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(da «il Petronio») MILANO - CORSO VITTORIO EMANUELE, 15 - TELEFONO 700.887 SEG N ALIAM O I NUOVI SUCCESSI DELLA S U D IS C H I C E T R A S P O O N R IV E R A N TH O LO G Y A PIED I NUDI SU I C A M P I D E LL’AM O RE G A B R IE LE D ’AN N U N ZIO GUIDO G O ZZANO DI E. LEE MASTERS LETTURE DI PAOLO CARLINI, ARNOLDO FOÀ, VERA GHERARDUCCI, ELSA MERLINI GVL 0610 SHAKESPEARE: QUATTRO SONETTI. J. DONNE: GOING TO BED; VII DEI SANTI SONETTI. LETTURE DI ARNOLDO FOÀ CL 0 4 4 5 LA PIOGGIA NEL PINETO - CONSOLAZIONE - LA PASSEGGIATA LETTURE DI PAOLO CARLINI CL 0 4 4 6 LE DUE STRADE - L’AMICA DI NONNA SPERANZA LETTURE DI PAOLO CARLINI C L 0 4 4 8 . . . E D U E I N C I S I O N I D ’A T T U A L IT À P E R L A R E C E N T E A T T R IB U Z IO N E D E L P R E M IO N O B E L A L P O E T A S A L V A T O R E Q U A S IM O D O ANTO LO G IA DI M ODERNI B R A N I SC ELTI D A L L ’ OTELLO DI S H A K E S P E A R E COMPRENDE LA LIRICA “ VENTO A TINDARI” DALLA RACCOLTA “ ED È SUBITO SERA” DI SALVATORE QUASIMODO LETTURE DI VITTORIO GASSMAN CL 0 4 2 6 NELLA TRADUZIONE DI SALVATORE QUASIMODO INTERPRETAZIONE DI VITTORIO GASSMAN, ANNA MARIA FERRERÒ, SALVO RANDONE GVL 0 6 0 4 FONIT-CETRA S.P.A. MARCA C E T R A Torino, Via A. Avogadro 30 - Tel. 52.52 - 45.816 I o s o n o c o n v i n t o c h e o g n i u o m o p u ò im m u n iz z a r s i c o n t r o t u t t i i r is c h i d e lla c o n c o r r e n z a , s u l p ia n o d e l b u o n g u s t o e d e lla g a la n te r ia , r e g a la n d o a d u n a d o n n a i l fa m o s o T r i t t i c o d i c a lz e M i l l e A g h i , c u s t o d it o n e l l ’ a r t is t ic o c o f a n e t t o c h e s im u la u n v o lu m e d i p o e s ie . F R A N C E S C H I M A E S T R O C A L Z IE R E MILANO . VIA MANZONI, 16 . 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D i questa evoluzione millenaria, del suo significato spirituale, delle sue avventure e disavventure, delle sue battaglie ora drammatiche ora pittoresche, l’opera di Giovanni Calendoli presenta con rigore di interpretazione critica ma con fluidità di racconto un ampio e sorpren dente panorama che trova la sua piti eloquente integrazione ed il suo puntuale commento in una vastissima raccolta di materiale iconografico. Formato 210 per 280, di pagine VIII-704 riccamente illustrate; illustrazioni fuori testo fino a sei colori; rilegato in tela con sovracoperta a colori e custodia; Lire 14.000; di questo volume sono state tirate 25 copie segnate dalla A alla Z (fuori commercio) e 100 copie numerate dal n. 1 al n. 100 : L. 20.000. E D I Z I O N I D E L L ’A T E N E O ROMA, 13, V IA CAIO MARIO i e d i z i o n i m o d e r n e UN’ OPERA DIVULGATIVA FONDAMENTALE PER OGNI LETTORE, CHE APUE LA COLLANA “ I DODICI COMPAGNI DELLA VOSTRA VITA” DIRETTA DA NATALINO SAPEGNO VITO PA N D O LFI I L T E A T R O D R A M M A T IC O D I T U T T O I L M O N D O DALLE ORIGINI A OGGI (DUE VOLUMI - STORIA E ANTOLOGIA) yfecte ¿A: VICENZO ARANCIO RIIZ ALBERTO CONSIGLIO - MARIO D’ANTONIO - CESARE GARBO LI - SILVIO PO Z ZANI - ALBERTO ASOR ROSA - PAOLO ROSSI - FRANCO RUSSO!! - FRANCESCO SABA - NATALINO SAPEGNO - PAROLO TOFINI ALBER TO C O N SIG LIO s to ria dei m accheroni ce??. ceciYc 'e.ècc//c e P ulcinella m angiam accheroni /ce ¿¿'cercncc ftC M èi/eec//?'??ce e- ec?cit¿r?.cer?-/e yieze ¿ce /èe. VITO PA N D O LFI I S A B E L L A C O M IC A G E L O S A STORIA DI AVVENTURE E DI MASCHERE « ?ee.te?.'e » Ac'?///e? ter?. Acce PE TR U C C ELLI D E LLA G ATTIN A ! MORIBONDI DEL PALAZZO CARIGNANO MEMORIE DI UN EX DEPUTATO tutti i volumi sono rilegati in tela con centinaia di illustrazioni e diecine di tavole f.t. a S/8 colori, in cofanetto in S uite le li b r e r ie - d is t r ib u z io n e E. □ . A . D O C U M E N T I D I T E A T R O diretta da Paolo Grassi e Giorgio Guazzotti c a p p e l l i editore Bologna presenta T e a t r o d i t u t t o i l m o n d o Collezione di testi con note alla regia Alfred De Musset Lorenzaccio Traduzione di Raul Radice. Note alla L. 800 regia di Luigi Squarzina Luigi Squarzina Tre quarti di luna Note alla regia di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina L. 800 Alexandre Dumas Kean Adattamento di Jean-Paul Sartre. Prefazione di Ermanno Contini. Note alla regia di Vittorio Gassman e Luciano Lucignani L. 800 Niccolò Machiavelli La Mandragola Prefazione di Piero Gobetti. Note al la regia di Luciano Lucignani L. 700 Curzio Malaparte Anche le donne hanno perso la guerra Note alla regia di Guido Salvini L. 700 William Shakespeare La tragedia del principe Amleto Versione italiana di Luigi Squarzina. Prefazione di Silvio D’Amico. Note alla regia di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina L. 850 Seneca Tieste Versione italiana di Vittorio Gassman. Prefazione di Ettore Paratore. Note alla regia di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina L. 500 Alfredo Testoni Il cardinale Lambertini Prefazione di Giuseppe Pardieri. Note alla regia di Sandro Bolchi L. 800 Cesare Giulio Viola Nora seconda Prefazione di Eligio Possenti. Note alla regia di Carlo Lari L. 500 Giulio Bucciolini Tre commedie toscane « La fiera dell’Impruneta », « La Ba ronessa schiccherona », « La fine del mondo». Prefazione di Diego Fab bri L. 1200 Massimo Dursi Bertoldo a Corte Prefazione di Francesco Bernardelli. Note alla regia di G. De Bosio L. 800 Salvato Cappelli Il diavolo Peter Prefazione di Carlo Terron. Note alla regia di Alessandro Fersen L. 700 Arthur Miller Uno sguardo dal ponte Versione italiana, prefazione e note per la regia di Gerardo Guerrieri L. 800 sono usciti: Gigi Lunari L’Old Vie di Londra pp. 142, 27 ili. Gennaro Magliulo Eduardo De Filippo pp. 92, 29 ili. L. 500 L. 500 Paolo Chiarini Il teatro tedesco espressionista pp. 114, 20 ili. L. 500 Ettore Gaipa Giorgio Strehler pp. 168, 24 ili. Ghigo De Chiara Ettore Petrolini pp. 108, 20 ili. L. 500 L. 500 Andrea Camilleri I teatri stabili in Italia (1898- 1918) pp. 132, 15 ili. L. 500 Gigi Lunari Laurence Olivier pp. 124, 24 ili. Luigi Ferrante Rosso di S. Secondo pp. 140, 18 ili. L. 500 L. 500 C A P P E L L I E D IT O R E E r i - E d i z i o n i R a i R A D IO TE LE V IS IO N E IT A LIA N A TEATRO TEDESCO DELL’ ETÀ ROMANTICA PRESENTAZIONE DI BONAVENTURA TECCHI L. 7.500 UN PANORAMA DELL'EVOLUZIONE DEL TEATRO DI OGNI PAESE E DI OGNI TEMPO. VOLUMI IN EDIZIONE DI LUSSO PER AMATORE CON NUMEROSE TAVOLE FUORI TESTO E. G. LESSING: Minna von Barnhelm - W. GOE THE: Goetz von Berlichingen - L. TIECK: Il Cava- L’evoluzione del teatro tedesco in uno dei periodi più impor- Here Barbablù - F. SCHILLER: La morte di Wal- lenstein ■ Demetrius - H. VON KLEIST: Il Principe tanti delira sua storia: quello dell’età romantica. di Homburg - Roberto il Guiscardo - G. BUECHNER: La morte di Danton - F. GRILLPARZER: L'ebrea di Toledo - G. F. HEBBEL: Maria Maddalena. TEATRO SPAGNOLO DEL SECOLO D’ ORO PRESENTAZIONE DI ANGELO MONTEVERDI L. 8.000 La grande età del teatro spagnolo è qui ripercorsa attraverso le sue opere più significative. FIABE TEATRALI PRESENTAZIONE DI DIEGO VALERI L. 10.000 Una raccolta delle principali fiabe teatrali che presenta in un ideale spettacolo magiche creazioni. CERVANTES: L'assedio di Numanzia, L'antro di Salamanca, Il giudice dei divorzi, L'elezione degli Alcaldi di Daganzo - DE VEGA: Peribanez e il commendatore di Ocana - TIRSO DE MOLINA: Il condannato per disperazione - RUIZ DE ALARCON: La verità sospetta - MORETO Y CABANA: Disde gno per disdegno - CALDERON: La vita è sogno, Il gran teatro del mondo, La morte - RUEDA: I servi, La terra di cuccagna, Cornuto e contento - TIMONEDA: I ciechi e il garzone - LOUIS QUI- NONES DE BENAVENTE: La nenia funebre - BARRIONUEVO: Il trionfo delle carrozze - QUE- VEDO: La rigattiera. SHAKESPEARE: Sogno di una notte di mezza estate - GOZZI: L'augellin Beiverde - TIECK: Il gatto con gli stivali - RAIMUND: Il dissipatore - OSTROWSKIJ: La fanciulla di neve - BARRIE: Peter Pan - TILL: Il suonatore di cornamuse di Strakonice - MAETERLINCK: L'uccellino azzurro - SUPERVIELLE: La bella del bosco - CICOGNANI: Beilinda e il mostro. TE ATR O FR ANC ESE CO NTEM PO RANEO DI A U TO R I C A T T O LIC I PRESENTAZIONE DI MARIO APOLLONIO ( in stampa ) PAUL CLAUDEL: L'annuncio a Maria, La scarpina di raso - CHARLES PÉGUY: Il mistero della carità di Gio vanna d'Arco - HENRI GHÉON: La maschera e la Grazia - FRANÇOIS MAURIAC: Asmodeo - GABRIEL MARCEL: Il mondo in pezzi - THIERRY MAULNIER: Giovanna e i giudici - GEORGES BERNANOS: I dialoghi delle Carmelitane. Nel teatro francese di questi ultimi anni, hanno avuto vivo successo di pubblico e di critica numerose opere teatrali dovute ad autori cattolici contemporanei, indice questo del fervore spirituale di questa nazione, e chiara dimostra zione della continuità della sua grande tradizione. La presente antologia, raccoglie alcuni dei lavori teatrali più signi ficativi, e attraverso di essi il lettore non mancherà di avere la visione di una grande esperienza della spiritualità moderna. Il volume è arricchito da riproduzioni in quadricromia di dipinti di Georges Rouault. In vendita nelle principali librerie. Per richieste dirette rivolgersi alla ERI . EDIZIONI RAI Radiotelevisione Italiana VIA ARSENALE, 21 . TORINO L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, con sede centrale in Roma - Yia Molise, 11 - ha iniziato nel febbraio 1952 la pubblicazione di un proprio bollettino in lingua francese dal titolo “ Echanges internationaux dans le domaine du théâtre ” , allo scopo di favorire la conoscenza all’estero della produzione tea trale italiana. Dal gennaio 1953 il Bollettino stesso, per rispondere alle esigenze della sua crescente diffusione, è stato redatto anche in lingua inglese. A partire dal IV numero dell’anno 1953 è pubblicato in unico fascicolo bilingue, francese e inglese, dal titolo “ Italian Theatre Review - Revue du Théâtre Italien ” . Sono stati sinora pubblicati i testi de “ Il cal zolaio di Messina ” di Alessandro De Stefani, “ La sei giorni ” di Ezio D’Errico, “ Lo scan dalo Fregonard ” di Umberto Morucchio, “ L’ippocampo” di Sergio Pugliese, “ Gli ulti mi cinque minuti” di Aldo De Benedetti, “ No ra seconda ” di Cesare Giulio Viola, “ Ovvero il commendatore ” di Mario Federici, “ La scala ” di Rosso di San Secondo, “ Isa, dove vai? ” ovvero “ L’incrinatura ” di Cesare Vico Lodovici, “ Il principe Air ” di Giuseppe Luongo, “ Giancarlo, il ragazzo maturo ” di Luigi Bonelli, “ Puccettino e l’orco ” e “ Gavino Barocca e la zucca ” di Mario Pompei (questi ultimi quattro compresi in un fascicolo speciale di Natale dedicato al Teatro per ragazzi), “ La fiaba di Namù ” di Antonio Rognoni, “ Nostra dea” di Mas simo Bontempelli, “ I cugini stranieri ” di Turi Vasile, “ Buon viaggio, Paolo! ” di Gaspare Cataldo e “ Yo, cl Rey ” di Bruno Cicognani, “ Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo, “ Il diavolo Peter” di Salvato Cappelli, “ Lettere d’amore ” di Gherardo Gherardi, “ La torre sul pollaio ” di Vittorio Calvino, “ Bella” di Cesare Meano, “ I coccodrilli” di Guido Rocca, “ Teresina ” di Aldo Nicolaj, “ Io sono la figlia del re” di Fabrizio Sarazani, “ Sulle strade di notte ” di Renato Lelli. Ogni fascicolo comprende, oltre al testo di una commedia, sintesi e fotografie delle opere presentate in Italia nel corso della sta gione, ed un vasto notiziario teatrale. IÜ 1 I— Sì ÜJ < OC H < y j s 1 < a m 0 oc III CL o z < □ < H Hi H Z y j L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, dont le siège centrai se trouve à Rome — Via Molise, 11 — a commencé dans le mois de février 1952 la publication d’un Bulletin en langue française intitulé: “ Echanges Inter nationaux dans le domaine du théâtre ” , afin de favoriser la connaissance à l’étranger de la production théâtrale italienne. A partir du mois de janvier 1953, le Bulletin, pour répondre aux exigences de sa croissante diffusion, a été pubi é également en langue anglaise. A partir du quatrième numéro de l’année 1953, il a été édité en unique bro chure bilingue ang'aise et française intitulée: “ Italian Theatre Review - Revue du Théâtre Italien ” . Jusqu’à ce jour, cette Revue a publié les textes complets des pièces suivantes: “ Le savetier de Messine ” d’Alessandro De Ste fani, “ Les six jours ” d’Ezio D’Errico, “ Le scandale Fregonard” d’Umberto Morucchio, “ L’ hippocampe” de Sergio Pugliese, “ Les dernières cinq minutes ” d’AIdo De Benedetti, “ La seconde Nora ” de Cesare Giulio Viola, “ Le patron ” de Mario Federici, “ L’esca lier ” de Piermaria Rosso di San Secondo, “ La fêlure ” de Cesare Vico Lodovici, ” Le prince Air ” de Giuseppe Luongo, “ Gian- Carlo, l’enfant déjà mûr ” de Luigi Bonelli, “ Puccettino et l’ogre” et “ Gavino Barucca et la courge” de Mario Pompei (ces der nières publiées dans le numéro spécial de Noël consacré au théâtre pour les enfants), “ La féerie de Namù” d’Antonio Rognoni, “ Notre déesse ” de Massimo Bontempelli, “ Les cousins étrangers ” de Turi Vasile, “ Bon voyage, Paolo! ” de Gaspare Cataldo, “ Yo, el Rey ” de Bruno Cicognani, “ Les voix intérieures ” d’Eduardo De Filippo, “ Le diable Peter ” de Salvato Cappelli, “ Lettres d’amour ” de Gherardo Gherardi, “ La tour sur le poulailler” de Vittorio Calvino, “ Bella” de Cesare Meano, “ Les crocodiles” de Guido Rocca, “ Teresina” de Aldo Nicolaj, “ Je suis la fille du roi” de Fabrizio Sarazani, “ Sur les routes la nuit” de Renato Lelli. Chaque numéro comprend, outre le texte complet d’une pièce italienne, des synthèses et des photographies des pièces représentées en Italie au cours de la saison théâtrale et des nouvelles théâtrales détaillées. E N T E T E A T R A L E I T A L I A N O B A R I CARRARA CESENA C IV ITA V E C C H IA FIR EN ZE L ’A Q U ILA LUCCA MASSA PADOVA PARM A P A V IA PERUGIA PESARO PIACENZA PISA RAVENNA REGGIO E M IL IA ROMA ROMA SALERNO SIENA SPOLETO SULMONA T E A T R O P 1 C C IN N I T E A T R O V E R D I T E A T R O B O N C I T E A T R O T R A IA N O T E A T R O D E L L A P E R G O L A T E A T R O M U N IC IP A L E T E A T R O D E L G IG L IO T E A T R O G U G L IE L M I T E A T R O V E R D I T E A T R O R E G IO T E A T R O F R A S C H IN I T E A T R O M O R L A C C H I T E A T R O R O S S IN I T E A T R O M U N IC IP A L E T E A T R O V E R D I T E A T R O A L IG H IE R I T E A T R O A R IO S T O T E A T R O Q U IR IN O T E A T R O V A L L E T E A T R O V E R D I T E A T R O D E I R IN N U O V A T I T E A T R O N U O V O T E A T R O C O M U N A L E E N T E T E A T R O D I S I C I L I A < / # / f ë m / w ^ Æ /é < ? û V IA U M B E R T O , 312 . C A T A N IA S T A G I O N E 1 9 5 9 . 1 9 6 0 / / 'téftej/srt/é L ’ A R I A D E L C O N T I N E N T E TRE ATTI DI NINO MARTOGLIO T E S T I D I L I G N U UN ATTO DI GIOVANNI GIRGENTI NOVITÀ ASSOLUTA L I O L À TRE ATTI DI LUIGI PIRANDELLO O S P I Z I O L A P A C E UN ATTO DI VITO MAR NICOLOSI L A P A T E N T E UN ATTO DI LUIGI PIRANDELLO TRE ATTI DI SAVERIO FIDUCIA B A R T O L O NOVITÀ ASSOLUTA I D O N (RE DI DENARI) TRE ATTI DI PIPPO MARCHESE S A N G I O V A N N I D E C O L L A T O TRE ATTI DI NINO MARTOGLIO GLI ATTORI IN ORDINE ALFABETICO MICHELE ABRUZZO, ROSINA ANSELMI, ROSOLINO BUA, IDA CARRARA, MARIO CARRARA, EUGENIO COLOMBO, ELIO DI VINCENZO, TURI FERRO, FERNANDA LELIO, GIUSEPPE LO PRESTI, FRANCA MANETTI, LELIA MANGANO, RICCARDO MANGANO, FIORETTA MARI, TUCCIO MUSUMECI, LINA PASSALACQUA, IRENE QUATTRINI, VALERIO RUGGERI, SALVATORE SCALIA, UMBERTO SPADARO, MARIA TOLU, GAETANO TOMASELLI, ALFREDO ZANABONI I REGISTI UMBERTO BENEDETTO, GIOVANNI CALENDOLI, ACCURSIO DI LEO, NANDO FIORENTINO, RENATO PINCIROLI. UGO SAITTA, OTTAVIO SPADARO SCENOGRAFI E BO ZZETTISTI FRANCESCO CONTRAFATTO, SALVATORE FONSECA, RENATO GOTTOSO, FRANCO LAURENTI, SEBASTIANO MILLUZZO, GINO MORICI, GIUSEPPE SPINOCCIA M USICHE DI SCENA ANGELO MUSCO E FRANCESCO PASTURA GLI ABBONAMENTI SI RICEVONO PRESSO V UFFICIO INFORMAZIONI DELL’ E. P. T., VIALE XX SETTEMBRE, 31 - TEL. 17369, DALLE ORE 10 ALLE 13 E DALLE 16 ALLE 19. ABBONAMENTO! PRIMA DI GALA L. 9.000 B TURNO A 6.000 B TURNO 13 4.500 H TURNO C (DOMENICALE POMERIDIANO) 5.500 stagione 19j y - i9 6 0 sala gobetti - vìa rossini, 8 t e a t r o s t a b i l e d i diretto da gianfranco de bosio e fulvio fo t o r i n o coti la partecipazione straordinaria di: il repertorio: lilla b rig n o n e g iu s tin o d u ra n o ro ld a n o lu p i lu is a ro ssi i c lo w n s a lv a d o ri f ilip p o scelzo la u ra s o la ri lu ig i v a n n u c c h i lia z o p p e lli ch e cco risso n e e nello spettacolo del teatro stabile di genovu: e rn e sto c a lin d ri V itto r io s a n ip o li fra n c o p a re n ti m illy v ita le g iu s i d a n d o lo la compagnia stabile: u n c a p p e llo d i p a g lia d i fire n z e dì eugène labiche e mare michel a n g e lic a di leo ferrerò la c o n v e rs io n e d e l c a p ita n o b ra s s b o u n d di george bernard shaw q u i n o n c ’è g u e rra di giuseppe dessi i p a g lia c c i di federico scardi spettacolo del teatro stabile di genova co m e a li h a n n o le scarpe di alberto perrini angelo alessio - giuseppe apra - gastone bartolucci - ugo bologna - pietro buttarelli anna maria cini - raoul consonni - ernesto cortese - maria de velo - cario enrici - ivana erbetta - alessandro esposito - graziella galvani - silvana lombardo - elena magoia giovanni mannocchi - bob marchese - lin o menegon - cam illo m illi - g iu lio oppi a ttilio ortolani - nicola parenti - caria parmeggiani - franco passatore - lucetta prono sandro rocca - ruy saletta vismara manifestazioni gratuite riservate agli abbonati T E A T R O D E L C O N V E G N O MILANO V S T A G I O N E 1 9 5 9 . 1 9 6 0 DIRETTORE: E N Z O F E R R IE R I LA COMPAGNIA DEL TEATRO DEL CONVEGNO RAPPRESENTERÀ OTTO OPERE NUOVE O MAI PRESENTATE IN ITALIA: QUATTRO DI AUTORI ITALIANI, QUATTRO DI AUTORI STRANIERI LA STAGIONE SI È INIZIATA IL 6 NOVEMBRE 1959 IL C A P IT A L E di CURZIO MALAPARTE 3 atti Novità per l’Italia IL M A N T E L L O di DINO BUZZATI 1 atto L ’ A R M IS T IZ IO di SANDRO BAJINI 1 atto I QUATTRO G IO CATORI DI SC O PA di GIUSEPPE LISI 1 atto Novità assoluta I S E N T IM E N T I D E I C O M P A G N I D I V IA G G IO di GIUSEPPE GUAITA 3 atti Novità per Milano IL G IO C A T O R E di CARLO GOLDONI 3 atti Mai rappresentata in Italia E D IP O di AUDRÉ GILDE nella versione di Carlo Terron 3 atti Novità per l’Italia L ’A M LE TO D I S T E P N E Y G REEN di BERNARD KOPS nella versione di Maria Bertagnoni e Loredana da Schio 3 atti con musiche e canzoni Novità per l*Italia E S C O R IA L E M A G IA R O S S A di MICHEL DE GHELDERODE nella versione di Gianni Nicoletti 4 atti Novità per l’Italia LA G IO S T R A di DONALD OGDEN STEWART 3 atti Novità per l’Italia DIREZIONE AMMINISTRATIVA: E M A N U E L A D E R IV A L’ABBONAMENTO A QUATTRO SPETTACOLI A SCELTA NELLE POLTRONE DELLE PRIME FILE, DA USARSI IN QUALSIASI SERA ANCHE NELLE PRIME, COSTA L. 6.000 TELEFONO 876.822 /? < £ ? - Z Z f Z ~ é fé /é z//? m s /e /fa ^ ¿ y ^ c /c /m a C A R L O A L B E R T O C A P P E L L I GIORGIO D e L u f i l o ROSSELLA F a l k ZMiS/?/zz ANNAMARIA * G u a r n i e r i ROMOLO . V a i l i ELSA A l b a n i c o n G in a S a m m a r c o G IO R G IO B A N D IE R A - G IO R G IO S O N O R A - F E R R U C C IO D E C E R E S A G A B R IE L L A G A B R IE L L I - C R IS T IN A G R A D O - N O N A M E D IC I U M B E R T O O R S IN I - G IN O P E R N IC E - N O R A R IC C I G IA C O M O R O S S I S T U A R T - A L D O T A L E N T IN O - ID A T A L E N T IN O A N I M A N E R A DS GIUSEPPE PATRQN8 GRIFFI S E S S O D E B O L E DG EDOUARD BOURDET I D U E G E N T I L U O M I N I D I V E R O N A DI WILLIAM SHAKESPEARE D ’A M O R E S I M U O R E DI GIUSEPPE PATRONI GRIFFI I L D I A R I O D I A N N A F R A N K DI F. GOODRICH E A. HACKETT NEL QUADRO DELLE MANIFESTAZIONI CELEBRATIVE PER L'UNITÀ D'ITALIA NEL CINQUANTENARIO DELLA MORTE DELL'AUTORE R O M A N T I C I S M O D! GEROLAMO ROVETTA regista.