cor rispondenti Ugo Chiarelli e Mario Intaglietta, sul successo di pubblico e di critica ottenuto dalla Compa gnia tutta e da Peppino personal tenopei » che, come ogni napoletano sa, sono intraducibili anche ad uno che è nato a pochi chilometri da Napoli. New York e la lingua in glese sono un poco più lontani. Tutto spiegato. IL TEATRO E LA TE LE V IS IO N E POSSONO TRO VARE UNA V IA D ’INCONTRO IN AMERICA ESISTE GIÀ UN RAPPORTO DI SCAMBIO ■ La televisione americana ha attinto a piene mani alla produ zione, classica e contemporanea, del teatro. Non passa settimana che essa non faccia ricorso, per i suoi programmi, a materiale rammatico tratto dal teatro di prosa. E, considerando la voracità del mezzo televisivo, non sorprende il fatto che gli adattamenti di opere teatrali rappresentino una sensibile percentuale della migliore produzione drammatica della televisione. Nella stagione in corso, la televisione ha portato nelle case di milioni di famiglie americane t più celebri personaggi di Sofocle, Shakespeare, Wilde, Pirandello, Shaw, Barrie, Maxwell Anderson, Thornton Wilder, Emlyn Wil liams, Noel Coward, Sidney Howard e di molti altri ancora. Oggi, a pochi anni di distanza dall’inizio della sua spettacolosa af fermazione, si può concludere peraltro che la TV ha contribuito dal canto suo alla salute ed al benessere generale del teatro. Essa ha reso possibile infatti l’impiego di attori che il teatro non era in •grado di assorbire, ed ha saputo portarsi all’altezza dei più grandi successi del teatro, come efficacemente dimostrato dalle riprese tele visive della versione musicale del celebre Peter Pan rappresentato sulle scene di BrOadway per oltre due anni di repliche consecutive Ogni rappresentazione fu seguita da oltre 35 milioni di telespetta- tori, e praticamente un’intera nuova generazione americana fece cosi il suo primo ingresso nel meraviglioso regno della fantasia, in compagnia del piccolo Peter Pan. La più vitale funzione della televisione a beneficio del teatro può pero dirsi che sia forse quella di contribuire al sostentamento ed al perfezionamento degli autori teatrali. E ciò in duplice modo: gli scrittori di teatro, come pure gli attori, trovano negli alti compensi della televisione la possibilità materiale di continuare a dedicarsi ad una professione che risulterebbe altrimenti assai incerta; ed in secondo luogo, la televisione dà loro la possibilità di affinare e ma turare la propria arte. Nel corso della stagione teatrale di New Yor\ del 1955-56, furono presentate per la prima volta a Broadway le opere di diversi autori di radio e televisione. E’ forse prematuro affermare che la televisione in America abbia contribuito a creare una nuova scuola di scrittori ed autori drammatici, ma è certo che le opere rappresentate erano generalmente di buona fattura ed a volte anche assai originali. Tra g ì autori le cui opere sono state recentemente rappresentate a Broadway possiamo fare i nomi di Paddy Chayefsky (Middle of rrk n • ’ Ro.ber[ Anderson (Tea and Sympathy), N. Richard Nash (The Rammaker), Norton Boote (The Trip to Bountiful e The Travellmg Lady\ Henry Denker e Ralph Benkey (Time Limiti), Mac Hymen (No Time for Sergeants) come Delluc, Epstein, Feyder, Clair, Sjostrom, Droyer, Grif- fitli, Chaplin, più che come individua lità a sé stanti son presentate come sintesi assolute di vasti afflati cultu rali, tradotti in artistiche personalità. Le pagine su Charlot come quelle su Pudovkin sono, in questo senso, esem- P‘an- Vittorio Villani DAVID MAGARSHACK: « Cechov » (Rizzoli - Milano). Pagine 512. L. 1800. La biografia di un grandissimo scrit tore come Cechov, la cui opera è più che mai legata alla sua strana esi stenza, così ricca di suggestione poe tica e di profondità umana, richie deva non soltanto una conoscenza perfetta dell’uomo e dell’artista, ma anche una capacità di visione serena e nello stesso tempo appassionata di tutto il mondo cechoviano, della Rus sia borghese e familiare dell’inizio del secolo. David Magarshack si è dimo strato, con