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Guido, lette da GiìlO Cervi Lamento per la morte di Ignacio, letto da Arnoldo Eou I sonetti del ritorno, Cocotte, Torino lette da Giovanna Scotto 16 sonetti romaneschi, Ietti da Paolo Stoppa «I promessi sposi» - L’Innominato, letto da Vittorio Gassman «Amleto», 4 monologhi letti da Vittorio Gassman Adelchi, Il 5 maggio, lette da Vittorio Gassman Poesie, lette da Vittorio Gassman Chiare, fresche et dolci acque ecc. lette da Giorgio Albertazzi VANGELO S. MATTEO II discorso della montagna, letto da Giorgio Albertazzi ID ISCHI ^ U A c o l l a n a l e t t e r a r i a d o c u m e n to SONO v o s t r o b a g a g l i o s p i r i t u a l e . CL 0420 CL 0421 SABA Poesie, lette da Vittorio Gassinoti CANTI SPIRITUALI NEGRI (TRADUZIONE S. SPINA) letti da Memo Renassi POESIE D’AMORE ATTRAVERSO I TEMPI Dante, Petrarca, Tasso, Galeazzo di Tarsia, Alfieri, Leopardi, Carducci, D’Annunzio, Ungaretti, Cardarelli, lette da Giorgio Albertazzi PIRANDELLO - D’ANNUNZIO Poesie, lette da Emma Gramatica BILLA BILLA Amelia « l’intellettuale » - Donna Giulia - Il matrimonio - La telefonata LIRICHE D’AMORE DELL’ANTICA CINA lette da Lea Padovani e Paolo Carlini ufficio pubblicità cetra DISTRIBUTORI IN TUTTO IL MÓNDO C E T R A S.P.A. • Via Assarotti, 6 - Telef.i 52.52-45.810 Direttore Generale) EDGARDO TRINELLI T O R IN O U y « n * i R A I - R A D I O T E L E V I S I O N E I T A L I A N A r v i u c © i RINA MORELLI e PAOLO STOPPA GLI STESSI ATTORI DA CUI FU PORTATA AL SUCCESSO NEL I947 ^ M A R IO F E R R E R Ò RINA MORELLI E PAOLO STOPPA DISEGNI DI ONORATO T E A T R O E L I S E O ras* A l t i m a T E A T R O D I PROSA c a p i t a l e d e l l e A l p i R A P ID E C O M U N IC A Z IO N I FE R R O V IA R IE E S T R A D A LI INFORMAZIONI E PROSPETTI: s p o r t i n v e r n a l i a : S e s t r i e r e B a r d o n e c c h i a C l a v i e r e S a u z e d ’ O u lx S p o r t i n i a C e s a r la C h io m o n t e P r a g e la t o A la d i S t u r a B a lm e UN GRANDE COMPLESSO T U R I S T I C O S P O R T I V O TUTTE LE A G E N Z IE D I VIAG G IO E N TE P R O V IN C IA LE PER IL TU R ISM O - TO RINO FRANCESCHI QUESTO È IL BIGLIETTO COL QUALE FRANCESCHI ACCO M PAG NA L E SUE N U O V E C A L Z E M IL L E A G H I D E D IC A T E A L T E A T R O A L L A SC ALA BERNARDINO PALAZZI : IL PALCO ALLA SCALA LE PIÙ BELLE CALZE E LE PIÙ LEGGERE CHE OCCHIO UMANO ABBIA VISTO FINORA PILADE FRANCESCHI MASTRO CALZETTAIO COMINCIAI A FARE LE PRIME CALZE MILLE AGHI COI DANARI CHE MI HANNO DATO ÇAHDVÇCI PASCOLI E D ANKVNZIO DA VNA PASTE E LE BEÜ-E DONNE ITALIANE DALL'ALTRA A ¿jvv A. f u y aam d o h g p A é tA M U J * 4 i« j,c /W ^ V m W \, iu u t b y t / t l \ j _ t V iitA A O - lo v f a i'iA - / v ic U Æ * û M M d l U i* 'lc u c ( s % ' A ’ Ì ^ M a /J u \ u * K , M ^ T H a - Ì C \ j l f i m A i i iix i t e b jL L t A v lf A r u X M , * € 4 i L t / l ò t i ih h t ì M A M u y t k i U U i» lU k q k i \jJ a Z U U U ( M l y . n À L \ Ù ì~ K À M ^ i/M /u ? /V ìA jz l'fs 'jA C r £ j i a E D IZIO N I RADIO IT A LIA N A I L T E M P I O M A L A T E S T I A N O DI CESARE BRANDI Uno dei maggiori monumenti del Rinascimento ci viene dall’incontro di due fra i pii/ grandi artisti di tutti i tempi, Leon Battista Alberti e Paolo della Francesca, con uno dei più raffinati scultori dell’epoca, Agostino di Duccio. Il saggio critico è arricchito da note storiche sulle vicende del Tempio e sulla vita del Signore di Rimini: Sigismondo Pandolfo Malatesta. + Edizione numerata con ioo illustrazioni in bianco e nero e 3 tavole a colori fuori testo - L. 7000 T E A T R O T E D E S C O D E L L ’ E T À R O M A N T I C A PRESENTATO DA BONAVENTURA TECCH1 * E. G. LESSING: MINNA VON BARN- HELM - W. GOETHE: GOETZ VON BERLICHINGEN - L. TIECK: IL CA VALIERE BARBABLÙ - F. SCHILLER: LA MORTE DI WALLENSTEIN - F. SCHILLER: DEMETRIUS - H. VON KLEIST: IL PRINCIPE DI HOMBURG; H. VON KLEIST: ROBERTO IL GUI SCARDO - G. BÜCHNER: LA MORTE DI DANTON - F. GRILLPARZER : L’E BREA DI TOLEDO - G. F. HEBBEL: MARIA MADDALENA. L’opera offre entro determinati limiti un panorama completo della evoluzione del teatro tedesco in uno dei periodi più importanti della sua storia: quello dell’età roman tica. Dalla commedia Minna von Barnhelm di Lessing, che del movimento romantico è considerato l’antesignano, soprattutto per la concretezza polemica con cui volle di proposito scostarsi dalla scuola classicheggiante, si perviene alla tragedia Maria Madda lena di Hebbel, la quale, pur essendo pervasa da un anelito di indubbia origine roman tica, esprime i germi di una nuova epoca artistica: il realismo. I commenti dì Bonaventura Pecchi chiariranno al lettore la problematica espressa da ogni autore nella creazione della sua opera. In corso di stampa ANNO 32 - NUOVA SERIE - N. 243 I L D R A M M A MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI D IC E M B R E 1956 DIREZIONE-AMMINISTRAZIONE-PUBBLICITA’: ILTE (Industria Libraria Tipo- grafica Editrice) Torino, corso Bramante, 20 - Telefono 693-351 - Un fascicolo coita L. 300 - Abbonamenti: annuo L. 3200; semestre L, 1700; trimestre L. 850 - Conto corrente postale 2/5Ó - Estero: annuo L. 3700; semestre L. 2000; trimestre L. 1000 r 7 r//f-? r r/f y t'rj /f Taccuino: FORSE NEL 1957 IL NUOVO AUTORE ITALIANO * NATALE IN PIAZZA, tre atti di HENRI GHÉON, traduzione di Guido Guarda * LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI, tre atti di GIAN PAOLO CALLEGAR1 * Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubblica, zione): PIERO RAIMONDI, GUIDO GUARDA, LUIGI PIRANDELLO, VITO PANDOLFI, ROSSO DI SAN SECONDO, GIAN PAOLO CALLEGARI, FERRUCCIO TROIANI, ANTON GIULIO BRAGAGLIA, MARCEL LE DUC, GIGI LUNARI, VITTORIO VECCHI, ENRICO BASSANO, GIGI CANE, ORIO VERGANI * Copertina: HIERONYMUS BOSCH (1488-1516), Adorazione dei Re Magi * Tavole fuori testo: ARISTIDE CAILLAUD: I comici recitano i Misteri Sacri dell’infanzia di Nostro Signore; RENATA SURBONE: Eduardo De Filippo * Disegni di Eleonor Fini, Lepri, Clerici, Luzzati, Wild * Fotografie di Invernizzi, Coppìni, Julia, Publifoto, Leoni, Cavallari, Rota, Archivio Fotografico ILTE. FORSE NEL 1957 3 L NUOVO AUTORE ITA LIA N O Lettore, il nostro augurio di Natale. Ed insieme rivolgiamolo al Teatro, questo augurio profondamente sen tito, poiché il fatto che noi facciamo (ancora) questa rivista esclusivamente dedicata all’Arte Drammatica e che lei, lettore, ci segua con tanta fiducia, vuole dire che non abbiamo perso tutte lo speranze a che il Teatro possa risollevarsi. Per quanto ciò, diciamolo subito, sembri difficile: pensi, lettore, che in tutta Italia _ secondo la statistica del 1955 — solo una persona su dieci assiste ad una rappresentazione di prosa. E per inciso, e per farci insieme coraggio, ricorderemo elio una persona su 28 assiste ad uno spettacolo lirico, ed infine una su tre ad un concerto. L’anima del popolo è proprio a terra e non metaforicamente: rotola evi dentemente sul terreno nudo, tra i piedi dei giocatori di calcio. Ora, lettore, non si tratta più di crisi, poiché una crisi indica un fenomeno temporaneo in un dato settore della vita sociale, ma è evidente che il teatro con la ribalta non ricsee più ad andare avanti, mentre quello che teatro non è, cioè lo schermo lillipuziano della TV è in tale ascesa, da dare già non poco fastidio anche al cinema. Lo sviluppo della rete ed il numero dei televisori danno all’Italia un primato nell’Europa occidentale: la spesa del pubblico per la radio e la TV è stata nello scorso anno di 17 miliardi per abbonamenti e 33,1 miliardi per acquisto di apparecchi, cioè pari al 43 per cento delle spese del cinema. Per la prosa, invece, fra le citta con oltre 500 mila abitanti, met tendo a raffronto la sposa annua per abitante, si può segnare questa graduatoria! Milano (1500 lire), Roma (807), Napoli (634), Genova (519), Torino (455), Palermo (336). Ora, lettore, il Teatro di Prosa nel suo ordinamento, sta per cambiare volto: il prossimo mese la nuova Legge dovrebbe essere varata. Su quale schema ciò avverrà noi già sappiamo e lei può esserne edotto per primo poiché nelle pagine 90 e 91 di questo stesso fascicolo pubblichiamo le norme sui cui binari la Legge dovrebbe scorrere. Noi la riteniamo valida ed approvabile, come crediamo che in virtù di essa, per molti aspetti, la vita teatrale italiana cambierà sostanzialmente, perchè il fattore economico è sempre quello che ineide sulla sostanza delle cose. La nuova legge si occupa e risolve in modo esemplare il problema dell’Autore italiano. Sia lodato Iddio e lo persone che se ne sono occupate, per questo mirabile dono di Natale, perchè oggi la “ professione” dell’Autore drammatico non esiste praticamente più. Chi infatti potrebbe vivere esercitando esclusivamente la “ nobile arte” dell’autore drammatico? E se un Autore non può serenamente, cioè mate rialmente, trarre ragione di vita dalla sua professione, quale teatro potrà mai avere l’Italia, se non spo radico, occasionale, incerto e maltrattato? Il 1956, lettore, si chiude — è vero — con un quadro scurissimo del teatro di prosa, ma forse (e forse senza forse; ci si perdoni il gioco di parole) una nuova alba, come si dice, sta per sorgere per l’Autore italiano. Il che non è poco; anzi è moltissimo. Stia sano e lieto, lettore che come noi vuol bene al Teatro con la T maiuscola. I L N A T A L E D A L V A N G E L O A L T E A T R O San Luca, i l p iù preciso degli Evangelisti, narra così la N a tività di C risto: « E c’erano dei pastori, nella contrada di Betlemme, i quali stavano a ll’aperto, vegliando la notte presso i l loro gregge. E d ecco, un Angelo del Signore apparve loro e la gloria del Signore li illuminò, ed essi sbigottirono dal grande timore. A ia disse l ’Angelo : “ Non temete perché io oggi vi annuncio una grande gioia per tutto i l popolo: oggi, nella città di Davide, vi è nato un Sal vatore, che é Cristo Signore. E questo è i l segno per voi: troverete un bambino, avvolto in fasce, che giace in m a mangiatoia... ” . E i pastori si affrettarono e trovarono Aiaria e Giu seppe e i l bambino giacente nella mangiatoia ». A questa pagina evangelica si è sempre ispirata la rievocatone, in tempi e luoghi diversi, della Sacra Notte, in cui rivive i l Mistero del Dio-Uomo. E la stessa liturgia della Chiesa, fin dalle sue origini, ha voluto presentare, in forme concrete, agli occhi dei fedeli, questa scena; mentre l ’arte figurativa, dalle espressioni più ro^pe alle immagini p iù alte, ha offerto motivi di intensa suggestione visiva. L a poesia quindi, nell’àmbito ecclesiastico, ha cantato i l miracolo del Natale, con accenti semplici, ingenui, con toni raffinati e colti, a seconda dei tempi; ma è evidente che i l teatro ha offerto le maggiori possibilità di espressione, appunto perché si tratta di una scena, cioè di un fa tto di vita, i l cui significato sembra — del resto — ricondurre i l teatro stesso alle sue origini di culto religioso, così come appare dalla Grecia alla Francia, dall’India a ll’Italia. Ecco perciò la Chiesa favorire essa stessa la trasposizione scenica della pagina evangelica, offrendo ai fedeli la prim a rudimentale rappresentazione della N a tività, che doveva poi, attra verso complessi e non sempre rintracciabili cammini, giungere allo splendore delle Sacre Rap presentazioni quattrocentesche ; la prim a rievocazione scenica del Natale si svolge dunque in chiesa ed è /'O ffic iu m pastorum del Medioevo, che aveva luogo la sera del 24 dicembre e di cui ci restano sicure testimonianze per molte città, fr a cui Padova, Ivrea, Rouen, con leg gere varianti circa i l testo e la messinscena. Ecco, per esempio, come si svolgeva quello di Rouen. Dietro l ’altare appariva un presepio, con m a immagine della Aiadonna e del Bambino, nascosta da un velario. D inanzi era un fanciullo, che rappresentava l ’angelo della Buona Novella, mentre cinque canonici impersonavano i pastori. A l l ’entrata di costoro per la p)orta grande, i l fanciullo ripeteva le parole dell’angelo : « Non temete », mentre a ltri fanciulli, a somi glianzà delle schiere di Angeli nella Notte vera, cantavano i l G lo ria in excelsis Deo. Intanto i pastori-canonici erano giunti davanti a l presepio, dove due sacerdoti {che rappresen tavano le due levatrici, chiamate, secondo i Vangeli apocrifi, da S. Giuseppe presso M aria) chiedevano loro: « Chi cercate a l presepio, pastori? » ed essi: « I l Salvatore Cristo Signore; un bimbo avvolto in fasce, come disse l ’angelo ». I l velario cadeva ed apparivano Gesù e la Vergine; ip a sto ri adoravano e dopo un inno di lode a M aria, ripartivano, cantando A lleluja. Talvolta apparivano, accanto a l presepio, anche S. Giuseppe, l ’asino e i l bue. Non era ancora teatro, ma i l senso liturgico della scena conferiva, per la sua rudimentale simbologia, un carat tere di rappresentazione figurata della N a tività, preludio a quelle p iù ampie ed organiche di un vero palcoscenico. D a notare che tutto /'O ffic iu m era recitato in latino, in armonia col rituale liturgico, nel quale anzi si inseriva, perché si svolgeva subito dopo i l Te D eum e prim a della Messa; esso inoltre era modellato sostanzialmente sulle parole stesse del Vangelo. Un progresso molto importante si ha quando, verso i l secolo X I I , a l latino cominciano a sosti tuirsi le varie lingue nazionali, appunto in armonia col progressivo evolversi del genere, che, da liturgico, si sposta sul piano teatrale, di tono popolare, senza tuttavia che si perda i l significato intimamente religioso della rappresentazione ; dai testi m isti di latino e volgare, si giunge così ben presto a quelli soltanto volgari, i l che avvicina la N a tività ai gusti del popolo, i l quale sembra trovarsi p iù in confidenza con questi personaggi che parlano la sua lingua. Nascono così quelle laudi drammatiche che ancora oggi suscitano in noi un senso di incantato stupore, di sorridente simpatia per la freschezza delle espressioni, per l ’ingenuità dei senti menti; è unapoesia spontanea e commossa, che trae la sua p iù segreta bellezza da un fanciullesco candore di fede, confacente a ll’ammirazione stessa dei pastori, che recano a l Bambino i loro doni. E c’è da restare meravigliati scorrendo, nelle laudi di vari paesi, queste enumerazioni di donativi. Ecco un pastore vallone, nell’ A d o ra tio n des Bergere, che dice, invitato a Betlemme : Volentieri ci verrò; ma i l mio flauto porterò, ed a lungo suonerò per consolare Gesù Bambino di tutto i l mondo Signore divino. E a fantasia popolare si diverte a immaginare i doni, diversi naturalmente da paese a paese ; e dalle prim e offerte, attinenti alla vita pastorale [cacio, agnelli, ecc.) si giunge, come in Francia, a questi: « un bel calendario d i legno, per sapere i giorni e i mesi, la quaresima o la prim a vera... un orologio portatile » offerto poi con queste parole: « voglio donarti questo orologio che significa eternità, perché la sua forma di circolo non ha principio né fine... ». In un m iracle play inglese, i pastori offrono un uccellino, una palla da tennis e un mazzetto di ciliege ! L a pura poesia della N a tività preserva le Laudi Drammatiche ad essa ispirate dalle intro missioni troppo volgari, che si trovano in a ltri laudi di soggetto sacro, giunte anzi a ta l punto di licenza, da essere proibite ; infatti, nel i2 j j , Alfonso X di Castiglia, mentre vietava la rappresentazione di a ltri drammi sacri, permetteva la « N a tività di Nostro Signore ». Ciò significa che anche quando si crea attorno a questa scena un’atmosfera di cordiale fa m iliarità, espressa nelle schiette espressioni di devozione, nei doni curiosi, nei colloqui fr a i pastori e San Giuseppe, i l senso del Mistero resta intatto. E ben lo sentì San Francesco, a l quale si deve la prim a traduzione «plastica » del presepe, da lui allestito nella foresta del Greccio, in una bassa grotta, con bue e asino, dalla quale figurazione doveva nascere p o i la dolce con suetudine natalizia e — in campo teatrale — la notevole serie di rappresentazioni timbre della N a tività, fr a cui ricordiamo quella di Perugia, o Laus p rò N ativitate D o m in i, per la sua singolare umanità. Dopo un colloquio fra, i profeti Isaia e Davide sulla venuta del Messia, appaiono M aria e San Giuseppe, che, a Betlemme, cercano invano un ricovero per la notte; da tu tti sono respinti: « Troppo siamo aggravati, da quei che son venuti ad albergare ». A llo ra cercano un « lochic- ciolo » fu o ri città e M aria si duole che San Giuseppe sia « vecchiacciolo » e stanco; trovata m a capannuccia, San Giuseppe lega le bestie e Alaria « sente i l tempo appressare »; tutta la scena si svolge con sublime ingenuità. Dice M a ria « io sento gioco e canto, che del mio corpo vuol fare partita... Io sento un gaudio novo e tutta rinnovata io son in fervore ». Cristo è nato e la Madonna esclama : « O fig lio l caro, non son degna toccarti » e dà i l stw velo per coprire « Gesuino ». E quando giungono i pastori, domanda loro : « Pastori a me venuti, m i avete voi recato un pannicello? ». M a i pastori si scusano, dicendo che appena hanno saputo del « in am olino » sono accorsi senza provvedersi « d’alcun panno ». Offrono però i loro mantelli, pregando la « madre santa » che non abbia a schifo se « stanno in selva colla greggia tanta... ». E la scena continua ancora a lungo, in un colloqtùo umanamente affettuoso, che fa ripensare alla descrizione della N a tività che ci ha lasciato San Bonaventura, secondo la « rivelazione » dei particolari avuta da un Frate M inore: « ...M aria con grande dolcezza l ’abbracciò e se lo pose in grembo et ammaestrata dallo Spirito Santo lo lavò e lo unse tutto quanto del suo latte... e p o i lo fasciò con i l velo del capo e lo pose nella mangiatoia... e lo bove e l ’asino posero la bocca sopra la mangiatoia e mandavano fu o ri l ’alito per la bocca e per lo naso sopra i l fanciullo cotne se avessero ragione in sé e conoscessero che i l Fanciullo così poveratnente coperto nel tempo di così gran freddo avesse bisogno del loro caldo... ». M a, col passare del tempo, i l Teatro fa valere le sue esigente e dalle Laudi si giunge alle Sacre Rappresentazioni, dense di personaggi, complesse di episodi, ricche di spettacolo, con accompagnamento musicale. In una N a tività di Siena appaiono per la pùnta volta, nelle didascalie, le cornamuse, destinate a diventare poi uno degli elementi caratteristici del Natale, collegato alle Pastorali, ancora vive in alcune regioni d’Italia, come l ’Abruzzo- Sono le « ciaramelle » pascolìane, venute « dai monti oscuri » col « loro dolce suono di chiesa... ». Così già in questa di Siena, l ’azione non si lim ita p iù alla N a tività vera e propria, ma si estende fino a ll’ Epifania ; e, poco p iù tardi, a Firenze, un’altra comprende anche la Strage degli Innocenti. S i può tuttavia notare che i l nucleo ispiratore, quello che veramente dà tono a l dramma, e sempre i l mistero della Nascita divina, anche se si riscontra un accentuarsi di toni p iù realistici e persino comici. Mentre prim a i pastori erano generica?nente « pastori », ora hanno dei nomi, e anche h iffi: Randello, Bobi, Nencio di Pacchio; quando l ’angelo annunzia i l prodigio, essi non partono subito, ma dice uno « inanzi che noi di qua partiamo, intendo che colazion prifna facciamo » e mangiano, finché un altro osserva : « Già mezzanotte sì m i p a r passata... ». A llo ra si incamminano e giunti a l Presepio, offrono sei mele e m olti caci; San Giuseppe dice che « bastava arrecarcene sol due » e si scusa di non aver vino da offrire ; a l che Bobi, familiarmente : « Io ho ben qui i l fiaschetta pìen di vino, sicché, Giuseppe mio, non dubitare ». E conclude: « Tre ore siamo stati per cammino: io son di quelli che vo’ un po ’ mangiare ». Tranne i l momento in cui essi giungono davanti a Gesù e pregano, questi pastori sono ormai lontani dal mistico incantamento dei loro predecessori! T u tti i temi della Sacra Notte, disseminati nei molti testi delle N a tività , trovano la loro sintesi nella macchinosa Passione di Revello, in Piemonte, che, per oltre tredicimila versi, offre agli spettatori tutta la vita di Cristo, compresa quindi la N atività, in cui ritroviamo con notevole ampiezza H tema degli osti, che darà lo spunto alla N o tte Santa del Gozzano. V i è anche un abbozzo di regia, perché vi si parla di « luce artificiale » in cui appare l ’arcangelo Gabriele... Ormai la Sacra Rappresentazione è spettacolo e tale rimane attraverso le successive elabo razioni letterarie, almeno in Ita lia e in Francia; la Spagna, invece, riesce a conservarle, anche in tale veste, un p iù intenso senso religioso, come nella Rappresentazione della N a tività d i N ostro Signore di Gómez Manrique, del secolo X V , in cui a Gesù vengono offerti g li strumenti della sua Passione : i l calice, la colonna, la frusta, g li staffili, la corona di spine, la croce, i chiodi, la lancia. Lo stesso può dirsi per l ’A u to dei Re M agi, del portoghese G ii V ie ente, anche se vi si trovano accenti realistici. Eccezioni queste, perché la N a tività serve persino come tema per le feste profane, come quella offerta dai Fiorentini a ll’imperatore Giovanni Paleologo, i l 24 giugno 1439, 0 quella in onore di Carlo V i l i , a Chieri, nel 1494. Questi ultim i anni hanno però visto rifiorire, specialmente in Francia, un tipo di dramma schiettamente medievale, sia pure con g li accorgimenti necessari di regìa e di recitazione; questo ritorno a testi antichi, freschi di ingenua bellezza> ha avuto successo, nel fervore stesso dei rinnovati studi sul Medioevo. I l che significa che g li uomini sanno ancora ascoltare, attraverso la lirica manzoniana 0 i Christmas Tales del Dickens, i racconti di Gogol 0 Andersen, Ibsen 0 l ’antica laude drammatica, la voce che — p iù d’ogni altra pura — si leva dalla pagina di San Luca, riletta con i l cuore, della nostra infanzia. PicI.0 Kaimon(Ii ) d u a ai c l l e d i t s i r A di o n g e s di ( e r o n g i S o r t s o M i d a i z n a f n i ' l l e d i r c a s i r e t s i m i o n a t i c e r i i c m o c N A T A L E I N P L A Z Z A T R E P A R T ,D \ J i c n n G k o n TITOLO ORIGINALE DELLA COMMEDIA: «LE NOÉL SUR LA PLACE» * TRADUZIONE DI GUIDO GUARDA parte prim a: l’avvento e l’annunciazione parte seconda: la visitazione e la natività parte terza: la presentazione e il ritiro Una « troupe » di attori girovaghi, di ori gine zingaresca, della quale fanno parte: IL VECCHIO MELCHIORRE, che è Il Lettore L’Angelo che appare ai pastori Il re magio Melchiorre Erode Simeone, il Vegliardo Un Dottore del Tempio LA VECCHIA SARA, sua moglie, che è La Vecchia che attende il Messia La Vicina che non lo attende Un’altra vicina Elisabetta Una matrona romana Anna, la Profetessa GIOSAFATTE, loro figlio, quarant’anni, che è Un ebreo dell’Avvento Giuseppe Un altro Dottore del Tempio MERCEDES, loro nuora, trent’anni, che è Maria BRUNO, loro nipote, dodici anni, che è L’Angelo dell’Annunciazione e della Visitazione Un pastorello Gesù Bambino E inoltre GESÙ’ nella mangiatoia (una bambola). Infine, l’ASINO, del quale s’udranno soltanto i ragli. L ’A P O S T O L O D E L T E A T R O La gente era seduta per terra, sulle pietre squadrate del « prato » del Duomo, quella sera d’estate che a San Miniato al Tedesco fu data per la prima volta in Italia, da attori professionisti, una com media di Ghéon: Le Comédien et la Gràce, per la regìa di Alessandro Brissoni. Eran venuti da tutti i paesi della valle, senza sapere che cosa esattamente avrebbero veduto. Premevano da un lato fin sotto il praticabile, eretto tra la facciata del Duomo e la gradinata del palazzo vescovile; e dall’altro, siti piedi di Jacques Maritain, seduto in prima fla, ospite d’onore dell’allora nascente « Istituto del Dramma Popolare ». Era gente che non si preoccupava di sapere chi fosse Ghéon, che non si scomponeva alla presenza di un ambascia tore della Santa Sede, venuto apposta da Roma per rendere omaggio al ricordo di un amico scomparso. Però trattennero il fato per tutto lo spettacolo. Alla fne, i battenti del portone del Duomo sì spalancarono: ne sortì, con un coro angelico, un raggio di luce, e Genesio ne fu at tratto e circonfuso; le campane si sciolsero a gloria. Poi la piazza piombò nel buio e nessuno trovava la forza di applaudire. Era la notte del 17 luglio 1947. Quella gente, che era salita dalla valle, se ne ricorda ancora. Dopo lo spettacolo ci venne a salutare un giovane sacerdote in pantaloni e colletto inamidato, un canadese, di passaggio per l’Italia. « Non ho voluto mancare a questa festa del teatro », ci disse, e soggiunse con orgoglio: « Ghéon ha molti amici ad Ottawa ». Aveva usato il tempo presente, come se Ghéon non fosse morto, allora, già da tre anni. In effetti Ghéon conta tuttora numerosi amici un po’ da per tutto: nel Belgio, in Svizzera, in Olanda, in Austria, in Polonia, nel Canada ap punto — ove andò a tenere un ciclo di confe renze — e persino in Italia. Da noi una primis sima apparizione furtiva Ghéon l’aveva fatta a Padova, nel 1936, con Les trois sagesses du vieux Wang, quando ancora le iniziative dei giovani non davan vita a « movimenti sperimentali » o addi rittura a « festivals », ma il teatro era frutto di passione e di modestia. Dopo San Miniato, Radio Roma presentò nel 1949, per la regìa di Gttglielmo Morandi, la Via Crucis; e nel 1950 Radio Milano affidò a Claudio Fino la regìa di Le Nòel sur la Place, poi ripreso per il Natale del 1955 dagli Studi della TV. Al 1952 risale infine l’edizione radiofonica, affidata ad Anton Giulio Majano, di La Comédien et la Gràce, trasmessa due volte sul Terzo Programma ed una terza volta sul Pro gramma Nazionale. Se c’è dunque in Italia un ^pubblico che può conoscere Ghéon, esso è quello della provincia: il più numeroso; e lo conosce attraverso i suoi testi migliori. In questo senso radio e televisione fan bene a scegliere il reper torio drammatico, specie nelle ricorrenze della Pasqua e del Natale, tra gli autori « popolari » contemporanei, da alternare ai testi classici delle Sacre Rappresentazioni. Nel caso di Ghéon, poi, radio e televisione valorizzano l’assunto di un Uo\mo che nel suo Paese è chiamato « l’apostolo del teatro », e che in ventanni di attività come autore, impresario, regista e scenografo ha sempre cercato il suo pubblico nelle piazze. Egli soleva dire: « Il giorno in cui ogni contrada, nella festa del suo Patrono, darà in onore di lui una recita sul sagrato, allora avrò compiuta la mia missione ». Ghéon arrivò a scrivere tra il 1922 ed il 1944 un centinaio di « pièces pour le peuple fidèle ». A ciò vanno aggiunte alcune agiografie, ed ancora sei romanzi, cinque poemetti, quattro saggi (di cui uno su Mozart). Al suo attivo c’è persino un soggetto cinematografico. Nel 1952 l’editore Plon di Parigi pubblicava, postume, in un ztnico volume con prefazione di Jacqttes Reynaud, due tragedie in versi: Oedipe e Judith. Questa sovrabbondanza di produzione, che non giovò certo alla qualità, risponde ad un enttt- siasmo genuino, quale soltanto un « apostolo » può avere. Di lui Copeau ha lasciato scritto: « Non ho conosciuto un uomo che aderisse quanto Ghéon a se stesso, a ciò che egli faceva, a ciò che egli diceva, a ciò che egli amava ». Se non altro a Ghéon va il merito di averci lasciato un teatro religioso privo di retorica. Egli non dimentica per un solo istante che i Santi sono soprattutto uomini, e che vivono tra gli uomini. La scena di Le Nòel sur la Place in etti la Madonna cerca affannosamente Gesù per le vie di Betlemme e qualcuno le dice che forse il ragazzo è andato al cinema con i compagni, può a prima vista sconcertare. Ghéon si compiace talvolta di mesti anacronismi, ma la sua mano è leggera, il suo umorismo è garbato: e qttando si tratta di rispet tare il Vangelo, lo fa da autentico cristiano e da eccellente artefice di teatro. Le Nòel sur la Place è stata recitata a Parigi centoventidue volte: al n. 101 di rue de Bac c’è la sede dèli’« Assocìation des Amis d’Henri Ghéon » di cui Jacaues Copeau fu presidente onorario. Copeau e Ghéon avevano fondato, in sieme con Gide e Schlumberger, la « Nouvelle Révue Francaise ». Per comprendere e giustificare in Francia la popolarità di un repertorio come quello di Henri Ghéon — o di un Henri Brochet, anch’egli mancato anni addietro — è sufficiente considerare la diversissima posizione che ha, ri spetto a noi, nella letteratura francese, il teatro cattolico di questi ultimi decenni, sostenuto da nomi come Marcel e Mauriac, Claudel e Copeau, e, buon ultimo, Léon Chancerel. Negli amici di Ghéon non è sopito il rammarico di averlo lasciato morire solo, nella desolata Parigi del 1944; e sono grati ancor oggi a quell’oscuro sacerdote che lo assistette negli ultimi istanti, e gli recitò le litanie di tutti i Santi del suo reper torio teatrale. Guido Guarda • y y*, * ;— La scena rappresenta un lato della piazzetta di un villaggio, dove gli zingari hanno sistemato il loro carrozzone ed eretto un palco sgangherato. In primo piano un fuoco, su cui brontola una marmitta. Una lampada ad acetilene in cima ad una pertica. Qualche sgabello, un tamburo. (Notte. Il barlume del fuoco; stelle e luna; forse il riflesso di un riverbero vicino. La lampada non è accesa. Attorno al fuoco : Melchiorre, Sara, Gio safatte, Mercedes e Bruno mangiano la minestra. Qualcuno del villaggio li sta osservando, ma non si vede: sono gli spettatori. Silenzio. Poi Giosa fatte si volta verso di loro). Giosafatte (ironico) — Cosa rara, eh?... Della gente che mangia! Straordinariamente rara! Non avete mai veduto mangiare? Non sapete cosa sia mangiare? La prossima volta che mangiate, mette tevi davanti allo specchio... (Ride. Ferma la sua attenzione su qualcuno del pubblico) Ma... Guarda! Quel grassone, con le orecchie a sventola! E tu, con tutte quelle lentiggini... puoi dar da mangiare a uno stormo di passeri!... Non si può fare un passo senza incontrarsi in una marmaglia di monelli e di comari. Non siamo mica dei pellerosse, noi... Siamo onesti zingari e mangiamo come mangiano tutti. E’ così, che si fa, a mangiare la minestra. Primo : si gira il cucchiaio dentro. Secondo : si sof fia sopra. Terzo: lo si infila nel gargarozzo. Uno, due, tre... Tre tempi, non uno di più. Capito? (Ride e continua a mangiare). Non è un gran che, credetemi... chiedo scusa alla cuoca. Sarà più buona domani: ci metteremo una gallina, nella marmitta. Ci è cascata dal cielo una gallina... non lo sape vate, vecchio padre? Melchiorre — Giosafatte, Giosafatte, tu non cam bierai mai: finirai dentro. Giosafatte — E perché? Una gallina che se l’è squagliata? Una spudorata gallina? Una gallina ribelle alla legge del pollaio? Giustizia è fatta. E poi, vuoi dirmi come si festeggerebbe il Natale? Sara — Tu parli troppo, figlio mio. Giosafatte — La polizia sta facendo il suo do vere alla locanda dello Scudo e della Scimmia Parlante. State tranquilli, brava gente... E tu, eh, che ne dici, grassone? Ti piace la commedia? Ba sta mangiare davanti a loro, per farli divertire. (Mangiando, e gli altri lo imitano) Uno... due... tre... Uno... due... tre... Per scolare ben bene, si porta la scodella alla bocca. (Esegue) Ma nell’ari stocrazia non si fa così. (Si alza) Oh, ecco1 qua! La commedia è finita. Tornate a casa... e buon riposo! (Va a prendere uno sgabello ch’era rimasto sul palco; ritorna) No, no: non si recita stasera. Alla Scimmia Parlante c’è un ballo... Il locale non è disponibile... E fuori è impossibile: crepereste tutti, e noi pure. E poi bisogna prepararsi a cele brare il Santo Natale. E che, ci prendete per dei rinnegati? Vi sbagliate. Una volta l’anno andiamo a messa, noi: la notte di Natale. Ci vedrete alla messa tutt’e cinque. Melchiorre — Garantito! Giosafatte — I marmocchi, li veglieranno il cane e l’asino. Ed anche un’altra volta andiamo a messa : d’estate, quando ci troviamo alle Sante Marie, in onore di Santa Sara, patrona degli zingari. Sara — E di me, patrona, figlio mio. (Borbotta in fretta una preghiera) Santa Sara, patrona no stra... (Il resto si perde). G li a ltr i — Amen. Giosafatte — Siete soddisfatti?... Avete assistito alla preghiera in famiglia. Questo non era nel programma. Adesso, prima della messa, facciamo un pisolino. Andate anche voi. Andiamo, forza. Quando vi dico: andiamo! Cos’è? Non è italiano di queste parti? (Mercedes s’è alzata e raccoglie le scodelle) Andate a bere... andate a riscaldarvi... andate a trovare gli amici... Si può sapere fino a quando resterete lì, piantati come pali? Mercedes — Cantagli una canzone... Dopo se ne andranno. Giosafatte — Se non ci vuole che questo, per farli andar via... Ma una canzone adatta non ce l’ho. La notte di Natale non si canta una canzone qualsiasi. Melchiorre — Se non avessi così poca voce, can terei la canzone dei Re Magi. Costoro forse non sanno ch’io discendo da uno dei tre re. M i chiamo proprio come lui : è una prova. Melchiorre, sì : Melchiorre. Ed ho avuto in eredità un librone tutto pieno di figure, dove mia nonna ha raccolto tutto quanto riguarda l’infanzia di Gesù. E’ l’unica mia lettura, buona gente, da quando me rimasto tempo di leggere. Mentre gli altri spingono il carrozzone per aiutare l’asino che proprio tanto in carne non è, intrecciano canestri di giunco o vanno rubac chiando - beh, ce l’abbiamo nel sangue - o fanno divertire la gente dei villaggi, io m’istruisco per mio conto, mi faccio un’idea del mondo. E, quando sono troppo stanchi, le notti di veglia racconto ai miei ragazzi quello che ho imparato... Com’è bello! Com’è bello! Mercedes — Cantagli la canzone, nonno. Sara — Lui? Ormai canta come una scarpa vecchia. Melchiorre (prova a cantare) — Noi siamo i tre re... Sara — Lo vedi, vecchio rimbambito! Melchiorre (con entusiasmo) — Allora... allora... spiegherò il mio libro... la storia che è nel mio libro... E voi m’aiuterete ad illustrarla. G li a ltr i — Chi? Noi? Melchiorre — Ricordate? Alle Sante Marie, l’anno che ha piovuto tanto, l’avete rappresentata nella cripta, davanti alla nostra Santa Sara... In onore di Gesù Bambino! Una buona azione, Giosafatte!... Qualcosa gli dobbiamo... perché ci perdoni quella gallina... Giosafatte — E gli altri. Melchiorre — Ed anche gli altri, sì, ragazzaccio! Coraggio! Riunite i vostri ricordi. Tu, Giosafatte, hai dell’immaginazione, no? Inventa qualcosa! Gli altri seguiranno sul canovaccio. Mercedes — Sì, sì... M i piace tanto fare da Santa Vergine. Giosafatte — Beh... si può provare.,. (Alla gente) Allora, d’accordo. Siete contenti? Non gridate tutti in una volta. Promettete che non vi addormente rete di colpo? Che non ve la squaglierete? An diamo! Via! In scena!... Brrr... che freddo! (Si batte i fianchi con le braccia. A Bruno che s’è addormentato) Ehi, Bruno: dormi? (Lo scuote). Bruno —• Che cosa c’è? Giosafatte — Si recita. Metti a posto gli sga belli. Va’ a cercare i costumi. Accendi la lampada. Bruno — Cose che si recita? Giosafatte — Non importa che cosa. In onore di Gesù Bambino. (Ripensandoci, al pubblico) Ma si recita soltanto se la colletta è discreta. Aprite i borsellini, sciogliete le borse, vuotate le calzette, rovesciate le tasche... Faccio subito il giro. Melchiorre — Giosafatte, Giosafatte! Andrai dopo. Darà chi vuol dare. Se lo fai per guada gno, Giosafatte, la tua gallina non ti sarà perdo nata. E dovremo restituirla. Giosafatte — Restituirla? Mai. E allora corag gio, buona gente... Per la gloria! Melchiorre — Per la gloria di Dio, figliolo! Sara (borbotta una preghiera) — Santa Sara, pa trona nostra... Melchiorre (a Giosafatte) — Dai un colpo di tamburo. Dal momento che abbiamo deciso di recitare, tanto vale che ne approfittino tutti. Giosafatte — Che cosa dobbiamo annunciare? Melchiorre — « I Misteri Sacri dell’infanzia di Nostro Signore». E' il titolo del libro. (Tamburo). Giosafatte — Silenzio, buona gente. Poco fa non eravate che dieci... e adesso siete già in trenta. Presto sarete cento. La luna splende. Il freddo punge. Sta per gelare. Ma i nostri cuori sono caldi, buona gente... e i vostri lo diverranno tosto. Il fuoco celeste sta per discendere: è la fiamma d’amore per il neonato di mezzanotte. Recitiamo davanti a voi, nel modo più chiaro possibile, uno dei capolavori de] Re Magio Melchiorre, di re cente portato alla luce dal suo pronipote qui pre- NATALE IN PIAZZA sente. (Melchiorre saluta) « Il Mistero sacro del l’infanzia di Nostro Signore». Possa la profondità di tal soggetto evitarvi di ridere dei suoi interpreti. Si comincia subito. Il tempo di accendere la lan terna. (Bruno ha ■portato una vecchia valigia ricol ma di costumi. Accende la lanterna ad acetilene. Melchiorre si fa sistemare imo sgabello sotto la lanterna e vi si siede con il libro; indi fa segno agli altri di ritirarsi dietro le quinte e a Bruno di suonare il campanello che annuncia l’inizio dello spettacolo. Campanello. Gli altri intanto si truc cano). Melchiorre (legge ispirato) — « In quei tempi i popoli vivevano nell’attesa. Da secoli e secoli. Perché i profeti avevano predetto loro che un re onnipotente sarebbe venuto a salvarli, ad allegge rire il loro fardello, a detergere le loro lacrime; e che questo re sarebbe stato un Dio ». G li a ltr i (d. d.) — Un Dio. Melchiorre (prosegue) — « Ogni mattina ed ogni sera scrutavano l’orizzonte o il cielo, per vedere s’egli non entrasse attraverso la porta del sole na scente sul carro dell’aurora, oppure apparisse sulla sommità duna nube e discendesse sulla Terra come un uccello. (Entra Sara appoggiandosi a Giosa- fatte. Scrutano l’orizzonte a sinistra, tornano verso destra e osservano il cielo sopra di sé) Ma non vedono giungere nulla, e se ne rammaricano in sieme ». Giosafatte — Vita da cani! Quando finirà que sta vita da cani? Sara — Quando saremo sotto terra, ragazzo mio. Giosafatte — Non volevo dir questo. Sotto terra! Non è uno scopo, questo. Voglio dire: quando finirà senza finire? Quando la smetteremo con que sta dannata esistenza?... I poveri non sono con tenti... i ricchi non sono contenti... e quelli d’una via di mezzo nemmeno... Non vale proprio la pena né d’esser ricchi, né d’esser poveri... né di dima grire lungo la strada, ^ né d’ingrassare sprofondati in una poltrona. Se non c’è niente prima... se non c’è niènte dopo... (Osservando il cielo). Sara — Tu sai, figlio mio, ciò che hanno detto i Profeti, gli Anziani del popolo. Giosafatte — Lo so, lo so... Ma che cosa me ne faccio? Io sono uno zingaro e zingaro rimango... in attesa d’essere uno zingaro sotterrato. Sara — Gli Anziani hanno predetto... Giosafatte — Non me ne importa niente, degli Anziani. Quando si arriva ad un certa età, non si sa più quel che si dice. Sara — Grazie, figlio mio. (Ispirata) Tuttavia, il tempo è prossimo... La lupa ha urlato tre volte... il gufo tre volte ha lanciato il suo lugubre la mento... la vipera ha sibilato tre volte... HENRI GHEON Giosafatte — Ce n’è d’avanzo!... Non me la fanno più, nonna. Vai a raccontarla alle comari ed ai perditempo, quando gli leggi la buona ven tura... Io vado a letto e dormo. {Fa per uscire; sot tovoce) In ogni modo, qualcosa dovrà pur acca dere... Qualcosa... qualcuno... Sara (uscendo con lui) — Domani, forse. Giosafatte (rìdendo) — Sì, domani! Domani fa ranno la barba gratis... (Via). Melchiorre (legge) — « Colei che attendeva me glio d’ogni altro era una Vergine di nome Maria. Da lunghi giorni attendeva nel suo giardino e mai aveva interrotta l’attesa». (Entra Mercedes-Maria. Si guarda attorno, ascolta, poi si siede su uno sgabello a sinistra, prende il suo lavoro e cuce. Quindi entra Sara-la-vicina). Sara — Buongiorno, Maria. Maria — Buongiorno, vicina. Sara — Che fai, Maria? Maria — Oh, niente di speciale: sono qui. Sara — Lo vedo, che sei qui. Novità? Maria — Nessuna, ch’io sappia. .Sara — E Giuseppe, come sta? Maria — Benissimo. E' a lavorare. Sara — A quando le nozze? Maria — Non s’è ancora stabilito. Tra non molto. Sara — Viene spesso a trovarti? Maria — Ma certamente: quando può. Sara — Sarai impaziente, immagino. Maria — Eh, lo sono e non lo sono. Sto impa rando ad aver pazienza. Intanto, eccomi qui. Sara — Eccomi qui, eccomi qui... Ma lo vedo benissimo! Maria — Ove Iddio ti pone, là devi rimanere. Il Signore m’ha posta qui ed io ci rimango. Sara — Ma sì: sei qui; capito! {Pausa) Sai? Jehu, il sellaio, ha lasciato il paese. Maria {assente) — Davvero? Sara — E sai, il vecchio Creso ha diseredato i propri figli. Maria — Avrà avuto le sue ragioni, senza dubbio. Sara — Ma niente affatto, invece. Nessuna ra gione. Maria — Beh... io non so... Sara — E Matusalemme... Maria — Come dici? Sara — Non conosci Matusalemme? Dicono che vuole sposarsi un’altra volta... Alla sua età!... E indovina con chi: con Débora! Maria — Ah! Sara — Per te è indifferente. Maria — Non conosco né l’uno né l’altra. Sara (sbottando) —- Buonasera, Maria, buonasera... Non si può parlare di niente con te... Non c’è niente che ti interessi. Maria •— Ma sì, tutto, più o meno, m’interessa... Ma soprattutto... Sara —■ Che cosa, soprattutto? Maria — Ciò che il mondo attende da secoli... Sara {furba) — Ah! Il Messia! Maria —■ Non devi scherzare, Sara. Non ne hai sentito dire nulla, per caso? Sara —■ Del Messia? {Ride) Nulla. Assolutamente nulla. Se è lui che attendi, non sei certo prossima a vederlo. Nemmeno io, e nessuno, del resto. Maria — Non ci credi? Sara — Sì, ci credo! Ma dal momento che io non ci posso far nulla, me ne preoccupo il meno pos sibile. Buona sera, Maria. Maria — Buona sera, vicina. Sara {uscendo) — Il Messia, il Messia... {Via a destra). Melchiorre (legge) — « Fu allora che l’Angelo si presentò». {L’Angelo avanza in primo piano con un cestino di fiori ove s’immagina stia dormendo una colomba). L’Angelo {tra sé, rivolto al pubblico) — Eccola qui! E’ mancato un pelo che non sbagliassi porta. Sono un po’ distratto... L’emozione. (Si ferma) Il mio cuore batte come quello di un uccellino te nuto stretto in una mano... come quello della co lomba nel mio cestello. {Carezza la colomba) Ri posa tra i fiori... E’ la prima volta che il Padre Celeste mi dà una simile incombenza. Recare ad una fanciulla, ad una purissima fanciulla, la più pura di tutte - è stata creata apposta per que sto - la novella che sarà madre... che metterà al mondo un bambinello... E che quel piccolo essere sarà il Buon Dio. Né più né meno che il Buon Dio... Ma in carne ed ossa come un piccolo uomo. Che mistero! che mistero! Pure, io sono un angelo... e, tra gli angeli, uno dei più in gamba... - oh, non me ne vanto... Dio m’ha fatto angelo... arcan gelo... super-angelo! - Ebbene: la verità è che io non ci capisco quasi nulla. Sto pensando che il Padre Celeste la sappia più lunga di me. {Silenzio. Fa un passo per salire sul palco). Non si muove. Non mi sembra che sia preoccupata. Ascolta quel grosso merlo che fischia tra il fogliame, fa pie gare il ramo e tremolare le stelline del gelsomino. É il gelsomino ha un buon profumo. Osservate come lo aspira, quasi senza alitare le narici. (Pausa) La Vergine è là: attende. Trova il mondo così bello, che attende la salvazione del mondo. Colui che l’ha creato così bello, lo salverà. Ma come vo lete ch’ella pensi d’essergli utile in qualche modo per salvarlo? Troppo poca cosa si considera, nella creazione. Che mai potrebbe fare di buono il Padre, per mezzo suo? Iddio non ha bisogno degli uomini, sono gli uomini che hanno bisogno di Dio. (Sale sul falco) Debbo avvertirla, oppure pre sentarmi di sorpresa? Potrei tossire... o cantare... (Tosse leggermente) No: non sente. M i metterò sotto il gelsomino, suonerò col mio zufolo e atten derò che mi scorga. (Si sfosta fermandosi di fronte a Maria, suona qualche nota) « Ave, ave, ave Maria...». (Pausa). Maria —• Che dolce canzone! che profumo... e quanta luce! (Scorgendo l’Angelo) Ah! ce qual cuno. (Si alza). L’Angelo — Ti saluto, Maria, piena di grazia. Maria (tra sé) —• Cornò entrato? chi sarà? L’Angelo — Il Signore sia con te, Maria. Maria (sottovoce) — Con me? L’Angelo — Tu sei benedetta fra le donne. (Si fa avanti e saluta ancora). Maria (sottovoce) — Com’è bello! E come saluta bene! (Pausa) Sto sognando? No, non sto sognan do... Si avvicina... (Indietreggiando un foco) Per ché questa salutazione? Io... mi vergogno... (Pausa) LIo paura. L’Angelo — Non ti spaventare Maria... (Imbaraz zato) Ecco... Ecco... tu hai trovato la grazia... al cospetto di Dio. (Tra sé) E’ il momento di par lare... coraggio. Non oserò mai. Piccola colomba, aiutami. (A Maria) Tu racchiuderai nel tuo seno... Avrai un bambino, Maria... Un figlio... Gli impor rai il nome di Gesù... Sarà potente... Verrà chia mato figlio dell’Altissimo. Il Signore Iddio gli do nerà il trono di Davide padre suo. Regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe... ed il suo regno non avrà mai fine. Maria (sottovoce) — Non avrà mai fine. (Forte) Non comprendo. Sono turbata... non comprendo... Permetti che mi segga... Tremo tutta. E non so se di paura o di felicità. (Sottovoce) Il Messia... il Messia... in me! (Pausa) Ma come potrà avvenire ciò?... io non sono sposata... sono una ragazza! L’Angelo prendendo in mano la colomba) — Lo Spirito Santo scenderà su di te... La Virtù del l’Altissimo farà ombra su di te e ti coprirà. (Leva la colomba su Maria) E’ per questo che l’essere santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. Anche Elisabetta, tua parente, avrà un figlio, sebbene abbia oltrepassata l’età; la credevano sterile ed ora è già al sesto mese. Nulla è impossibile a Dio. (Pausa. Maria a foco a foco si china) Che cosa rispondi, Maria? Maria (frosterncmdosi) —• Ecco, io sono l’Ancella del Signore Iddio... Così sia! Così sia! Sia fatta la Sua volontà! L’Angelo (liberando la colomba) — La colomba s’invola, ritorna a Dio!... Dio è in te, Maria. Ti NATALE IN PIAZZA lascio i miei fiori. (Posa il cestello davanti a lei ed esce lentamente. Pausa). Maria (solleva il capo) — Se n’è andato. Ma io non sono più sola... mai più sarò sola, mio Dio. Poiché reco in me il Predestinato, l’Eletto, il Re, il Cristo, il Redentore. (Scorgendo il cestello). Ha lasciato i fiori. (Ne frende) Sanno di Paradiso. Rose bianche... rose bianche... ancora rose bianche. Ah! una rosa rossa! Rossa come il sangue. (Pun gendosi) Ahi! punge... M i sono punta un dito... e il mio dito sanguina sui fiori. Le rose bianche sono belle. Ma preferisco la rossa... anche se mi ha punto. (Stringe in mano quella soltanto, si alza tenendo il cestello nell’altra, e si avvia, asfirando il frofumo) Un figlio... di Dio... LIn figlio... di Dio... (Esce e si fone come una statua nel mezzo del falco. Pausa). Melchiorre — Pregate! via, pregate, voialtri! (Co minciando) Ave, Maria, piena di grazia... G li a ltr i (attorno a lei, continuando) — Il Signore è teco... tu sei benedetta fra tutte le donne. E benedetto sia il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, madre di Dio, prega per noi poveri pecca tori, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia! (Si inchinano a Mercedes). Sara —- Santa Sara, patrona nostra... (Il resto si ferde) Amen. G li a ltr i — Amen. Giosafatte (al fubblico) — Bene! Bravi! Bravi! Beh, applaudite, diavolo! Ancora! più forte! ser virà per riscaldarvi. Se la sono cavata bene, eh? M ’avete veduto suggerire, forse? Molto poco... mol to poco... Lo Spirito Santo è intervenuto prima di me. E adesso, l’intervallo... Orzate, lambrusco, li monate, birre... dolci, cioccolato, canditi, caramelle assortite! Il buffet è aperto e se non lo trovate, fate tre volte il giro della piazza a passo di ginna stica, alla vostra salute. Brrr, che freddo, però! Si pario! A tra poco. Sara e Bruno stanno mutando il loro misero abbi gliamento. Mercedes si riposa. Melchiorre rif rende il proprio fosto. Giosafatte si rivolge al fubblico. Giosafatte (al pubblico) — Si ricomincia! A posto! a posto! Vi siete portate delle seggiole? Avete fatto bene. Tu, pacioccone, in quell’angolo... per favore, non frugarti troppo nel naso quando sei assorto nello spettacolo. Ognuno esprime a suo modo la propria emozione. Ce chi spinge gli occhi in fuori, come dovesse giocarci a palline... chi tiene la lingua penzoloni, tanto da non poter più farla rientrare... altri attorciglia il fazzoletto, se non fa altrettanto con un lembo della veste... Senza contare quelli che gesticolano e conficcano i gomiti nel fianco dei HENRI GHEON vicini... Io non ci vedo nulla di sconveniente. Ma le dita nel naso, no, vi scongiuro... Un po’ di dignità, ecco : è qui che volevo arrivare. Beh, questa volta faccio la parte di Giuseppe: era un assai onest’uomo. (Ai saltimbanchi) In scena! forza! in scena. (Arretra verso il fondo. Campanello. Mel chiorre apre il libro). Melchiorre — « Ora l’Angelo apparve anche a Giuseppe, in sogno, e gli disse: “ Amico mio, non avere alcun timore di prender Maria per compagna. Il figlio ch’è in lei, è opera dello Spirito Santo. Tu sarai suo padre adottivo, il padre adottivo del Messia. Non è impegno da poco e saresti uno sciocco a non rallegrartene”. Dopo un po’ di tem po, Giuseppe andò con Maria a render visita alla loro cugina Elisabetta, anch’essa, malgrado l’età avanzata, attendeva un bambino, che sarebbe stato Giovanni il Profeta, il precursore: colui che doveva battezzare nell’acqua». (A fatica Sara-Elisabetta sale sul palco e va a sedersi a sinistra). Elisabetta — Sono troppo vecchia per aver bam bini. Te ne rendi conto, Signore?... Ma l’ho vo luto io... L’ho chiesto io... Ed anche Zaccaria. Siamo stati presi in parola... Che pazzia! (Pausa. Si siede) Di sicuro non avrò latte. E allora biso gnerà che Zaccaria comperi una mucca o una ca pra. Una mucca, piuttosto: il latte di capra inde bolisce i bambini. (Pausa) Mi lascia tranquilla Tes serino... mentre attende di nascere!... Non mi dà noia quando dormo. Ma vivrà?... Arriverà al ter mine? Sarà un figlio di vecchi. A volte mi assal gono dei dubbi... ho torto... E’ talmente straordi nario ciò che sta per accadermi!... E se non ci fossero che i miei disturbi! Anche Maria, mia cu gina... Raccontano certe cose... certe cose... Che sia proprio vero? (Si prende la testa fra le mani. Entra l’Angelo e le si pone dietro. Maria e Giuseppe avan zano da destra). Maria — Siamo giunti, ecco la casa. Giuseppe — Sarà bene riposarsi. Maria — Non sono stanca, Giuseppe. Non sono io che lo porto : è lui che mi sostiene. M i sento leggera come una rondine. (Scorge Elisabetta) Eli sabetta! (S’inginocchia e saluta) Buongiorno, cugina. Sono venuta con Giuseppe. Non t’abbiamo avver tita. Veniamo a farti una sorpresa... così grande! così grande. State bene? Elisabetta (alzandosi in piedi, con effusione) — Maria!... Sei tu, Maria! No, no: verrò io da te... non avvicinarti! Maria — E perché mai, cugina? Elisabetta — Perché... perché, Maria... Perché tu sei benedetta... tra le donne... tra tutte le donne... E perché... il frutto del tuo seno è benedetto. L’Angelo — Benedetto! benedetto! benedetto! Maria — Chi te l’ha detto, Elisabetta? L’Angelo (tra sé) — Io. Elisabetta — La madre del mio Signore mi onora di oltrepassare la soglia della mia casa e di pre sentarsi a me... con Lui! Maria — Ricevila con semplicità... è tua parente ed amica tua. Ma come sai? Elisabetta — Quando m’hai détto buongiorno... subito, subito... nello stesso istante,, mi sono sentita trasalire di gioia... Il mio bambino s’è mosso... an che mio figlio ha sussultato di gioia. Ora sono felice! Mia madre mi parlava spesso di questo primo sussulto che dice alla donna : « Io sono in te... Tu non sei più sola; rechi in te un’altra vita». Ma il grido di gioia di mio figlio è stato anche una salutazione. (Pausa) « Saluto il mio Signore! il mio Signore che viene da me a visitarmi! ». Felice colei che ha creduto... perché tutte le promesse del Signore si saranno compiute in lei. (S’è chinata davanti a Maria che la fa alzare e l’abbraccia. Giuseppe cade in ginocchio). Melchiorre (commosso) — Com’è bello! cornò bello! (Si terge una lacrima) « Allora Maria, an ziché risponderle, cantò ispirata ». (Maria si sol leva, alza gli occhi al cielo e recita tra Elisabetta china e Giuseppe inginocchiato. Bruno-VAngelo, potrà suonare l’armonium). Maria — Esalto nell’anima mia il Maestro. Il mio spirito esulta di gioia in Dio, mio Salvatore. Egli se degnato manifestarsi alla sua umile ancella. Mai le generazioni cesseranno di dire la mia felicità. L’Onnipotente ha compiuto in me cose sublimi. Santo è il suo nome. La sua misericordia si tramanda Di padre in figlio su tutti coloro che lo temono. Il suo braccio è forte. Egli sbaraglia gli orgogliosi. Abbatte i potenti. Esalta gli umili. Ricolma di beni i derelitti ed ogni bene toglie ai Restituisce ad Israele il suo regno, secondo la pro