- G I O R G I O D E L U L L O SCENOGRAFO COSTUMISTA: P i e r L u i g i P i z z i UFFICIO STAMPA: FERRUCCIO DE CERESA . ASSISTENTE ALLA REGIA: MARCELLO ALIPRANDI DIREZIONE ARTISTICA: G IO R G IO D E L U L L O - R O M O L O V A L L I RAPPRESENTANTE: S A N D R O T O L O M E I LA COMPAGNIA HA ESORDITO IL 28 NOVEMBRE ALTEATRO COMUNALE DI MODENA CON S E S S O D E B O L E < 6 *g. S g o l a i / ED HA PORTATO NEL MONDO LA VOCE ED IL PRESTIGIO DEL TEATRO ITALIANO LA NOSTRA RIVISTA HA ANNI DI VITA CHI SI ABBONA O RINNOVA L ’ABBONAMENTO PER IL 1960 A I L D R A M M A HA DIRITTO ALLO SCONTO DEL 50 PER CENTO SU TU TTI I N O STR I V O LU M I D I TEATRO E D IT I D A LLA IL T E ~ LA C O N C E S S IO N E È V A L ID A F IN O A T U T T O F E B B R A IO OGNI ABBONATO PUÒ SCEGLIERE TANTO UN VOLUME COME UN’INTERA COLLANA, MA HA DIRITTO AD UNA SOLA COPIA PER TITOLO. I NOSTRI LIBRI DI TEATRO SONO I SEGUENTI: IBSEN (NUOVA EDIZIONE I960» OTTAVA) DUMAS tiglio MOLIÈRE OSCAR WILDE SHAKESPEARE degli italiani AUGUST STRINDBERG EDIZIONE COMUNE PREZZO DI COPERTINA L. 5.000 l. 4.000 l. 4.000 L.4.000 L.4.000 L.4.000 QUESTI SEI VOLUMI FANNO PARTE DELLA COLLANA “I CAPOLAVORI”. LA RIDUZIONE DEL 50% È PER L’EDIZIONE COMUNE CAR- TONATA. CHI DESIDERA L’EDIZIONE DI LUSSO AGGIUNGA DUEMILA LIRE DI RILE GATURA DA AMATORE (E L’AD PERSONAM, SE LO DESIDERA) PER CIASCUN VOLUME. RENATO SIMONI TRENTANNI DI CRONACA DRAMMATICA - I Voi. esaurito n Voi. L. 4.800 HI Voi. L. 4.800 IV Voi. L. 4.800 IL 5» ED ULTIMO VOLUME È IMMINENTE LE COMMEDIE - L. 2.000 RENATO SIMONI TEATRO DB RAFFAELE VIVIANI L’ATTORE TEATRO D’AMERICA TEATRO DI ROBERTO BRACCO (DUE VOLUMI CON CUSTODIA, INSEPARABILI) L. 6.000 A CURA DI LUCIO RIDENTI - L. 300 DI GIGI CANE - L. 600 DI ANTONIO STAUBLE - L. 1.400 OLTRE ALLO SCONTO DEL 50% SUI NOSTRI LIBRI, CHI SI ABBONA O RINNOVA L’ABBONA MENTO A “ IL DRAMMA” HA DIRITTO DURANTE L’ANNO AI NUMERI DOPPj E FASCICOLI SPECIALI CHE COSTANO 400 E 500 LIRE. ~ L’ASSOCIATO. DUNQUE, LI PAGA MENO DELLE 300 LIRE, PREZZO NORMALE DEI FASCICOLI. Libri come questo non sono frequenti in Italia. Anzi, sono rari, soprattutto perché gli italiani non accettano consi gli: preferiscono sbagliare da soli. Gli italiani sono gli uomini meglio vestiti del mondo. Libri del genere, in un Paese come la Francia — dove gli uomini sono consapevoli di essere considerati i peggio ve stiti — appaiono invece fre quentemente. E non perché quei cittadini siano disposti ad un miglioramento forzato, ma perché posseggono in som mo grado il senso delVumori- sino e sono dotati di quello ancor più civile dell’autocri tica. Accettano quindi le fre quenti letture del genere non del tutto prive di qualche in segnamento. Si tratta di un prestigio al quale fanno onore anche con ostentazione, con vinti come sono che la loro Nazione è la prima dell’uni- verso. Sono dello stesso pa rere anche gli inglesi; ma per altri aspetti che esulano dalle nostre considerazioni. E poi ché l’America.................... (il seguito nella introd. al volume) Petronio'Arbitro (20 1 - 06 d. C.) fu osservatore perspicace, deli cato analista, meraviglioso dipin tore. Narrò i costumi della sua epoca senza partito preso, senza odi, vivacemente, in piccoli capitoli. Petronio possedeva l’ini passibilità e l’ eleganza, il gusto tagliente dell’ incredibi lità signorile, il senso preciso della personalità dell’individuo. Si adoprò per perfezionare il costume, non per deriderlo. HUYSMANS La « Omnia Editrice >' - Milano (via Arbe, 85) ha dato al volume una veste lussuosa e una cura particolare. Sono 200 pagg. formato 20/15, con 16 tavole fuori testo a colori e in nero; rilegato in seta pesante verde con incisioni in oro e so pracoperta trasparente. Costa 4000 lire in libre ria; ma per amabile concessione della nostra ILTE, chi si abbona a « Il Dramma » lo riceverà da noi a metà prezzo. ~ E’ un libro di costume, nei rapporti tra il nostro tempo e quello che fu dei nostri padri; ma poiché il « nostro tempo » ha i capelli bianchi, il dialogo si svolge, in una serie di capitoli, tra noi e i giovani. E’ un libro di ele ganza maschile, intesa non soltanto fuori, ma anche « dentro ». E’ un libro anche tecnico, che può essere indicato come manuale, ma ha il pregio di potersene servire senza la noia e l’aridità che posseggono tal genere di trattati. Nelle fotografie (eseguite da Lelio Tetta- manti) Lucio Ridenti nella sua casa a Torino. u n l i b r o - s t r e n n a p e r f e t t o — u ri r e g a l o in t e ì lj g e n ie e d i g u s t o I L N U O V O S A P E R V I V E R E G R E G O R I O S C I L T I A N / * * * C A R O N ANNO 35 - NUOVA SERIE - N. 27D DICEMBRE 1959 I L D R A M M A MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI DI REZI ONE-AMMINISTRAZIONE-PUBBLICITA’ : ILTE (Industria Libraria Ti pografica Editrice) Torino, corso Bramante, 20 - Telefono 693-351 - Un fascicolo semplice costa L. 300 - II fascicolo agosto-settembre, ed il fascicolo di Natale costano 500 lire. Abbonamenti: Un anno L. 3200; semestre: L. 1700; trimestre: L. 850 - Conto Corrente Postale 2/56 intestato a ILTE. Abbonamenti per l’Estero, con la spesa di raccomandazione postale di ogni fascicolo, obbliga toria: per un anno L. 4690; per un semestre L. 2540; per un trimestre L. 1270. “ Il Dramma” viene spedito in tutto il mondo; sono migliaia di abbonati fin nei più lontani Paesi. Sarebbe assurdo pretendere una regolarità postale inviando i fascicoli col mezzo semplice. I disguidi sono infiniti e per tutto Panno riceviamo proteste e rispediamo - per cortesia - fascicoli in soprannumero, annullando il beneficio di avere un abbonato. Avvertiamo quindi gli abbonati all’estero che la raccomandazione del fascicolo è obbligatoria. Il prezzo dell’abbonamento comprensivo della raccomandazione postale è di L. 4690 per un anno; L. 2540 per un semestre; L. 1270 per un trimestre. c/r ys*&<>/<:■ Taccuino: CINQUE PIÙ DUE ♦ Commedie: COMMEDIA DI DIECI VERGINE, di ignoto fiorentino del XVI secolo, trascri zione in prosa moderna di Italo Alighiero Chiusano MARIA STUARDA, tragedia in cinque atti di Friedrich Schiller, versione italiana di Emilio Mariano * Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubblicazione): MARIO FERRIGNI', RENATO SIMONI, FRANCESCO BERNARDELLI, VITTORIO VECCHI, DANILO TELLOLI, VITO PANDOLFI, GIORGIO GUAZZOTTI, ENRICO BASSANO, EDOARDO BRUNO, MARCEL LE DUC, FERNANDO PEIXOTO, IBIO PAOLUCCI, MA URICE LAN SD ALE, GIGI LUNARI ♦ Copertina: Natività (maestro di Torino, attivo nel 1499) particolare - Galleria Sabauda di Torino - Il dipinto si pubblica per la prima volta ♦ Fotografie di: Da Rota, Trevisio, Studium, Leoni, Invernizzi, Tettamanti, Archivio Foto grafico ILTE. C IN Q U E P IU D U E Una “ Commissione di Studio per la nuova legge sul teatro di prosa ” ha formato oggetto di una convocazione da parto del ministro Tupini, a Roma, di un certo numero di persone che la Direzione dello Spettacolo ha ritenute qualificate o per la loro esperienza o indispensabili per il posto che occu pano presso le rispettive categorie. I rappresentanti di Enti e di Organizzazioni di categoria sono dodici; gli altri invitati trentanove, ma qualcuno era assente per vari motivi. La riunione è avvenuta il 19 novembre; quando questa Rivista sarà in vendita si sarà tenuta (11 dicembre) la seconda riunione. Tra la prima e la seconda, al Ministero saranno pervenute le risposte scritte ad un quesito che è stato posto ai convenuti: si tratta di cinque domande, alle quali ne sono state aggiunte altre due, la prima di Giulio Trevisani, la seconda di Federico Zardi. Enunciamo per prime queste due perchè sono scontate in partenza. Trevisani ha proposto: “ La legge sul teatro deve essere accompagnata da una leggina che riformi l’art. 91 della logge comunale e provinciale, includendo fra le spese obbligatorie, sotto il capo della Istruzione pubblica, quelle a favore del teatro inteso come attività culturale ed educativa ” . Abbiamo detta “ scontata ” perchè la proposta Trevisani ci sembra opportuna e più che necessaria, n quesito Zardi domanda: “ E’ rispondente alle esigenze del nostro teatro, della funzione culturale del teatro e degli interessi dei teatranti, e allo spirito democratico del nostro Paese, la struttura d’insieme degli attuali organi dirigenti del teatro, e cioè la struttura della Direzione Generale dello Spettacolo e degli Enti da essi emanati! Come ovviare allo eventuali deficienze ed eventualmente a modificare tale struttura! A nostro giudizio non si deve percliè non si può: l’ordinamento burocratico dello Stato ha una propria struttura, derivante tanto da esigenze specifiche come da lunghe esperienze, e risponde ad un concetto generale che uniforma ogni altro ministero. Se mai si dovrebbe suggerire che accanto alla Direzione Generale dello Spettacolo (abbia questo od altro nome nell’organico del nuovo ministero) vi sia un Consiglio Superiore (composto da elementi in parte eletti dalle rappresentanze di categoria, in parte dal Ministro) preposto a che le norme fissate dalla legge vengano scrupolosamente osser vate. Inoltre detto Consiglio potrebbe suggerire tanto iniziative, come formulare proposte per la continua e maggiore diffusione del teatro di prosa. Le cinque domande compilate dal Ministro, sono queste: 1) Il teatro di prosa ha bisogno dell’intervento dello Stato o può prescinderne! - 2) Ove l’intervento sia necessario, quali ne sono la natura ed i fini! - 3) Quali debbono esserne i lim iti! - 4) Quali sono gli oggetti specifici dell’intervento statale e quale deve essere il meccanismo dell’intervento stesso? 5) Debbono essere regolati, nel quadro normativo, i rapporti tra il teatro e la televisione? In caso affermativo, su quali basi od entro quali limiti? Una quarantina di risposte alle cinque domande (scartate quelle cervellotiche ed altre di interesse personale che non potranno mancare, a giudicare dall’arroventato clima di interessi personali e di malevolenza verso la Direzione Generale dello Spettacolo, diffusosi alla prima riunione) daranno certamente la misura dei “ desiderata ” in linea di massima. Dopo di che si potrà formare la ristretta Commissione per il prosieguo dei lavori di elaborazione della proposta di legge sul teatro. Ma pensare — come Remigio Paone ha dichiarato in Commissione — che lo Stato si disinteressi del teatro di prosa è assurdo. E il nostro caro Remigio lo ha detto nascondendo, col compiaciuto suo sorriso, i riposti pensieri delle palesi ragioni. Senza contare che, compiacendosi di sapere di politica, Remigio non può ignorare ciò che appare lampante a noi che di politica tutto ignoriamo: la situazione attuale della Nazione impone allo Stato d’intervenire anche nel teatro: non può proprio “ prescin dere” . Il resto delle domando sono conseguenti e collaterali alla prima e fondamentale affermazione. Si tratterà di sopprimere e modificare questo o quello, in fatto di tasse, viaggi, rientri, premi, ecc.; si potranno creare maggiori collegamenti, interessi, ecc. con i Comuni, ma tutto ciò diventerà natu rale articolazione, dopo un vero e proprio ordinamento che consiste nel creare, a Roma, il Teatro Nazionale Drammatico, con annesso Conservatorio, naturale trasformazione dell’attuale Accademia di Arte Drammatica. Inoltre di mantenere e trasformare nel tempo stesso i Teatri Stabili, allargan done il compito e modificando la struttura (Stabili-Regionali); di creare i centri teatrali di Ycnezia, Napoli e Palermo per mantenere in vita il patrimonio dialettale con apposite compagnie; di favorire le imprese private con particolari vantaggi di carattere economico; di stabilire rapporti tra teatro e TY sulla base di una cooperazione, cioè una convenzione atta ad eliminare l’attuale tensione, determinata non da una voluta concorrenza, ma dalla necessità divenuta tale: la TY, allagando l’Italia in maniera non prevista e addirittura impressionante, non ha più potuto guardare per il sottile gli interessi altrui, nè badare alla forma, accaparrando attori, registi, ecc. A noi è sembrato che l’ottima disposizione del Ministro sia il primo e più favorevole passo; come pure abbiamo tratta convinzione come solo adesso si possa parlare veramente della “ legge ” , visto che con l’istituzione di un apposito Ministero si sono create le condizioni favorevoli per poter costruire su terreno adatto. Sino ad ora, nelle mani di un sottosegretario che ragioni politiche avvicendavano rapidamente, si continuava a scrivere sull’acqua. Il teatro, invece, ha bisogno di fondamenta in cemento armato. o A $ i v & i ' c t > r A -♦ IGNOTO FIORENTINO DEL SECOLO XVI (TRASCRIZIONE IN PROSA MODERNA DI ITALO ALIGHIERO CHIUSANO) LA VOCE DEL SIGNORE UN ANGELO LE VERGINI CARITÀ FEDE SPERANZA SAVIE PRUDENZA UMILTÀ LE VERGINI DIALTA SCIOCCHE GALANTINA LEGGIADRIA ceSARÌNA PITÒNICA IL DEMONIO IL MONDO LA SENSUALITÀ LA PRESUNZIONE Nella fotografia sopra, particolare del dipinto del Beato Angelico: «Il giudizio finale»; sotto, due altri particolari del medesimo qua dro. Nella fotografia della pagina seguente: « Il Paradiso » di Benozzo Gozzoli. CINQUE VERGINI SAVIE E CINQUE VERGINI SCIOCCHE Della parabola evangelica delle dieci ver gini (cinque vergini savie e cinque ver gini sciocche, le prime pronte, con le loro lampade accese, a entrare nella sala del convito appena giunto, in ora imprevedi bile, il divino Sposo, le altre sprovvedute d’olio e perciò escluse dalle nozze) il tea tro religioso si è impadronito ben presto, com’era naturale, data l’intima drammati cità e quasi teatralità del breve racconto, così pregno di simbolismo trascendente. Il primo testo del genere è il celeberrimo Sponsus, del secolo XII, rinvenuto in un codice dell’abbazia cluniacense di Limoges. Celeberrimo non certo per fulgore d’arte (la breve composizione Ila una schemati cità arcaica che la rende gustosa solo da un punto di vista preziosamente culturale), ma per il fatto di essere il più antico dramma sacro a contenere, oltre battute latine, anche battute in volgare, probabil mente nel dialetto della regione di An- gouléme. In esso le vergini folli, ridesta tesi dal sonno all’annuncio che arriva lo Sposo, chiedono affannosamente olio alle vergini savie, poi a un gruppo di mer canti, e, avuti due rifiuti, si raccomandano al Signore: ma per riceverne la sentenza della propria condanna. Un’azione tutta embrionale, una severità senza sfumature, un piccolo blocco primitivo monocolore. Molto più ampio lo sviluppo del Ludiis de decem virginibus, composto da un igno to domenicano turingio nel secolo XIV e rappresentato ad Eisenach il 4 maggio 1321. La vicenda, in questo dramma, è molto più preparata e minutamente svolta, le vergini non parlano in due cori, ma ciascuna per sé, la trama dell’invito a nozze, della diversa attesa — prudente o dissipata — dei due gruppi di fanciulle, delle suppliche finali e della condanna al l’inferno hanno un decorso più vicino alla nostra concezione del teatro. Il distintivo più importante di questo dramma è l’in tervento finale di Maria a favore delle vergini folli, intervento senza frutto, per ché la sentenza di condanna non conosce revoca. Conclusione terrificante, che scon volse a tal punto il margravio di Turingia Federico il Pacifico, presente alla rappre sentazione, da provocargli un grave col lasso e, tre anni e mezzo più tardi, dopo amare sofferenze, la morte. Segue, al principio del secolo XVI, un la voro fiammingo, ugualmente di ignoto, in cui i personaggi hanno una personalità — sia pur simbolica — più spiccata, e si chiamano Fede, Speranza, Umiltà, Stoltez- la popolaresca za, Arroganza, ecc. L’intervento di due diavoli, uno dei quali darà l’addio finale al pubblico, movimenta il dramma, che, più o meno tenuto presente, ispirerà altri autori a trattare lo stesso tema, in Olanda e in Germania, nei secoli successivi. L’Italia, su tale soggetto, ci offre questa Commedia di dieci vergine, scoperta in un codice della Biblioteca Riccardiana di Fi renze. Fatta per un pubblico di monache, probabilmente venne recitata in qualche convento fiorentino all’inizio del Cinque cento; ma non se ne ha notizia. Noi di remmo che meritava maggiore attenzione, perché, nonostante inge nuità della forma (insistenti e troppo ov vie rime legate in diverse forme metriche, espressioni goffe, dialogo ad alternanza di lunghe battute, ecc.) ha una sua schiet tezza che ce la rende piacevole ancor oggi. Le vergini, specie quelle fatue, sono ca ratterizzate con arguzia fiorentina, e hanno il sapore del loro tempo; il terzetto dei tentatori (il Demonio, il Mondo e la Sen sualità) agisce e si esprime con sapida concretezza e ci diverte; né mancano mo menti di sincera commozione religiosa e, sul finale, di grave pensosità. Ristamparla com’era, in questa sede, non pareva opportuno; ci siamo perciò arri schiati a sciogliere quell’ostica forma poe tica in un’onesta prosa del nostro tempo, più o meno come avremmo fatto per un testo straniero, antico o moderno. Un ar bitrio, certo, ma commesso con riguardo ed a ragion veduta. Italo Alighiero ( Iliusano L’ANGELO (.Rivolgendosi al pubblico) — La pace di Cristo sia con voi, cari spettatori che siete qui convenuti per lodare Iddio. Prepa rate il vostro cuore a ciò che vi mostreremo. Vi sarà presentata la stupenda parabola che il nostro gran Sire propose ai suoi santi discepoli. Vedrete dieci vergini molto simili nell’appa renza, ma diversissime per costumi. Una voce le chiamerà allo splendido convito in cui il Signore vuol coronar la sposa. Cin que di loro, piene di gioia, accetteranno l’invito con cuore fervido e devoto, recando vasi pieni d’olio e lampade accese. Essendo state vigili e attente, perché non sapevano a che ora lo sposo sarebbe giunto, verranno ammesse alla sala con gau dio e festa grande. Ma attenti alle altre cinque! Vergini solo di nome, verranno, loro malgrado, escluse dalla festa. Invano chiameranno : « Signore, Signore, apri a noi poverette, che siamo vergini e pure ». Il Signore risponderà loro : « Non so chi voi siate ». Allora alle infelici, perduta la felicità della terra e la beatitudine del cielo, non resterà che pianto e dispera zione. Ci serva d’insegnamento per trarne buon frutto. (Entrano le cinque vergini savie, con bandierine in mano). LA FEDE {Fatta una riverenza, si rivolge alle compagne) — Sorelle care, che si fa? Dormiamo, forse? Non avete udito la tromba che c’invita senza indugio al gran festino? Mettiamoci a punto, facciamoci trovare vestite e ornate, e stiamo in vedetta. Il cuore mi si stempera di gioia e mi par quasi che mi salti fuor del petto. Mettia moci qui, sorelle, lungo la via per la quale dovrà passare lo Sposo. Ciascuna di noi stia ben attenta, infiammata di desiderio, di una pronta e santa brama del nostro dilettoso Amo re, che se degnato, per sua bontà, di chiamarci alla mensa dele sue nozze celesti, dove ci do nerà delizia senza fine. LA SPERANZA (.Id.) Sorella cara, hai parlato benissimo, e ne siamo ben liete. Come potete vedere, ho già dato il mio cuore a Cristo. Non andiamo più altrove, ma, calme e silenziose, stiamocene qui con l’orecchio teso, da savie e prudenti fan ciulle. La prima che sentirà qualcosa ne avverta subito le altre. Mi par m ill’anni di vederlo, io che sono la Speranza, il mio Diletto, bello e grazioso, che supera ogni dolcezza. Voglio chiu dere ogni cancello ai miei sensi e attendere con perseveranza. Quand’egli avrà inanellato la spo sa, io danzerò al suo cospetto, e dinanzi a tutti i serafini loderò in eterno l’amore di Dio. LA CARITÀ’ (Id.) O sorelline mie, che gioia è mai que sta? Io mi sento mancare. Stiamo in attesa con cuore vigile, ché lo Sposo verrà tra non molto. Lo sento, lo sento, e quasi non reggo, sorelle: perdonate, ma vorrei volare! Ho un tal fuoco nel petto che quasi mi par di morire d’amore. Preghiamo, sorelle, con fervore, il Padre onni potente, che ci ha fatto chiamare alla gloria celeste, e il suo clementissimo Figlio, che ci ha liberate dalle tenebre, e lo Spirito Santo, tutto carità. Sopportiamo con perseveranza fa me, sete, caldo e gelo, e restiamo qui postrate in pura e devota orazione. LA PRUDENZA (Id.) Sorelle care, quando ci si è proposto un fine, si pensi anche ai mezzi per raggiun gerlo. Il render lode a Dio e la custodia dei sensi sono ottime e perfette medicine. Ma oc corre provvedersi d’olio per alimentare le lam pade, affinché i lumi siano accesi, dato che lo Sposo potrebbe arrivare in ora tale da dovergli andare incontro col lume. Provvediamoci dun que di un vasetto pieno d’olio. Ho, dentro di me, come un presentimento che il nostro Di letto verrà all’improvviso. Non corichiamoci, stanotte, ma restiamo in attesa, e la prima che sentirà il segnale della tromba esca fuori, ben desta, e appronti e lampade. L’UMILTÀ’ indegna d’essere eletta a (Id.) Benché tal sorte, pur ne sono felice. La nostra cara com pagna ha parlato benissimo. Restiamo in vigile attesa e con l’olio pronto, poiché anch’io credo che il nostro'dolce Amato giungerà all’improv viso, e guai se non trovasse apparecchiato! Fac ciamo subito quel che dobbiamo fare; poi aspet tiamo finché piacerà a Lui. (Levando gli occhi e le mani al cielo) O dolce Gesù mio, quando giungerà l’ora benedetta in cui ti vedremo arri vare con la tua amata sposa, e verremo intro dotte al tuo santo convito? Che giubilo riem pirà i nostri cuori! O sorelline, chi di noi uscirà per prima col lume acceso sarà la più beata e riuscirà la più cara allo Sposo. (Le cin que vergini savie si raccolgono in orazione). L’ANGELO (Rivolto al pubblico) Cari spettatori, aprite l’intelletto alle cose che vi abbiamo mostrate, imitandone i santi insegnamenti. Chi ama la virtù risponda senza indugio alla divina chia mata e prepari il proprio cuore, che è quella lampada senza la quale non si ottiene salvezza. L’amore divino la illumina e la accende, in sieme con l’olio della pura devozione, che vi libera da ogni oscurità. La fede, l’umiltà, la preghiera, la purezza di cuore, la prudenza, la conoscenza di se stessi, la cautela, lo zelo nel l’osservanza dei precetti religiosi vi renderanno ben accetti a Dio. Ora vi proponiamo un altro esempio, non per seguirlo ma per esecrarlo, dato che la sua fine sarà la dannazione eterna. Osservatelo con molta attenzione. Cinque ver gini stolte, cui nulla giova la loro verginità, sprovvedute di lume, chiedono soccorso alle loro sorelle, ma perdono il tempo e vengono ripro vate da Dio. Non seguite queste pazzerelle che sprecano i loro giorni in chiacchiere e restano poi fuori della porta. Ora fate attenzione ai loro discorsi. (Entrano in scena le cinque vergini sciocche). GALANTINA (.Rivolta alle compagne) Care compagne, perché così aggrondate? Che cos’è quest’accidia che leggo nel vostro viso, nei vostri atti? Su, state allegre, per la vostra fede: non siamo forse invitate alla festa? Conserviamo, sì, la nostra pudicizia, ma orniamola di leggiadrìa.