questo suo lavoro — av vincente e romanzesco, quanto ade rente allo svolgersi di questa vita d’artista — particolarmente sensibile al soggetto e alle sue possibilità. Nato a Riga (Lettonia) nel 1899, ed edu cato in una scuola russa prima che all’Università di Londra, il Magar shack è scrittore fra i più autorevoli sulla letteratura slava, e romanziere egli stesso. Avvalendosi di tutte le fonti e tutte le testimonianze possi bili e soprattutto rifacendosi alle let tere di Cechov (un epistolario di una ricchezza umana e di un interesse ve ramente straordinario), l’autore ci pre senta il suo personaggio con una vi vezza che sa suscitare nel lettore i più diversi sentimenti, dall’ammira- zione per il genio alla simpatia per l’uomo che fu Anton Cechov: una figura indimenticabile di umorista e di drammaturgo, seguita dal tempo dell’infanzia tormentata alla maturità e alla gloria, ai viaggi, alla cerchia degli amici, alla vita degli affetti, alla capacità di soffrire e di amare, con quella semplicità c bontà che costitui rono tanta parte della sua grandezza. LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 / manoscritti, le fotografie cd i disegni non ri chiesti, non si restituiscono per nessuna ragione PER LA CASA DI RIPOSO DEGLI ARTISTI DRAMMATICI Da Lorenzo Ruggì, Presidente della Casa di Riposo per gli Artisti Drammatici di Bologna, abbiamo ricevuto questa lettera: « Bologna, 3 novembre 1956. Caro Lucio, a te che dalla sua fondazione fosti così largo di generosi contributi e provvedimenti a favore della Casa di Riposo, sento il do vere, anche se da altra fonte ti fosse giunta la notizia, di comunicarti come su proposta di S. E. l’on. Brusasca sia stato preso un provvedimento legislativo che assicura per buona parte, ma per sempre, la solidità del bilancio della Casa di Riposo. Noi abbiamo faticato insieme nei momenti più difficili per l’Istituto e faticheremo ancora con letizia, per poter dare ai nostri cari attori in riposo, una vita sem pre più comoda e degna del loro passato. Ma insieme vo gliamo esprimere a S. E. l’on. Brusasca il nostro ringrazia mento per la sua comprensione e per la sua attività svolta per convertire in legge il provvedimento. Sono certo di averti con me in questo sentimento, che è anche degli Ospiti tutti. Ancora una volta ti ringrazio e ti abbraccio. Tuo Lorenzo Ruggì ». Questa lettera l’abbiamo attesa per anni. Attendendola, ab biamo scritto pagine su pagine, e da questa Rivista abbiamo implorato non sappiamo più quanti uomini che si sono avvicendati al posto che oggi occupa il Sottosegretario Brusasca. E, finalmente, con semplicità commovente, senza rumore come sua abitudine, senza vanto come è nel suo costume, con modestia esemplare, con spirito di umana considerazione, con cuore grandissimo, il Sottosegretario Giuseppe Brusasca ha fatto tutti i passi necessari ed è riuscito a far portare in fondo ciò che era la nostra più grande aspirazione: che una Legge concedesse all’Istituto di Bologna un beneficio annuale tale da garantirgli per manentemente la vita. Il resto continueremo a farlo noi ed i nostri amici; dopo di noi, qualche altro non mancherà. Ma la Casa di Riposo non sprofonderà mai più, poiché ora ha una base materiale: e questo è tutto. Onorevole Bru sasca, ciò che Lei ha fatto non lo dimenticheremo mai; il Suo nome è ormai il primo fra tutti noi che abbiamo cer cato, qualche volta anche arrampicandoci con le unghie, di tenere in vita la Casa di Riposo. Quando abbiamo iniziato la nostra sottoscrizione, diventata poi permanente, lo {ib- biamo fatto appunto perché sembrava che la Casa di Ri poso dovesse proprio chiudersi. Pensate come siamo felici ora dell’iniziativa presa nel 1947. Ma la certezza di oggi è una fortuna, una grande fortuna. Grazie, profondamente grazie, onorevole Brusasca. E la preghiamo di dire la nostra commossa gratitudine a tutti coloro che, come Lei, hanno capito e che certamente l’hanno agevolata. Secondo elenco del q u a tto rd ice sim o m ilione (Il 13• milione è stato raccolto dal gennaio al settembre 1956. La sottoscrizione è stata iniziata nel 1947) LORENZO RUGGÌ, per ricordare la Signora De Biase, madre di Franz De B iase.................... tu 40.000 ITALIA e REMIGIO PAONE, a commosso ricordo dei grande amico Colonnello Guido Bianchi, papà di M arga............................................................ 20.000 ARMANDO ROSSI, per la Piccola Ribalta di Torino » 10.000 . 