Che fece al padre Abraham ed ai suoi figli, che messa doviziosi; più non sono. Melchiorre (lirico) — Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Elisabetta (c. s.) — Santa Sara, patrona nostra... (Il resto si perde. Elisabetta e Giuseppe si rialzano. L’Angelo scompare). Maria — M i sento meglio. Son tanto felice, cu gina. (Abbracciandola ancora) Mio figlio abbraccia tuo figlio. (Poi, con tutta semplicità) Che ne farai, di tuo figlio, cugina? Elisabetta — Sarà cantoniere, credo. Giuseppe — Cantoniere? Maria — Si capisce: lastricherà la via ove dovrà passare il nostro. Elisabetta — Devi riposarti, ora, vieni; ti faccio vedere la tua camera. La più bella, con le cortine alle finestre. Maria —- Oh, cugina! Elisabetta — Per il Re del Cielo! (Prendendola sotto braccio) T i tratterrai un po’ di tempo, imma gino. Lavoreremo insieme al corredino dei nostri due bambini. (Esce con Maria) E voi, Giuseppe, venite? Giuseppe — Vi seguo. (Ma si sofferma ancora. Pausa) Signore, io non sono che un pover’uomo. Tu me ne fai vedere, si può dire, di tutti i colori. Oh! io non mi lamento! M i dici d’andare, e io vado. Vado, e non cerco di comprendere... Adesso so che Tu sei là, Tu mi tieni per mano, nella Tua mano. T i obbedisco, non temere! Vigilerò su Tuo figlio, lo curerò, lo alleverò. Egli T i farà onore. Maria (di dentro) — Giuseppe! Giuseppe —• Vengo, vengo Maria... Eccomi! (La segue). Mercedes (nel retroscena) — Via, sbrigati, Bruno... Da pastore! Da pastore!... Posa le ali. Mettiti la pelle di montone. (A Sara) Sbrigati anche tu, nonna! Sara — Eh, adagio, adagio! Che furia! (Si tra veste da matrona, brontolando). Melchiorre (per farla tacere) — Ehm! ehm! ehm! (Leggendo) «Maria si trattenne tre mesi da sua cugina. Giovanni il Battista nacque ch’ella non era più là. Venne adunque il tempo del censimento e tutti gli abitanti dell’impero romano dovettero an dare a farsi iscrivere al municipio, ciascuno nel proprio capoluogo. Poiché appartenevano alla stirpe di David, Giuseppe e Maria si recarono a Betlem me. Era prossimo il tempo che Maria doveva dare alla luce il Bambino». (Bruno, travestito da pastore, entra in scena, passeggia su e giù, fingendo di passare attraverso alla folla con il suo gregge altret tanto fitto). I l pastorello — Quanta folla, nel nome di tutti i santi! Che ressa! Che assembramento! (Chiama attorno a sé le pecore con un verso'. Giosafatte e Mercedes, tra le quinte, imitano i belati del gregge) Non vi spaventate, no... (Giosafatte e Mercedes, c. s.) Mica vi mangia, sapete, tutta questa gente... Non subito, voglio dire. Del resto, sarebbe molto strano se con tanta gente che c’è, nessuno assag giasse una vostra braciola o una fetta di cosciotto. (Giuseppe e Mercedes, c. s.) Bisogna passare... è inutile protestare. Non riconoscete più la piazza grande di Betlemme? Io no, mie care. Ma dal mo mento che l’ovile è all’altro capo della città, o attraversate la piazza, oppure vi toccherà dormire all’addiaccio. Preferite dormire all’aperto? Io no. Sta per gelare. Il cielo è tutto stellato. (Giosafatte NATALE IN PIAZZA e Mercedes, c. s.) Scusate, signore... scusate, signo ra... A destra! Di qua, di qua, vi fate calpestare. (Giosafatte e Mercedes belano più forte) Sì, son pecore, non le vedete? (Richiama il gregge, c. s. A questo punto Sara sbuca eia destra, di fronte al pastorello. E’ vestita da vecchia matrona, con un superbo copricapo, l’ombrello, i guanti). La matrona — Ecco qua un altro intralcio: tutte queste pecore! Un carretto a destra, un calesse a sinistra... E poi un cammello mi starnuta sul naso... Qui c’è un mercante di cavoli e carote in groppa ad un asino. Là un facchino che col bagaglio mi struscia le piume del cappello... E adesso, come non bastasse, ecco un monello che mi caccia le pecore tra le sottane! I l pastorello — Ma signora!... (Giosafatte e Mer cedes, belano c. s.). La matrona — Macché signora!... Io debbo pas sare... e voi siete uno screanzato. Fatevi da parte con le vostre pecore. I l pastorello — Ma signora... La matrona — Ancora “ signora ”? Credete di cavarvela con questi “ signora...” voi! (Giosafatte e Mercedes c.s.) Che strepito!... E che puzzo!... Se non fosse per la lana.. Non le lavate molto spesso, eh? Ecco, ecco! Ne ho davanti, ne ho die tro, ne ho da tutte le parti... Non mi posso più muovere... (Giosafatte e Mercedes, c.s.). I l pastorello — Non è colpa mia, signora... La folla preme... La matrona — Non si va in mezzo alla gente con un gregge. (Giosafatte e Mercedes, c. s.) Fatele star zitte, almeno... (Alzando l’ombrello) Io pic chio, eh! I l pastorello — Non c’è più verso d’andare avanti! La matrona — Andrò dal vice prefetto... Arri verò fino a Roma, caro voi... Ho le braccia lun ghe. io... E se il signor presidente del Consiglio... voglio dire Cesare Augusto... (Giosafatte e Merce des, c.s.) E’ un inferno, proprio un inferno... I l pastorello — Che volete, signora, non ci rimane che attendere. La matrona — Una guardia!... una guardia!... I l pastorello — Chissà dove sono, adesso, le guardie! La matrona — M i ricorderò di Betlemme. Un buco!... Delle strade impossibili!... Una mattinata intera per trovare una camera decente in una locanda... e nemmeno un bagno!... Non ce n’era che uno: l’hanno riservato per il ministro... Come potrò togliermi di dosso questo puzzo quando tor nerò a casa?... Saprò di pecora per tutta la vita... (Il pastorello dà in una gran risata) Ridete, eh, monello! HENRI GHEON I l pastorello — Non vorrete che pianga, spero. Consideratevi fortunata d’aver trovata una camera. La matrona — Fortunata! Fortunata! M i debbo considerare fortunata! Voi non sapete con chi state parlando. I l pastorello — Non Io so, signora; ma vorrei saperlo. (Giosafatte e Mercedes, c.s.). La matrona —• Eccole che ricominciano... (Con un grido) Ho una pecora sotto la gonna! I l pastorello — Ma non è che un agnello! Pic colo, piccolino. Ora è venuto fuori, non abbiate paura! HA matrona —- Ah, questo censimento! Che sec catura! Volevo mandare la cameriera, ai posto mio... Sembra che non si possa avere il diritto... Non ce più governo... è anarchia compieta, questa! I l pastorello -— Un po’ di pazienza, signora. La strada si sta sgomberando, da questa parte. La matrona — Ma di qua c'è sempre più con fusione... E’ da questa parte la mia locanda... Arriverò in ritardo per il pranzo. Oh, la mia gonna... la mia gonna! Gnu seppe (a piccoli -passi è sopraggiunto da destra sostenendo Maria; va a porsi davanti al pastorello) ■—• Ragazzo, ti prego... I l pastorello — Ohe volete, buon uomo! Giuseppe — Non mi potreste indicare un albergo, mi piccolo albergo ove poter passare la notte? I l pastorello — La locanda della signora; ma è una locanda di lusso, immagino. Però, con la sua protezione... La matrona — E’ esaurito, ragazzo. Ma anche se fosse vuoto, non li prenderebbero, quei due. La locanda dove sono io non è per gli operai. Giuseppe —■ io, infatti, sono un operaio. Fale gname, signora. E tiro avanti alla meglio. Ma i viaggi costano e non posso spendere troppo. La matrona — La mia locanda è carissima. Giuseppe — Allora, non ne parliamo più, signora. Ma il caso è particolare, li oambino che sta per nascere... La matrona — Chi è che sta per nascere?... Ah, vostra moglie... Giuseppe — Sì, signora, da un giorno all’altro... Non si sente bene. E se questa felicità dovesse capitare... La matrona — Felicità?... Se lo dite voi... Se condo i punti di vista, lo non ho bambini... e non ne vorrei nemmeno per un impero. Giuseppe — Può darsi che abbiate torto... Per l’impero del mondo vale la pena d’averne uno. La matrona — Che mi andate dicendo? Giuseppe — Sì, il bambino che sta per nascere... Ma voi non potete comprendere. La matrona — Sarei troppo stupida, forse? Era ora! Spingete il vostro gregge... Giuseppe -—• Non ho detto questo. Ma nei pro positi di Dio, vi sono dei profondi misteri... La matrona —• Che mai parlate di Dio? E di quale Dio, prima di tutto? Siete ebreo, voi? Giuseppe — Siamo ebrei. La matrona — Non mi piacciono gli ebrei. Giuseppe — Non siete la sola. Gli ebrei hanno dei torti, senza dubbio... Perciò Dio li ha prescelti. La matrona — Basta, basta! Hanno ucciso tutti i profeti... Se profetizzate, uccideranno anche voi... e il bambino che sta per nascere, qui sul mercato... se per caso vi somiglia. Giuseppe — Iddio lo protegga, il bambinello! Voi, pastore, che siete di queste parti, non conoscete un albergherò?... Bisogna pure ch’egli venga al mondo... e che la sua povera madre trovi un letto... I l pastorello — Letti, sapete, non ve ne sono. Vanno dicendo da per tutto che gli alberghi sono completi... In qualche casa, forse. Ma tutti hanno parenti, amici... Maria — Non ce la faccio più, Giuseppe, a rima nere in piedi. Giuseppe — Appoggiati, Maria... Dove andare? Dove andare, mio Dio? I l pastorello — Venite con me... vedremo... Oh! finalmente possiamo passare! La matrona Liberatemi! I l pastorello — Arrivederci, signora... La strada è libera... Bastava solo un po’ di pazienza. La matrona — E io non ne ho affatto, non ne ho! Una signora come me, non aspetta! Giuseppe e Maria — Buonasera, signora. La matrona (sprezzante) — Buonasera. I l pastorello (voltandosi) — Signora! Non po treste cederle il vostro letto, se non si trova nulla? Si dorme bene anche su una poltrona, ve l’assicuro. La matrona (stizzita) — Il mio letto!... Il mio Ietto!... Ah, mi ricorderò di Betlemme! (Via a destra. Il pastorello, seguito da Giuseppe e da Maria, dà il verso alle pecore. Vìa tutt’e tre). Melchiorre — Tutti se ne ricorderanno, di Be tlemme. Quella lì non crede d’aver detto proprio la verità. Eppure... Tutti ancora se ne ricordano. (Leggendo) « Or dunque, il pastorello, non trovò nulla, né per sé né per lei, nemmeno nel proprio ovile, poiché esso era già tutto occupato da una tribù di zingari, i quali, in mancanza di alberghi, vi si erano sistemati. Mangiavano, bevevano e si raccontavano storielle. Giuseppe e Maria ripresero il cammino ed il pastorello, separandosi da loro a malincuore, si coricò in un prato con il gregge». (Ancora, d. d., il belare dei due; il pastorello rien tra da destra). I l pastorello — Andiamo; giù, qui. Non abbiate paura di stringervi contro di me... M i tenete caldo. (E' seduto per terra) Che situazione! Forse hanno trovato una stalla... o una grotta. La gente di que sto paese non è di buon cuore. {Pausa) Purché il piccolo non nasca stanotte. Col giorno si potranno sistemare... E’ più facile. (Osservando il cielo) Che bel cielo! Sta gelando... {Alle pecore) Stringetevi... stringetevi. Sono da commiscrare più di noi, quei due poveretti... (Si distende, s’addormenta e mor mora nel dormiveglia le parole misteriose di Giu seppe) Colui che sta per nascere... colui che sta per nascere... Melchiorre (si alza) — Colui che sta per nascere, pastorello, sarà povero e potente, disprezzato e glo rificato. Prenderà su di sé i nostri dolori e ci dispen serà la gioia. La sua ora è giunta. Cantate tutti, cantate! Scocca la mezzanotte! Il Bambino è nato! Gloria nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. G li a ltr i {d. d.) — Di buona volontà. Melchiorre —■ « Or dunque, all’ultimo rintocco della mezzanotte, un angelo di elevata statura avan zò verso i pastori, che custodivano le loro greggi nei prati e che giammai avevano disperato della Ve nuta. {Maestosamente si avvicina al pastorello che dorme) E disse loro: destatevi!». G li a ltr i {d. d.) — Destatevi! {Il pastorello si sol leva e guarda). Melchiorre — « Non temete! Vi reco una grande novella, che sarà per voi tutti una grande gioia. E’ nato per voi, questa notte, nella città di David, Betlemme, il Salvatore». G li a ltr i {d. d.) — Il Salvatore. Melchiorre — Che è il Nostro Signore, il Cristo! I l pastorello — E’ nato il Messia? G li a ltr i {d. d.) — E’ nato il Messia! Melchiorre — « Lo riconoscerete da questo segno : troverete un neonato avvolto in fasce, posto in una mangiatoia ». I l pastorello — E quello, sarà Lui? G li a ltr i {d. d.) — Gesù... Melchiorre — « Allora, attorno all’Angelo, una schiera d’altri angeli a lui simili apparve ai pa stori e il loro splendore fece impallidire le stelle». E cantavano in coro : Gloria nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. I l pastorello — Di buona volontà... {S’è alzato in piedi, ha teso le braccia; indi si prosterna. Mel chiorre ritorna al suo posto. Pausa. Il pastorello si rialza) Non ho sognato? Non ci sono più... {Alle pecore) Dormite... dormite, l’Angelo vi custo dirà. Devo andare... bisogna correre... Colui che sta per nascere... Colui che sta per nascere... Ma NATALE IN PIAZZA è Lui!... E’ Lui!... (E mentre corre fuori, gli altri cantano). Coro —■ E’ nato il divino fanciullo; Risuonate, oboi e cantate, cornamuse! Il divino fanciullo è nato! Cantiamo tutti il suo Avvento! Melchiorre — E’ pronta la stalla?... Possiamo continuare?... Voci — No... no... Aspettate! Sì! No! Melchiorre — Che cosa succede? Mercedes — Mariuccio non vuol fare Gesù Bam bino. Melchiorre — Prendi Gigetto! Mercedes — Ha cacciato il naso nella scatola del lucido da scarpe... Melchiorre — Prendi quello in fasce, allora! Mercedes —■ Dorme. Melchiorre — Ragione di più. Mercedes — Ma se si sveglia, si metterà a stril lare. Melchiorre — Tanto meglio. Che cosa credi, Mercedes, che il piccolo Gesù non strillasse? Sarà più naturale... {Al pubblico) Scusate, signore e signori. Non si può far sempre ciò che si vuole, con i bambini. {Agli altri) Ci siamo? Bruno — No... non ancora... E’ l’asino, che non ne vuol sapere... Melchiorre — Neanche con il fieno? Sara — Non ce n’è più, di fieno. Melchiorre — Lasciatelo in pace. Si farà a meno dell’asino! Già, non c’è nemmeno il bove... {Al pubblico) Scusatemi, signore e signori... {L'asino raglia) Basterà che canti... {L’asino raglia ancora) Ma non troppo!... Troppo no! {L’asino tace) Beh, 10 attacco. G li a ltr i —- Via, nonno, forza! {Campanello). Melchiorre — « Or dunque il pastorello, ch’era stato raggiunto dagli altri, si trovò tosto davanti ad una grotta, ove gli era sembrato di veder ardere una candela». (II pastorello è entrato in scena, fa cendo segno agli altri di seguirlo in silenzio). 11 pastorello — Forse sono là... Non fate chias so. Preparatevi a vedere qualcosa di straordinario. {L’asino raglia) Un asino; dunque, è proprio là. Perché l’asino è una buona bestia... E’ un po’ testardo... ma molto docile e per niente ambizioso... Tutto il contrario di quella signora... Ah, se aveste veduto quella signora! Non l’avete veduta? Sarebbe troppo lungo da raccontare... In fondo, che io abbia torto o ragione, il fatto è che io vedo Gesù Bam bino in compagnia di un asino... Farà una gran bella figura, sui quadri... {L’asino raglia) Vi dico che è da quella parte... {S’awicina, solleva la tenda che nasccmde il palco). Giuseppe {sporgendo il capo) — Chi è? HENRI GHEON I l pastorello (senza osare di guardarlo) — Sia mo pastori, signore; scusateci. Giuseppe — Che cosa venite a fare? I l pastorello — Veniamo ad adorare il Bambino. Giuseppe — Venite ad adorare il Bambino?!... I l pastorello (riconoscendolo) — Ma siete voi, siete quello che non riusciva a trovare un alloggio. Che combinazione! Giuseppe (scostando la tenda) — Entrate pure... Il Bambino è qui. (Si ritrae e riprende il sito posto in ginocchio; a sinistra della mangiatoia, ove si vede coricato il Bambino; a destra è Maria, essa pure in ginocchio). I l pastorello — Oh! Oh!... (S’inginocchia) Non ho mai veduto un Bambino così bello... E sì che ne ho avuti quattro, di fratellini. Non sempre sono graziosi, appena nati : ma questo... {Agli altri pa stori) Guardate... avvicinatevi. E’ il vostro Re... Co- m’è carino! Maria — E’ fratello vostro. I l pastorello — Allora, la mamma del nostro pic colo Re, sei tu? Maria — Sì, sono anche la vostra mamma. I l pastorello — Sei bella quasi quanto lui... Sul serio, non si direbbe che è nato proprio adesso. Hai l’aria duna fanciulla... Giuseppe — Si chiama Maria. I l pastorello — Maria? {Agli altri) Avete sen tito? Maria! Maria! E’ un nome fatto proprio su misura. Giuseppe — Senza dubbio. Il Padre Nostro Ce leste ha pensato a tutti i particolari. I l pastorello {alzandosi) — Un momento. Biso gna offrire qualcosa al Bambino. Vado a cercare ìlei fichi, del burro e una caciottina... Non ne man- gerà, naturalmente... ma sarà sempre un regalo. Mangeranno il suo babbo e la sua mamma... E se ritrovo il mio piccolo flauto, ci si potrà divertire. (Lo ha trovato) Eccolo! Ce l’ho qui, ce l’ho qui! Maria — Suonagli una ninna nanna. I l pastorello — Se ci fosse la mia padrona, chissà che cosa direbbe? E’ così tanto tempo che attende il Messia! Maria — Vai pure a chiamarla. I l pastorello — Ci vado... ci vado... Aspettatemi, voialtri. Poi vi suonerò col flauto. (Via cantando) E’ nato il divino fanciullo... (Il canto si perde). Melchiorre — « Or dunque, in quel tempo av venne che il Magio Melchiorre», mio antenato, si gnore e signori « si recò in visita dai suoi due col- leghi Baldassarre e Gaspare, per un congresso di astronomia. La sera, mentre si riposavano ragio nando tra loro sulla terrazza del palazzo del loro ospite, notarono una stella più grande delle altre, che non era segnata sulla carta del cielo e che sembrava emanare una strana luce : si sarebbe detto un segnale...». (Lascia il suo posto e va su e giù scrutando il cielo) Non è possibile... ma non è pos sibile... T i sbagli, mio vecchio Melchiorre. - Ma se è là... Eccola là... fissata come uno spillo di dia mante... e tutte le altre non sono che limatura... - Ma in questo caso, anche i miei colleghi si sba gliano... Tre sapienti che si sbagliano... che si sba gliano tutt’e tre d’accordo. E’ una cosa senza prece denti nella, storia... {Leggendo) « Or dunque, non appena quella stella si spostò, i tre Magi ebbero l’idea di seguirla e tosto seppero ch’essa li guidava, secondo quanto era stato predetto dai profeti, a Betlemme di Giuda, ov’era nato il re dei Giudei. Ed essi vi giunsero a piedi nudi, con in capo la corona e recando ogni specie di doni preziosi. Ed essi offrirono al piccolo Re, tra le altre buone cose, oro, incenso e mirra». (Tra sé) Coraggio, vecchio Melchiorre, in cammino! Non tenere inoperose le tue gambe malandate! Si tratta di recarsi ad ado rare il Bambino. Hai trovato qualcuno a questo mondo, ch’è più importante di te. (Cammina len tamente, scorge la grotta, si prosterna). Nel nome del mio antenato ed in memoria di lui, io, Mel chiorre, l’anziano degli Anziani tra gli Zingari, ti offro tutto quello che posseggo; non è gran cosa, certo: il mio cuore. Con l’oro della mia fede, l’in censo della mia speranza e la mirra del mio amore. Ne vuoi, Bambinello? (Sottovoce) Perdoni a Gio- safatte, non è vero, Buon Gesù? Maria — Alzatevi. Vi fate venire il dolore alle reni, nonno. Melchiorre — Ohi... Lui mi guarirà... E’ venuto sulla Terra per guarire. (Il pastorello riappare, ti rando per mano la padrona: Sara). I l pastorello (deponendo i regali) — Prendi. Ecco fichi, burro ed una caciottina. Ho preso anche un cardo per l’asino... Gli piacciono i cavoli. (A Sara) Eccolo qui, il Messia, padrona! Sara — Il Messia! (S’inginocchia e borbotta) Santa Sara, patrona nostra... (Il resto si perde). I l pastorello — M ’avevi detto che ti saresti messa a saltare dalla gioia, il giorno che fosse nato. Bisogna danzare. Ed anche voialtri... (Al pubblico) Ed anche voi, così vi riscalderete. Melchiorre (lirico) — In onore di Gesù : le stelle danzano, le colline danzano, il re David con l’arpa in mano, fa saltellare la sua corona d’oro attorno all’arco dell’alleanza! Noè danza sul diluvio! Mosè danza sul Nilo! E gli Anziani zingari suonano il tamburo e picchiano sulla pelle d’asino. (Prende un tamburo. L’asino raglia). I l pastorello — L’asino approva, nonno. Melchiorre — E’ l’asina di Balaam. I l pastorello e Sara — IJwiva! Evviva! Melchiorre — Non ce ne che uno solo, guar date, che non sia contento... Sara — Belzebù!... Non ne parlare, nonno. (Si segna). Melchiorre — Un bel girotondo in onore di Gesù Bambino! Maria (sedendosi) — Oh, Giuseppe, guarda: ha aperto gli occhi. (Prende il Bambino sulle ginoc chia. Danza zingaresca. Melchiorre batte le mani, il -pastorello salta qua e là suonando il flauto. Sara fa piroette e riverenze e schiocca le dita. E tutti battono il tempo all’unisono, insieme con gli spet tatori). T u tti —• Evviva Natale! Evviva Natale! Giosafatte (al pubblico) — Sst! Sst! Si comincia. Lingue in tasca!... Dài, Melchiorre! (Sul palco, Melchiorre è prostrato in preghiera, nelle sembianze di Simeone. Sara-la-Profetessa Anna, tutta rannic chiata, dice il rosario) Questo è il vecchio Simeone. E questa è la profetessa Anna. Siamo nel tempio di Gerusalemme, una delle sette meraviglie del mondo... Che cosa ne dite di queste colonne? Tutto marmo! E i capitelli d’oro? Oggigiorno, non se ne fanno di più belli. E queste lampade? E questo soffitto? Secondo l'usanza degli ebrei, i genitori di Gesù si recano a presentare il bambino per consa crarlo al Signore. Essi offriranno in sacrificio due colombe. Simeone (interrompendo la sua preghiera) — Beh? Anna — Beh? Simeone — Vi ascolto. Anna — Niente da dire. Simeone — Non profetizzate, oggi? Anna — Sono stanca. Dimagrisco a vista d’occhio. Presto avrò ottantacinque anni. Simeone — E’ un’età rispettabile, senza dubbio. Io non sono molto più giovane. Ai tempi dei Patriar chi questa era la primavera della vita. Ci si ripo sava a centovent’anni. (Pausa) Ne abbiamo, di tempo a disposizione... Anna — Meno di quanto vorrei, padre. Morirò prima di voi. Simeone — Può darsi. Io non morirò tanto presto. Non morirò prima d’aver veduto il Cristo del Si gnore: me lo ha detto lui. Anna — A me no. Dio m’ha rivelato molte cose, ma quella no. Simeone — Iddio me l’ha promesso. Anna — Anch’io lo vorrei vedere, ma non avrò questa fortuna. Simeone — Sperate! Anna — Non faccio che sperare, Simeone. Simeone .— Si burlano di noi, perché viviamo e speriamo. Provo tanta pena per coloro che non NATALE IN PIAZZA sperano e vivono lo stesso. Di che cosa e per che cosa vivono? Anna — Sentite come ridono, laggiù. Simeone — Si credono spiritosi. Riderà bene chi riderà ultimo, signori miei. Gli metteranno il Cristo tra le mani ed essi non ci crederanno. Perché non sperano in Lui. Anna — Perché non Lo attendono. (Alzandosi) Vado a sgranchirmi un po’ le gambe. Sempre in ginocchio... Simeone — Farete bene a prendere un po’ d’aria. Io, aspetto. Vedete, sorella Anna, temo sempre che Egli sopraggiunga proprio in quel momento che fossi uscito. Anna — Mi avvertite, se viene? Simeone — Mi vedrete gridare dalla gioia. Anna — Avvertitemi, in ogni modo. Simeone — State tranquilla. (Anna, via lenta mente). Simeone (solo) — Dio d’Abraham, Dio di Gia cobbe, Dio del mio antenato Melchiorre, infonde temi pazienza... Sono impaziente per me, perché ho fatto il mio tempo, ormai, sulla Terra. Scric chiolo da tutte le giunture come una vecchia mac china arrugginita. Mentre prego, m’addormento. Non esiste altro che la morte, che possa conce dermi un riposo abbastanza lungo... in attesa che la mia vecchia carcassa risusciti. Soprattutto sono impaziente per loro. Non valgono gran che, ne convengo: ed hanno soltanto ciò cbe si meritano. Voglion fare i pazzi: facciano pure. Si dirà che trascorrono la vita in un maneggio di cavalli a dondolo. Come si chetano fanno gli ipocriti, per ché il loro pensiero si paralizza... Ed hanno così tanta paura di pensare a voi! Se poteste improvvi samente acchiapparli con questo pensiero, come Abacuc, per un capello! Ma soffrono, soffrono... ve l’assicuro. Soffrono di far sempre i pazzi e d’esser sempre obbligati a farlo. Quando si ve dranno, non ci sarà verso: bisognerà che si fer mino, che si osservino, che si pieghino. La vita trascorre e loro non se ne sanno servire. Dio d’Abraham! Dio di Giacobbe, abbiate pietà di loro p di Simeone. (China il cavo in raccoglimento. Entrano Maria e Giuseppe; ella tiene in braccio il Bambino, lui ha in mano una gabbietta). Maria — Come si sta bene nella casa del Padre! Giuseppe (poco convinto) — Sì... Maria — Non vi sembra così? Giuseppe — Ci sono troppe botteghe e troppi mercanti. Maria — Ci vogliono i mercanti, per vender le candele. Giuseppe — Oh, vendono di tutto. Maria — Non me ne sono accorta. Dopo quella HENRI GHEON notte di Natale, che per la prima volta al mondo gli uomini hanno reso omaggio al Figliuolo di Dio, 10 non conosco altro che gioia. Nemmeno provo quel timore, tanto naturale, che tutte le madri hanno per il loro figlioletto. Una così delicata crea tura! Ma è il Figlio di Dio. In quella gelida grotta, chiunque altro sarebbe morto. Egli ha chi lo pro tegge; gli Angeli sono sopra di Lui e Lo coprono con le loro ali. Dio ha inviato sulla Terra la sal vazione. Dal Figlio della salvazione non ci può venire che felicità. Giuseppe — Avete ragione, Maria. Ma se ne conosceste gli uomini... Sono così aspri, così in mala fede... così poco riconoscenti. So cosa dico. Voi non conoscete il male; siete pura, voi. Maria — Tuttavia, oggi mi debbo purificare. Giuseppe — E’ legge, e la legge comanda. Ma voi non ne avete bisogno. Maria — Dobbiamo essere felici. Giuseppe — Non dubitate della mia gioia, Maria. (Si fermano). Maria (sollevando il figlio sulle braccia) — Si gnore, sulla soglia del Tuo tempio, Ti presento questo bambinello che è mio figlio e figlio Tuo e mio Signore. Proteggi me pura e raggiante come Lui, affinché Egli non conosca che la gioia, quella stessa gioia ch’Egli reca al mondo e che a Lui deve risalire. (Mentre Maria così -parla Simeone solleva 11 capo, guarda il bambino e avanza, come abba gliato; tende le braccia, Maria vi depone il bam bino). Simeone (commosso) — « Signore, posso morire. Ricordati del Tuo servo, nella pace di quest’ultimo giorno che la Tua parola mi promise! I miei occhi hanno veduto la Tua salvazione, il nostro Salva tore, che segretamente avevi preparato per illumi nare il Tuo popolo. Egli dissiperà le tenebre e sarà la gloria d’Israele». Maria (con meraviglia) — Come vi chiamate, buon vegliardo? Simeone — Sono Simeone. (Benedicendo il bam bino) « Ed io benedico Colui che già mi benedisse con il suo contatto e con la sua presenza. (Pausa. Gravemente) Ascoltami, Maria, Santa Madre del Dio vivente. Questo Bambino è venuto al mondo a rovina e resurrezione di molti uomini in Israele. Sarà come un segnacolo di contraddizione; al di sopra delle contraddizioni del mondo... ». Maria —■ Ma lo proteggerà Iddio? Simeone (senza rispondere) — « E a te pure, Ma ria, una spada trafiggerà il cuore». Maria — Oh...! (Si appoggia a Giuseppe). Anna (sopravvenendo) — Simeone, Simeone, pian gete? Simeone — Piango di gioia. Anna (inginocchiandosi ai piedi di Maria) ■—- Mio Signore! (Si solleva ed esclama) La Terra di Camargue e il deserto di Crau gioiranno E le loro pietre esulteranno di gioia: Si rivestiranno di narcisi e biancheggeranno sino Le rocce di Baux si fenderanno e lanceranno grida all’orizzonte, di felicità; Le rose di Saron ed i gigli del Carmelo trabocche ranno dalla barca ricolma, Ove navigano le Sante Marie, Che recano la parola novella, nata dalle labbra del Fanciullo! (Sottovoce) Santa Sara, patrona nostra... (Il resto si perde). Maria (sollevandosi) — Venite, Giuseppe. Dob biamo offrire le nostre due colombelle. L’una sarà per la gioia e l’altra per il dolore. (Uscendo con Giuseppe) Bambinello... bambinello... (Anna li se gue. Melchiorre rimane dov’era). Melchiorre —. E già la spada è tratta. Al solo nome di Gesù, la spade esce. Erode, il re Erode, il sordido Erode, aveva fatto promettere ai Re Magi di dirgli ove fosse il Bam bino, per andare anche lui ad adorarlo. Costoro, avvertiti da un Angelo, sono fuggiti dal suo regno, evitando di rivederlo. Allora, egli ha tratta fuori la spada. (Fa la parte di Erode. Si siede in trono). Io sono Erode, re dei Giudei, e non v’è che un solo re dei Giudei, e quello sono io. Pensate che il re dei Giudei si lasci spodestare da un bambino in fasce? O traditore Melchiorre, traditore Gaspare e tradi tore Baldassarre! Vi ingiungo di rispondermi! Dove sono? Corretegli dietro! Mettete il basto ai miei cammelli! Bardate le mie zebre! In sella! in sella! Essi portano con sé il mio se greto di morte. Se deve nascere a Betlemme di Giuda, si frughi Betlemme, casa per casa, dal granaio alla cantina. M i si portino tutti i neonati, tutti i bambini fino ai due anni. Ed io vi mostrerò qual è il re. —- Là, quello là! Ha un segno sulla fronte, cono sco il segno! —- No, questo! Tiene alta la testa come un re d’Assur. —• Quello lì, che mi ride sotto il naso! — Questo qui, con gli occhi che mandano riflessi di fuoco e di rame! — E quell’altro che assomiglia a David! — E l’altro ancora, che torce le mani come un dannato! Dove il regicida? Via, via le donne. E guardatemi bene in viso: qual è, di voi, la madre d’un re? — Nascondi tuo figlio: è lui! E’ il tuo, quello là! — E’ il tuo! (Pausa) —- Se nessuna confessa, se nessuna mi rivela il nemico del mio trono e del mio riposo... Allora, uccideteli tutti! Senza eccezione. Niente grazia! E che il sangue dell’innocenza si mischi con il sangue dell’usurpatore! (Altro tono) Echeggiano grida a Roma e a Betlemme. E Rachele piangeva il proprio bambino sgozzato tra le braccia. E il sangue dei primi martiri scorreva sotto tutte le porte. E tutto un popolo d’anime senza peccato, come uno stormo d’uccelli, s’immergeva nei sotterranei della morte. Ma Giuseppe, avvertito in sogno, era già fuggito con il Bambino, che Maria si stringeva al seno come l’Agnello del sa crificio. E Gesù Bambino pregava per i suoi fratelli e pro metteva loro in segreto che un giorno li avrebbe liberati. Quel giorno in cui egli stesso si sarebbe sacrificato, sotto il fardello della colpa e dell’odio. (Pausa). Ed essi vissero in Egitto sino alla morte del re, loro nemico. (Melchiorre ridiscende e riprende il suo posto. Poi legge, con tono sostenuto) « Intanto il fanciullo si irrobustiva: progrediva in saggezza e in età, e la Grazia di Dio era con lui». Giuseppe (entra con sulle spalle una tavola che Gesù garzone [Bruno] sostiene di dietro. Dalla parte opposta Maria, col suo cestino da lavoro, si siede su uno sgabello) — Qui, figlio mio. (Gesù lo aiuta a posare la tavola in un angolo del palco) Dove la squadra? (Gesù gliela porge; Giuseppe segna i punti che dovrà seguire la sega) La sega... Gesù — Eccola, padre. Giuseppe —• Reggi la tavola. (Gesù obbedisce. Giuseppe sega e il pezzo cade) Bene. Così va bene. Maria (a Gesù) — Sono senza aghi, di quelli sot tili. Nella scatolina sopra la tavola. (Giuseppe ac consente). Gesù —- Sì, mamma. Maria (a Giuseppe) — Ed anche, bisogna che non tardi molto a andare a cercarmi il latte. Non ce ne sarà più alla fattoria. Gesù — Sì, mamma. Giuseppe —■ Vai pure, figliolo mio. Il lavoro non è urgente. Darai un colpo di pialla là sopra, quando avrai tempo. Gesù — Sì, padre. Non farò tardi. (Via). NATALE IN PIAZZA Giuseppe —- Io... bisognerà che mi cambi... Vado a mettermi d’accordo per questo viaggio. Maria — Partiamo domani di buonora? Giuseppe —■ Avanti l’alba, così si evita il caldo. (Gesù rientra e porge alla madre la scatolina aperta). Gesù —• Ho portato tutto; così non mi sbaglio, mamma. Non me ne intendo, io, di aghi. Giuseppe —■ Sicuro, non è roba da ragazzi. Maria —• Grazie, Gesù. Gesù — Vado per il latte. Maria — Va’, figlio mio. Ma non correre per la strada. Vai pure piano. Gesù — Ho il mio libro di preghiere, leggerò. Maria — Ecco, bravo. Gesù — Addio, mamma. Addio, padre. Maria e Giuseppe — Addio figlio. (Pausa. Lo osservano mentre si allontana). Maria — Come se fatto grande il nostro figliolo. Giuseppe —• Non lo si riconosce più. Maria — Ma l’animo è sempre lo stesso. E dire che ce lo volevano uccidere! Ricordate quando sia mo dovuti scappare in Egitto? Giuseppe — Se ne fatta di strada, su quell’asino... e quanti paesi. Ma tutto ciò è lontano, ormai. Non pensiamoci più, Maria. Maria —■ Non dimenticherò mai lo spavento che ho provato quella volta. Giuseppe —- Via, via, non c’è più nulla da te mere per Lui, adesso. La vita è ritornata normale. Lavoriamo e nessuno ci dà noia. Abbiamo un fi glio modello, ben educato e affettuoso. Un figliolo come tutti gli altri. Maria — Meno i difetti. Giuseppe — Naturalmente. Nemmeno uno, ne ha. Ma volevo dire, con questo, che è tornato ad es sere il figlio d’un falegname, che non riceve più visite di pastori, di re e d’angeli, che nessuno gli fa più regali come a un sultano; insomma, che è ritornato alla sua vera condizione. A parte nostra cugina Elisabetta, a nessuno passa più per la mente il segreto meraviglioso della sua nascita. E Lui, lo sa? Maria —• Non ne parliamo mai... (Pausa) Non è affatto superbo. Potrebbe vantarsi d’essere più vir tuoso, più intelligente degli altri... di saperne più dei genitori, e invece non ha pensiero che per noi. Ascolta attentamente i nostri insegnamenti, come se fossimo noi ad istruirlo in qualche cosa. Giuseppe — Questa è già una prova di saggezza. Maria —• Talvolta mi sbalordisce. Giuseppe — Chissà che cosa vuol farne il buon Dio; è probabile ch’io non viva abbastanza per sa perlo. Ci penso spesso. Maria — Cerchiamo di non fare previsioni. Ac cettiamo semplicemente ciò che Dio ci offre. Tre cuori che si conoscono e che si amano, nella pace HENRI GHEON e nel lavoro, e che - in verità - non fanno che un cuore solo. Dio protegga il nostro figliolo così come! Sia falegnamé, metta su bottega del suo e possa chiuderci gli occhi in questa nostra casa! Giuseppe — Hai ragione, Maria. Non pretendia mo di più. (Sta per uscire, poi cambia idea) Do un colpo di pialla a questa tavola. Dobbiamo fare un lungo viaggio e non bisogna affaticarsi troppo. (Esegue, canticchiando) « E’ nato il Divino Fanciullo... ». Ecco fatto!... Vado a cambiarmi. (Via. Maria esa mina i panni che ha rammendato, raccoglie la roba, si alza e si guarda attorno). Maria — Che pace! Che dolcezza! La salvazione sulla Terra. Ecco: forse si tratta semplicemente di questo. (Via anche lei). Melchiorre (leggendo) —- « I pellegrini di Naza reth si trovarono dunque a Gerusalemme in occa sione della Pasqua. Il tempo era magnifico, i fiori sbocciavano da per tutto. Con il permesso dei geni tori, Gesù camminava avanti, coi ragazzi della sua età, ed ammirava con essi la primavera del creato. Allorché ebbero compiuto ciò che dovevano fare, presero la via del ritorno. Ma fu allora che Giu seppe e Maria improvvisamente si accorsero che Gesù non li seguiva». (Entrano da destra Maria e Giuseppe, in compagnia di una vecchia vicina - Sara - vestiti da pellegrini: paniere, fagotto, bastone). Maria (disperata, rivolta a dei pellegrini invisibili) — Non avete veduto il bambino? Non l’avete ve duto, voi, il bambino? No? E voi neppure? Dov’è? Dove sarà! Giuseppe — Non bisogna disperarsi, Maria. Maria — Dio lo protegge, certamente, ma... La vicina — Ma sicuro! Fate come se non dovesse tornare più! Ci raggiungerà: ha buone gambe. S’è fermato a fare schiamazzo, è chiaro come il sole. Maria —• Fare schiamazzo, Gesù! La vicina — E perché no? E’ un bambino spe ciale? Non parlatemi di figlioli!... Come gli si al lenta un po’ le redini... vogliono veder tutto e saper tutto. Ci pensate? In una città! Con le botteghe, le vetrine, le carovane, i soldati e tutti quei diver timenti che ci sono!... Sarà andato al cinematografo, senza avvertirvi... Non avrà potuto resistere... E’ un ragazzo. Maria — Oh, vi assicuro, vicina... La vicina — Eh! Perché resta tutto tranquillo a casa, e vi fa le commissioni e lavora con suo padre... E poi? Non li si conosce mai, i propri figli... Dicon sempre ciò che si vuole intendere. A tutto il resto ci pensano loro: andate un po’ a capirci qualcosa. Maria — Non ci ha mai dato preoccupazioni. La vicina — Ve ne darà, non abbiate paura. Giuseppe — Dovrà cambiare di molto, per darcene. La vicina — Cambierà anche lui, come cambiano tutti. Quando muta la voce, la malizia si sveglia... L’ometto si accorge di vivere, e scappa fuori il vero carattere. E’ un’età ingrata, la sua: occorre che vi rassegniate, mia cara. Un bel mattino, all’improv viso, ci si trova davanti un monello matricolato. Maria — Ma non sono tutti così... Io, del mio sono certa che... La vicina — Oh, le mamme sono tutte eguali. Sono tutte convinte d’aver messo al mondo qual cosa d’eccezionale. Maria — Oh, voi non sapete! Lui... La vicina — Lui?... Via! Io, alla mia età, ho del l’esperienza; col tempo ne converrete. Giuseppe — Lasciate dire, Maria. Maria —• Infine... basta ch’io lo ami... e che sia il mio figliolo. Ma dovè? Dove sarà? Giuseppe — Ritorniamo a Gerusalemme e non perdiamoci d’animo. Maria — Che sia andato sotto qualcosa? La vicina — E’ facile; sono così distratti... Pensano a chissà che cosa quando attraversano la strada... Se non s’è rotto che un braccio od una gamba, gli servirà di lezione. Giuseppe — Ma siete proprio consolante! Maria (uscendo) — Non avete visto Gesù?... Non l’avete veduto?... Un ragazzino alto con dei riccioli biondi... No? Nemmeno voi? (Se allontanata) Ren detemi il mio figliolo, Signore! (Son tutti usciti). Melchiorre — « Nel frattempo i Dottori discute vano nel Tempio. E poiché non si trovavano d’ac cordo tra di loro, molta gente si fermava ad ascol tarli. Trattavano argomenti così elevati, che sarebbe difficile riferirne. Ve n’erano due soprattutto, par ticolarmente accaniti a contraddirsi, e proprio per ché erano i più saggi, o tali si reputavano ». (Sale sul palco) Il più vecchio - sarò io - camminava su e giù, grattandosi la testa e lisciandosi la barba, come se potesse trarne ogni volta un nuovo argo mento. (Agli altri) Il mio berretto, per favore. (Una mano glielo passa e lui se lo mette) L’altro, quello più giovane, lasciava il suo scanno, faceva un passo e poi ritornava a sedersi, come se lo tormentasse il prurito d’aver ragione. (A quest’ultime parole Gio- safatte, acconciato buffonescamente con Una barba e con una toga, è salito sul palco con uno sgabello in mano; s’è seduto, s’è rialzato, s’è tornato a sedere con crescente agitazione). Giosafatte — Voi converrete, Zadoch, che la pro fezia non è chiara. (Agli altri invisibili) Che ne dite voi, Natham? E voi, Jehu?... Melchiorre — Una profezia non è una profezia, mio caro Baruch, se non la si può interpretare in tanti modi diversi. La potete rendere più o meno oscura, a piacer vostro. Giosafatte — Chiamo a testimoni tutti i nostri colleghi. E’ scritto nel libro d’Isaia : « Popolo di Sion, ecco: il Signore verrà per salvare i Popoli». Melchiorre — «Ad salvandum gentes»... ce «gentes». Io traduco i Gentili. Oppure i Pagani. (Agli altri) Non è così? Giosafatte — Zadoch, voi bestemmiate. La vostra interpretazione è del tutto ingiuriosa. Perché di popoli eletti non ce ne che uno... Il nostro; di conseguenza, un solo popolo da salvare. (Gli altri) Approvate? Melchiorre — « Gentes » è al plurale. Giosafatte — Perché il popolo in questione è com posto di più uomini. Allora, secondo voi, il popolo ebreo non ha da attendere alcuna salvazione? Melchiorre — Non dico questo. A maggior ra gione il popolo ebreo... Ma anche gli altri... Ed è di quelli che parla Isaia. Giosafatte — Io non ammetto che Iddio salvi gli altri! (A questo punto Gesù appare, avanza, fa un gesto). Giosafatte -— Che vuoi, ragazzo? La sacrestia è laggiù in fondo. Gesù — Non è la sacrestia che cerco; volevo dire che, secondo me... Giosafatte — Secondo lui!... Gesù — I popoli sono tutti eguali davanti a Dio. Giosafatte — Oh, ma no! Melchiorre — No! No!... Su questo punto sono con voi, collega... Io insisto per il popolo eletto. Sarà favorito per primo. Se gli altri popoli accat tano le briciole, tanto meglio per loro... e questo prova... Gesù — Le briciole? Ma non ci pensi nemmeno! Ce secondo me... Giosafatte — Secondo lui., secondo lui... Gesù — Nei granai del Padre v’è frumento suf ficiente per distribuire pane a tutti i popoli, suoi figli. Melchiorre — Ma di che s’impiccia costui? Giosafatte — Esci di qui, ragazzo! Va’ sui ban chi di scuola a imparare l’abbicidì della legge di Mosè! I Dottori che seggono al Tempio vi sono per impartire lezioni, non per riceverne. Gesù — Io ho molto rispetto per i Dottori, signori; ma quando si sbaglia si sbaglia. L’uomo è fallibile. Giosafatte —■ Fallibile... fallibile... Gesù — Voglio dire: soggetto a sbagliare. Il pec cato di Adamo lo ha minorato, anche nella sua intelligenza. Melchiorre — Questo è vero! Gesù —• Perché fu un peccato d’orgoglio, contro 'lo spirito. Giosafatte — Dove diavolo ha trovato ciò che dice, questo moccioso? Gesù — E l’orgoglio acceca lo spirito degli uomini. Melchiorre — Benissimo, ragazzo. Giosafatte — Ah! No, se voi lo lasciate dire... NATALE IN PIAZZA (.Alzandosi) Si metta qui, allora! Si segga sul mio scanno! Gli cedo il posto. Melchiorre — Calmatevi, calmatevi, Baruch... Si son veduti dei fanciulli prodigio... ricordatevi di David... Giosafatte — Ma lui non è David. Melchiorre (presentandogli uno sgabello) — Sie diti qui, ragazzo, e dicci quanto sai. Gesù — M i vergognerei, signori. Io non sono che un fanciullo. Melchiorre (sottovoce a Giosafatte) — Ce ne stiamo accorgendo. (Forte) Anzitutto, chi sei? Gesù — Il figlio d’un falegname, e aiuto mio padre. Giosafatte — Il figlio d’un falegname!... Di quale paese sei? Gesù — Di Nazareth. Sono venuto a Gerusalemme per la Pasqua, con mio padre e con mia madre. Giosafatte — Di Nazareth? Si dice - tu senza dubbio lo sai - che non n’esce nulla di buono. Gesù — Si dice, signore. Giosafatte — Che età hai? Gesù — Dodici anni. Melchiorre — Chi ti ha istruito? Gesù —; Mio padre. Giosafatte — Il falegname? (Ride. Gesù non risponde). Melchiorre — Poiché noi parlavamo del Messia, di colui che verrà, quale sarebbe a questo propo sito la tua opinione? Gesù — Non ho alcuna opinione; non so niente, io. Basta leggere i libri. Giosafatte — E tu li hai letti, i libri? Li capisci, tu, i libri? Gesù — Faccio del mio meglio. Giosafatte — Che cosa dicono di lui? Gesù — Che sarà eccelso tra gli uomini, e che gli uomini lo accoglieranno male. Giosafatte — Però “ lui ” li salverà? Gesù — Naturalmente. Forse, se essi lo riceves sero bene, non li potrebbe salvare. Almeno, i Pro feti ci dicono ch’egli non ha intenzione di salvarli a questo modo. Sarà necessario che venga disprez zato, umiliato, percosso e forse peggio... E’ neces sario che soffra... Giosafatte — I Profeti non hanno detto questo. Melchiorre — Sì, qualcosa di simile... Ma il ragazzo esagera. Gesù — Consultate David, Isaia... Giobbe che è la figura di Cristo... e v’è anche Giona.. Ma ciò sarebbe troppo lungo da spiegare. Giosafatte — Va bene... va bene... Egli parla a casaccio... Confonde una cosa con l’altra. Melchiorre — Strano! Chi gli ha cacciato in testa tutte queste cose? Giosafatte — Ma suo padre! HENRI GHEON Gesù (meditando) —- Mio padre. Giosafatte (alzandosi) — Buona sera!... Non mi sento di rimanere ad ascoltare oltre... Un monello di dodici anni che ne sa più dei Dottori... (Agli altri) Ah, non dite una parola, voi?... Restate tutti a bocca aperta? Rimanete pure; io me ne vado. (Via). Melchiorre — Qual è, secondo te, il maggior peccato? Gesù — Il rifiuto, che nasce dall’orgoglio. (Lunga 'pausa. Melchiorre va su e giù. Poi, misterioso). Melchiorre — Dimmi ancora, figliolo. I Profeti precisano l’epoca in cui Egli dovrà venire? Gesù — Chi? Melchiorre — Il Messia. Gesù — Non la precisano. Ma consigliano di vigi lare. Bisogna attenderlo ad ogni ora del giorno e della notte, come dovesse battere alla porta da un istante all’altro. E bisogna serbare sempre un po’ di fuoco sotto la cenere, per accendere la lampada quando egli giungerà. Melchiorre — E che cosa significa questo fuoco sotto la cenere? Gesù — L’amore di Dio e del prossimo. Melchiorre — E, secondo te, chi è il prossimo? Gesù — Tutti gli uomini. (Più infantile) Sappia che ciò ch’io so, non è cosa d’alta scienza. Melchiorre — No, forse... ma non conta, se è la verità! Noi non abbiamo mai insegnato queste cose... Pure, bisognerebbe dirle... (Avvicinandoglisi) T i ringrazio e ti abbraccio, fanciullo caro. (Verso la fine del dialogo' erano sopraggiunti Giuseppe e Maria. Hanno veduto ed ascoltato, l’emozione li vince. Quando Gesù discende dallo scanno e ab braccia Melchiorre, essi accorrono). Maria —• Figlio mio!... Figlio mio!... Gesù — Mamma! (Abbraccia Maria e Giuseppe). Melchiorre — E’ vostro figlio? E’ avanti, per la sua età. Va a scuola da molto tempo? Maria — Da due anni. Giuseppe — Ma lavora a casa... Deve fare un po’ di pratica... per diventare falegname. E’ ve nuto qui da solo? Melchiorre — Da solo. S’è intromesso nelle no stre discussioni, cosa che nessun fanciullo ha saputo fare. Quello che diceva ci ha interessato e lo ab biamo tenuto qui. Eravate preoccupati per lui? Giuseppe — Sì, signore... E’ il nostro unico figliolo. Melchiorre — Allora, non bisogna perderlo d’oc chio. I miei colleghi ve lo diranno: ci ha sba lorditi... e istruiti, forse. Non potrebbe rimanere a Gerusalemme? Andrebbe avanti negli studi e... Maria —- Oh, no, signore! E’ ancora troppo pic cino... Melchiorre — Allora, addio. Anzi, chissà, arri vederci... (S’inchina e s’allontana, ma ascolta ciò che verrà detto). Giuseppe — Non t’avevamo detto che saremmo ripartiti, ragazzaccio? Perché darci questa pena? Tua madre ed io ti cercavamo angosciati. Gesù — Perché mi cercavate? Maria (stupefatta) — Perché? Gesù — Non sapevate ch’io devo attendere agli interessi del Padre mio? Melchiorre (ritornando) — Che vuol dire? Maria — Nulla... nulla, signore... Voi non... E’ già tanto se lo comprendiamo noi... Bisogna cono scerlo, ecco, per capirlo... (Melchiorre fa un segno vago e s’allontana). Melchiorre — Buonasera. (Riprende il suo posto di lettore). Gesù — Adesso sono con voi, mamma. Maria — Non ci lascerai più? (Gesù non risponde. Allora Maria e Giuseppe escono. Gesù li segue. Maria s’appoggia a Giuseppe e singhiozza). Melchiorre (leggendo) — « Maria comprese allora che il suo figliolo aveva un dovere al di sopra di lei e che l’avrebbe abbandonata ancora». Sara (sopravvenendo e mutando tono) — Via, can tate: Maria, Giuseppe, Mercedes, Giosafatte!... (Li riconduce in scena) Il vostro piccolo Gesù, il vostro piccolo Brano è sempre là... L’avete ritrovato, lo avete ancora con voi. Ci sarà tempo per piangere più tardi... Cantate, danzate! (AZ pubblico) E voi tutti, in chiesa! (Campane). Melchiorre (grave, alzandosi) — Suona la Messa. ' All’ultimo rintocco di mezzanotte, il Bambino sarà nato... sul serio. G li a ltr i — Sul serio. Melchiorre — Questa non è che una povera storia che noi abbiamo cercato di rendere piace vole, una sera d’inverno, per divertire la gente sem plice come voi. Se v’ha fatto portar pazienza sino al momento d’entrare nella realtà vivente della Natività e dell’Infanzia di Nostro Signore, ha esaudito il suo compito. Ringraziateci, buona gente! Giosafatte — La gallina è perdonata. Facciamo la colletta. Melchiorre — La gallina è perdonata, ma niente colletta, Giosafatte. (Forte) Viva Gesù Bambino, re dei re, signore degli Imperi, imperatore di tutti gli uomini di buona volontà! Non si sa donde veniamo... T u tti — Benvenuto Gesù... Benvenuto Gesù... * Tutti 1 diritti riservati V E N T I A N N I D A L L A M O R T E D I P I R A N D E L L O ■ GIRGENTI - 18 GIUGNO 1867 ■ ROMA - IO DICEMBRE 1936 1876: il bambino Luigi Pirandello, che qui sopra è con la madre Caterina Picei Gransitto c le sorelle Lina ed Anna, compie nove anni. Luigi era nato in anticipo per un forte spavento della madre nel rivedere suo marito Stefano dopo un attacco di colera, che tuttavia 10 aveva risparmiato. Don Stefano, nel 1862, faceva parte dei carabinieri genovesi di Aspromonte. La casupola diroccata è il “ Caos ” dove Luigi nacque. Pubblichiamo, dopo questa sequenza fotografica, una poesia del Maestro, dal titolo “ Ritorno ”, molto significativa per questa casa che egli amò e ricordò sempre. Don Stefano, appaltatore di miniere di zolfo, avviò Luigi alla scuola tecnica, ma il ragazzo a sua insaputa, passò agli studi classici. Nel 1890 era studente a Bonn, in Germania; era già stato alPUniversità di Roma nel 1888. Sposò Antonietta Porto lano (fotografia al centro) nel 1893; aveva già scritto le sue prime poesie “ Pasqua di Gea ” ed era lettore all’Università di Bonn. 11 Luigi Pirandello con il largo cappello è del 1908; aveva già scritto il romanzo “ L’esclusa ”, molte novelle e, soprattutto, “ II fu Mattia Pascal ”. Seguiamolo nel suo primo studio di Roma: siamo nel 1895 anno di nascita del primo figlio, Stefano. Lietta è nata nel 1897 e Fausto (oggi celebre pittore) nel 1899. Dopo la nascita di Fausto, la resistenza nervosa della moglie incominciò a mancare, ed ebbe un colpo definitivo all’annuncio, da parte di Don Stefano, del crollo dei propri affari (ancora indichiamo la poesia “ Ritorno ”). Fu allora che Pirandello si vide costretto a trarre guadagno da quanto andava scrivendo. Ma poiché era anche “ professore” insegnò a scuola o privatamente. Per insistenza di Angelo Musco (foto in mezzo) scrisse in tre giorni “ Pen saci Giacomino”. Si appassionò al teatro e lo amò profondamento tutta la vita; fu il miglior amico di Ruggero Roggeri — che Io interpretò mirabilmente in molte opere — e di tale fraternità di affetto fanno fede le lettere inedito che abbiamo pubblicato nel fascicolo 227 del settembre 1955. 1923: ecco Luigi Pirandello, già celebre, a Parigi, per la prima di iC Sei personaggi in cerca d’autore In tre anni, quest’opera grandissima, aveva già raggiunto i principali palcoscenici delle maggiori capitali, aveva interessato registi come Jouvet, Pitoef, t’opeau, ecc. Tre anni sono pochi per sbalordire il mondo, se si pensa che a Roma, al Teatro Valle, la sera della prima, noi presenti, era accaduto qualche cosa di molto simile ad una sommossa. Il putiferio, è la brutta parola, incominciò dalla platea, serpeggiò tra i palchi ed infine se ne impossessò il loggione che fu tremendo e spietato. Mai dimenticheremo il volto pallido e disfatto del Maestro, che non temeva per se, ma per la sua figlia Lietta che era anch’essa spettatrice, in mezzo a quel disordine. La polizia allora non aveva la celere. Perchè esistevano, per fortuna e naturalmente, due fazioni: gli scandalizzati e gli entu siasti. K poiché tra questi ultimi erano Orio Vergani. Remigio Paone, Renato Perugia e noi stessi, come moltissimi altri, autori, giornalisti, artisti, simpatizzanti, la lotta diventò un corpo a corpo, scavalcando le file di poltrone, agguantandoci per trascinarci fuori Nelle quattro ultime foto qui sopra. Pirandello è con Dario Niccodemi, nel 1924. alla prova di ‘‘Ciascuno a suo modo"’; seguono: il celebre litratto di Primo Conti ed il Maestro nel piccolo studio di oscuro insegnante ed in quello di cele bre commediografo. Scriveva a macchina con un dito perchè la lentezza lo aiutava a “ comporre ” cioè a riflettere. Non copiava: creava. i, gli uni contro gli altri. Le contumelie e gli applausi rivolti a Pirandello ero, ad un certo punto, l’atmosfera di una vera battaglia. Non si sa quella rappresentazione finisse, ma ricordiamo Pirandello e sua figlia lei teatro (pressati sempre con maggiore violenza dalla stupida folla) a di una carrozza che non si trovava, mentre gli scalmanati più violenti ino insulti c lanciavano monetine in segno di disprezzo contro il Maestro, oscenico è ormai diventato la sua vita: nell’atteggiamento della seconda 1 Maestro insegna agli attori alle prove di “ Lazzaro ” in Compagnia di Melato. Ormai è celebre in tutto il mondo: è l’autore più discusso c tentato. Lo fanno Accademico d’Italia, gli danno il Premio Nobel, ed rno da Stoccolma noi stessi fotografammo il brevetto e la medaglia ibblichiamo. Nella foto piccola è il suo volto di quei giorni; nell’altra ìccola a margine, Pirandello è con la grande scrittrice svedese S. Lagerlof. iaca^/a' aaaiaaa a/aa/zCa aa/. a '¿Ss a/a asa/a/a / / a 1930-1936: questo ò il periodo della vita del Maestro più legato al nostro cuore perchè eravamo familiarmente vicini, anche per lunghi periodi. Marta Abha era già la sua interprete preziosa ed ideale. Siamo a Carnai ore, dove ora è morto Rosso di San Secondo che fu una creatura di Pirandello ed il Maestro lo iniziò al teatro, per quanto avesse già scritto “ Marionette ”. Nella foto piccola: Marta Abba ascolta la commedia “ Trovarsi” la cui protagonista ha nome Donata in omaggio a Donata Ridenti, ora scomparsa. Siamo alla fine: la foto con la nipotina sulle ginocchia l’abbiamo fatta noi, a Roma, nei giorni precedenti la sua morte. Nelle altro due foto: la famiglia di Stefano e Stefano con l’anfora greca con tenente le ceneri del grande suo Padre. ^5*** ^ •'A'4*' Avvolta. t M i* J ^ j * U C\ -V-» «V, tv w C. * —*~oO * £/*-c t ¿+. ^Jn^Wwvo C^- . ¿VC'VV ¿ 'iti* ^ £„ h^i/CesLc e-r AU w* . / _ je-ceeeJ* . U r^iei^mUeD «CuC ^ 'ravvisi. -t ou ' t« v^A-A< A- ^ ^ *<2- Arv-t^o. iAc ¿n-u 1. Hi-t-d ’eZc^o &Ux. faej-o ■ / - ¿ iu A » ='-—?