- Oggi ho imparato a fare un inchino che sem bra un passo di danza: guardate! (Lo esegue) Voglio imparare a sonare, il liuto, e poi il ballo. Quando sarà giunto lo Sposo, ciascuna si faccia bella, indossi vesti preziose; al suono degli or gani gli andremo incontro, come gli si con viene, cantando mottetti e recando in mano le lampade accese, ché al buio non si arriva alla vita eterna. LEGGIADRINA Io voglio restare come mi ha fatto la natura: sono vaga e graziosa, bella di volto e slanciata di corpo, leggiadra e signorile. So che la mia illibata pudicizia non dispiacerà al sommo Re del creato, né gli dispiacerà il mio animo forte, la mia nobiltà e gentilezza. Voglio spruzzarmi di tanti profumi da sembrar la bottega di uno speziale; ornarmi il capo d’un diadema fiorito, con gemme d’Oriente. Quando andrò incontro allo Sposo, in veste nuziale, la mia faccia ri splenderà come un sole. E sarò presentata al Re del cielo, che non mi stancherò più di lodare. DIALTA Mio padre era un senatore, i miei fratelli son tutti patrizi, il mio avo era gonfaloniere, e ho uno zio che è primo consigliere della corona imperiale. Mia sorella è sposata a un gran con dottiero di fuorivia. Con tutto ciò, pur di es sere invitata al festino celeste, ho rifiutato di prender marito. Mi piace, sì, essere amata dagli uomini di mondo; ma poiché nessuno di loro mi guarda, li fuggo come cani. Nessuno pensi ch’io cada mai nelle loro mani! E’ vero che la mia mente è irretita in molte vanità, ma tenendoci pur molto al mio onore, voglio es sere buona e savia, almeno in apparenza. CESARINA 10 non mi considero affatto da meno di voi, care sorelle. Conosco infatti ogni scienza e so filosofare. So tener lezione meglio d’un dottore e so calcolare alla perfezione il corso dei pia neti. Conosco il greco, l’ebraico, l’arabo, il la tino ed il tedesco. Sì, sono invitata anch’io alle nozze del Re celeste: mi sono ornata tutta di scienza e ho quasi l’ali di Salomone. Ho con servato intatta la mia verginità dalle insidie dei sensi. Credo che il Re mi renderà grandi onori in paradiso né altro mi manca più che 11 diadema. Gli è ben vero che la mia lampada è priva d’olio. PITÒNICA (Con ira) To’ guarda che razza si crede di salire al cielo! Non avete vergogna? Vi assi curo che mi stomacate, a sentirvi. Se credete di servire Iddio in tal modo, vi sbagliate di grosso. Ce ne una sola, tra voi -— lasciate che ve lo dica — che vi supera tutte, ed è la pura vergine Pitònica, ammantata di ogni santità. Non lo dico per lodarmi, ma perché è vero. Di notte mi levo prima di ogni altra e il mio cuore tende sempre al cielo. Non vi dico se so fla gellarmi: inondo di sangue il pavimento! Prego così intensamente, che mi par quasi di vedere la santissima Trinità. Che balli e canti e chiac chiere! Non siete che delle pazzereìle! Se mi vedeste in orazione, le lacrime che verso! Quan do vado in chiesa, mi metto in un angolo e comincio a battermi il petto. Ho un cilicio che sembra un istrice, ed anche una cintura di ferro. Vadano a nascondersi sant’Ilario e san Benedetto. E’ così che bisogna aspettare il di vino sposo, non tra frivolezze, canti e feste. DIALTA (jRisentita) Su, presto, portate incenso! Ado riamo questa beata apostola che ha reso così grande il suo nome, che ha esaltato se stessa più in alto del cielo, a un punto tale che mi sembra una pazza da catena. Fa tanto la de vota, ma mi sembra tutta commedia. CESARINA (Id.) Gliel’hai proprio cantata giusta: così per l’appunto. Non la posso soffrire, parola! Si crede una badessa, si crede, ma io non ci casco di certo. Tutto il giorno non fa che ciarlare e confessarsi. Tirasse almeno le cuoia! Ma noi la conosciamo bene. Non dico di più, ci siamo capite. PITÒNICA {Inviperita, a Cesarina) Di’ quel che ti pare, lingua perversa, indemoniata! Non riuscirai a farmi perdere la pace. Lo sanno tutti che sei pazza e senza giudizio. Civetta, frasca, bestiac- cia, demonio scatenato, vergogna della tua fa miglia, chi ti ha insegnato a diffamare la gente? GALANTINA {Interponendosi) Zitte, voi, maledette donna- cole, che modi sono questi? Due cutrettole, sembrate. Pendagli da forca, ecco quel che siete. Insultarvi così, dirvi diavoli e civette! Che brut to parlare. Su, fate pace, che Dio vi benedica. Andiamo a letto presto, ché lo Sposo, a mio parere, si dà ben poco pensiero di noi. {Le cinque vergini sciocche si ritirano. Entrano in scena il Mondo e il Demonio). IL DEMONIO Caro compare, mi raccomando a te. La rabbia mi divora e penso sempre che cosa intende fare di noi Quello lassù. Ci ha sprofondati nel l’abisso, incurante di spopolare il cielo, solo per un pensieruccio che ci venne. Non so chi m’abbia tenuto dal trascinar giù con noi quel san Michelone arcangelo che ci cacciò fuori con tanta albagia e dispetto. Ma quello che mi trapassa il cuore si è che adesso vogliono mettere al nostro posto quella marcia e ver minosa genia che sono gli uomini e le donne. Per questo non mi tratterrò mai dal persegui tare questa canaglia, dimostrando loro quanto sia grande la mia potenza. Guarda un po’ che razza sono costoro che vivono qui nascoste, rin cantucciate, e si fanno chiamare le spose del gran... sai, Quello che sta là in alto. Non mi stimano un fico, credono ch’io fugga per le quattro mossette che fanno: ma dimostrerò loro di che cosa sono capace. Però non da solo. E vedranno che sono tanto savio da trovare i mezzi adatti a mandare in fumo i loro di segni. Sono perciò più contento di averti incon trato che se avessi trovato una montagna d’oro, perché, se tu vuoi, mi potrai essere di molto aiuto contro di esse. IL MONDO Come, se voglio? Dubitate forse di me? Osser vatemi un poco e vedrete se non troverò qual che buon intrigo. Sappiate che mi muove a sdegno che vi abbiano bandito dalla vostra angelica sede, e senza causa alcuna. Del resto Quello lassù ce l’ha anche con me e dice che chi vuol esser perfetto deve prendermi a calci e disprezzarmi, rinnegarmi e morire, e altre fanfaluche che mi fanno andare in bestia. Ma io gli ho dimostrato che se Lui odia me, io odio di più Lui. Sapete bene che sono stato io a farlo morire in croce tra i peggiori supplizi. E’ vero che poco ho da rallegrarmene perché poi resuscitò a mio dispetto, col risultato oppo sto a quello che mi ero prefisso. Però, quanto più invecchio, più mi cresce l’invidia che m’ha già seccato il polmone, tanto che ben sei volte sono stato lì lì per impiccarmi. Ma sarà meglio invece che prenda moglie, per avere un po’ di aiuto e di compagnia. Per grazia tua mi fu data per donna costei (entra la Sensualità, in forma di bellissima femmina), che col suo po tere ha piegato gli stessi dèi e quasi tutti gli uomini mortali, facendo loro tale guerra che ben di rado c’è chi riesca a vincerla. (Volgen dosi alla Sensualità) Vieni qua, sfacciateli, tu sei la mia gloria. Dimmi, te la senti, con le tue trappole ingegnose, di render vani i disegni di queste mie nemiche capitali? Se ce la fai, ti eleggo principessa dell’universo, e ti do il mio anello e lo scettro. Se le rendi mie suddite, mi .» proclamerò in eterno tuo schiavo. Attirale con la tua esca, col tuo dolce amo, così daremmo sod disfazione a questo nostro nobile parente, che vuole ciò che gli spetta di diritto. LA SENSUALITÀ’ Messere, mi meraviglio di voi: dubitate ch’io riesca a legarle e a sottometterle, secondo il mio costume? Non ho forse vinto il mondo intero? Chi si potrà misurare con me? Mi son messe sotto i piedi tutte le donne che mai fu rono, eccetto una sola. Non c’è potere sotto la luna che possa paragonarsi al mio. Lascia fare a me: se non ti faccio onore puoi cavarmi gli occhi. Mi presenterò loro con le mie reti, le mie fole, le mie dolci trappole; se sono pazze- relle usciranno fuori al primo richiamo. E io ne farò ricche schidionate per riempire la trippa gloriosa di colui che non dorme mai, re Satana, il mio amatore! IL MONDO Vai, dunque, bella, ché se tu mi fai onore, io ti prometto e giuro per gli dèi che ti terrò per mia sovrana e consorte. Affondami la mano in tasca e cavane i tesori che vuoi: lo sai bene che tra noi tutto è in comune, da buoni amici. LA SENSUALITÀ’ State a osservare le mie malizie, ma non fatevi scorgere, se no sono capaci di fuggire e di percuotermi. IL DEMONIO Va’ gagliarda, senza esitare, ché se le vinci, figliuola mia, ti farò regina degli angeli, ap pena sarò tornato lassù. In quel giorno ti darò il gonfalone di tutta la milizia celeste. E a quelli tarperemo le ali in modo che mai più ardiscano farci guerra. Su, dunque, scatenati su quelle stolterelle che si stanno arrov'ellando in ginocchio. LA SENSUALITÀ’ Io vado, messere, e voi mi aiuterete coi vostri dardi avvelenati. E state pronti ad acchiapparle quando verranno fuori. Arrotate gli artigli, frat tanto, sì che possiate trapassarle e sbudellarle ben bene. In polvere le voglio ridurre. Voglio sacrificarle a santa Venere, preparate arrosto e in gelatina. Farò la dolce, in modo da trarle di senno. Ma non più discorsi, andiamo! (Si avvi cina alla casa delle vergini savie e le saluta con molta cortesia) Ben trovate, ben trovate! Che cosa fate costì, sorelle mie? E’ quasi giorno e non avete ancor mangiato nulla. Ricordatevi, sorelle care, che siete di carne, non di sasso; quando il corpo è affaticato, l’anima intirizzisce e non fa più nessun bene. Sapete chi è l’inven tore del digiuno? Il diavolaccio maledetto, che per nostro danno e disdoro ci priva dei beni che Dio ci ha dato. E inventa tanti stimoli a peccare da far venir le vertigini solo a parlarne : e io, povero Corpo, porto poi la pena di queste pazzie. Non tormentatevi tanto, fanciulle care: Dio vi vuole grasse e fresche, allegre e ridenti. Adesso che siete giovani, seguite san Gauden zio con letizia. Ditemi voi, a che serve codesta tetraggine, e i pianti e il mugolare? Solo a rendervi pallide. Date retta a me, che vi ren derò felici. Non dite tante chiacchiere a quel frate, ascoltate me che parlo volentieri e non penso che a mangiare, bere e divertirmi. Tutte le altre cose sono vane. Chi si prepara l’inferno in questo mondo l’avrà anche nell’altro. Perciò seguite la mia setta beata. Accogliete ogni dolce pensiero che accarezza il cuore, perché viene da Dio; cacciate via il dolore e venite a gu stare i miei cibi. Vi farò felici e onorate al co spetto di tutti. Perché tanto raccoglimento? Per ché tante storie? Venite un po’ a spasso, ch’io credo che siate ingannate dal Demonio. LA FEDE (.Rivolta alle compagne) Su, sorelle care, preghiamo con molta umiltà. Che nessuna ri sponda una parola a quella scellerata. Come osa rivolgerci la parola, sozza e presuntuosa creatura? Chiudiamo tutte gli orecchi ai suoi pericolosi discorsi. LA SPERANZA Benedette le tue parole, virtuosa sorella! Mi sento tutta riconfortare. Quella bestiaccia che medita a nostra rovina mi aveva fatto paura; ma ora ho riposto la mia speranza nel buon Gesù e nella sua santa Madre, né temo le orrende schiere di Satana. LA CARITÀ’ Non temete. Prendiamo con fervore la santa croce da cui pende il nostro Diletto, che ci chiama dicendo : « Venite, pecorelle, lietamente, in fretta e con fiducia al vostro pastore, che vi libererà dalle mani sanguinarie del pessimo demonio, scoprendovi tutte le sue insidie». LA PRUDENZA Sorelle, avete parlato bene e sono d’accordo con voi. Ma vorrei che seguiste un mio consi glio: facciamo sonare un po’ a morto questa manigolda. Non risponderle va bene, ma fa remmo assai male a non bastonarla come me rita. Se siete del mio avviso, datemi una mano. L’UMILTÀ’ Ma sì, mi par m ill’anni di dargliene un bel po’. Gesù mi ha scoperto i suoi inganni e ne sono tutta sconvolta. EU venuta qui per rovi narci. Mettiamole addosso un buon cilicio, staf filiamola e riduciamola come un porcospino, 26 noi tutte insieme. Non uccidiamola, però! (Le cinque vergini savie si gettano sulla Sensualità e la percuotono). LA SENSUALITÀ’ (Si dimena e grida) Ohimè, ohimè, che mi storpiano! Possiate crepare tutte! Fermatevi, malanno vi colga, infami bestiacce! Se non fuggo mi ammazzano. Marito mio, soccorri la tua cara consorte! Mi trovo nei guai! (Correndo verso la parte opposta della scena) Credevo di trovare cinque agnellini, e invece son peggio dei ladri di strada. IL MONDO (Accorrendo, la accoglie tra le braccia) Cara compagna, chi ti ha bastonato così? Ma guarda che modi! Ti han tutta lacera e pesta senza un po’ di compassione. Ma non dubitare, ci penserò io a guarirti, e quanto a quelle somare, dovessero scoppiar tutte, tu le vincerai e vivrai felice in eterno nel mio regno. (Alle cinque *’vergini) Femmine perverse, inique e ingrate, piene d’ogni crudeltà e durezza, si rende forse male per bene? Dovreste andarvi a nascon dere. Ma io sono generoso, e vi mostrerò come bisogna fare, rendendovi bene per male. Figlie mie, non vi sembra giusto ricambiare l’affetto che vi si porta? Ebbene, considerate: questo vecchio che vi parla non vi colma forse di ogni bene naturale? Non dovete essere ingrate, aprite anzi bene gli orecchi: in un’ora posso farvi felici, principesse, regine, non chiedendovi in cambio che il vostro cuore. E benché voi ab- biate quasi storpiata la mia sposa, essa è tanto buona che a un solo mio cenno vi perdonerà, dimostrandovisi più benigna che mai. L’UMILTÀ’ Sorelline care, aprite bene gli occhi a questo mostro orrendq, che dice di volerci rendere bene per male e si professa nostro padre. Gesù ci ha dimostrato che le sue blandizie sono pene mor tali; le sue parole non sono che una menzogna e ci aprirebbero la via alla dannazione eterna. Su tutte, dunque, addosso a quel poltrone! LA PRUDENZA Facciamo, sorelle, quanto peggio possiamo a quel tristo. Egli è il nemico capitale di Gesù, di cui noi siamo le spose. Seguiamo l’esempio dei santi martiri Lorenzo, Sisto, Decio, Vale riano, e prendiamolo a calci, trattiamolo ancor peggio di quella scellerata della sua donna, la Carne peccaminosa. LA CARITA’ Voi parlate, parlate e state lì ferme. Ma io pas serò all’azione contro quel bel messere, il prin cipe dei matti. Non gli date retta, lasciatelo dire, nessuna faccia tregua né patteggi con lui, che è il peggiore dei bugiardi e ogni contratto rovinoso è nato dal suo pessimo cuore. Su tutte addosso al figliuolo di Lucifero! {Le cinque vergini si avventano contro il Mondo e lo coprono di calci e di bastonate). IL MONDO {Grida, schermendosi) Misericordia, ahimè, mi uccidete! Oh mio povero fianco! Ma che fate, maledette? Oh, cara moglie, sire Sata nasso, proteggetemi da queste perverse! Mi hanno fiaccato le reni. Che venga la peste e vi porti oggi stesso. Porgimi aiuto, madonna Versiera! IL DEMONIO Indietro, in {Entra di corsa a difenderlo) dietro, brutte streghe, che cosa credete di fare? Volete ucciderlo, dunque? Lui voleva farvi sue spose e coprirvi di gloria. Ma voi, perfide e in grate, non avete voluto accettare tanto bene ficio e l’avete cacciato via a calci. {Riesce a liberarlo dalle loro mani; poi continua) Orsù, basta, non facciamo più guerra. Resti ognuno della propria opinione. Voi fate benissimo a voler servire il gran Re. Voglio cominciare a servirlo anch’io, e voi, per cortesia, mi segui rete, da quelle arche di scienza e di bontà che siete senza fallo. Vedete, io ero solo mosso da compassione di voi poverelle che, così giovani ancora, volete già volgere le spalle alla vita. Ma adesso vi chiedo perdono in ginocchio e d’ora in poi sarò vostro compagno a quel su premo banchetto al quale io solo so condurvi. Seguitemi, dunque, figliuole, lasciate andare il Mondo e la Carne, che una bestiaccia che non si satolla mai, e io ve lo so ben dire. Orsù, volete che andiamo? Si va tutti insieme a con fessarci. Oh, felice giornata! Potermi trovare tra queste santone! LA FEDE (Turbata, rivolta alle compagne) A ll’armi, all’armi! Su, presto, all’orazione. Qui non si combatte con la carne o col sangue, ma con un serpente velenoso che conosce infinite ma lizie. Armatevi, pronte e ardite, del segno trion fante della croce, e invocate il buon Gesù. Ab biate il santo Vangelo sempre impresso nel cuore e contemplate senza stancarvi le gerarchie degli angeli e la purezza immacolata di Maria. LA SPERANZA Voi dite il vero, madonna, questa è, di tutte, la battaglia più pericolosa. Ma resistiamo ga gliardamente. Non corazze, panciere o scudi sono le armi nostre, ma le sante virtù. Perciò andiamo addosso a questo traditore con animo intrepido. Padre d’ogni menzogna, sa bene come abbindolare; dannato agli eterni tormenti, pre sume ancora di esaltarsi. Gli altri due ribaldi sono ormai volti in fuga dalle nostre percosse; ma erano meno pericolosi di questo pessimo dragone. Perciò gettiamoci tutte nella preghiera, chiedendo aiuto all’Eterno, ché Lui solo può resistere a questo perfido mostro. L’UMILTÀ’ Siate benedetta, madonna, avete detto benis simo. Giù tutte, dunque, in ginocchio {ese guono), con lacrime devote e in umiltà, nel LA SENSUALITÀ’ Questo mio vecchierello non è abituato, come me, a buscarle. Fa’ cuore, su, e andiamo ad attaccare quelle madame. Vedrai che bel muc chio di concime ne farò io, se metto loro le mani addosso. Busserò io alla porta, ma poi entriamo tutti e tre, perché se vedessero me sola mi farebbero una cattiva accoglienza; ma per il rispetto che porteranno a voi, sarò ben vista anch’io. Le rosoleremo ben bene, per poco che ci porgano orecchio. Rallegrati, vec chio, mio, ché avrai da sgranocchiare per tutto l’anno. Belle pazze, sono, se ci aprono! (Vanno tutti e tre alla casa delle vergini sciocche. La Sensualità bussa e dice) Buondì, madonne, come state? Dareste albergo, per cortesia, a questo gran signore, al suo compagno e a me, vostra parente? Vi prometto di farvi felici se mi ascol tate un momentino. Voi mi siete figliuole e io non posso che volervi bene. Sento dire che aspettate l’arrivo di qualcuno e che intendete seguirlo non so dove. Be’, sareste davvero matte a lasciare il presente per il futuro. GALANTINA Madonna, parlate bene e mi pare che diciate la verità. E’ una disperazione, aspettare questo Sposo che non viene mai! Sono tre notti che non vado a letto per attenderlo, ma lui non dà segno di vita, e io ne sono proprio stufa. Sono una bestia, forse, o un uccello notturno? LA SENSUALITÀ’ Ora sì che ragioni come si deve! Chiamami giù le tue sorelle, così graziose, così eleganti, santo segno della croce. Il buon Gesù combat terà per noi. Nessuna gli parli, ché non cerca di meglio che la discussione per poterci pren dere con le sue astuzie e le sue frodi. Glorifi chiamo Iddio con salmi ed inni, rendendogli grazie come si conviene, e vedrete che il vile fuggirà come sotto una pioggia di dardi. (Si segnano con il verso: « Exsurgat Dominus»). IL DEMONIO l’acqua benedetta, cantando (Grida e fugge per la scena, esclamando) Ohi ohi! Ohimè, sono distrutto! Oh sciagurato, per ché son venuto qui? Ch’io sia maledetto, non potevo restare nella mia buca? Ohimè, il fu rore mi rode, ricordando qual era la mia di gnità, se penso che ora mi son ridotto così vii cosa da temere un po’ d’acqua. Ogni tignoso, ogni donnacola mi prendono a calci, con strazio e beffe. Inghiottirai, inferno, ché fuori di te non trovo pace! Potessi almeno trascinarmi appresso quelle cinque arpie furiose, che tante staffilate han dato a mio fratello e a sua mo glie, tanto che quei poveretti, per il gran do lore, non han potuto darmi man forte e nem meno consolarmi, come feci io con loro. Orsù, andiamo a ristorare i nostri danni e lasciamo stare questa gentuccia che non vale una paglia. Non mi degno di tentarle più oltre. Se ne stiano per conto loro e se ne vadano tutte in un letamaio. Ed ora andiamo via con le nostre gambe, ché non si vantino di averci cacciati. (Rivolto al Mondo e alla Sensualità, appiattati in un canto e molto male in arnese). Com pagni, siete guariti? Andiamo un po’ da quelle altre comari, che saranno certo più generose e ci tratteranno da uomini dabbene. IL MONDO (Tutto rattrappito e sciancato) Messer Cal- furno, ho la schiena tutta rotta. Pure, mi sfor zerò di trascinarmi, ché mi sembra mill’anni di uscir dalle mani di quelle rabbiose. Ce ne hanno sonate tante, che tra mia moglie e me siamo mezzi morti e non riusciamo a riaverci dallo sbalordimento. ché voglio dar loro un ottimo consiglio. E’ da un pezzo che cerchiamo un albergo dove allo garci, pagando onestamente. Ora tu mi sembri così gentile e costumata, che voglio stare a casa tua. Se tu sapessi che cosa possa darti, divente resti pazza di gioia. Ma orsù, chiama tutte le tue compagne! GALANTINA (.Rivolta alle vergini sciocche) Venite fuori, care amiche, e ricevete questi tre signori che sono certo i messi del nostro Sposo, che ci fa invitare. LEGGIADRINA Perché tante parole? Siate i benvenuti, tutti e tre. Niente ritrosie, ma prepariamo loro un solenne banchetto. Non ne potevo più, di quest’attesa interminabile. Ora non avrò più fretta, visto che lo Sposo si ricorda di noi. En trate, entrate! Nessuna esitazione. Volete forse il « sì » di tutte quante? Avanzate, sorelle, e ricevete questa cara ambasceria. DIALTA Di chiunque si tratti, sono felicissima, se penso che lo manda il nostro Sposo. Com’è buono a ricordarsi di noi! Siamo dunque benigne e amorevoli a nostra volta verso coloro ch’egli ci manda. Ricreiamoli, stasera, alla nostra mensa. Tirerò fuori le tovaglie di lino finissimo e ser virò tutti con molta letizia, in particolare quella donna, che mi sembra così degna. E’ così ama bile e piacevole che ne sono fortemente inva ghita, e farei qualunque cosa per accontentarla, pur non sapendo nemmeno chi è. CESARINA Non dubitate, sorelle, sono persone costuma tissime, inviateci da Dio, come mi dice il cuore. Ma se Pitònica non fosse d’accordo con noi? Chiamatela, su, ché poi non ci facciano rimprovero per non esser state tutte d’accordo. (.Avanza Pitònica) Che ne dite, Pitònica? Che ve ne pare? Vogliamo dar ricetto a queste sante persone che con tanta umiltà si sono offerte di venire sotto il nostro tetto? Io per me sono disposta; non so voi. PITÒNICA Siate i benvenuti, vi accetto anch’io. Ma vorrei prima sapere i vostri nomi, ad ogni buon conto. Non ve ne dispiaccia, ma qualcosa mi dice che questa donna, che ha un così bell’aspetto, non dev’essere accolta. Non voglio fare molte indagini, ma preferisco che ceni fuori dell’uscio. IL DEMONIO Se non la volete, fate pure, ché c’è gente abba stanza che la desidera. Per ora basta che rice viate noi: quindi, divenuti amici, vi riveleremo il suo nome. Il nostro, invece, ve lo diciamo subito, ché l’affetto che provo per voi m’impe disce di negarvi checchessia. Io sono chiamato Abisso e il mio compare, Gismondo. PITONICA Ebbene, vi accetto di buon grado. Venite a riposarvi, e quella donna che sembra un po leggera si cercherà un altro albergo. Ma non si preoccupi per il mangiare: ci penserò io. Non ci pare adatta alla nostra compagnia, e perciò vada via lei e voi restate, accomodatevi pure in casa nostra. GALANTINA (.Indispettita) Brava, madonna saccente, l’hai licenziata con molta grazia! E se io invece la volessi? Che modo di cacciare le persone! E quella, poveretta, con che pazienza è stata a sentirla, senza adirarsi, senza rispondere. Dev’es sere una santa. Villanaccia d’una Pitònica, hai paura che si dimostri più valente di te? LEGGIADRINA Siamo già in troppe, lasciala andare. Che ce ne importa? Prima che bussassero li ho sentiti bisbigliare in un modo... Sono un poco inquieta. Pitònica avrà le sue buone ragioni se con pa role così dure l’ha licenziata senza esitazioni. Guardatela, non si muove di là. Ci dev’esser sotto qualche cosa di strano. Lasciamola an dare, ché forse è qualche donnaccia. DIALTA Frottole! A me piace moltissimo e mi rincresce che la si metta alla porta. Pitònica crede sem pre di vedere al di là dei monti e si presume la più degna e la più sapiente di tutte. Ha tanta fiducia nelle sue fisime che darebbe la spinta ai terremoti. Comunque, gli altri due li ha fatti entrare in casa lei stessa. PITÒNICA Sorelle mie, voi mormorate a torto. L’ho fatto per il nostro bene. Date retta, lasciatela an dare, quella donna, non ve la mettete in casa. E’ una manigolda, vi dico, si vede subito. Pazzo chi le dà ricetto. Ma chi le vuol parlare vada a incontrarla nell’orto. Ha le mani piene di gioie. Io non vorrei già lei, ma le cose sue, che mi sembrano belle e di molto pregio. CESARINA Orsù, lasciamola andare e intratteniamoci con questi venerandi padri. Parliamo un poco di Gesù, presso il quale sono molto potenti. Dianzi, quando li vidi, mi parvero così degni di ammi razione! Credo che siano dei santi del Para diso e che Dio ce li mandi per preparare le nostre anime. Andiamo, dunque, da loro. IL MONDO 0Chiama in disparte la Sensualità e le dice) Compagna cara, non perderti d’animo. Con tinua a fare la paziente, la mansueta, e ronza qui intorno furtivamente: vedrai che non sarai venuta invano. Se non avessero voluto acco glierti, avrebbero cacciato anche noi come cani. Ma hanno il cuore pieno di futili pensieri, e ti assicuro che ci penseremo noi a tarparli. Ci han fatto certi sorrisini, certe accoglienze da civette! Il Demonio le ha già tutte in pugno e di loro non perderà nemmeno un capello. LA SENSUALITÀ’ Messere, farò come tu dici: me ne starò appiat tata dentro un fosso e appena mi chiamerai accorrerò subito. Il nodo che ci stringe è così stretto, che chiunque non ci cacci tutti e tre va a finire in malora, e non gli vale poi lamen tarsi. Perciò fatti preparare un buon letto e non darti pensiero dei fatti miei. {Esce di scena). IL MONDO {Alle vergini fatue) Care figliuole, così no bili e dabbene, che avete dato asilo a questo storpio vecchierello, Dio vi benedica le mille volte. Vezzeggiatemi, figliuole dilette, ché vi posso far ricche e gloriose, piene d’ogni bene, perché i miei tesori sono immensi. Io sono, infatti, un mercante ricchissimo. Da ponente a levante, da settentrione a mezzogiorno si estendono le mie ricchezze, i miei domini : oro, argento, pietre preziose, case e vesti raffinate, e insomma tutto ciò che l’uomo può ambire. La terra e il cielo, il mare, il monte e la pia nura sono tutti in nostro potere, e chi ci terrà con sé sarà felice e non vedrà mai miseria. Pertanto, figlie mie, state allegre, e fate onore a me e al mio amico, che vi abbiamo portato grandissime ricchezze nei nostri sacchetti. Cia scuno mangi di gusto, poi si faccia musica fino a notte. Quindi, incoronerò quella che si sarà comportata meglio. Chi trova piacere a tormen tarsi mi sembra che abbia della bestia; chi fa male a se stesso, Dio gliene renda a cento doppi! LEGGIADRINA {Alle compagne) Diamoci buon tempo, e chi ne ha invidia crepi! Facciamo vezzi a questi due santi che sembrano proprio angio letti. Ci faranno prima ricche e poi, in eterno, beate! Che fortuna abbiamo avuto! Se lo sa pessero, quelle falsone, che li teniamo a casa nostra, vorrebbero venir qui anche loro. IL DEMONIO No, no, se ne stiano a casa loro, quelle, non qui! Venite, entriamo: voglio mostrarvi un gran tesoro che vi regalerò. {Entrano tutti in casa delle vergini folli, dove si trastullano e poi s’addormentano. Dopo un attimo, s’ode in cielo un suono di tromba e di cembalo, e un coro canta dolcemente: « Prudentes virgines, aptate ». Quasi subito escono dalla loro casa, con grande fervore e le lampade accese, le cin que vergini savie'). LA PRUDENZA Su, su, sorelle, avete udito, lo Sposo è già vi cino. L’ha generato dal suo petto il divin Padre. O dolce clamore! Sposino mio caro! Andiamo, andiamo al banchetto celeste del candido Agnel lo, e tenete accese le lampade, ch’è ormai la mezzanotte. (S’inginocchiano, cantando « Desi dero te milies ». Frattanto si son levate an che le vergini sciocche, mentre il Demonio va a nascondersi e il Mondo fugge via). LEGGIADRINA (Dopo aver guardato nella propria lampada con spavento) Ohimè, sorelle, siamo in pe ricolo! Me sciagurata! Lo Sposo ci sta chia mando, sentite il clamore, e noi abbiamo le nostre lampade dorate, ma dentro non c’è nulla. Oh, povere noi, che sventate, che stolte e negligenti! Ma chi pensava che venisse di notte? Ahimè, come ci siamo regolate male! DIALTA (Piangendo) Io ci perdo la testa, non so che cosa fare. Per un po’ d’olio darei il mondo intero, ma dove trovarne? O pazza da catena, o cervello d’oca, a che cosa pensavi? Se vado a comprarne, lo Sposo non mi aspetterà, per ché deve arrivare subito, e c’è caso ch’io resti chiusa fuori. CESARINA Sorelle mie, sono alla disperazione! Consiglia temi, vi prego, datemi qualche aiuto! Se lo Sposo mi scaccia io m’impiccherò. A chi mi procurerà un poco d’olio farò da serva, restando in eterno ai suoi comandi. Se non ne trovo, sarò bandita dal cielo! PITÒNICA Credevo di avere olio a barili e ora mi accorgo che m’ingannavo. Tutta la mia gran santità è ormai un sogno e non mi servono le mie peni tenze, anzi ne provo rossore. Oh me misera, infelice! Mi ero messa accanto un fiasco pieno d’olio, e mi credevo al sicuro: ed ecco che s’è convertito tutto in broda! GALANTINA (A Pitònica) Lo vedi, dunque, ne siamo tutte prive : il nostro caso è disperato. Ma vedo qui accanto le nostre amiche col volto tutto luminoso. Andiamo a raccontar loro la nostra disgrazia, e forse saranno così generose da darci un poco del loro olio. Su, presto, compagne! DIALTA (Seguita dalle quattro vergini fatue, dice alle savie) Venerande spose del Signore, le vostre sorelle addolorate si raccomandano alla vostra bontà perché cortesemente le soccorriate d’un poco del vostro olio, per amor di Gesù che vi chiama al cielo, giacché le nostre lampade, ahimè, sono spente, come vedete. PRUDENZA Ben volentieri, sorelle, ve ne daremmo, se fosse possibile. Ma saremmo stolte e imprevidenti a farlo, quando a noi non ne resterebbe poi più. La notte è scura e le strade sono deserte: pure vi consigliamo di correre a comprarne in qualche bottega. DIALTA (Adirandosi) Lo sapevamo, facce di streghe! CESARINA Non le posso soffrire, queste pinzochere! An date a fidarvi dei loro visi smorti, delle loro belle prediche. Guardàte quanta carità ci dimo strano, vedendoci affogare. Su, sorelle, faccia moci animo e andiamo ad acquistar l’olio. Basta che il cielo mi dia un’ora di tempo, e non so che farmene del loro aiuto. (Via, con le altre vergini folli). LA FEDE Su, sorelle, in preghiera, ché mi par di volare. Innalziamo il gonfalone della croce e into niamo un inno. Dalla gran gioia mi sembra di mandar luce! Che conforto, che diletto pro veremo! Ecco lo Sposo: su, andiamogli incon tro. Che splendore, guardate! E udite, che dolci canti! LA SPERANZA Ho veduto il Re supremo assiso in trono, e ac canto a Lui il suo dolce Figlio, nostro Sposo regale; e dall’uno e dall’altro procede lo splen dore unico del santo Spirito, sì che mi levo quasi a volo sostenuta da due ali: la destra, il mio intelletto; la sinistra, il mio amore. LA CARITÀ’ E inoltre io vedo una regina più fulgente del sole, bianca come una colomba, alla destra del suo Figliuolo, che le dice, con garbate parole: « Vedi, Maria, le tue figlie. Va’ loro incontro e sappimi dire se sono degne di venire alle nozze ». LA PRUDENZA O sorelle care, vedo una cosa anch’io che mi fa quasi uscire di me: la gloriosa milizia ange lica distinta in nove cori, che canta un inno giubilante al Signore del cielo. Vedo una luce bellissima e radiosa, che piove gigli e fiori. Sono più. di mille milioni, e tutti cantano, bal lano, suonano! L’UMILTÀ’ E io vedo ancora la moltitudine delle anime beate, con serti di gloria come gli angeli. O bella luce, o splendore infinito a cui siamo chiamate! Quivi è il sommo di ogni piacere. Felici noi, sorelle! Ahi, sorelle, io vedo... Ahimè, ahimè, io vedo, io vedo, io vedo gli arcani di Dio! LA FEDE Ecco il frutto della religione, della santa obbe dienza. Ecco a che cosa portano l’umiltà, la pace, la preghiera, le veglie, i digiuni, la pa zienza, la fortezza contro le tentazioni, l’aste nersi da ogni vano diletto, la sottomissione ai superiori. E’ a tutto questo che dovremo la gloria celeste. LA SPERANZA O benigno Pastore, ascolta le pecorelle che vanno in cerca di te! O divina bontà, Spirito Santo, noi veniamo cantando per amor tuo. Mostraci Colui che tanto amiamo, che tanto ci struggiamo di vedere! O gemma preziosa, Vergine Maria, ti preghiamo, apri alle tue ancelle. LA CARITÀ’ O benigna milizia celeste, prega Iddio per noi. Ci mostri la sua faccia gloriosa, ché il suo solo nome ci ha rubato il cuore. Poiché s’è degnato di farmi sposa sua, non riguardando alle mie colpe, sciolga ora, per carità, il nodo che mi lega alla carne, e l’anima mia tornerà a Chi l’ha creata. LA PRUDENZA O mio duro cuore, che fai? Come non ti sciogli in dolcezza? Sento l’anima che mi fugge, bra mosa di tendere alla sommità divina, dove gli angeli ammirano senza fine la sua bellezza sublime. O anime beate del paradiso, vi racco mandiamo le vostre serve! L’UMILTÀ’ Per la gloriosa incarnazione che fece scendere il sommo Iddio dal cielo in terra; per la sua veneranda passione che ci ha liberati dall’an tica schiavitù; per la sua trionfale resurrezione che ci apre la porta del cielo: apriteci le porte della giustizia, ché la gran gioia ci fa morire! {Si mettono in ginocchio dinanzi alla porta, mentre in cielo si canta: « Gaudete et exultate » ). L’ANGELO le dice) Cara e {Appare circonfuso di luce, si avvicina alla prima vergine savia e, prendendola per mano e facendola alzare, felice amica, vieni dentro, lo Sposo ti vuole incoro nare. {Id. alla seconda) E anche tu, colomba dalle penne d’argento, entra con noi a godere del trionfo. {Id. alla terza) Vieni, angioletta, a gustare la felicità che il Signore dona a chi volle amarlo. {Id. alla quarta e alla quinta) Venite al caro Sposo, anime buone, benedette da lui e dal Padre suo. (Entrano tutti in casa e viene chiusa la porta. Di dentro s’ode can tare: « Laudate Dominum, omnes gentes ». Finito l’inno, rientrano le vergini sciocche con l’olio acquistato e si guardano attorno). GALANTINA Dove sono quelle smorfiose, quelle gattemorte? Volete vedere che hanno preso la fuga per paura di doverci dare dell’olio ? O pazze scimu nite! Cerchiamole, compagne, in fretta. Santo cielo, che siano andate via? Sarebbe bella che ci avessero tradite! Oh, che malignità da parte loro! Se sono andate via, siamo rovinate. LEGGIADRINA E dove volete che siano? Mettiamoci a sedere e chiediamone al primo che, passa, ché non ci vorrà molto a saperlo. Cera proprio da fidarsi di queste acque chete, c’era proprio da star tranquille... Ma qui non si sente volare una mosca, è un bel divertimento! Orsù, mettia moci comode, tra poco le vedremo tornare a chiederci un po’ d’olio. DIALTA (Sdegnosa) Prima di dargliene lo butterei in una pozzanghera... Ma quelle furbone sa ranno andate a chiederne al padre confessore. E’ da gran tempo che conosco le loro meschi nerie. Se lo Sposo arrivasse ora accompagnato dagli angeli, noi andremmo con lui a giubi lare e lasceremmo quelle streghe a disperarsi qua fuori. CESARINA Sì, vantiamoci! Io temo piuttosto che la sia toccata a noi altre. Ora che sono scappati i buoi chiudiamo pure la stalla. Ma non vedete che non passa anima viva? Oh, ci siamo com portate da pazze! Ma del senno di poi son piene le fosse, e poco ci vale, ora, riempire le lucerne. LEGGIADRINA Dice il vero. Bastava che andasse una di noi, mentre le altre restavano qui. Invece, sciocche e matte, siamo corse via tutte insieme difilato. Era meglio andare a lume di luna. Ma quelle maledette ci dissero che nessuna poteva entrare in cielo senza la lampada piena d’olio. Ah, se le ritrovo, vi farò vedere di che son capace, io. PITÒNICA Ah, siete ben sciocche e vi trovate in grande errore se credete che possa restar fuori della porta la beata Pitònica, che ha sacrificato la sua vita per Cristo, fuggendo le vanità del mondo. State di buon animo! E tenetevi pronte, ché a tutte quante, per amor mio, verrà spa lancata la porta del cielo per mano degli an geli, con grandissima festa e molto amore. LA PRESUNZIONE (Una vecchia; entra in scena e si accosta alle vergini fatue) Che cosa fate qui, fanciulle? Pensate all’onor vostro : sono già le tre di notte e non è bene che restiate qui sole. Vorrei dirvi qualcosa se sapessi che mi date ascolto, tanto mi fa pena vedervi così meste in viso. Mi pa rete, di modi e di costumi, molto gentili e gar bate, ma la solitudine è una brutta compagnia per ragazze come voi. Perciò, care e belle fi gliuole, se volete, questa povera vecchia vi starà accanto e vi servirà fedelmente in tutto ciò che vi occorre. Io, volgo le mie vele a ogni vento, e sono sempre la prima in qualunque impresa, e valgo tanto che ogni giorno ne atterro più di mille. Benché vecchia, sono più dura del l’acciaio e più puntuta del diamante. Rigida, ferma e incrollabile, sono; ditemi dunque che cosa vi contrista. GALANTINA Madonna, come potete vedere, siamo afflitte per un caso che ora vi narrerò. Noi eravamo dieci, e tutte invitate alle nozze dello Sposo imperiale, e il bando fu proclamato stanotte. Ci ricordammo allora che non avevamo più olio e ne chiedemmo cortesemente alle nostre sorelle. Ma loro, villane e cattive, non ce ne vollero dare, dicendoci di averne solo per loro e ci consigliarono di andarlo a comprare. Sicché ci avviammo in gran fretta e tutte insieme, sbagliando. Ora che siamo di ritorno con l’olio, vediamo che non ci sono più, per cui temiamo che siano andate via senza nemmeno un saluto. LA PRESUNZIONE Ma non lo sapete, dunque, figlie mie, che son quattr’ore che se ne sono andate, e con tanto splendore che ne risonarono il» cielo e la terra? Volli entrare anch’io; ma quelle, zelanti, mi chiusero fuori come una cagna, tanto che per la rabbia fui lì lì per buttarmi dal tetto. Ma entrerò, loro malgrado, e le caccerò via tutte! Venite, andiamo, ché non vedo l’ora di farci aprire. PITÒNICA Dicevo loro che lo Sposo non potrà dirmi di no, perché deve darmi la ricompensa della mia santa vita e delle mie buone opere. E allora non mi degnerò di avere nemmeno per serve quelle cinque villanacce bifolche, perché è colpa loro se ci troviamo in quest’impiccio. Su, adesso, animo, compagne! Seguiamo la nostra cara vecchia, che giustamente si richiama alle pro messe divine e pretende quel che ci viene di diritto. DIALTA Che ne dite, madonna Presunzione? Vi dà l’ani mo di farci entrare là dentro? Non vorrei che ci cacciassero via, coprendoci di rossore. Sa remmo matte e imprudenti ad avventurarci in un’impresa così incerta. Ma voi che avete espe rienza sapete bene se ci può riuscire. Preferirei la morte che farmi canzonare, mangerei prima l’erba dei prati, che subire un simile affronto. LA PRESUNZIONE Fanciulle mie, costei sogna. Andiamo in fretta, senz’altri indugi, se no avremo tutti a pen tircene. CESARINA Anch’io sento in cuore un gran peso e temo che il nostro tentativo sarà vano. Pure, vengo con voi. Per male che vada, che cosa ci può accadere? Alla peggio, andremo a gettarci in un pozzo! Che mi possano tagliare la testa se io non le sfregio, quelle appestate, appena le trovo! Che possano sentire quello che sento io! Ah, ma ho fiducia in voi, madonna Presunzio ne, che oggi ci sarete sostegno e guida. Orsù, accostiamoci alla porta. LEGGIADRINA Potete voi dubitare che tutti i santi non ci ven gano incontro con giubilo, recandosi a gloria d’aver tra loro cinque damigelle di tanta bel lezza? Siamo più splendenti delle stelle, e non dico già di me, ma tutte insieme, con le corone in capo somiglieremo ad altrettante dee, gentili e costumate. Dialta, così signorile d’aspetto, e Galantina che sembra un pavone, ma più che tutte Pitònica, che certo è santa. E non dico niente di Cesarina, che è il fiore di tutte le belle. Perciò, care amiche, andiamo senza pau ra. Vedete la porta? E poi madonna ci guida. (Si avvicinano alla porta, guidate dalla Pre sunzione, mentre all’interno si sente cantare: « Sanctus, sanctus, sanctus »). LA PRESUNZIONE (Bussa forte, declamando) « Tollite portas prin- cipes vestras et elevamini portae eternales: et introibunt sponsae regis gloriae». (Continua a bussare, ripetendo la frase. Finalmente la porta si apre e compare un angelo, bello e insieme terribile di aspetto). L’ANGELO (Con sdegno) Vecchia mal vissuta, che fai? Come osi accostarti a queste soglie, come non ti vergogni di farti vedere qui intorno? Lo sai bene che i tuoi disegni sono vani e che tu non conti al nostro cospetto. Vattene, dunque, se non vuoi essere trattata come meriti. Tu sei figlia degli eterni tormenti, a causa delle anime che si sono dannate per colpa tua. E codeste sventurate, per loro disgrazia, ti hanno per amica. Tu sei la nemica capitale di Cristo e i suoi santi ti dànno la caccia. Ma tu, da quella sfacciata che sei, continui a farti avanti, senza vergogna. Vattene, dunque, come ti ho ordi nato, e corri a nasconderti in un fosso, in una buca, finché si saranno umiliate la ma carne, le tue ossa, la ma dura cervice. E citi anche la Sacra Scrittura! Chi credevi di essere, Dio stes so, che con tanto fracasso volevi sradicar la porta dai cardini? Per vie torte e tenebrose hai condotto queste povere giovani malnate, e ora il Signore le ripudia. Andatevene, perché so con certezza che non ce più rimedio né per te né per loro. (Chiude la porta, mentre le donne, rimaste fuori, scoppiano in pianto e si battono il petto). PITÒNICA (Tra i singhiozzi) Signore, ohimè ohimè, Si gnore, ohimè! Apri alle spose che tu stesso hai invitate, chiamandole tanto, che per amor tuo lasciarono il mondo. Non ricordi, Signore eccelso, che siamo andate a comperare l’olio, dacché le nostre compagne ce lo negarono? Ora ciascuna di noi, infelice, sta piangendo. Deh, non abbandonarci, siamo tue creature, vergini e caste, belle di volto e di nobile stirpe. E io che mi son straziate le carni con cilici, veglie e digiuni, e che credevo, con tal peni tenza, di aver la chiave del cielo! Aprici, dun que, non esserci avverso! LA VOCE DEL SIGNORE (Di dietro la porta chiusa) Chi sono costoro che bussano alla porta, dismrbando, senza ra gione e senza rispetto, imperiale convito? il nostro GALANTINA (Piangendo) O Signore, non hai dunque udito il mio pianto? Io sono Galantina, sai, Signore, che per amor mo volli conservare vergine il mio corpo. E’ ben vero che non domai la mia superbia e le altre mie passioni, presumendo di salvarmi con la sola castità. Ora mi accorgo che questo non basta. Tuttavia tu ci puoi aprire. Deh, non negarcelo, se no cadremo nella di sperazione. DIALTA Stai zitta, lascia parlare un po’ a me. Si gnore, io sono Dialta, la figlia del senatore, ma ora misera e infelice, poiché a torto mi si esclude dal festino. Non mi riconosci, Signore? Sono colei che ti stava a lodare tutto il giorno con canti e suoni, che pareva il Paradiso in terra. Aprimi, dunque, non tenermi più in pena, o mi farai ingiustizia. Ora che il mio corpo è morto, torni l’anima mia a te che la chiamasti. LEGGIADRINA (Affannata) Lascia dire a me, chètati un poco! Apri, Signore, alla tua Leggiadria, che saltava come una capretta per piacerti. Se sono vergine e casta, è dovere ch’io sia messa tra i gigli e i fiori delle tua care spose. Non mi far torto, o Dio, non scacciarmi. Se sono stata un po’ indocile, ti basti che fui molto fervente e che sempre mantenni pudico il mio corpo. CESARINA (Sgarbata) Le tue parole non valgono un ac cidente. Lascia parlare me, che son ben decisa a farmi aprire in qualunque modo, come mi esorta a fare madonna Presunzione. (Dopo aver biissato forte) O tu che tieni le chiavi, di’ al Signore che siamo le sue spose, amabili e one ste, e che siamo venute qui perché ci ha invi tate lui stesso. Se non eravamo pronte prima, ora però lo siamo. Deh, facci aprire, ché si possa venir a cogliere il frutto delle nostre sante azioni. Siamo state fervorose e costanti, lodando il Signore giorno e notte, se non pro prio col cuore, di certo con la bocca. LA VOCE DEL SIGNORE (Dall’interno) Andatevene, gente iniqua e prava, io non vi conosco, e voi ci molestate. Andate nelle tenebre eterne: voi non siete le mie pecorelle, umili e povere, ma vi siete sol tanto ornate di frasche. Non vi dissi forse di star pronte, quand’io venissi in punto di morte, con le vostre lampade accese, cioè col cuore pieno di carità? Credevate di campare mill’an- ni, « domani faremo, domani diremo » ; ma il tempo è finito, e una volta passato non torna più. Andate via dunque, col vostro tormento, e sia d’esempio a coloro che verranno e po tranno specchiarsi in voi, evitando di riman dare le cose, di dire « domani farò ». Nessuno sa infatti il giorno e l’ora del mio arrivo, così le anime stanno sempre pronte, umili e dili genti. E’ solo di queste ch’io mi compiaccio, è solo delle prudenti ch’io sono lo Sposo. LE VERGINI FOLLI (Escono lentamente eli scena, piangendo e col capo velato, cantando). Pietà vi prenda di noi tapinelle, voi che già foste a noi madri e sorelle. Considerate che aspra vendetta ha di noi fatta il giusto Redentore. Pianga la terra e il ciel, piangano i sassi, pianga sopra di noi tutta la gente. Oh, se il tempo perduto ritornasse, con quanto studio, sapientemente, ci accosteremmo a Cristo onnipotente. Ma tempo non han più le miserelle. Ogni rimedio, ogni speranza è persa, in Dio per noi non c’è più redenzione. Il cuor dagli occhi rivi d’acqua versa, pietà vi prenda di queste meschinelle... L’ANGELO (.Avanza al centro della scena) Spettatori aprite l’intelletto e meditate la parabola evan gelica. E non solo la storia in se stessa, ma il suo mirabile significato che vi farà conseguire 36 l’eterna salvezza. Se avete fatto caso alle ver gini prudenti come alle stolte, avete capito che in esse si rappresenta tutto il popolo cristiano. Le prime cinque, raccolte in prudenza, seguen do l’istinto naturale, con la grazia di Dio che attira al cielo, proponendosi il loro fine su premo, si valgono con grande solerzia dei mezzi adatti, come l’aquila delle proprie ali. La lucerna ardente del loro cuore è piena del l’olio dell’amor divino, e il suo lucignolo è il puro intelletto. Ben felice sarà quel cristiano che, in punto di morte, si troverà in grazia di Dio. Fratelli cari, il tempo vola in fretta : aprite gli occhi e non cedete al sonno, ché non tro viate chiuse le porte del cielo, così come fu rono scacciate con ignominia quelle cinque in felici che indugiarono fino alla morte il compi mento delle buone opere. Ahimè, a quanti non accade lo stesso! Perdono il tempo, non fa cendone il conto che merita, e poi sono preci pitati nelle pene eterne. Pensate spesso a quel terribile istante, fatevi amico l’eterno Padre, servendo il suo dolce Figliuolo Gesù. Pregate con calde lacrime il divino Amore e la Vergine Madre, e ornate l’anima vostra di splendide virtù. State vigilanti e in santo timore per tutta la notte della vita mortale, non come quelle fatue dissennate. Il loro esempio invita ciascuno a fare il bene subito, non a riman darlo a più tardi: questo sia il vostro fermo proposito. Ed anche noi angeli vi aiuteremo con le nostre preghiere, perché siete affidati alla nostra custodia. Vi staremo accanto nelle tribolazioni e vi difenderemo dal demonio, scoprendovi le sue tentazioni e le sue trappole. Dinanzi al sommo Re dell’universo saremo in eterno i vostri avvocati, preservandovi da ogni avversità. Poi, quando le anime vostre saranno assunte al cielo dal Signore della gloria, ver rete collocati tra le nostre gerarchie. Cercate di ricordare sempre ciò che avete visto. Restate in pace, fratelli cari. Ih FINE Nelle fotografie sopra, da sinistra a destra: France sco II e Maria Stuarda (miniatu ra dal Libro d5oro di Caterina deJ Medici) - Maria Stuarda in abito vedovile per la morte di France sco II - Maria Stuarda a 23 anni - Maria Stuarda nel ritratto di ignoto esistente negli Uffizi di Fi renze - Ultimo ri tratto (pittore ignoto) di Maria Stuarda. e t & W M W W B 5 IL mm ,-rr^nuW PT 88 HI B B B Br fi ^ ^ u a n d o il teatro italiano com m em orò, nel l ’estate del ’ 57, auspici il Comune e la Biennale di Venezia, il duecentocin- quantesim o anniversario della nascita di G oldoni, la partecipazione straniera più calda e più com pren siva alle onoranze ci venne dalla Germania, dove fu rono poste in scena, con cura particolarissim a, alcu ne commedie del nostro massimo autore. La bella interpretazione della Vedo va scaltra data dal Teatro di Stoccarda rimase come una testimonianza di vera intelligenza registica e di stilistico virtuosism o com i co. N o n si può certo affer mare che il teatro italiano abbia rica m b ia to quelle attenzioni con corrispon d e n ti m anifestazioni, in occasione dell’anno schil- leriano che sta per tram on tare. Schiller nacque nel novem bre 1759 e la data esatta del secondo cente nario di tale evento batte ◄ Nelle piccole foto, da sinistra a destra: Schiller in un busto di Danneker; Schiller applaudito dopo una rappre sentazione al Teatro di Lipsia (disegno delFepoca); Schiller in un disegno di G. Schilick. alle porte p ro p rio m entre esce questo fascicolo d i « Il D ram m a». La ric o r renza ha avuto fu o ri d’Italia, e avrà ancora, echi notevoli, per m olteplici ragioni. Pochi poeti si prestano, come Schiller, a sostanziose diversioni in campi v a ri; il valore etico sociale della sua produzione, rispetto al tem po in cui visse, la potenza lirica prim a ancora che scenica delle sue opere, la ripercussione di queste nella vita e nella letteratura d i ogni paese, ciò che v i ferm enta ancora d i m oderno, in senso nostro, specialmente per la ine sausta aspirazione al dono supremo della libertà individuale, nel p iù asso lu to rispetto d i essa, compensano d i gran lunga ogni riserva per il preteso scadimento del dram m aturgo, preso come tale, agli effetti del nostro gusto. Salvo poche eccezioni, la tragedia e il dramma passano m o lto p iù in fretta della com m edia; i lo ro grandi entrano bensì con tu tti g li o n o ri dell’ im m ortalità n e ll’O lim p o dei classici, ma rim angono taciturni, se non dim enticati; mentre i grandi della commedia (ed è il caso, appunto d i G oldo ni) dall’ O lim p o dei grandi tornano assai più regolarm ente e frequentem ente alla ribalta. In Ita lia l ’anno schilleriano, non so se per caso o deliberatamente, s’è aperto, e chiuso, ultim am ente, con la rappresentazione alla T V dei Masnadieri, tito lo notoriam ente e rom anticam ente verdiano, trad otto da Les brigands fran cese, che sta per l ’originale D ie Ràuber senza renderlo esattamente: una scelta, com unque, che parrebbe suggerita, p iù ancora che da un preciso crite rio critico, dagli avvenim enti della nostra cronaca quotidiana. I ma snadieri (diciam o pure così) espressero, allorché apparvero, lo sp irito di insofferenza, di ribellione, la sete d i sovversione delle giovanissim e gene razioni tedesche della fine del secolo x v m , contro il cieco conform ism o m orale p o litic o che ne soffocava i p a lp iti. Madame de Staël nel suo celebre lib ro De l ’Allemagne avvertì subito la sostanza pericolosamente incendiaria e g li effetti venefici del dramma, pubblicato prim a senza nome d’autore, quasi alla macchia; rappresentato due anni dopo (Schiller aveva ventiquattro anni); p ro ib ito tosto dalla polizia impressionata dagli infiam m ati entusiasmi sovversivi che le recite sollevavano. T radotto, ma sciabolato e sventrato, in Francia, le sue sorti fu ro n o pressoché identiche. I giovani, innam orati del carattere e delle gesta del capo dei banditi, si lanciarono ad im ita rlo ; p iù che altro per onorare, dice la Staël, « leur goût po u r une vie licencieuse, du nom d’am our de la lib e rté » ; essi si credevano «indignés contre les abus de l ’ordre social, quand il n’étaient que fatigués de leur situation p a rti culière ». N o i potrem m o oggi in vertire, volendo, il rapporto da causa ad effetto prospettato dalla Staël e cercare d i vedere fino a qual punto i giovani si mimetizzassero a posteriori secondo la creazione schilleriana e fino a quale punto, invece, Schiller avesse in tu ito , e interpretato, attraverso il suo medesimo stato d ’anim o e la sua riv o lta interiore, l ’anima e la volontà d i riv o lta dei suoi coetanei. M a questa diverrebbe una indagine trop po ai m argini del fenom eno teatrale, e nulla giustificherebbe il tentarla qui. I l fatto è che I masnadieri sono comparsi, sugli schermi nostri casalinghi, p ro p rio in pieno allarme per le gesta dei cosiddetti teddy-boys: il ricorso è d i una evidenza impressionante, e non so quanto se ne saranno rallegrati — m algrado i ta g li praticati al testo, g li adattam enti ed i travisam enti (del resto in evitabili, come ha dim ostrato l ’esperienza di circa un secolo e mezzo, come dim ostrò la bellissima edizione d i anni addietro, per la regìa d i Salvini, ai G ia rd in i della Biennale) — coloro che alla insurrezione dei teddy-boys guardano oggi con i paraocchi della Staél per « les jeunes gens enthou- siastes » dei suoi anni m aturi. Per la natura della sua opera di poeta liric o alto ed acceso, Schiller è stato sempre, m entre visse e dopo, il p iù malmenato forse degli autori m oderni di teatro: peggio d i Shakespeare, che è tu tto dire. Q uel che non esigeva la censura in genere, lo fecero i suoi interpreti. C om inciò già egli medesimo ad autocensurarsi evitando, appena possibile, i soggetti di indole nazionale, e cercandoli nella storia degli a ltri paesi. D alla Congiura del Fiesco alla M aria Stuarda, dal Don Carlos alla Vergine di Orléans, al Guglielmo Teli, a ll’incom p iu to Demetrius (per non ricordare la Sposa di Messina) egli spaziò fu o ri dal suo piccolo m ondo di provincia, nello sforzo continuo d i evitare i guai che D ie Rauber g li aveva valsi, ponendo a carico di situazioni e vicende esterne le esplosioni dei suoi sentim enti: p iù o meno, non si com portarono in m odo diverso tu tti coloro che, sospinti dall’ideale della libertà, dovettero fare i conti con le censure dei p ro p ri governi — vedi, per esempio, l ’A lfie ri — sicché, in fondo, solo i greci ebbero il coraggio d i vedersela direttam ente con g li D ei. M a poiché la esuberanza dei sentim enti si risolveva nella esu beranza e negli svilupp i dell’eloquio, la punizione, verrebbe voglia di dire, dei suoi testi e la riduzione alle esigenze congiunte della scena e della p o li tica p o rtò durante la prim a metà d e ll’ O ttocento a m utilazioni e travesti- m enti, m ai p iù rim ediati, che si abbassarono alle licenze dei tra d u tto ri nel dare, alla fine, fu o ri d i Germania, una im m agine abbastanza falsa del poeta. Che cosa potessero essere, da noi, le M arie Stuarde che s’alternarono nelle arene alle M arie A nton iette giacomettiane, che cosa la M aria Stuarda stessa, « tornata regina a Londra » (per adoperar il linguaggio fio rito del tem po) nei panni e per l ’arte di Adelaide R istori, è lecito figurarcelo scorrendo quelle versioni in versi o in prosa del « cavaliere » Andrea M affei che continuano a far testo anche, e soprattutto, attraverso le pseudo traduzioni e le rid u zio n i che affiorano ogn i tanto. Eppure Schiller — si parla qui sempre dell’autore dram m atico — m eritava ben altra fortuna nel paese a cui volse l ’anim o congeniale con una frequenza che sta al complesso della sua opera p iù d i quanto stia la frequenza dei pretesti italian i a ll’opera complessiva del poeta d i Romeo e Giulietta. Q uanto Schiller abbia attin to dal clim a italiano, o, m eglio, quanto la evolu zione della sua interpretazione del clim a italiano abbia pesato sulla sua ispi razione dram matica risulta chiaramente a chi parta dall’esame della giovanile genovese Congiura del Fiesco, espressione un poco già m itigata del fervore esacerbato dello «S turm und D rang» per giungere, dopo la Luisa M ille r, a quella Sposa di Messina, rappresentata a W eim ar nel 1803, cioè alla tragedia con cori con cui, riallacciandosi alla greca, pensava, insieme a Goethe (non dim entichiam oci che siamo nel «G enieperiod») stesse per aprirsi al teatro — curiosa illusione in v o lu tiv a — u n ’epoca d i nuove fortune « p iù elevate ». Così risaliva dalle fiam me delle passioni brucianti che appiccarono il fuoco al teatro rom antico, ai m odi classico m editerranei im b e vu ti d i sole nella atmosfera lum inosa della M agna Grecia, dom inato dallo spirito della crisi goethiana maturatasi con la Ifigenia in Tauride. Strano a dirsi, non g io vò in Italia, ad una approfondita conoscenza, a un più continuo contatto delle fo lle con l ’opera teatrale schilleriana, quel r i corrente contenuto, che, in tem pi d i cospirazione, riproponeva in term in i passionali il tema della conquista della libertà e del rispetto della persona umana. Concorse a ciò la struttura massiccia dei dram m i, terribilm ente im pegnativi nelle affascinanti e stupende p a rti fe m m in ili, sicché non pote vano pensare ad im pegnarvisi se non le a ttric i d i eccezionale vigore — come in fa tti avvenne con la M aria Stuarda e con Amore e cabala ■— non meno im pegnativi, ma infinitam ente meno rim unerativi, in senso artistico, nelle p a rti m aschili che non invogliavano, invece, i massimi attori. D ’altronde, per qualunque verso lo si prendesse, per le fo rm id a b ili esigenze sceniche e d i sartoria d i quelli che consideriam o tu tto ra i capolavori — la T rilo g ia d i W allenstein e il Guglielmo Teli, per esempio — il teatro di Schiller rimase assolutamente controindicato ai capocom ici delle povere compagnie di g iro spesso rid o tti alla fame dal m oltiplica rsi delle disavventure economiche. D ’altro canto, le difficoltà della lingua tedesca e il com prensibile im pedi m ento psicologico che, in relazione alla situazione nazionale, essa deter m inava nelle classi patriottiche, intralciarono non poco la com prensione e la compenetrazione del m ondo della cultura, quantunque non siano da revocare in dubbio l ’influenza che Schiller esercitò su M anzoni teorico del rom anticism o e autore del Carmagnola, e sui nostri poeti dram m atici m in o ri, tra cui S ilvio Pellico, e una am m irazione standardizzata che insistette nello assegnare la terza sedia a ll’autore dei Masnadieri nella triade d i cui la prim a e la seconda erano occupate da Shakespeare e da Goethe. Che Schiller, la sua forza di im m aginazione, il suo lirism o , la sua potenza drammatica non fossero valutati giustamente, addolorava tra g li a ltri p ro p rio il Pellico, il quale, com ’è no to dal suo epistolario, riteneva il poeta « uno dei più grandi ingegni della letteratura», definendolo « d ivin o » . E tuttavia Schiller ebbe p ro p rio in Italia il p iù proficuo ricam bio sul piano della gloria — ricam bio spirituale — col rilancio di Rossini prim a ( Guglielmo Teli, 1829), d i V e rdi, poi, che g li fece riguadagnare il m ondo, allo stesso m odo con cui Beethoven l ’aveva fatto, ponendo l ’inno alla G ioia in cima alla I X Sinfonia. A ll’im peto liric o del poeta, Rossini prim a, V e rd i p o i so stituirono, ispirando visi, il lo ro canto; V e rd i musicando in epoche diverse la materia dei dram m i d i fama p iù popolare: I masnadieri rid o tti a lib re tto dal M affei stesso che li aveva tra d o tti (Londra, Queen’s Theater, 1847); la Luisa M ille r, ripresa dal Cammarano (N apoli, ’49); il Simon Boccanegra, che il Piave trasse dalla Congiura (’ 57 e ’ 81) e il Don Carlos nel pesante rifa ci m ento del M ery per l ’Opéra d i Parigi. N o n è cosa da poco poter ricordare, in tem pi d i celebrazione centenaria, che dove il dram m aturgo non rispon deva p iù alla ribalta d i luce propria, era nella luce delle musiche italiane che i suoi personaggi riprendevano vita. D e l resto il teatro di Schiller ali m entò spesso la scena dei com positori ita lia n i: perfino il Mercadante, fra i tanti, musicò i B riganti; lib re tti ricavati dal Don Carlos e dalla M aria Stuarda trova ron o facile collocam ento. Ciò che spiega che a questa u ltim a scarsa d’amore non abbia invece pensato Giuseppe V erdi. Per ovvie ragioni le tragedie d i Schiller fu ro n o p iù spesso rappresentate nel Lom bardo Veneto che altrove. G ustavo M odena che fu indubbiam ente il p iù intelligente e il p iù audace dei grandi autori del periodo risorgim entale, e seppe evadere fin dal p rin cip io della sua carriera d i capocom ico dalla schia v itù dei ru o li fissi, trasse am pio p a rtito per la sua propaganda politica dalla recitazione d i Schiller, affidando la battaglia d i regine della M aria Stuarda ad a ttric i buone ma non travolgenti. E la tragedia della regina di Scozia da lu i diretta nel ’ 30, pel debutto della nuova compagnia che recava il suo nome, al Teatro d i San Luca a Venezia, costituì per quel che se ne sa uno dei suoi spettacoli d’arte p iù com pleti ed avvincenti. La popolarità della M aria Stuarda fu mantenuta a lungo, nel cuore del secolo scorso, dalle riva lità delie nostre a ttric i p iù celebri, per le quali costituì una specie d i pietra del paragone; nessuna d i esse, tuttavia, riuscì a superare in efficacia e potenza dram matica A delaide R istori. Questo ci dà ragione del fatto che d i contro a una traduzione forse unica del « Teatro Com pleto » siano pullulate quelle vere o parafrasate della fortunata tragedia. M a non bisogna credere che la fortuna d i questa dipendesse dalla predilezione delle a ttric i; sta il fatto, invece, come avvertì acutamente la Staël, che M aria Stuarda di tutte le tragedie nate dal ferm ento prerom antico, rom antico e postrom antico è, appunto, «la m ieux conçue»; per essa «la poésie, l ’am our, la nature et la D iv in ité (tutte qualità proprie della religione) se réunissent dans notre cœur, quelques efforts qu’on fasse po u r les séparer ». H o avvertito altra volta, p ro p rio qui, in occasione di una rappresentazione della com pagnia del Teatro d i Stato di D üsseldorf come, venuta in luce sulla scena d i W eim ar la sera del g io rn o medesimo in cui Napoleone vinceva la battaglia di M arengo, la M aria Stuarda fosse da considerare essa pure una battaglia vin ta sui nem ici del Còrso e una specie d i u ltim o g rid o della Controriform a. Sotto sotto, essa colpì la biblica ipocrisia inglese riassunta nella figura della grande Elisabetta; m entre esaltava la tarda pietà e l ’eroismo cattolico d i M aria. M a estranea, o agnostica, od aliena dalla realtà storica, essa è davvero, e tale ci appare p u r sempre, un’opera strettamente teatrale, la quale, superando ogni intenzione polem ica, ogni finalità religiosa, morale, filosofica, badò, nascendo, a far centro sul gioco dei sentim enti um ani, più per creare un interesse legato alle situazioni, che non ad una simpatia dichiarata in to rn o ad una precisa figura. I l tecnicism o scenico d i Schiller appoggiato, naturalmente, alla sostanza lirica e, negli u ltim i atti, al divampare d i una com m ozione autentica che si effonde in D io , ebbe, nel contrasto atroce delle due dame, la sua espressione p iù alta e l ’effetto più sicuro. Chiarissimo q u in d i il perchè della fortuna e della particolar fama di questa tragedia, fortuna e fama a cui non poteva non concorrere, specie fra il 1820 e il 1870, quella corona di a ttrici d i eccezione che tennero alto il prestigio della scena italiana. P iuttosto è da m eravigliarsi che qualcuna delle nostre p iù sensibili e capaci a ttrici d ’oggi non si senta attratta verso p iù nuove e moderne in terpretazioni. A questo il capolavoro si presta ancora: le esigenze dell’alle stim ento, to lti i costum i, sono m inim e; e il testo che E m ilio M ariano offre lo ro adesso è quanto d i m eglio si possa desiderare. M ariano è un poeta e letterato d i grande valore, un conoscitore approfondito della lirica tedesca, form atosi alla scuola vibrante del non dim enticato Vincenzo E rrante; la sua traduzione risolve il problem a del necessario alleggerim ento, d i una intelligente e cauta riduzione, e della messa in evidenza dei v a lo ri tu tti del dramma, in una ripresa, integrale questa, del clim a poetico, come, finora, non ci era accaduto d i riscontrare. Fervida e scattante, valorizza quel dina m ism o scenico, ¡0 tecnico, d i cui si discorreva sopra. E c’è da sperare che a leggerla essa induca a prove presum ibilm ente liete già in partenza. Gino Damerini -m ¿ m a a # a / / / J & c f a t t t e i r VERSIONE IT A L IA N A D I E M IL IO M AR IAN O PERSONE ELISABETTA MARIA STUARDA ROBERTO DUDLEY GIORGIO TALBOT GUGLIELMO CECIL CONTE DI KENT GUGLIELMO DAVISON AMIAS PAULET j MORTIMER ìi CONTE DI ALBASPINA | CONTE DI BELLIÈVRE $ OKELLY 1 MELVILL I ANNA KENNEDY Ì MARGHERITA KURL \ BURGOYN UFFICIALE UN PAGGIO DRUGEON DRURY regina d’Inghilterra regina di Scozia, prigioniera in Inghilterra conte di Leicester conte di Shrewsbury barone di Burleigh, gran Tesoriere Segretario di Stato cavaliere, custode di Maria Stuarda suo nipote ambasciatore di Francia inviato straordinario di Francia amico di Mortimer maggiordomo della Casa di Maria Stuarda nutrice di Maria Stuarda cameriera di Maria Stuarda medico di Maria Stuarda della guardia del corpo secondo custode di Maria Stuarda, lo Sceriffo della contea, Nobili al seguito degli ambasciatori francesi, Guardie reali, Cortigiani della re gina dTnghilterra, Camerieri e Cameriere della regina di Scozia. A T T O P R IM O Nel castello di Fotheringhay. Una stanza. Anna Kennedy, nutrice della Regina di Scozia, in vivace contrasto con Pauiet che è sul punto di forzare un armadio. Drugeon Drury lo aiuta, con una leva. ANNA Che cosa fate? Via!, da questo armadio. PAULET fa scattare un congegno segreto e tira fuori un gioiello da un cassetto nascosto. Guarda! Un diadema coi gigli di Francia! Lo consegna a Drury. Conservatelo, Drury, insieme al resto. Drury esce. ANNA E’ una vergogna. PAULET Stanno in buone mani: e senza dubbio, quando sarà l’ora, tutto verrà restituito. Maria con un velo in capo, un crocefisso tra le mani. Gli stessi. ANNA Le avete tolto anche il suo liuto. PAULET Certo. Lo usava per sonare canti d’amore. Maledetto questo incarico! Custodire una donna tanto furba e tutta frode! Appena mi addormento la paura mi scuote: e vado in giro nel cuore della notte per le stanze del castello come anima in pena a provare le chiavi, i chiavistelli e la buona consegna dei guardiani: tremo per ogni luce del mattino: ah! che finisca presto! Cento volte meglio stare di guardia sulle porte dell’inferno a una schiera di dannati, ma questa regina che intriga, no! ANNA Eccola, viene! PAULET Il crocifisso in mano, in cuore la libidine e l’orgoglio. ANNA correndole incontro. Ah, regina, ci metton sotto ai piedi! MARIA Calmati, Anna. Che succede? ANNA Guarda! L’hanno forzato: le tue carte, l’ultima gemma del tuo abito da sposa che abbiam salvato dalla Francia con tanta fatica, è nelle loro mani. T’han portato via tutto, e non ti resta più nulla di regina. MARIA Non te ne fare cruccio. Per questo luccicchìo non si diventa regina. Mi sono abituata a molte cose, in Inghilterra, e posso dire addio anche alle gemme. Signore, mi avete strappato quello che volevo darvi non più tardi di oggi. C’è una lettera tra questi fogli, che indirizzo alla mia regale sorella d’Inghilterra. Datemi la parola di onesto uomo che voi consegnerete questa lettera nelle mani di lei, e non a Burleigh. PAULET Penserò quel che è meglio. MARIA Voi dovete sapere l’argomento. In questa lettera io domando una grazia, straordinaria: MARIA STUARDA un incontro con lei: non l’ho mai vista negli occhi. Mi è regina, mi è sorella: posso fidarmi solamente a lei. Poi, chiedo un’altra grazia che soltanto un cuore disumano può negarmi: da lungo tempo dentro a una prigione, son priva dei conforti della Chiesa. PAULET Qui, se volete, c’è un decano. MARIA Non voglio il decano: io richiedo un prete della mia Chiesa. E insieme vi domando degli scrivani, dei notai, per stendere l’ultime volontà, il crepacuore del carcere lungo mi rode la vita. Ho i giorni contati, sento la morte. PAULET Ottimi propositi, un bene, nella vostra condizione. MARIA Voglio far testamento, voglio poter disporre delle mie cose. PAULET E siete libera di farlo. La regina non vuole farsi ricca delle cose che vi son state tolte. MARIA Mi hanno separato dai fedeli della mia casa, gli uomini e le donne al mio servizio. Dove sono? Come sono trattati? Dei loro servigi posso anche fare a meno: ma del loro destino, voglio essere sicura. PAULET sul punto di partire. Si è provveduto ai vostri servitori. MARIA Ve ne andate, così? Un lungo mese è passato dal giorno che i Quaranta Giudici mi hanno còlto di sorpresa, tra queste mura. Rompete il silenzio, finalmente: che io sappia tutte le mie paure, tutte le mie speranze. Entra Mortimer e si rivolge a Paulet senza degnare di uno sguardo la regina. Gli stessi. MORTIMER Han cercato di voi, zio. Come è venuto, si allontana. La Regina lo nota, con sdegno, e si rivolge a Paulet che sta per seguirlo. MARIA Ancora una preghiera. Quando voi mi dovete parlare, dai capelli FRIEDRICH SCHILLER bianchi sopporto molte cose; non sopporto l’insolenza di quel giovane: risparmiatemi i suoi modi villani. PAULET Ciò che lo fa odioso ai vostri occhi, per me, vale. Non è di quei citrulli che si sciolgono ai piedi delle femmine. E’ stato fuori, a Reims, a Parigi, ed è tornato col suo vecchio cuore di buon inglese. I vostri bei sorrisi, tutta fatica sprecata, con lui! Esce. Maria e Anna. ANNA Pezzo di villano! Può dirvi sulla fronte queste cose! MARIA dietro a un suo pensiero. Nei giorni della gloria noi abbiamo ascoltato anche troppo volentieri ogni lusinga: è giusto, Anna, che noi oggi sentiamo rimproveri da una voce severa. ANNA Che pensieri son questi!? MARIA Oggi è l’anniversario di quel fatto sciagurato. Io lo ricordo nella penitenza. ANNA Cacciatelo via, lo spirito maligno! In tanti anni, avete tanto sofferto, che ormai siete pura da quella vicenda. La Chiesa vi ha perdonato, che tiene le chiavi per ogni colpa. MARIA La colpa oggi risale dal sepolcro chiuso troppo in fretta, e sanguina di nuovo. E non c’è suono di campana, non c’è ostia levata fra le mani di sacerdote, che possa cacciare nel sarcofago l’ombra dello sposo che grida la vendetta. ANNA Non l’avete ucciso voi. Sono stati gli altri. MARIA Sapevo. E ho lasciato che l’evento si compisse. Io lo attirai nella rete. ANNA Eravate tanto giovane: e questo vi riduce molte colpe. MARIA Tanto giovane, e li schiacciai con tanto peso quegli anni delicati. ANNA No! Ci sono degli spiriti maligni che si ficcano a volte nel cuore, quando l’uomo non ci pensa; e lo spingono verso cose infami