5.000 L. B„ in memoria del padre di Clara Anteri . Totale L. 75.000 . 325.484 Totale a tutt’oggi L. 400.484 Somma precedente . » . » . P O Z Z I ¿L^odd&àdcn.e- c& a&e-cp -¿i&ste&é a& y & tM ¿¿c^g-e- C^^e-ez/e- r / Ì x c i - '¿¿cd/tb ¿scy-te- Creare fabbricare vendere, in Italia, è un problema: se risolto, può dare molta soddi sfazione; se errato, affoga inevitabilmente. Perchè noi ci affanniamo, ma inutilmente, a parlare di industrializzazione in un Paese di artigianato. E molto spesso, trattandosi di moda, di artigianato artistico. Mettendo in valore le qualità? degli italiani in fatto di eleganze, s’intende che tale privilegio non è esclusivo di chi compera, poiché uguale valore hanno le doti di chi crea fabbrica e vende. La cravatta, a maggior esempio, è il segno di distinzione dell’uomo: la cravatta è un indumento nobile e raffinato; nasce da uno squero, come si indica quel quadrato di tessuto di seta dal quale si possono ricavare due cravatte soltanto. Si dice squero perchè tutta la sua stoffa rimane nell’interno della cravatta, perchè non ha giunture, e lo spes sore che se ne ricava permette di fare quel- l’ineguagliabile nodo che tutti tentano, ma senza capire nemmeno come è fatto. Non si tratta di virtuosismo individuale: è il dono stesso di una vera cravatta. CLAUDIO TRIDENTI POZZI Claudio Tridenti Pozzi ha pubblicato un elegante opuscoletto dal titolo L’Arte della cravatta, destinato a coloro — e sono ancora moltissimi, per fortuna — che hanno dell'eleganza un concetto di dignità, gusto e personalità. L'autore di quelle note è la stessa persona che nel negozio « Pozzi » di Milano, al corso V ittorw Emanuele, noto anche a chi non vi è mai entrato, può avervi venduto una cravatta della quale vi ricorderete certamente perche, fra le molte del vostro guardaroba, certo è la più bella. POZZI - ABBIGLIAMENTO MASCHILE - CORSO VITTORIO EMANUELE 31 • MILANO - TELEF. 70.08.87 a c i t a m m a r d a c a n o r c i d u t t u t e t t a r T E IN V E N D I T A Continuando nell’appassionata e devota ope ra di Lucio Ridenti per il grande Maestro del Teatro, consenziente la ILTE editrice, è uscito il terzo volume delle critiche di Renato Simoni. Opera di cronaca, come Egli volle modestamente definirla, ma in effetti di cultura fondamentale per chi debba svolgere la sua attenzione, pratica- mente, ai primi cinquantanni di teatro di questo Secolo. E’ risaputo quanto fossero smaglianti e precise, sobrie ed incisive le critiche di Simoni che senza esitazione saranno collocate, per la storia avvenire del teatro italiano, accanto a quelle che ora formano testo per la Francia e dovute a Sarcey. Questo terzo volume comprende le critiche degli anni dal 1927 al 1932, in settecento pagine, e riguardanti cinquecentocinquanta- sette commedie italiane e straniere. Un indi ce dei nomi — autori, attori, registi, scrit tori —, come pure un indice delle opere, fanno di questa magistrale opera di Renato Simoni l’unico testo completo di consulta zione che esista in Italia. Non può mancare a chi fa e si occupa di teatro; è necessaria a chi scrive, anche se non si occupa di teatro. Il primo volume va dal 1911 al 1923; il se condo dal 1924 al 1926. I volumi formano collana e sono tutti uguali: carta, caratteri, rilegatura. Come già il secondo questo terzo volume costa 3800 lire. R e n a t o S i m o n i Se non lo trovate dal vostro libraio, richiede telo direttamente alla ILTE editrice in corso Bramante 20, Torino. Servitevi del c/c postale intestato alia ILTE n. 2-56, inviando L. 3800 INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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