<) ** , - a _ _ /,y Jt , A » * , ^ U . -&Ì*, ¿W- r* A V 5tA / ^ O^U.’ C^eAi*. ì-ì-pwAo de A- i W j •-£ cety-o*. __ to ¿^-aÀ i. -roy-v-f’t-y-lx. C-4^rOt CftiyyC* Coi vhoJ-oLyo- -¿Xyyy-g* Sy. (C O ^ L c .A . ¿cJo- - oUJL P-r-dr. a. l i y-c-Pi -oc. a. c (Co-yo ¿-O-yyeta : (? Vt-n-iJx. a. ¿Osv-* n-ec-cy. «Aa. X «A. 'yi^<\SLA- / < L - c ^ < y z - - ~ - G - Cxf-l-Jc. otc t-vtJLo Q- , e—y-o-uv. J l , -fc-v-L-» -<-*> " O-fr-Cy, tK-yty&Cy> f -ylx- „ ’ e. ro-cy-C" ' c, 1- . 'V'.C-i. t-ec-y 'C '&■ T-C cw -4-VtrO. / s> . * ■ f /_ -¿-^A ^4- ^ j -~n UsU- U^xyJ^. » ¿L 'jsVjuti^jU- 1 ydfi-bo ^L/g ¿Xas- rfyisL&SL-vC*- f \ir^CL V ¿>ic- *A- y^Vv-v-c^t. 'yr**- ^ Cx^9ti ^k/. S^GyO- J 'ùyU^ uno- diffusa form a mentale nell’affrontare i bivi dell’ esistenza quo tidiana. Se non ponessimo mente a questa fondamentale circo stanza che sta alla base della sua elaborazione creativa, i l suo linguaggio ci parrebbe oggi come incomprensibile, cif rato per una allusività a tendenze e a modi che allora non solo erano nella normalità delle cose, ma divenivano prediletti, quasi come un vizio. Per Rosso di San Secondo g li antecedenti letterari sono fa cili, immediati: Verga, D ’Annunzio, Pirandello, Maeterlinck, We- dekind; rielaborati in modo cronistico, secondo una minore divul gazione, attenta agli accenti quotidiani dell’epoca, non per un dovere di cronaca ma per la moda di una frase o di un atteg giamento. Un gradino p iù sotto, troviamo i romanzi erotici a grande tiratura. Se quella era letteratura di consumo, questo è teatro di sfogo, nel patetico quotidiano, in un moìido che si svin colava dalle norme che ora sembravano pregiudizi, per affrontare le esigente della vita, giungere a sospirare l ’esaudimento dei p ro p ri desideri. L a stagione di Rosso di San Secondo fu breve : dagli anni della prim a guerra, agli anni in cui si affermava i l fascismo. Legata a Pirandello che sosteneva con vigore la sua drammaturgia presso Talli, a T a lli che la inscenava talora dubitosamente, ma sempre con cura e intelligenza ; g li anni in cui rifulgevano le sorelle Gramática, in cui debut tava Tatiana Pavlova, g li anni della V ita intensa e della V ita operosa dì Massimo Bontempelli. U n’intera generazione che abbracciava convinta g li «slogans » di rinno vamento e di giovinezza del fascismo, sistemandosi poi adeguatamente nella società da esso creata, trovando in questa affermazione sia un termine agli sfoghi patetica mente umorìstici della gioventù, disorientata dai massacri della guerra e dalle malattie del corpo sociale, sìa un ritrovato senso egemonico, nutrito, attraverso legittime ipo crisie, dalla possibilità di soddisfare i «penchants » nascosti, di cui prim a si era trac ciato i l diario. Naturalmente, per un logico contrappasso del destino, questo significò per molti anche Vinaridimento, l ’incertezza e Ia freddezza dell’ espressione, finché non sì fossero resi conto dell’ « impasse » tragico. Rosso di San Secondo lavorò ancora assiduamente a romanzi, a drammi, cercando anche, di spostare i l suo asse espressivo nell’evolversi dei tempi, senza riuscirvi. L a consonanza col tempo, quindi con la scena, g li era ormai sfuggita di mano. M aturò anche i suoi propositi e i l suo stile, ma non servì, co?ne non servì la sua esperienza dei molti anni vissuti nel Nord-Europa. M an mano si andarono aggravando i l suo distacco dalla tempestività artìstica, e assieme le sue condizioni di salute, le difficoltà quotidiane della vita. Quale accoglienza riserverebbe oggi i l pubblico ai suoi drammi m igliori ? I l documento di un’epoca — e, diciamo pure, del suo tormento, dei suoi «chagrins domestiques »— potrebbe superare l ’artificiosità dell’atteggiamento, l ’intima friv o lità che sono rac chiuse nei suoi personaggi? Sarebbe interessante vederne la prova sul palcoscenico, anche se costituirebbe indubbiamente un rischio. Vjto i.a„,i,(ìlì i d e a l e i n t e r p r e t e R i c o m p o s i z i o n e s e n s i b i l e d ’ u n a Io non so se nel respiro d’una vita p iù larga ed astrale, io abbia sognato la form a d’una pulsante costellazione capace d i rendere — m uovendosi nel cobalto — tu tto lo spirito della creazione; oppure se l ’abbia in realtà io stesso conosciuta ed animata una tale stellare interprete del cosmo, in quel tem po della mia vita in cui, essenza libera nei g ia rd in i dell’etere, non sapevo ancora la m ortificante industria dell’arte terrestre, per la quale è necessario che il soffio dei sentim enti si costringa nelle conchiglie sonore delle parole se v u o l essere avvertito dagli uom in i, in d u riti tra le brighe dei g io rn i num e rati, e incapaci, la m aggior parte, d i ricordarsi dell’antica patria celeste. N é io stesso, in verità, per filo e per segno me ne rico rd o ; né so precisa- mente rid ire la trem ula letizia delle vele im palpabili lu ngo la via lattea, la porpurea gioia del navigare ai m argini della Stella del N o rd ; ove non sia il barbaglio d’una im m agine terrestre, un guizzo, un b rivid o , un sussulto, a ridestarm i al gaudio della prim a vita, e, in una spirituale allucinazione, discoprirm i sullo specchio velato dell’esistenza carnale, g li squarci più rifu lg e n ti della m ia essenza m emore ed eterna. In questa essenza, per un m ero gioco dei corpi e delle om bre della realtà sensibile, e press’a poco come se inseguissi tra un boschivo variar d i fronde il ricordo vago d i una im m agine già contem plata e in sé perfetta, così colsi, ora in un baleno ora in un altro, e questo e quell’aspetto particolare d i una interezza pura e rifulgente goduta prim a d i questa vita in piena coscienza ed ora viva solo come angoscia nostalgica dell’anima, im possibile perciò da fis sare in una form a conclusa dall’intelletto se non traverso una ricom posizione ideale, distillata dall’acume rig id o d’una selezione di elementi non arbitraria ma fatale tra le innum erevoli rappresentazioni fo rn ite dal m ondo materiale. Poiché la vera sostanza dell’arte è precisamente da ricercarsi nello spasimo solitario del genio creatore, il quale, non potendo come D io esprime in assoluto l ’urgenza della sua passione interiore e creare dal nulla, deve neces sariamente curvare il suo furo re a ll’osservazione paziente d’ogni spigolo della realtà, affinché essa g li presti, con l ’im m agine, il mezzo sensibile d’esprimere l ’u ltra sensibile d i cui egli ha memoria, e che lo rende, sulla terra, una d iv in ità m artoriata dalla prigionia della carne. A questo m odo, travagliandom i per chiudere nel fin ito la nostalgia del celeste in fin ito , io non p u r ricom posi per assaggi e rip ro ve il m io strazio d i m ortale memore nella form a concreta dell’arte; ma più volte tentai d i riassumere in una figura ideale, — v o g lio dire non sperimentabile, ma al pari dell’arte concreta perché ben determinata dal pensiero — anche la sagoma spirituale della interprete, affinché il circolo espressivo, dalla natività dell’opera sino al rito della com u nicazione fosse chiuso; idealmente alm eno! N è m i trattenne alla soglia del tentativo il dubbio sulla vanità dello sforzo, che, al contrario, s’avvalorò tanto in me l ’ardore della im m aginazione, quanto più la volontà fu costretta ad agguerrirsi nel cim ento contro le insidie dell’astratto, facile a scintillare nella incandescenza fatua dell’a rb itrio , nello svetrìo affascinante ma vano d ’una dialettica iridata. Così difficile è, in fa tti, cogliere tra g l’interstizi della realtà cotidiana, bruta e massiccia, le form e delle realtà superiori, più aeree certamente o meno tan g ib ili, ma non per questo men vere delle altre, anzi più vere, ed anzi le sole vere in quanto in esse soltanto può aver senso lo sbriciolìo vario e inconclusivo della vita elementare; e parim enti difficile, ed anzi p iù difficile, è, avendo co lti i baleni di tali verità essenziali, non equi vocarle con altre, o accettar con esse, senza avvedersene, com m istioni di elementi, rib rilla n ti in apparenza al pari di quelle, ma, nella sostanza, im p u ri e m enzogneri! Spasimi di controllo, che soltanto la sensibilità pronta ed acuta dell’arte può sostenere senza offuscamenti, la quale sensibilità del resto, è, per converso, l ’unico strom ento concesso agli u o m in i per il discernim ento del vero inde- fenibile dal falso astratto. In pratica, è questa la ragione per la quale non d i rado l ’in vo lu cro batraceo che in luogo di epiderm ide riveste la sedentarietà sonnacchiosa dello spet tatore, scambia per vero eterno la vacuità del congegno retorico e giudica fum isteria inafferrabile il giuoco disperato dell’arte che traverso il sensibile im pegna le sue forze ad aprir squarci d’illum inazione nel buio m isterioso dello inesplorato. G li è che l ’occhio gonfio e roto ndo del batrace, benché spalancato come una lanterna ed anche se fo rn ito di lenti, manca d i ogni acume d i pupilla e non batte cig lio dinnanzi allo scoccar delle saette; come il sacco ru vid o che riveste il gravame dei suoi entragnosi lo preserva da quei sussulti e da quei b riv id i, per i quali soltanto è possibile il controllo tra il canto filato d’un usignolo vero e i gargarism i sofistici d’un usignolo meccanico. O r io (paia anche questo un giuoco allegorico per esprimere una interezza non riscontrabile nella realtà) in tu ì l ’im m agine della perfetta interprete p ro p rio per b riv id i e per sussulti, una notte d i lu g lio , in cui l ’aria respirabile pareva esulata dalla crosta terrestre alle sfere superne, lasciando sul selciato ferrig no della città, per le vie e le piazze vuote, alla bocca nera dei vico li, tra i palazzi afosi come acciaio, la dilatazione panica delle grandi attese, la sospensione delle ore ferme, in cui l ’oscillazione di nessun pendolo del m ondo par che possa più smuovere l ’ingranaggio incantato del tempo, e lo spazio non ha più senso, né hanno più senso le pure in tu iz io n i per le quali il nostro spirito ha potuto attingere ve rtici di tregua fra lo spaventoso travaglio dei « perché ». Erà, perciò, nel silenzio notturn o, ogni brusìo, ogni sgocciolio, ogni cadenza come l ’in d izio d’una vacuità incontrollabile dall’in te lle tto ; l ’avvertim ento d’u n ’alta im m o b ilità la quale sarebbe rimasta im passibile anche dinnanzi alla possibilità d’un im provviso sgretolìo della materia nel nulla. A g li occhi levati al cielo, il cobalto com unicava il senso dell’aridità, avendovi le stelle il palpito allarm ato delle fiamme che non si sa se stiano per spegnersi o deb bano destare d’un tratto un enorme incendio. Le strie lum inose delle meteore cadenti, non p u r il vuoto pareva traversassero, ma il m io sangue stesso che m i pulsava entro le vene e le arterie con la pesantezza rovente del m etallo fuso: così anche il mare — scoperto allo sboccare sugli a lti bastioni ancora nella notte arrabbiati d i sole — si frangeva contro le scogliere e i m uraglioni del p o rto con rib o llim e n ti fo sfo rici: m entre al largo chiazze oleose dai m ar g in i perversamente iridescenti, sm entivan la natura ininfiam m abile dell’acqua, per rivelarla pronta alla m icidiale volatilizzazione di un gas infiam m abile. Per la prim a volta io la v id i allora, dopo averla veduta tante vo lte ; vo g lio dire che la industre a ttività del m io spirito aveva sino a quel m om ento ela borato in una meticolosa osservazione la femminea consistenza della sua natura animale, discoprendone una in fin ita serie d i enigm atici particolari, senza riuscire ancora, come in uno scoppio igneo di chimica trascendente, a fondere i m olteplici elementi dedotti, nelle giuste dosi per una ricom po sizione d’una interezza al tu tto metafisica e spettralmente ideale. A ve vo notato, ad esempio, l ’innesto presso che vegetale delle falangi delle dita, e delle dita del palm o; la diaccia im perm eabilità della sua epiderm ide bianca come il germ oglio senza clorofilla, la fissità rilucente della sua pupilla, sim ile a quella delle bestie p iù misteriose, dalla testuggine al serpente; e anche avevo colto il b riv id o elettrico chiuso in un coiai ib rid o sviluppo di elementi acri d i naturalità in un essere um ano, odorando la sua essenza vitale d’un afrore in cui l ’irrita b ilità delle papille riconosceva l ’acredine p ri m igenia della miscela da cui ebbe origine il m ondo. P oi che rientravam o dai bastioni nel dedalo delle strade, aperte tra le case come tra il m acigno, ella correva in uno stretto tacchettìo che risuonava come in un deserto d i pietra; si ferm ava ansando; riprendeva la corsa in altra direzione; ma sulla punta dei piedi, ora, sorvolando e frullando come se mettesse le elitre; e, come l ’o rlo delle elitre, i lem bi della sua veste ave vano sprazzi e incandescenze a ogn i v o lo quasi si bruciassero. Si rincantuc ciava sotto l ’antica pietra d’un basso arco scolpito, riparava all’om bra d ’una cariatide, sfuggiva da un colonnato ai gradini d’una chiesa, con un fu ro r d’ubbriachezza sim ile a quello che esagita l ’uccello n o ttu rn o capitato in un luogo chiuso e illu m inato. R icordavo il m io te rro r d i fanciullo, una notte d’agosto tanti anni prim a, sorpreso su un lib ro d ’avventure sinistre da un im p ro vviso starnazzar d ’ali in uno stanzone alto di campagna, nel quale il m io lettuccio d i collegiale in vacanza in un angolo pareva il giocattolo m inuscolo d’una m am m ina d i dieci anni così bianco lucente e leggero che una gazza se lo sarebbe portato via nel becco come un gioiello. Era, invece, una grossa civetta allucinata di luna che piom bava dalla finestra aperta nel vacuo silenzio della casa, per im pazzire ai riflessi rossicci della m ia candela e dei m iei occhi divenuti forse ro to n d i come i suoi così a tte rriti e ferm i da comunicare il terrore e costringere alla im m o b ilità la stessa bestia che, in breve, aggrappandosi a una ruga del soffitto, rim aneva come ipnotizzata a fissarmi, senza poter p iù distogliere lo sguardo e il palpito dallo sguardo m io e dal palpito m io, quasi che nel circolo elettrico del nostro tre m ito il lento sgocciolio dei m in u ti avesse dovu to spalancare abissi paurosi nella compattezza ermetica della notte. Egualmente, ora, tra le masse im penetra b ili dei palazzi sprangati, rim anevam o, io e lei, nelle soste della corsa, a filare un anello m agnetico, che, per un tratto, ci polarizzava ogni molecola in una tensione accomunatrice delle nostre vite, la quale, tuttavia, era tra t tenuta da una forza eguale e contraria capace d i paralizzarci in una im m o b ilità sospesa e allarmata m isurata solo dal rim bom bo cupo dei due cuori. Una lo tta disperata; tanto più aspra e decisiva, quanto meno dichiarata e in ogni sua fase inespressa. Pareva che, prim a d ’ogni balzo, ella tentasse, con un batter lesto d i palpebra, lo spazio, per tro v a rv i una fessura libera per la quale riuscire ad un respiro di quiete, fu o r dell’oppressione. D a ogni lato, parim enti, la preveniva il m io sguardo; ed era come se cento fluide correnti le precludessero ogni passaggio. A llo ra la sua palpebra non tentava p iù suggerirle alcuna diversione; scomparsa sotto l ’arco dell’occhiaia senza ciglia come quella d ’un rettile, lasciava che un bagliore sanguigno circon dasse, come un alone, il rancore furente della pupilla, che s’avventava, per riprese d’intensità, in fio tti capaci d’incenerire. L ’assalto minacciava, ogni volta, la saldezza delle mie radici. Sentivo che, senza la inarcata previdenza d i tutte le m ie risorse v ita li, ne sarei stato schiantato; che, ad eguagliare il m io sforzo, trad otto in va lo ri m ateriali, non sarebbe bastato quello di un torero senza spada, costretto ad abbattere la prepotenza cervicale della bestia, tant’era il panico con cui il trem ito della tensione spirituale, giunta all’apice, m i com unicava il senso alternativo della vita e della m orte, della v itto ria e della disfatta. Sentivo vibrare nell’aria, come espressa dal m etallo, l ’onda della m ia volontà creatrice, e, di converso, cedere a poco a poco finalmente la resistenza dell’altra volontà. M i pareva allora d i effondere in estensione quanto avevo utilizzato in intensità; quasi ad avvolgere, con pronta avarizia, la forza naturale assoggettata, senza farne sfuggire un sol b riv id o . E poiché essa non aveva ceduto con lo scricchiolante dirom persi delle fibre bestiali, né s’era come al circo abbattuta con la pesan tezza della massa inerte, e, piuttosto, rinunziando ad una libertà senza form a, s’ era rassegnata ad una d u ttilità dolorosa, l ’industria dell’arte, ravvivandola premurosamente con un a lito d i fuoco, le preparava tu tt’in to rn o tante form e cave d i vita definita per quante im m agini eran balenate al genio creatore, in m odo che la dedizione d i le i v i scorresse ancora incandescente a colmarle, ed essa, nel nuovo palpito, trovasse compenso alla rinunzia iniziale. D ifa tti, stanca e ripiegata, m i parve boccheggiasse presso una fontana ina ridita. Si trascinò lungo l ’inferriata d’un giardino pubblico. S’inginocchiò alla base d ’un m onum ento, e rimase ad ansimare, senza voler levare g li occhi e guardarm i. Io attesi, paziente, im m obile, lavorando. A ll’alba solamente poté innalzare lo sguardo per fissarmi senza rancore. E fu i pronto. La vestii d i tante vesti diverse, ed ella fuggì felice per la città che si animava. S . / / / / / y y / r t a La pittrice Renata Surbone, ha recentemente esposto alla piccola galleria Osiride di Torino, un certo numero dei suoi disegni, tra quelli di grande impegno di Colombotto Rosso e i dipinti di Tonarelli. La tecnica dei disegni della Surbone è, perlomeno, personalissima: le figure appartengono ad un mondo fantastico, ma in ognuna di esse si scopre una umanità sofferta, scavata, intima. Tra le molte figure ci ha colpiti il ritratto di Eduardo De Filippo, che riproduciamo. Sotto il disegno, una significativa quanto laconica dicitura: «Omaggio a Eduardo ». Abbiamo domandato all9artista come mai, lei così lontana dal teatro, avesse pensato a Eduardo, raffigurandolo con tanta intensità di emozione; ha risposto: «Nel volto di quel l’attore io vedo tutti i suoi personaggi ; nessuno di essi ride mai, anche se il pubblico si diverte. Eduardo ritorna sempre sulla punta del mio pennino sottilissimo, quando disegno, anche se cambio fisionomia alle figure. E’ la sua sofferenza per gli esseri umani che mi ha colpito e mi fa amare grandemente l’arte di questo attore ». L E R A G A Z Z E B R U C I A T E V E R D I COMMEDIA IN TRE ATTI E TRE QUADRI DI PERSONE B ANTONIO GERATTI La voce di sua moglie MARCELLA, NADIA GREGORIC FRANCO TARASCA LELLO ME SC HI ARI La signora MASTROPAOLO OTTAVIANO MASTROPAOLO CRISTINELLA La cameriera GINO Il commissario Lo scritturale Il primo agente di polizia, in borghese Il secondo agente di polizia, in borghese Il piantone di polizia, in divisa La signora MARIOTTI MIMMA LILIANA La prima ragazza La seconda ragazza maresciallo a riposo malata in altra stanza loro figlia, bella e nemmeno ventunenne giovane profuga polesana il cronista praticante il ragazzo con soldi fidanzato a Marcella la signora distinta . e poco pulita il ragioniere, suo marito loro bambina, di sei o sette anni dei Mastropaolo, friulana finta stupida l’anziano e ricco industriale milanese madre dell’assassinata la generica bruna che fa la vita la biondina che fa la vita della casa d’appunta menti, che non parla della casa d’appunta menti, che non parla Al Festival del Teatro a Venezia, nel 1948, fu pre scelto, perché vincitore del Concorso Nazionale in detto dalla Presidenza del Consiglio, il dramma in tre atti di Gian Paolo Callegari Cristo ha ucciso. A quel tempo, col vivissimo successo dell’opera — non soltanto in Italia, ma anche a Parigi e Londra — fu messo in evidenza il significato che il singolare scrittore aveva voluto dare al suo dramma e noi scrivemmo nel fascicolo che precedette la pubblica zione: «A questo punto (al momento cioè di accet tare Vopera di Callegari) nasce il teatro neorealista; un teatro che dalla realtà sa cogliere i problemi e non le sole apparenze, che dall*eccezionale, dal caso limite, trae significato e quindi insegnamento, affatto contentandosi della morbosità o dell*amarezza che la mera enunciazione di un caso può suscitare ». Per que sta nuova commedia del medesimo autore, non a caso abbiamo trascritto quel giudizio, anche se otto anni sono passati. Il lettore giudicherà da sé; noi lo ab biamo già fatto, dal momento che pubblichiamo la commedia, inedita. Pure Papera è stata già attenta mente vagliata in quanto è la prima tra le premiate al Premio Teatrale Marzotto 1956, dai cui giudici, come è risaputo, non è stato ritenuto valido alcun autore, su 170 concorrenti; quindi, il premio stesso non assegnato. Ma trecentomila lire sono state ugual mente distribuite agli autori di cinque commedie, ritenuti dai giudici stessi non indegni: Callegari, Dursi, Levi, Massa, Sarazani. Aggiungiamo per il lettore che Cristo ha ucciso fu pubblicato nel fascicolo di «Dramma» n. 72 del 1° no vembre 1948 e che la rappresentazione avvenne, come s*è detto, al Teatro La Fenice di Venezia, con la regìa di Guido Salvini e con trentadue attori, tra i quali ricordiamo i principali: Andreina Pagnani, Renzo Ricci, Vittorio Gassman, Rina Morelli, Èva Magni, Lilla Brignone, Paolo Stoppa, Carlo Ninchi, Germana Paolieri, Mario Feliciani. L’AZIONE A ROMA: EPOCA PRESENTE GIAN PAOLO C ALLEGA RI A T T O P R IM O Ultimo piano di una vecchia casa piccolo-borghese. La stanza è insieme cucina e camera da pranza. A sinistra in angolo, il lavandino e il fornello, sepa rati dal resto con una tenda a fiori, attualmente aperta; qualcosa sta scaldando sid fornello acceso; piatti sporchi sono dentro al lavandino e tegami puliti sono appesi sopra fi fornello. A sinistra, ac canto alla tenda, la porta ,della stanza di Marcella è chiusa. Ancora a sinistra, verso il proscenio, l’ini zio di un brevissimo corridoio che reca alla porta d’ingresso. A destra, di fronte alla camera di Mar cella, è la porta della stanza del pensionante, Franco Tarasca, il cronista. Di faccia al corridoio d'in gresso è la porta - mezza aperta in fuori - della stanza dove sta in letto malata la madre di Mar cella. Sul fondo, aperta, la finestra lunga che porta al balconcino sul quale s’intravvede, oltre a cielo, tetti e biancheria stesa, il casotto del gabinetto come in molte case stravecchie. Una gabbia con due canarini è appesa accanto alla finestra; alle sbarre della gabbia sono infilate foglie d’insalata e pani di miglio. Della biancheria lavata è stesa alta sul balconcino. Il tavolo di mezzo porta un centro di pizzo sul quale è un vasetto con alcune rose già appassite. Quattro sedie di legno chiaro sono attorno al tavolo. Una credenza dello stesso povero stile del tavolo sta a destra fra le due porte, sor montata da alcuni ninnoli di finta ceramica e di alabastro; sopra sono appesi un vecchio ritratto di famiglia e l’effige di mia Madonna. Due stanche oleografie con scene di « Otello » e di « Aida » sono appese alla parete di fronte, mentre nel tratto fra il lavandino e i canarini, al di sopra di una specie di « étagère » carica di libri e di riviste, appaiono incollate sul muro grandi fotografìe a colori rita gliate da riviste: la Monroe, la Lollobrigida, Gre gory Fedi, Robert Mitchum, Bob Taylor, ecc., Sulla « étagère » è anche una radio scassata. Una sedia a straio, dalla tela scolorita, sta in mezzo* alla stanza. Un apparecchio telefonico è posato sulla credenza. La stanza è in disordine. La radio è aperta, suona un ballabile in sordina. (Marcella, vestita soltanto di una vestaglia rosa sco lorita, si sta a dare lo smalto rosso alle unghie di un piede, posato sul bordo della sedia a sdraio. Marcella è una ragazza di circa venti anni, molto bella e vistosa; ma ne dimostra di più. Sembra seccata). La voce della Mastropaol'o (dalla stanza aperta a destra) — Ahi! Ahi! Faccia più piano, la prego! (Marcella si volta ad ascoltare con tono un po’ preoccupato. Intanto suona il telefono. Marcella posa il pennellino dello smalto e, appoggiando sol tanto il calcagna del piede nudo per non guastare lo smalto fresco, si avvicina al telefono, lo solleva). M arcella —■ Sì... sì... casa Geratti... la cura cinese, precisamente! Non ha niente a che vedere con il fungo cinese, se ha letto il giornale... Il giornale di ieri, dirà... Come ha detto?... marchesa Serponi, ho. capito... Scusi, attenda un momento!... (M.arcella posa il telefono, si avvicina alla porta mezza aperta e parla da fuori senza entrare) Un’altra per. la cura cinese, la marchesa Serponi! Chiede quando può venire. La voce della madre — Quando vuole. Tanto 10 purtroppo sono sempre qui. M arcella — Sono io che non posso stare sempre qui a scocciarmi in attesa di questa clientela. La voce di G eratti — Se la cosa funziona, faremo un orario con i suoi turni e resterò anch’io. M arcella —• Ordine del giorno, picchetto e guar dia! Ho capito, maresciallo! La voce della madre — Cosa dice che ha? M arcella — Chi ha capito? Dice il tricipite... Beh, ci penso io! (Marcella si muove, torna al telefono, mentre di nuovo dalla stanza si ode la voce lamentosa della Mastropaolo). La voce della Mastropaolo — Ahi! Ecco qui, proprio a questo punto! Ahi! M arcella — Pronto, marchesa! La signora Ge ratti può riceverla domani dopo pranzo dalle tre alle quattro... Capisco, ma ha molti impegni... Non saprei dirle, perché sono soltanto la segretaria e la infermiera, che se ne intende, sta dentro in seduta con lei... Credo... Si curano lombaggini, sciatiche, nevralgie, torcicolli... Va bene! Buongiorno! (Mar cella posa il telefono, si ferma ancora, posando sol tanto il tallone nudo a terra, nel mezzo della stanza per dire forte verso la porta della madre) Domani fra le tre e le quattro si fa portare in macchina. Parla difficile e importante, come i tipi che hanno la grana. (Alla porta si affaccia il padre, Geratti, un uomo anziano e asciutto dall’aria stanca e rasse gnata. E’ in panciotto e senza giacca). G eratti —■ Se comincia a venire parecchia gente, bisogna tenere la casa più pulita. Si deve vedere che in ogni angolo si trovano piatti unti, le tue sottovesti sporche, l’insalata per i canarini? M arcella —- Se la Cina fiorisce, conviene pren dere la serva. E a te farti la barba tutti i giorni e metterti il camice da infermiere. (Marcella ride. 11 padre le fa segno col dito di tacere e rientra nella stanza in punta dì piedi. Marcella accosta la porta della madre, poi si avvicina a sinistra alla porta della propria stanza e la schiude con cautela. Appare altrettanto cauta una ragazza graziosa di circa ventiquattro anni, vestita con semplicità ma con gusto: è Nadia, l’amica di Marcella. Ha l’aria preoccupata e di chi ha sofferto: Parlano sottovoce, con gli occhi alla porta della madre di Marcella) Se vuoi filare via è il momento buono. Mia madre e la Mastropaolo sono occupate con gli spilli, ora. Nadia — Volevo parlarti prima. Sei sicura che la Mastropaolo non mi ha vista quando è entrata? M arcella —■ Sicurissima. Nadia —• E quando ti ha riconosciuta? M arcella —■ Dovevi vedere la faccia! A me mi ha preso un colpo, qui con mio padre e mia madre. M i sono detta: quella ora viene di persona, invece di telefonare, come siamo d’accordo. Sudavo freddo. Invece è venuta per gli spilli, la cura cinese. Nadia — Ha la sciatica da un pezzo. Mi ricordo che lo disse anche in mia presenza ad un genovese che viene una volta al mese... Dammi un po’ d’acqua! (Marcella va a riempire un bicchiere al lavandino). M arcella (porgendo da bere a Nadia che beve con ristoro) —• Ci siamo parlate come se non ci fossimo mai conosciute. Non immaginava certo che la signora della cura con gli spilli era mia madre... Nadia — La Mastropaolo « gaffes » non ne fa. Ho imparato a conoscerla. M arcella — Che ne sapevo io? Anche la cura cinese ci voleva! Nadia —• Ho letto ieri sul giornale l’articolo su tua madre e gli spilli. M arcella — Speriamo che mia madre impari a farsi pagare. Lei è tutta per la poesia e l’umanità, dice lei. La voce della madre (dalla stanza chiusa) -—- Marcella! Marcella! Porta lo spillone che hai messo a bollire sul fuoco! M arcella (va al fornello, toglie un tegamino che vi è sopra; spegne il fuoco e toglie dall’acqua fu mante uno spillone da cappelli che vi è dentro a bollire. Si scotta, si soffia sulle dita. Con lo spillone in mano prende un giornale nascosto sotto la men sola e lo porge a Nadia) — Qui c’è anche una foto grafia della Mariotti. Dice il giornale che le sue amiche farebbero bene a presentarsi alla polizia. (Nadia prende il giornale. Marcella le fa segno di rientrare nella stanza di sinistra e Nadia esegue. Subito entra dalla stanza della madre il signor Geratti). G eratti —• Che ci vuole per bollire uno spillone? M arcella (glielo porge) —■ Non mi sono accorta che il gas s’era spento. G eratti — Aperto e spento! Sta attenta. C’è da morire asfissiati. M arcella — Con la finestra spalancata? G eratti — Con le tubazioni guaste nelle strade, a Milano sono morti anche quelli senza gas. LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI M arcella —■ Ma lascia perdere! Leggili almeno bene tutti i tuoi giornali. GERArrr (le rende h spillone) •—■ Portalo te. Io non posso entrare. La signora sta spogliandosi per farsi pungere sui fianchi. M arcella -—• Bello spettacolo! (Fa una risata ed entra nella stanza della madre con lo spillone, riac costando la porta. Il padre va a frugare nella cre denza, prende fuori un piatto di cavoli conditi e si mette a mangiarli in piedi. La radio, che ha fino ad ora trasmesso musica, cambia argomento). La voce della RADro — « Ci colleghiamo con il Palazzo del Ghiaccio di Milano per trasmettere rin contro di Hockey fra le nazionali d’Italia e di Danimarca. La trasmissione è offerta dal calzaturi ficio Saturnia Prima. Calzate Saturnia Prima e camminerete sul velluto! Calzate Saturnia Prima ed i vostri passi saranno alati come quelli di Mercurio! ». La voce della madre (forte dalla stanza socchiusa) —• Spegni la radio! (Geratti posa il piatto e si avvicina alla radio). La voce della radio — « Ricordate! Saturnia Prima, il primo calzaturificio! Saturnia Pr... » (Spe gnendo l'apparecchio la trasmissione s’interrompe. Il padre rimette a posto il piatto dei cavoli, mentre una voce chiama dal cortile). La voce — Geratti! Maresciallo Geratti! (Geratti prende un cestello appeso ad una fune arrotolata e va al balcone, lo cala già. Si schiude appena la stanza di Marcella dalla quale cautamente si affaccia Nadia che subito si ritrae e chiude la porta. Intanto il maresciallo ritira il cestino che ha lasciato sul bal cone togliendone una busta, la posta per la quale il portiere aveva chiamato. Rientra dal balcone aprendo la lettera: siede al tavolo e legge pensie roso. I canarini cominciano a cantare nella gab bietta. Marcella rientra dalla stanza della madre, riprende a darsi lo smalto alle unghie dei piedi senza guardare il padre). G eratti — A che ora vai a lavorare? M arcella — Alle cinque. Faccio un’ora di più. questa sera, per l’inventario. G eratti — Leggi questa lettera. (Marcella si volta seccata) E’ del cavalier Saltarini. M arcella — E che me ne frega a me? G eratti —• Bella coscienza, con i sacrifici che si fanno per te! Saltarini avverte che non rinnova la cambiale. Già mi è arrivato l’avviso della banca. M arcella (prende la lettera e la scorre) — Tu, che vai a metterti nelle mani di uno strozzino come Saltarini. Trentamila di capitale e diciotto di in teressi. G eratti — Con quello che si ha da rispondere, credi che i soldi si trovino in banca? Bella grazia GIAN PAOLO C ALLEGA RI averli avuti a strozzo. Se fosse per l’aiuto che dai tu... M arcella — Non do in casa la paga? Vorrai che mi tenga diecimila lire al mese per le calze, le sigarette e i filobus. Certe ragazze la loro paga se la mettono tutta addosso. GERATTr —• Quelle che hanno i genitori che la vorano. M arcella — Potresti arrangiarti un po’ meglio anche te, è il solito discorso che sai. G eratti — Non è facile trovare dei posti. La contabilità della ditta Malfei è un lavoro mica male. Poi la pensione... M arcella — E allora che ti lamenti? Che cerchi da me? Il fatto sta che voi, quando andate in pen sione, restate con le manie del grado in testa e non sapete fare nulla. I gradi e le divise non contano più, al giorno d’oggi. Lo capisci? Ma a voi basta lucidarvi tre volte al giorno le scarpe per fare buona figura. G eratti (si alza in piedi) — Certe cose ai miei genitori non le avrei mai dette. M arcella — Perché non avranno fatto davanti a te le figure che tu fai davanti a me! Se fosse per voi, andrei in giro con le scarpe rotte. G eratti — Con la testa a posto, saresti ora alla università invece che a fare la commessa. M arcella — Bell’affare una professoressa! LTn’al- tra morta di fame di impiegata statale, magari con gli occhiali. G eratti — Ti ha dato in testa l’elezione a miss Nettuno. Ho sentito ieri alla radio il discorso di un monsignore sui concorsi di bellezza; diceva che questo nostro è il secolo del demonio e che la virtù... M arcella (lo interrompe) — ...Intanto, proprio di miss Nettuno si è innamorato Lello, io, una com messa, e lui con tante lire da annegarci una balena. G eratti — Io sto ancora a vedere. Con tutte queste belle cose, con tutto il suo danaro, non mi fido che ti sposi. Invece Giannino avrebbe fatto le cose subito. M arcella — Bel fiorellino, il ragioniere della di rezione d’artiglieria! Se devo sposarmi come a far la serva senza stipendio, preferisco restare ragazza. Lello invece ha la Studebaker, i camerieri in giubba bianca e lire, caro mio, lire, dollari, sterline per mezza Europa con i cascami della macellazione. G eratti —■ Tutti i giorni hai in bocca i cascami della macellazione e le ricchezze di quel giovanotto come fossero tuoi. E pensare che non sono nem meno suoi, ma di suo padre e che se suo padre è un uomo con la testa a posto, chissà come la pensa di voi due! (Marcella fa una risata in faccia al padre e riprende a smaltarsi le unghie. Il padre le viene davanti) Tanto per incominciare, questo mese la rata della radio non la pago e lascio che vengano a portarsela via! M arcella (insorgendo) —■ La radio è mia. La rata va pagata! G eratti — Tu la pagherai. Io non l’ascolto mai e quando l’apro tu vuoi cambiare stazione. Poi c’è il telefono. Lo hai voluto tu, io ne faccio a meno. La bolletta è di seimila lire. M arcella — Ora il telefono serve per il lavoro di mamma. G eratti (con una risata amara) — Non mi illudo che la cura degli spilli renda nemmeno le spese del telefono. M arcella — Le pagherà l’inquilino. G eratti — Ci avete messo il lucchetto perché non l’adoperi. M arcella — Pagherò io radio e telefono, ma in casa questo mese non do nulla. Devo pensare anche al corredo. Che figura faccio con Lello, quando viene, a mostrare sempre stesi ad asciugare quel paio di reggiseni e quegli slip da quattro soldi sul terrazzino, come la bandiera della mia miseria? Voi non lo capite che la storia di Cenerentola ai ragazzi d’oggi non fa né caldo né freddo. (Suona il telefono. Geratti risponde svogliato). G eratti — Casa Geratti!... Sissignore!... Prego, prego... anche reumatismi, certamente... E’ una cura che risale alla dinastia dei Min... I Min erano antichi imperatori cinesi, regnarono molti secoli avanti Cristo... C’è tutto sul giornale di ieri... Non lo ha letto?... Ah, una sua amica!... Se le interessa può andare alla redazione; le copie arretrate si pa gano cinquanta lire... La diarrea non credo, e nem meno Tinfiammazione alle ovaie... Le pare!... Tutti i giorni, anche domani... Ossequi! (Rimette giù il telefono). M arcella — Mille spiegazioni, tutta la storia ci nese, ma di soldi non parlate. Secondo me si do vrebbe mettere la tariffa: mille lire a visita. Anche Tarasca lo ha detto e lui col giornale certe cose le sa; dobbiamo profittare subito della pubblicità che ci ha fatto. G eratti — Mille lire sono una esagerazione. Ai miei tempi, quando stavo al 40°, prendevo seicento- diciotto lire al mese e arrivavo a tutto... Mille lire, per quattro punzecchiature di spillo... (Si apre la prima porta a destra, entra un giovane in canottiera e pantaloni del pigiama; ha gli zoccoli di legno da spiaggia e i capelli in disordine. E’ un ragazzo prestante, vivo, simpatico: Franco Tarasca, gior nalista). Franco (intervenendo) — ...mille lire per me è un prezzo giusto! (Gerattì gli fa cenno di parlare piano accennando alla stanza dove la Mastropaolo è sotto gli spilli. Franco segiùta sommesso) ...Il prezzo sostenuto aumenta il prestigio, seleziona la clientela, qualifica il professionista... M arcella — Se non ci mettono dentro per pro fessione abusiva di medico! Franco — In un caso di questo genere scateno una campagna di stampa... Mi sembra che l’ar ticolo funzioni. Gerattì — Siamo già alla terza visita. Ce di là una signora con la sciatica. Franco — Le telefonate di stamattina non mi hanno lasciato chiudere occhio e dopo una intera nottata al giornale non è certo una paradiso. M arcella — Colpa sua. Se non scriveva l’articolo su mia madre... Gerattì — Le dobbiamo essere proprio grati, in vece... Marcella — ...se la signora Geratti saprà farsi pagare, altrimenti metteremo in conto a lei le spese di gas per bollire gli spilli! (Franco fa una risata e ancora Geratti gli fa segno di silenzio. Franco esce sul terrazzino dove è il gabinetto). G eratti (rivolgendosi alla figlia) — Perché non provi a chiedere un acconto sulla pigione a Franco? M arcella — Quale acconto? E’ già in anticipo di un mese. G eratti — E chiedere un acconto sulla tua me sata al negozio? M arcella — Ti ho già detto di no. Se ci riprovo perdo il posto. G eratti — Potrei venire a parlare io. Un padre è sempre più ascoltato. M arcella —■ Non ti arrischiare nemmeno per sogno. Conosco quel rospo del mio principale... (Geratti non risponde, fa due passi per la stanza, poi va a guardare i canarini in gabbia. Marcella sì rigira verso di lui con tono diffidente) Non ti verrà per caso l’idea di piombarmi al negozio? G eratti — Io so una cosa sola, che devo pagare la cambiale a Saltarini. (Marcella si accosta al padre, gli passa una mano sulla spalla). M arcella — Senti. Purché finisca questo pianto greco, provo a chiedere un acconto al principale e vediamo come va. Ma piantala! (Gli dà un col- petto sulla nuca e si rigira fischiettando< per ria prire la radio: si ode un ballabile. Il padre rilegge la lettera, mentre Marcella fa da sola un passo di danza. Rientra dal terrazzino Franco). Franco •— Sapete dove sta il successo? Nel fatto che la cura è cinese. Anche i paesi vanno secondo la moda. Un poco costuma tutto quello che è americano. Poi va la Francia, ma la Francia è già passata. Ora, dai con la Cina. Ci sono le foto di LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Ciu-En-Lai che ride freddo; c’è la storia del fungo cinese per tutti i mali viscerali; e noi abbiamo tirato fuori la cura cinese con gli spilli per i reumi e sciatiche. G eratti — E’ una cosa vera, mi creda. Franco — Stia tranquillo. Se ho scritto l’articolo è perché ci credo o sono disposto a fingere di credere. M arcella — Il dottor Salpicucci, quello che l’ha insegnata a mamma, è stato in Cina vent’anni. G eratti — Mi dimenticai di dirle che Salpicucci vide un paralitico camminare dopo tre mesi di punzecchiature sotto le dita dei piedi. Poteva met tere anche questo sul giornale. Franco — Potrei fare un’intervista a questo dottor Salpicucci. M arcella — Sta a Genova, ora. Metta piuttosto una foto di mamma sul giornale. Franco — Ha ripreso a tutto vapore il caso Ma- riotti e al giornale non sentono altro. G eratti —■ Povera ragazza, quella Edda Mariotti! Si dovrebbe tornare alla fucilazione per certi de litti; anzi alla forca, come in Austria. Franco (avviandosi alla propria stanza, si rivolge a Marcella) — M i mette al fuoco un po’ d’acqua per la barba, signorina Marcella? M arcella — Subito. (Franco rientra nella sua stanza. Marcella riempie un tegamino d’acqua e lo mette sui fornelli. Il padre infilandosi la giacca le viene vicino). G eratti — Segni sempre tutte le barbe? Tua madre ha fissato dieci lire ogni tegame al fuoco. M arcella —• Segna te. Il notes è nel cassetto del tavolo. G eratti (prendendo il notes dal cassetto e facen dovi sopra un tratto di matita copiativa che ha leccato in punta) — Allora parli davvero con il tuo principale? M arcella — Se ti ho detto di sì... G eratti —• Quanto pensi di avere? M arcella — Non farti delle grandi idee. Dieci mila al massimo. G eratti — E come faccio per il resto? M arcella — Devi arrangiarti. Alla ditta Maffei, dove ti spremono come un limone, non hai il co raggio di chiedere un soldo. Chiedi al Maffei e alza la voce... Poi c’è il maggiore Ventura. Non è stato venti anni il tuo superiore? Che mi terine a battesimo a fare se quando c’è il bisogno non scuce? G eratti —- Al signor maggiore non chiederò mai un soldo. Pesterei rosso tutta la vita per la ver gogna. C’è un decoro che non vi sognate nemmeno, quando noi eravamo in servizio... GIAN PAOLO CALLEGARI M arcella — E con decoro sei finito nelle mani degli strozzini e ti sei fatto sequestrare i mobili di casa. Lo ricordi che se non fai opposizione entro il venticinque mettono all’asta questi mobili? G eratti — Non so cosa potrei andare a dire per oppormi... M arcella — Te l’ho già spiegato. Si presta il signor Franco, dice che i mobili sono suoi. Mi sembri un bambino. (Geratti scuote la testa, si avvi cina alla porta della moglie e bussa). La voce della madre (dalla stanza) ■— Sì... sì può entrare. G eratti (mentre Marcella si accende una sigaretta, si volta a dire sommesso) — La scatoletta delle cicche sta sotto il fornello! (Marcella fa un gesto di stizza). M arcella — L’acconto e anche le cicche! (Lo guar da con disprezzo). G eratti — Per la pipa... Che c’è di male? (Esce lentamente con Varia del poveruomo. Marcella posa prima un piede nudo e poi l’altro sulla sedia a sdraio per controllare lo smalto delle unghie. L’acqua sul fuoco va fuori sfriggolando ed ella si rinfila le pan tofole e va a spegnere. Si avvicina alla porta della stanza di Franco). M arcella — Ehi, Franco! L’acqua per la barba bolle! Franco (oltre la porta) — Spenga! Ora ho da fare! M arcella — Sono altre dieci lire... Poi avanzo il filo in tinta per i buchi ai calzini! Franco (sempre oltre la porta) — Pago, pago! Non abbia paura! (Si ode Franco che comincia a battere a macchina). La voce della madre (oltre la porta) — Marcella, accompagna tu la signora! (Marcella si dà un col- petto ai capelli e si avvicina alla porta. In quell'istan te dalla porta della madre esce una bella signora sui trentotto anni, elegante e dignitosa che si ferma sulla porta aperta rivolta all’interno). La signora Mastropaolo — Grazie, signora. Al lora torno sabato. Speriamo che mi faccia bene! La voce della madre — Sentirà subito un van taggio. Con cinque applicazioni dovrebbe guarire. Marcella, chiudi la porta e spegni la radio che devo dormire! Arrivederla! M arcella (chiude la porta, mentre la signora Ma stropaolo si ferma in mezzo alla stanza. Marcella si avvicina alla signora e la guarda con intenzione) — Già da stamattina fanno la fila. La voce si è sparsa. La signora Mastropaolo — M i sono fatta dieci applicazioni di lampada termoelettrica, senza risul tato. Molti consigliano Salsomaggiore... Poi ho letto sul giornale e mi sono detta: proviamo anche que sta. Non credevo... Sono rimasta meravigliata! M arcella — Anch’io... (Paria più piano) Ho altre due foto. Sono più carine delle altre. (Marcella si avicina all’étagère e prende fuori un libro che posa sul tavolo). La signora Mastropaolo — Non qui. Le telefono. (.Marcella le fa un cenno verso la stanza della madre come a dire che non c’è pericolo. Poi sfoglia il libro e prende fuori le due foto che dà alla signora. La Mastropaolo le guarda con cautela). M arcella — Vanno bene, no? La signora Mastropaolo —■ Non si vede il viso. M arcella — Di questo genere, non posso certo metterle in giro a viso scoperto. La signora Mastropaolo —• Il viso ha la sua im portanza. M arcella — Sono fidanzata, io, capisce? (La si gnora Mastropaolo ripone le due foto nella borsetta, riprende il tono di voce normale perché ode rico minciare il ticchettio della macchina da scrivere). La signora Mastropaolo — Se la cura mi fa bene manderò altre amiche. C’è la signora Penna, una collega d’ufficio di mio marito, che da due anni ha un reuma al braccio sinistro e lo muove appena. Se poi facesse bene anche per i mali interni, man derei mezzo mondo. Tutte le mie amiche hanno di sturbi. M i ha capito? E’ il male del giorno, della vita moderna. (Si avvicina ai canarini e li vezzeggia) Carini! pucci pucci... Io ne avevo una coppia bianca. E’ morto il maschio e la femmina s’è lasciata morire di crepacuore. M arcella — Una cosa che nessuna donna farebbe mai al giorno d’oggi! (Ride. La signora Mastropaolo riprende il tono sommesso). La signora Mastropaolo — Anche a viso scoperto non avrebbe nulla da temere. La gente che viene è tutta forestiera. Milano, Genova, Torino... Sa co me sono gli uomini d’affari di lassù, quando pas sano un paio di giorni a Roma trafficando per i ministeri... (La signora si muove per andare, Mar cella la ferma). M arcella — Avrei bisogno di diecimila lire subito. La signora Mastropaolo — Gioia mia, se mi guarda nella borsetta trova soltanto settecento lire. Ho tante spese che non le sogna nemmeno. E' stato il compleanno di Cristina e naturalmente ha voluto la bambola. Dopo domani è l’anniversario della mor te di mio suocero e dobbiamo far dire una messa, almeno per un riguardo agli altri parenti. Poi non le dico quanto costa Cristina in ricostituenti. M arcella —■ Ne ho bisogno per mio padre. Si è messo nei pasticci. La signora Mastropaolo — Ora dovreste andar bene con la cura cinese. M arcella — Mia madre non ci sa fare. Mio padre, da quando lo hanno epurato, non ha combinato più nulla. La signora Mastropaolo — Capisco, è gente al l’antica, senza iniziativa. La vita è difficile. Se non ci fossi io, mi dica, cara, cosa faremmo anche noi con lo stipendio di mio marito. Guardi, forse in serata ci può essere qualcosa di buono. Le telefono. Se non fossi io all’apparecchio, le diranno Anto nietta. M arcella — Badi che fra mezz’ora devo uscire, per forza. (Fa un cenno d’intesa. La signora Mastro- paolo accenna affermativamente e le dà la mano). La signora Mastropaolo (riprendendo il tono nor male di voce) ■—- Cara signorina, molto piacere d’a verla conosciuta. Se la cura di sua mamma mi ri mette a posto, posso dire che ho avuto proprio un miracolo. M arcella (conducendola verso il corridoio d’uscita, ancora in tono sommesso) —- Mi raccomando. Prima non ci siamo mai viste. Qui non immaginano nulla. La signora Mastropaolo — Cara, siamo gente vissuta... Telefonerò! M arcella (entrando nel breve corridoio con la si gnora) —• Ossequi, signora! E molti auguri! (Si ode la ■porta d’uscita aprirsi e poi richiudersi abbastanza forte. Marcella torna al centro della stanza, si guarda attorno e va ad aprire la porta della propria stanza. Ne esce Nadia con la solita borsetta sotto il braccio e il giornale in mano. Va a sedere sulla sedia a sdraio mentre Marcella resta in piedi) Le ho dato le foto grafie nuove di sottomano. Ho bisogno di muovermi, mi serve un sacco di grana. Dice il fotografo che nemmeno Paolina Borghese è come me! Nadia —■ E’ stata prudente almeno, la signora? M arcella — Perfetta! D’altra parte è sempre stata chiusa di là con mia madre a farsi pungere da ogni lato. L’ho vista nuda; è rovinata peggio del foro romano. E non ti dico davanti! Sembra le cascate del Niagara! Nadia -—■ Eppure - dice Lucia che la conosce da dieci anni - è stata sempre a posto, innamorata del marito. Lo fa come una che tiene un bar o una stireria. M arcella — La Mariotti disse una volta a Fre- gene... Nadia (interrompe agitata) — No, no! Non dirmi nulla! (Si lascia andare sulla sedia a sdraio). M arcella — Cosa ti prende? Piai i nervi, oggi? Nadia — L’affare della Mariotti mi ha impressio nata. Ho letto tutti i giornali e non posso levarmela dagli occhi. M arcella — Con i pasticci che aveva lei, sono cose che capitano. Anche Lello dice che capitano. (Rico mincia la macchina da scrivere di Franco). LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Nadia — Ce in casa Tarasca? M arcella — Stai tranquilla. Quando scrive non sente nemmeno le cannonate. E mia madre e mio padre dormono. Piuttosto, stai attenta con Franco. Ti fa la corte e se arriva a piacerti, sei capace di parlare, con il carattere che hai, pieno di debolezze. Nadia -—■ Vuoi che parli? Farei del male a me stes sa, prima di tutto. M arcella (va a ritirare dal terrazzino un paio dì slip stesi ad asciugare e rientra, li posa sul tavolo e, mettendo sul fornello un ferro da stiro, seguita) ■— Che volevi poi? Nadia — Puoi tenermi con te a dormire un paio di notti? Ho detto a casa che partivo per consegnare dei ricami ad una cliente di Temi. M arcella — Hai qualche pasticcio? Nadia -—- Ho avuto una parola con mia madre. E’ meglio che non mi vedano per qualche giorno. M arcella — Puoi restare, se ti aggiusti sulla pol trona della mia camera. Nadia — Non lo devi dire nemmeno a Lello che sono qui. M arcella — Quanti misteri! Non ti capisco più. Bada che Lello ha da venire più tardi. Nadia — Me ne vado prima e torno questa sera. M arcella — Come ti pare! Nadia -—■ LTn’altra cosa. Ho incontrato il tuo prin cipale. M i ha detto di cercarti. M arcella — Se torni questa sera, con i miei non farti capire che non sono più al negozio. Seguito ad uscire all’orario giusto e qui credono che sia ancora da Scarelli. Cosa vuole Scarelli? Nadia -—- Dice che è pronto a perdonarti le due paia di calze di nailon e a riprenderti. Devi andare a parlare con lui, non è un uomo cattivo. M arcella — Lo hai capito come intende per « par lare» lui. Andarci a letto. E’ questo che cerca dal primo giorno e su questo io non ho mollato di un centimetro. M i viene il bruciore di stomaco solo a vederlo, con quella natta sulla fronte come un corno. Meglio gli amici della Mastropaolo che si incon trano una volta e basta. Lui no, lui vorrebbe segui tare per due paia di calze e venticinquemila al mese e non ci si libera più. (Prende il ferro e comincia a stirare gli slip). Nadia -—• Dice però che se non ti spieghi con lui, può denunciarti! M arcella —- Per due paia di calze. Bastava far mele pagare. Ma lui vuole farmi il ricatto. Dovrei andare con lui per compensare un valore di tremila lire. Neanche facessi il giro a Villa Borghese! Nadia — Dice che nell’inventario mancano altre cose, tre combinazioni, due sottovesti e non so che. Circa sedicimila lire. GIAN PAOLO CALLEGARI M arcella —• Digli che mi denunci pure. Cosa può provare? M i denunci e allora parlo anch’io e vado a trovare sua moglie. Digli che si ricordi la Bianchina, la cassiera e il viaggio che fece a Torino per le novità di spiaggia in maggio. Sua moglie ci crede a quel viaggio, ma le dimostrerò io che la gita finì a Viareggio, con la Bianchina. Ce l’ha ancora, l’ha licenziata per non dare all’occhio, ma io so dove si trovano e sua moglie posso farla arri vare a punto giusto. Digli in un orecchio queste cose e vedrai che si calma. (Alza gli slip stirati) Sto facendomi della biancheria «chic». La bian cheria è molto importante. Quest’inverno voglio ar rivare alla pelliccia, magari zampe di persiano a rate. LIscendo con Lello devo fare la mia figura. Nadia — Perché non ti fai aiutare da Lello, invece di stare negli affari... (finisce sottovoce) della Ma- stropaolo? M arcella — Se mi faccio mantenere divento una amante che si può liquidare. Credi che non mi abbia proposto di andare ad abitare nella sua « gar çonnière »? Voglio farmi sposare. (Marcella prende dentro altra biancheria da' stirare). Nadia — Credi che ti sposi davvero? M arcella — C’è un fatto che conta. Si è abituato a me e non è capace di andare più con altre donne. Basta che lo tenga un po’ lontano e lui si attacca di più, come un’ostrica. Volevo che parlasse con mio padre. Il vecchio ha le sue idee e non voleva vederlo davanti alla porta di casa, né mi lasciava uscire di sera. E’ bastata un po’ di manovra e Lello è arrivato su a parlare, con la Studebaker di sotto a far crepare tutti gli inquilini. Nadia — Anch’io mi sposerei. Ma da quando il fidanzato mi è rimasto di là, a Pola, perché aveva