d’improvviso, poi fuggono sotterra: ma nell’anima resta la paura e la colpa. MARIA Chi viene? ANNA C'è il nipote. Ritiratevi. Spunta Mortimer sulla porta. Mortimer entra guardingo. Gli stessi. MORTIMER alla nutrice. Mettetevi di guardia sulla porta, ho da parlare con la regina. MARIA con forza. Rimani qui. MORTIMER Non abbiate paura. Ecco, chi sono io. MARIA Le porge un foglio. dà un’occhiata e ha un sussulto. Che vuol dire questo? MORTIMER alla nutrice. Kennedy, vigilate che mio zio non ci sorprenda. MARIA alla nutrice che esita e la guarda con aria interrogativa. La nutrice si allontana stupita. Fa’ come ti dice. MARIA Da mio zio, il Cardinale di Lorena, in Francia: « Abbiate fiducia di Mortimer « che Vi porta questa lettera: « in tutta l’Inghilterra, non avete « un amico più fidato di lui... ». Guarda Mortimer con meraviglia. Possibile, non c’è sotto un inganno? MORTIMER gettandosi ai suoi piedi. Perdonate, Regina, quella maschera odiosa: mi è costata grande sforzo. Ma devo a quella se posso indugiarmi accanto a voi, per la Vostra salvezza. MARIA Alzatevi, Signore, mi avete sorpreso: non mi è facile passare da questo fondo di miseria alla speranza. Parlate. MORTIMER si alza. Non c’è tempo. Mio zio ritornerà tra poco insieme a un uomo abominevole. Vent’anni, ed una febbre mi pungeva, in corsa, attraverso la Francia, smanioso, fino all’Italia, di cui avevo sentito gran parlare. Molti nobili di Scozia e un gruppo di vivaci cavalieri di Francia mi divennero compagni. E fui con loro a Reims, da Vostro Zio, il Cardinale di Guisa: mai visto un uomo come lui, sicuro, chiaro, e forte. Ho fatto abiura nelle sue mani, sono tornato nella Chiesa. Poco dopo ho saputo che vi avevano tolto dalla custodia di Talbot per darvi nelle mani di mio zio. Era come la voce del destino che sceglieva il mio braccio a liberarvi: tutti gli amici in festa, il Cardinale mi dà consigli e mi impartisce la benedizione, il piano è preparato in fretta e, sulla strada del ritorno, eccomi a Fotheringhay. Si interrompe. E vi ho veduta, mia Regina: beato chi respira l’aria che respirate. Ora capisco perché vi tiene segregata. In piedi tutta la gioventù dell’Inghilterra, tutte le spade sguainate, in marcia la rivolta con passi da gigante attraverso a quest’isola, il giorno che l’inglese potesse vedere la sua Regina. MARIA Magari l’inglese mi potesse vedere con i vostri occhi! MORTIMER Se fosse testimone dei dolori che voi patite, allora sì! Ma d’ora in ora cresce il pericolo, non posso più a lungo indugiare. I Quaranta- due giudici vi hanno dichiarata colpevole. MARIA Voi non mi sorprendete, ero ben preparata alla notizia. So dove si vuol giungere. Si vuole trattenermi in un carcere perpetuo e seppellire nell’ombra i miei diritti e la vendetta. MORTIMER No, Regina, è poco, questo. MARIA STUARDA Nessuna prigione è abbastanza profonda, tenebrosa per seppellirvi. Non c’è che la morte, la vostra morte, che può far sicuro il trono alla Regina d’Inghilterra. MARIA E oserebbe tanto sul mio capo di Regina? No, Mortimer, l’angoscia vi accieca. E poi ci sono altre vie, più silenziose. Prima che si trovi un boia alla mia testa, ci sono tanti sicari per un po’ d’argento. Di questo, sì, posso tremare. Non accosto mai le labbra ad un bicchiere senza rabbrividire che lo abbia preparato l’amore della mia sorella. MORTIMER Non tremerete più. Tutto è già pronto. Dodici giovinetti d’Inghilterra di sangue puro hanno giurato il patto. Il Conte di Albaspina, Ambasciatore di Francia, sa ogni cosa, è dalla nostra parte: teniamo le nostre riunioni nel suo palazzo. MARIA Mi fate tremare. Che volete? Ve ne rendete conto? Non vi fanno paura i capi mozzi di Babington, di Tichburn, sopra i ponti di Londra? E la rovina di tanti altri, morti per una simile avventura, e mi han fatto più grevi le catene? Giovinetto, vi han tratto nell’inganno, fuggite, via, se ancora siete in tempo, se Burleigh non vi ha già fatto spiare, se non ha già introdotto in mezzo a voi il traditore. Via, da questa isola! Proteggere Maria Stuarda non ha portato ancora fortuna a nessuno. MORTIMER Non mi fanno paura i capi mozzi di Babington e di Tichburn sopra i ponti di Londra. E’ fortuna morire per Voi. MARIA Non c’è violenza, non c’è astuzia per salvarmi. Soltanto Elisabetta può aprirmi questo carcere. MORTIMER Mai 10 farà. MARIA C’è un uomo, un uomo solo, che può farlo. MORTIMER 11 suo nome. MARIA Il Conte di Leicester. FRIEDRICH SCHILLER MORTIMER Di Leicester! Il Vostro crudele nemico? Il favorito di Elisabetta? MARIA Se c'è un uomo che può salvarmi, è lui. Cercatelo, ed apritevi con lui. E per assicurarlo che sono io che vi mando, portategli questo scritto. Tira fuori una carta dallo scollo. C’è dentro il mio ritratto. Lo porto sopra di me da molto tempo. Mortimer sembra esitare a prenderla. Tenete. Vostro zio fa buona guardia, sempre. Ma voi, il mio angelo vi manda. MORTIMER E’ un enigma, spiegatemi. MARIA Il Conte di Leicester, lui stesso ve lo spiega: fidatevi di lui che avrà fiducia di voi. Che c’è? ANNA Paulet, con un Signore. MORTIMER E’ Burleigh. Sangue freddo, Regina! entra affannosamente. Mortimer si allontana da una porta late rale. Anna Io segue. Lord Burleigh, gran Tesoriere d’Inghil terra e il Caualier Paulet, Maria. PAULET Oggi mi chiedevate qualche cosa di sicuro per il vostro destino. La sua Eccellenza il Barone di Burleigh vi porta qualche cosa di sicuro. BURLEIGH Mi manda il Tribunale. MARIA Lord Burleigh diede tutta la sua anima al Tribunale, ora gli dà la voce. PAULET Sembra che voi sappiate la sentenza. MARIA Burleigh la reca, quindi non ho dubbi. Signori, al fatto! BURLEIGH Voi Vi siete sottomessa al giudizio dei Quarantadue... MARIA Milord, mi duole che devo interrompervi proprio sul bell’inizio. Sottomessa al giudizio, voi dite? Non mi sono mai sottomessa. Non lo avrei potuto. Verso il mio grado, verso le mie genti, verso il mio figlio e i principi del sangue, non potevo umiliarmi a questo punto. La legge inglese stabilisce che l’accusato deve essere in giudizio davanti ai pari propri. Chi mi è pari in questo tribunale? Miei pari sono i re. BURLEIGH Voi avete ascoltato una per una le accuse, e vi siete lasciata interrogare. MARIA Sì. Per rispetto verso le persone dei Lords, non per quel loro incarico che io respingo. BURLEIGH Che voi lo respingiate oppure no, Signora, questa è vuota cerimonia che non chiude la via della giustizia. Voi respirate l’aria d’Inghilterra, e perciò siete sotto alla sua legge, nel beneficio e nel danno. MARIA Respiro l’aria d’una prigione, in Inghilterra: e questo voi me lo chiamate un vivere, un beneficio della legge? Non sono una donna di codesto regno, ma una regina libera di un altro paese. BURLEIGH Voi credevate che bastasse il nome di regina per spargere in un regno che non è vostro il sangue e la discordia impunemente? Gli stati, dove andrebbero a finire, se la spada della giustizia non potesse raggiungere la fronte dell’ospite reale insieme al capo del mendicante? MARIA Non penso di sottrarmi alla giustizia: ma i giudici, quelli, li respingo. Sono dei protestanti, tutto zelo per l’Inghilterra, e devono decidere sopra di me, la Regina di Scozia, una cattolica. Corre la voce, fin dai tempi antichi, che l'inglese non può essere giusto verso chi è nato in Scozia. Da qui discende quella tradizione che vieta nei processi il testimonio inglese contro una scozzese: e vale anche per voi, dai tempi dei nostri padri. La natura ha imposto la legge. Nelle vecchie tradizioni c’è una profonda verità, bisogna rispettarla, Milord. Non è che un fìumicello il Tweede, e sull’una e l’altra sponda gli animi son di fuoco e spesse volte il sangue ha colorato i suoi torrenti. La mano sopra l’elsa della spada, covano la minaccia uno dell’altro, e da secoli avviene tutto questo. Non c’è nemico intorno all’Inghilterra che non trovi a compagno uno scozzese, non c’è fiamma di guerra per le case di Scozia, che l’inglese non accenda. BURLEIGH Non sono qui per fare discussioni, e non c’è più bisogno di duelli oratorii. Quaranta voti contro due han riconosciuto che avete violato il decreto dello scorso anno. Perciò siete sotto la legge. Ecco il decreto: « Se nel regno si levano tumulti in nome e a favore di qualcuno che pretende di ritti alla corona, contro costui si proceda secondo fino alla pena di morte ». legge, la E dato che le prove... MARIA Signore, che una legge compiuta su misura a mio danno si lasci adoperare contro di me, di questo non ho dubbi. Povera quella vittima, se il labbro che ha dettato la legge, è poi lo stesso che proclama il giudizio! Quel decreto fu imaginato per la mia rovina: lo potete negare? BURLEIGH Vi doveva mettere in guardia. E invece avete fatto lega con Babington, il traditore, e con gli altri assassini. Sapevate tutto. Da queste mura guidavate i piani di rivolta. MARIA E quando mai? Mostratemi le prove. BURLEIGH Ve le hanno messe davanti ai giudici. MARIA Lettere scritte da un’altra mano! Si dimostri che le ho dettate io, proprio in quel testo presentato a giudizio. BURLEIGH Prima di morire, Babington le ha riconosciute esatte. MARIA Perché non me lo avete presentato davanti agli occhi, mentre era vivo? E perché tanta fretta di troncargli la vita, senza metterlo di fronte a me? MARIA STUARDA BURLEIGH In più, ci furono quei vostri scrivani, i quali sotto giuramento confermano che quelle eran le lettere che avevate dettato, tali e quali. MARIA E sopra le parole dei miei servi mi si condanna? Nel momento in cui deponevano contro me, quegli uomini erano traditori della loro regina. So, che me lo ha detto Talbot, di una legge che il vostro parlamento ha votato: si mettano di fronte l’accusatore e l'accusato. Come? Forse ho capito male? Paulet, io vi ho sempre giudicato un uomo onesto. Mostratelo. In coscienza, dite: è vero? Esiste questa legge in Inghilterra? PAULET Lo devo riconoscere, Signora: sì, questa legge esiste. MARIA Mi si giudica rigidamente secondo la legge inglese quando questa è contro me: e quando può cambiarsi in mio favore, perché viene ignorata quella stessa legge? Perché — rispondete! — Babington non l’hanno messo a mio confronto, come vuole la legge, perché non han messo i miei scrivani, ancora vivi? BURLEIGH Non lasciatevi prendere, Signora, che l’accusa non è solo per Babington. MARIA E’ solo questa la mia colpa. Milord, non sfuggite. Restate in argomento. BURLEIGH Ci sono prove dei vostri rapporti con Mendoza, l’Ambasciatore di Spagna... MARIA Restate in argomento! BURLEIGH ...dei vostri complotti per rovesciare la nostra religione, per indurre i sovrani dell'Europa a prender l’armi contro l’Inghilterra. MARIA E se lo avessi fatto? Non l’ho fatto. Pure, ve lo concedo. Mi si tiene qui prigioniera contro ogni diritto dei popoli. O forse in questi luoghi sono venuta con la spada in pugno? Come una supplicante son venuta in nome della santa carità verso l’ospite, per gettarmi nelle FRIEDRICH SCHILLER braccia di una regina del mio sangue. Dite, Signore, dentro alla mia anima devo sentirmi legata con questo paese? Ho dei doveri verso l’Inghilterra? Cerco di uscire dalle mie catene, mi oppongo alla forza con la forza, chiamo i re dell’Europa al mio soccorso, ah!, ma non uso che un diritto sacro, il diritto di chi è tenuto schiavo. Chiamiamo questo: guerra; ma una buona guerra, come vuole diritto e lealtà. BURLEIGH Signora, non parlate della forza, con tutti i suoi diritti. Non conviene al prigioniero. MARIA Sì, lei è potente, io, debole, in prigione. Ma confessi, allora, che fa uso della forza, e non della giustizia. Non sottragga alla legge la spada per togliersi di mezzo la nemica che odia, e non ammanti di una veste di santità il sopruso crudele: che non inganna il mondo questo giuoco da istrione. Assassinare potrà farmi, sì, non giudicare. E smetta di comporre i frutti del delitto con l’effige della virtù. Abbia il coraggio di farsi vedere sulla faccia. (Esce). A T T O S E C O N D O Il Palazzo di Westminster. Il Conte di Kent e Dauison si incontrano. DAVISON Oh! Signore di Kent, già di ritorno dal campo? lo spettacolo è finito? KENT Non vi siete trovato al carosello? DAVISON Il dovere d’ufficio... KENT Avete perso una festa bellissima, trovata con buon gusto e portata sino in fondo con grande dignità. Sapete il tema: una rocca rappresentava la Bellezza — casta — mentre il Desiderio la doveva espugnare. Il Maresciallo, il Giudice Supremo, il Siniscalco, insieme ad altri dieci cavalieri, stavano a guardia della roccaforte, e per l’assalto c’erano i Francesi. Cominciava così: veniva fuori un araldo che a quelli nella rocca intimava la resa con il canto di un madrigale: il Cancelliere dagli spalti diceva la risposta. Quindi cominciavano i giuochi della guerra: colubrine, graziose scaricavano mazzi di fiori, essenze profumate. Ma non ce la spuntavano: gli assalti eran tutti respinti e il Desiderio batteva in ritirata. DAVISON Un bel presagio pei francesi che han fatto la domanda di matrimonio. KENT Eh! Via, era uno scherzo! Io penso invece che la roccaforte finirà per cadere. DAVISON Voi credete? Io non lo credo. KENT I punti controversi sono già definiti, senza troppi ostacoli da parte dei francesi. Monsieur ascolta la sua messa in privato, però in pubblico sostiene la nostra religione. Che delirio, quando il popolo ha saputo! Perché tutti tremavano al pensiero che poi il trono toccasse alla Stuarda. DAVISON Non c’è d’aver paura. La Regina va a nozze, e la Stuarda sul patibolo. KENT Viene la Regina. al conte di Albaspina. Conte di Albaspina, io mi dolgo che tutti questi nobili Signori che hanno attraversato il mare per il loro galante ufficio, qui non trovino lo splendore che affascina la Corte di San Germano. Quelle magnifiche feste che sono la gloria della vostra Regina Madre, io non le so inventare. Per gli ospiti che vengono da fuori, se vogliono godersi uno spettacolo, non ho altro da offrire che un popolo felice, costumato, che ferma i miei cavalli per le strade e non fa che benedire la mia persona. Entrano Elisabetta guidata dal Conte di Leicester. Il Conte di Albaspina, il Conte di Believre, Talbot Conte di Shrewsburp, il Barone di Burieigh, se guiti da altri nobili francesi e da si gnori della Corte. Gli stessi. ELISABETTA Lo sfolgorìo di quelle giovinette che sono come fiori nel giardino di Caterina renderebbe più pallida la mia figura che non ha pregi brillanti. ALBASPINA La Corte di Westminster ha una donna, una soltanto; ma chi vien da fuori è sorpreso di trovare in quell’una tutti gli incanti che fanno una bella donna. BELIEVRE Sacra Maestà, noi ti chiediamo il congedo, e insieme la parola che renderà felice Monsieur il nostro principe. Bruciava d’impazienza, ed ha lasciato Parigi. Fermo ad Amiens, attende la notizia, mentre alle porte di Calais stanno i messi che sopra l’ali del vento rechino al suo cuore innamorato il sì caduto dal tuo labbro eccelso. ELISABETTA Conte di Belièvre, non insistete. Vi ripeto: il momento è sfavorevole. Ho avuto sempre un desiderio solo: non far mai nozze. Ma quello che pensano i miei sudditi è altra cosa: pensano a chi verrà dopo di me, quand’io non sarò più. Così mi vedono come una donna, mentre credevo di avere regnato come un uomo e come un re. ALBASPINA Tu hai magnificato sopra il trono, Regina, tutte le virtù, non hai che a splendere di sopra a ogni donna anche nelle virtù che sono proprie del suo sesso. E non occorre dire che non esiste uomo sulla terra degno che tu gli faccia sacrificio di te stessa. Però, se l’alto sangue, il valore nell’armi, la bellezza virile... ELISABETTA Non c’è dubbio, Signor Conte Ambasciatore, che un nodo nuziale con un principe della reai Casa di Francia, mi lusinga. E sarò chiara: se nozze ci saranno, io non conosco in tutta Europa un principe a cui vorrei sacrificarmi con minore repulsione, del principe di Francia. Tanto vi basti. BELIEVRE La speranza è bella: pure non è che una speranza e il mio signore aspetta qualcosa di più. MARIA STUARDA ELISABETTA Che aspetta? Si sfila un anello e lo contempla pen sosa. Forse non c’è differenza fra una regina e una qualunque donna dei nostri borghi? Anello è matrimonio, e molti anelli fanno una catena. Portate questo dono alla Sua Altezza: può diventare un cerchio che mi stringe. BELIEVRE in ginocchio fino a terra mentre riceve l’anello. A nome del mio principe, in ginocchio, grande Regina, io ricevo questo pegno, ed imprimo reverente un bacio sopra la mano della mia Signora. ELISABETTA Permettete, Milord. al Conte di Leicester dal quale, durante l’ultimo discorso, non ha distolto lo sguardo. Gii leva il nastro azzurro e lo pone al collo di Belièvre. Date a Sua Altezza l’investitura come io la dò a voi con questa insegna e vi ricevo tra le file del mio ordine: Honny soit qui mal y pense. Ogni sospetto dilegui tra i nostri due reami, e un cerchio di amicizia unisca sempre la corona di Francia e d’Inghilterra. ALBASPINA Regina eccelsa, questo è un bel mattino di gioia, e sul tuo viso arde la grazia: lascia cadere una favilla sopra una infelice principessa che appartiene a voi e a noi. ELISABETTA Conte, non una parola di più: non mescoliamo cose che non hanno alcun legame fra di loro. Se la Francia ha doveri di amicizia, li assolva: e mi si lasci al mio dovere di Regina. Fa un inchino verso il gruppo dei fran cesi che si ritirano con grande rispetto insieme agli altri cortigiani. Elisabetta, Leicester, Burleigh, Talbot. La Regina si siede. BUERLEIGH Grande sovrana, oggi hai coronato l’ardente aspirazione del tuo popolo. Ma c’è ancora un incubo su tutto il paese, e ti si chiede ancora un sacrificio per dare la salvezza all’Inghilterra, in eterno. FRIEDRICH SCHILLER ELISABETTA Vi ascolto, Milord. Che vuole ancora il mio popolo? BURLEIGH La testa della Stuarda. La nemica deve morire, se vogliamo liberarci da questo affanno per la tua vita. E’ a Reims che si preparano le armi, dove siede a palazzo il Cardinale. La gioventù corre alla morte nel nome di lei che sa bene l’arte della lusinga e dei sorrisi. Dicono che la voglion liberare, ma lo scopo è di metterla sul trono, il tuo, che i Duchi di Lorena negano il tuo diritto sacrosanto, e sei per loro una ladra del trono portata su dalla fortuna. Loro, hanno istigato quella pazza a proclamarsi regina d’Inghilterra. Non può esserci pace con costei, con la sua gente. O tu vivi e lei muore, o dovrai soccombere tu. ELISABETTA Penoso incarico, Milord! So che le vostre intenzioni son pure, e la saggezza ragiona in voi: ahimè, questa saggezza che impone sangue, io la odio, dentro me. Datemi un consiglio più benevolo. Voi, nobile Signore di Shrewsbury, qual è la vostra opinione? TALBOT Avete lodato giustamente il sacro zelo del fedelissimo Burleigh. Non sono tanto eloquente, ma nel petto ho un cuore altrettanto fedele. O mia Regina, non dire che ti devi sottomettere alla forza maggiore o alla violenza del tuo popolo. Ma dichiara che il sangue ti fa orrore, e vuoi salvare la vita della tua sorella. Devi giudicare da sola, tu soltanto. ELISABETTA Il Conte è difensore appassionato della nemica mia e del mio regno. Ben vengano i consigli che hanno a cuore la mia sicurezza. TALBOT Le si nega il diritto a una difesa, nessuno osa parlare in suo favore per non cadere sotto la tua ira: io sono vecchio, all’orlo della tomba, e non ho più speranze sulla terra, posso bene difendere costei. L'avete abbandonata. Ha delle colpe. Siamo d’accordo. Dicono che abbia lasciato assassinare suo marito: certo, ha sposato l’uomo che lo uccise. Reato grave. Ma la cosa avvenne ■ in tempi molto tristi e senza luce: e non dimentichiamo che la donna è una creatura fragile. ELISABETTA La donna non è fragile. Non voglio che in mia presenza si parli di fragilità femminile. TALBOT Tu hai conosciuto la sventura e la vita ti largiva poca gioia: ma quella poveretta, era una bimba quando giungeva alla Corte di Francia. Lo splendore del vizio l'abbagliò e la sedusse. Nacque bella. In mezzo alle altre era sempre la più bella e quel suo corpo, infine... ELISABETTA Dominatevi, Signore di Shrewsbury! Questo è un concilio reale! Conte di Leicester, voi solo tacete? Quello che fa tanto parlare il Signore di Shrewsbury forse vi lega la lingua? LEICESTER Regina, io taccio, sì: di meraviglia che ti si possa mettere spavento, e queste fantasie che sbigottiscono il popolino per le vie di Londra giungono fino a qui nel tuo Consiglio di Stato e affaticano le menti degli uomini più saggi. Meraviglia, 10 confesso, che questa senza terra di regina che non seppe tenersi il proprio piccolo trono, costei, ludibrio del suo popolo, feccia della sua terra, d’improvviso possa farti tremare, prigioniera. Ah! perdio, ma che cosa te la rende spaventevole? forse la pretesa al trono? o i Guisa che non riconoscono la tua sovranità? e hai bisogno di conferma, tu regina per nascita e volontà del parlamento? col silenzio intorno al nome di lei, Enrico non l’ha esclusa nelle ultime volontà? Tu, non fiorisci di giovinezza, mentre d’ora in ora l’altra declina verso la tomba? Ah! perdio, ma io spero che ancora per molti anni tu passerai sulla sua tomba, senza dovervela spingere con le tue mani. BURLEIGH 11 Conte di Leicester non ha sempre pensato in questo modo. LEICESTER E’ vero, ho dato il mio voto di morte in giudizio; nel Consiglio di Stato parlo diversamente. E’ questo il giorno, che si debba tremare di una simile donna, oramai abbandonata dalla Francia, ultima sua speranza? Ora che porgi la preziosa mano al principe regale, ora che il popolo inglese vede già una nuova stirpe discendere da te? Ucciderla? Ma costei è già morta. Ed ecco il mio consiglio: la sentenza resti valida, ma non avvenga. Resti viva costei: ma sotto la mannaia del carnefice, viva: e quando un braccio armato s’alzi nel suo nome, allora cada la scure. ELISABETTA si alza. Signori, ho udito le vostre opinioni, e vi ringrazio. Dio illumina i re. Con il suo aiuto, io farò l’esame delle vostre ragioni e sceglierò il meglio che a me sembra. Paulet con Mortimer. Gli stessi. ELISABETTA Amias Paulet, che ci portate, nobile Signore? PAULET Maestà, mio nipote che ritorna da un lungo viaggio si prostra ai tuoi piedi e ti fa giuramento. Tu, accoglilo in grazia e lascialo fiorire alla luce del tuo favore. MORTIMER con un ginocchio a terra. Alla mia sovrana, lunga vita, alla sua fronte, gloria e fortuna. ELISABETTA Alzatevi, Signore, ben tornato in Inghilterra. Lungo viaggio, il vostro. La Francia, Roma, e vi siete fermato a Reims. Avete visto Morgan e queirintrigante del Vescovo di Rosse? MORTIMER Li ho conosciuti tutti gli scozzesi in esilio che a Reims foggiano colpi contro la nostra isola. Ho saputo insinuarmi nei loro