le sue idee e non voleva passare in Italia con noi, non m’è capitato più nulla di serio. M arcella — Hai tanti mosconi attorno, carina come sei, che non dovresti trovarti imbrogliata. Cre devo che avessi almeno un amico fisso. Nadia — Non voglio nessuno, ho troppe cose da sistemare, almeno per ora... M arcella (si ferma con il ferro da stiro in alto e guarda Nadia) — E allora, perché fai?... (Le rivolge un cenno d'intesa senza terminare). Nadia — Mia madre e due. sorelle più giovani credi che pesino poco? Ho fatto la generica nel ci nema; si lavora un paio di volte al mese e più o meno va a finire come là! M arcella — La Mariotti la conoscesti nel cinema? Nadia — Sì. Era molto bella, aveva delle illusioni; voleva diventare una diva. (Agitata) Credi che lo trovino l’assassino? M arcella — Io non me ne intendo. Non la ve devo da mesi. Nadia — Sul giornale è scritto che chi sa qualcosa deve presentarsi alla polizia. M arcella — E tu ne sai qualcosa? Conosceva mille uomini quella là! Nadia (ancora più inquieta) — Io non so nulla. La cosa mi ha fatto impressione, soltanto questo. Dicono che aveva il corpo tutto pesto come se l'a vessero finita a calci. A te la presentò Lello? M arcella — A Fregene l’anno scorso. Mi sembrò anche che con Lello facesse la stupida. Io non sono gelosa, ma mi dava ai nervi. C’era anche Fabio. «Dede» qua, « Dede » là... Lei non lo guardava nemmeno. Nadia — Anche... Fabio? (Cambiando tono) Hai visto sul giornale che il suo nome vero era Edda, non Dede. M arcella — Lo sapevo. Edda è un nome che è andato giù di moda. Per me c’è di mezzo la cocaina. Nadia — E i calci, che l’hanno trovata con le ossa rotte e tutta un livido? M arcella — Con la cocaina può capitare tutto. Una volta volevamo farmela provare, ma a questo proprio non ci arrivo. Mi piace vedere e sentire quello che faccio e non trovarmi come una ubriaca. Dede Mariotti, no, a certe cose poteva starci. Era burina e voleva passare per una mezza parigina! Fabio, che si può dire l’ha lanciata lui, dice che era una testa come un uovo bevuto! Sai le uova quando ci si fa il forellino sopra e sotto? Proprio così. E Fabio lo conosci, sai come parla! Nadia (innervosita balza in piedi) —- Io vado. Non vorrei incontrarmi con Lello. Torno verso le nove, se non ti dispiace. M arcella (ridendo) — Hai delle cose per la testa che non capisco. Che ti fa Lello? Ma va! Con le tue sbandate sei proprio il tipo da finire come Dede Mariotti! Nadia (si aggrappa sconvolta a Marcella) —• No! No! Non parlare così! Quel fatto mi ha impressio nata! M arcella — Sei tutta sulle spine come se sapessi qualcosa. Nadia — No, io non so niente. So come te. Era vamo state tutte un po’ nello stesso ambiente. M arcella — E cosa significa questo? Oh, io pro prio non ci penso! (Piomba dentro Franco ancora in canottiera e pantaloni del pigiama). Franco — L’acqua calda per la barba? (Si accorge di Nadia) Oh, « gospodicna » Nadia! Nadia — Gliel’ho detto. Signorina Nadia, non «gospodicna»! Sono italiana e se sto in un campo profughi è perché lo sono; altrimenti sarei rimasta a Pola. Franco — Che italiana nervosa! (A Marcella) L’ac qua calda, allora? M arcella — Io non sono la sua serva. Prima la vuole, poi la lascia freddare ed ora la rivuole. Riac cenda lei il fornello, l’acqua è pronta! Franco (va al fornello ed esegue) — Le pare! Servo suo! Siete tutte e due con i nervi. Non mi ricordavo più dell’acqua, della barba. Devo scrivere sei car telle sul caso Mariotti, la ragazza trovata massacrata sull’autostrada di Ostia, e mi ci perdo. Nadia — Secondo lei l’assassino lo troveranno? Franco — E che ne so? Se lo trovassi io, faccio un colpo da crescere trentamila al mese. Per me si tratta di una « partita » di piacere, come chia mano al giorno d’oggi le orge. Stupefacenti e un sadico. C’è gente che quando fa all’amore ha biso gno di battere, di mordere, di graffiare. I maestri di sadismo sono a Londra. Ci sono i «Teddy boys» che sono giovanottelli vestiti all’antica e profumati i quali vanno in giro soltanto per accoppare qual che ragazza senza togliersi i guanti. Un gioco come un’altro, come il golf e il tennis. No?! Nadia — Senta, signor Franco. Lei certe cose le sa prima di tutti. Me lo dice se ha novità sul caso Mariotti? Franco — Le importa tanto? La conosceva? M arcella (interrompe) — Macché! E’ fissata con le cose poliziesche. Legge sempre i fumetti d’av venture! Non le dia retta! Chi l’ha mai vista? Era brutta, era bella, che ce ne importa a noi? (Ride e rìde anche Nadia). Franco — Era bella. La vidi un paio di volte nella redazione di un giornale a fumetti perché inter pretava un mio fotoromanzo. Quando ho tempo sotto pseudonimo scrivo per i fumetti. Bisogna ar rangiarsi con il mestiere nostro. Noi cronisti siamo sempre al minimo dello stipendio. Nadia (curiosa) — Chi l’aveva portata ai fumetti? M arcella — Ma sai che sei un bel tipo? Sembra che tu sia la polizia e Franco l’assassino di Dede Mariotti! Franco — Come? Dede? M arcella — Sì, Dede. Come dire Edda. Franco —• Era il suo vezzeggiativo? Non c’è sui giornali. E’ sicura che la chiamavano così? Lei la conosceva allora... M arcella (rìdendo) —• Quanto è buffo, lei! Io ho detto Dede come potevo dire Cicci o che so d’al tro! Ah, che siete voi giornalisti! Nadia (rìdendo forzata) — Marcella avrà letto male sul giornale e lei già ci fa sopra la storia come se noi la conoscessimo. Franco (nota il nervosismo delle due ragazze ma cambia discorso) — Senta una cosa seria, Nadia. Ho parlato per lei con uno delle case popolari. Può darsi che in autunno ci sia qualche possibilità. Nadia — Non so cosa darei per venire fuori dal LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI campo profughi. In tre in una mezza stanza, sepa rata da un telo per dividerci dall’altra famiglia. Mi dica, come posso fare? Franco — Se attende che mi faccia la barba, uscia mo insieme e con la « vespa » andiamo da quel mio amico. M arcella (interrompe) — Nadia ora ha da fare; Avete tempo. Anche di p'arlarne perché questa not te dorme da me. Nadia — Sì; è meglio che ne parliamo con calma. Franco — Perché dorme qui, Nadia? M arcella — Oh! E’ una continua inchiesta con lei in casa! Dorme qui perché domattina presto dob biamo andare insieme a prendere una commissione di lavoro qui vicino e Nadia abita lontano. Le va' bene? (Nadia dà la mano a Franco). Nadia (a Marcella) — Arrivederci questa sera. (Si avvia da sola all’uscita). M arcella — Ciao! (Nadia esce, Marcella la guarda dietro e poi viene davanti a Franco che sta togliendo il tegamino d’acqua dal fuoco) Stassera Nadia la lascia in pace con tutte quelle sue domande, capito? Franco — Posso farmi la barba qui? C’è più luce che in camera mia. Di là mi taglio sempre. (Guarda Marcella) Ehilà, cose questa grinta? Se la disturbo, posso tagliarmi la faccia. In Germania, fra gli stu denti, è tornata di moda. M arcella — La barba se la rada qui, sul terrazzo, dove le pare. Ma lasci stare le mie amiche. Glielo ho detto un’altra volta. Non ho piacere che si agiti tanto con le ragazze che vengono da me, special- mente con Nadia. Franco — Nadia? E cose di speciale? M arcella — Nadia è una ragazza seria. Poi ha un monte di guai, deve mantenere la madre e due sorelle giovani. Franco — Non le tolgo certo il pane a farle due complimenti. E mi sembra già nell’età della ragione da non buttarsi a Tevere per un sorriso di un uomo. M arcella — Le ripeto che può andare attorno a chi le pare, fare il comodaccio suo con tutte, ma deve lasciare in pace Nadia. Franco (con una larga risata) — Sa cosa è lei? Mi fa venire in mente una nostra stenografa. Andava sempre insieme ad una collega. Ora questa finì per fidanzarsi e la stenografa da principio disse male del fidanzato, poi cercò di far litigare la coppia, quando non trovò rimedio prese i barbiturici. La salvarono pelo pelo. Si credeva che fosse anche lei innamorata di quel ragazzo; invece no, finì per con fessare che era innamorata della sua amica! (Ride ancora) Lei e Nadia non saranno per caso un fatto simile? M arcella — Giovanotto, per sua regola a me piac ciono gli uomini alti e robusti. Se lei conosce il mio fidanzato, capisce subito i miei gusti. GIAN PAOLO CALLEGARI Frango — Non vuol dire, Marcelli. Ci sono delle ragazze « doublé face » come le stoffe inglesi. Un ragioniere del mio paese mise incinta una ragazza e quando si decise a sposarla ebbe una scenata pub blica da un impiegato di stato civile, proprio in pre senza della sposa. L’impiegato era stato fino allora il suo amante... Sa come i legionari salutavano il grande Cesare? « Salute, o Cesare, amante di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti! ». M arcella — Che voglia di predicare ha lei! Pro prio s’intende che non ha nulla da fare. Io sono ad una faccia sola. Dica pure ad un solo uso. Se le ho detto questo per Nadia, ho le mie ragioni. Franco •— Va bene. Visto che lei è gelosa... Mi posso fare la barba? (Franco rientra nella propria stanza. Marcella mette l’acqua calda in una baci nella che posa sull’étagère accanto alla finestra lun ga. Franco rientra, attacca uno specchietto porta tile alla maniglia della finestra, posa il rasoio accanto alla bacinella e comincia a insaponarsi). M arcella (come ripensando a qualcosa, lo prende per un braccio) •— Lei ha detto che io sarei gelosa? Gelosa di chi? Di lei? Franco — O di Nadia o di me, visto che se la prende tanto calda per il mio interessamento per Nadia. M arcella — Nel primo caso si sbaglia, nel se condo si illude. Si vede tanto bello da far cascare ai suoi piedi, come nespole mature, tutte le donne? Franco (facendosi la barba) — E lei si crede che io la creda la casta Susanna? M arcella — Senta, Franco. Lei sta qui da due mesi e non può dire nulla di me. In camera mia non è riuscito ad entrare, ci siamo capiti. Franco — Fa bene a chiudersi a chiave dentro. Con la esposizione che fa tutto il giorno, dovrei es sere di coccio... M arcella —■ Quando va ad Ostia, come le vede lei le donne? E non salta addosso a tutte. Voi uo mini siete tutti gli stessi. Basta che una si metta un poco in libertà perché vi sentiate subito in di ritto di buttarle le mani sopra. Anche se parlo aperto, anche se vado in giro in sottoveste per casa, lei non può proprio dire niente di me. Sono una ragazza più seria di quello che pare. E sono fidanzata, lo sa pure. Franco (posa il rasoio e con il viso insaponato viene vicino a Marcella) — Fino a che non ho visto que sto fantomatico fidanzato, non ci credo. E’ un vezzo di voi donne darvi per fidanzate, vi credete più interessanti. (La prende per le braccia) Poi questo non vuol dire niente, Marcella. (Tenta di baciarla, sporcandole il viso di sapone. La ragazza in silenzio si svincola. Nel movimento brusco fa cadere il vaso da fiori che è sul tavolo. Il vaso si rompe a terra con fragore). La voce della madre (molto fioca oltre la porta chiusa) —■ Marcella! Marcella, cosa è successo? M arcella (forte) —■ S’è rotto il vaso da fiori. E’ sta to il signor Franco nel farsi la barba! (Marcella schiude appena la porta della madre). Franco —■ Non ci pensi. Ne compero uno nuovo. La voce della madre — Signor Franco, ci sono anche da pagare gli extra del telefono. Franco —■ Le telefonate non le spreco certo. Te nete il lucchetto all’apparecchio perché non si ado peri. M i dia il conto, poi! La voce della madre — Va bene. E non fate chias so. Lasciatemi dormire! (Marcella richiude la porta della madre. Si pulisce il viso dal sapone e si china a raccogliere i cocci del vaso. Franco raccoglie i fiori che si sono sparsi). Franco —■ Questi? M arcella —■ Li butti. Sono secchi. Sono del mio fidanzato. (Franco li butta senza riguardo fuori dal la finestra, mentre Marcella prende uno straccio e si chhta a terra ad asciugare l’acqua versata dal vaso). Una voce (dal cortile) — Ah sbullonati! Chi v’im para a butta la roba in testa alla gente? Ah zozzi! M arcella — Non vedo l’ora di lasciare questa casa. Ci sta un branco di cafoni, di morti di fame. Franco (si china sul pavimento vicino a Marcella) — Se le presa a male? M arcella — Perché mi ha rotto il vaso e mi fa pulire il pavimento? (Franco si rialza, toma allo specchietto per finirsi la barba. Marcella seguita a pulire il pavimento; poi a sua volta si rialza, prende la biancheria stirata e si dirige verso la sua camera a riporla; ma sulla soglia si ferma rivolta a Franco) Butti il vaso rotto. Nella immondezza, non dalla finestra, altrimenti arriva su la portiera. (Entra nella stanza. Franco prende i cocci, li butta nel bidone della immondezza; poi toma a radersi la barba, ora mai finita. Marcella rientra, si stende sulla sedia a sdraio e guarda il giornale lasciato da Nadia) La facevano tanto bella la Mariotti. Per me aveva i fianchi stretti. Franco —■ Chi la faceva bella? M arcella — Il mio fidanzato. (Franco si volta, la osserva, poi va a lavarsi il viso nel lavandino) Voi uomini non capite niente. Quando vi piace una mezza «raspa», tirate fuori il «sex appeal». Franco — Al suo fidanzato piaceva la Mariotti? M arcella —- Così, al volo. Roba da spiaggia. Era lei che gli faceva la gatta attorno. (Franco si avvi cina con l’asciugatoio davanti al viso). Franco — Lui la conosceva, allora. M arcella — Quando un ragazzo ha le macchine che spaccano, conosce tutte le donne. Franco (all'improvviso) — Perché, Marcella, non ha detto in casa che ha lasciato il lavoro? M arcella (alzandosi in piedi inquieta) — Lasciato il lavoro? A lei gira la testa. Vado ora, alle cinque. Franco — Marcella, a me le bugie non le dice. Sono venti giorni che lei non è più alla « Citta di Sondrio ». M arcella — Che si va ad immischiare negli affari miei, lei? Franco — I giornalisti sono fatti per immischiarsi in tutto. M arcella —- Adesso non mi inetta nei pasticci in casa. Ho litigato con il principale. Non dico nulla in casa finché non ho trovato un altro posto. I vec chi si danno pensiero per tutto e mia madre, con il cuore a catafascio, è meglio che sia tenuta tran quilla. Franco —- Io non parlo. Ma vorrei che lei fosse più sincera. M arcella —• Sono forse tutte manovre perché sta dietro a Nadia? (Fingendo) E se io fossi un po’ ge losa? Franco — Marcellina, lei è una donna e mezza, tanto ci sa fare! M arcella — Sono pungente a tratti, ma non mi creda tutta a ’sto modo. Poi lei è stato gentile con noi. L’articolo sulla cura degli spilli sta mandando qui parecchia gente e col tempo saranno soldi. Franco —■ Anche a me gli articoli li pagano. Quin di l’affare è pure mio. M arcella (gli viene vicino, gentile, gli guarda il viso) — Anche questa volta si è tagliato... Attenda, ho lo spirito. (Prende da un tiretto della credenza una bottiglietta, bagna di alcool la cocca dell’asciu gamano e comincia a tamponare una goccia di san gue sul viso di Franco. Nel movimento con negli genza lascia che la vestaglia si apra scoprendola al quanto) E stia fermo! Come faccio se ha il ballo di San Vito? (Si appressa ancora più a lui, premen dosi contro il suo petto. Franco le cinge le spalle e la bacia. Marcella lascia fare e poi si stacca lenta mente) Ora basta. Sarà contento! Racconti anche lei che si è innamorato di me. Franco — Non sono innamorato. Sei tu che pro vochi dal modo come stai. M arcella (gli dà un buffetto sul viso) — Allora starò vestita in casa come una monaca perché il si gnorino non si senta provocato. Ora basta, Franco. Che figura ci farei con i miei? Poi sono innamo rata del mio fidanzato. Franco •—■ Quando me lo farai conoscere, ti dirò se vale la pena. M arcella — Non glielo farò mai conoscere. (Squilla il telefono, Marcella si avvicina per ri spondere). LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Franco — La cura cinese. M arcella (a Franco) — Forse. E’ tutto il giorno che squilla. (Al telefono)... Pronto!... Casa Ge rani!... Come ha detto?... Antonietta?... Va bene, signora Antonietta!... Alle cinque e mezza precise! Va bene! Arrivederla! (Posa l’apparecchio). Franco —■ Se tu esci, dovrà alzarsi tuo padre. Non posso stare io a ricevere quelli della cura cinese. M arcella — Non è una cliente che viene. E’ un appuntamento per me, fuori. Se il telefono suona, lasci fare. Tanto mia madre non si alza... Davvero le piace Nadia? Franco —• Forse sì. Quanto a te la faccenda è diversa. M arcella — Cose tutta questa confidenza? Tu, tu. Non dica così. E per Nadia deve giurarmi che non la cerca. Ora è arrivato a baciarmi. Non le basta? Franco — Torniamo da capo con la gelosia e con le arie? M arcella — Non mi faccia pentire della debo lezza di un momento. (Lo guarda fisso. Intanto suona due volte il campanello della porta) ... E il mio fidanzato! Svelto vada! Non gli ho detto che teniamo a pensione un giovanotto! (Marcella si ras setta con alcuni colpetti la pettinatura davanti allo specchietto appeso alla finestra mentre Franco stra scicando gli zoccoli torna nella sua stanza. Marcella gli corre appresso) :.. E non batta a macchina per poco, tanto usciamo subito... (Va alla porta d’in gresso alla quale frattanto si ode un terzo colpo di campanello. Si ode la porta aprirsi). La voce di Lello —- Credevo che non ci fosse nessuno. (La porta si richiude). M arcella — Ero in camera che riposavo. (Rien tra con un giovane molto raffinato, di una eleganza ricercata, che fuma la pipa e gioca con la chiave della macchina appesa ad un ciondolo vistoso) ... Credevo che oggi non venissi più... Lello — Ho fatto tardi. Ho pranzato con Fabio ed Ethel al «Capriccio». Ci siamo fatti una bot tiglia sana sana di whisky. Una sbornia, Ethel, che si è tirata su la gonna in sala per farsi vento. La gente rideva ma aguzzava gli occhi. Un paio di gambe, Ethel, che sono una potenza. M arcella — E Fabio? Lello — Che vuoi che gli importi. Ethel è per lui soltanto una mostra. L’abbiamo accompagnata a casa, e lì saltava al collo a me ed a Fabio come una matta. Fabio le ha dato anche uno schiaffo. Fabio è in un periodo di nervi, dice che se ne vuole andare a Capri un po’ di tempo... (Lello abbraccia Marcella e la bacia aprendole la vestaglia che le abbassa sulle spalle). La voce della madre (dalla stanza chiusa) —• GIAN PAOLO CALLEGARI Marcella, chi è venuto? (Marcella non si stacca dall’abbraccio). M arcella —- Lello! Mi porta lui a negozio con la macchina. La voce della madre — Torna a casa presto. Tuo padre vuol cenare alle otto precise. M arcella —• Gli ho già detto che ho un’ora in più per l’inventario... (Piano a Lello) Ha le orec chie come un microfono, sente tutto... Hai la bocca che sa di whisky, devi essere pieno come una botte. Mi arriva la sbornia solo con il tuo fiato. Lello (si stacca mentre Marcella si riassetta la vestaglia) — Per mettere a sedere me o darmi i fumi alla testa, ci vogliono due bottiglie. Dovevi vedere come guidavo la macchina: da gimkana. Di’ un po’, fai ancora la commedia del lavoro, del negozio, qui in casa? M arcella — Fino a che non mi sono sistemata in altro lavoro, devo stare zitta. Qui hanno le loro idee. Vedi che rogna anche far venire te in casa. Lello (siede sulla seggiola a sdraio e -prende Mar cella sulle ginocchia) •— Allora devo rinunciare all’idea di portarti a Capri? Fabio vuole che vada anch’io. E’ uno strano tipo, Fabio, quando vuole farmi fare una cosa... Si fa prestare la macchina e si arrabbia come fosse sua. Vuole andare a Capri e guai se non ci vado. Mi tratta alle volte come se fossi un suo feudo. Ma ha un giro che costa una cannonata e davvero si sta bene con lui. Ora ha in testa i grilli. Forse ha perduto a « baccarat »... Vieni a Capri allora? Ti faccio fare una vita «monstre»... Una settimana di vita vera... M arcella — Come faccio? Oui dicono che sono ancora minorenne. Lello — Per tre mesi! M arcella — Bastano per farmi restare al chiodo. Se tu avessi fatto parlare tuo padre col mio... Lello — Mio padre non è in forma, ora. Deve andare a Parigi. Dice che il consorzio europeo per 10 sfruttamento delle coma dei bovini macellati glielo mandano per aria... M arcella (rìde) — Le corna di bue!... Le coma! Lello — C’è poco da ridere. I milioni in casa mia 11 hanno fatti con le corna, le crine delle code di vacca, le budella dei porci... Che ti fa schifo?... M arcella — Mi fa ridere... (Lello l’abbraccia an cora, lei si stacca da lui seccata) ... M i fa ridere perché non ho voglia di arrabbiarmi. Bastava una lettera di tuo padre. Lello (sì accende la pipa) — Mio padre ha l’anima dei guai per il consorzio. M arcella — E il mio è stile Ottocento. Sai come sono i militari. Battute di tacchi, «signorsì» e tutto in regola. Lello — Anche quelli « epurati », della « guardia repubblichina »? M arcella — Piantala. T i vengo mai a dire che tuo padre voleva essere fatto conte dal Re, pa gando non so quante lire, e che tutti sanno che il Re gli ha riso in faccia?... Intanto mio padre dice che tu non mi sposerai mai e che vuoi soltanto divertirti. Lello — Ti sposo, ti sposo! C’è bisogno di dirlo tutti i giorni? Quante volte ho voluto darti dei soldi e tu li hai respinti? M arcella — Io non voglio diventare la tua man tenuta. Sono la tua fidanzata e voglio fare le cose serie. Credi di sfigurare con me? Non avrò i tuoi milioni, ma anche con uno straccetto addosso faccio voltare tutta la via Veneto... Poi nessuno può dire nulla su di me e in casa tua potrei entrare a faccia franca. Lello — Ho detto che ti sposo. Appena sei mag giorenne, quando non abbiamo più da mendicare permessi né alle corna del consorzio europeo né al maresciallo epurato. M arcella — E dai a sfottere! Lello — Non si può più ridere con te! (Si alza in piedi e l’abbraccia ancora) Io sarò pieno di whisky, ma tu sei piena di fiele. (Un lungo bacio, Marcella si stacca lentamente). M arcella — Lo sai che mi sto facendo il cor redo?... Roba... (Dà un bacio sulla punta delle dita per indicarne la bellezza) ... Poi quest’inverno arri verò alla pelliccia. Quando mi porterai la prima volta in casa tua, devi restare meravigliato tu stesso. Lello — Mi fa piacere che tu abbia le lire. Dove le trovi? Sulle nuvole? M arcella — Ho fatto qualche affaruccio di borsa nera. Mica soltanto tuo padre sa fare gli affari... (Lello non le da ascolto e la sospinge verso la camera da letto. Marcella resiste). Lello — Andiamo a vedere questo corredo. M arcella —■ Nemmeno per sogno! Ti ho detto di no. Poi c’è mia madre di là. Lello —• Dorme! M arcella — Anche se non ci fosse, no e poi no! L e llo (adirato) — Finirai per stancarmi. Te l’ho ■detto ancora... oggi, quando Ethel... M arcella (interrompe) — Va’ con Ethel, se ti pare... non voglio che mi tratti sempre come un’amante. Quando mi avrai sposata non t’impor terà più nulla... Lello (siede) — Devi venire a Capri. Laggiù tro viamo una compagnia formidabile. John Arbel, quel biondo di Boston che studia canto in Italia; la Mariliana Paschi, l’amica di un capoccia dell’Ital- ferri; Totò Tanturri, un tipo che sposta anche i marciapiedi per le risate... Non hai un’amica fidata fuori Roma?... Devi dire che la vai a trovare... M arcella — No! (Suona il telefcmo. Marcella si avvicina mentre Lello si stende sulla sedia a sdraio mettendo i -piedi sul tavolo) ... Sì... non c’è una tariffa, varia a seconda dei casi... Reuma facciale, sì, è curabile... Domani alle dieci... Ha detto Poli- meni?... Va bene... (Chiude la comunicazione). Lello — Fate davvero. con la storia degli spilli cinesi? M arcella —• Ti dirò che sta diventando un successo. Lello — Mia sorella mi ha preso in giro tutta la mattina. Ti chiama la figlia della maga. M arcella (violenta) —- Vattene via! Non esco con te! Vattene! Lello —■ Non arrabbiarti. Mia sorella ride su tutto. Cosa c’entro io con mia sorella? Vatti a vestire... M arcella — Tua sorella come la chiamava la Mariotti? Lello — Ce l’avete tutti con la Mariotti, non sapete parlare d’altro. Io l’ho conosciuta appena... (Inquieto) Cosa vuoi dire con questo? M arcella (gli carezza i capelli) — Sta’ calmo. A nessuno ci importa nulla della Dede Mariotti, ma si finisce per averla in mente. Infine, perché ne garlo, prima che con me trafficavi con lei. Lello — Poveretta, ne ha passato un battaglione, dicono. (Marcella gli fa segno di attendere e va nella sua stanza per vestirsi. Lello intanto smonta e pu lisce la pipa. Si apre la porta di Franco: il giovane esce già vestito ma in manica di camicia. Lello alza il capo di scatto). Franco •—• M i scusi! (Si ferma per ritirarsi dentro■, poi riconosce Lello) Ah, ciao! Lello (seccato) — Ciao. Non ti avevo riconosciuto. Franco — Sentivo sempre parlare di questo fidan zato... Allora sei tu! Lello (con un gesto vago) — Sì... Fidanzato... Franco — Rallegramenti... (Si apre di scatto la stanza di Marcella e la ragazza appare in sottoveste, evidentemente furibonda ma contenuta). M arcella —• Signor Franco, ha bisogno? Franco —• Sono venuto a riprendere il mio rasoio e ho visto Meschiari... M arcella —- L’avevo pregato, mi scusi... (Mar cella si copre davanti con le mani). Lello — Ci conosciamo da parecchio tempo. Franco — Andavamo a sciare insieme al Ter minillo. M arcella — Se è così faccia pure compagnia al mio fidanzato, intanto che mi vesto. (A Lello) Faccio presto. (Si ritira guardando con intenzione Franco come per ingiungergli di controllare i di scorsi e lascia aperta la porta per sentire. Franco prende pennello e rasoio e viene a sedere sul tavolo davanti a Lello). LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Franco — M i viene in mente... Tu conoscevi Dede Mariotti, vero? Lello — Io... Non l’ho mai conosciuta. Franco — Quando lei faceva i fumetti, non la portasti te in redazione una sera? Lello —- Tì confondi con un altro. Franco — La tua fidanzata dice che gliela pre sentasti tu al mare. Lello — Conosco tante donne io... Poi a Fregene, con il fuoribordo le ho tutte addosso come mosche. M arcella (dalla sua stanza) — Non avete un argomento più allegro? E’ tutto il giorno che non parliamo d’altro. (Lello rimette i piedi sul tavolo ed aspira la pipa con tranquillità. Franco va a bat tere le dita sidla gabbietta dei canarini con aria distratta). Franco — Fio visto che hai una bella Studebaker. Lello —■ O mi decido a pagar la dogana o la sgancio. E’ ancora in trittico. La tengo intestata ad un’italo-americana senza un soldo. Quando devo uscire per il rinnovo del trittico, prende la bella occasione per mettermi in conto perfino la bian cheria che compra a Cannes e le telefonate... Non ti dico che telefonate! Ha l’amico a Napoli e l’ex marito a Zurigo: ogni notte sono due tele fonate internazionali. Con quello che mi costa potrei prendere un’altra macchina. Franco (si avvicina, gli porge la mano) — Arrive derci. Torno a lavorare. Devo portare un servizio fra un’ora. A noi ultimi arrivati nel giornale, ci mettono sotto come negri. Lello — Ciao! (Franco toma nella sua camera. Lello prende il giornale che è sul tavolo e lo guarda attentamente, mentre dalla camera di Franco viene nuovamente il rumore della macchina da scrivere. Entra Marcella elegantissima nel suo abito di primo autunno. Lello si alza in piedi). M arcella — Ti vado così? E’ la prima volta che lo metto. Lello — Sei uno splendore! (Fa per accarezzarla). M arcella — Giù le mani, ora! Ho l’intonaco fresco! Andiamo! Lello — Non mi avevi detto che avete in casa Tarasca.1 M arcella — Che ti ha detto? Lello —• Nulla... I solito discorsi per far vedere che lui, col giornale, sa un po’ di tutto. M arcella — Ho solo mezz’ora di tempo. Devo andare dalla sarta. (Si muove per uscire. Appare sidla soglia della sua stanza Franco). Franco — Signorina Marcella, la chiave del te lefono! M arcella (prende fuori da un nascondìglio del muro una chiavetta e la posa sul tavolo) — Le segni giuste le unità che fa. Mica per me. E’ mio padre... sa il pignolo che è... GIAN PAOLO CALLEGARI Franco —• Buona passeggiata! M arcella — Arrivederci! (Marcella e Lello escono, mentre Franco va al telefono e con la chiave afre il lucchetto di sicura. Affetta la forta si è chiusa fa il numero). Franco — ...Sono Tarasca, dammi il capo... Sì, ciao capo! Non urlare sempre... Se non avessi una pista sarei già in redazione... Calma, calma! Ascolta. Che ti ha detto quel benzinaro? Una macchina americana con targa verde... Esatto... Lasciami in libera uscita, oggi... Lasciami perdere e fidati... lo sai che ho fiuto... (Mette giù il telefono, corre in camera e ne esce con la. giacca che si infila attra versando di corsa la scena diretto all'uscita, mentre cala la tela). A T T O S E C O N D O (Un salotto borghese di stile moderno, abbastanza fiacevole senza essere ricco. Un soffice divano e due grandi foltrone arancione circondano un tavo lino rotondo di cristallo. Un mobile bar sulla destra, un tavolino dorato a muro con forcellane Settecento sulla sinistra; due « affliques » dorate ai lati di una forta di fondo. Un lume a stelo in angolo. Tendine di fizzo alla finestra che sta sulla sinistra a fersiane accostate mandano luce fiù che discreta. La forta di fondo reca ad altre stanze, quella a destra alla ficcola anticamera d’ingresso. La signora Leonora Mastrofaolo, vestita con elegante semflicità, siede sul divano. Di fronte a lei, con la borsetta sulle ginocchia, è seduta in foltrona Nadia. Cristina, una scialba bimbetta di sei o sette anni, gioca con una grande bambola stand.o a terra accanto al fie- destallo del lume a stelo). La signora Mastropaolo — Davvero non lo avrei mai immaginato! La madre di Marcella è quella degli spilli, di cui si occupano i giornali. Nadia —• Stava facendosi una vera clientela ed invece la polizia ha tutto sospeso. Esercizio abusivo di professione medica e contravvenzione... La signora Mastropaolo —■ Guarda un po’... E’ la gelosia dei medici, la conosco. Una mia amica mi ha detto che la cura faceva bene. C’è andata per una sciatica. Il suo medico, quando l’ha saputo, ha cominciato a dire che era semplice suggestione. Nadia — I medici molte volte non ci azzeccano. E poi come si fida lei, con tutti i medici finti che ci sono in giro, con le lauree falsificate? Bisogna guardarseli uno per uno contro luce come si faceva una volta con le carte da mille. Pensi, signora, che un medico venuto al campo profughi a visitare mamma s’era messo in mente di trovarle un tumore e voleva aprirla. Per fortuna ho potuto chiamare anche un professore e gira e rigira è venuto fuori che si tratta di semplice ulcera. Tutto va avanti con i soldi, cara signora. La signora Mastropaolo — Bisogna stare attenti con i tumori. Le ho parlato, Nadia, della mia amica Valentina Faretti, la moglie separata di un collega di mio marito? Nadia — Mi pare. La signora Mastropaolo — Beh, l’hanno aperta. Cancro, e niente da fare. Ne avrà per pochi mesi. E’ stata una donna troppo sregolata. Troppi ra schiamenti, cara Nadia... (Si volta alla bambina) Cristina, bella di mamma, vieni qui! (La bambina si avvicina con la bambola in braccio; la madre la vezzeggia) Hai visto Enrichetta oggi? (La bimba fa segno di sì) ... Hai giocato con il monopattino? Guai a mangiare la frutta non lavata, lo sai. Se ti scopro un’altra volta, ti faccio to-to, capito? Nadia (guardando l’orologio) — Manca un quarto alle sei. La signora Mastropaolo — Già un quarto alle sei?... Mando fuori la cameriera con Cristina... (Suona il camfanello) M i fa impazzire, quella ra gazza. E’ una friulana buona come una pasta, ma stupida come l’acqua tiepida. Pensi, Nadia, che una volta... (Si interromfe ferché affare sulla fotta di fronte la cameriera, una ragazza semflice col grembiale a qtia.dri). La Cameriera — Comandi, signora! La signora Mastropaolo — Prendi Cristina, mettile il golfetto bianco, ché a quest’ora comincia il ponentino, e portala ai giardinetti. Cristina —■ Mamma, voglio restare in casa a gio care con la pupa! La signora Mastropaolo — Tesoro, sei bianca come la cera, non mangi. Devi prendere aria. Porti con te la pupa, vero gioia? (La bimba annuisce e si avvicina alla cameriera che la fronde fer mano). La Cameriera — Ha corso tutta la mattina, Cri- stianella, signora. Forse è stanca. La signora Mastropaolo —■ Vuoi sempre mettere il becco in tutte le cose. La bambina deve prendere aria. E non riportarla a casa prima delle otto, ca pito? Sul tavolo di cucina devono esserci duecento lire, prendile; così vi comperate il gelato, anche per te. La Cameriera —■ Va bene, signora! La signora Mastropaolo — Hai le chiavi? La Cameriera — No. La signora Mastropaolo — Non importa. Tanto io resto in casa. (Manda con le dita un bacetto alla ficcola) Ciao tesoro! Bella di mamma! (La came riera e la bimba escono dalla fotta di fronte) Pensi, le dicevo, Nadia, che una volta la mia cameriera mi fa entrare l’idraulico e me lo porta fino in bagno, dove io stavo in vasca. Un urlo mio e l’idraulico salta indietro come vedesse un serpente e nel salto rompe un vetro. E lei a ridere, ridere come una scema. Perché io tengo sempre la porta del bagno aperta da quando una volta capitò ad una mia cugina che soffriva d’asma... (Si interrompe, perché dalla porta di fondo la cameriera mette dentro la testa). La Cameriera — Signora! La signora Mastropaolo —• Che c’è, ora? La Cameriera — Non devo prima servire il tè? La signora Mastropaolo — Benedetta ragazza! T i ho detto di prepararlo e basta. Ci penso io, te 10 avevo già detto. Con la signorina Nadia non ho da fare complimenti. Vai, vai! (La cameriera si ritira e richiude la porta) Vede? Non capisce nulla. E bisogna avere pazienza. E’ così diffìcile trovare una cameriera onesta, che non abbia pasticci di uomini, che non chiaccheri... (Si ode sbattere la porta d’ingresso). Nadia —■ Signora, dovrei essere libera prima delle nove. Mia sorella mi attende alla scuola di par- rucchiera. La signora Mastropaolo — Certo cara, prima delle nove. Ha sentito che ho detto alla cameriera di rientrare con Cristina alle otto? Il signor Gino non si è mai fermato più di un’ora e mezza. Lo sa anche lei come sono i milanesi: quando è l’ora del pranzo e della cena, nessuno li tiene e spaccano 11 minuto. Quello che a lui piacerebbe, io lo so: portarsi a cena qualcuna... Nadia —• Io no, signora. La signora Mastropaolo — Né lei, né altre, da parte mia. Lui può mancare di riguardo perché ha la moglie e la famiglia a Milano, ma io devo stare attenta, le pare? (A Nadia, pensierosa, la signora Mastropaolo fa una carezza sollevandole il viso) ... Su, su tesoro! Che ha? per il signor Gino? Nadia —■ Non l’ho mai visto. La signora Mastropaolo — E’ una persona squi sita, un industriale con settecento operai: fa pezzi di precisione per motori. Durante la guerra, quello che ha guadagnato con l’aviazione, non lo sa nem meno lui. E’ poi influente: quando viene a Roma è sempre a cena con delle eccellenze. Fa parte di molte commissioni e mi ha detto in confidenza che è stato lì lì per diventare deputato... Un tipo alla mano, vedrà. (Le offre una sigaretta) Fuma? Nadia —• Non fumo, grazie. La signora Mastropaolo — Come me. Io non fumo e non bevo, ma è naturale che tenga siga rette e liquori per gli ospiti. Nadia — Volevo chiederle una cosa. Mia sorella si esercita da parrucchiera e avrebbe trovato un barbiere che la ospita contro una piccola percen- LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI tuale sugli incassi, se porta la macchina della per manente. Sa, io faccio tutto per sistemare la situa zione di casa mia. A Pola stavamo bene, ma qui è tutto un pianto. Se potessi avere una somma. La signora Mastropaolo —- Mi scusi, Nadia. Crede che io guadagni molto? Se non ci fosse la mia attività, con l’impiego di mio marito si do vrebbe fischiare. Cristianella senza mare mi fa l’inverno a letto. E sa lei cosa mi è costata la stagione di mare ad Anzio per la bambina? Due centomila. Poi tutto il resto. Questo salotto che è preso a rate. La madre di mio marito che è vecchia e manda sempre a chiedere qualcosa. Cara, la vita è dura per tutti. (Le dà un buffetto al viso) Su, su! Non vorrà mica sembrare un funerale di terza classe al signor Gino! Sa come sono i veri ricchi: nel momento dello svago non vogliono pen sare a nulla! Nadia —• Già, perché loro non hanno mai da pen sare a nulla. Con i miliardi non c’è bisogno di pensare. La signora Mastropaolo — Affatto vero! Sette cento operai sono una bega che non s’immagina nemmeno. Dice poco gli scioperi, la commissione interna? Poi la Cigielle, la Cisl, le tasse e mille altri impicci. Solo la dichiarazione Vanoni fa su dare freddo a gente come quella. Nadia — Vorrei sudare freddo e avere da dichia rare dei guadagni, un buon lavoro. La signora Mastropaolo — Mi dia ascolto. Se ha bisogno di danaro per la macchina da perma nente, posso vedere di combinare le visite più di frequente. E dovrebbe darmi delle foto più mo derne, più vispe. Nadia — Vuole dire come quelle di Marcella? La signora Mastropaolo — Io non so nulla di quelle di Marcella. Voglio dire che lei, per farsi le foto, dovrebbe guardare un po’ dalle rivistine francesi. Nadia —- Quelle foto io non le faccio. La signora Mastropaolo — Nadia, Nadia, lei ha un caratterino spinoso. Come faccio io ad aiu tarla di più? Un caratterino pungente. Nadia — Perché ho sofferto, perché ho conosciuto la vita buona e poi la miseria. Lo sa cos’è la fame, il freddo? Quando siamo scappate da Pola, i primi mesi ad Udine, in una caserma smessa, con le brandine nelle camerate fredde, in pieno inverno. E soltanto la roba che avevamo addosso. Siamo scappate in barca, le vedette jugoslave ci hanno sparato, ma sul mare c’era la nebbia. Un ragazzo che era con noi è stato ferito. Sono così perché ho sofferto, signora Mastropaolo, e tutto questo non è facile per me. La signora Mastropaolo — Tutti abbiamo sof ferto, ma il viso di una ragazza giovane e graziosa GIAN PAOLO CALLEGARI deve sorridere anche se il cuore piange. E' la civiltà, direi quasi che è l’educazione moderna... scusi!? (Si alza in piedi, va al telefono posato so pra un tavolinetto in angolo e fa un numero) ... Pronto!... la stanza 26, del cavalier Mastropaolo... Sono sua moglie... Pronto, Bibi... sì, ai giardinetti con Caterina... Ha fatto la sua merenda, caffelatte, pane e burro... Al portone dell’ufficio alle otto e mezzo... Al Metropolitan c’è un filmetto da ridere... Ceniamo dopo e ti faccio comperare alla rosticceria le pizzette col pecorino... Ciao Bibi!... (Prima di mettere già il microfono manda un bacio. Posa l’apparecchio e toma a sedere di fronte a Nadia) ... Da una settimana ha gli straordinari, si ammazza. E che vuole fare? Tornato dalla guerra, con la prigionia, ci ha messo tre anni per trovare un posto. Nadia — Ha un poco di profumo? La signoba Mastropaolo —• Lo trova dopo in bagno: «Arpège». Brava, Nadia, ecco così va bene. Vedrà che ci arriviamo in breve alla mac china da permanente. Nadia — La dànno anche a rate, volendo. La signora Mastropaolo — Non le conviene, costa di più. E Marcella? Le avevo raccomandato di essere puntuale. Nadia — Sarà uscita col fidanzato. La signora Mastropaolo — Non è un buon motivo per tardare. Nadia — Dal fidanzato non può farsi condurre qui e nemmeno nelle vicinanze. C’è sempre il ri schio che la segua, che la controlli. La signora Mastropaolo — Marcella fa succes so, ma è troppo sventata. Lei, Nadia, mi piace di più perché ha misura. Deve soltanto imparare a pre sentarsi con una faccetta più allegra. Nadia — Non è facile. La signora Mastropaolo (con un leggero ab braccio) — E’ facile, è facile, se pensa che disporrà poi di danaro e che la vita sarà più bella. Lo ha detto anche lei che con il danaro non si hanno pensieri... Sua sorella è quella bruna alta che era con lei in Via Condotti domenica scorsa? Nadia — Sì. La signora Mastropaolo — Non è bella, eppure mi sono voltata a guardarla. Ha una camminata che agli uomini fa molto effetto. Nadia (scattando) — Mia sorella, no, signora! Mia sorella non la deve conoscere! Non deve venire qui, basto io! Per me è lo stesso, ma lei no! Lei no! La signora Mastropaolo — Stia calma! Ha i nervi a fior di pelle, oggi. Non credevo che il signor Fabio mi avesse presentato una ragazza tanto ne vrastenica. Nadia — E’ da molto che non vede Fabio? Mi dica la verità! La signora Mastropaolo — Si calmi! Sono mesi che non lo vedo, che non lo sento. Nadia — Se chiedesse di me a lei, dica che non sa dove sono. Mi dia la sua parola, altrimenti io... La signora Mastropaolo (con energia) — Nadia, si controlli! Le do la mia parola. Si controlli, altri menti con il signor Gino faremo una figuraccia. Se ho fatto un apprezzamento sopra sua sorella, non vuol dire che... (Squilla il telefono, la signora si interrompe, si alza) Ecco, è lui! (Va all’apparecchio, 10 solleva) Sì! Leonora Mastropaolo! Buongiorno, buongiorno! Ah, ah! Me lo immaginavo! Oh, no, no! Un uomo come lei non deve farci caso. Via libera, liberissima! Bravo! Arrivederci! (Rimette giù 11 microfono, torna verso Nadia, ma non si siede) Viene su, subito. E’ nel bar della piazza. Dice che non riusciva a staccarsi dalle costole un ingegnere suo amico. E Marcella che fa? La gente che manca di puntualità non mi piace davvero. (Va attorno a sistemare ì soprammobili, accende la lampada e si accosta alla finestra) Eccolo! Passa la strada. Nadia (si alza in piedi, nervosa) — Signora! La signora Mastropaolo — Che ha Nadia? Nadia — Vorrei andare. La signora Mastropaolo (viene avanti a lei, se vera, la prende per una spalla) — Nadia, non mi faccia la bambina. Se sapevo che lei oggi era in crisi, la sostituivo con un’altra. Il signor Gino sa che ci siete tutte e due. Nadia — Signora, non me la sento. Lo ha visto come sono oggi. La signora Mastropaolo — Non è la prima volta, cara. Tenga il cervellino a posto. Nadia — E’ la prima volta che siamo due ragazze. La signora Mastropaolo — Quante storie. Ho chiamato apposta lei e Marcella perché siete amiche. Nadia — Oggi non ho potuto nemmeno mangiare. La signora Mastropaolo — Provi a pensare al le infermiere negli ospedali, quello a cui devono sottostare. La vita a ’sto mondo va guadagnata e ci sono tanti modi. Nadia, mi guardi in viso! Nadia — La guardo. La signora Mastropaolo — Tutto dipende dal signor Fabio. Avete finito? Nadia (agitatissima) — E’ tanto... Non voglio che sappia più nulla di me! Ha capito? Lei non mi vede più, io sono partita. La signora Mastropaolo — Ho capito. Ed ora fuori il suo bel sorriso! (Nadia forzatamente sorride appena) Via, via, Nadia! Vada in bagno, si pettini e si dia una spruzzata di «Arpège». Attenda nella mia camera. Quando suona Marcella, apra lei la porta e restate là tutte e due, finché non vi chiamo. (Sospinge Nadia verso la porta di fondo. Intanto suona il campanello della porta). Nadia — La mia borsetta. (La signora di corsa la 'prende dal tavolino e gliela porge). La signora Mastropaolo — Sorriso! Sorriso! (La chiude nell’altra stanza e poi va in anticamera ad aprire. La stanza resta pochi istanti vuota, mentre si ode il rumore della porta che si apre. Dalla fine stra socchiusa, grida di strada). Voci di strada — Bottijaro! Roba vecchia, botti- jaro! La signora Mastropaolo — S’accomodi! Avanti! (Entra con un signore anziano, pingue, elegante ma volgare, con la tipica aria dell’affarista arricchito. Il signor Gino è calvo, porta gli occhiali cerchiati d’oro e un vistoso brillante al dito. Sbuffa, è senza fiato). Gino —• Mi faccia... tirare il fiato. (Si lascia an dare nella poltrona). La signora Mastropaolo — Perché non è salito con l’ascensore? Gino —• Un momento... (aspira profondamente) ... sei piani... a piedi... per l’ascensore avrei dovuto chiamare la portiera... meglio non dare nell’occhio. La signora Mastropaolo (sedendo) — La por tiera non ci fa caso. C’è molto traffico nel palazzo. Scala A, scala B, scala C... siamo un reggimento di inquilini. Gino —- Meglio non dare nell’occhio, almeno per me... La signora Mastropaolo — Un cognac? Gino —• Cognac? Mai più. Col mio fegato... La signora Mastropaolo — Una cedrata. (Si al za in piedi e si dirige al bar) Ma non ho ghiaccio. Gino — Lo stesso. Una volta bevevo, ma proprio forte. (Intanto la signora prepara la bibita) Sa con gli amici del circolo, quando si faceva il pokerino. Ora invece sto a regola. Sono gli operai che mi han no ridotto così. Sa cosa le dico? Fra scioperi, con tingenza, commissione interna, mi mandano al crea tore. La signora Mastropaolo — Beva! (Gli porge la bibita) Per dopo le darò un tè al limone. Gino (beve) — Alla salute! Un tè caldo, ma con un « gin gin » di latte, le pare? La signora Mastropaolo — Come vuole. Gino — Poi adesso ci hanno messo anche un nuovo dazio doganale sul rame. E’ per la questione della Russia. Sarebbe meglio chiudere baracca e burat tini e dire a questi qui di Roma : « Prendetevi la fabbrica ed arrangiatevi voi!». La signora Mastropaolo — Signor Gino, non venga a rodersi il fegato qui. Le sembra il momento? Gino (fa un risata, si batte le palme sulle ginocchia) — Ha ragione anche lei. Proprio ragione! Eppure quando noi di Milano veniamo a Roma, con tutta questa gente che non ha voglia di lavorare, vor remmo avere sa cosa? La bomba atomica! Proprio così!... Dica un po’ (ammicca) ... le ragazze? LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI La signora Mastropaolo — Lina è di là, l’altra sta per arrivare. Gino — Quale? La signora Mastropaolo — La bruna. Viene di certo. E’ fidanzata e per forza non ha i movimenti molti liberi. Deve fare dei giri, alle volte, prima di infilare il portone. Gino (ride ancora) — I giri! A chi lo dice! L’inge gnere che è venuto con me oggi al ministero non mi lasciava. Io a dire: «Ingegnere, ora ho una riu nione al Consorzio Cementi», e lui: « Potrei venire anch’io, dovrei parlare con l’ingegnere tale del Con sorzio... ». Insomma, dove dicevo che andavo, aveva sempre da fare una cosa anche lui... La mora è una « tosa » coi fiocchi, glielo dico proprio io. Perché noi siamo sempre a Como, a Villa d’Este, in riviera e là si vedono delle straniere che fanno venire il batticuore tanto sono belle. La mora farebbe il suo figurone anche a Milano. La signora Mastropaolo — E’ una cavalla di raz za. E la « verve » che ha! Gino —■ Dica un po’ ce l’ha l’amico fisso? La signora Mastropaolo — Non ho l’abitudine di entrare mai negli affari intimi delle signorine. E’ una situazione delicata. Gino — Perbacco, lei ha mille ragioni. La delica tezza è una gran cosa. Mia moglie una volta, por tando ad Alassio con la macchina americana, quella grande, i miei nipotini, dice all’autista... Ma cosa rac conto queste storie a lei che non le importa niente! La signora Mastropaolo — Prego, prego! Tanto perché arrivi anche l’altra s’ha da attendere. Gino — Se la mora non ci avesse uno fisso... Io due volte al mese devo venire a Roma al ministero... le « esportassioni », le « esportassioni » non si imma gina nemmeno che imbrogli ci sono... Beh, venendo due volte al mese, potrei mettere su l’appartamen tino. Mi capisce? La signora Mastropaolo — Signor Gino, la ra gazza è ancora minorenne. Gino —• Eh, la peppa! Se la famiglia è bisognosa, un discorsino fatto a modo... La signora Mastropaolo — Se vuole, può par lare lei dopo alla signorina. Io mi presto agli incon tri, diciamo pure gentilmente. Non mi occupo di altre cose. Gino — Qui non è comodo parlare. Se la ragazza accetta un invito a cena, magari ai Castelli, il di scorsino lo posso fare. Sa cosa « ci » dico a lei? L’unica cosa che mi piace di Roma è il vino. Ma il resto, nel più sincero dei modi, non c’è paragone con Milano. Noi a Milano siamo diversi. La signora Mastropaolo — Se la signorina viene a cena con lei, qui non la faccio più entrare. La signorina Io sa. Gino — Lei è peggio dei carabinieri, cara signora. GIAN PAOLO CALLEGARI La signora Mastropaolo — E’ la regola, mi com prende. Altrimenti finisce la discrezione, finisce quel certo tono che alle persone del buon mondo, come lei, deve stare a cuore. Gino — Sono proprio le due che ho scelto io? La signora Mastropaolo — Se ci fosse stato un cambiamento, glielo avrei detto. (Si alza, afre con una chiavetta un ficcalo stifo sul tavolino a muro e f rende fuori una busta. Si avvicina. Posa la busta e ne toglie fuori farecchie fotografie. Ne sceglie due e le forge) Queste. Giusto? Gino (le frende, le guarda) — Va bene, va bene. (Si leva gli occhiali e ne mette un altro fato fer vedere da vicino. Seguita a sfogliare le altre, si fer ma sofra una foto) Questa mi sembra d’averla vista... M i faccia pensare... La signora Mastropaolo (vede la foto, manovra fer rifrenderla, un po' agitata) — Dia qua, dia!... Questa non c’entra. Chissà perché è finita qui. E’ mia nipote. Gino — Sa chi sembra? Ecco, ecco! Quella che hanno trovato ammazzata qui a Roma. Almeno dal le foto dei giornali. La signora Mastropaolo ■—• Ah, la Mariotti. Sì, non lo avevo notato, c’è somiglianza. Riderà mia nipote quando glielo dico. (Prende la foto e con negligenza la fosa rovesciata sul mobile bar; intanto suona il camfanello alla forta e la signora Mastro- faolo si avvia ad afrìre) Ecco l’altra, Marcella. (Il signor Gino si distende in foltrona beato, intanto che la signora si reca a destra, di fronte alla forta dell’andito. Si odono dei fossi nell’andito, quelli di Nadia che va ad afrire, poi una risatina. La signora si rivolge verso l’esterno, porlando) Svelta, cara! Lia fatto tardi! E’ impazientemente attesa! La voce di M arcella (dall’ingresso) —■ Mi ha scar rucolato un filobus, abbiamo dovuto scendere, cam biare perché si era fulminato non so che... La signora Mastropaolo — Si accomodi di là, poi la chiamo. (Torna verso Gino che si alza in fiedi) Stia comodo. Ancora un momento. Gino (risiede, mentre la signora infila la busta delle foto nel cassettino. Egli fa verso la signora un gesto come a contar denari) — ... Devo dare a loro? La signora Mastropaolo — No, come al solito... Il bagno è caldo, se vuol favorire dopo. Gino — Questa è proprio una bella idea, una vera pensatina. Con questo caldo si scoppia. A Milano, a casa mia, faccio due bagni al giorno. Dice il dot tore di casa : « Commendatur » faccia « attensione » al cuore! Noi che abbiamo lavorato tutta una vita abbiamo sempre il cuore in pericolo. A me il bagno invece mi tira su, vede la combinazione? (Si alza in fiedi, va verso la finestra e, senza afrìrla, guarda fuori) C’è una bella veduta qui. Cosa paga d’affitto, per curiosità? La signora Mastropaolo — Trentacinque al me se. In più ascensore, portiere... Gino — Sorbolina! Più caro che a Milano! (Prende fuori un sigaro) Disturbo? La signora Mastropaolo —■ Prego, prego! Sa, i sigari mi dànno tenerezza. Mi ricordano mio nonno, preside di liceo. (Gino un po’ imfoziente guarda verso la forta di fondo) Mio nonno era un tipo... (Si interronife) Lei ha ragione, si fa tardi. (Si avvi cina alla fotta di fondo, mentre Gino torna a sedere mettendosi in modo da vedere la fotta stessa) Siete pronte? Su, sveltine, care! (Nessuno risfonde. La signora torna verso Gino con un gesto affermativo. Subito dalla fotta di fondo entrano Marcella avanti e Nadia dietro. Marcella è vestita in maniera leg gera e semflice. La signora Mastrofaolo le fresenta) Ecco, signor Gino! Marcella e Nadia! Gino (stringe la mano senza alzarsi, senza levarsi il sigaro di bocca, squadrando le due ragazze) — Piacere... Piacere. La signora Mastropaolo (alle ragazze) — Se dete! Prima bevete qualcosa. M arcella — Ho preso una torta gelata, ora. Gino (ridendo) — Eh, « tosa », la torta gelata non si dice! La signora Mastropaolo — Un cognac. E a lei, signor Gino, ancora cedrata? (La signora va al mo bile bar). Gino —• Perché no? Con quel che sudo io, un bicchiere d’acqua mi toma fuori per la pelle in dieci minuti. M arcella — Lei è milanese, vero? Gino — Si sente, neh? E lei, conosce Milano? M arcella (mentre la signora serve) — Ci sono stata un anno durante la repubblica di Salò. Ero molto piccola. La signora Mastropaolo — Lei non beve, Nadia? Nadia (come a decidere una cosa insolita) — Dia anche a me, prego! Gino (a Marcella, mentre la signora serve Nadia) —■ Lei non si può ricordare che giorni quelli... Sa che io ci avevo le mitraglie dentro la fabbrica con i partigiani nascosti nello scantinato del «magas- sino » e non lo sapevo? E il tritolo, da saltare tutti, veh! M arcella — Una volta tirarono una bomba vi cino alla mia scuola. Una bambina fu ferita dalle schegge. Gino (alla Mastrofaolo) —• Cosa le dicevo io? La guerra l’abbiamo fatta noi, mica i militari al fronte. Il fronte era uno scherzo da bambini. La signora Mastropaolo — Ho comperato il disco di «Jezebel». Gino — Oh, brava la signora! Il grammofono è in camera? La signora Mastropaolo — La spina attaccata e il disco a posto. Signor Gino, alle otto e mezzo ho appuntamento con mio marito, mi raccomando. Gemo — Anch’io non ho molto tempo disponibile. Vado a cena con un deputato, poi una riunione... La signora Mastropaolo — Permesso! (Si allon tana uscendo dalla porta di fondo. Gino spegne il sigaro nel portacenere). Gino — Vieni qui, Marcella, che facciamo meglio la conoscenza! (Prende la ragazza per mano e la fa sedere accanto a sé sul divano) Anche te, Carla! «Andem»!... Mica ti do soggezione, Carla! Nadia (staccata) —■ Nadia. Gino (tirandola a sedere vicino a sé) — I nomi forestieri non li ricordo mai. Con tanti bei nomi nostri, perché te ne hanno messo uno spagnolo? Nadia —- E’ russo. Gino — Non ne abbiamo abbastanza della Russia con i comunisti e la politica? (Ride) A me « mi » piacciono i balli spagnoli. Quando le gitane danzano, si tirano la gonna su fino qui! (Tira su la gonna al ginocchio di Nadia che reagisce) Come ti offendi per niente! Guarda! (Fa lo stesso gesto con Marcella che sorrìde indifferente). M arcella — Facciamo finta di essere al mare. Al mare si mostra tutto. Gino (le tira giù la spallina della veste estiva) — Anche qui, si mostra... anche più giù! Dovete ve dere cosa mostrano le signore alla « Scala » a Mi lano. (Le bacia la spalla. Marcella intanto fa un cenno a Nadia per farle intendere di essere più sciolta). M arcella (scansando l’uomo) — Ora basta, zio Gino? Gino (rìde forte) — E’ per principiare, no? Se non si prende un po’ di confidenza, come si fa, ragazze? M arcella (dà un colpo sulla pancia a Gino) — Hai la trippa, Gino! Gino (rìde più forte, abbracciando Marcella) ■— Visto, Nadia, come fa la brava la tua compagna? (Si indica il collo rivolgendosi ancora a Nadia) Senti qui. C’è ancora una scheggia dell’altra guerra. (Na dia sente con repugnanza; Marcella prova). M arcella — Davvero?! E punge! Non ti fa male? Gino — E’ già di famiglia, sta con me da quasi quarantanni! (Abbraccia tutte e due le ragazze in sieme). M arcella — Che profumo adoperi? Gino •—• Una lavanda che ho preso a Parigi... Senti quanto è buona! (Afferra Nadia per costrìn gerla ad annusare. Nadia scatta in piedi. Gino di venta duro) Se non te la senti, parliamoci chiaro, potevi dirlo alla signora... Lo sapevate già e a me non « mi » piace perdere tempo. Nadia (risiedendo fredda) — Non ci faccia caso, mi passa. Oggi ho avuto un sacco di scocciature. LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Gino — Te mi fai venire in mente una impiegata che avevo. Quando era in ufficio puntava dei fogli di carta da imballaggio attorno ai piedi del tavolino della macchina da scrivere perché non le guardassi le gambe. Ma quando mi pareva, la portavo con me. Nadia (si alza) —• Andiamo? Gino (alzandosi a sua volta) — Oh, così mi piace! M arcella (senza alzarsi) — Ha portato sigarette, cioccolatini? Gino —• Sono un uomo di mondo, cosa ti credi! Nadia (già alla porta dì fondo, voltandosi) — An diamo, su! Andiamo! Gino — Guarda un po’ la russa. Sembrava un ge lato al limone, invece! (Nadia lo guarda duramente ed esce). M arcella (alzandosi ed avviandosi anche lei con Gino verso la porta di fondo) — A zietto, caccia intanto le sigarette! (Gino tira fuori una scatola di sigarette esotiche e gliela porge uscendo insieme al la ragazza. La porta di fondo si richiude. Foco dopo dalla porta di destra rientra la signora Mastropaolo con un libro in mano che posa sul tavolino. Rimette le bottìglie di liquore nel mobile bar, posa i bic chieri sporchi sullo stesso. Con uno straccetto spol vera il tavolino dalla cenere e dà un colpetto ai cuscini delle poltrone che sono schiacciati. Poi siede in poltrona a leggere il libro. Si ode iniziare dal grammofono nell’altra stanza la canzone «Jezebel-»; la signora la ascolta un attimo, poi riprende a leg gere. Dopo poco suona il telefono e la Mastropaolo va a rispondere). La signora Mastropaolo — Sì, Bibi. Tanto ci vediamo alle otto e mezza. Chi viene ora?... Vita lesta non trova mai di meglio che mandarti dei seccatori... Anche un agente dell’« Enciclopedia del l’Infanzia» ci mancava... C’era bisogno che venisse proprio ora?... Ma sì, ma sì... Sto a riposare e devo ricevere l’agente dell’Enciclopedia! Vitalesta sarà il tuo capoufficio fino che gli pare, ma tu non sei il suo schiavo da far subito quello che dice... Cri stina comincia appena a sillabare, che se ne fa del l’Enciclopedia? Lascia fare a me, lo sistemo io... Sei il solito, sempre il terrore di Vitalesta! Va bene, ciao, caro!... (Rimette giù il telefono e torna in pol trona a leggere. Entra dalla porta di fondo Nadia: è in vestaglia e a piedi nudi, con i capelli un po’ disordinati. La vestaglia è molto grande per lei, ne ha rimboccate le maniche; evidentemente la vesta glia è della signora Mastropaolo. La signora si rizza sulla poltrona) Nadia, che ha? Nadia — Dell’altro cognac. La signora Mastropaolo — Lo prenda pure! Beva! (Nadia al mobile bar prende la bottiglia, riempie il bicchiere e beve un sorso). Nadia — Ha delle fotografie francesi. Dice che GIAN PAOLO CALLEGARI a Parigi ha visto in una « boìte » degli uomini che, vestiti, non si distinguono dalle donne! La signora Mastropaolo — Gli lasci le sue ma nie. Chi è ricco può avere le manie. (Nadia viene sulla punta dei piedi nudi fino davanti alla signora, sì mette a sedere in terra). Nadia —- Con quella pelle livida, piena di lentig gini, mi fa venire in mente un morto annegato che ripescarono a ponte Garibaldi... La signora Mastropaolo — Nadia, basta! Lei può fare quello che vuole. Io sono semplicemente una persona che presta gentilmente la sua casa. (Na dia si rialza, torna a versarsi altro cognac che in ghiotte in fretta). Nadia (ride con aria stralunata) — Lo sa che è una trovata l’accompagnamento di « lezebel »? Una cosa da film muto!... Ah! Ah!... (Esce reggendosi alta la vestaglia e accompagnando il motivo del grammofono con la bocca chiusa. La signora ripren de a leggere. Si odono i rumori di un tram che passa, di alcune macchine. Dopo poco un discreto colpo di campanello alla porta. La Mastropaolo posa il libro, chiude il mobile bar lasciato aperto da Nadia e dà un giro di chiave alla porta di fondo. Seccata va ad aprire intanto che la canzone finisce. Si ode la porta di casa aprirsi, le voci nel piccolo ingresso). Franco (voce dall’ingresso) — Buongiorno, signora. Permette? Sono dell’Enciclopedia dell’Infanzia. Le ha telefonato il commendatore Vitalesta. La signora Mastropaolo —• M i scusi, non mi interessa. La bambina nostra è ancora piccina. Franco — Se lei mi lascia parlare un momento solo, vedrà che l’enciclopedia la interessa. (Franco entra dalla porta di destra, mentre la signora Ma stropaolo lo segue seccata e preoccupata). La signora Mastropaolo —- M i pare che non sia questa la maniera! Non so nemmeno chi lei sia ed entra per forza nella mia casa. E’ maleducazione, è... non so come qualificarla... Franco — Violazione di domicilio, dica così! (La signora appare agitata). La signora Mastropaolo — Se non avesse tele fonato poco fa mio marito, avvertendomi che lei veniva.... Franco — Urlerebbe, chiamerebbe aiuto! (Le porge una tessera) Guardi, sono un giornalista. (La signora cerca di contenere la sua ansia crescente e rende la tessera). La signora Mastropaolo — Non so come la posso interessare io per il suo lavoro... In ogni modo non c’era bisogno di questo strano giro. (Siede in punta della poltrona, Franco resta in piedi). Franco — Lo perdoni, questo strano giro. Se ve nivo come giornalista, forse nemmeno la trovavo in casa. La signora Mastropaolo — Mi ha trovata per un pelo. Sto uscendo, devo andare a prendere la mia bambina. Franco — La disturberò per poco. Vede che non siedo nemmeno? Sono poche domande. La signora Mastropaolo — E lei crede che io sia obbligata a rispondere? A lei? (Franco va in giro, nota i bicchieri sporchi di cognac, li annusa, poi viene a sedere davanti a lei) Solo per un riguardo al capo ufficio di mio marito non la caccio fuori. Ma glielo dirò che le sue amicizie... Franco (prende su il mozzicone del sigaro lasciato dal signor Gino, lo guarda nuovamente e nuovamen te lo posa) — E’ sola in casa? La signora Mastropaolo (adiratissima) — La prego! Franco — E’ una domanda offensiva? Non mi pare. Alludevo ai bicchieri di cognac, al sigaro avana. La signora Mastropaolo — Devo render conto a lei se in casa mia ricevo delle amicizie? Siccome pare che qui comandi lei, le dirò che sono sola, che esco subito e che lei ora se ne va. (Ricomincia il disco di « Jezebel»). Franco (tamburellando con le dita sid tavolo) — E’ quasi un invito a ballare. La signora Mastropaolo — La domestica... Franco —■ Allora non è sola. La signora Mastropaolo — La domestica non la conto. Credevo alludesse agli amici che mi sono venuti a trovare prima. M i faccia un piacere: con cluda, ché io devo uscire. Franco — Lei conosceva Edda Mariotti? La signora Mastropaolo —■ Mai vista... Ed ha fatto tutta una manovra per venire a rivolgermi que sta domanda? Franco —• E il signor Lello Mesehiari? Un gio vanotto biondo, molto gagà, con la macchina ame> ricana? La signora Mastropaolo — Non so nemmeno chi sia. Ha bisogno di fare queste domande a me? In tutta Roma io sola dovrei conoscere quel signore e la Mariotti. Della Mariotti ho letto sui giornali, ho visto sui giornali le foto ed ho parlato io, come tutti... Franco — Per ferragosto lei era a Fregene con la bambina e la cameriera. Frequentava lo stabilimento «Augusta Pineta». La signora Mastropaolo — Esatto. E con ciò? C’era anche lei? M i ha vista? Franco — C’erano Lello Mesehiari ed Edda Ma riotti. La signora Mastropaolo —■ C’erano altre mille persone che non conosco e che non conoscono me. Franco — Eppure Mesehiari conduce con la mac china all’angolo della sua strada una ragazza che spesso viene da lei. La signora Mastropaolo — Che entrerà nel mio portone. Siamo circa cinquanta inquilini. Franco —• Entra nel suo portone e viene da lei. Stia tranquilla che ne sono certo. Le preciserò che l'ultima volta fu sabato scorso alle sei. La signora Mastropaolo (ride per celare l'inquie tudine) — Lo sa lei che è divertente? Non mi era mai capitato di incontrare un giovane giornalista, diciamo un apprendista, nell’esercizio delle sue fun zioni. Mi sembra un cane da caccia ancora cucciolo quando viene addestrato! (Ride) Mio marito è cac ciatore, sa... Quando vedo Vitalesta, voglio proprio farmi due risate... Franco —• Io invece non me le faccio... La ra gazza che viene qui conosceva la Mariotti. La signora Mastropaolo — Ascolti. Prima ho preso tutto per gioco, ora comincio a seccarmi. Se lei ha bisogno di fare dei colpi sensazionali per la sua carriera, giri al largo da una madre di famiglia. Sono una signora rispettabile, la moglie di un fun zionario; e non intendo che lei venga a mettermi lo scompiglio in casa con dei ridicoli sospetti. Franco — E’ strano questo suo modo di parlare di sospetti. Se io, conoscendo lei, la Mariotti o i suoi amici, volessi chiederle i gusti che aveva, chi frequentava? La signora Mastropaolo — Essendoci di mezzo una povera ragazza equivoca, uccisa dagli stupe facenti e dalle sevizie, viene subito da pensare al peggio. Francp — Mi dica. Conosce una certa Marcella Geratq? La signora Mastropaolo — Basta, insomma. Ba sta con queste domande. Non conosco nessuno. Franco — E’ la ragazza che viene da lei. La signora Mastropaolo —■ Chissà da chi va, qua dentro, da me no. Se lei fosse più vissuto, ca pirebbe con due parole di Vitalesta chi è la mia famiglia, chi ci frequenta. (Suona il campanello alla porta, la signora si alza seccata) M i scusi un mo mento! Franco — Prego! Perché non apre la domestica? La signora Mastropaolo — Sant’Iddio! La do mestica è una paesana che mi fa fare brutte figure! (Esce richiudendo la porta del salotto. Franco si alza in piedi, guarda giù dalla finestra. A un tratto la maniglia della porta di fondo gira, ma la porta è chiusa a chiave. Qualcuno bussa alla porta). Nadia (dietro la porta) — Cognac! Ancora cognac, signora! (Ride e bussa. All’improvviso si apre la porta di destra, entra un uomo sui quarantanni con due giovani bruni: il commissario con due agenti. Lo segue la signora Mastropaolo evidentemente scon volta). La signora Mastropaolo — Vede se è vero? Sto LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI conversando con un giornalista, un conoscente del capo ufficio di mio marito. I l Commissario (che ha riconosciuto Franco) — Tarasca, sempre fra i piedi, lei! Che fa qui? Franco —■ Quello che fa lei, Commissario. La signora Mastropaolo — Non è questo il mo do... La mia è una casa onesta, siamo una famiglia per bene! I l Commissario — La prego di non agitarsi. (Fa segno agli agenti di entrare nella porta di fondo. Gli agenti eseguono mentre la signora balza avanti a loro per impedirlo). La signora Mastropaolo — No! Non lo per metto!... E’ casa mia! (Il Commissario la ferma per un braccio). I l Commissario — Sieda lì e taccia! (Dall’altra stanza si odono voci, un pianto di donna). La signora Mastropaolo —■ Mi lasci spiegare... I l Commissario —• Quando glielo chiederò io. (La signora Mastropaolo si asciuga la fronte sudata con un fazzoletto; il Commissario si rivolge a Franco) Lei ci ha visti giù? Franco —• Non ho visto nessuno. I l Commissario — Sa che le dico : lei è un « fa natico ». Ci è sempre dietro come un cane da caccia. Franco — E se fossi convinto del contrario, che voi seguite me? I l Commissario — Mi faccia ridere! (Di scatto dalla porta di fondo entra ridendo ed agitandosi Nadia in vestaglia e a piedi nudi; è ubriaca. Un agente la sta rincorrendo). Nadia — Signora!... Quanta gente! Il cognac! Tutto qui... il cognac. Franco (la prende per un braccio, dolorosamente stupito) — Nadia! Nadia, che fa qui? L’Agente (a Nadia) — Torni in camera! Si ri vesta!... Le ho detto di andare a rivestirsi! (Fa per trascinarla di là). Nadia (lasciandosi andare a terra) —• Il pensio nante! Ah, ah, il giornalista! Ah che cosa buffa! I l Commissario (all’agente) — Via, di là... E’ ubriaca! Falla rivestire! Nadia (mentre l’agente tenta di tirarla su, sgam betta in terra) — Il giornalista! Ah, ah! Ti piac cio anche ora, che mi hai visto qui! Anche tu vieni qui! Dammi del cognac! (L’agente solleva Nadia di peso e la porta di là, mentre Franco e la signora Mastropaolo sono muti). I l Commissario (a Franco) —• La conosce?... Per ché la conosce? Franco — E’ una ricamatrice che viene dalla mia padrona di casa. I l Commissario (alla Mastropaolo) — Ha da dar mi spiegazioni, ora! (La Mastropaolo tace a occhi chiusi) Perché non parla ora, lei che di solito si agita tanto, si offende? (La Mastropaolo si lascia andare GIAN PAOLO CALLEGARI con la testa sul divano passandosi il fazzoletto sulla fronte) E non faccia la commedia; non serve con il codice... (Il Commissario si rivolge a Franco) Lei è ora che se ne vada. Le notizie le avrà più tardi alla «Centrale». Franco — Commissario, forse posso interessare an ch’io, qui. Potrei avere qualcosa d’inedito sulla fac cenda Mariotti. La signora Mastropaolo —• Della Mariotti io non so nulla! L’ho già detto anche a lei: io non so nulla! I l Commissario — Tarasca, lei parla troppo e a vuoto. Franco — Per la questione Bianchini, quello del la rapina a Ponte Mammolo, fui io a darvi le prime tracce! I l Commissario —• Ne parla come avesse scoperto l’America!... M i ha già scocciato con questo affare Bianchini! (Entrano dentro, sospinti da Un agente, Gino e Marcella. Gino sta ancora annodandosi la cravatta, Marcella piange ed è ancora in disordine). M arcella (scorto Franco, gli si avventa contro) — Tu li hai portati qui... Sei stato tu! (L’agente la trat tiene). Franco —■ Calmati, Marcella! Faccio il mio me stiere, ma non li ho condotti io. Gino — Commissario, io sono una persona che ha una posizione sociale, prima di fermarmi ci do vete pensare due volte... Appena le dirò chi sono io... I l Commissario (a Gino) — Faccia silenzio! (A Franco) Credo, Tarasca, che lei avrà molte cose da spiegarmi. Lei conosce anche quest’altra. Dovremo parlare da soli. Franco — Le ho detto che si trattava di una mia indagine sull’affare Mariotti, ma non credevo di trovarmi addirittura alia scoperta di una casa clan destina... M arcella (in crisi, si butta sopra una poltrona) — Franco, non dirlo a casa! Ammazzi mia madre, se tu parli! (Singhiozza). I l Commissario — Basta!... Basta, stia calma. E mi dia i documenti! (Marcella dà la borsetta. Il Com missario prende fuori la carta d’identità e la scorre) Ah, minorenne! Gino (impaurito) — Io non lo sapevo!... Lei mi ha imbrogliato!... (Indica la Mastropaolo) M i sono sem pre divertito, lo confesso; ma certi pasticci non li ho mai avuti. La signora Mastropaolo — Non lo sapevo nem meno io! M i ha detto che aveva ventitré anni, lo giuro. I l Commissario (a Marcella) —• Commessa, dove? M arcella —• Disoccupata. Gino (porgendo con premura un suo documento) — Guardi, Commissario!... Io sono a posto... Devo andare al ministero del commercio estero. Non posso perdere tempo, parto stanotte. I l Commissario — Lei verrà con me in questura, come gli altri. Gino — Cosa ho fatto io? Sono un uomo come tanti!... Se tutti quelli come me si dovessero arre stare... Telefoni all’onorevole Calvelli, le dò il nu mero... Faccio le forniture per lo Stato... I l Commissario (scorrendo il documento) — Com mendato! Artemisio Belvignana... Milano, vero? Gino — Sì... Guardi, commissario, posso lasciare una « caussione »... uno, due milioni, se vuole... (Fa il gesto1 di prendere il carnet degli assegni) Chieda di me a Milano, telefoni in prefettura a Milano! Conosce il viceprefetto Lisantis? I l Commissario — Guardi, commendatore, qui non c’entrano né cauzione né amicizie. Lei deve venire con me. Gino (disperato) —• Oh, mamma mia! L’è una rovina! Faccio le forniture per lo Stato, capisca! Ho moglie e figli! Figli grandi, nipoti... (Franco sta prendendo appunti e il Commissario lo ferma). I l Commissario —• Lei non scriva nulla. Dopo le sarà dato il comunicato dalla «Centrale». La signora Mastropaolo — Ci mettono il nome sul giornale? Franco —■ Naturale!... M arcella — Il mio non lo mettono, lo so, met tono solo le iniziali, perché io sono minorenne. Ma il suo... (indica la signora) il suo lo mettono tutto. Vedrà! La signora Mastropaolo — Non voglio! Sono una signora di buona famiglia che purtroppo è stata costretta... la vita, oggi... Non mi potete disonorare così... Mio nonno era preside nei licei!... Non voglio! Gino (alla Mastropaolo) ■— Ma non faccia la com media, lei! Lo sa che lei è una bella ruffiana! Ecco, cosa « ci » dico! Anche a me, uno che sta negli affari, ha messo nei pasticci con la storia che quella è minorenne! I l Commissario — Basta!‘ Ora veramente basta! Vi ho lasciato sfogare!... ma la finite subito! Gino (sommesso a Franco) — Io e lei dobbiamo parlare, giovanotto, per la storia del giornale... I l Commissario — Voi non parlerete!... Tarasca, vada nell’ingresso! (Franco non si muove) Vada, le ho detto! (Franco esce dalla porta di fondo). La signora Mastropaolo — La colpa è sua. (In dica Gino) E’ lui che mi ha chiesto di prestargli la casa, io non so nemmeno chi siano queste ragazze. Disse che veniva con due amiche. Gino — Carogna! Falsa! Non è vero! E’ lei che « ci » ha le ragazze e le fa venire qui. Io non so nemmeno come si chiamino. La signora Mastropaolo — Porco! Ma stia zitto! Lei è un degenerato! Ecco cosa è! I l Commissario — Basta! Silenzio! (A Marcella) Chi conosci tu? Chi ti chiama qui? M arcella (indicando la signora) — Lei! Lei mi dà diecimila o cinque, secondo i casi! Lei! (La Mastropaolo ha un moto d’ira). Gino (al Commissario) — Visto? Se lei mi lascia parlare, se le spiego, sono sicuro che mi lascia andare. (Fa per alzarsi). I l Commissario — Stia seduto! (Entra Franco con Nadia e i due agenti. Franco sorregge Nadia) Chi le ha detto di rientrare, Tarasca? Franco — Sta male. Me ne intendo un poco di pronto soccorso. I l Commissario — La faccia sedere. Stupefacenti? L’Agente — Cognac. Una sbornia. (Nadia siede accanto a Marcella ed è come assente. L’agente dà: la borsetta di Nadia al Commissario che ne prende fuori un documento). I l Commissario (dopo averlo scorso) — Maggio renne... ricamatrice... profuga da Pola. Nadia (con un filo di voce) — Portatemi a casa. Sto male! I l Commissario — Ora riposa. Ti riprenderai, è solo cognac. La signora Mastropaolo (indica Nadia) — E’ questa che ha portato l’altra! Nadia (tenta di saltare addosso alla Mastropaolo) — Non è vero! Ti strappo gli occhi! E’ falso! Cagna! (Ricade indietro presa da un capogiro) Ahi! Ahi! I l Commissario — Portatela a bagnarsi il viso! Spruzzatela in testa! (Franco solleva Nadia per condurla di là) No lei! Ci sono gli agenti apposta. Franco — Ha timore che la faccia scappare? (Nadia esce con l’agente). La signora Mastropaolo — Parliamo franca mente, Commissario. A che ora pensa che possa tornare a casa? Ho una famiglia da curare, lo dico per questo. I l Commissario (mentre Franco guarda in giro e si avvicina al mobile bar) — Non dipende da me. Ora andiamo. M arcella (isterica) — Con Tarasca non vengo! Lo mandi fuori! Cosa c’entra lui? Franco — Ti conviene star calma! Io parlerò dopo. M arcella — No!... No!... (Corre verso la finestra. Il Commissario, che teme che si butti, l’afferra e la rimette a sedere di forza). Franco (si volta di scatto, con la foto rovesciata che ha trovato al mobile bar) — Commissario! Commissario, guardi! (Gli dà la foto. La Mastro- paolo ha un moto come per prenderla). I l Commissario (riparandosi dal moto della Ma stropaolo) — Lei sa chi è questa?... E’ la Edda Mariotti... Lei ha qui la foto, con il solo numero telefonico dietro! (La Mastropaolo resta ghiacciata senza rispcmdere). LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Gino — Porca miseria!... Quella che hanno am mazzata! Mi sembrava di averla vista! Era sui giornali!... (Marcella scoppia in pianto isterico, mentre il Commissario nervosamente fruga attorno, nei cassetti e tira fuori altre foto). I l Commissario — Una organizzazione completa, perfetta... Signora Mastropaolo, lei ha cose molto interessanti da raccontare. La signora Mastropaolo (riprendendosi) — Quella ragazza che lei dice essere la Mariotti, venne qui una volta sola. Non la chiamai più, per il suo carattere. Fece una scenata, disgustò un mio conoscente... Le giuro che non so altro di lei. Franco (al Commissario) — Si rende conto che la mia traccia era esatta? I l Commissario — Tarasca, lei sa troppo!... Pro prio troppo, per un cronista. La signora Mastropaolo — Vorrei che mi la sciasse parlare, devo spiegarmi. Gino — Ho delle cose da dire. Io proprio quella Mariotti non l'ho mai vista. I l Commissario (mentre rientra Nadia sfatta e barcollante con l’agente) — Avranno tempo di spiegare tutto alla «Centrale». (A Nadia) Come stai, ora? Nadia — Mi riporti da mia madre. Franco —■ E’ un caso pietoso. Conosco le sue condizioni, Commissario. I l Commissario — Tarasca, è qui a fare l’avvo cato difensore?,.. Anche lei dovrà spiegare come conosce le due ragazze, come sa che certi agganci della Mariotti erano qui... Franco — Marcella Geratti è la mia padrona di casa... Lei ha Ietto sul mio giornale la storia di quella signora che cura sciatiche e lombaggini con punture di spillo?... E’ una cura cinese che risale alla dinastia dei Ming! M arcella (fremente) — Basta!... Non parlare!... Non ti posso sentire! I l Commissario (facendo cenno agli agenti) — Andiamo! (I due agenti fanno muovere Gino, la Mastropaolo e le due ragazze). La signora Mastropaolo —. Non posso venire, io. Si renda conto, la bambina è fuori con la cameriera e non sa nulla. Mio marito mi attende alle otto e mezzo... I l Commissario — Suo marito sarà avvertito!... Tarasca, lei vada avanti. Non voglio dare nel l’occhio, uscendo. (Franco si muove). M arcella — Faccia andare avanti anche me, Commissario. Vado con Franco, sembrerà naturale... La signora Mastropaolo — Non voglio che mi vedano gli inquilini... Non le chiedo molto, sol tanto un po’ di comprensione. I l Commissario — Usciremo a gruppi, nessuno GIAN PAOLO CALLEGARI farà caso se loro non danno in smanie. La macchina è oltre l’angolo del palazzo. Prendiamo l’ascensore... Non daremo nell’occhio, potete stare certi!... Il commendatore e te. (Indica Marcella e fa cenno ad un agente. Gino, Marcella e l’agente se ne vanno, ma Gino si volta sulla 'porta verso Franco). Gino —• Anche per me mettete le sole iniziali del nome, vero?... Non è un reato il mio... Dovrebbero capire certe cose. Un uomo che ha quarantanni di lavoro onesto, una posizione... Lo capite che se mettete il mio nome le banche chiudono lo sconto?... Per una piccolezza come questa, tanto per divertirsi un po’... Mentre certi mascalzoni restano fuori!... E’ un’ingiustizia che si usa solo in Italia! I l Commissario — Vada, le ho detto! (L’agente tira Gino per il braccio ed esce con lui). La signora Mastropaolo — Vorrei telefonare a mio marito! (Il Commissario annuisce ma si avvicina al telefono con lei, mentre Nadia e Franco sono in piedi accanto alle poltrone con Vagente vicino. La signora fa il numero e ne ha la comu nicazione) Sì!... Stanza 26, cavalier Mastropaolo... Bibi, sono io... Bene, bene... Non attendermi, ho molto da fare... Passa ai giardinetti a prendere Cri- stianella... L’Agente dell’Enciclopedia dell’Infan zia!... Sì, sì... Ho fatto l’abbonamento... Un piccolo contrattempo... Tarderò!... Ciao! (Mette giù l’appa recchio, si volge al Commissario) ... Ecco, posso andare... (Si muovono per uscire: Nadia si arresta). Nadia (isterica) —- Franco, lei metta pure il mio nome. Do il vomito, lo dica!... Lo dica! Franco — Stia tranquilla, Nadia! Stia calma, su! (Le strìnge il braccio). Nadia —• Lei mi faceva la corte!... (Ride) Ora almeno le sono passati i bollori, spero! Franco — Basta, Nadia!... Lei ha bevuto. Nadia — Scriva quello che faccio!... Ma lo dica che è per la miseria!... Lo metta nel titolo, in grande!... Questa è la croce di guerra delle disgra ziate d’oggi. A T T O T E R Z O (Un ufficio della Questura: bianco, nudo, triste. C’è un globo bianco da luce acceso al centro, tre o quattro sedie in fila sulla sinistra, un armadio archivio sulla destra, un tavolo sul fondo in angolo a destra con sopra pratiche a fascio e un telefono. Alle pareti ci sono un paio di brutte stampe e, molto evidente, uno di quei manifesti emanati dalle questure per qualche ordinanza di polizia. Un uscio è a sinistra, un secondo è sulla parete di destra; su questo, la suoneria di un campanello che evi dentemente funziona all’interno. Al tavolo siede un agente in borghese, un tipo dall’aria annoiata e neutra. Sulle sedie a sinistra sono sedute vicine Marcella e Nadia, vestite come furono sorprese nella casa della Mastropaolo. Passeggia avanti e in dietro con aria nervosa e preoccupata Gino, il commendatore milanese). Gino — Ci sarà da perdere ancora molto tempo?... Sono già quattro ore... Lo S critturale — Non lo so, dipende dal Com missario. Gino — Perché se perdo l’ultimo rapido, nemmeno domattina arrivo a Milano... E ho la riunione alla Camera di Commercio... Potrei fare una telefonata? Lo Scritturale — Da qui no. Gino — Esco un momento... Devo telefonare alla direzione generale del Commercio Estero, se no... Un minuto... Lo Scritturale — A quest’ora negli uffici non c’è più nessuno, Gino — Lo dice lei. Va bene che siamo a Roma, ma mica tutti sono dei fannulloni... Le « esportas- sioni» sono delle cose serie anche qui... E’ una cosa urgente, capisce? Lo Scritturale — Non posso farla uscire. (Gino dando segni di sconforto riprende a passeggiare tor nando verso le ragazze sedute). M arcella —■ Senta, signor Gino, lei che ha delle amicizie in alto... Le vorrei chiedere... Gino — E’ meglio che non chiedi niente. Ho proprio voglia di le « raccomandassioni », adesso... Se sapevo che « te » eri minorenne, mica ci venivo... Adesso, per una bambocciata da ridere, che figura ci farò? (Siede anche lui). M arcella (allo scritturale) — Ehi, senta! E’ una cosa grave la mia? Lo Scritturale ■—• Beh... ci può essere la casa di correzione fino alla maggiore età. M arcella (a Nadia) —• Cosa vuol dire? Nadia —■ Rinchiudono in una specie di collegio fino ai ventun anni. M arcella — Io li compio fra tre mesi, ma sarebbe lo stesso una mazzolata. Gino — Non potevi trovarti un lavoro di qualche fatta, invece di far quella cosa? M arcella —■ Lei le prediche le faccia a Milano... Mica parlava così oggi pomeriggio quando sta vamo insieme, con la musica che le piace a lei. Ora è la fifa che parla. Me lo trova lei un lavoro da fare una vita come si deve? Lei il lavoro me lo ha trovato subito oggi pomeriggio, caro il mio signor Gino! Gino — Finiscila! E sta’ almeno a modo qui den tro... (Un attimo di silenzio). Nadia (a Marcella) — A te il nome sul giornale fare non lo mettono, sì e no mettono le iniziali dicendo «una minore di età». M arcella — Tu non hai il fidanzato, che te ne importa?... A me dispiace per Lello, se lo viene a sapere. Nadia — Le mie sorelle... quelle hanno diritto di aspettare ancora qualcosa... Quando si saprà tutto questo, che disastro... M arcella — I miei che hanno da dire? Tutti i giorni mi chiedevano soldi, sempre soldi. Non ero io che mandavo avanti la baracca? Hanno poco da parlare... Per Lello mi dispiace... Più che per Lello, che è un ragazzo moderno e che, innamo rato com’è, anche si rigira facile, mi dispiace per i suoi. Se lo sanno, come fa a sposarmi? Nadia — Vedrai che non lo saprà nessuno. Gino — Siete anche un paio di sfacciate! Nadia — Lei può stare zitto, lei!... Tutto questo non capita perché ce gente come lei? Gino — Senti che roba? Siete voi che vi fate offrire con le fotografie alla mano, le foto con tutto di fuori, proprio da mostrarvi come le bestie al mercato... La gente come me tira fuori fior di biglietti da mille per la debolezza di uno svago, una volta così, là, e poi tutta la colpa è nostra!... Lo Scritturale — Prego, parlino piano! C’è il Commissario nella stanza vicina. Nadia (dopo un breve silenzio) •—- Dentro deve esserci sempre Franco. M arcella — Se esco di qui, appena a casa gli butto tutta la sua roba dalla finestra. E’ stato lui ad armare tutto il pasticcio. Nadia — Forse è stata gelosia per te. M arcella — Per me? Non lo hai ancora capito che sta dietro a te e che voleva vedere dove andavi, cosa facevi? Bel macello ha combinato. Ora il gusto se le cavato e se aveva la cotta non deve restarci bene. Così impara... Secondo me, se uno si innamora deve prendere le cose con un occhio aperto e uno chiuso e non cercare di sapere troppo, per stare in pace... Chi è la donna che non ha la sua coda di paglia al giorno d’oggi, sia pure una pagliuzza sola come le cannucce da bibita? Nadia — Mi dispiace anche per lui... e per me. M arcella — Vienimi a dire, ora, che ti sei inna morata di quel cretino imbroglione! Nadia (incerta) — No, innamorata no... Però è sempre stato carino con me... Da ora è meglio che non ci pensi più... Gino (si alza in piedi di scatto e torna verso lo scritturale) — Senta lei, io proprio non posso re stare qui senza dar notizie... E’ una cosa impor tante, sono atteso al ministero... Telefoni lei se non si fida... Ecco il numero... (Glielo scrive su un pezzo di carta) Chieda del dottor Scorappa e dica che il commendator Belvignana non arriverà alla riunione LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI perché ha avuto un incidente di macchina... (pren- dendo fuori mille lire che allunga sul tavolo) senza conseguenze... e ossequi, dice... Lo Scritturale (allontana le mille lire che il Commendatore riprende con un gesto vago e co mincia a fare il numero e poi posa ancora il rice vitore) — Occupato!... (Il Commendatore riprende a passeggiare per la stanza. Si ode oltre l’uscio di destra la voce del Commissario che grida). I l Commissario (voce fuori scena) —• Basta! Le ho detto basta, mi capisce? M arcella — Si arrabbia con Franco. Nadia — O con la Mastropaolo. M arcella — Già, tu difendi Franco, col bel servizio che ti ha fatto... Credi che alla questura facciano piacere questi ficcanaso di giornalisti? Gino —• Voglio vedere se mettono il mio nome. Faccio una causa per diffamazione e chiamo tutti i giornali ai danni... Voglio vedere! Cosa si cre dono che per una cosettina così si possa mettere a rischio di perdere il credito bancario un indu striale? Metto di mezzo della gente che non la sognano nemmeno. Lo S critturale (che intanto ha provato ancora il numero, con un gesto verso il Commendatore) —- Ecco libero... (Gino si appressa sollecito) Pronto, pronto!... Il dottore Scaroppa?... Gino (suggerendo) — Scorappa!... Scorappa! Lo S critturale — Il dottore Scorappa... Pronto, sì... senta... il commendator Belvignana ha avuto un piccolo incidente di macchina e non può ve nire... Nessun danno alle persone, stia tranquillo... Sì... E’ la questura centrale che parla! Gino (fa segni di disperazione mentro lo scrittu rale finisce e posa il ricevitore; poi scoppia) — Lei è pazzo! Capisce cosa mi ha combinato? Que stura centrale! Lei è due volte pazzo! Al dottor Scorappa, ma Gesù Bambino! Lo Scritturale — Cosa cerca lei? E tenga la lingua al suo posto con certe offese! Le faccio un piacere che non potrei nemmeno... Gino — Bel piacere!... Va a dire questura centrale al capo gabinetto... Lei mi ha rovinato!... Un indu striale con un movimento di seicento milioni l’anno... le banche, gli uffici all’estero... Proprio non capite nulla, il rispetto del cittadino che paga le tasse, e che tasse... milioni, milioni! Lo S critturale — Faccia il piacere di tacere, altrimenti chiamo il vicecommissario di servizio... Basta!... Gino (tornando a sedere intimorito) — Che roba!... Che roba!... (Dall’uscio di sinistra entra un agente che sì avvicina a parlare piano allo scritturale). Lo Scritturale (a Marcella) — Lei, signorina, vuole darmi le generalità? M arcella — Geratti Marcella, di Antonio e di GIAN PAOLO CALLEGARI Cosimati Concetta... (Lo scritturale scrive e dà il biglietto all’agente che esce ancora da sinistra). Nadia (a Marcella) — Hai sentito che ha detto?... C’è di là tuo padre. M arcella —• Non mi fa paura. Quando uno sta in casa a fare i solitari di Napoleone aspettando la manna dal cielo e dai suoi amici ufficiali a riposo* non ha diritto di parlare. Nadia — Franco non si occuperà più di me, per l’appartamentino alle case popolari... Poi, dopo que sta faccenda, nemmeno me lo darebbero più. Chie dono informazioni. Gino — Senta, brigadiere, parliamoci chiaro... Se è l’affare di quella faccenda con queste due ragazze, è una stupidata che non ho da stare qui una notte intera... Se poi è perché hanno trovato la fotografia della Mariotti là nella casa e ci sono altri pasticci, io ho il diritto di parlare con qualcuno perché non ne so niente. Le sembra?... Lo Scritturale — Lei è qui apposta per parlare quando verrà interrogato... (Suona il campanello sulla porta di destra e lo scritturale va alla porta, la apre e la sorpassa di un passo e poi fa un gesto fuori verso il commendatore) Ecco!... Tocca a lei!... (Gino entra oltrepassando lo scritturale che richiude alle sue spalle la porta; restano sole le due ragazze, Nadia, agitata, si strìnge di più a Marcella). Nadia (sommessa) — Marcella!... Marcella!... M arcella — Che c’è?... Nadia — Ho paura, Marcella... ho paura... Tutto questo, tutte le ore che siamo qui senza sapere nulla, non sono mica per il fatto di noi e del commendatore, lo capisci?... E’ per la storia della Mariotti. M arcella — A noi cosa deve importare?... Noi non centriamo e se l’abbiamo conosciuta, non vuole dire nulla. Nadia —■ Tu non mi capisci.. Qui c’è di più, me lo sentivo!... Possono arrestarmi. M arcella — Allora tu sai qualche cosa. Nadia — L’altro giorno, quando venni a dormire a casa tua, non ti dissi la verità. M arcella — Cosa te accaduto, Nadia!... Non metterai nei pasticci anche me? Nadia — Non è prudente parlare qui... Sta’ attenta quando ti chiamano. Parla poco, rispondi soltanto a quello che ti chiedono sulle riunioni in casa della Mastropaolo.. Del resto non sai nulla. M arcella — Lo sai che sei picchiata?... Io non so niente davvero. C’entra anche la Mastropaolo per via della foto? Nadia — Marcella sta’ zitta! Sentissi cosa provo dentro!... (Si riapre la porta di destra e toma lo scritturale con delle carte verso il tavolo). Lo S critturale (a Nadia) — Gregòric Nadia di...? Nadia — Fu Nicola e di Palmaro Velia. Lo Scritturale (scrìvendo) — All’anagrafe non risulta. Dove domiciliata? Nadia — A Roma, qui, credo. Sono profuga dal- l’Istria. Le ultime volte che richiesi dei documenti fu a Udine. Lo Scritturale — Un bel pasticcio... Ci sarà da fare un fonogramma alla questura di Udine... Pro fessione? Nadia — Ricamatrice. (Lo scritturale scrive stando in piedi. Si apre ancora la porta del Commissario sulla quale si affaccia un agente che fa passare Lello dall'aria disfatta. Marcella sobbalza doloro samente stupita ma non parla). L’Agente — Lei resti qui!... (Mentre l’agente sta per richiudere la porta, lo scritturale si avvicina. Sì ode la voce del Commissario all’interno). I l Commissario (voce dalla stanza) — Mi ascolti e prima di rispondere ci pensi. Che giorno fu?... Lo Scritturale (verso l’interno della stanza del Commissario) — Permesso? I l Commissario (voce dall'interno) — Avanti!... Avanti!... (Lo scritturale entra e richiude alle spalle. Marcella si alza subito avvicinando Lello che in piedi accende una sigaretta con le mani tremanti). M arcella — Perché sei venuto qui?... Cosa fai qui?... Lello — Non rompermi l’anima, ora. Lasciami perdere. M arcella (angosciata) — T i hanno detto?... Lo so, non andava fatto... Non volevo chiedere nulla a te... T i sembra che venissi a raccontarti tutti i guai di casa mia?... M i avresti piantata perché gli uomini non hanno gusto alle lagne... Era l’ultima volta, se la cura cinese di mia madre andava... Poi non ci sono mica stata molte volte, cosa ti credi... Tu non lo dici a tua sorella, vero?... Lello — Che s’importa mia sorella di te!... Non sa nemmeno che tu esista. M arcella — Cosa vuoi dire? L e llo — Che la pianti con questi discorsi perché io non ti ho chiesto nulla. Tu puoi andare dalla Mastropaolo sei volte al giorno che non m’importa. Meglio per te, a diecimila a round, no?... M arcella — Se tu mi avessi voluto bepe, quando venisti a casa mia la prima volta... Lello — Vuoi mollarle queste sciocchezze?... Credi proprio che ti avrei sposata anche se non saltavano fuori le maratone sui letti della Mastropaolo con i vecchietti milanesi dalla grana?... Tu hai le pigne in testa. Tu stessa dicesti che mi presentavi in casa per salvare la faccia con i tuoi che sono all’antica. E allora?... Sì, poteva durare più o meno, perché io questa manfrina del fidanzato non la sentivo proprio... Sta’ attaccata alla Mastropaolo, mi fai un piacere! M arcella — Ho capito. Meglio parlare chiaro, ho sbagliato io. Lello — Non hai capito nulla, scema!... Tu credi che io sia così perché mi sento sturbato dalla sco perta che tu fai la marchettara professionale. Non è così, mettitelo in testa. Che tu andassi là, io lo sapevo o quasi. Ti ho mai fatto capire nulla e che me ne importava? M arcella — Sei un mascalzone!... Sei più sudicio di me!... Guarda, io sono sudicia, sai, con quello che ho fatto, ma tu sei peggio, tu fai schifo, perché tu i soldi li hai; io invece certe cose le faccio perché spesso non mi ritrovo nemmeno le trenta- cinque lire del filobus... Fai schifo! Lello (le storce un braccio per farla sedere e si siede alla sua volta vicino, fra lei e Nadia. Marcella si libera il braccio; luì farla fiano) — Tu sei una serpe... una serpe!... Tutti questi discorsi per fin gere che non sai nulla delle cose grosse che ci sono qui, delle carognate che mi hai fatto!... Cosa hai detto di me e della Dede Mariotti? M arcella —• Io non ho parlato. Nadia (sobbalzando) — E’ stato interrogato sulla faccenda Mariotti?... Mi dica. Lello — Sono qui per questo!... Mi sono venuti a prendere a casa. E tutto questo perché questa cre tina avrà detto che a Fregene l’estate scorsa io mi fermavo con la Mariotti. M arcella — Ti giuro che non so niente. Non ho parlato di nulla. Lello — Mezz’ora di domande e poi non è ancora finita. La gelosia! Ma di che cavolo sei gelosa, se tu vai con tutti, capi e porci per una carta da diecimila e sai bene che ho almeno cinque donne prima di te... Più siete puttane e più siete illuse! M arcella — Lello, bada che te la faccio pagare! Lello — Che vuoi farmi di più?... Mi hai tirato dentro questo pasticcio. Nadia (a Lelloj — Hanno fatto anche il mio nome?... E altri nomi di gente che conosce? Lello — Un sacco di domande. Una grandinata senza lasciarmi fiato. Nadia — E il mio nome? Lello —• Lei cosa c’entra? Nadia — Io... nulla. Ma sentivo che andavano più in là, e chissà come finisce! M arcella (a Nadia) — Sei tu allora che hai par lato!... Dillo, almeno dillo! Nadia — Non ho parlato. Con chi potevo par lare se io e te siamo state sempre insieme? M arcella — Non è vero. Ti sei fermata un mo mento con quell’agente alto nella prima stanza dove ci hanno fatto passare. Allora hai parlato. Dillo a Lello... (A Lello) Non m’importa di te, perché già mi dai il voltastomaco, ma le colpe che non ho non le voglio. LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI Nadia — Non ho parlato, lo giuro... (Si odono voci oltre la forta di sinistra) Fate silenzio!... (Tac ciono un foco) E’ un macello! M arcella (fiù focata a Lello) — Avrei preferito che mi avessi sputato in faccia, che mi avessi dato calci nella pancia... Almeno voleva dire che mi volevi bene. A questo punto non. mi pento di essere andata dalla Mastropaolo; mi dispiace soltanto di non avere accettato i soldi da te, di non averti pelato come ti meriti... Ed io, cretina, che credevo al fidanzamento, perfino al matrimonio o almeno di yenire a vivere nella tua garçonnière appena fossi stata maggiorenne! Che cretina sono! Lello —• Ora non mi fare la lagna romantica. E non dire più idiozie quando parlerai. M arcella — Se mi vuotassi invece lo stomaco con il commissario? Ne so un diluvio su di te, il mio pischello! Se sono sporca io, credi di essere pulito te? Tutti i pasticci con Fabio e l’americana? Lello — Sta’ zitta! Nadia —• Non fate nessun nome, per carità! Mar cella, ti prego! M arcella (trionfale) — Che fifa! Di che cosa devo avere paura io? M i hanno trovata con un uomo e sono minorenne. Mi fucileranno forse? Va peggio per chi è venuto a letto con me, per chi mi ha portato là dentro. Sapete che oramai io mi diverto? Nadia — Marcella, non parlare. Tieni i nervi a posto. Non sai... tu non sai niente. Lello (a Marcella) — Comincia a calmarti e non fare sciocchezze. M arcella — E se le faccio, ora che mi hai mostrato la tua vera faccia? Se le faccio per il gusto di vederti nei guai fino ai capelli, con tutte quelle arie che hai? Lello — Se non le fai, ti farò avere dei soldi, anche per casa tua. Credo che ti serviranno. Se le fai, si scoprirà subito che sono soltanto delle cattiverie. M arcella — Però non ti fidi, perché sai come stanno le cose tue e sei pronto a scucire. Hai ra gione, è meglio farsi pagare da te, senza compli menti. Lello — Come ti sei fatta pagare dagli altri, da quel vecchio porco di milanese, senza complimenti. Nadia — Non litigate, dobbiamo stare tutti calmi e d’accordo. E non fate il mio nome, mi raccomando. Lello — Bel discorso! Chi ha fatto dei nomi per mettere nei guai chi non c’entra? Lei, tu, chi dia volo lo sa!... C’è anche la madre della Dede Mariotti. Nadia —■ Lei l’ha vista? Lello — No, ma se va così credo che ce la faranno vedere a tutti. GIAN PAOLO CALLEGARI Nadia (agitata) — Io non voglio vederla! Non vo glio! (Si lascia andare riversa sulla sedia). M arcella —■ Che hai? Nadia •—• Mi sento male... E’ la testa... (Si riapre la porta di destra ed entra lo scritturale, mentre i tre si ricompongono. Lo scritturale va a sedere al suo posto e solleva il ricevitore del telefono). Lo Scritturale — Pronto! Dammi la centrale di Udine, subito. M arcella (a Lello) —■ Dammi una sigaretta. (Lello gliela porge, lei se l’accende da sola). Lello (sforzando un tono indifferente) — Oggi, con queste storie, ho dimenticato di riempire le sche dine del totocalcio. M arcella — Ne facciamo una insieme da sei appena usciamo. Stanno aperti fino a mezzanotte il sabato. Lello (allo scritturale) — Per favore, sa per quan to ne avremo ancora? Lo S critturale — Mica sono il Commissario, io. E forse nemmeno lui lo sa. Lello — In questa faccenda io non c’entro pro prio. Posso avvertire il mio avvocato? Lo Scritturale — Non può avvertire nessuno... (Suona il telefono) Pronto! Ah, bene, Udine! Passa al Commissario, subito. (Posa l’apparecchio. Si ode un pianto oltre la porta del Commissario). Nadia (agitata, si alza, ascolta verso la porta) — Chi è che piange? Lo Scritturale — Sono pregati di lasciarmi in pace!... Ho da lavorare!... Sarà la madre della Ma- riotti, che ne so?... E stiano in silenzio perché qui non sono a fare salotto! Capito? Nadia (scoppia a piangere anche lei) — Non ne posso più! Non ne posso più! Lo S critturale (si alza e l’awicina) — Si calmi, andiamo! Si calmi! (Nadia si lascia andare sulla se dia con singhiozzi trattenuti. Si apre di scatto la porta di destra e appare il Commissario). I l Commissario —■ Che sono questi strilli? Lo S critturale — La ragazza. E’ stato un colpo così, che so... (Fa un gesto vago). I l Commissario (a Nadia) ■—• Se non la smetti con queste scene isteriche, ti faccio chiudere in ca mera di sicurezza! Vedrai che ti calmi! Poi parle remo. Hai molte cose da raccontarmi tu!... Tu e questi due signori!... Nadia (singhiozzando) — No!... No! (Improvvise luci dal proscenio, proiettandosi sugli spettatori, fan no da tela per la durata del cambiamento di scena che deve essere velocissimo e coperto con rumori di fondo: dei motori di jeeps della polizia che si mettono in moto e che poi si allontanano con ru more di sirene fino a scomparire). C// // u H < o 3 ve m Ui N N < G < K Ui -J < o Ui 2 2 o G < _l < Ui G O Z Ui Q. (L < « H H O G W Ui X G O ve ve ui IL Lettore, appendice, questa volta; non introduzione. Bisogna aver letto la com media per intendere le parole che l’autore la seguire alla pubblicazione della sua opera. E su due punti dell’appendice stessa richiamiamo l’attenzione: primo, dove l’autore dice “ Per troppa parte di teatranti, dal 1940 in poi non è avvenuto nulla e cadano pur bombe atomiche sui fioriti prati dell’arte; la biancovestita musa della Prosa se no va saltellando a cercare quadrifogli ” ; secondo, nella messa a fuoco del problema attualo del teatro di prosa: “ E’ un ferro che scotta? Scotti pure: ma tutti ci siamo ogni giorno attorno alle vampe di questo ferro. Abbiamo da riconoscerci in questi personaggi, e riconosciamoci per giudicare una società nostra squilibrata fra il volere e il potere, fra l’essere e il sembrare ” . Una commedia non ancora rappresentata non ha storia e non ha cronaca: il mio teatro __poco ma esplosivo — ha generalmente avuto la sua piccola storia dal momento che i copioni hanno lasciato il mio tavolo di lavoro. Non poteva mancare la stessa sorte a Le ragade bruciate verdi che con questo titolo ha diviso un « affettato » Premio Marzotto e con quello di Morte di un borghese galantuomo ha incontrato una segnalazione al Premio Riccione. Due titoli che, per poco, non davano vita ad un terzo, I l giro, di gusto del mio amico Ridenti. La storia dei miei lavori, in generale, comincia proprio dai titoli. Quando la Presidenza del Consiglio nel 1948 premiò il mio Cristo ha ucciso, Silvio d’Amico venne a chiedermi a nome della commissione giudicatrice che mutassi il titolo in Uccisione di Pilato; ma per la rappresentazione a Venezia alla Fenice durante il Festival della Prosa, Salvini ottenne — appoggiato dall’onorevole Ponti, presidente della Mostra — che si tornasse al titolo originale. Però un mese dopo, quando il lavoro passò al « Cambridge Theatre » di Londra, una pubblica ordinanza del Gran Ciambellano della Corte di San Giacomo in nome della Regina d’Inghilterra — che conserva fra le regie prerogative quella di regolare la censura — vietò il titolo primitivo e così, dopo una polemica che mi diede popolarità londinese più del mio merito, si varò per il teatro anglosassone Uuomo che uccise Pilato. Le ragade bruciate verdi ■— se autorevoli voci di corridoio sono esatte —- ha sfiorato sia a Riccione che a Valdagno il massimo premio ; discussa e rivoltata da ogni parte, la commedia ha fatto paura ed è scesa in graduatoria. È stato detto che si valeva di una materia ancora scottante per riferimento a fatti veri, recenti e discussi; è stato detto che non aveva quel l’alito di poesia che supera la brutalità degli avvenimenti e lancia il messaggio nel tempo. Queste critiche — se sono vere — mi hanno fatto piacere e sono state interessanti spunti polemici al convegno degli autori drammatici a Saint Vincent, non soltanto per un mio intervento, ma anche per qualche discussione proprio sul mio lavoro e per un dibattito abbastanza vivace sulla impostazione di un teatro italiano moderno e aderente al nostro tempo, mosso da scrittori interessanti come Bompiani, Vasile, Calendoli, ecc. Credo che si debba avere il coraggio di parlare di un « teatro di cronaca » e di ridimen sionare il concetto teatrale di poesia. Il nostro teatro da qualche anno sembra staccato dalla vita e dalle arti più vicine — come narrativa e cinema — che nella vita hanno bene affondato le radici ricavandone successo artistico e di pubblico. Per troppa parte di teatranti, dal 1940 in poi non è avvenuto nulla e cadano pur bombe atomiche sui fioriti prati dell’arte; la biancovestita musa della Prosa se ne va saltellando a cercare quadrifogli. Per me non è così; e con me sono molti. Credo che debba nascere un teatro aderente al costume, ai problemi, ai drammi, alle ironie del nostro tempo e credo che il pubblico sia disposto a seguirlo e ad appassionarsi. Quando si parla di successo presso di noi, del teatro americano, si ammette proprio questo, perchè in buona parte il teatro americano è una presa di posi zione più o meno polemica su fatti di vita e di costume attuali, vivacemente connaturati alla società di quel paese. L’idea di « cronaca » fa paura ai teatranti perché sembra dimessa, volgare, a chi ancora crede di potere — e purtroppo non può — seguitare la solennità di forme e di eloquio dei classici. Si dimentica così che i grandi classici erano nella attualità, nel realismo — diciamo pure nella « cronaca » — del loro tempo ; c’era Goldoni quando scriveva sul Caffè, ambiente scottante ed esplosivo per quel suo tempo, come potrebbe essere il retroscena di un con corso per miss Italia da noi; c’era Shakespeare, quando scriveva Re Lear, in un tempo in cui intrighi di corte e rivalità e problemi dinastici avevano la stessa pungente attualità che potrebbe avere oggi la fusione del PSI con il PSDI. Essere nell’oggi non vuole dire fare della casistica piatta, non vuol dire mettere i piedi infangati sopra la mite poesia. Ci sono posizioni attuali altamente espressive di un costume e di una società che vanno affrontate; per esempio, le evoluzioni psicologiche di fedeltà coniugale, di rapporti fra genitori e figli, di onestà individuale e di onestà collettiva, sono oggi sopra un piano completamente diverso da quello non solo di venti anni fa, ma addirittura di cinque anni fa. La cronaca non ha da essere uno stampo — come non lo è per narrativa e cinema — ma ima ispiratrice, un mezzo di indagine attorno ad una società, un gusto, un costume, una problematica del nostro tempo. E con questo non mi si dica che tendo ad un teatro neo-realista fuori tempo; per l’amor di Dio, no. Un teatro attualistico, piuttosto e non esclusivamente drammatico o pessimistico, ma anche sorridente e ironico; ma vivo di quelle cose e di quegli umori che sentiamo quotidianamente attorno a noi. Quello che importa, è dire qualcosa che conti. La validità dello spettacolo investe il problema della poesia. Troppo spesso la poesia è una scusa per giustificare cose inconsistenti o inutili: la poesia vera e grande è quella che non si mostra. D i solito i grandi poeti sono come i santi, si rivelano da morti. Potere giu dicare l’esistenza di una voce poetica nel teatro è molto difficile; forse sbagliano le varie commissioni dei Premi, preoccupate della poesia, dimenticando la validità dello spettacolo. Queste divagazioni mi sembra spieghino perché ho scritto Le ragade bruciate verdi: dopo Cristo ha ucciso, angustiata ricerca di un motivo dell’odio del dopoguerra fino alle profondità della legge evangelica del perdono, non potevo che scrivere un lavoro radicato nella società e nei problemi morali di oggi. È un ferro che scotta? Scotti pure: ma tutti ci siamo ogni giorno attorno alle vampe di questo ferro. Abbiamo da riconoscerci in questi perso naggi, e riconosciamoci per giudicare una società nostra squilibrata fra