cuori: se mai scoprivo qualche trama. PAULET Gli hanno affidato lettere cifrate per la Regina di Scozia. Ce le ha consegnate fedelmente. ELISABETTA Diteci, quali sono i loro piani? MARIA STUARDA MORTIMER Sono atterriti alla notizia che la Francia li abbandona e stringe nodi con l’Inghilterra. Tutte le speranze sono rivolte alla Spagna. ELISABETTA Così mi scrive Walsingham. MORTIMER Mentre partivo da Reims, arrivava una bolla di Papa Sisto che dal Vaticano ha gettato scomunica su te. Giungerà con il prossimo vascello. LEICESTER Sono armi spuntate in Inghilterra. BURLEIGH In mano di un fanatico, c’è sempre da aver paura. ELISABETTA Vi si accusa di abiura della vostra religione, alla scuola di Reims. MORTIMER Sì, mia Regina, per desiderio di servirti meglio. ELISABETTA Che avete in mano? PAULET Una lettera della Regina di Scozia, per te. BURLEIGH con uno sguardo acuto improuuiso. a Paulet che ha un foglio in mano. cercando con furia di impadronirsi del foglio. Datemi quella lettera! PAULET Scusate, Gran Tesoriere! consegnando la lettera alla Regina. La Regina prende il foglio. Durante la lettura, Mortimer e Leicester si scam biano qualche parola di nascosto. BURLEIGH a Paulet. Cosa può contenere quella lettera? Le solite querele. PAULET Il contenuto non me lo ha nascosto. Chiede, in grazia, di vedere nel volto la regina. BURLEIGH Questo, no! TALBOT Perché no? Nella preghiera non c’è nulla di ingiusto. FRIEDRICH SCHILLER BURLEIGH Con il capo sotto la scure?! Non è degno di Sua Maestà vedere quella fronte ormai sacra alla morte. La sentenza non potrebbe più essere eseguita se la regina sfiora il morituro, perché la presenza reale vuol dire grazia. ELISABETTA si asciuga le lacrime dopo aver letta la lettera. Perdonate, Signori, mi si rompe il cuore e mi sanguina l’anima a vedere tanto fugaci le cose umane e il destino dell’uomo, quel terribile destino, che passa tanto vicino alla mia fronte. TALBOT Regina, è Dio che ti ha toccato il cuore! BURLEIGH Non piegarti, Regina, bisogna... LEICESTER Signori, non varchiamo i nostri limiti. La giustizia prosegue, ma Elisabetta ha un cuore grande. ELISABETTA Andate, Signori. Troveremo la via che lega nel modo più giusto la grazia sovrana e la sicurezza del regno. Ora, uscite. Tutti escono. Chiama mer, già sulla porta. indietro Morti Mortimer, restate. Elisabetta, Mortimer. ELISABETTA dopo averlo squadrato da capo a piedi per qualche istante. Voi dimostrate audacia e sangue freddo, Mortimer, per la vostra età. Farete strada. Ma io posso farvi giungere più in alto, per la vostra fortuna. MORTIMER Signora eccelsa, tutto il mio valore è ai tuoi piedi! ELISABETTA Avete conosciuto i miei nemici. Il loro odio non ha fine contro me. Dio mi protegge. Ma la corona trema sulla mia testa fino a che rimane viva colei che serve da pretesto al delirio di tanti. MORTIMER Basta un tuo cenno, e costei non vive più. ELISABETTA Volevo giustizia, e la mia mano, pura dal sangue di costei: la sentenza è proferita. Ho il dovere di farla eseguire. Sarò odiata. E non posso salvare l’apparenza. MORTIMER Che ve ne importa, se la cosa è giusta. ELISABETTA Non conoscete il mondo. Si giudica all’apparenza, non ai fatti. MORTIMER Dunque, la cosa migliore sarebbe... ELISABETTA La cosa migliore, proprio così. Voi siete il mio buon angelo; Spiegatevi, sino in fondo: continuate, concludete, ah! siete una persona seria, scendete alla sostanza, voi!; altro uomo da quel vostro zio! MORTIMER Gli hai detto...? ELISABETTA Me ne pento. MORTIMER E’ vecchio. Devi scusarlo. Queste imprese hanno del rischio, ci vuole gioventù. Voi contate sopra di me. ELISABETTA Quando potrò dormire sonni tranquilli? MORTIMER Con la nuova Luna. ELISABETTA Addio, Mortimer. Non fatevi amaro se vi devo nascondere la mia gratitudine. I nodi più tenaci — e i più dolci — si adattano al mistero. Esce. MORTIMER Vattene, ipocrita. Tu inganni il mondo, io te. Tradirti è giustizia, tradirti è carità. Il tuo favore di donna? Tu non hai mai saputo dare a un uomo la felicità dell’amore. Maledetto incarico! Mentre sta per uscire incontra Leicester. Leicester, Mortimer. LEICESTER Mi volevate dire qualche cosa, in segreto. MORTIMER Accertarmi che posso avere fiducia. LEICESTER E chi mi accerta della vostra persona? Andate avanti e io vi seguirò. MORTIMER Questo vi manda la Regina di Scozia. LEICESTER tira fuori rapidamente la lettera. trasale e prende in furia la lettera. Abbassate la voce! Che cos’è? Il suo ritratto! Bacia il ritratto e lo osserva incantato senza parlare. dopo aver scorso la lettera rapidamente. che lo ha scrutato attentamente. MORTIMER Ora vi credo, Conte di Leicester. LEICESTER Cavaliere, sapete il contenuto? MORTIMER Non lo so. LEICESTER Come? Ve lo ha confidato certamente. MORTIMER Non me lo ha confidato. Anzi, mi ha detto che voi potevate spiegarmi l’enigma: e un enigma resta per me che il favorito di Elisabetta, l’uomo avverso di Maria, il suo giudice, il Conte di Leicester, sia la persona da cui la regina attende la salvezza. LEICESTER Ditemi invece voi: perché tanto fervore? Come vi siete guadagnata la sua fiducia? MORTIMER Ve lo dico subito. Ho abiurato in Roma. Son d'accordo con i Guisa. E una lettera del Vescovo di Reims mi ha aperto la fiducia della Regina. LEICESTER Sì, sapevo del vostro cambiamento: questo mi ha dato la fiducia in voi. La vostra mano, e perdonate al dubbio. Ma devo stare attento perché Walsingham e Burleigh mi odiano, lo so, e controllano tutte le mie mosse MARIA STUARDA per farmi scivolare in qualche rete: e lo strumento potevate essere voi. MORTIMER Un gran Signore ridotto a questo punto! Leicester, vi compiango! LEICESTER Con quale gioia riconosco un amico! Vi pare meraviglia che il mio cuore abbia tanto cambiato per Maria. Ma in verità io non l’ho mai odiata. Sapete che da tempo mi era destinata in sposa; ancor prima di Darnley, quando tutta la sua bellezza splendeva. Io, freddo, la respinsi. Ora, in prigione, al picchio della morte, vado a cercarla e giuoco la mia vita. Ma spero, spero ancora di deviare la rovina, finché si trovi un modo per liberarla. MORTIMER E’ già trovato, Conte. Rispondo con fiducia alla vostra fiducia. Io voglio liberarla. Sono qui per questo. Tutto è pronto. Il vostro aiuto potente ci assicura nell’impresa. LEICESTER Che cosa dite? Voi volete... MORTIMER 10 voglio aprirle il carcere di schianto. Ho i miei compagni. Tutto è preparato. LEICESTER Dei complici, informati? I quali sanno 11 mio segreto? MORTIMER Non temete. Il piano è stato predisposto senza voi. LEICESTER Così potete darmi la certezza che in tutta la faccenda non si è fatto mai il mio nome? MORTIMER Ve ne dò parola. LEICESTER Con la violenza non ce la farete. Troppo rischio. MORTIMER Anche l’indugio è rischio. LEICESTER Io vi ripeto che non è possibile. MORTIMER Forse per voi, che la volete fare vostra. Ma noi che la vogliam salvare e basta, noi non ci si pensa troppo. LEICESTER Siete giovane, e avete troppa furia, e l’impresa è diffìcile, è irta di spine. FRIEDRICH SCHILLER MORTIMER Qui si tratta dell’onore: voi siete troppo lento. LEICESTER Io vedo le insidie da ogni parte. MORTIMER Ed io mi sento di lacerarle tutte. LEICESTER Se va male non la potremo più salvare. MORTIMER Mai la salveremo se restiamo indietro. LEICESTER Con questa furia cieca, porterete alla catastrofe una cosa tanto bene avviata. MORTIMER Certo, tanto bene: ma non da voi. Che fate per salvarla? Ah! fossi stato abbastanza gaglioffo per trucidarla, come la regina mi ha comandato, ora è pochi momenti, e lo spera da me! Che avete fatto per la sua vita? LEICESTER Questo, la regina vi comandava? MORTIMER Ha preso un abbàglio con me, e Maria lo ha preso con voi. LEICESTER E avete detto: sì? Lo avete detto? MORTIMER Perché non prezzolasse un’altra mano, le porgevo la mia. LEICESTER E guadagnamo tempo: sì, avete fatto bene, mentre conta su voi, non si farà scrupolo di fingersi pietosa. Forse così la potrò persuadere a guardare nel volto la nemica. Con questo passo ha le mani legate. E Burleigh ha ragione: dopo l’incontro, non si può eseguire la sentenza. Sì, proverò, voglio fare di tutto. MORTIMER Con quale risultato? Nel migliore dei casi: una prigione senza fine. Avete nelle mani la potenza. Vi fareste un esercito, con tutti i castelli che avete. La regina di Scozia conta sempre molti amici nell’ombra: i Percy, gli Howhard son famiglie oramai senza padri: ma i giovani ci han cuore, e non attendono altro che un capo. Agite allo scoperto. Difendete da cavaliere il vostro amore. Solo che decidiate. Siete padrone voi della persona di Elisabetta. Come tante volte, fate che vi accompagni in un castello, uno dei vostri, e là parlate chiaro, da uomo che comanda: trattenetela fino a che non dichiari che Maria Stuarda è libera. LEICESTER La vertigine vi porta! La conoscete questa palude? Sapete come si sbrigano le faccende a Corte? Una donna ha le chiavi di tutto. Seguite la mia strada. Non agite senza averci pensato. C’è qualcuno, andate via. MORTIMER Devo tornare senza conforto? LEICESTER Portatele il mio amore eterno. MORTIMER Portatelo da voi. Mi sono posto in mezzo, per far da salvatore non da ruffiano. Esce. Elisabetta, Leicester. ELISABETTA Chi vi ha lasciato in questo momento? Ho sentito parlare. LEICESTER turbato, si volta di scatto alle sue parole. Mortimer. ELISABETTA Che avete, Lord? Mi sembrate di sasso. LEICESTER che nel frattempo si è ripreso. ... davanti alla tua apparizione! Tutta seducente così non ti ho mai visto! Ahimè! Ahimè! ELISABETTA Perché questi sospiri? LEICESTER Dunque, non c’è motivo ai miei sospiri? Quando vedo il tuo fascino, ripenso a quello che tra poco perderò, e si rinnova l’immenso dolore! ELISABETTA E che cosa perdete? LEICESTER Fra non molto, le braccia vigorose di uno sposo pieno di fuoco ti terranno stretta, e tu sarai felice. Egli potrà possedere il tuo cuore per intero. Egli è di sangue regio, io non lo sono. Ma se tu fossi stata la più misera pastorella, e io il principe più grande nel mondo, sarei sceso al tuo tugurio, e il mio diadema te lo avrei gettato ai piedi. ELISABETTA Non farmi dei rimproveri, compiangimi, Dudley! Non posso interrogare il cuore! Avrebbe scelto in altro modo. Invidio quelle donne che possono portare in alto il loro amore. E io non sono tanto fortunata da porger la corona all’uomo che mi è caro sopra tutti. La Stuarda Io ha fatto; e ha bevuto sino in fondo la coppa della vita. Anch’io avrei potuto prendermi tanta gioia, invece mi sono data agli aspri doveri del mio regno. Ma lei! Son tutti eguali gli uomini! animali dietro al piacere; ma le cose degne le stimano poco. Persino quel Talbot sembrava rinato al pensiero di questa gran bellezza! LEICESTER Lo devi perdonare. E’ stato il suo guardiano. E lei. furba, non risparmiava moine, per sedurlo. ELISABETTA Ma è proprio tanto bella? Che avete da guardarmi in quel modo? LEICESTER Ti guardo, e nel pensiero ti confronto con la Stuarda. Ah! come vorrei che le fosse lasciata la vergogna di mettersi di fronte allo splendore della tua figura, senza contare le altre virtù! Si accorgerebbe subito che tu vinci su lei, perché l’invidia ha la vista buona! ELISABETTA Ma è più giovane. LEICESTER Davvero? Più giovane? Non si direbbe. Capisco: i dolori. Sarà invecchiata prima dell’età. E poi, vederti sposa, lei che faceva tanto gloria delle sue nozze col Delfino e ancora oggi crede al sostegno di Francia... MARIA STUARDA penso che questo le farebbe più amara la sconfitta. ELISABETTA fingendo noncuranza. Da molte parti mi mettono in croce perché la veda. Pausa. Bisogna riflettere bene, parlarne prima con Burleigh. LEICESTER Burleigh non pensa che al vantaggio del governo: ma anche il buon governo esige che tu la veda. E’ un bel gesto, e non ti mancherà l’applauso della gente. Dopo, potrai sbarazzarti di lei come meglio ti pare. ELISABETTA Non sarebbe di buon gusto che io veda questa parente nella sua miseria, nella sua umiliazione. Non c’è più nulla di regale intorno a lei, così dicono, e io potrei sentirmi a disagio. LEICESTER Non occorre varcare quella soglia. Il caso ha già disposto. E’ caccia grossa, oggi, e la pista sfiora Fotheringhay. La Stuarda può scendere nel parco, tu vi giungi improvvisa, e tutto sembra naturale; se poi non ti va a genio non le parli nemmeno. ELISABETTA Se farò una sciocchezza sarà colpa vostra, Leicester, ma oggi non voglio negarvi nessun desiderio, perché fra tutti è a voi che ho fatto più male. Lo guarda con tenerezza. E sia pure un vostro frullo! Questo è l’affetto: e io vi concedo per favore quel che non ho nel cuore. Leicester si getta ai suoi piedi. A T T O T E B Z O Un parco. Verso il fondo, un paesaggio ampio e lontano. Maria sbuca di corsa dagli alberi. Anna segue più lenta. ANNA Sembra che abbiate l’ali nella corsa! Fermatevi! Non ce la faccio più! MARIA Sono felice come una bambina: lascia che beva questa cosa nuova: la libertà. Son fuori di prigione. FRIEDRICH SCHILLER ANNA Signora, la vostra prigione si è allargata di un poco: ecco tutto. E non vedete il muro che ci chiude perché è pieno di alberi davanti. MARIA A voi, grazie!, alberi amici, grazie, alberi verdi che mi coprite le mura del carcere! Esser libera e felice non è che un sogno? E allora non svegliatemi da questa illusione che è dolce. Laggiù, dove balzano fuori i monti colore di nebbia, comincia il mio regno, laggiù. Ma queste nubi che corrono a sud vanno a cercare la riva di Francia. Nubi che avete fretta naviganti per l’aria, beato chi vi segue nella corsa, salutate la terra della mia gioventù. ■ANNA Siete fuori di voi; la libertà improvvisa vi fa girar la testa. MARIA Vedi quel pescatore? Spinge a riva la barca, ma quel misero arnese mi potrebbe portare in salvo, rapidamente, verso paesi amici. Quell'uomo ha gran bisogno e la barca lo nutre appena, io lo vorrei coprire di tesori da fargli fare una retata nuova. ANNA Desideri che non servono a nulla: non vedete là, in fondo, una spia per ogni passo? MARIA No! Sono sicura. In tutto questo riconosco Lord Leicester e la sua potenza. Mi si vuole abituare a una cosa più grande con le cose più lievi, e mi si allarga la prigione, e un giorno in fine vedrò nel volto colei che mi scioglie dai vincoli per sempre. ANNA Non mi riesce di vederci chiaro: appena ieri, l’annunzio di morte, e oggi, a un tratto, questa libertà. MARIA Senti il corno di caccia, non lo senti? Ora chiama dai campi, ora chiama dal bosco: in sella, in sella, mescolarmi ai venti con la gioconda cavalcata! Lo riconosco il suono, riconosco la gioia di quei tempi, e la tristezza. Quante volte sui monti della Scozia ero felice, in ascolto di questo suono, mentre il tumulto della gran caccia passò. Paulet. Gli stessi. PAULET Dunque, non mi dovete almeno un grazie! MARIA Come? Vi devo tutto questo? A voi? PAULET E perché, no? Mi son recato a Corte, ho consegnato la vostra lettera... MARIA L’avete consegnata? Veramente? E tutta questa libertà mi viene dalla lettera... PAULET E c’è ancora dell'altro, preparatevi a una cosa più grande. MARIA A una cosa più grande? Che vuol dire? PAULET Eppure li avete sentiti i suoni dei corni... MARIA Non fatemi paura. PAULET La Regina è a caccia non lontano. MARIA Che dite? PAULET E fra non molto vi starà davanti. ANNA soccorre Maria che tutta tremante è sul punto di venir meno. Che vi prende, mia cara? MARIA Perché non mi hanno preparata? Non son pronta: ora, no. Anna, torniamo, ho bisogno di calma. PAULET Rimanete. La dovete aspettare in questo luogo. Eppure vi capisco: star davanti a chi vi deve giudicare è cosa che fa paura. Talbot. Gli stessi. MARIA La ragione è un’altra, e ben diversa... Oh! nobile Shrewsbury, 10 non posso vederla: salvatemi da quel volto che odio. TALBOT Questa è l’ora che decide. MARIA L’ho attesa questa ora, da anni mi ci andavo preparando, parola per parola, a memoria, e i modi per commuoverla nel cuore. Non ricordo più nulla, tutto spento. TALBOT Dominate il tumulto del sangue. E’ lei la più forte, e voi dovete umiliarvi. MARIA Impossibile. TALBOT Dovete. Parlatele con tutta reverenza e con calma, chiamatela: regina! non insistete sui vostri diritti. MARIA A mani giunte, senza saperlo, ho chiesto la mia morte, ora me la concedono, a mio danno. Non bisognava vederci, non può, non può uscirne del bene: gravemente sono stata ferita, troppo male mi ha fatto. TALBOT L’ho veduta commuoversi alla vostra lettera, e gli occhi inumidirsi. C’è in lei del sentimento; e voi nutritele una maggiore fiducia! Per questo son venuto di corsa, per calmarvi e per darvi l’annuncio. MARIA prendendogli la mano. Talbot, voi mi foste sempre amico. Mi hanno fatto soffrire, Talbot. TALBOT Dimenticate tutto. Preparatevi a riceverla in umiltà, e basta. MARIA C’è anche Burleigh con lei? TALBOT Nessuno, tranne 11 Conte di Leicester. MARIA Ah! Leicester? TALBOT Non temete da lui. Non è lui che vuol la vostra rovina. Questo incontro è un po’ opera sua. MARIA STUARDA Tutti si scostano. Rimane Maria, soste nuta da Anna. Elisabetta, il Conte di Leicester e il se guito. Gii stessi. MARIA Ah! Lo sapevo. TALBOT Che dite? PAULET La Regina! ELISABETTA a Leicester. Questo paese, ha nome? LEICESTER Fotheringhay, il castello. ELISABETTA a Talbot. Rimandate la caccia, per le strade non si riesce a fendere la calca del popolo: noi cerchiamo riparo in questa pace. Talbot congeda il seguito. Elisabetta con tinua a fissare la Stuarda mentre si ri volge a Leicester. Il mio popolo esagera. Mi vuole troppo bene. Ma questa gioia è idolatria. Questo è l’onore che sì porge a un dio, non a un essere umano. MARIA che per tutto questo tempo sembrano sul punto di svenire, appoggiata alla nutrice, ora si riprende, e i suoi occhi incontrano lo sguardo fisso di Elisabetta. Ha un brivido e si rifugia di nuovo tra le braccia della nutrice. Ah! Non c’è cuore in quel volto. ELISABETTA Chi è quella signora? Silenzio generale. LEICESTER Regina, sei a Fotheringhay! ELISABETTA finge grande sorpresa e guarda severa mente Leicester. Chi mi ha fatto questo? Lord Leicester! LEICESTER Ormai non c'è più niente da fare, Regina! TALBOT Tu che sei la Regina, lascia cadere uno sguardo sopra questa infelice, che ti è davanti e non vive più. Maria raduna tutte le sue forze e fa qualche passo verso Elisabetta. Ma a FRIEDRICH SCHILLER un certo punto si ferma. Ha dei brividi. Silenzio. I suoi gesti esprimono violento contrasto interiore. ELISABETTA Signori, chi mi aveva parlato di una donna umile, umiliata? Una superba 10 trovo, al suo destino caparbia. MARIA Avete il cielo dalla vostra parte, sorella, e la vittoria sulla fronte; mi piego al dio che vi ha levato al trono. Cade in ginocchio. Ma ormai, sorella, siate grande! Non lasciatemi nella vergogna! Datemi aperta la vostra mano che mi sollevi da questo baratro. ELISABETTA Si tir a indietro. Siete nel posto che vi meritate, Signora. Io lodo Iddio che nella sua grazia non ha voluto buttarmi ai vostri piedi come siete voi ora, davanti a me. MARIA Venerate quel dio tremendo che mi butta ai vostri piedi. Per questa gente che ci vede, fatemi onore che ricada sopra voi. Non coprite di colpa e di vergogna questo sangue dei Tudor che a me come a voi scorre nelle vene. Ah! Dio! non rimanete là, scabra, lontana come lo scoglio che il naufrago tenta e ritenta di afferrar con le mani, invano. La mia vita, il mio destino, tutto dipende da queste parole, dalla forza che avranno le mie lacrime. Datemi il vostro cuore che io lo tocchi! Quando voi mi guardate mi si chiude 11 cuore, ed anche il piangere si ferma, e la paura mi lega dentro ogni preghiera. Ho i brividi. ELISABETTA fredda e sostenuta. Che cosa avete da dirmi, Stuarda? Volevate parlarmi. Io dimentico la regina — e voi l'avete offesa gravemente — e non voglio essere altro che la sorella, e vi concedo la mia benevolenza. Mi lascio andare al sentimento, anche se poi qualcuno mi darà biasimo, e giustamente. Perché, sapete, che da parte vostra si è cercato di farmi assassinare. MARIA Da quale parte comincio!? Mio Dio, metti la forza nelle mie parole, togli le spine ch’io non la ferisca. Come posso parlare a mia difesa, senza farvi accuse, e non lo voglio. Voi mi avete trattato in modo ingiusto, perché sono regina come voi, e prigioniera mi avete tenuto. Sono venuta come penitente, e voi le sacre leggi dell'ospite e i diritti dei popoli li avete messi sotto i piedi nel momento in cui mi chiudevate nelle mura di un carcere. La mia gente di casa mi fu strappata in modo crudele, mi si è fatto mancare il necessario, mi si manda davanti a un tribunale. Ma non voglio parlarne, e che l’oblio copra per sempre i miei dolori, tutti. Guardate! voglio chiamarlo destino quanto è accaduto: e a voi non faccio colpa, e non a me: lo spirito maligno è uscito fuori dalla terra a darci l’esca nei cuori. Fin da quando eravamo due bambine l'odio aveva diviso i nostri cuori. Le si avvicina. I suoi modi sono affet tuosi. Il tono è dolce. Ora siamo di fronte, l’una e l’altra. Parlatemi, sorella! Date un nome alla mia colpa: e vi darò risposta piena. Ah! perché non eravate pronta ad ascoltarmi, quando supplicai da voi uno sguardo!? Non saremmo arrivati a questo punto, e il tristo incontro non accadrebbe in questo luogo triste. ELISABETTA Non accusate il destino: ma il vostro cuore pieno di tenebra, ma la vostra Casa di un’ambizione frenetica. Non c’era odio fra noi, quando quel prete marcio d’ambizione che stende l’unghie verso tutti i troni, quella faccia di bronzo, vostro zio, volle muovermi guerra, e vi ha ingannato, consigliandovi a prendere il mio stemma, a giungere alla vostra la corona mia di regina, e a scendere in campo per la vita e la morte contro me. La minaccia era spinta alla mia testa, ma è la vostra che cade. MARIA Io sono nelle mani del Signore. Ma voi, non userete crudamente della vostra potenza? ELISABETTA Chi me lo può impedire? Vostro zio ha dimostrato ai principi del mondo come fare la pace col nemico: e la notte di San Bartolomeo diventi la mia scuola. Che m’importa dei vincoli del sangue, del diritto dei popoli? La Chiesa, i vostri preti, non consacrano forse il tradimento e l’assassinio dei re? Se vi sciolgo dalle catene, io troppo generosa, chi mi fa garanzia? Rispondetemi. C’è un castello dove io possa tenere voi — mia fedele — che San Pietro non apra con le sue chiavi? MARIA Oh! questo eterno sospettare intrighi! E' triste! Non sapete che vedermi straniera, nemica. Ma se mi aveste nominato erede vostra, secondo il mio diritto, allora sì, vedevate affetto e gratitudine, fare di me la vostra amica più fedele. ELISABETTA Nominarvi mia erede!? eccolo il laccio! Per lasciarvi sedurre la mia gente, — perché voi