il volere e il potere, fra l’essere e il sembrare. Quando la commedia verrà rappresentata — e credo che lo sarà, anche se qualche impor tante compagnia se la rigira per le mani con timore dello spettro della censura — vedremo se il pubblico accetta questo teatro, dopo parecchie stagioni di lavori « fuori tempo e fuori luogo »; io credo di sì. E credo che valga la pena di dare in questo senso vita ad un teatro di tendenza, audace, e modernissimo; e spero che nascano altre tendenze perché soltanto quando nell’arte si scontrano correnti diverse si ricavano scintille per creazioni che restino. Per parte mia, insisto. Sto scrivendo I pe^gi da novanta, un lavoro sulla mafia dei mercati di Palermo ; e —’più audace e rischioso — I l divorzio per dimostrare la moralità di questa istituzione in un paese dove ci sono circa due milioni di coppie irregolari per impossibi lità a scindere un precedente vincolo e dove la maggior parte dei delitti di sangue accade per lo stesso motivo. Forse è pazzia (i), la mia; ma perché non dibattere nel teatro questi importanti problemi? Invito Diego Fabbri, drammaturgo cattolico di profondo pensiero e di modernissimo gusto, a scrivermi contro 1 ’Antidivor^io. E credano pure i teatranti ricer catori di quadrifogli sul prato battuto dalle moderne bombe atomiche, che il pubblico seguirà questi lavori polemici e attualistici, sempre che essi siano validi spettacolarmente. Gian Paolo Cai legar! (i) N.d.R. - No, caro Callegari, non pazzia, ma saggezza. E noi crediamo con tanta sincerità in tale bisogno, di pubblicare la commedia inedita. LA LEGGE SUL TEATRO SARÀ PRESEN TATA ALLA CAMERA IL MESE PROSSI MO, GENNAIO 1957, E SARÀ OPERANTE PER LA STAGIONE TEATRALE 195S-57 L ’ O R D I N A M E l in teatro drammatico La Commissione d’inchiesta sull’attività dei Servizi Spettacolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Istituto del Dramma Italiano, presieduta dal- l’avv. Salvadori, in attesa di un più approfondito e capillare esame della situa zione amministrativa dei detti Servizi e Istituto, si è riunita il novembre 1956 sotto la presidenza dell’on. Brusasea, al quale ha presentato un’esauriente disamina delle indagini espletate. Il giorno seguente, infine, insieme alla suddetta Commissione d’inchiesta si è riunita la Commissione di esperti per lo studio del grave e improrogabile problema della crisi del Italia, presieduta dall’av vocato Ciampi. Dopo ampia discussione è stata approvata la seguente risoluzione — che qui sotto diamo in breve — e che sarà presentata alla Camera per essere trasformata in Legge, presumibilmente entro il mese del prossimo gennaio 1957, e che pre vede, tra l’altro, la definitiva abrogazione delle provvidenze a favore del teatro drammatico previste dalle Leggi del 20 febbraio 1948 (n. 62) e 29 dicembre 1949 (n. 959) e 31 marzo 1955 (n. 175) in corso di proroga, giudicate dalle Commis sioni riunite non solo inefficienti ma addirittura nocive alla vitalità del teatro italiano, perchè limitano l’iniziativa dei singoli impresari asserviti a disposizioni burocratiche, criteri, modalità, discriminazioni e classificazioni in parte inique e comunque assolutamente inadeguate alla grave realtà dell’attuale situazione del teatro drammatico. Constatata, inoltre, l’inefficienza dell’Istituto del Dramma Italiano (I.D.I.) per la tutela del repertorio nazionale, si propone: a) Di abolire ogni potere discrezionale relativo alle provvidenze di cui sopra sia ai Servizi Spettacolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri che alla I.D .I., che ayranno per il futuro un mero compito burocratico, di riferimento e consulenza. b) Constatato che l’Italia è l’unico paese nel mondo nel quale viene elargito il denaro pubblico per sovvenzionare Compagnie che rappresentano opere stra niere, verrà drasticamente abolita ogni provvidenza in merito. c) Vengono pertanto fissate le seguenti rigide e unitarie norme per le provvi denze per il teatro drammatico italiano: 1 - Lo Stato non deve entrare in merito al valore artistico delle opere inedite italiane e, senza alcuna discriminazione nei riguardi di esse, garantirà a tutti indistintamente i complessi comici — stabili, semistabili, sperimentali, univer sitari, di giro, comunali, ecc. — un adeguato rientro sui borderò, secondo la seguente tabella uguale per tutti: — per ogni novità italiana, o ripresa entro cinque anni dalla prima esecuzione, n 0 T E A T R A L E C A M B I A ? sarà rimborsata al capocomico che l’avrà allestita una somma pari a otto volte i diritti d’autore riscossi dalla S.I.A.E.; — per ogni ripresa oltre i cinque anni ed entro i dieci dalla prima rappresen tazione, il rimborso sarà di sei volte; — dai dieci ai venticinque anni, quattro volte; — oltre i venticinque anni, sarà rimborsato il doppio dei diritti d’autore riscossi dalla S.I.A.E., classici compresi. d) Oltre le norme di cui all’articolo c), non sarà ammesso, a nessun titolo, alcun altro contributo statale aggiuntivo, anche per spettacoli isolati, estivi, ecce zionali, italiani, stranieri e classici. e) Il rientro come più sopra specificato sarà pagato settimanalmente agli inte ressati nel più breve tempo possibile. f) Non saranno ammessi nè anticipi, nè forfait, nè premi finali. g) I teatri comunali stabili, o semistabili, potranno avere, a esclusiva discre zione degli enti locali, sovvenzioni aggiuntive. h) Detta Legge entrerà in vigore per tutta la Stagione Teatrale 1956-57. Con la suddetta risoluzione, che abbiamo riassunto, si eviterà, a detta delle Commissioni riunite, ogni sperpero, dispersione o abuso del denaro pubblico finora elargito in questo campo con criteri incostanti e non sempre equi. Inoltre si permetterà ai capocomici di fare sicuro assegnamento su una sov venzione precisa che verrà segnalata ai Servizi amministrativi dei Servizi Spet tacolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dalla stessa S.I.A.E. Si contribuirà a difendere, sostenere e valorizzare il repertorio italiano più valido, quello cioè che resiste maggiormente all’insindacabile giudizio del pubblico pagante. Si otterrà che i capocomici finalmente leggano attentamente e ricerchino con cura le migliori opere di autori italiani perchè da esso potranno ricavare anche cospicui guadagni. Si solleciteranno automaticamente migliori allestimenti e una più lunga durata di repliche delle opere italiane migliori perchè il guadagno delle Compagnie sarà direttamente proporzionale al successo effettivo riscosso dalle rappresentazioni. Si limiteranno le rappresentazioni di opere straniere mediocri, spesso rappre sentate soltanto perchè parte dei diritti d’autore di esse vengono incamerati dai capocomici importatori o traduttori. Sarà infine arginata, se non definitivamente evitata, la rappresentazione di opere italiane mediocri, oltremodo nocive alla buona propaganda del repertorio nazio nale presso il pubblico e la critica, facilitando nel contempo una salutare selezione naturale, così come avviene negli altri paesi più evoluti teatralmente del nostro. I L D I A R I O D8 A N M E F R A N K IN SETTE TEATRI TEDE SCHI CONTEMPORANEA MENTE: SEI DELLA GER MANIA OCCIDENTALE, UNO DI QUELLA COMUNISTA / L a c o m m e d i a c h e è p r o i b i t o a p p l a u d i r e Quando, all’inizio del mese, in sette teatri tedeschi, sei della Germania occidentale, uno della Ger mania comunista, andò in scena, nello stesso giorno, il Diario di Anne Frank, i cronisti stranieri si dissero d’accordo nel ritenere che il comportamento del pubblico, la sera della « prima », fosse da considerare più importante della recitazione degli attori e, perfino, dei valori artistici del testo. Nei sei teatri della Germania occidentale, gli spettatori, quando il sipario calò al termine dello spettacolo, non applaudirono. Uscirono dalla sala lentamente e in silenzio. Sul volto di molti di loro sembrò di poter scorgere i segni di una emozione profonda. Del comportamento del pubblico nel teatro della Germania comunista, a Dresda, si seppe meno. Il Diario di Anne Frank è la trasposizione teatrale, formalmente fedele, di un documento autentico, che è stato pubblicato anche in Italia, in volume, con lo stesso titolo. È il diario tenuto tra il 1942 e il 1944 da una ragazza tedesca di origine ebraica nel periodo in cui restò nascosta, per sfuggire alle persecuzioni naziste, all’ultimo piano di una casa di Amsterdam, in una soffitta dimenticata. Le furono compagni di prigionia i genitori, la sorella maggiore, una famiglia amica composta dal padre, dalla madre e da un figlio, ed un altro ricercato, un dentista, che si unì al gruppo in un secondo tempo. Il diario si interrompe con la scoperta del nascondiglio da parte della polizia tedesca. Anne e gli altri furono deportati e chiusi in campo di concentramento. Perdettero tu tti la vita, tranne il padre di Anne, Otto Frank, che fu liberato dai russi mentre si trovava nel campo di Kattowitz. Anne morì a Bergen-Belsen, sfinita dalle privazioni e malata di tifo, nel marzo del 1945, quando già gli alleati erano entrati in Germania. Il diario era stato rinvenuto per caso tra le carte lasciate nel rifugio di Amsterdam, e fu consegnato ad Otto Frank, quando tornò in Olanda. Furono gli amici a cui l’aveva dato a leggere che convinsero il padre di Anne a lasciar pubblicare il diario. Sùbito ottenne un successo internazionale: i critici lo giudicarono la prova di un sicuro talento letterario, oltre che una delle testimonianze più toccanti sulle sciagure provocate dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Anne quando cominciò a scrivere il diario aveva tredici anni, quindici quando lo interruppe: in questo periodo avvenne in lei un mutamento di età, di umori, di pensieri, che la trasformarono da una bambina irrequieta in una adolescente sensibile, ansiosa di conoscere ciò che di bello la vita, nonostante tutto, sembrava prometterle. Anne si guarda intorno con curio sità, come se il piccolo cerchio di persone con cui le è sorte vivere fosse il mondo intero. Giudica gli altri con indulgenza, con comprensione. Riesce a cogliere in quelle circostanze terribili il lato comico dell’esistenza, con una intuizione rara ai giovani. E fino all’ultimo spera nella salvezza e, a dispetto della realtà, continua a credere che l’uomo, nel suo cuore, sia buono. L ’idea di portare la vicenda di Anne sulla scena e, poi, sullo schermo, venne ad Eleonore Roosevelt, vedova del Presidente americano. Disse ad Otto Frank che i lettori di un libro sono certamente in numero minore degli spettatori di un film o di un dramma. Otto Frank dette il suo consenso. La riduzione teatrale fu affidata a due esperti sceneggiatori di Hollywood, Frances Goodrich ed Albert Hackett, che scrissero il testo due volte, giacché la prima versione fu ritenuta dal padre di Anne troppo lontana dall’originale. Lo spettacolo fu presentato a Broadway e segnò la rivelazione e il successo personale di Susan Strasberg, una giovane attrice che gli italiani conoscono per averla veduta nel film Picnic dove faceva la parte della sorella minore di Kim Novak. Frances Goodrich ed Albert Hackett ottennero uno dei premi Pulitzer. Il Diario di Anne Frank portato sulla scena è un esempio di come un proposito lodevole possa condurre ad un risultato negativo: non è la prima volta che accade, alla gente di Hollywood. Quella storia vera diviene, in teatro, difficilmente raccon tabile. L’ambiente angusto del rifugio, quell’assurda prigione, si dilata nei modi soliti del realismo americano, la soffitta della casa di Amsterdam si trasforma in una di quelle vaste scene fisse, divise in sezioni, care agli spettacoli di Broadway. La descrizione dei litigi che avvenivano tra i reclusi, che Anne poteva raccontare con innocenza, poiché ne vedeva ancora vivi i protagonisti, diviene a teatro una esercitazione crudele. Ma la contraffazione più grave riguarda la persona di Anne: le attrici a cui è affidata la parte, tutte meno giovani di quanto lei fosse, cercano di andare indietro con gli anni bamboleggiando, o prendono l’aspetto di nanerottole, con il viso adulto, truccato. Tuttavia, la rappresentazione del Diario di Anne Frank può, forse, esser giustificata se, nonostante l’indegnità dei mezzi, essa servirà davvero a mantenere intatta una memoria; se esorterà a capire le cause di un male così grande, a condannarle. La prova è in Germania. L’edizione dello spettacolo a Duesseldorf dicono sia tra le più riuscite. Il migliore degli attori, ci sembra, è Ernst Deutsch, cbe dice la parte di Otto Frank sobriamente, con distacco. Anne è la giovane attrice Luitgard Im, che alterna atteggiamenti da Gian Burrasca ai toni consueti delle ingenue drammatiche. Ma, ci avevano avvertito, era il pubblico che meritava la maggiore attenzione. Quello che ci accadde di osservare era tipico, il pubblico del sabato. Si vedeva qualche abito da sera, e c’erano molti giovani, soprattutto ragazze sotto i vent’anni. Nel buio sentimmo gli spettatori ridere a tutte le battute comiche contenute nel testo. Alla fine, quando calò il sipario, nessuno applaudì. Gli attori non si presentarono alla ribalta. Gli spettatori uscirono dalla sala lentamente, in silenzio. Qualche signora aveva gli occhi lucidi, qualche altra si soffiava il naso con il fazzoletto. Che cosa avevano provato? Quando, negli anni passati, il discorso tra stranieri e tedeschi cadeva su Hitler e sulle persecuzioni naziste, i tedeschi si mostravano reticenti. Molti si limitavano a dire che la maggioranza aveva igno rato, ed era vero, che cosa avvenisse ai prigionieri politici una volta chiusi nei campi di concen tramento. Soltanto qualcuno accettava di andare, nella discussione, più oltre, e chiedersi come un paese progredito e civile quale era la Germania avesse potuto produrre il razzismo, il nazismo, Hitler. Da qualche tempo, ci pare, la condanna del passato si è fatta, invece, più manifesta, ed insieme generica. I tedeschi sembrano rifiutare il passato come un cumulo di errori e di lu tti di cui tu tti e nessuno è responsabile. I commenti alla rappresentazione del Diario di Anne Frank si accor dano a tale stato d’animo: questa ragazza, che fu uccisa non per le sue idee o per le sue azioni, ma soltanto a ragione della sua nascita, viene ricordata come la vittima di una disgrazia collettiva, della guerra. Nella presentazione dello spettacolo, contenuta nel programma del teatro di Duessel dorf, leggiamo in fondo ad una pagina, in cui non si parla né di antisemitismo, né di razzismo, né di Hitler, che il dramma di Anne Frank è attuale « non perché si tratta qui il problema delle colpe di ieri, ma perché nessuno sa a chi possa toccare domani la parte del colpevole, a chi quella della vittima, fin tanto che, in qualche parte della terra, si ripeterà la tragedia della dignità umana oltraggiata ». Chi crede di sapere tutto sull’origine delle disgrazie della Germania, sono i comunisti tedeschi. La loro risposta è semplice: è stato un gruppo ristretto di industriali e di militari a portare il paese nella prima guerra mondiale e, promuovendo il nazismo, a scatenare la seconda. Quegli stessi — aggiungono — stanno preparando, nella repubblica di Bonn, la terza guerra. Ricordiamo, nei giorni della fiera di Lipsia, lo scorso settembre, di aver veduto un film a cui la propaganda della repubblica di Pankow dava grande importanza. Il titolo era: « Tu e qualche camerata ». Il firn, servendosi in gran parte di materiale docu mentario degli ultimi cinquan tanni, illustrava la tesi mar xista della responsabilità storica degli industriali della Ruhr e dei generali, svolta con l’abi tuale disinvoltura: nulla era detto, ad esempio, dell’appoggio entusiastico che gli operai det tero ad Hitler fino alla fine. Quanto alla polemica sul mili tarismo, essa si concludeva con due immagini: di una rivista della Bundeswehr ad Ander- nach sul Reno, e del giuramento dei volontari dell’esercito popo lare, la Yolksarmee. I soldati della Germania « non milita rista » giuravano, ai quattro angoli della bandiera, con gli stessi gesti del passato, le stesse divise, le stesse facce. Il pub blico non faceva mai commenti: solo un borbottìo, all’apparire di Hitler. Nel film, ad un certo punto, era inserito un brano documentario, rinvenuto al mi nistero della propaganda di Goebbels a Berlino, sul ghetto di Varsavia al tempo dell’occu pazione. Si vedeva un soldato delle S.S. fermare un bambino lacero ed affamato, perquisirlo, portargli via alcune rape na scoste sotto gli stracci, colpirlo a calci. Gli spettatori del cine matografo della Germania co munista restavano impassibili. Ci chiedevamo, osservando gli spettatori di Duesseldorf che uscivano lentamente dalla sala, perché mai nessuno di loro avesse battuto le mani. L’ap plauso è un segno di liberazione che non contrasta con un’animo commosso, purificato. Poi, guar dando nel programma, sotto l’elenco degli attori leggemmo: « Si prega di non applaudire ». Ferruccio Troiani Duesseldorf, novembre. Nel fascicolo scorso, Vito Pandolfi ha scritto della rappresentazione del- l’« Otello » di Shakespeare, al Teatro Quirino di Roma, da parte della Com pagnia diretta da Vittorio Gassman. Come è noto, la parte di « Otello » in terpretata da Gassman, è stata, a sua volta, successivamente interpretata da Randone. Così, come Randone era sta to « Jago », ora Gassman è diventato « Jago ». Ecco la nuova cronaca dello spettacolo. I L G I O C O D E L L E P A R T I Si conoscono i poteri formali dell’interpretazione? Forse non suffi cientemente, e questo perché le sue possibilità di rado vengono assunte fino in fondo, nei termini dei loro doni. L ’interpretazione in molti casi sembra ancora appartenere al mito di Sisifo: una meta da rag giungere e di cui, più che le riuscite, si misurano gli sforzi, i tentativi, dove approdano e dove restano in alto mare. Eppure essa può conferire mille volti, mille significati. Come sono diversissimi lo spirito e le forme che animano i volti delle Madonne dietro a cui per secoli con tinua a evolversi e a trasfigurarsi la nostra pittura, così ogni perso naggio, qualora sia interpretato da un diverso attore e nella misura in cui quest’interpretazione scava nell’abisso del suo tema, appare sempre diverso e sempre suscettibile di nuovi significati, finché la matrice che egli porge non si fa frusta e stanca. Una sola frase —• ti amo, a esempio — può venir detta in modo da assumere disparatissimi significati, a quel modo che la melodia, tuf fatasi nell’armonia, si fa emozione in modi del tutto diversi, a seconda del genere d’armonia che la riveste. Lo spettacolo che Gas'sman e Randone hanno presentato scambiandosi i ruoli ■— Randone, Otello e Gassman, Jago, questa volta — ci è sembrato assumesse non solo un aspetto, ma anche un sen'so i cui dati solo in superficie potevano coin cidere con quelli dello spettacolo precedente: e questo appunto nei termini della loro adeguatezza al compito. Randone fa di Otello un maturo e saggio condottiero, che possiede in modo ammirevole senso di equilibrio, di benevolenza, di comprensione, di rettitudine. Le molte esperienze da lui vissute si riflettono nella pacatezza del suo giudizio. L’amore che viene a coronare la sua vita, sembra il necessario e giusto compimento di quell’ampio arco che ha compiuto il suo spirito, da lui guidato con mano ferma verso un degno destino. A Cipro la vittoria è di nuovo con lui, ed egli posa ormai il suo sguardo sereno sui frutti che raccoglierà da tutta la sua opera attraverso l’amore della sua De- sdemona. A questo punto, da un nulla, da una lite scoppiata tra i suoi inferiori, comincia a operare il tarlo mosso da Jago che deve, ingigan tendosi gradatamente, ma in breve spazio di tempo, apparire mo struoso, e divorare le loro due esistenze, non senza aver loro prima fatte soffrire il soffribile. E’ stato sufficiente un inganno, un tranello in fondo abbastanza grossolano, per far crollare la forza morale e la saggezza esperta di Otello, fra torbidi contorcimenti dei sensi e della coscienza, sempre più, fino alla catastrofe. Questa concezione — po tentemente espressiva — è stata raggiunta da Randone in diversi (Continua a pag. 99) Nelle fotografìe SDpra: la prima, scena della commedia di G. Ma- gnier II signor Masure recitata dalla Compagnia di Laura Adani, Carlo Ninchi e Francioli. Commedia comica con tre personaggi: sono tutti in scena * Accanto, scena della commedia ... e vissero felici e contenti di Enzo Biagi ed Enrico Fusco. Attori: Giorgio De Lullo, Elsa Albani, Annamaria Guarnieri, Rossella Falk, Romolo Valli * Nelle due foto in mezzo; prima, Fausto Tommei in El Marchionn di gamb avert tratto dal « Lament » di Carlo Porta da Ciro Fontana, uno spettacolo di grande interesse dato all’Olimpia di Milano dalla Compagnia del Teatro Milanese di retta da Luciano Ramo e sorretta dall’entusiasmo di Gianni Ghedratti ★ Seconda foto: Enrico Maria Salerno, protagonista di Liolà di Pirandello, al Piccolo Teatro di Genova * Nelle due foto sotto: prima, Laura Solari e Pietro Privitera, al Piccolo Teatro di Trieste, in L’uomo del destino di G. B. Shaw; seconda, la Solari e Ottorino Guerrini, in I capricci di Marianna di De Musset. Oteílo - Gassman - Randone. Ecco i due attori foto grafati nello scambio delle parti; la vittima, natural mente, è sempre Desdemona: per mano dell’uno o dell’altro deve essere strozzata. Leonardo Cortese è diventato il beniamino del pubblico torinese che frequenta il Piccolo Teatro. La sua prima apparizione in Pamela nubile lo ha im posto con un successo personale vivissimo e cordiale. Marcello Giorda recita a Bari a quel Teatro Stabile ed ha iniziato le recite al Teatro Piccinni, con un vivo e personale successo in Tristi amori di Giacosa, in commemorazione nazio nale dell’illustre commediografo. § c a ^ 1 ” .®.■ S 3§ i o ! 3 . sS A-, S ~ ! I | ! ! | ! i I f i l t j ì p 2 §,-§ s &S-I S f i l i l i §^i?.s ¿•■g K i i i l l i 0 = 0 5 " ; . ■=2«s5h 0S 5 ® .s g ® I ! £ i 13 l i ? i : s l ’S '- l Ì g f l “ o l l Ì T s l | l r | l ! | & .„§ §■-§ § g i §i p : r i i | | l ! : H sS^ d .2 - * S'fJ'S S So i l l l j i : - i p ; l ! t l S S a l i i i i j j - j j j j j j ! i ! i ’ ! i i = « r : n sì - 1 :.s ¡ 3 i i i l f a l S i s - S &1 | i= I iS I § ? s Sja s z H oc LU § < - I UJ il Piccolo L ’ O P E R A D E I P U P I S I C I L I A N I A L P IC C O L O T E A T R O D I M IL A N O L’Opera (lei pupi di Francesco Sclafani, ha mostrato la propria bravura il primo dicembre, a Milano, in un ambiente di eccezione e per un certo suo pubblico particolare, sempre attratto dalle manifestazioni di carattere. Lo spettacolo è stato inframmezzato da canti e voci dell isola, cioè da alcuni cantastorie, che con le loro nenie e i loro ritmi, hanno fatto conoscere uno degli aspetti più curiosi della tradizione popolare siciliana. I «cantastorie» giunti a Milano (Orazio Strano, Cicciu Busacca e Cicciu Plalania) sono stati presentati dal poeta dialettale Ignazio Buttitta. Sono artigiani che suonano e cantano, ponendo in rima con accompagnamento di chitarra, storie ingenuamente tragiche di ragazze rapite, madri disperate e amori infranti, fino alla donna tagliata a pezzi con quel che segue. Un incanto di ingenua meraviglia. Sono stati molto applauditi. In due intermezzi (pochi) hanno recitato i «Pupi», suscitando un vero entusiasmo. Eligio Possenti ha scritto: «Ospiti gra ditissimi apportatori della più genuina tradizione isolana, di gusto culturale e popolare al tempo stesso, rievocatori di due mondi; quello cavalleresco e quello della fantasia mediterranea. Vestiti di smaglianti e lucenti corazze, il capo di legno coperto da elmi piumati e splendenti, marionette d’alto lignaggio, interpreti disarticolati dei paladini ardimentosi affidati alle esperte manovre dei reggitori dei fili, si azzuffano in corruschi combattimenti, in duelli terribili. Non poca storia dell’arte dram matica siciliana proviene dall'Opera dei pupi. Basti dire che i due grandi attori Giovanni Grasso e Angelo Musco hanno avuto le loro origini tra le marionette ». (Continuazione da pag. 94) momenti di lucidità interpretati va e diremmo soprattutto dove l’impegno del testo prendeva gli slanci più tempestivi, raggiungen do una fremente intensità. Ma ab biamo avuto l’impressione di as sistere ancora a una prova: nel senso che l’insieme del personag gio ci parve qua e là ancora ab bozzato, abbandonato all’estro del l’attore senza quella meditazione che corregge e purifica; difatti a risultati di vera pregevolezza sti listica, se ne alternavano alcuni grezzamente manieristici. Solu zioni professionalmente esperte e niente più suppliva a volte la travolgente sincerità della passio ne. Diremmo tuttavia che ■—■ sia pure a lampi — l’Otello di Ran- done ha potuto raggiungere lo spirito shakespeariano, l’autentico soffio della tragedia, di fronte a cui Gassman ha impegnato mag gior equilibrio espressivo, senza però poterne dare l’empito e il trasporto (è ben difficile divenire maturi per un simile personaggio: Gassman lo dovrà riprendere an che negli anni che verranno). Gassman-Jago ha agito in modo brillantemente persuasivo, si è re so largamente credibile nel suo atteggiamento e nei suoi spietati piani. Una interpretazione fra le sue migliori e a cui giova, più di quanto non si potesse immagina re, e per contrasto, la presenza del suo fisico, in quanto toglie al de moniaco ciò che apertamente lo contraddice nelle sue normali raf figurazioni, e cioè l’apparire de moniaco. Jago diviene un giovane ambizioso e che non bada a mezzi pur di raggiungere il suo scopo; una intelligenza che ha già com preso di quale pasta sia fatta la natura umana, e come la si possa abilmente modellare, portandola alla catastrofe o al trionfo. Lo scambio tra i due interpreti avreb be dovuto legittimamente condur re a una nuova regìa dello spet tacolo, perché il ritmo e la natu ra che assume risultino profonda mente rinnovati, coerenti. Qui la teoria è chiara, ma la pratica è difficile; davvero arduo con gli stessi attori e gli stessi elementi figurativi tracciare un affresco del tutto nuovo, secondo i nuovi rapporti psicologici creatisi tra i personaggi. Tuttavia si sarebbero potuti compiere diversi passi in più in questa direzione. A ll’interpretazione di Randone ha veramente nociuto la mancanza di accorgimenti registici : nel costume, nel trucco, nel rap porto con Desdemona, nel controllo dell’atteggiamento e dei toni. Vito l*andolfi I G U A I D E L L A S I G N O R A W A R R E N AI Teatro Eliseo di Roma, il 16 novembre 1956 la Compagnia Pagnani-Villi-Ferzetti, ha esordito rappresentando la commedia di G. B. Shaw: « La professione della signora Warren ». Regìa di Mario Ferrerò. B Le statistiche affermano il contrario, norme legislative dànno precise disposizioni in merito alla salvaguardia del repertorio nazionale, ma in realtà le nostre migliori compagnie in lingua, basano (ad ecce zione della De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli) la loro attività sul reper torio straniero e si formano in base ad esso. Qui non intendiamo tessere lamenti sciovinistici, ma constatare come, nella loro espe rienza artistica, i nostri attori debbano dare un posto preponderante allo sforzo di adeguarsi faticosamente a personaggi e mondi di cui per forza di cose ignorano la natura strutturale. Da una situazione di questo genere, risulta un atteggiamento ibrido, in cui alla rico struzione arbitraria e fantastica di queste incognite si unisce il tenta tivo di seguire le indicazioni offerte dalle scarse cognizioni che si hanno in materia e che spesso appaiono convenzionali. Queste considerazioni le si possono trarre molte volte a proposito dei nostri spettacoli teatrali : ma si fanno sentire particolarmente atti nenti dopo aver assistito alla rappresentazione che la compagnia Pagnani-Ferzetti-Villi-Foà dà della commedia di G. B. Shaw: La professione della signora Warren, con la regìa di Mario Ferrerò, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. La commedia non avrebbe ra gione d’essere se non si riferisse ad una tipica epoca di un tipico mondo inglese. Occorrerebbe una preparazione quindi assai accurata per giungerne ad intendere il sottofondo : e pur affidandosi alla dili genza, si correrebbe il rischio di sbagliare orientamento, come spesso accade anche ai meglio intenzionati. La compagnia ha affrontato que sto tema fondamentale in superficie, genericamente. L’insieme e le interpretazioni hanno assunto un colore di convenzionale teatralità. Andreina Pagnani (la signora Warren) ha 'sorretto lo spettacolo con maestria e potenza rappresentativa: ma ha ricalcato il suo perso naggio sull’interprete di Chéri, in modo a volte esteriore. Olga Villi (Vivie) ha dato troppo rilievo allo sdegno, invece che alla commo zione. Gabriele Ferzetti (Franco) è apparso immaturo e impacciato per il suo ruolo, ne ha reso povero il significato. Le caratterizzazioni di Arnoldo Foà, Giuseppe Pertile, Cesare Fantoni, si mantenevano sulla linea di una decorosa resa professionale. C’è da rammaricarsi, una volta di più, che non si ricorra allo Shaw meno conosciuto da noi, che forse è il migliore. In questa sua com media le debolezze appaiono evidenti: polemica sociale senza conse guenze e senza conclusioni, personaggi che hanno esclusivamente un compito d’antitesi e di esposizione moralistica (come quello di Vivie), ricorso nella struttura drammatica, e sia pure in funzione ironica, al mèlo tradizionale. Elementi che a volte sovrastano la schietta indagine rappresentativa compiuta sulla società inglese del Viio I"»nilolfi SUO tempo. mento, anzi dal sentimentalismo, e qualche giustificazione hanno cercato di dare al comune e ge nerale comportamento. Può una canzone, una arietta, es sere il segno, la virgola di una giovinezza? Siamo tutti e quanti d’accordo nel riconoscere per di scendenza che « la vita è un pa radiso di bugie »? Può essere la battuta l’incisivo di un’epoca? E può la storia, quella storia che può essere, sì la successione di tanta cronaca, ma che pure storia diventa, essere a noi riproposta per folgorazioni al magnesio? Gli autori ritengono di sì, conducen do sotto sotto una polemica col teatro così come è fatto, e fidando nel bozzetto cucito al bozzetto successivo e a quello precedente. Ci sono i Gobbi dietro le quinte, a suggerire; c’è anche la rivista, e tutte le sortite e le contaminazio ni di cui il teatro si è valso in questi ultimi tempi per stuccarsi le rughe, per uscir di noia. E c’è la baldanza giornalistica che sa di aver nelle mani l’avvenimento come si stringe un fulmine, e co me ha Vavvenimento di oggi si avvale dell’avvenimento di ieri senza prospettiva. Una commedia cosifatta non la si può raccontare: una comme dia che si appoggia sulle mode, sempre trascorrenti, su circoscrit ti gesti di spigolare nel passato di una generazione. Il punto fer mo di essa è quello di essere estremamente provocatoria, e in quel gradevole e sgradevole che ci ripresenta. Vogliamo credere a questi per sonaggi? Abbozzati, viventi ner vosissimamente alla ricerca di quello scatto che li potrà portare al salto della battuta, appaiono scompaiono e riappaiono, fra fu mate, anche se restano sempre in scena. Sarà effetto ottico, se vo lete'. ma così è. In tanta vena d’intelligenza che gli autori dimostrano, una cosa poteva esserci risparmiata: quel la di vedere uno di questi figli del secolo, il' più allegro se vo- gliamo, salire ai fastigi della glo ria di « Lascia o raddoppia » e in questo modo quasi concludere la commedia. No. L’intento, l’ambizione degli au tori è stata forse quella di fare dell’istantanea, affresco; della cro naca, epoca: ma si sono divertiti ed immalinconiti un po’ troppo. Due pericolosi atteggiamenti per chi voglia portare proposte di questo peso a teatro. Aggiungeremo che il dialogo è rapido, che c’è qualche finalino, che le lacrime in qualche mo mento sono lì lì per arrivare e invece improvvisamente ci si di verte. Bravi. La commedia si è giovata della acutissima, plastica regìa di Giorgio De Lidio e del la giostratissima interpretazione della compagnia dei giovani. Co se davvero di prima qualità. Vittorio Vecchi ® Al teatro Odeon di Milano, il 22 novembre 1956, la Compagnia Proclemer-Albertazzi-Sanipoli, in sostituzione — purtroppo — del la Governante di Brancati (proi bita) e che avrebbe dovuto essere il loro secondo spettacolo, ha rap presentato la commedia di Peter Ustinov Damare dei quattro co lonnelli ancora nuova a Milano. Lo spettacolo ha avuto un vivis simo successo, ed a maggior ra gione, in quanto Lucio Ardenzi ha dovuto, durante le prove, pren dere lui le redini della regìa e portarla a compimento, perché il regista incaricato, Enriquez, ave va contemporaneamente una re gìa alla « Scala » e per una die cina di giorni non ha concluso quanto doveva. Per fortuna, co me s’è detto, la commedia era sì, nuova a Milano, ma già scontata, essendo stata rappresentata il 30 novembre 1951 al Teatro delle Arti di Roma, dalla stessa inter prete Anna Proclemer, con Tino Carraro, Battistella e Salerno. La nostra rivista si è occupata lar gamente della commedia, con la critica di Vito Pandolfi nel fasci colo del 1° gennaio 1952, ed an cora prima, nel n. 145 del 1951. FO R S E N O N P R O P R IO F E L IC E E C O N T E N T I Al Teatro Nuovo di Milano, il 15 novembre 1956, la Compagnia De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli, ha rappresentato la commedia in tre atti di Emo Biagi e Gian carlo Fusco «... e vissero felici e contenti ». Regìa di Giorgio De Lullo. ® La commedia ci propone una minuscola estetica del teatro co me istantanea. Lasciata da parte la trama, il racconto, la costru zione, si fida nell’istantanea co me captatrice di un attimo, di un momento storico, di un atteggia mento psicologico, di un modo di costume. Assistendo allo spetta colo si sfoglia un album di istan tanee, come si fa quando si va a far visita a famiglie amiche e tutto il loro passato ti mettono fra le mani nel gesto che fa trascor rere le fotografie di un tempo. Càpita talvolta di incontrare se medesimi, che non si sapeva nep pure di esser stati colti in quel momento, in quella circostanza. Una sorpresa, un disappunto. E il ritrovarsi, non è sempre un ri conoscersi. Enzo Biagi e Giancarlo Fusco, giornalisti acutissimi, spregiudi cati, pur nelle loro pregiudicate posizioni, hanno preso in questo modo il loro passato, il nostro passato, perché chi scrive è della loro generazione e anche loro amico. E di questa generazione intermedia hanno fatto una sa tira che non prescinde dal senti- SPETTACOLO NELLO SPETTACOLO: IL PRIMO CONVEGNO MONDIALE OEL TEATRO Bombay col concorso di cinquanta nazioni in gran parte orientali si è svolto il più colorato dei congressi internazionali: il Primo Convegno Mondiale del Teatro. I costumi asiatici hanno reso pittoresco il colpo d'occhio della sala. Le signore indù col diamante in fronte e i loro preziosi sari facevano spettacolo. I l Teatro Popolare era tema della prima Sezione del Congresso. Ma fin dall'inizio s'è visto che i tempi politicanti scambiano il teatro popolare col teatro per il popolo: quello che da noi una volta si disse « teatro di masse ». Dalla sua prima impostazione la Conferenza sul Teatro Popolare ha distinto i due concetti, assai diversi tra loro. Per noi teatro popolare è quello che nasce dal popolo: non prodotto di letterati, non regolato da una censura, non obbediente a regole fisse e munito tradizionalmente da una regìa antica, libera da canoni; quella che fa dire ad Aristotele che l'arte del teatro non accetta definizioni. La scena popolare nata dal popolo si esprime nel linguaggio del popolo e rappresenta i suoi costumi senza tesi obbligate Jiè fin i « educativi » ma soltanto con largo scopo ricreativo. Per i francesi è teatro popolare quello che offre spettacoli a buon mercato. Parallelamente i francesi riconoscono che in Francia non esiste più un vero teatro popolare nel senso tradizionale. Teatro Popolare, « espressione nuova », è la formula di « arte del teatro popolare » trovata ad usum delphini. Gli interessi industriali, e le tendenze politiche, travolgono il vero teatro popolare, arte spoti- tanea nata da se e alimentata in proprio. Si riconosce che non è vero teatro popolare quello prodotto per propaganda o per fin i di cultura più o meno agganciati alla politica. Nel suo pronto intervento la Polonia dichiara di non poter definire il carattere delle proprie scene popolari giacche ogni paese ne produce un tipo diverso. Ma il delegato polacco Adam Tarn parla con molta competenza di vero teatro popolare e di teatro di propaganda. Coglie l'occasione per dare contro a Beri Brecht intellettuale che ha sfruttato le sorgenti popolaresche non facendo teatro popolare. Tuttavia per Adam Tarn la formula moderna di teatro popolare è « la migliore qualità per il maggior numero », cioè il concetto francese; pur riconoscendo che le formule e i prodotti sono opposti. I l teatro popolare il popolo se lo vuol far da se; i teatranti « sociali » invece glielo vogliono far loro. Lo stesso Tarn riconosce che quando glielo facciamo noi vien fuori un'altra cosa. Era stata, questa, la sostanza della tesi precedentemente sostenuta dall'Italia. S'è discusso la funzione della scena comune alle dipendenze dell'Istituto Internazionale del Teatro a Parigi. I l Théâtre des Nations avrà sede fissa al Théâtre Sarah Bernhardt. Dichiara Josset che il Théâtre des Nations avrà il prossimo anno un grande sviluppo giacche l’avvenire supera le nostre speranze. Per il Teatro delle Nazioni parigino si discute se debbasi imporre ai concorrenti la interpre tazione della medesima commedia. I l relatore Tarn trova la formula adatta: non la stessa commedia, ma un'opera dello stesso autore. Ciò è radicalmente diverso, perchè uno stesso drammaturgo ha commedie e tragedie, ha opere drammatiche di carattere opposti tra loro, ha lavori manomessi dagli attori come tante ne ha Shakespeare, ha testi attribuiti a lui senza fondamento, ha opere in versi e opere in prosa, generi storici e generi attuali, ha insomma mille caratteri vari che impediscono un equanime confronto. Gli indiani hanno appassionatamente domandato di partecipare alla competizione interna zionale del Théâtre des Nations, richiedendo che oltre alla commedia d'autore europeo, venga ammessa per ciascun gruppo una produzione originale della nazione concorrente. E a questo proposito il caso indiatio si presenta assai complesso per le quattordici lingue principali che su circa 150 linguaggi fioriscono anche letterariamente nell'India, dove pure sono tutti indiani, nè temono di non esserlo a causa dei differenti linguaggi. Anche per la produzione straniera assegnata alla gara si chiede una grande libertà di adattazione per ciascuna lingua, ma il caso che più sta loro a cuore è la recita di commedie sanscrite nel testo originale. Queste recite vengono studiate amorevolmente da migliaia di filodrammatiche. Soltanto a Bombay, ha detto la Presidente del Congresso Kalamadeva Chattopathiyaya direttrice dell'Accademia d Arte Drammatica di Bombay, conta 200 gruppi teatrali attivi. A noi non ce ne hanno fatto vedere nemmeno uno. Ma io ho scoperto un manifesto teatrale che annunciava Mackbeth. La Persia non trova difficoltà nelVinterpostare classici greci, latini, francesi, inglesi. I l collega persiano dichiara che il sito Paese è di cultura europea, e i persiani colti parlano il francese. Egli mi spiega che Iran significa Paese degli ariani. Come gli indiani egli conosce le récité italiane, francesi, russe, inglesi, tedesche e può confrontare i vari spettacoli. L Egitto dichiara di non avere possibilità, restando soltanto qualche spettacolo viaggiante; nutriamo qualche dubbio anche su questo. I l membro danese, A. 0. Norman regista di Ibsen, ci ha illustrato la situazione norvegese. Teatro popolare e nella Scandinavia quello che offre i migliori testi recitati dai migliori attori, al più basso prezzo e Norman ha ricordato un1 organizzazione di vendita dei posti che fin dal 1922 aveva funzionato nell Urbe come Lega di San Genesio, « alfiere » Renato Maselli noto giornalista romano, con 20.000 iscritti. Gli associati potevano acquistare i biglietti a metà prezzo. Norman ha ricordato Vesperimento norvegese confessando che il risultato del tentativo fu un teatro politico sociale. « Oggi, egli ha concluso, il teatro popolare di Norvegia è un teatro come tutti gli altri » non essendo animato dal popolo ma dai teatranti professionisti, dai critici e da quanti traggono sussistenza dal teatro. Quando Julien, francese « potenza del teatro », così definito da Josset, Segretario delVI.I.T., ha parlato della scena popolare di Francia, l'ha illustrata con criteri L’impresario e con mentalità di pedagogo. L'educazione del popolo e la divulgazione dei classici, non fanno teatro popolare nel senso vero. L'Italia ha descritto le attuali scene popolari dialettali, che non sopportando l'imposizione di tarìffe sindacali vivono senza sovvenzioni statali, fin dal tempo degli etruschi, dando più recite in uno stesso giorno. I l relatore ha ricordato l'antichità del sistema e, parlando delle Atellane, ha illustrato la più remota reliquia scenica del popolo - la maschera di Pulcinella - spiegando la tecnica della recitazione all'impronto che riproduce la vita popolare con immediatezza e fedeltà, nel conservare alla scena originaria il carattere posseduto da quattromila anni. Pulcinella ha la stessa età del Mahabharata chiamandosi mimus albus al tempo dei latini e chissà come al tempo degli etruschi e chissà come prima. Gli indù hanno illustrato il proprio teatro popolare altrettanto antico di quello della Penisola e più conservato nelle sue forme classiche. Oggi, ancora, attori maschi in parti da donna recitano con donne attrici. Nonostante le deformazioni imposte nell'India dagli inglesi, le forme classiche sopravvivono. Non esistono più famiglie prof es sioniste del Teatro — come da noi i Duse o i Vestri — che si destinano a quest'arte ereditandone i mezzi e il patrimonio dagli avi. Gli inglesi interruppero questa tradizione costringendo le più illustri famiglie comiche a cambiar mestiere. Esse possedevano la tradizione tecnica della recitazione improvvisa e tene vano a memoria i testi sanscriti delle riduzioni o adattamenti teatrali dei poemi indù. L'Inghilterra fa una relazione che comprende nel teatro popolare, oltre ai numerosi Riks Theatres ( Carri di Tespi), 500 scene non ambulanti, tra le quali 300 piccole sovvenzionate. Dice il delegato inglese Stefano Thomas che nel Regno Unito la più grossa cifra di sovvenzioni e destinata all'Old Vie e alla Lirica; tuttavia il teatro munito di diffusione popolare viene sostenuto dallo Stato come con borse di studio vengono aiutati gli autori novizi da una commissione di autori anziani. Dichiara il delegato inglese che senza i soldi dello Stato il teatro popolare non esisterebbe alludendo anche a Jean Vilar nel senso di teatro popolare. I l delegato italiano ha fatto ancora osservare che l'unico teatro che da noi vive di forze proprie, e senza registi, è il teatro popolare. Alla sua risoluzione il Congresso delibera una proposta alla Conferenza dell'UNESCO per le sovvenzioni ai teatri in tutti gli Stati e per l'abolizione delle tasse. Sono, invero, treni'anni dal primo tempo della Société Universelle du Théâtre di Firmin Gênier che si cerca inutilmente di frenare gli appetiti fiscali dei governi. I corvi chiacchieroni che a milioni, sono i veri padroni di Bombay, venerati come tutti gli animali, fanno la parte dei colombi nelle strade e nelle piazze. I l Congresso termina con l'affer mazione: « abbiamo lavorato per la pace »; e questa pace ha per simbolo il corvo. Echeggiano allegramente le bombe del Capodanno Indù, mentre nei giornali si trova l'eco dei bombarda- menti d'Egitto e di Budapest. I delegati del Congresso non possono partire perchè sospesi i servizi aerei, causa la guerra. Anton Giulio Bragragrlia P A R I G I E U N A S T A G I O N E T E A T R A L E C O N T I N U A Quando a Parigi comincia una nuova stagione teatrale, questo non significa che la prece dente sia finita. Intendo dire che non tu tti i cartelloni si rinnovano. È un fenomeno consueto, di cui abbiamo la riprova anche in questi giorni, ed è un fenomeno molto importante. È in certo senso una garanzia di continuità, uno dei tanti legami che rendono la vita francese fitta, densa, fusa, nonostante la varietà degli aspetti e il mutare dei tempi. Qui neppure la novità più audace perde il contatto con il passato, sicché tutto si concatena e nulla va perduto. Di anello in anello potremmo facilmente risalire ai classici del secolo d’oro e più in su ancora. Di qui deriva, nel francese medio, quel senso di sicurezza, che ce lo fa apparire come un uomo che ha delle proprietà alle spalle. Il fatto si è che quel francese, anche se non possiede vigneti in Borgogna o castelli nella valle della Loira, si sente egualmente ricco perchè ha, che so, Molière. Spiritualmente, Molière, è la sua villa in campagna. Questo si verifica, ripeto, perchè il francese rifugge dalle fratture. Così, sia pure in lim iti modesti, ha un notevole significato il travasarsi, cui ogni anno assistiamo, delle stagioni teatrali l’una nell’altra. Oggi, mentre la maggior parte delle sale si affaccenda a sfornare le « créations », un certo numero, non piccolo, di altre sale prosegue imperterrito le repliche del suo vecchio spettacolo (del quale talvolta non è sufficiente ricercare l’origine nella stagione immedia tamente precedente). Se si trattasse di spettacoli di natura soltanto commerciale, allestiti per soddisfare le esigenze goderecce del grosso pubblico indigeno e di quello ancor più abbondante fornito dal flusso turistico che si riversa da tutte le parti del mondo su Parigi, la cosa non avrebbe nessun particolare valore. La verità è che le cose stanno ben altri menti. A conferma di quanto diciamo ci basti elencare i principali spettacoli ereditati dalla stagione 1955-56. Al La Bruyère-Georges Vitaly, Le Mal court di Jacques Audiberti; al l’Atelier, Les oiseaux de lune di Marcel Aymé; alla Comédie des Champs-Elysées, Ornifle di Jean Anouilh; al Gymnase, Adorable Julia di Somerset Maugham e Guy Bolton (adat tamento di M.-G. Sauvajon); al Fontaine, Uamour des quatre colonels di Peter Ustinov (adattamento di M.-G. Sauvajon); al St. Georges, Histoire de rire d’Armand Salacrou; al Sarah-Bernhardt, Cyrano de Bergerac d’Edmond Rostand; al Th. en Rond, U homme, la bête et la vertu di Pirandello (che ha superato le duecento repliche). Non tu tti questi titoli, è chiaro, sono del medesimo valore, comunque nessuno è volgare, mentre nei loro insieme, dal punto di vista della rappresentazione, questi spettacoli stanno tra i migliori che si siano visti lo scorso anno. Veniamo ora alle novità. Alla Comédie-Française Henry de Montherlant ha finalmente rappresentato la sua Brocéliande. Diciamo finalmente in quanto questo lavoro era annun ciato sin dal febbraio scorso e, come si può ben capire, dopo lo strepitoso successo di Port- Royal, attesissimo. Ebbene, dispiace riconoscerlo, Brocéliande ha un po’ deluso. L ’illustre autore questa volta ha tentato il genere comico (comico-tragico, per essere più esatti) e i fatti hanno mostrato che il genere non è nelle sue corde. La storia è semplice. Il signor Persilès, degnissimo capo ufficio in qualche ministero, un bel giorno viene a sapere che discende dal re San Luigi. È una specie di folgorazione. Il brav’uomo, che sino a quel momento si era pacificamente accontentato della sua mediocrità, d’un tratto si sente inco ronato da una sorta di investitura divina. Santo e Re, al medesimo tempo. Capite che cosa vuol dire questo per un piccolo burocrate? Pontifica, pretende di amministrare la giustizia, di raddrizzare i torti a mo’ dei cavalieri antichi, si considera servo dei servi di Dio e si inginocchia davanti all’esattore del gas. La vita di famiglia si complica. La moglie è preoc cupata: consulta un genealogista e viene a sapere che sì, il marito discende da Luigi IX, come però vi discendono parecchie altre migliaia di persone. Così dunque lui non è l’unico legittimo erede del santo «capétien»? Al dolore, il signor Persilès non regge. Ê disfatto. Non gli resta che spararsi un colpo di rivoltella. La storia, che per alcuni particolari farseschi ricorda Clérambard di Marcel Aymé, è innega bilmente bella. Montherlant ci vuol ricordare che « non è possibile abbattere, senza gravi pericoli, la foresta degli incantesimi ». (Brocéliande è appunto l’antico nome della foresta bretone in cui, secondo i romanzi della Tavola rotonda, vivevano il mago Merlino e la fata Viviana). I guai non derivano dalla storia, bensì dal fatto che l’autore, di altri toni esperto, affrontando il grottesco non riesce a dosare gli effetti, sicché si lascia sfuggire la materia dalle mani, peccando ora per eccesso ora per difetto, aulico o sciatto a controtempo, spesso vittima di quegli ingenui errori in cui cade il grande matematico alle prese col conto della spesa. Ad ogni modo gli attori della Comédie, diretti da Jean Meyer (il quale interpreta anche il personaggio del genealogista, M. Bonnet de La Bonnetière), sono ammirevoli. Basti dire che si chiamano Jean Debucourt e Andrée de Chauveron. Assieme con Brocéliande la Comédie ha rappresentato Amêdêe et les Messieurs en rang di Jules Romains. A proposito di questo Amêdêe, che Louis Jouvet anteponeva addirittura a Knock, ci limiteremo a riferire un interrogativo che si è posta la critica parigina: che diamine ci riusciva a veder di bello Jouvet? Per il momento gli autentici successi della stagione sono due. Requiem pour une nonne di William Faulkner, presentato ai Mathurins nell’adattamento d’Albert Camus, e Ce fou de Platonov di Cecov, al T.N.P. Requiem pour une nonne è un’abietta vicenda di defitto e di vizio, dalla quale però si spri giona prepotente un drammatico senso di religiosità. Una negra, Nancy (la nonne), è con dannata a morte: ha ucciso il figlioletto di Tempe. Nancy è una ex prostituta, Tempe è una giovane di buona famiglia che col matrimonio si è allontanata da quella corruzione sordida da cui si sente irresistibilmente attratta. Le due donne sono amiche. Perchè Nancy ha ucciso? La prostituta negra si è accorta che l’amica è di nuovo sul punto di lasciarsi travolgere, che il suo oscuro insaziabile bestiale bisogno di male sta per riprendere il sopravvento. È una famiglia che crolla, è un’anima che si perde. Bisogna fermare Tempe. Nancy, semincosciente, come invasata, non vede altro modo: ferire la donna in ciò che ha di più caro, pagare con la vita di un innocente il riscatto; e uccide il bimbo. Tempe è salva. L’infanticida, udita la sentenza di morte, mormora: « Oui, Seigneur! Merci, Seigneur! ». Anche lei, per la salvezza di Tempe, deve pagare la sua parte. Tutto questo dobbiamo immaginarlo immerso in un’atmosfera afosa, soffocante, con perso naggi brucianti, in preda agli istinti, all’alcool, al fanatismo; solo allora potremo intuire la terribile maestà del dramma, la densa tempesta che lo agita. « Dalla prima all’ultima battuta — scrive Robert Kemp — il Requiem è patetico. La chiusa è piena di nobiltà e neppure all’anima meno religiosa è possibile assistere a quella specie di apoteosi finale, tra le pareti della sordida prigione, dove si compie, discreta, mormorata, l’evocazione del Crocifisso, senza sentirsi completamente sconvolta ». Gran parte del merito va, è ovvio, all’insuperabile riduzione di Camus e alle scene, che sono di Léonor Fini, ma soprattutto alle due protagoniste: Tatiana Moukhine (Nancy) e Catherine Sellers (Tempe). Due grandissime tragiche. Di quest’ultima (la sua parte è di quelle che fanno paura) Kemp ha scritto: « Non credo che nè Maria Casarès nè Falco netti — la Giovanna d’Arco di Dreyer —• avrebbero potuto fare di più ». Il T.N.P. ha presentato a Parigi Ce fou de Platonov, che aveva già presentato la prima vera scorsa al festival di Bordeaux. Il successo si è ripetuto e, a parere di alcuni critici, è stato questa volta ancor più completo, nonostante che il dramma, opera giovanile di Cecov, sia un testo che l’autore ha lasciato incompiuto e al quale perciò manca la perfetta organicità dei maggiori lavori dello scrittore russo. In esso comunque la critica ha potuto a buon diritto ravvisare i principali caratteristici temi e personaggi cecoviani: intellettuali votati al fallimento, nobili in rovina per incoscienza e leggerezza, tragicità grottesca della vita provinciale russa, il tutto diluito e flottante nei fumi della vodka. Quel pazzo di Platonov è un giovane maestro di campagna al quale piacerebbe emulare le imprese amatorie dei grandi dongiovanni. Ma ahimè il poveretto non ha nè la gagliardia fisica nè la spregiudicatezza morale necessarie. È un velleitario scontento. Lungi così dal raggiungere una qualsiasi letizia, le sue affannose avventure volgono ai pentimenti e alle recriminazioni. Come potrà finire questa storia? Non è il caso che ci facciamo illusioni: un’amante delusa ed esasperata sparerà un colpo di rivoltella e Platonov non resterà che un ricordo grottesco e penoso. Gli attori del T.N.P., con Jean Vilar e Maria Casarès in testa, hanno recitato questo testo discontinuo, aspro e un po’ farraginoso, in modo estremamente vigoroso, caricando le tinte, esasperando i toni, portando la satira sino alla crudeltà. Ne è uscito uno spettacolo irresistibile, di altissima classe: certamente una delle più belle e più complete vittorie della compagnia. Come sempre in Cecov, la scena è attraversata da una folla di tipi: un album di famiglia della società provinciale. Così, accanto ai protagonisti, troviamo, tu tti perfetti, Monique Chaumette, Minazzoli, Le Couey, Campan, Roger Mollien, Sorano, Wilson, Moulinot, Noirel, insomma una splendida schiera di attori. Ripetiamo, un successo incontrastato. Per completare il quadro di questo inizio di stagione dovremmo scrivere ancora pagine e pagine. Ci accontentiamo quindi, per il momento, di fare una piccola elencazione, riser vandoci di tornare in seguito sui titoli più interessanti. Agli Ambassadeurs, una novità di Armand Salacrou: Le Miroir, accolta con un tantino di freddezza. Lo stesso si dica del- FOmbre di Julien Green, presentata all’Antoine. Peggio ancora è toccato al Voyage à Turin di André Lang, inscenato alla Michodière. Un bel successo invece è arriso ad un dramma dedicato alle traversie dei preti operai, Les Etendards du roi di Costa Du Rels, che è apparso al Vieux-Colombier e si è trasferito poi all’Hébertot. Tra le riprese, quasi tutte fortunate: La profession de Madame Warren (Athénée), Don Carlos di Schiller (Vieux-Colombier), Les Fâcheux, Les Fourberies de Scapin, Le Demi-Monde (Comédie-Française), Chaud et froid di Crommelynck (Oeuvre). Per gli italiani il momento è particolarmente buono. Oltre a Pirandello, di cui abbiamo già detto, stanno trionfando a Parigi Ugo Betti e Scarpetta. Uno, alla Renaissance, con La reine et les insurgés, madrina Edwige Feuillère; l’altro, al Théâtre d’Aujourd’hui, con Misere et noblesse, padrino Jacques Fabbri. Marcel Le Due certi effetti del Cristoforo Colom bo, e un bel successo personale — anche come mimo —- di J. L. Barrault e della bravissima e deli ziosa Madeleine Renaud. Per il resto, l’avvenimento più in teressante del periodo è stato il ri torno al teatro di prosa di Noel Coward con due commedie: South sea bubble all’« Apollo » e Nude with violin al « Globe ». South sea bubble, diciamo subito, ha profondamente deluso: chi ri corda Spirito allegro, e Private li- ves, e Hay fever, stenterebbe a riconoscere, in questo centone di luoghi comuni, la stessa penna fe lice che ci diede quelle tre riu scitissime opere. In questa sua ul tima fatica Noel Coward ci porta in un’isola nei paraggi delle Ha waii, in casa del governatore in glese: il primo atto serve solo ad introdurre i personaggi; tra l’altro, ci fa conoscere una simpatica fi gura di indigeno civilizzato (solo a metà: indossa la giacca dello smoking su una sottana di foggia polinesiana) figlio del capo dell’op posizione locale, e invaghito, guar da un po’, della giovane e bella moglie del governatore. Nel se condo atto, Hali Alani, il giovane aborigeno, riesce a persuadere la moglie del governatore, Lady Ale- xandra, a fargli visita nel suo cha let: senonché Hali Alani fa con tanta intraprendenza gli onori di casa che Lady Alexandra è costret ta a liberarsi di lui con una ben assestata randellata. Il terz’atto si apre con la minaccia di uno scan dalo: il padre di Hali Alani ha trovato nello chalet del figlio un braccialetto perduto da Alexandra nella colluttazione, e minaccia di servirsene per creare un putiferio che può giovare ai suoi fini poli tici. Tuttavia tutto si aggiusta quando Hali Alani, confuso e pen tito (e colla testa fasciata) rende il braccialetto alla legittima pro prietaria. Assieme a Vivien Leigh (e ad Elizabeth Sellars poi, in seguito alla malattia della nota at trice) recitavano Arthur Macrae, PER ESPERIENZA TEATR ALE E REGÌA A LONDRA TROVANO MEGLIO GLI STRANIERI potranno che tornarle utili, facen dola evolvere verso orizzonti più vasti. Prima il T.N.P. di Jean Vi- lar, poi il « Berliner Ensemble » di Brecht, di poco preceduto dal Pic colo Teatro di Milano, hanno por tato in Inghilterra un genere di teatro che per molti, qui, è risul tato nuovo: più ricco di espe rienze nel campo della regìa e, per questo aspetto almeno, più moderno e vivo. Tornando al «Ber liner Ensemble », non c’è che da notare l’altissimo livello che que sto teatro ha saputo raggiungere in tutti i settori, in soli otto anni di vita. Non credevamo a tanto, prima di vederlo; e ciò nonostante, mal grado l’assoluta perfezione del tut to, c’è ancora qualche particolare o qualcuno che riesce a porsi in evidenza ed a brillare di luce più intensa. Intendiamo alludere, anzi tutto, ad Helene Weigel: nei pan ni di « Madre Coraggio », questa grandissima attrice ci ha offerto tre ore e più di commozione mai venuta meno, ed alcuni istanti d’indimenticabile intensità. L’altra Compagnia vista a Londra in questo periodo è la francese « Madeleine Renaud - Jean Louis Barrault », che vi ha recitato o vi reciterà, tra l’altro, Le chien du jardinier, di L. de Vega, il Misan tropo di Molière, il Cristoforo Co lombo di Paul Claudel. Anche gli elogi tributati a questo complesso non sono stati inferiori a quelli del « Berliner Ensemble » : partico larmente ammirate la genialità re gistica, la grandiosità e il gusto di Avemmo modo di segnalare, al cuni mesi or sono, un certo rin novato interesse del teatro inglese per le manifestazioni teatrali del continente, per cui nel mentre ve nivano rappresentate sui palcosce nici londinesi opere di autori stra nieri in maggior numero che non per faddierro (particolarmente di Anouilh per la Francia e di Betti per noi), si iniziò ad invitare ed a sollecitare i più celebrati orga nici del teatro continentale a por tare a Londra le loro migliori e più acclamate realizzazioni. Così, anche in questo inizio di Sta gione, già due compagnie di lin gua straniera sono giunte a Lon dra, a sollevare — occorre dirlo — di parecchi toni, un periodo per ogni altro verso assai poco interes sante. La prima di queste Compa gnie è il « Berliner Ensemble », di Bertolt Brecht, venuto a rappre sentare Madre Coraggio, Il cerchio di gesso del Caucaso e Trumpets and Drums. Questa tournée, la cui organizzazione fu tra le ultime fa tiche del grande Autore scomparso, è stata coronata da un grandissimo successo, e le va riconosciuto il merito d’aver avvicinato il pub blico inglese ad un genere di tea tro assai diverso e per vari aspetti opposto al teatro tipicamente « in glese ». Soprattutto per ciò che ri guarda la regìa. La regìa (ed an cor più le preferenze del pubblico in fatto di regìa), ferma per anni su posizioni tradizionali, va rice vendo da alcun tempo a questa parte una serie di « scosse » — mi si passi la parola — che non Ian Hunter, Ronald Lewis: otti ma la recitazione ed ottima pure la regia di William Chappel, ma veramente scadente — come già s’è detto — il testo. Caratteristico del Coward, il solito pizzico di autobiografia, rappresentato questa volta dal personaggio di John B. Kennedy, autore celebre in vacan za, che non ha una precisa fun zione nella trama, se non quella di riempire con conversazioni ar gute (ma non sempre) i vuoti dell’azione. Di gran lunga migliore è la se conda, che John Gielgud ha reci tato da par suo assieme a Kathleen Harrison e David Horne. Anche questa, per la verità, non raggiun ge l’altezza delle opere che hanno reso celebre nel mondo questo simpatico autore inglese, tuttavia — al contrario di South sea hub- ble — può contare per lo meno un dialogo brillante e spiritoso, e un primo atto riuscitissimo. Non originalissima nello spunto, a dire il vero, e un po’ schema tica nella costruzione, questo Nude with violin ci offre una garbata parodia della pittura moderna, nar rando la storia di un grande pit tore contemporaneo nella cui pro duzione i critici solevano distin guere tre periodi o « maniere » : il periodo Feroce, il Circolare e il Giamaicano. Morto il grande Sorodin, si viene a sapere che tut ti i quadri che gli erano stati attri buiti erano stati dipinti da tre differenti persone che in diversi periodi avevano avuto a che fare con lui: una prigioniera russa, che dipingeva solo quando si trovava a dover sbollire un’arrabbiatura, è l’autrice del periodo « feroce » ; una florida commessa, del periodo « circolare » e un bell’esemplare di moderno apostolo-profeta, del pe riodo « giamaicano ». Detto del dialogo, che sovente è quello del miglior Coward, non resta che os servare come — chiusosi il primo atto con la rivelazione della mi stificazione ai parenti riuniti per l’eredità — la commedia si muove un po’ schematicamente, ripetendo per tre volte, sia pur variato, lo stesso identico tema. La regìa —• ottima — era di Gielgud e dell’au tore stesso : brillante la recitazione, oltre che dei già nominati, di Pa- tience Collier, Thomas Baptiste, Joyce Carey ed altri. Una lieta sorpresa ci è stata for nita invece da Night of thè fourth, una commedia gialla di Roffey e Harbord, ricavata da una Schre- ckenssUmde di Bratt, e presentata con buon successo al Westminster Theatre. Solitamente assai poco te neri nei riguardi del genere gial lo, dobbiamo riconoscere in que st’opera, anzitutto, un’indubbia abi lità sia per ciò che riguarda il meccanismo del dramma, sia per ciò che riguarda il modo con cui i dialoghi sono condotti: e so prattutto un’encomiabile modera zione e misura di toni. Assai bra vo in Night of thè fourth, Hugh Sinclair, alle prese con la non fa cile parte del protagonista, ben coadiuvato da Walter Rilla (lo psi chiatra), Meier Tzelniker (una biz zarra figura di barbiere italiano), Michael Shepley ed Isabel Dean. Desolante, deprimente, senza il mi nimo pregio e senza la minima capacità di interessare, s’è rivelata invece The long echo, presentata al St. James’s Theatre con la re gìa di Murray MacDonald e l’uni ca scena di Robert Weaver. The long echo è di Lesley Storm, della quale il lettore ricorderà Paolino ha disegnato un cavallo, rappresen tata con successo la passata sta gione dalla Compagnia Adani-Ci- mara. La Storm ha voluto cimen tarsi stavolta nel genere dramma tico, ed ha portato sulla scena un caso verificatosi realmente (alme no in parte): uno scienziato ato mico, fuggito in Russia dall’Inghil terra, chiede alla moglie di recarsi ad incontrarlo a Parigi, deside rando rivedere lei e il figlio. La moglie acconsente e si reca a Pa rigi ; ma ritornerà a Londra senza il figlio, che il marito ha tenuto con sé. Noiosa, troppo lunga, sen- za nervi e senza mordente, The long echo s’è risolta in un polpet tone politico, in un pistolotto pro pagandistico del tipo — ma di assai minore abilità teatrale ed ef ficacia — di Buio a mezzogiorno, che gli si può accomunare sotto il profilo della tesi che vi si so stiene. Vani sono risultati gli sfor zi di Moira Lister, della Gill, e di Denhom Elliott, per dare un po’ di vita e di calore umano agli agit-prop che impersonavano. Con questo si è esaurito ciò che di più interessante, per un verso o per l’altro, ci ha offerto la scena londinese in questo periodo. Re sta da far cenno di una bella edi zione di Gigi, al New Theatre, con Leslie Carón nei panni della pro tagonista, e con un’indovinata re gìa di Peter Hall; e di Doctor in thè house, ricavata da Ted Willis da un best-seller di Richard Gor don: si tratta di una farsetta scac ciapensieri con la quale le filo- drammatiche universitarie potreb bero cogliere più adeguati allori che non scomodando Euripide o Sofocle. Più rivista (o copione per film) che non teatro vero e proprio, è senza dubbio No time for ser- geants, di Ira Levin, di cui i let tori de « Il Dramma » hanno già avuto notizie da New York: è una parodia della vita militare, in cui una simpatica figura di coscritto, creandosi disertore, finisce decora to. Barry Nelson vi ha fatto il suo esordio londinese, cogliendovi un bel successo: si tratta in ef fetti di un simpatico attore, ma No time for sergeants è sovente un po’ troppo farsesca e ridan ciana. Infine, in attesa delle più impegnative realizzazioni della sta gione vera e propria, un fugace cenno della ripresa di Mr. Bolfry, di Bridie, da notarsi più che altro per il ritorno alle scene di Alastair Sim, e di una bellissima edizione della shawiana The DoctoPs Di lemma, rappresentata al Saville Theatre con Ann Todd, Paul Da- neman ed Anthony Ireland. Gigi Lunari Cristina, Alberto Lupo, e dei due giovanissimi Vittorio Stagni, Li- via Contardi. Si tratta di una pittura parodi stica degli adolescenti d’oggi. A l l’inizio, e per due buoni atti, cre diamo che i nostri due eroi si siano resi colpevoli di atti pecca minosi, li vediamo soggiacere a ricatti, imbastire cambiali con fir me false, e via via, tra lo spa vento crescente dei genitori. Fin ché non si viene a scoprire, con generale soddisfazione, che era stato tutto uno scherzo, macchi nato allo scopo di farsi prendere finalmente sul serio, di indossare calzoni lunghi e tagliarsi le trec ce, di passare insomma alla cate goria dei « grandi ». Il tutto è vi sto ed esposto con effetti comici e C071 scorrevole abilità, sotto il segno dell’innocuo divertimento, che si presta ad apparire scabro- setto, piccante, senza neppure es serlo. Per mio conto, il vero spettacolo Tavevo a pochi passi, individuan do nell’angolo estremo della sala, in una poltrona quasi sperduta, il nostro Autore. Cercava di na scondersi alla vista di quelli che aveva dinanzi a sé, appiattandosi dietro alla poltrona che lo prece deva, ma non gli era facile, dato il suo fisico pienotto. Si muoveva inquieto dando affannosi e fur tivi sguardi al pubblico, e al tem po stesso ammiccandogli (non si guardava però alle spalle, ed aveva alle spalle mezza platea). Le risate lo trovavano giubilante. Avrebbe voluto anche applaudire a se stesso, e timidamente lo ten tava (c’è una tecnica degli ap plausi: gli amici degli autori e degli attori sanno bene come pro lungare le chiamate fino al li mite, come dare il via all’ambi tissimo applauso a scena aperta). La candida gioia dell’Autore nel sentire rimbalzare le proprie frasi dal palcoscenico in platea, nel ve derle accolte con compiacente ila rità, aveva un effetto commovente, e giustificava ai miei occhi l’in tero avvenimento. La vera ragio ne che fa esistere e sussistere l’at tività teatrale, è fornita dalla gio ia con cui attori e autori, sfidando avversità di ogni genere, e molto spesso l’indifferenza del pubblico, la suscitano e la svolgono. Per essi è una vera lotta, una guerra contro le mille difficoltà, l’assen za di denaro, le sordità degli ambienti, dall’alto in basso; al ter mine della quale poche sono dav vero le energie rimaste per giun gere al risultato artistico. Le altre due novità italiane che sono apparse in questo periodo della stagione teatrale, hanno por tato alla ribalta due autori italiani da lungo tempo affermatisi : Ales sandro De Stefani al Teatro dei Satiri con Mano aperta in campo azzurro, Cesare Meano al Teatro delle Muse con E poi venne l’al ba. Appartengono a due diverse generazioni. Il primo tenta di di vertire il pubblico coti un intrigo da vaudeville, in cui sono chiari i riferimenti ai Savoia in esilio. Il secondo ricorre al patetico di una favola, ad uno psicologismo risolto in chiave lirica. Questi pic coli teatri, questi temi lontani da gli stati d’animo attuali, danno alle rappresentazioni il senso di un discorso tra pochi, fatto così, per illudersi di poter ancora di scorrere, per ascoltarsi. L’Annuario del Teatro Italiano edito dalla S.I.A.E., raccoglie i nominativi e le attività di almeno un centinaio di autori italiani vi venti. Accanto ad essi vi sono gli autori non rappresentati, in folta schiera, forse più interessante di quella formata dai rappresentati. Ogni anno si bandiscono almeno una diecina di concorsi teatrali. Si potranno moltiplicare all’infi nito le invenzioni nel campo del lo spettacolo, ma finché l’uomo vivrà, la gioia dell’autore e la gioia dell’attore (finché, si badi bene, i mezzi meccanici non con cedono con la libertà del teatro) troveranno sempre modo di rag giungersi, magari nell’angolo più buio, e perfino senza pubblico, senza «portoghesi ».Vito I*¡indolii i RAGAZZI D! MANZARI OVVERO LE GIOIE DELL’AUTORE Non conosco di persona Nicola Manzari, ma lo conosco di vista. Ha una fisionomia amabile e paf- futella, un profilo mosso e bur lesco sotto una gran cresta di ca pelli, e porta un paio d’occhiali leggeri,.che si rendono quasi invi sibili. Appartiene alla generazio ne che partecipò, come primo at to di prova e di adattamento, ai Littoriali della cultura. Manzari vi si affermò, ed in seguito, piut tosto che idncorrere gli aneliti al lora di moda del « teatro di poe sia », si gettò decisamente alla ri cerca del mestiere teatrale. Ahi mè, il mestiere d’autore non ha più ragione d’essere — conside rando i modestissimi incassi del le Compagnie — ed ecco anche Manzari entrare nel novero degli sceneggiatori. Senza però abban donare le antiche predilezioni. Lo si ritrova ogni tanto alla ribalta, e difficilmente sbaglia bersaglio, conosce troppo bene i gusti del pubblico, le possibilità degli at tori, afferra gli umori del mo mento, ispirandosi ad esempi con venzionali con disinvolta assimi lazione. Questa volta, ha presentato I no stri cari bambini, nella interpre tazione di Elsa Merlini, Olinto Il P ic c o lo T e a tro d e lla C ittà d i T o rin o al p rim o p o s to in q u e s to in iz io d i S ta g io n e T e a tra le p e r c r it e r i, s p e tta c o li e m a n ife s ta z io n i Una commedia fra le meno note di Giuseppe Giacosa, i quattro atti de L’onorevole Ercole Malladri, è il secondo testo dopo la Pamela nubile che in quest’inizio di stagione la Compagnia del « Piccolo Teatro di Torino » propone al giudizio della critica e all’interesse del pubblico. La rappresentazione è stata preceduta e, diremmo psicologicamente preparata, da una serie di celebrazioni giacosiane cui, fra Torino e Colleretto dove il drammaturgo da cinquantanni riposa, ha partecipato molto pubblico: assai più di quanto non usi in queste circostanze. Lo scrittore Carlo Trabucco, Nico Pepe diret tore del « Piccolo », la professoressa Maria Tettamanzi assessore comunale alla pubblica istruzione, hanno con commossa efficacia ricordato la figura e l’opera di Giacosa: munito, alla vigilia della « prima », di questi autorevoli viatici lo spettatore s’è presentato allo spettacolo nelle ideali condizioni di spirito per avallare con i propri applausi il coraggioso tentativo di ricupero di un copione per il quale non sembrava più essere speranza. Dalle notizie che ce ne dà Piero Nardi nel volume dedicato al Teatro di Giuseppe Giacosa sappiamo infatti che L’onorevole Ercole Malladri fu rappresentato una prima volta a Torino la sera del 20 ottobre 1884 e fu replicato quindi poco dopo, il 28 gennaio 1885, al « Manzoni » di Milano. Aggredita violentemente dalla critica del tempo, l’opera non resse agli assalti, scomparve dai repertori e rimase addirittura inedita finché il Nardi, appunto, non ottenne dalle eredi del comme diografo di poterla inserire nel suo libro. Rispondendo in anticipo alla domanda che prevedeva inevitabile — «perché proprio L ’onorevole Ercole Malladri? e non... Tristi amori o Come le foglie o II più forte o altro dello stesso autore...? » — il regista Giacomo Colli che ha curato il presente allestimento dichiara di esservi stato persuaso soprattutto dal gusto del « rischio da correre... con un testo siffatto, pressoché sconosciuto e dimenticato dopo alcune rappresentazioni tempestose e tanto lontane ormai da non avere più che testimonianze di cronaca, ricordi non incoraggianti di un fiero insuccesso di critica ». Dichiariamo a nostra volta che questa ragione ci piace perché nel gusto del « rischio », nel piacere dell’avventura culturale crediamo risieda l’essenza e la funzione di un «Piccolo Teatro» degno di chiamarsi tale: e dunque stavolta — contrariamente a quanto fu per la Pamela — d’accordo in pieno sul movente della scelta. Valeva la pena, ci si può domandare ora, valeva la pena di mettersi in questo rischio, di correre quest’avventura? Rispondiamo ancora di sì (schierandoci dalla parte del pubblico che ha accolto con mani festa simpatia il tentativo) perché, alla resa dei conti, i quattro atti del Malladri ci son sembrati opera schietta di teatro : non del « mi glior » teatro e neanche, forse, del « buon » teatro. Ma, innegabil mente, teatro, Facile, evidente, popolare: quel che sembra appetire un pubblico disamorato e disorientato il quale ha bisogno, per tor nare alla prosa, di esservi ricondotto pazientemente per mano, come un bambino riottoso, con l’esca di una sorpresa che lo annichili tanto è più grande di lui, o con la certezza di un divertimento che si adegui alle sue dimensioni. Qui, con questo Onorevole Ercole Malladri, siamo senza dubbio in presenza del secondo caso: libello sceneggiato con discreta abilità dove l’uomo qualunque (anzi, il « qualunquista » che son necchia in ognuno di noi) si pa sce di invettive contro la « sporca politica»; gode a veder mettere in burletta uomini e istituzioni che conosce e di cui, a torto o a ragione, diffida; si abbandona a un autentico festino di ironici ri- sentimenti. Come ai quadri sati rici di uno spettacolo di rivista più che non a una serata di prosa. Ciò che poteva sgomentare i contemporanei di Giacosa settan tanni fa — la violenza e l’acri monia della polemica oggi si volge in divertimento. E’ la forza e, nel tempo stesso, la debolezza della commedia. Che se giunge, come giunge, a interessarci viva mente e divertirci, ciò ottiene rinunciando a quella che, tutto sommato, è la miglior parte di sé: la rappresentazione di un delicato personaggio femminile, quello di Vittoria moglie inna morata e dolcissima del disone sto Ercole Malladri, che finisce col perdersi e sparire (almeno per l’attenzione del pubblico) nel vor tice delle caratterizzazioni mar ginali. Vittoria esce di scena al l’ultimo atto risoluta a separarsi dal marito indegno, fra la gene rale indifferenza della platea tut ta scossa, ancora, dall’ilarità susci tata dallo « sketch » (non saprei definirlo in altro modo) del trion fo elettorale di Ercole Malladri. Giannini, insomma, ha soverchia to Giacosa. E va benissimo anche se, così stando le cose, il successo viene ad essere attribuito agli aspetti più deteriori dell’opera a tutto danno — si diceva — delle parti più pensate e nobili; il dramma ap punto, di donna Vittoria duches sa di Serrarsa. Va benissimo per ché comunque successo c’è stato, e caldo e pieno. Il pubblico si è divertito e lo ha dimostrato. E questo, oggi, è l’importante: che il pubblico a teatro, in qualche modo, si diverta. Gli attori: ottimi, veramente ot timi tutti quanti, intelligentemen te guidati. E mi sia permesso cominciare le citazioni al merito da un caratterista tanto modesto di indole quanto sapiente di tec nica e di gusto, Paolo Porta, che impersonando il pitocco e bigotto Ferdinando Barelli s’è guadagna to un lungo, affettuoso applauso a scena aperta. Leonardo Cortese e Mario Ferrari hanno recitato con abilità magistrale camminan do scientemente ai margini del gigionismo e fornendo, soprat tutto il primo, una efficace stiliz zazione caricaturale dei personag gi loro affidati. Carla Bizzarri ha tentato e spesso è riuscita ad op porsi alla facile prepotenza dei compagni imponendo all’atten zione la sua donna Vittoria: e non era impresa agevole, come dar corpo a un esile fiato di li rica in mezzo ad un fragoroso coro paesano. Vittorio Di Giuro ha descritto assai bene, con raffi nata sottigliezza, l’animo ambi guo e contorto di Ulrico Falcieri. Lucia Catullo, Gino Bongiovanni, Gioanni Boasso, Carlo Enrici, Ar rigo Peri, Stefano Cornino, Fran co Alpestre, Luciano Donalisio, Nina Giardini hanno completato armonicamente l’elenco degli in terpreti. La regìa: senza dubbio intelli gente (così come intelligentemen te ragionata ci è parsa la pagi netta introduttiva in cui Giacomo Colli ha esposto le sue intenzioni di allestitore), rispettosa delle vo lontà dell’autore senza peraltro soggiacervi opacamente, illumi nante per gli attori cui tuttavia concede il libero esprimersi delle personalità. Bene anche sotto questo rispetto, dunque: non rimane che conti- Gig-i Cane nIlare. S A L A C R O U A M A M O L T O L T T A L ÏA AI Piccolo Teatro della Città di Geno va, il 1° dicembre 1956, è stata rappre sentata in prima mondiale la comme dia in tre atti di Armand Salacrou: « Una donna quasi onesta ». Speriamo che il signor Armand Salacrou si senta adeguatamente lusingato dal fatto che la sua com media Une femme trop honnête abbia avuto la « prima » italiana, avanti quella parigina al Théâtre Edouard VII, al Piccolo Teatro della città di Genova. Lusingato, precisiamo, non solo per il già chiaro nome del nostro organismo spettacolare, ma soprattutto dalla appartenenza del «Piccolo» della città di Colombo alla sfera « uf ficiale » del teatro italiano. In- somma, auguriamoci che il signor Salacrou sappia subito che la sua commedia scritta quattro anni fa, e rimasta nel cassetto della scri vania fin’adesso, è stata fatta in Italia da un teatro sovvenzionato dallo Stato e dal Comune di Ge nova. Il che è bello e nobile, an che se noi pensiamo, a ragion ve duta e conti fatti, che Una donna troppo onesta non avrebbe meri tato tanto onore: non — Dio ci guardi — per l’eccessiva carica della sua onestà, ma per il valore tutto relativo della « pièce ». Con un ritardo di quarantanni su quello di Luigi Chiarelli, l’au tore francese ha scritto il suo « grottesco ». Di grotteschi, nel l’opera di Armand Salacrou, an cora non ce n’erano; c’era una Donna libera che pativa le pene dell’inferno tra le sbarre della fa miglia-prigione; c’era il gioco dell’amore puntellato da un colpo di rivoltella, senza conseguenze eccessivamente drammatiche; e c’erano i Fidanzati dell’Havre, e Un uomo come un altro e La sconosciuta di Arras, tutte opere non prive di macchinosità, di chiamate di soccorso alla vecchia maniera, di ingredienti disparati e sovente ingombranti, ma tim brate di estrosa personalità, di poesia, di giustificata e qualifi cata audacia. Ma il grottesco teatrale vero e proprio, ben riconoscibile dal pro cedimento chiarelliano del capo- volgimento di valori umani, a Salacrou mancava. Ora ecco col mata tale lacuna (almeno inten zionalmente). Un fatto di cronaca accaduto in Italia (ma di quante cose il si gnor Salacrou è debitore agli ita liani!) ha offerto la materia tea trabile allo scrittore: la stramba ma non impossibile istoria di una donna che paga un tale perché la renda vedova, e che, andato a monte il colpo, informa il ma rito di tale scherzetto, e questi, per nulla annientato dal pericolo corso, va dal suo mancato assas sino per farsi rendere il denaro già incassato. Nella commedia, Maria Madda lena tradisce (movente unico: i sensi) il marito Roberto, ricco proprietario di autorimessa, con Giacomo, amico « occasionale » di famiglia. Il tradimento è di casa, sotto il tetto di Maria e di Ro berto, perché anche il padre di lei, Giorgio, professore di liceo in pensione, è l’amante della gio vanissima Renata, gerente di tin toria, e la madre Guiguitte, ai suoi tempi, i maschi non li ha lasciati a basire a piè del talamo coniugale. Ma per Maria Mad dalena, non ancora trentenne, le cose non vanno liscie come ai beneamati genitori : Maria ha il « complesso » dell’onestà, po- tenziato da una laurea in filo sofia. Maria vive sotto il peso del- l’incubo « onestà innanzi tutto e soprattutto e a qualunque co sto»; e che ti combina? Non po tendo sopportare gli sguardi così dolci del marito, né il peso della sua formidabile e ottimistica fi ducia, decide di farlo uccidere: un caso di assassinio filosofico. L’assassino prescelto è Ruggero, amico d’infanzia (delicatezza e- strema di sentimenti), uomo di pochissimi scrupoli morali, ma niente saldo di nervi : tanto è vero che incassa metà della for te somma pattuita per « soppri mere il rimorso di Maria », e poi cerca di tagliare la corda ma è costretto dalla donna al patto concluso. Infine, al momento del colpo — una fucilata nella schie na di Roberto durante una par tita di caccia — non riesce che a ferire se stesso ad un braccio, impallinandosi. A questo punto occorre sapere che la cifra offerta da Maria Maddalena all’assassino appartiene a Roberto e che que sti, non trovandola più in cassa forte, s’abbandona ad una scena di orrendo sconforto: è rovinato. Ma riavrà i suoi diecimila luigi d’oro, perché Maria Maddalena li farà sputare al boia mancato, e poi, sempre per complesso di onestà, se ne andrà lontano con l’amante Giacomo, riluttante co me un bimbo innanzi al cuc chiaio d’olio di ricino. E Roberto esclamerà: «Troppo onesta. De cisamente troppo onesta! ». Riprendendo il discorso iniziale, dubitiamo forte che Una donna troppo onesta possa considerarsi un grottesco vero e proprio. Sem mai è grottesca l’invenzione, e di estrosa sostanza umana (si tratta di cronaca vera ripresa da un giornale italiano), ma il suo gioco è tutto scoperto, e fragile, e financo ingenuo. Si avvertono i bagliori di un ingegno qual è quello di Salacrou, ma a sprazzi, a schiarite, a intervalli troppo gravidi di pesantezza, di cascami farseschi, perfino di scampoli di « sketches » rivistaioli. Si tratta dunque di un Salacrou minore, ben minore, sia per impegno, sia per abilità professionale. Tanto più che quello che doveva essere il fulcro dell’azione, cioè la « so stanza » di Maria Maddalena, è la parte meno riuscita della com media, per la mancanza di una illuminazione intelligente, deci sa, definita. E’ proprio in questo disegno che sono venuti meno a Salacrou la forza e il coraggio di fare, della sua Maria Maddalena, una vera e propria eroina; un’eroina della beffa, della sfrontatezza, diciamo pure della pazzia; una creatura viva, infine, viva com’era vivo il Paolo di Luigi Chiarelli. Con una scintilla viva nel cuore e nella mente, Maria Maddalena avrebbe pouto farci ridere o pe nare, ma non sghignazzare co me alla peggiore farsa, o soppor tare senza la minima convinzio ne il suo dramma scampanato. D’altra parte, esaurito l’impianto della commedia, cioè soddisfatta la curiosità per le sanguinarie speculazioni filosofiche della se guace degli insegnamenti carte siani, e per il suo « complesso » di onestà, la commedia cala no tevolmente di tono, specie lungo il secondo atto, il più debole dei tre. La recitazione singola e collet tiva — coordinata da Enrico Sa lerno —■ ha evidentemente risen tito delle tare della commedia. Valeria Valeri, quale Maria Mad dalena, ha impiegato toni chia ramente « borghesi » nell’espri- mere il suo assurdo tormento, ed è anche scivolata in una recita zione più adatta alla Maestrina niccodemiana che al dramma im posto da Salacrou. In altre pa role, la Maria Maddalena di Va leria Valeri fa mostra di una emozione tutta sentimentale che riteniamo non consona ad un personaggio la cui sofferenza è invece tutta cerebrale, tutta (per ripetere un ritornello del testo) « metafisica ». Attorno a lei gio strano invece personaggi la cui proiezione è tutta farsesca: ci si ricorda di Labiche, di Henne- quin, di Feydeau, arrivando co modamente alla « pochade ». In tale clima si sono prodigati il Moschin (fin oltre i suoi limiti fisici), la Brignone, il Bardellini, la Galvan, la Maestri. A Salerno, il disegno di Ruggero è riuscito assai bello : quasi in timista, sulla scorta di annota zioni di un Amiel, di un Vildrac. Bellissimo pubblico pronto allo spasso: risate e risatene a tutto spiano al primo atto, concluso trionfalmente con sette chiama te. Calo evidente e successo più moderato dopo gli altri atti. Enrico Bastano IL QUARTO ANNO DEL SANT’ERASMO Il Teatro a scena centrale di Mi lano —■ Sant’Erasmo — diretto da Carlo Lari e con prima attrice Lula Ferro, ha iniziato la quarta Stagione della propria attività, il 24 novembre 1956, con la rappre sentazione del poema dramma tico di Paul Claudel L’annuncio a Maria. Ehgio Possenti ha scritto che il successo è stato vivissimo, dell’opera e dell’interpretazione. Ed ancora: « Fida Ferro ha dato una intelligente interpretazione di Violaine con dolorosa e letifican te poesia; Marisa Fabbri ha avuto accenti forti e drammatici, Re nata Seripa ha recitato da pari suo; e bravo Cesare Polacco e ot timi il Mantesi, il Bertolucci, il Guidi e il Pelso. Il pubblico ha applaudito calorosamente gli at tori e alla fine dello spettacolo an che Carlo Lari che l’ha diretto con quella sua esperta e sicura cono scenza dell’arte del recitare e con felice intuito scenico. Una lode si meritano anche Lio Carminati per gli elementi delle scene e En rico Ciuti per il gusto dei colori nei costumi ». 35 COMPAGNIE SONO STATE AMMESSE ALLE SOVVENZIONI B Sono stati presentati alla Com missione interministeriale per il Teatro 47 progetti di iniziative per la stagione ’56-57. Trentacin- que compagnie primarie hanno ottenuto le provvidenze previste e verranno loro corrisposti, per un massimo di 240 giornate reci tative, contributi pari al 10 per cento dell’incasso lordo, fatta ec cezione per le piazze di Roma e di Milano per le quali la quota è fissata nella misura dell’8 per cento. Per le rappresentazioni di autore italiano, tali quote sono aumentate del 4 per cento, men tre per le recite effettuate nel l’Abruzzo e nell’Italia meridio nale e insulare le suddette quote sono ulteriormente maggiorate. Alle compagnie è inoltre corri sposto un premio di 500 mila lire per ciascuna delle due prime no vità assolute italiane, e un pre mio di 300 mila lire andrà alle compagnie che realizzeranno al tre novità assolute italiane e commedie apparse nell’ultimo decennio c mai presentate nella piazza di Roma e in quella di Milano. Quasi tutte le compagnie contano nel loro repertorio commedie di Luigi Pirandello, della cui morte ricorre quest’anno il ventennale. Altri autori italiani, vecchi e nuovi, verranno rappresentati lar gamente dalle 35 compagnie pri marie e dai cinque teatri stabili. Nel loro repertorio è annunciata infatti l’esecuzione di 312 lavori di cui 228 italiani e 84 stranieri, con una percentuale di circa il 77 per cento di opere italiane fra cui le sole novità sono 82. Al riguardo, l’Istituto del dramma italiano ha predisposto anche quest’anno la sua attività di in tervento per promuovere e favo rire la rappresentazione del re pertorio italiano. E’ da segnalare, inoltre, la costi tuzione di oltre 70 compagnie se condarie, alle quali è anche asse gnato un contributo statale e che svolgeranno una attività conti nuativa non inferiore ai tre mesi in tutti i centri d’Italia. Con i nuovi due volumi curati da Eligio Possenti il panoram a dei Teatro Ita lia n o è com ple to Cinque grossi volumi che stanno adesso sul nostro tavolo — senza sottoporci alla piccola fatica di un conto preciso, a occhio e croce di remo che son quattromila pagine: i testi teatrali completi sono com plessivamente cinquantasei •— pro pongono un vecchio interrogativo : che non è quello, annosissimo, se un teatro italiano esista e consi sta, ma se il teatro, oltre che ascol tato, possa essere « letto », invi tando il lettore, davanti ad una pagina stampata, a trasformarsi in solitario spettatore. Qui abbiamo cinquantasei commedie: a legger ne una per settimana, più di un anno di teatro. In senso assoluto le fortune del teatro « letto » non sono minori di quelle del teatro «recitato», e forse, nell’emozione e nell’atten zione della lettura, il lettore si fa, spesso, attore molto migliore di quello ch’egli potrebbe ascoltare in un teatro. Per molte centinaia di anni il teatro greco — per citare un esempio — non è più stato recitato, ma solamente letto, e non è detto che la lettura non lo indi casse egualmente vivo. In ogni let tore c’è, « in nuce », un attore re citante. Così, nei silenzi della let tura, tutti abbiamo « recitato » in un modo solo in apparenza muto il nostro Shakespeare, il nostro Eschilo, il nostro Molière e il no stro Goldoni. In molti casi sono stati proprio i lettori, e cioè que sti attori apparentemente silenzio si, che hanno assicurato la vita di molti e grandissimi personaggi af fidandoli all’eternità anche quando la possibilità dello spettacolo, e cioè del loro rappresentarsi attra verso la viva finzione sonora e pla stica di un gruppo di persone uma ne, era praticamente vietata. In quanto alla testimonianza del dato di fatto « pratico » tutti sanno, per esempio, che l'Amleto, per quanto siano innumerevoli quelli che hanno potuto ascoltarlo, è, da un secolo a questa parte, uno dei li bri più venduti.del mondo; un qua si imbattibile « best-seller » ; e che, per parlare di cose di casa nostra, il Teatro di Carlo Goldoni è stato ristampato, completo, un numero tale di volte da dover praticamente essere collocato, come fortuna edi toriale, accanto alla Divina Com media, ai Promessi Sposi e alle opere di Leopardi che ormai hanno sostituito, nel gruppo di testa dei poeti, il grande trio Petrarca, Ario sto e Tasso. Lettori, quelli di Gol- doni, non solo sapienti o ricchi o fortunati, da poter possedere, per esempio, del Teatro goldoniano la edizione originale dello Zatta o quella preziosa e un po’ pachider mica curata dal Municipio di Ve nezia, ma anche infiniti lettori dal borsellino minuscolo, che si accon tentavano, per esempio, dei fasci- coletti del romano giornalaio-edi tore Perino. Questi cinque volumi del « The saurus Litterarum » curato dalle edizioni della Nuova Accademia — aver dato alle gigantesche col lezioni che sono in programma un nome latino indica un impegno particolarmente solenne — raccol gono una scelta dei capolavori tea trali italiani. Questa scelta è stata affidata a due critici che sono stati quasi ogni sera della loro vita spet tatori in una poltrona di teatro, ma che, come studiosi, sono da collocare nella categoria dei « di voratori » di carta stampata. Quan te commedie ha ascoltato, nella sua vita, Silvio d’Amico? Quarant’an- ni di critica: non solo in tempi in cui, come adesso, le Compagnie drammatiche sono poche, e per ogni semestre della loro esistenza non presentano in media più di quattro o cinque testi : ma nei tempi in cui le Compagnie, fra primarie e secondarie, erano un centinaio, e ciascuna aveva un re pertorio di almeno quaranta o cin quanta commedie. E altri quaran tanni di « ascolto teatrale » ha messo in fila, nella sua poltrona, Eligio Possenti, erede di quel no stro Simoni che superò il mezzo secolo di diretta esperienza critica. In tutti e due, D’Amico e Pos senti, il lettore, probabilmente, bat te lo spettatore. Non era facile, a meno di varcare i limiti della logica e della pra tica, disegnare il programma di una selezione dei capolavori, o del le opere indicative dei vari tempi e dei vari stili, che consentisse una visione non solamente sinte tica su tanti secoli del nostro tea tro, iniziando dal dialogo di Giul io d’Alcamo, prima testimonianza della nascita della lingua, per con cludere con il più valido testo di Ugo Betti, Corruzione al palazzo di Giustizia. I due compilatori — D’Amico per il teatro sino al « me dio Ottocento », e cioè sino a Paolo Ferrari, Possenti per quello che usualmente si intende come moderno, e cioè come espressione della nuova Italia — dovevano te ner conto che, nel procedere cro nologico del nostro Teatro, non ci si poteva fermare solamente al l’ombra delle grandi querce im mortali, ma che bisognava tener conto anche di quella che si po trebbe chiamare la vegetazione dei tempi di transizione. A mano a mano che ci si avvicinava alle ope re delle ultime generazioni il la voro di scelta, ogni scelta impli cando un sereno giudizio che de ve tener calcolo della capacità creativa più o meno imponente e convincente di ogni generazione, si faceva più difficile: e questo lavoro aveva per « magistrato » quell’uomo acuto e sereno che è Possenti. I tre primi volumi, per così dire, erano preparati con un lavoro lun go ma sostanzialmente agevole, so stenuto da concetti che potevano appoggiarsi a valori ben definiti ormai e quasi indiscutibili della grande storia letteraria. D’Amico, che dedicò a questa scelta, e alle presentazioni dei vari testi, gli ultimi mesi della sua vita già mi nata da una malattia mortale ma sostenuta da una mai interrotta fede nel suo dovere di lavoratore, ha compiuto la sua selezione su un piano didatticamente e storica mente esattissimo. Si cammina nel la classicità, da Jacopone da Todi a Feo Beicari, dall’Ariosto al Ma chiavelli, dall’Aretino al Ruzzante, dal Tasso al Maffei, al Metastasio, dall’Alfieri al Gozzi, dal Manzoni a Paolo Ferrari, e, al Giraud e a Francesco Augusto Bon, per non citare che i massimi. Ma, da qui in avanti — quando si passa nella « magistratura » di Possenti — l’o pera di scelta si fa più difficile, perché siamo di fronte ad un tea tro i cui problemi, le cui ansie e i cui messaggi sono sempre più vicini a noi, direttamente confron tabili con la polemica dei nostri pensieri e con il vario palpito dei nostri sentimenti. In qualche caso — il maggiore è quello di Piran dello — abbiamo opere nate fra gravissimi contrasti, che hanno do vuto dar l’assalto alle nebbie del l’incomprensione. In altri casi c’era da dire se il successo era stato, o no, vera gloria : se gli applausi era no legittimi o no: se un determi nato stile era veramente specchio dei tempi o di una condizione mo rale: distinguere fra le non molte opere originali e quelle di deri vazione o di sia pure perfetto arti gianato. I testi moderni sono ventiquattro: uno per ciascun autore, mentre nei volumi dedicati al teatro ormai da considerare classico si eran fatte due eccezioni, con tre opere per Goldoni e due per l’Alfieri. E si deve pensare che per D’Annunzio e per Pirandello, Possenti abbia giustamente pensato che i loro te sti siano tutti facilissimamente re- CompSeiate la vostra conoscenza di P I R A N D E L L O con la raccosta dei suoi S A G G I Il volume, a cura di Lo Vec chio Musti, contiene: 9 il fondamentale saggio pi randelliano sull’Umorismo * i due discorsi pirandelliani in memoria di Giovanni Verga 9 due saggi su Cecco Angio- lieri ® cinque scritti danteschi ® «Arte e scienza», «Teatro vecchio e teatro nuovo », « Illustratori, attori e tra duttori », « Soggettivismo e oggettivismo nell’arte nar rativa » pagine 480 - Lire 1600 e- B I B L I O G R A F I A D I P IR A N D E L L O aggiornala al 1951, a cura di Manlio Lo Vecchio Musti, contenente : ® tutte le stampe e ristampe pirandelliane * tutte le « prime » pirandel liane (città, teatro, compa gnia, protagonisti, data) 9 tutte le traduzioni e le pri me rappresentazioni all’e stero * bibliografia dei principali saggi italiani e stranieri su Pirandello pagine 332 - Lire 1300 * M O N D A D O R I EDITORE peribili, e che era meglio in un’o pera antologica come questa, la sciare più spazio a opere che l’edi toria ha lasciato un po’ in disparte, per quanto siano da considerare tipiche di un gusto e di un tempo. Criterio che ci appare assai giu sto, dato che con questi volumi si voleva offrire un primo fonda mento, il primo pilastro per una biblioteca di cultura non ancora specializzata. Ventiquattro opere teatrali dunque; ed eccone in or dine cronologico gli autori: Giaco- metti, Torelli, Cossa, Oriani, Ver ga, Praga, Giacosa, D’Annunzio, Bertolazzi, Rovetta, Lopez, G. An cona Traversi, Benelli, Bracco, Nic- codemi, Chiarelli, Pirandello, Anto- nelli, Rosso di San Secondo, Ca- vacchioli, Morselli, Rocca, Gherar- di e Betti. Attorno a questi venti- quattro testi il lettore potrà conti nuare le sue ricerche: le note in troduttive storiche, i commenti ad ogni capitolo, le indicazioni biblio grafiche sono fatti per aiutare il normale lettore a spingere più ad dentro il suo viaggio, sino alle più sottili esplorazioni. Il materiale il lustrativo —■ in quest’opera che non solo culturalmente, ma anche tipograficamente è di alto e scru poloso decoro — è assai ampio e gustoso, e aiuterà chi legge come un buon commento della lettura stessa: la quale lettura è del resto per se stessa abbastanza autosuffi ciente quando, come si è detto, il lettore trovi un’autentica vita nei personaggi. 0n*5© Vergfani m Capita raramente l’offerta di una collezione di Dramma « com pleta », perché molti credono di avere la Prima e la Seconda se rie, ma poi manca loro l’ormai « famoso » fascicolo di congiun zione, tra la vecchia e la nuova serie, cioè il n. 444-446 del 1945. Il signor Francesco Vannucci, di Firenze (corso Vittorio, 189), possiede una collezione vera mente completa e la cederebbe. Rivolgersi direttamente all’inte ressato. m U GASA DI RIPOSO DESÌI ASTISTI I R W I I C I s Buon Natale ai nostri cari ospiti, con fraterno cuore. Siamo certi che anche quest’anno gli amici ed i benefattori non li dimenticheranno. Grazie a Lorenzo Ruggì, Presidente dell’Istituto, che li sor regge con la sua paterna protezione: grazie alle devote suore che assistono i nostri vecchi compagni. & Il 16 novembre scorso, alla Casa di Riposo, si è svolta la cerimonia di chiusura delle manifestazioni per il centenario della nascita del commediografo Alfredo Testoni. E’ stata effettuata una relazione sull’attività svolta, nelle onoranze testoniane, dalla Società degli autori drammatici italiani, vi è stata una dizione di versi di Alfredo Testoni e anche una recita di scene del Cardinale Lambertini, interprete l’attore bolognese Canossa. In rappresentanza dell’Ordine nazionale degli au tori e degli scrittori era presente Eligio Possenti. Lorenzo Ruggì, a nome del comitato organizzatore delle onoranze, ha svolto una relazione consuntiva. H Gli autori di teatro italiani hanno rilasciato a favore della Casa di Riposo il contributo dell’l % per il secondo trimestre 1956. La Società degli Au tori ed Editori ha inviato a Lorenzo Ruggì la somma, che è di lire 539.276. Lo abbiamo già detto altre volte, ma ripetiamo la nostra gratitudine a coloro che si sono tassati a beneficio dei vecchi attori, mentre gli attori drammatici, che sono poi coloro cui appartiene la Casa di Riposo, non lasciano — come dovrebbero — una percentuale fissa sui loro guadagni. Sembra un paradosso, ma è soltanto la verità. ^ Laura Adani ha già pensato al Natale dei vecchi attori ed ha mandato 46.000 lire per comperare piccoli oggetti a scelta dei singoli ospiti. Affettuo samente grazie alla cara « Lalla ». Terzo elenco del q u a tto rd ic e s im o m ilione LORENZO RUGGÌ, per ricordare persona a lui cara PAOLO RAVIGLIA, per i componenti la Compa gnia Renzo Ricci-Eva M agni.......................» MARIO FERRARI, ricordo di Aristide Baghetti » ARMANDO ROSSI, per la « Piccola Ribalta » di ......................................................... » ALDO GIONCHETTA................................... » ..........................................................40.000 Torino 20.000 5.000 5-000 300 L. 70.300 » 400.484 Totale L. 470.784 gomma precedente LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile - Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 / manoscritti, le fotografie ed i disegni non richiesti, non si restituiscono per nessuna ragione P I C C O L O T E A T R O D E L L A C I T T À D I T O R I N O Direttore: NICO PEPE Regista stabile: GIACOMO COLLI ALMANACCO DEL XVII SECOLO: ESORDIO DEI COMICI ITALIANI AL TEATRO DELL’HOTEL DE BOURGOGNE A PARIGI. S E C O N D O A N N O D I A T T I V IT À - S T A 6 I O N E T E A T R A L E 1 9 5 6 - 5 7 M M e O ^ U G U R I O A G L I A M IC I, A G L I A B B O N A T I, A L P U B B L IC O B U O N N A T A L E E L I E T O A N N O N U O V O L E O N A R D O C O R T E S E nella Stagione Teatrale 1956-57 al Piccolo Teatro della Città di Torino, dopo il successo nel personaggio di Milord Bonfll in “ Pamela nubile ” di Goldoni, sarà l’onorevole in “ L’ono revole Ercole Malladri” di Giacosa; Liolà in “ Liolà” di Pirandello; Petruccio in “ La bisbetica domata ” di Shakespeare, concludendo con queste interpretazioni il primo ciclo di spettacoli. C A R L A B IZ Z A R R I si è presentata per la prima volta al pubblico torinese con il personaggio di Vittoria nella commedia di Giacosa “ L’onorevole Ercole Malladri” : è stata una presentazione che ha se gnato per l’attrice un incondizionato successo. La vedremo ora come Tazza in “ Liolà” di Pirandello, come Savina nella “ Maschera e il volto” di Chiarelli, come Shen Te nell’ “ Anima buona di Seciuan” di Brecht e come Caterina nella “ Bisbetica domata” di Shakespeare. M A R IO F E R R A R I dopo le valide apparizioni nella “ Pamela nubile ” di Goldoni, come Conte di Andreuve, nello “ Onorevole Ercole Malladri” di Giuseppe Giacosa, come principe Fabrizio, sarà zio Simone in “ Liolà ” di Pirandello e Cirillo Zanotti nella “ Maschera e il volto ” di Chiarelli, perso naggi che segneranno altrettanti successi per questo efficace e valoroso attore. LUCIA CATULLO diplomala all’Accademia di Arte Drammatica nel 1955, ha esordito a Torino nella primra Stagione Teatrale, protago nista de Gl’innamorati di Goldoni. Pamela nubile, nella seconda Stagione. VITTORIO D I GIURO proviene dai Teatri Universitari. Si è affermato a Torino, nella prima Stagione, in Gl’innamorati, di Goldoni; ha con fermato le sue notevoli qualità in Pamela nubile. P I C C O L O T E A T R O D E L L A C I T T À D I T O R I N O CLARA AUTERI dopo le « servette » goldoniane ed i personaggi affini di Molière, sarà la Moscardiiva in Liolà, di Pirandello. torinese, proviene d'all’Accademia di Arte Drammatica. Esordiente, nella prima Stagione, si è subito affermato nella commedia di Hunter: Le acque della luna. 9 2 6 5 8 8 . L E T - 8 , I N I S S O R A I V - O N I R O T I D À T T I C A L L E D O R T A E T O L O C C I P ■^y'Ì^co • Il « lìarìiocorriere » ha pubblicato recentemente questa fotografìa di Titina De Filippo con la seguente di citura: «Nello studio di Titina vi sono due scaffali indipendenti dalla biblioteca che è al piano di sopra, dove l’illustre attrice ha voluto collocare i libri con cui sente di tenersi più a contatto: e nei “ Trent’anni di cronaca drammatica” di Renato Simoni le capita di dover cercare ogni giorno un giudizio o una cita zione che la possano aiutare nel suo lavoro di approfondimento critico». LA ILTE HA PUBBLICATO IL TERZO VOLUME DELLE CRONACHE DI Questo terzo volume comprende le critiche degli anni dal 1927 al 1932, in settecento pagine, e riguardanti cinquecentocin- quantaselte commedie italiane e straniere. Un indice dei nomi — autori, attori, registi, scrittori — come pure un indice delle opere, fanno di questa magistrale opera di Renato Simoni l’unico testo completo di consultazione che esista in Italia. I\on può mancare a chi fa e si occupa di teatro; è necessaria a chi scrive anche se non si occupa di Teatro. Il primo volume va dal 1911 al 1923; il secondo dal 1924 al 1926. I volumi formano collana e sono tutti uguali: carta, carat teri, rilegatura. Come già il secondo questo terzo volume costa 3800 lire. Se non lo trovate dal vostro libraio, richiedetelo direttamente alla ILTE editrice in corso Bramante 20, Torino. Servitevi del c/c postale intestato alla ILTE n. 2/56, inviando L. 3800 INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE D E I C I N DELLA MATERIA CONTENUTA IN “ IL D R AM M A” NUOVA SERIE DAL N. 232 AL N. 243 GENNAIO - DICEMBRE 1 S J O O I N D I C E G E N E R A L E DELLA MATERIA PUBBLICATA NELL’ANNO 1956 232 ■ HOTEL DU COMMERCE, commedia in cinque atti di Fritz Hochwàlder, gennaio vers. it. e present. di Italo Alighiero Chiusano: Da Maupassant a Hochwàlder ha guadagnato Elisabetta. AUTORI TRADUTTORI PRESENTATORI 233 ■ UN TALE CHIAMATO GIUDA, tre atti di Claude-André Puget e Pierre febbraio Bost; vers. it. di Icilio Ripamonti. Present. di Jean-Nepveu Degas e Marcelle Capron: E se davvero il tradimento di Giuda fosse questo? 234 - BEST-SELLER, tre atti di Ezio d’Errico. MARZO 235 • LA RAGAZZA DI CAMPAGNA, commedia in due parti e otto quadri aprile 236 • LA BUGIARDA, commedia in tre atti di Diego Fabbri. Present. di maggio Vittorio Viviani. LA LUCE DI SANTA AGNESE, mistero di Roberto Bracco. Present. di Vittorio Viviani: Roberto Bracco « napoletano ». di Clifford Odets; vers. it. di Mirella Ducceschi. 237 ■ BELLA, commedia in tre atti di Cesare Meano. Present. di Vittorio giugno Vecchi: Il punto d’appoggio di Bella. 238 - ASSASSINO PER FORZA, commedia in due tempi di Marc Gilbert luglio Sauvajon, vers. it. di Liana Ferri. Present. di Vittorio Vecchi: La moralità costituita della provincia francese. 239-240 - VENERDÌ' SANTO, commedia in tre atti di Cesare Giulio Viola. ao.-sett. Present. di Cesare Giulio Viola: Il rapporto attuale tra autore ed attore. ANCORA ADDIO, commedia in un atto di Vittorio Calvino. SULLE STRADE DI NOTTE, commedia in tre atti di Renato Lelli. 241 - GLI ESTRANEI, commedia in tre atti di Massimo Binazzi. Present. di ottobre Carlo Terron: Gli estranei una commedia inquieta. 242 - BUONANOTTE, PATRIZIA!, commedia in tre atti e quattro quadri novembre di Aldo De Benedetti. 243 - NATALE IN PIAZZA, tre tempi di Henri Ghéon; vers. it. di Guido Guarda. dicembre Present. di Guido Guarda: L’apostolo del teatro. LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI, commedia in tre atti e quattro qua dri di Gian Paolo Callegari. A U T O R I E SAGGI DI V A R IA LE TTER ATU R A D R A M M A TIC A Alvaro, vocazione interrotta?................ 238 Amore del teatro - Bernardelli............. 233 Bentornato ad Alfredo Testoni - Vecchi 237 Bracco (Roberto) « napoletano » - Viviani 236 Brecht (Umanesimo di) - Lazzari . . . . 239-240 Brutte commedie per cattivi attori - Ber nardelli ....................................... 238 Calvino - Aveva le ali e si vedevano - Ridenti 239-240 Classici in scena (I) - Bernardelli . . . . 232 Diavolo e l'attore (II) - Bernardelli . . . 242 Epistolario Silvio d'Amico - Sabatino Lopez - Guido Lopez................................ 241 Ferro che scotta: appendice alla commedia « Le ragazze bruciate verdi » - Callegari 243 Fraccaroli Arnaldo - Morteo................ 238 Ibsen - Cinquantanni dalla morte - L'orso di Skien - Gigli............................. 237 Léautaud (Paul) critico teatrale terribile e geniale - Le Due....................... 234 MafFei (Scipione) - Damerini................ 233 Missione del naturalismo nel teatro italiano (La) - Pandolfi............................. 234 Mondo di Giuseppe Giacosa (II) - Pandolfi 239-240 rase. n. | Pag. 52 39 54 49 83 37 34 41 39 37 88 61 38 48 55 43 29 Fase. n. Pag. Natale dal Vangelo al Teatro (II) - Rai mondi ....................................... 243 Odets - Un autore la cui opera è sempre andata soggetta alle più sconcertanti valutazioni - Tempie................... 235 Il fatto è che io sono un intellettuale - Harbord.................................... 235 Visto dagli italiani - Prosperi - De Feo 235 O'Neill (Il dramma postumo e segreto di Eugene) - Oreglia.......................... 234 Pirandello - Venti anni dalla morte . . . 243 Puget Claude-André - Pillement............. 233 Ricomposizione sensibile d'una interprete ideale - Rosso di San Secondo . . . . 243 Ridenti e la medaglia - Bassano - Pandolfi 234 Rosso di San Secondo - Pandolfi............. 243 Shaw (George Bernard) - Cento anni dalla nascita....................................... 238 G. B. S. - Simoni.......................... 238 Teatro di tutto il mondo - Lunari . . . . 239-240 Teatro e scuola - Pandolfi .................... 236 Testoni alla Casa di Riposo - Bassano . . 235 Viviani Raffaele (Tutto il teatro di) - Pan dolfi .......................................... 233 12 5 7 8 31 37 11 40 39 39 41 43 115 73 48 41 FIGURE DI ATTORI - TECNICA DELLA RECITAZIONE - REGIA E SCENOGRAFIA Fate. n. Pag. De Filippo (Il successo di Peppino a San Paolo del Brasile) - Chiarelli De Filippo (Peppino) - Attori italiani nel mondo ■ Ridenti..................... 236 Divi ovvero il regista guidato dall'attore - Bragaglia.............................. 238 Girala (Giallo sulla strada dei) - Vecchi . 238 Guasti Amerigo - Il teatro italiano ricorda i suoi attori migliori - Ridenti . . . 236 . . . . 238 65 56 39 64 64 Acqua cheta - Novelli................... 238 Acque della luna (Le) - Hunter.......... 234 Alcesti - Euripide.......................... 238 All'uscita - Pirandello.................... 235 Altro figlio (!_') - Pirandello............. 235 Amanda virtuosa e no - Achard . . . . 236 Amleto - Bacehelli............................241 Amore dei quattro colonnelli (L'j - Ustinov 243 Angelo (!_') - Santucci................. 239-240 Annuncio a Maria (L') - Claudel.......... 243 Antigone - Anouilh....................... 235 Avventura di cronaca - Nicola.).......... 233 Ballo dei ladri (II) - Anouilh............. 242 Berenice - Bacine........................... 239-240 Best-Seller - D’Errico....................... 233 Bobosse - Roussin.......................... 232 Bottega del caffè (La) - Goldoni . . . . 242 Boulingrin (I) - Courteline................ 242 Britannicus (II) - Racine................. 239-240 Bugiarda (La) - Fabbri.................... 233 Califfo Esposito (II) - Marotta e Randone 232 Calunnia (La) - Hellman.................... 232 Cameriera brillante (La) - Goldoni . . . . 236 Cantatrice calva (La) - Jonesco........ 239-240 242 Cappello pieno di pioggia (Un) - Gazzo . . 242 Captivi (I) - Plauto........................ 239-240 Cari inganni (I) - Priestley...................241 Casa dei Rosrner (La) - Ibsen............. 233 Casa di bambola - Ibsen................. 239-240 Casa nova (La) - Goldoni................. 236 Come si dovrebbe amare la donna - Viola 234 Compagnons de la Mariolaine (Les) (Final mente un delitto) - Achard.......... 234 Dal tuo al mio - Verga.................... 235 ! 242 Defunta signora mamma (La) - Feydeau . Diritto di rubare (II) - Massa............. 233 Don Giovanni involontario - Brancati . 238 . 243 Donna quasi onesta (Una) - Salacrou . . Donne gelose (Le) - Goldoni........... 239-240 E gli angeli cantano - D’Ara e Perrini . . 239-240 Elettra - Sofocle.............................. 237 E poi venne l'alba - Meano................. 243 E vissero felici e contenti - Biagi e Fusco 243 Famiglia dell'antiquario (La) - Goldoni . . 236 Fiaccola sotto il moggio (La) - D’Annunzio 239-240 Figli degli antenati (I) - Saitta............ 241 Finalmente un delitto (Les compagnons de la Marjolaine) - Achard.......... 234 Giorno d'angoscia (Un) - Dinne!-.......... 238 Giuda - Pagnol........................... 239-240 Imbecille (L') - Pirandello................. 235 Innocenti (Gli) - Archibald................. 233 R IB A L T A Fase. n. Pag. 58 56 66 50 50 78 63 100 98 111 55 52 81 86 60 50 88 82 98 66 62 52 78 95 83 84 94 66 54 90 78 57 56 53 82 51 57 110 88 98 50 108 100 78 90 66 56 64 92 50 54 Modena Gustavo (Epistolario di)-De Donno 234 Molte « ragazze-carne » e una Anna Magnani - Cane............................... 232 Novi Ettore (Ricordo di) - Ridenti . . . . 237 Petrolini - Bertuetti.................. 238 Ricci (Renzo) recita da quarantanni - Pos senti .......................................... 235 Fase. n. Pag. 34 57 35 62 60 IT A L IA N A . . . . 243 243 Ippolito - Euripide..................... 237 Isa, dove vai? - Lodovici.................... 235 Ivanov - Cechov......................... 234 Liolà - Pirandello................... 239-240 242 Lunga giornata prima della notte - O’Neill 242 Maestrina (La) - Niecodemi........ 242 Mago della pioggia (II) - Nash..... 242 Male corre (II) - Audiberti........ 242 Mano aperta in campo azzurro - De Stefani 243 Miles gloriosus - Plauto....................... 239-240 Moscheta (La) - Ruzante............... 238 Napoli in frac - Viviani............. 239-240 Noster pròssum (El) - Testoni..... 237 Nost Milan (El) - Bertolazzi............ 232 Nostri cari bambini (I) - Manzari Ondina - Giraudoux.................. 233 Onorevole Ercole Malladri (L') - Giacosa Opera da tre soldi (L') - Brecht..... 234 Oreste - Alfieri........................ 236 Ostaggio (L') - Achille............... 236 Otello - Shakespeare................ 242 Pamela nubile - Goldoni............... 242 Pane altrui - Turgheniev............ 238 Parole in liberti - Tardieu........ 242 Patente (La) - Pirandello............ 235 Paura di me - Bompiani............... 235 Pensaci Giacomino - Pirandello..... 232 Pisunent (I) - Testoni.................. 237 Port Royal - Montherlant......... 239-240 Professione della signora Warren (La)-Shaw 243 Ragazza e i soldati (La) - Pugnetti . . . . 235 Resurrezione - Tolstoi............... 232 Scala (La) - Rosso di San Secondo . . . 235 Sedie (Le) - Jonesco................ 239-240 Sensale di matrimoni (La) - Wilder . . . 232 Signor Masure (II) - Magnier........ 242 Simili a Dio - Galeazzi............... 233 Sorriso delia Gioconda (II) - Huxley . . . 233 Storia di un uomo molto stanco - Sarazani 232 Straniero a teatro (Lo) - Roussin . . . . 242 Stratagemma dei bellimbusti (Lo) - Farquhar 232 Successo (II) - Testoni............... 235 Sulle strade di notte - Lelli......... 237 Svolta pericolosa - Priestley......... 242 Tè e simpatia - Anderson............ 232 Ubu roi - Jarry......................... 242 Uomo al giorno (Un) - Pirro...... 239-240 Uomo, la bestia e la virtù (L') - Pirandello 233 Veglia d'armi - Fabbri............. 239-240 Vestii da sposa (El) - Simonetta e Zucconi 241 Zamore - Neveaux........................238 Zio Vania - Cechov...................... 232 Fase. n. Pag. 50 53 54 89 86 85 80 81 84 108 94 55 91 55 50 188 46 109 53 77 83 79 94 87 59 83 50 49 49 55 87 99 55 52 53 95 54 85 52 61 49 83 53 45 54 89 47 83 96 54 97 66 58 48 243 R IB A LT A FRANCESE Adieu, la terre! - A. P. Antoine...... 235 Amants novices (Les) - Bernard-Luc . . . 233 Amédée et les Messieurs en rang - Romains 243 Brocéliande - Montherlant............ 243 Ce fou de Platonov - Cecov......... 243 Chaises (Les) - Jonesco............... 235 Cyrano de Bergerac - Rostand......... 235 Femmes savantes (Les) - Molière . . . . Gatl-Girls - A. P. Antoine............ 235 Impromptu de l'aima - Jonesco..... 235 Fasc. n. Pag. 57 63 104 104 105 57 58 62 57 57 233 . . 235 Jacques ou la soumission - Jonesco . Jules - Bréal................................ 235 Locandiera (La) - Goldoni................ 238 Naissance de l'Odyssée - Sallet......... 233 Oiseaux de Lune (Les) - Aymé......... 233 Pauvre Bitos ou le dîner de têtes - Anouilh 242 Philaminte avait raison - Aymé......... 233 Requiem pour une nonne - Faulkner . . . 243 Seduttore (II) - Fabbri.......................j 233 Fasc. n. Pag. 56 58 53 63 63 70 62 104 64 R IB A LT A A M E R IC A N A Auntie Mame - Lawrence e Lee............. Filumena Marturano - Eduardo De Filippo 242242 Pag. 7576 Macbeth - Shakespeare Ma|or Barbara - Shaw Fase. n. 242242 B A L T A T E D E S C A Alberi stanno fuori (Gli) - Ahlsen . . . . Caso Pinedus (II) - Levi....................... Colonnello Chabert (II) - Rehfisch . . . . Danza attraverso il labirinto - Andres . . De» affamati (Gli) - Schubert................ Delitto allusola delle capre - Betti . . . Der Erfolgreiche - Kades................... Des Meeres und der Liebe Wellen - Grill- parzer....................................... Diario di Anne Frank (II).................... Divina utopia - Andres....................... Enrico IV - Shakespeare....................... Fuggitiva (La) - Betti.......................... Grande coraggio di Ezechia (II) - Gutkelch Homme qui rit (L') - Hugo................... Ifigenia - Goethe................................ Ispezione - Betti................................. Luce fredda (La) - Zuckmayer................ Magnus Garbe - Hauptmann................ Marchese di Keith (II) - Wedekind . . . . 235235237242242235237 242243 242 242 235 235 237 242 235 235 235 242 Pag. 605659 77 77 5860 7792777858 59 59 785859 59 78 Mercante di Venezia (II) - Shakespeare . . Mortale menzogna (La) - Oelschlegel . . . Muraglia cinese (La) - Frisch................ Non si dorme a Kirkwall - Perrini . . . . Occhio di pollo - Ruggì....................... Pìavara - Haeckers............................. Processo a Gesù - Fabbri................... Regina e gli insorti (La) - Betti............. Rembrandt - Rehberg.......................... Scandalo Fregonard (Lo) - Morucchio . . . Sete prima del combattimento - Opel . . . Stormo pipistrello - Honold................... Thomas Chatterton - Henny................ Timo e la morte del drago (II) - Hey . . . Trombe e tamburi - Farquhar................ Visita della vecchia signora (La) - Diirren- matt.......................................... Vittoria - Hamsun............................. 242237235237235 242235235237237237237237235235 235237 R IB A LT A INGLESE Pag. Aiuola bruciata (L') - Betti................ Albertina by monlight - D. G. Bellini . . Amleto - Shakespeare....................... Anatomist (The) - Bridie.................... Anatra selvatica (L') - Ibsen................ Arlecchino servitore di due padroni - Gol doni .......................................... Chalk garden (The) - Bagnold............. Crucible (The) - Miller....................... Caine mutiny (The) - Wouk................ Darkling child - Merwin e Milroy . . . . Doctor in the House - Willis................ Doctor Jo - J. Morgan....................... Don Giovanni - Molière....................... Don Juan - Duncan............................. Enrico V - Shakespeare....................... Family reunion (The) - Eliot................ Fanny's first play - Shaw.................... Gabbiano (II) - Cechov....................... Gigi - Colette.................................... Good sailor (The) - Cox e Chapman . . . Hôtel Paradiso - Feydeau................... House by the lake (The) - Mills............. Komuso - Nichols............................. Likely tale (A) - Savory....................... Long echo (The) - Storm................... Macbeth - Shakespeare ....................... Madre coraggio - Brecht.................... Major Barbara - Shaw....................... Man alive - Dighton.......................... Marie Tudor - Hugo.......................... 234237234241234 241237236239-240 236243236237 237 236239-240 243236237 237 234 237 241239-240 36 57 3852 38 54568410584 107855657 3510353 103 10784575737 57107105 Misalliance - Shaw............................. Morning's at seven - Asborn................ Morte di Satana (La) - Duncan............. Nekrassov - Sartre.......................... Night of the fourth - Roffey e Harbord . . No time for sergeants - Levin............. Nude with violin - Coward................... One bright day - S. Miller................... Paese delle vacanze (II) - Betti............. Power and the glory (The) - Greene . . . Quare Fellow (The) - Behan................ Questa sera si recita a soggetto - Pirandello Rainmaker (The) - Nash....................... Regina e gli insorti (La) - Betti............. Riccardo fi - Shakespeare................... Ring for Catty - Williams................... Rivals (The) - Sheridan....................... Romanoff and Juliet - Ustinov............. Romeo e Giulietta - Shakespeare . . . . Sacro esperimento - Hochwàlder . . . . South sea bubble - Coward................ Suspect - Percy e Denham................... To my love - Neville.......................... Trionfo dell'amore (II) - Marivaux . . . . Trip tu bountiful (The) - Foote............. Under Milk Wood - Dylan Thomas . . . Valzer dei toreadores - Anouilh............. View from the bridge (A) - Miller . . . . Village Wooing - Shaw....................... Whole truth (The) - Mackie................ 243239-240 243 239-240 239-240 237 R IB A LT A S O V IE T IC A 106 105 103 56 P»g- 7575 Pag. 7861605959 785858 615960 60 6159 60 5959 Pag. 38385738107107107 853784 1055410436 10585 84 571053710637103 56104 4838 73 53 37 Pag. 505050 Pag. 111 m Fase. n. 234234237234243243243 236234236239-240 241239-240 234 239-240 236236237239-240 234243234239-240 237239-240 241 234 242 241 234 Amleto - Shakespeare....................... Buon viaggio - Rosov.......................... Cimice (La) - Maiakovski................... Filumena Marturano - Eduardo De Filippo 238238238238 Pag. 50504950 Nekrassov - Sartre................... Non chiamiamoli per nome - Minko Putaine respecteuse (La) - Sartre . 238238238 T A C C U IN O Pag. Una domanda imbarazzante............. E' stato dato il comando dell'ammuina . La scarlattina................................ Le Valli di Comacchio................... Come stiamo................ ................ Sempre più difficile....................... L'« affare » delle commedie italiane . . 232233234235236237238 Incomincia una nuova Stagione............. Al « Premio Marzotto » cercavano il capo lavoro ....................................... Ci vuole anche Patrizia - Settantamila lire di indegnità................................ Forse nel 1957 il nuovo autore italiano . . 239-240 241 242243 Cechov - Magarshack.......................... Issione - Spinelli................................ Lavoro dell'attore (II) - Stanislavskij . . . Panorama du théâtre des origines à nos ¡ours - Chancerei.......................... Storia del cinema muto - Paolella . . . . 242236 234 237 242 Bl BLI OTEC A Pag. 968861 6395 Teatro di Federico della Valle (II) . . . . Teatro inglese della restaurazione e del Settecento.................................... Teatro serbo-croato - Cronia................ Thesaurus litterarum - Possenti . . . Tragedia inedita (La) - Della Valle . . . . VAR IE D’ IT A L IA E FUO RI i&Fasc. n. Pag. 61 234 234242243 242 Angustie di Siracusa (Le) - Pandolfi . . Appello al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi sul problema del teatro italiano - Beonio-Brocchieri . . Avanguardia in scatola (L') - Pandolfi . . Avvenuto a Torino - Bernardelli . . . . Bilancio ufficiale dell'attività delle Compa gnie primarie di prosa nella Stagione .......................... Teatrale 1955-56 Cento giorni di Peppino nel Sudamerica (I) - Intaglietta............................. Cifre alla mano e il teatro (non lo crede rebbe nessuno) batte lo sport . . . . Classici alla ribalta: Alfieri e Goldoni - Pandolfi....................................... Convegno dei Premi Teatrali................ Diario di un attore (Tournée del Piccolo Teatro di Milano) - Battistella . . . . Festival di Bologna (Il VI) - Possenti . . Festival di Edimburgo - Lunari............. Festival di Venezia - Damerini............. Firenze non funziona? - Surchi............. Non tutti i salmi finiscono in gloria - Tran quilli .......................................... 237 242241237 239-240 241 239-240 236241 239-240 242 235 241239-240 241 236 Pag. 49 416233 69 67 68 7634 1074744478656 82 Ordinamento teatrale cambia (L') . . . . Penchants del dilettante (I) - Pandolfi . . Piacere del dibattito (II) - Pandolfi . . . Porridge si addice a Maloney (II) - Maloney Premiato Diego Fabbri per Processo a Gesù Premio Riccione 1956 .......................... Scarpettiana (La) - Minervini................ Sipario di ferro (II)............................. Solo città con 600.000 abitanti possono avere un Piccolo Teatro.......................... Spettacolo nello spettacolo: il primo con vegno mondiale del teatro - Bragaglia Teatro e la televisione possono trovare una via d'incontro (II) - Beaufort . . . Teatro in Brasile non è un mestiere facile (II) - Ratto................................ Teatro in provincia - Pandolfi................ Teatro italiano rinnova col Piccolo di Milano la tradizione dell'arte drammatica nel mondo (II).................................... Teatro sovietico - Riflessi del vasto fenomeno di trasformazione della vita sovietica - Morteo....................................... 243241 237239-240 235239-240 236237 239-240 243 242 236241 239-240 A T T O R I NELLE C O M M ED IE CHE H A N N O fotografica o disegno) IN T E R P R E T A T O 639411293 Pag. 906054 113471207162 80 101 92 6155 106 46 Abba Marta . . . . Adani Laura . . . Albani Elsa . . . . Alberici Luciano . . Albertazzi Giorgio . Angeleri Lia . . . Auteri Clara . . . Bailey Robin . . . Barpi Toni . . . . Bartolucci Gastone . Baseggio Cesco . . Bassano Serena . . Battistella Antonio . (Riproduzione Fase. n. Pag. 35 243 242 5 242 6 242 8 243 95 45 232 96 243 8 234 234 5 234 6 234 8 234 50 44 232 235 9 10 235 235 11 12 235 45 242 234 8 233 50 234 4 234 5 6 234 8 234 50 233 50 234 241 47 233 50 234 4 235 52 47 233 52 237 241 50 241 47 50 241 Buonanotte, Patrizia! Il signor Masure . . . . . La calunnia ... e vissero felici e . . . contenti Best-Seller . . . . Le acque della luna La ragazza di cam pagna . . . . La ragazza di cam pagna . . . . La ragazza di cam pagna . . . . La ragazza di cam pagna . . . . La ragazza di cam pagna . . . . Un cappello pieno di pioggia . . . La zitella . . . . . . . . Best-Seller La zitella............. Le acque della luna Fannv’s first play La zitella . . . . Best-Seller . . . . Isa, dove vai? . . . La famiglia dell’an . . . tiquario . Ippolito............. Arlecchino servitore di due padroni . Questa sera si recita a soggetto . . . Benassi Memo . . . Benati Virginia . . Benedetti Wanda . . Benson George . . Besozzi Nino . . . Biribò Ines . . . . Blasi Silverio . . . Bonfìgli Marina . . Borgo Elena . . . Bowers Lally . . . Bracci Ignazio . . . Braccini Lola . . . Brignone Mercedes . Brito Sergio . . . . Brook Lyndon . . . Bruce Brenda . . . Callum (Me) Noel Canzi Lia............. Capodaglio Wanda Carotenuto Mario Carraro Tino . . . Carubbi Luigi . . . Catullo Lucia . . . Caussimon J. P. . . Cei Pina............. Edda Gabler . . . . . . . Enrico IV ............. Medea Elettra................ La zitella............. Best-Seller . . . . Fanny’s first play . Ondina................ B e lla ................ L’opera da tre soldi El nost Milan . . . . Fanny’s first play La calunnia . . . . Acqua cheta . . . Ivanov ................ L’allodola . . . . La locandiera . . . La pulce nell’orec ............. chio . . . . Il gabbiano Fanny’s first play . . . Village Wooing The rainmaker . . L’opera da tre soldi E1 nost Milan . . . L’opera da tre soldi » » Questa sera si recita a soggetto . . . Ondina . . . . La zitella Le acque della luna Una donna senza im portanza . . . tale chiamato Un . . . . Giuda La famiglia dell’anti . . . . quario » Fase. n. Pag. 49 233 235 51 236 80 237 51 234 8 50 233 5 234 47 241 60 238 233 46 236 5 241 50 234 52 43 232 47 241 69 236 45 232 238 59 235 51 236 58 236 58 60 236 239-240 102 241 47 241 50 239-240 102 236 57 239-240 102 52 234 232 43 51 234 234 52 241 50 233 46 50 233 234 50 79 236 233 9 47 233 Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag. Celli Maria Letizia . Chardon Charlotte . Chazalettes Giulio Collino Federico . . Colombo Anna . . . Cortese Leonardo Corti Enrica . . . . Cotta Elena . . . . De Albuquerque Elisio................ De Ceresa Ferruccio De Filippo Eduardo De Filippo Luigi . . De Filippo Peppino . Delacy Mona . . . Del Bufalo Giuliana . Della Costa Maria . . De Lullo Giorgio . . Una donna senza im portanza . . . . Pauvre Bitos ou le dìner de tètes . E1 nost Milan . . . Questa sera si recita a soggetto . . . Enrico IV ............. Buonanotte, Patrizia! Pamela nubile . . . Ondina................ Ivanov ............. La calunnia . . . L’allodola . . . . La locandiera . . . A moratoria . . . La bugiarda . . . . » » Casa di bambola . . » » A moratoria . . . La calunnia . . . . L’allodola . . . . La locandiera . . . La pulce nell’orecchio Dennison Michael . Di Giuro Vittorio Dona Anita . . . . Duse Eleonora . . . Enrici Carlo . . . . . . . Falk Rossella Fanfani Ottavio . . . . Feldman Dante Ferro Cesco . . . . . . . . Ferro Lida Fiorini Franco . . . Fleming Tom . . . Foa Arnoldo . . . Fortunato Valentina Francioli Armando . Fraschi Nada . . . Galletti Giovanna . . . . . . Galli Dina Gassman Vittorio Genta Gabriella . . Gentili Liviana . . Giangrande Raffaele Giorda Marcello . . Giróla Emilio . . . Giróla Giasone . . Giróla Giulio . . . Girotti Massimo . . Graziosi Franco . . » » » Il successo . . . . ... e vissero fèlici e contenti . . . . Village Wooing . . Assassino per forza . Le acque della luna La calunnia . . . . La bugiarda . . . . » » » . . . . Il successo »» ... e vissero felici e contenti . . . . Questa sera si recita a soggetto . . . L’opera da tre soldi La famiglia dell’an tiquario . . . . Simili a Dio . . . . Isa, dove vai? . . . Assassino per forza . The Anatomist . . . Casa di bambola . . E1 nost Milan . . . Casa di bambola . . Arlecchino servitore di due padroni . Questa sera si recita a soggetto . . . Buonanotte, Patrizia! Il signor Masure . . Assassino per forza . Elettra................ Otello................ Hedda Gabler . . . Ivanov ................ Simili a Dio . . . . Isa, dove vai? . . . Tristi amori . . . Assassino per forza . Assassino per forza . Assassino per forza . Ippolito............. Questa sera si recita a soggetto . . . 236 242232 241 235242243233235 232 236 236 236235236 236239-240 243236236236232236236236234236239-240 243241 234 238237237 234239-240 232234236 236236235 235242 235235242 243 241234 232239-240 241 233 233235238 241239-240 241242242243 238237236 243233 235 233 235 243 238 238 238 238 237 241 Guarnieri Anna Maria Guasti Amerigo Guerrini Ottorino Hanson Lars . . Jamois Marguerite Kedrova Lila . . Kulle Jarl . . . Lancetti Edda . . Lavagna Angela Lawson Wilfrid Lombardi Carlo Lopez Edmundo Lucherini Enrico . Maestri Gianfranco Maggio Beniamino Magnani Anna . . Magni Èva . . . Maltagliati Evi Mancini Giuseppe Mantesi Gianni . . Mantovani Marisa Maranghi Gabriella Marano Ezio . . . Maranzana Mario » » » La calunnia . . . . La bugiarda . . . . » » » . . . . Il successo ... e vissero felici e . . contenti . Enrico IV ............. I capricci di Marian na ................ Lunga giornata pri ma della notte . tale chiamato Un Giuda . . . . Processo di famiglia Lunga giornata pri ma della notte . Assassino per forza . Enrico IV............. The rainmaker . . . Best-Seller . . . . Le acque della luna L’allodola............. La locandiera . . . La pulce nell’orec ............. La bugiarda . . . . » » La famiglia dell’an . . . . tiquario ’A nanassa . . . . Lunga giornata pri ma della notte . Il sorriso della Gio conda ............. Il successo . . . . La bugiarda . . . . Isa, dove vai? . . . Le vergini . . . . Zoo di vetro . . . . Questa sera si recita a soggetto . . . La bugiarda . . . . » chio » » » Marchesini Italia La calunnia . La bugiarda . Marrone Carlo . . Martora Lidia . . Marzano Ady . . Mauri Glauco . . May Franca . . Melnati Umberto Merlini Elsa . . Meurisse Paul . . Migneco Grazia M illy .............. Miranda Isa . . . Modena Gustavo . Monaci Maria Grazia Monroe Marilyn . . Montenegro Fernanda Montesi Rossana Moráis Milton Morelli Rina . Il fiore del Decame- rone............. Arlecchino servitore di due padroni . ’A nanassa . . . . Il mago della pioggia Un tale chiamato Giuda ............. Isa, dove vai? . . . L’opera da tre soldi Sulle strade di notte Casa di bambola . . A moratoria La pulce nell’orec chio . . . Il fiore del Decame rone . . . A moratoria . . Zio Vania 79 7143 50517454651 45 5859 589101110045575758 45 58 586049 121014546 45 96508 54142 501014549 910114546 45 47 50 525509943 99 50 5 895551 69 95 4851 96 5052 48 5052 95 5 5 5 8 52 50 239-240 232234235 235 235235 243236235 243 234 233232 242 234 238 238 238235239-240 234234236236 236235 235235 233236232239-240 233235236 236235234236 236 241234236236236236232 234 236 236 236 241 236 236 234234243 233235234239-240 239-240 236236 234 239-240 242 236 236 239-240 236 232237 P»g. 1014549 9101145 9669 51 96 30 946 3067851 102550 58 58 45 6091011 477056 81 5045101152 50 7957 5049910111245 4991011 895757 48 70 703940 97 9525246 34 100 72 58 60 9958 4631 Segue: ETTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag- Pag. 50 710210255 465136515746689546 307 59 798 505647 10 11 504 7996 44 50 9 10 11 12 45 45 45 45 95 81 44 9 10 11 45 5152 48 50 50 Rizzoli Laura . . . Rossi-Drago Eleonora Ruggeri Ruggero . . Salerno Enrico Maria Sammarco Gina Santuccio Gianni Sassoli Dina Scotto Giovanna Seripa Renata Severoni Gianni Si letti Mario Solari Laura Solbelli Olga Sonni Corrado Sonni Gigliola . Sonni Igea . . Spadaro Edoardo Sportelli Franco Stoppa Paolo Stabile Franca Tanner Gordon Tarascio Enzo . . Tedeschi Gianrico Tidblad Inga . . Tito Luiz . . . . Tommei Fausto Torrieri Diana Tumiati Gualtiero Valeri Valeria . . . . Valli Romolo Vannucchi Luigi . Vazzoler Elsa . . Vitti Monica . . Volonghi Lina . . Volpi Franco . . Wanamaker Sam Westerlund Catrin William Hugh . . Wyngard Diana Zanoli Maria . . Zareschi Elena . . Zopegni Carola Ondina Ivanov . . Zio Vania Ondina ............. Ivanov ................ Liolà ................ Hedda Gabler . . . Ippolito............. Buonanotte, Patrizia! Ippolito............. Isa, dove vai? . . . Il fiore del Decame- rone............. Il fiore del Decame- rone............. L’uomo del destino . I capricci di Marian na ................ La zitella............. Assassino per forza . Assassino per forza . Assassino per forza . Acqua cheta . . . ’A nanassa . . . . Zio Vania . . . . Assassino per forza . The rainmaker . . Questa sera si recita a soggetto . . . Ondina ............. Ivanov . . . . . . Lunga giornata pri ma della notte . L’allodola . . . . E1 Marchionn di gamb avert . . Elettra ............. Antigone............. ............. Ondina Ivanov ................ La calunnia . La bugiarda Il successo ... e vissero felic contenti Enrico IV La casa nova Bella . . . Elettra . . Bella . . • The rainmaker Lunga giornata pri ma della notte Il gabbiano . Il gabbiano . E1 nost Milan Hedda Gabler Enrico IV Medea . . . Ippolito . . Elettra . . 239-240 239-240 243 233235232 243233 235 243 233 237242237235 243233238 238 238 238 238236237232237238239-240 241233235 234236 243237235233235239-240 232234236 236236235 235242 243 235233237 237 237 237239-240 232233235236237 237 234239-240 239-240 99 9996 504651 3058 465146364651 964952 75252 965056 5 759703246325102 96515247 511014549910114546 45 96514756 515102 30102102434851 8052 51 Moresco Ida . . Moretti Marcello Meschini Gastone Musco Angelo . . Ninchi Annibaie . Ninchi Ave . . . Ninchi Carlo . . Ninchi Sandro . . Page Geraldine Pagnani Andreina Palme Ulf . . . Pavese Nino . . Pavlova Tatiana . . . Pepe Nico Peretti Dino Pernice Gino Piccinato Paola Porta Pier Paolo Privitera Pietro Proclemer Anna Randisi Donatella Randisi Simonetta Randisi Virginia Randone Salvo . . Ricci Renzo . . Rissone Checco Riva Isabella » Le vergini . . . . Arlecchino servitore di due padroni . Arlecchino servitore di due padroni . Ivanov ................ Elettra ................ Sulle strade di notte Buonanotte, Patrizia! Il signor Masure . . Sulle strade di notte Buonanotte, Patrizia! The rainmaker . Lunga giornata pri ma della notte Buonanotte, Patrizia Zoo di vetro . . . La zitella . . . . Best-Seller . . La casa nova . La bugiarda . . » Le vergini . . . . . Best-Seller Zoo di vetro . . L’uomo del destino La ragazza di cam . . . pagna La ragazza di cam . . . pagna La ragazza di cam . . . pagna La ragazza di cam . . . pagna La ragazza di cam . . . pagna La ragazza di cam pagna . . . Un cappello pieno d pioggia . . . La calunnia . . . La calunnia . . . La calunnia . . . Otello............. La ragazza di cam pagna . . . La ragazza di cani pagna . . . . La ragazza di cam . . . pagna La ragazza di cam pagna . . . Lunga giornata pri ma della notte . L’opera da tre soldi » » Arlecchino servitore di due padroni . Questa sera si recita a soggetto . . . Le vergini . . . . » 234 241 242235243237236239-240 242242243239-240 242239-240 239-240 232 234242238 236 234233234 234233 236 236 234 234 236243 232 234 235 235 235 235 242 232 232 232 243 239-240 232 235 235 235 242 234234 241 241 234 A U T O R I (Riproduzione fotografica o disegno) Alvaro Corrado Anouilh Jean . . Bassano Enrico . . Binazzi Massimo . Brecht Bertolt . . Calvino Vittorio Colantuoni Alberto Contini Ermanno . Fase. n. Pag. 238 52 71 242 39 234 40 234 35 241 234 51 239-240 82 45 . 239-240 . 241 36 40 . 234 De Benedetti Aldo D'Errico Ezio . . Fabbri Diego . . Fraccaroli Arnaldo Giannini Guglielmo Hochwalder Fritz . Ibsen Henrick . . Lagerlof S. . . . Léautaud Paul . . Fase. n. Pag. 242 8 234 8 49 234 12 236 60 238 40 234 14 232 237 41 243 34 234 48 Lelli Renato . . Luongo Giuseppe Maffei Scipione . Meano Cesare Miller Arthur Niccodemi Dario Odets Clifford Fase. n. I Pag. 239-240 46 234 39 40 234 55 233 6 237 242 72 243 33 235 12 Pag. 29815033343536 Pirandello Stefano Puget Claude-André Ridenti Lucio . . Ruggì Lorenzo . . Sauvajon Marc Gii bert . . . Pag. 35103935 243233234 241 238 Shaw George Bernard Terron Carlo . . . Testoni Alfredo . . . Trevisani Giulio . . Viviani Vittorio . . . 238238241235241234 SCENE (Riproduzione fotografica o disegno) Pag. 5950585859 70 475678 55678 49910111256 745 45 969948 Elettra . . . . Enrico IV . . . E vissero felici e con . . . . tenti Famiglia deli'antiqua rio (La) . . Fanny's fìrst play Fiore del Decamero ne (II) . . . . Gabbiano (II) . . Hedda Gabler . . Hotel du Commerce Ippolito . . . . Isa, dove vai? . Ivanov . . . . ............. Liolà Locandiera (La) Lunga giornata prima della notte . . . Marchionn di gamb . . . Medea................ Nost Milan (El) . . . Ondina................ Opera da tre soldi (L') OresteOtello avert (El) 234 234242 233 232 232 237 235235 243236 243 236232233234 234 236 243 Fase. n. Pag. 237235 5151 243 96 233241 48 47 239-240 239-240 9910249131452 52 51 96 59 968043475152 80 95 2930 45 Pauvre Bitos ou le dî ner de têtes . . Processo di famiglia . Pulce nelPorecchio (La)................ Questa sera si recita a soggetto . . . Ragazza di campagna (La)................ Rainmaker (The) . Signor Masure (II) Simili a Dio . . . Successo (II) . . . Sorriso della Giocon da (11)............. Sulle strade di notte Tale chiamato Giuda (Un) ............. Under milk wood . . Uomo del destino (L') Venerdì santo . . . Village Wooing . Zio Vania . . . Zitella (La) . . Zoo di vetro (Lo) Fase. n. | 242 232 236 241 232 235 235 235 235239-240 243233 235235242 233239-240 233241243239-240 241232233236 239-240 Pag. 4142 36 45 36 40 Pai- 7146 5# 44 910111210295 50454645 94796 91050465079 5046 234239-240 234243243243243 Fase. n. 238234236236236236 241 238 238 238 238237 234 234 234 234 234 236 236 236 236242 242 242232 242 243239-240 233 236 Segue: AUTORI O'Neill Eugene . Pastore Annibaie Pirandello Luigi . Acqua cheta . Acque della luna (Le) Allodola (L') . . A Moratoria . . 'A Nanassa . . Arlecchino servitore di due padroni . Assassino per forza . . . . . . . . . Bella . . . Best-Seller Bugiarda (La) . . . Buonanotte, Patrizia! Calunnia (La) Cappello pieno di pioggia (Un) . . Capricci di Marianna ( I ) ................ Casa di bambola . . Casa nova (La) . . . Donna senza impor tanza (Una) . . . lio Bertello Pierino Bragaglia Anton Giu . . . . Brusasca Giuseppe Costa Giuseppe . De Biase Franz . REGISTI, IMPRESARI ECC. (Riproduzione fotografica o disegno) Fase. n. | Pag. 234 8 241234239-240 234 De Marco Salvatore De Pirro Nicola Grassi Paolo . . Mammì Maurizio Miserocchi Manlio Novi Ettore . . 363910039 238234241234234234 6039 49840 40 Perugia Renato . . Petruccelli Luciana Ratto Gianni . . . Romero Enrico . . Strehler Giorgio Surbone Renata . . Pag. Pag. 40605864849 45 234236236234241241243 A v e n t i a n n i d a l l a m o r t e d i L U I G I P I R A N D E L L O l’editore Mondadori, che ha avuto l’onore di essergli amico e di averne diffuso le opere in ogni angolo d’Italia e fuori dei confini del nostro Paese, desidera ricordare le tappe editoriali che con dussero, dal dicembre 1929 al dicembre 1956, ad un totale di 1 . 4 9 7 . 3 0 0 V O L U M I S T A M P A T I m .. ■ ■ ■ i n m hhhm m ■ M W V P M V B ■SI&isÉSf ¡¡sa— UPPIìB Esce, con la sigla di Mondadori, il mito in tre atti Lazzaro; seguito, nel 1930, da Questa sera si recita a soggetto e da Come tu mi vuoi il teatro, le novelle, i romanzi pirandelliani comprendono 53 vo- lumi, alcuni dei quali provenienti dalle edizioni Bemporad si pubblica la prima edizione organica e integrale, in 10 volumi, delle Maschere nude esce la prima edizione « Omnibus » delle Novelle per un anno, in due volumi esce la prima edizione dei Saggi pirandelliani, raccolti a cura di Lo Vecchio Musti tutti i Romanzi vengono raccolti in un volume «Omnibus» del Fu Mattia Pascal si stampa un’edizione illustrata da Fabrizio Clerici nella Collezione «Il Ponte» le Novelle per un anno, già raccolte in due volumi degli « Omni- bus », vengono ora scisse in 4 volumi gli « Omnibus » pubblicano anche le Maschere nude in 4 volumi si inizia la pubblicazione di tutte le opere pirandelliane in 39 vo lumi della «Biblioteca Moderna Mondadori»: 17 per il teatro, 15 per le novelle e 7 per i romanzi l’edizione «Omnibus» prende la sua forma definitiva in 10 volumi: 4 per il teatro, 4 per le novelle c 2 per i romanzi delVEsclusa si stampa un’edizione illustrata da Giorgio Tabet nella Collezione « Il Ponte » esce una nuova edizione in 10 volumi del teatro completo, e si inizia la stampa dell’edizione definitiva, nei « Classici Contempo ranei Italiani », di tutte le opere in 5 volumi, con prefazione di Corrado Alvaro per la narrativa e di Silvio d’Amico per il teatro A R N O L D O M O N D A D O R I E D I T O R E CAPITALE E RISERVE L. 920.000.000 INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE Corso Bramante 20 - Torino I DISEGNI DI PORTINARI, introduzione di li. Luraglii (pp.; 190, 27x37, illustrazioni in nero e colori, rilegato) §&?'• 12.000 I MOSAICI DI S. MARIA MAGGIORE, di C. Gecchelli (pp. 356, 21,5x29, illustrazioni in nero e colori, rilegato) E. 15.000 ARAZZI E TAPPETI ANTICHI, a cura di V. Viale (pp. 220, 22 X 30, illustrazioni in nero e colori, rilegato) E. 0.000 IL MOBILIO E GLI AMBIENTI, a cura di, V. Viale (pp. 268, ;25x35, illustrazioni in E. 8-000 nero, rilegato) IL TICINO, di S. Piantamela (pp. 300, 22 x 29, illustrazioni in nero e colori, rilegato) L. 7.000 PASINI E QUADRONE, a cura di M. Bernardi (pp. 110, 22x30, illustrazioni in nero e colori, rilegato) !'• 3-000 illustrazioni in nero, IL FERRO BATTUTO, a cura di A. Pedrini (pp. 300, 21x34, rilegato) 1J- 8.000 OTTOCENTO PIEMONTESE, a cura di M. Bernardi (pp. 350, 22x28, illustrazioni in nero, rilegato) E. 2.000 DISEGNI DEI MAESTRI STRANIERI DELLA BIBLIOTECA REALE DI TORINO, a cura di 800 A. Bertini (catalogo riccamente illustrato) CINQUANTA OPERE DI ANTONIO FONTANESI, a cura di V. Viale e ili. Bernardi (catalogo riccamente illustrato) 800 BADOGLIO RACCONTA, di 7. Vailati (pp. 470, 14,5x22, illustrazioni; in nero, rile L- 3-000 gato) L’ULTIMA BATTAGLIA POLITICA DI CAVOUR, di E. Passerin d'Entrèves (pp. 392, 14,5 x 22, illustrazioni in nero, rilegato) E. 2.500 LETTERE D’AMORE, di G. Gavour (pp. 400, 14,5 X 22, illustrazioni in nero, rilegato) L. 3.500 RELAZIONI CON IL GRANDUCATO DI TOSCANA, a cura di G. Pisciedda (pp. 590, E. 2.000 17 x 25, brochure) RELAZIONI CON LO STATO PONTIFICIO, a cura di G. Bandi di Vesme (pp. 528, - 17 X 25, brochure) j E- 2.500 RELAZIONI CON IL REGNO DELLE DUE SICILIE, a cura di G. Quazza (pp. 415, 17x25, brochure) E. 2.500 RELAZIONI DIPLOMATICHE TRA LA GRAN BRETAGNA E IL REGNO DI SARDEGNA, a cura di F. Curato (due volumi di complessive pp. 1400, 17,5x25, brochure) L. S.000 CRESPI E MENELICH, di G. Zagni (pp. 480, 17 x 24, illustrazioni in nero, brochure) L. 2.500 L. E. SS DUE B E L L IS S IM I LIB R I PER R A G A Z Z I illustrazioni in LE AVVENTURE DI PINOCCHIO, di C. Collodi (pp. 230, 22x28, nero e colori, rilegato) E. 2.000 RACCONTI, di H. C. Andersen - Traduzione di L. Gigli (pp. 120, 25x34, illustrazioni in nero e colori, rilegato) E. 1.200 SERVITEVI DEL C/C POSTALE N. 2/56 INTESTATO A PRESSO TUTTI I LIBRAI, ED OCCORRENDO ALLA SgSDiS P IC C O L O TE A TR O D E LLA C IT T A ’ D I M IL A N O PALAZZO DEL BROLETTO - VIA ROVELLO, 2 Telefoni dir. 803-464 - 896-915 - Cassa 872-352 - 877-663 - Sartoria 877-901 O N A I L A T I © 0$ 8x g / 4 7 9 4 7 Arlecchino, servitore di due padroni I giganti della montagna N. N. II Corvo Filippo Gente nel tempo L’alba dell’ultima sera Questa sera si recita a soggetto Alcesti di Samuele La putta onorata Gli innamorati L’oro matto Frana allo Scalo Nord L’amante militare Emma Il cammino sulle acque Sacrilegio massimo Sei personaggi in cerca d’autore Lulù Un caso clinico Le veglie inutili Appuntamento nel Michigan Le nozze di Giovanna Phile La vedova scaltra La sei giorni L’imbecille La patente La giara La mascherala La moglie ideale Nostra Dea La trilogia della villeggiatura Qui comincia la sventura Processo a Gesù Tre quarti di luna Ef nost Milan Dal tuo al mio • /A /■; /9 .;4 ' © « © « &X co © fii Ex © Ex * L’albergo dei poveri Le notti dell’ira Il mago dei prodigi L’uragano Querela contro ignoto Don Giovanni Delitto c castigo La selvaggia Riccardo II La tempesta Romeo e Giulietta Assassinio nella cattedrale Il gabbiano La famiglia Antropus La bisbetica domata Il piccolo Eyolf La parigina Riccardo III La guerra di Troia non si farà I giusti Estate e fumo II misantropo La morte di Danton Casa di bambola Non giurare su niente Enrico IV La dodicesima notte Elettra Il medico volante Oplà, noi viviamo Macbetli Elisabetta d’Inghilterra Il revisore L’ingranaggio Giulio Cesare La folle de Chaillot Il giardino dei ciliegi La casa di Bernarda Alba L’opera da tre soldi SPETTACOLI 71 OPERE 76 ATTORI SCRITTURATI 280 RECITE A MILANO 2067 RECITE IN VARIE CITTA’ ITALIANE 822 RECITE a ll’estero 202 TOTALE RECITE 2691 e-be- ITALIANE STRANIERE totali CLASSICHE NOVITÀ TOTALI 33 38 71 17 25 4 2 16 13 29 © DÌ S © DÌ © DÌ Ex <0 © Exx* u © DÌ * Milano Venezia Firenze San Miniato Londra Parigi Asti Zurigo Knokke Le Zoute Bruxelles Losanna Ginevra Lugano Locamo Verona Napoli Vicenza Copenaghen Stoccolma Gotemburgo Oslo Berlino Venezia Napoli Buenos Aires Montevideo San Paolo Rio de Janeiro Bologna - Festival Nazionale della Prosa Vienna Monaco Berna Fiume Spalato Ragusa Serajevo Novi Sad Belgrado Zagabria Lubiana Capodistriu Edimburgo Drottningholm Helsinki Tampere Malmoe Lund Rostock Dresda Cari Marx Stadi (già Chemnitz) Halle Lipsia Weimar Jena Berlino Est P I C C O L O T E A T R O D E L L A C I T T A D I G E N O V A STAGIONE TEATR ALE 1956-1957 REPERTORIO L i o l à Commedia in tre atti di LUIGI PIRANDELLO IN CELEBRAZIONE DEL VENTENNIO DELLA MORTE DELL’AUTORE U n a d o n n a t r o p p o o n e s t a Commedia in tre a tti di ARMANO SALACROU NOVITÀ PER L’ITALIA Si d i a v o l o P e t e r Dramma in tre a tti di SALVATO CAPPELLI NOVITÀ ASSOLUTA I l c e r c h i o d i g e s s o n e l C a u c a s o Commedia in due parti di BERTOLT BRECHT NOVITÀ PER L’ITALIA U n q u i n t o s p e t t a c o l o , a n c o r a a l l o s t u d i o Ç / / e tte * ; GINO BARDELLINI - PINA BORIONE - MERCE DES BRIGNONE - TINO BUAZZELLI - LUIGI CARUBBI - L I LIANA CIOCI - BIANCA GALVAN - GINO LAVAGETTO - ANNA MAESTRI - GASTONE MOSCHIN - FRANCA NUTI - ALDO ROS SI - ENRICO MARIA SALERNO - SIMONA SORLISI - VANNA STENERI - VALERIA VALERI - CELESTE ZANCHI DIRETTORE: IVO CHIESA r// ALESSANDRO FERSEN - ENRICO M. SALERNO - LUIGI SQUARZINA FRIGERIO - PIER LUIGI PIZZI - GIANNI POLIDORI MARIO CHIARI - MARIA DE MATTEIS - EZIO Amministratore: GINO GAGGIOTTI - Direttore di scena: CARLO MARESTI Suggeritore: UGO DEL CORSO - Primo macchinista e costruttore: ALES SANDRO RQLLANDINI - Capo elettricista: RINALDO POMATI - Attrezzista: NINO BELLET - Sarta: CORINNA ROLLANDINI Nella stagione 1955-1956, il Piccolo Teatro (li Genova ha ottenuto i seguenti risultati: Durata della gestione: gior ni 217, in luogo dei 180 per cui le sovvenzioni erano sta le calcolate. Il numero delle repliche è stato di 230, di cui 148 a Genova e 82 in altre città. Incasso globale: L. 62.052.275. La cifra, rilevante in se stes sa, acquista maggior valore se riferita alla politica di prezzi bassissimi praticata. Afflusso ili pubblico: 92.402 spettatori in totale. Nonostan te l’handicap di aver recitato prevalentemente in un teatro con capienza utile di 550 po sti, la Compagnia Stabile del « Piccolo » di Genova figura fra le 5 o 6 Compagnie ita liane che hanno ottenuto la più alta affluenza di pubbli co: prova evidente della va lidità della sua funzione. Sui 92.402 spettatori detti, 35.884 hanno usufruito di posti il cui prezzo variava da L. 250 per la poltroncina a L. 600 per la poltrona. ★ 4868: è il numero degli ab bonati dello scorso an no; era già il più alto — proporzionalmente al numero di abitanti — che sia mai stato toccato in Italia. 6327: è il numero degli ab bonati della stagione in corso. T E A T R O N U O V O ASS0CEAZ10NE PER IL TEATRO DI PROSA * STAGIONE 1956-57 I L P I C C O L O T E A T R O D E L L A C I T T À D I T R I E S T E M E M O R E N A S S I CON (in ordine alfabetico) G IULIO BOSETTI - PIERO DE SANTIS - CESCO FERRO - OTTORINO GUERRINI - ANGELA LAVAGNA - OMERA LAZZARI - MARISA M ANTOVANI - PIETRO ERUTTERÀ -LIN O SAVORANI-M . GRAZIA SPINAZZI-AURORA TRAM PUS-GIORGIO VALLETTA E IN PARTECIPAZIONE STRAORDINARIA L A U R A S O L A R I LE OPERE CHE SARANNO RAPPRESENTATE L a b o t t e g a d e l c a f f è di CARLO GOLDONI G li i p o c r i t i di SILVIO GIOVANINETTI (NOVITÀ) E n r i c o IV di LUIGI PIRANDELLO f u o c o d e i s a b b a t o di VITTORIO BEONIO BROCCHIERI (NOVITÀ ASSOLUTA) L u iù di CARLO BERTOLAZZI Il t a r t u f o di MOLIÈRE I c a p r i c c i d i IV I a r ia n n a di ALFRED DE MUSSET Assassinio nella cattedrale di THOMAS S. ELIOT L ’ u o m o d e l d e s t in o di GEORGE BERNARD SHAW Il signor Puntila e il suo servo Matti di BERTOLT BRECHT (NOVITÀ PER L’ITALIA) ■ '/uo'/.j/G - MEMO RENASSI - GIANFRANCO DE BOSIO - FERNANDO DE CRUCCIATI - CARLO LODOVICI MARIA CRISTINA JANESICH - NINO PERIZI - DINO PREDONZANI - MISCHA SCANDELLA - PIERO ZUFFI zZ&it ■ntecàZ&ap^.- MARIO BUGAMELLI - GUIDO ROTTER FUORI ABBONAMENTO VERRANNO ALLESTITI TRE SPETTACOLI DEL T E A T R O D E I R A G A Z Z I DIRETTO DA RENATO PAG Gl ARO L’a u g e ilm h e lv e rd e di CARLO GOZZI L ’is o la d e i p a p p a g a lli di SERGIO TOFANO (STO) cZ SPIRO DALLA PORTA XIDIAS il g a tto c o n g li s tiv a li di DANTE CICOGNANI Direzione del palcoscenico: DINO CAMUCCIO - Rammentatore: GLAUCO SOLIMENO - Capo maccliinista: AURE LIO MINI - Capo elettricista: LEANDRO FONDA - Attrezzista: EMILIO CAMOZZI - Sartoria: DORINA CAMOZZI - Luci: Ditta SEMRIANTI & C. - Realizzazioni sceniche: Orlandini e Rónchese (Venezia) - Realizzazione costumi: Sarto ria del Piccolo Teatro di Milano; Sartoria Werther (Roma) - Parrucche: Agnesina Cortesi (Roma) - Calzature: Pedraz- zoli (Milano) - Attrezzi: Rancati (Milano-Roma) ♦ Organizzazione generale: SERGIO D’OSMO - AFRO SACCANI ♦ LA DIREZIONE SI RISERVA IL DIRITTO DI APPORTARE AL PRESENTE CARTELLONE TUTTE QUELLE MODIFICHE CHE S! RENDERANNO NECESSARIE 'A P R E S E N T A P E R L A S T A G IO N E T E A T R A L E 1956-57 L A C O M P A G N I A D E L T E A T R O M I L A N E S E D I I E R I E D I O G G I Diretta da LUCIANO RAMO Condirettore EMILIO RINALDI ALDO ALLEG RANZA - GINO B IG N A M I - EDGAR B IR AG H I - W ILMA CASAGRANDE - ALFONSO CASSOLI - LEDA CELANI - GIANNI GHEDRATTI - RENATO G HIGI - PAOLO PAM PUR IN I - ROMEO PA TTAC IN I - GIU LIANA PO G LIANI - FRANCO POTRON - ENZA PRIA - CARLO R A TTI - M ARA REVEL EM ILIO R IN A LD I - GIULIANA RIVERA - M ARIO R O TATI con la partecipazione straordinaria di IS A M IR A N D A - F A U S T O T O M M E I - E V E L IN A S IR O N I , afei- dce^f-Vee'ìe/ L ’a n im a tra v a s a d a El z io m a i di GUIDO BERTONI L’a m is de tu tti di CARLO BERTOLAZZI La c ià c c e ra c h e g h ’e ’ in g ir di GUIDO BERTONI F e lic ita C o lo m b o di GIUSEPPE ADAMI El d é lit de v ia S p ig a di GUIDO BERTONI L ’u ltim g a m b e r de s u r P iro tta di EDOARDO GIRAUD di SILVIO ZAMBALDI S tro p a j di GIUSEPPINA FERIOLI La fa m ig lia d e i C ila p p o n i di CARLO DOSSI La ve d o v a di RENATO SIMONI I s a re s e tt di ANTONIO GREPPI El v e s tii de s p o s a di SIMONETTA e ZUCCONI E l M a rc h io n n d i g a m b a v e rt di CIRO FONTANA (dal poemetto di CARLO PORTA) On o m m d ’a ffa ri di GIOVANNI CENZATO (da «Mercadet l’affarista » di Honoré DE BALZAC) I s o c i de la b ira di ANTONIO CLERICI Arredamenti scenici della S. A. ARGANTE - Costumi della Sartoria PRAGA - Gioielli della Ditta CORBELLA Calzature della ditta PEDRAZZOLI - I bozzetti e le scene per El Marchionn di gamb avert sono di ENRICO KANECLIN - I costumi sono gentilmente dati dal TEATRO ALLA SCALA a cura di EMMA CALDERINI Armi ed attrezzi delle Ditte FINZI e RANCATI - Tutti i fornitori sono milanesi K * T E A T R O C A R I G N A N O I L GLORIOSO TE A TR O D I PROSA IT A L IA N O « Splendido e magnifico teatro : la regalità — poiché fn voluto da un principe : Luigi Amedeo di Carignano e realizzato dal primo architetto del re, il conte Bene detto Alfieri — è rimasta davvero sovrana da tre secoli. Fu costruito esattamente nel 1752, ed ancora oggi si ha l ’impressione che le nobili memorie del suo passato si nascondano nel fondo dei palchi, levino il volo dagli ori delle decorazioni, si radunino a convegno nel boccascena. I vari restauri non sono mai riusciti a vio larne la fisionomia primitiva, documento di un gusto, di un’età, di un genio architettonico. « Per Torino, il Teatro Carignano, si può ben dire che dalla sua fondazione ha registrato la parte più cospicua e viva della nostra storia torinese del costume, della letteratura e non poca della vita politica. « La “ Compagnia Reale Sarda ” accentrò al Teatro Carignano di Torino gli interessi degli autori e degli artisti italiani per trent’anni; in questo teatro si avvicendarono gli italiani e gli stranieri, sul suo palcoscenico l ’Arte Drammatica ebbe sempre privilegio e onori. Anche oggi continua ad averli. « Torino ha perduto con la guerra tutti i suoi teatri, ma Iddio ha voluto che fosse risparmiato il “ Carignano ”, ed in questo segno divino noi sentiamo una conti nuità fatale, la scena di prosa non deve e non può morire. Il “ Carignano ” è lì, nel centro di Torino, invitante elegante intimo, con una sonorità che echeggia antiche sonorità auguste e nobili, di un luogo ove anche per divertimento si va composti e rispettosi. Grande e magnifico teatro, che ancor oggi prosegue così nobilmente la sua vita, così civilmente la sua opera ». DALLA MONOGRAFIA DEL TEATRO CARIGNANO ------- -- :---7jL M W — ................................................... . ONORATO CASTELLINO S.A.D.A.C. - SPETTACOLI ARTISTICI A M A MARIA DAMELE CHIARELLA r s y s s I l guardaroba delle donne è sempre m utevole perché colmo d i capricci, traboccante di fantasie; quello degli uom ini sta invece nei lim iti ed è stabile nel tempo. U n uomo ele gante e d i gusto sa sempre ciò che vuole ed ha quindi quel che deve avere in fa tto d i indum enti: m attino, giorno, sera. Ognuno, secondo le età, aggiunge le sue appendici e predilige i suoi « hobby » che sono poi le piccole fissa zioni, dette anche p a llin i. D ’A nnunzio aveva l ’hobby dei guanti bianchi scamosciati, dei fazzoletti che non fossero « ru d i al suo naso schivo ». E potrei citare altre m ille persone, poiché nella m ia lunga carriera ho avuto ed ho le chiavi ideali del guardaroba di cento e m ille e m ille uom ini eleganti d i ogni Paese e latitud ine . Pure ogni « guardaroba » è diverso, se non nella sostanza, nella form a: l ’industriale, lo sportivo, l ’artista, ognuno ha il suo segno particolare, ognuno ha il suo inconfondibile gusto del quale riem pie il guardaroba. O gni tanto una bella signora compera per lu i una cravatta ed egli l ’ac cetta festante, lieto, grato. M a la depone il giorno dopo nel cassetto della scrivania. I l « guardaroba » d e ll’uomo ra ffi nato è tu tto in questa distinzione. Come scegliere una cravatta? come annodarla? quale cravatta preferire? come armonizzare i colori con l’abito? Questi sono alcuni dei molti interro gativi ai quali dà una esauriente risposta Claudio Tridenti Pozzi, che ha pubblicato un elegante opuscoletto dal titolo L’arte della cravatta, destinato a coloro, e sono ancora moltissimi per fortuna, che hanno dell’eleganza un concetto di dignità, gusto e personalità. L’opuscolo non è in vendita, ma si può averlo gentilmente da Pozzi. NEL DISEGNO, IL CAVALIERE DEL LAVORO CLAUDIO TRIDENTI POZZI VISTO DA TABET * CORSO VITTORIO EMANUELE 31 - MILANO - TELEFONO 700-887 * CON QUESTO FILM SI INAUGURATA LA X V II MOSTRA INTERNAZIONALE D I VENEZIA a C a p u a n o d i H e in z R u h m a n n H a n n e l o r e S d i r o t h M a rto ra H e ld E r i c h S c h e l l o w W i l l y A . K l e in a u l i s e F u r s t e n b e r g L e o n a r d S t e c k e l W a l t e r O i l i e r M a r i a S e b a l d t PRODUZIONE REAL FILM - GYULA TREBITSCH H E L M U T K A U T N E R . //

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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