siete furba, siete una Armida, — per lasciarvi ordire le vostre reti d'amore intorno alla nobile gioventù del mio regno, e tutti volgerebbero lo sguardo al nuovo astro che nasce, e intanto io viva... MARIA Tenete il vostro regno, in pace! Rinunzio ai miei diritti, quanti sono. Le ali del mio spirito son piombo, e la potenza non mi chiama più. Voi ci siete riuscita: io sono l’ombra di Maria Stuarda. La vergogna del carcere ha spezzato ogni coraggio, dopo tanto tempo. E avete fatto anche di più: m’avete distrutto nel mio fiore. Ora basta, sorella! Pronunziate la parola per cui siete venuta, perché non voglio credere che siete qui per schernire la vostra vittima. Ditela questa parola! Dite: — Maria, siete libera! Dopo la potenza imparate a conoscere la mia magnificenza. — Ditela, e vorrò ricevere la mia vita, la mia libertà, come un regalo dalle vostre mani. Una parola può abolire il tempo. Io l’aspetto! Non fate che io spasimi d'attesa! MARIA STUARDA Male a voi, se non finite con questa parola! Perché se nel lasciarmi non spargete benedizioni intorno, come una divinità stupenda, no, sorella, per tutta la ricchezza di quest’isola, tutte le vostre isole nel mare, non vorrei starvi davanti come voi ora siete avanti a me. ELISABETTA Era tempo, vinta vi confessate: con gli intrighi è finita, sì, Maria Stuarda, è finita. Voi non seducete più nessuno dei miei. Il mondo si preoccupa di altro. E non c’è più nessuno che si senta la voglia di farvi da quarto marito, perché voi li uccidete i vostri amanti, come i mariti. MARIA Sorella! Sorella! Dio! fa’ che mi trattenga. ELISABETTA la esamina a lungo con uno sguardo di orgoglioso disprezzo. E’ dunque questo il fascino che un uomo non poteva guardare senza rischio, ed una donna non osava di mettersi vicino!? Veramente, Lord Leicester, la fama era di quelle a buon mercato. Per sembrare bella ad ogni uomo, basta appartenere ad ogni uomo. MARIA E' troppo! ELISABETTA ride con scherno. Ecco quello che siete, prima era una maschera. MARIA Ho sbagliato come un essere umano, in gioventù, la potenza mi ha trascinato, ma non ne ho fatto mistero, ho sdegnato regalmente che mi si vedesse altra da quello che ero: il mondo mi conosce, e posso dire che sono migliore della mia fama. Ma guai a voi quel giorno che vi strappino il bel mantello che vi copre tutta, ipocrita, che dietro a una maschera bruciate di libidine. L’onestà non l’avete ereditata, certo, da vostra madre. Si sa bene la virtù che ha portato al patibolo Anna Bolena. FRIEDRICH SCHILLER si pone fra le due regine. TALBOT Dio! è questo il modo di frenarsi? MARIA Frenarsi! Ho sopportato quanto è umano sopportare. Va’ via calma di agnello! Vile pazienza, dileguati! Odio a lungo trattenuto, vieni fuori dal tuo profondo, spezza le catene finalmente: e se infondi lo sguardo che uccide al serpe inasprito, metti a me sulla lingua il veleno. TALBOT E' fuor di senno. LEICESTER L’ira impedisce a Elisabetta di parlare. Lancia su Maria sguardi furibondi. nella massima agitazione cerca di al lontanare Elisabetta. Non ascoltare la pazza furente: Via! Via! da questo luogo di sciagura. MARIA Il trono d’Inghilterra è profanato da una bastarda, il popolo britanno è nei lacci di un’abile falsarla. Se qui valesse il buon diritto, voi ora stareste umile ai miei piedi, io, la vostra Regina. Elisabetta esce rapidamente e i Lords la seguono. Maria, Anna. ANNA Che avete combinato! Se n’è andata tutta in furia! MARIA ancora completamente fuori di sé. Sì, Anna, finalmente, dopo la lunga umiliazione, dopo tanto soffrire, finalmente un attimo per la vendetta, è come se un macigno mi cadesse dal cuore. ANNA Voi infelice! La pazzia vi trascina; voi l’avete ferita; e quella non perdona, quella ha la folgore in mano, la regina, e sotto gli occhi dell’amante! MARIA Sotto gli occhi di Leicester! Egli ha veduto ia mia vittoria, quando la umiliavo egli era lì, al suo fianco, e quella vista mi ha dato forza. Mortimer. Gli stessi. ANNA Signore, che disastro! MORTIMER fa un cenno alla nutrice di mettersi di guardia. Tutto il suo aspetto esprime uno stato d’animo di incontenibile pas sione. Ho inteso. A te la vittoria! L’hai messa nella polvere, tu, Regina, lei, rea. MARIA Avete visto Leicester? Vi supplico, parlate! Gli avete dato il mio scritto, il mio regalo? MORTIMER la guarda con occhi di fuoco. Il tuo nobile furore ti risplendeva intorno, e mi sembravi anche più bella. MARIA Signore, vi prego: calmate la mia ansia. Cosa dice il Conte? C’è una speranza per me? MORTIMER Chi? Quel vigliacco? Non contate su di lui, dimenticate quel ribaldo. MARIA Che dite? La mia lettera? Non gliel’avete consegnata? Allora è finita! MORTIMER Al vigliacco piace vivere. Ma chi ti vuol salvare e far di te la donna della sua vita, costui deve essere pronto ad abbracciare la morte. MARIA Non vuol far nulla per me? MORTIMER Non parliamo di lui. E che può fare? Che bisogno ne abbiamo? Io, solo io, ti salverò. MARIA Voi? Che potete fare? MORTIMER Tutto è perduto. Agire bisogna. L’audacia taglierà corto. Prima del mattino dovete essere libera. MARIA Questa notte? Come farete? MORTIMER Ha radunato i compagni in una cappella segreta, a un prete abbiamo fatto confessione, ci sono stati rimessi i peccati, tutti, fino da ora, i peccati futuri. Abbiamo ricevuto l’estrema unzione. Siamo pronti all’ultimo viaggio. MARIA Spaventosi rimedi! MORTIMER Questa notte noi forziamo il castello. Son padrone di tutte le chiavi. Scanniamo le guardie, ti strappiamo dalla tua stanza, non resterà anima viva, e nessuno potrà testimoniare contro di noi. MARIA E i miei guardiani, Drury, Paulet? A pezzi si lasceranno fare... MORTIMER Per i primi cadranno sotto il mio pugnale. MARIA Come!? Vostro zio che vi ama? MORTIMER Morirà di mia mano. MARIA Ah! sangue, sacrilegio! MORTIMER Ci sono perdonati fin da ora i sacrilegi, tutti. Mi è concesso ogni delitto, e lo farò. MARIA Che orrore! MORTIMER Dovessi pugnalare la regina, l’ho giurato sull’ostia consacrata. MARIA Dio! Che parole, che sguardi! Signore, voi mi fate paura. MORTIMER MARIA Indietro, forsennato! MORTIMER Un cantante, Rizzio, tu l’hai reso felice. Bothwell ti ha persino sedotto... gli occhi smaniti e l’espressione di un pazzo. Se la morte non è che un attimo, anche la vita è un attimo soltanto. Mi si trascini a Tyburn, mi si stracci la carne a brano a brano con una tenaglia di fuoco, mi basta averti stretto fra le braccia, io ti adoro. Le si avvicina focosamente a braccia spalancate. MARIA STUARDA MARIA Tracotante. MORTIMER E non era che un despota. Se è questo, se non è che il terrore a darti vinta, ah!, perdio... MARIA Lasciatemi! Siete pazzo! MORTIMER Devi tremare anche davanti a me. ANNA Si avvicinano. Vengono. Soldati hanno riempito il parco. MORTIMER trasale e impugna la spada. Io ti difendo. MARIA Salvami dalle mani di costui: Un rifugio! Un santo! Un santo che mi protegga. Fugge. Anna la segue. Paulet e Drury, fuori di sé, entrano a precipizio. Gente del seguito attraversa la scena. Mortimer. PAULET Sbarrate ogni passaggio! In alto i ponti! MORTIMER Zio, che succede? PAULET Dov’è l’assassina? Giù! Nel più buio carcere! MORTIMER Che accade? PAULET La Regina! MORTIMER Di che regina parli? PAULET D’Inghilterra! Assassinata per le vie di Londra. Si affretta verso il castello. Mortimer, e subito dopo Okelly. MORTIMER Assassinata, la Regina? Chi è passato di corsa e ha gridato queste parole? Sono in preda a un sogno? Sono in preda a una febbre di follia, che mi par di sentire e di toccare gli orrori che mi strappano la mente? OKELLY a precipizio. Fuggite, Mortimer. Tutto è perduto. MORTIMER Perduto? OKELLY Non fate domande: la fuga, al più presto! FRIEDRICH SCHILLER MORTIMER Ebbene? OKELLY Sanvage, quel pazzo, ha fatto il colpo. MORTIMER Dunque, è vero? OKELLY Vero! Vero! Salvatevi! MORTIMER Morta, e sul trono d’Inghilterra sale Maria Stuarda! OKELLY Morta? E chi lo dice? MORTIMER Voi stesso! OKELLY Vive, e noi siamo perduti. MORTIMER Ah! Vive!? OKELLY Il colpo è andato a vuoto. Il manto 10 ha raccolto. Talbot disarmava l’assassino. MORTIMER E’ viva. OKELLY 11 parco è tutto circondato. Venite. MORTIMER Dio vi guardi nella fuga. Io rimango. Farò l’ultima prova: o riesco a salvarla, o mi compongo insieme a lei, nella bara. Si allontanano in direzioni diverse. A T T O Q U A R T O Il Palazzo di Westminster. Un’anticamera. Il Conte di Albaspina, il Conte di Kent e il Conte di Leicester. ALBASPINA Avete notizia di Sua Maestà? Lo spavento mi ha turbato, vedete. Non mi riesce di calmarmi. Dite, com’è accaduto: come è mai possibile, proprio in mezzo ad un popolo fedele. LEICESTER Il popolo non c’entra. L’assassino è un suddito del vostro re, un francese. ALBASPINA Un pazzo, certo. KENT Un seguace del Papa, Conte di Albaspina! Albaspina esce. Kent lo segue. Burleigh e Davison in colloquio. Leicester. BURLEIGH Sul momento l’ordine di esecuzione deve essere steso, completo di sigillo. Appena pronto, bisogna presentarlo alla regina per la firma. Andate. Non c’è tempo da perdere. DAVISON Sarà fatto. (Esce). BURLEIGH Voi, dietro alle mie spalle, voi che avete attirato la regina a Fotheringhay! LEICESTER Dietro alle vostre spalle! Ma da quando devo temere i vostri occhi sopra quello che faccio? BURLEIGH Una bella parte voi avete assegnato alla regina! Un trionfo magnifico, per lei che si affidava a voi senza sospetto! Oh! mia buona sovrana, ti hanno schernito senza vergogna, e tu eri là senza riparo! Dunque era questo l’accesso di bontà e di animo splendido che vi ha colto all’improvviso nel consiglio di Stato! Ecco, perché questa scozzese è un nemico da poco, tanto fragile da non valer la pena di macchiarsi del suo sangue! Oh, il piano era sottile! Troppo sottile: aveva l’aculeo: e si è spuntato. LEICESTER Indegno! Seguitemi all’istante! Davanti al trono della mia regina avete da rispondermi. BURLEIGH Là mi troverete. E badate, Milord, che la parola non vi manchi, davanti alla regina. Leicester solo. Poi Mortimer. LEICESTER Sono scoperto! Spiato! Se la regina sa che tra Maria e me... Dio! Come paiono perfidi, insidiosi i miei consigli, quel fare di tutto per trascinarla a Fotheringhay! Mai mai potrà perdonarmelo! Ogni cosa sembrerà preparata, sì: il veleno di quel discorso, le risa di scherno, e perfino la mano del sicario 10 l’avrò fornita del pugnale! Dove, dove salvarmi? Ah! Chi viene!? MORTIMER entra agitatissimo e guardingo. Siete voi? Conte di Leicester! Nessuno ci sente? LEICESTER Disgraziato! Via di qua! Che cercate? MORTIMER Siate prudente. Sono sopra le nostre tracce: ed anche sulle vostre, Leicester. LEICESTER Via di qua! Via! Via! MORTIMER Hanno saputo di un convegno nella casa di Albaspina. LEICESTER Che m’importa! MORTIMER E che vi ha preso parte l’assassino. LEICESTER Questo riguarda voi, voi. Come osate mescolare il mio nome ai vostri crimini di sangue? Difendetele da solo le vostre colpe. MORTIMER Ascoltatemi, almeno. LEICESTER Nell’inferno! Perché state attaccato ai miei calcagni? Via, spirito maligno! Non vi conosco: io con i sicari non ho nulla in comune. MORTIMER Non volete ascoltarmi. Per mettervi in guardia, sono venuto: per dirvi che siete scoperto, anche voi. LEICESTER Ah! MORTIMER 11 Tesoriere, subito dopo il fatto si è recato a Fotheringhay. Hanno perquisito tutte le stanze della regina. Hanno trovato... LEICESTER Che cosa? MARIA STUARDA MORTIMER Una lettera che la regina aveva cominciato per voi. LEICESTER Disgraziata! MORTIMER Questa lettera è nelle mani di Burleigh. LEICESTER Sono perduto. Mentre Mortimer parla, cammina su e giù disperato. MORTIMER Ora, salvatevi! Salvate lei. Io non posso più nulla. I congiurati si sono dispersi, il nostro giuramento è andato a pezzi. Io corro in Scozia a raccogliere amici. Giurate la vostra innocenza, inventate scuse che il peggio non vi colga. LEICESTER improvvisamente, colpito da un suo pen siero, si ferma. Sì, lo farò. Guardie, a me! Spalanca una porta, e chiama: All’ufficiale che entra con un gruppo di guardie. Un traditore dello Stato, costui! Badate che non fugga. Una orrenda congiura si è scoperta. Vado a darne l’annunzio alla regina. Esce. MORTIMER sorpreso e impetrito alle prime parole di Leicester; si riprende rapidamente, e guarda il Conte con il più profondo disprezzo. Ah! Infame! Ben mi sta! Dare la mia fiducia a un miserabile! Salvati!, che neppure nella morte ti voglio con me. L’ufficiale gli si avvicina per arrestarlo. UFFICIALE Disarmatelo! MORTIMER Maledizione sopra voi che avete tradito il vostro Dio in cielo e la vostra regina sulla terra, venduti a una bastarda in trono. UFFICIALE Sentite le bestemmie! Su! Prendetelo! FRIEDRICH SCHILLER MORTIMER Amore! Non ti ho potuto salvare. Vergine Maria, prega per me. Si trafigge e stramazza in braccio alle guardie. L’appartamento della Regina. Elisabetta, con una lettera in mano. Burleigh. ELISABETTA Morire deve. E lui deve vederla cadere, e poi la segua. L’ho sbandito dal mio cuore. Egli vi stava, in alto, ora sprofondi. Era un esempio della mia debolezza, ora diventi un segno memorabile della mia forza. Lo si rinchiuda nella Torre. I Pari ne daranno giudizio. BURLEIGH Farà di tutto per vederti e si vorrà discolpare. ELISABETTA Discolpa? E quale? La lettera 10 accusa! Oh, il suo crimine è chiaro come il sole! BURLEIGH Ma tu hai cuore tenero e grazioso; ti basta di vederlo, e la presenza... ELISABETTA Non voglio vederlo. Basta, mai più. Se viene, lo si cacci. Avete dato l’ordine? BURLEIGH L’ho dato. PAGGIO entrando. 11 Conte di Leicester. ELISABETTA Il mostro! Non lo voglio vedere. Riferite: non voglio. Il Paggio esita. Tanto in alto l’ho messo che i miei servi tremano più di lui che della mia legge. BURLEIGH al Paggio. Non si avvicini! E’ un comando della regina. Il Paggio esce, sempre con esitazione. ELISABETTA dopo una pausa. E se potesse ancora giustificarsi. Non potrebbe essere un inganno di lei, della Stuarda, per strapparmi l’amico più fedele? spalanca la porta con violenza ed entra con aria da padrone. Ne sa tante quel fiore di donna! Se lo invischiava con quella lettera per seminare il dubbio nel mio cuore come un veleno!? BURLEIGH Regina! bada... Leicester. Gli stessi. LEICESTER Voglio vedere in faccia lo sfrontato che mi sbarra la porta della mia regina. ELISABETTA L’insolente! LEICESTER Se un Burleigh la può vedere, anch’io posso vederla! BURLEIGH Dimostrate deH’animo, Milord, a irrompere così. LEICESTER E voi mostrate una faccia incallita, Signore, a prender la parola, qui. O forse ha da chiedere permesso a qualcuno, il Conte di Leicester? Io, dalla bocca della mia regina... ELISABETTA senza guardarlo. Indegno! Via da me! LEICESTER 10 faccio appello alla mia Elisabetta. Hai ascoltato lui, e ora ascolta me. ELISABETTA Spudorato! Parlate. Aggravate 11 vostro crimine. Negatelo! LEICESTER Prima fate allontanare questa persona superflua. Signore, andate via. Quello che devo discutere insieme alla mia regina, non ha bisogno di testimoni. Andate. ELISABETTA a Burleigh. Rimanete. Lo voglio. LEICESTER Il tuo favore! Non riconosco altro tribunale sopra di me. ELISABETTA Lo svergognato! E' proprio questo che vi condanna, per il primo! Mostrategli la lettera, Milord. Si avvicina a Elisabetta umilmente. scorre la lettera senza perdere la calma. calmo dopo aver letto con calma. BURLEIGH Ecco qua. LEICESTER La scrittura è della Stuarda. ELISABETTA Leggete, che vi manchi la parola! LEICESTER Per quel che sembra, io sono colpevole. Pure, voglio sperare, non sarò condannato per quello che qui sembra. ELISABETTA Dunque, negate che ve la intendete con la Stuarda, di nascosto, e avete ricevuto da lei un suo ritratto e vi siete impegnato a liberarla. LEICESTER Sarebbe troppo facile smentire la parola di una che mi odia, se mi sentissi colpevole: invece la mia coscienza è pura. Riconosco che quanto scrive è tutta verità. ELISABETTA Disgraziato! BURLEIGH Si accusa da solo! ELISABETTA Via da me! Nella Torre! Traditore! LEICESTER No, traditore, no. Fare un segreto della mia intenzione, questo il mio sbaglio. Ma era solo un modo per sorvegliare la nemica, e perderla. ELISABETTA Miserabile scusa! BURLEIGH E voi credete... LEICESTER So d’avere giocato con il fuoco. C’è un uomo, e tu fra tutti lo distingui col tuo favore: bene, a questo uomo deve venire concessa una strada sua, audace, per fare il suo dovere. BURLEIGH Se l’intenzione era buona, perché farne un segreto? LEICESTER Prima di agire, voi fate un gran baccano della cosa, la sbandierate ai venti: ed è il sistema vostro, Signore. Il mio sistema, invece, è: prima agire e poi parlare. BURLEIGH Voi oggi parlate perché non vi resta altro. MARIA STUARDA LEICESTER dopo averlo squadrato dall’alto in basso con ironia. La regina e Burleigh si scambiano uno sguardo. La loro sorpresa è evidente. Sapete tutto, al vostro sguardo acutissimo nulla sfugge: voi credete, voi, spaccone da strapazzo! Ma dov’è il vostro fiuto! La Stuarda oggi sarebbe in fuga, se io non lo avessi impedito. BURLEIGH Voi...? LEICESTER Io, Milord. La regina aveva aperto l’animo a quel Mortimer, fino a dargli un incarico di sangue: la morte di Maria. Dite, non è così? BURLEIGH Come potete sapere... LEICESTER Dove li avevate i vostri cento occhi che non vi siete accorto che quel Mortiner vi ingannava? Che era un furente seguace del Papa, che lavorava pei Guisa, che era una creatura di Maria Stuarda, un fanatico pronto allo sbaraglio venuto apposta qui per liberare la Stuarda e ammazzare la regina. ELISABETTA senza nascondere il suo stupore. Quel Mortimer... LEICESTER Faceva da catena fra noi due. Così l’ho conosciuto. Oggi doveva liberarla e io l’ho fatto arrestare. Gli ho strappato la maschera. Perduta ogni speranza, si è troncata la vita. BURLEIGH E tutto questo, dopo che vi aveva lasciato? LEICESTER Per quanto mi riguarda, io lamento la sua fine in quel modo. BURLEIGH Avete detto: si è troncata la vita. O gliela avete troncata voi? LEICESTER Ignobile sospetto. Venga la guardia che l’ebbe in consegna da me. FRIEDRICH SCHILLER Chiama dalla porta. Entra della Guardia del Corpo. l’ufficiale Narrate a Sua Maestà come quell’uomo è morto. UFFICIALE Ero di guardia nella sala di attesa, quando il Conte apre in fretta la porta e mi comanda di tenere in arresto il cavaliere perché è un traditore dello Stato. Costui impreca a Sua Maestà, e prima di poterlo trattenere si pugnala nel petto, e cade morto. LEICESTER Bene. Potete andare. La regina ora sa quanto basta. L’ufficiale esce. ELISABETTA Un abominio. LEICESTER Chi ti ha salvato? Il Barone di Burleigh? Sapeva del pericolo che ti circondava? E’ lui che lo ha stornato? BURLEIGH Questo Mortimer si è ucciso nel momento più opportuno per voi. ELISABETTA Non so che cosa debbo dire. Vi credo e non vi credo. LEICESTER Il mio consiglio fu di tenere aperta la sentenza fino al primo tumulto in suo favore. Questo è accaduto; e ora devo insistere perché venga portata sino in fondo. BURLEIGH E siete proprio voi a dare questo consiglio? LEICESTER Ormai ne sono certo; il bene della regina esige questo sangue. Perciò io dico: l’ordine di morte venga redatto subito. BURLEIGH Di fronte a tanta fedeltà, propongo che il Conte di Leicester eseguisca lui la condanna. LEICESTER Io? ELISABETTA con gli occhi negli occhi di Leicester. Ben detto. Approvo, e sia. LEICESTER Il mio grado mi scioglie facilmente da un incarico simile, che invece sembra fatto a misura per un Burleigh. Tuttavia, per piacere alla regina, mi spoglio dei diritti del mio grado, e mi assumo un dovere che non amo. ELISABETTA Lord Burleigh, lo divida insieme a voi. Rivolgendosi a Burleigh. Fate che questo ordine sia pronto subito. Burleigh esce. Tumulto dalla strada. Il Conte di Kent. Gli stessi. ELISABETTA Kent, che cos’è? Il Popolo si aduna? KENT Sta circondando i muri del palazzo, come un torrente, chiede di vederti. ELISABETTA E che vuole il mio popolo? KENT Paure corron le vie di Londra. C’è la voce che gli assassini vanno per le strade inviati dal Papa contro te, che i cattolici han fatto giuramento di strappare dai ceppi la Stuarda con la forza per metterla sul trono. E il popolo s’infiamma. Chiede la testa di Maria Stuarda. ELISABETTA Mi si costringe? KENT Non tornano indietro, se non metti la firma alla sentenza. Burleigh e Davison che ha in mano un foglio. Gli stessi. ELISABETTA Che mi recate, Davison? DAVISON Regina, per tuo comando. ELISABETTA Che? domanti a Elisabetta, in tono grave. Mentre sta per prendere il foglio ritira la mano con un brivido. Mio Dio! BURLEIGH Inchinati alla voce del popolo, alla voce di Dio. ELISABETTA indecisa e combattuta. Signori, e chi mi garantisce che raccolgo la voce del mio popolo intero? E gli altri popoli? Talbot. Gli stessi. Si accorge di Davison che ha il foglio in mano. TALBOT entra molto emozionato. Regina, ti vogliono incalzare, non lasciarti costringere. E’ già fatto? E’ vero? ELISABETTA Conte, forzano la mia mano! TALBOT E chi lo può? Tu sei padrona di te stessa e del tuo giudizio: è un delirio cieco la paura che agita la folla. BURLEIGH Non è questione di giudizio, qui, che già da tempo è giudicato tutto: non resta che l’esecuzione. KENT che si era allontanato all’arrivo di Talbot, rientra. Grande fermento. Non si tiene più. TALBOT Non c’è testa sicura in Inghilterra se cade questa che è sacra. ELISABETTA Ah! Talbot oggi mi avete salvata. Perché deviare il pugnale? Sono stanca di vivere, sono stanca del trono! Riconosco che una delle due ha da cadere perché l’altra viva: perché non sarò io quella che cede? Restituisco al popolo la sua investitura: e scelga una seconda volta. Giudichi Dio se ho vissuto per me o per il bene del mio popolo. Questa regina, la Stuarda, è più dolce, è più giovane. Potrà dare giorni felici a questa isola. Chi regna deve avere cuore duro, il mio è un cuore tenero. BURLEIGH Per Dio! Devo ascoltare queste parole dalla bocca della regina! Se dovessi tacere, tradirei il mio grado, la mia terra. Vuoi che il frate ritorni a comandare, e che il legato di Roma MARIA STUARDA chiuda le nostre Chiese, deponga i nostri re? A te io chiedo conto delle anime dei tuoi sudditi. Talbot ti ha salvato la vita, io salvo l’Inghilterra, ed è qualcosa di più. ELISABETTA Lasciatemi sola. Non c’è conforto né consiglio presso gli uomini. E’ grave la cosa. La sollevo al giudizio dell’Eterno. A Lui voglio rimettermi. Signori, uscite. A Dav ison. Voi restate qui, vicino. Tutti escono. Talbot esce per ultimo, si ferma davanti alla regina e la guarda intensamente, poi si allontana a passi lenti. Elisabetta, sola. ELISABETTA Essere schiavi del popolo!, ah! brutta servitù. Non chiamate sovrano, chi deve piacere a tanta gente: fare a meno degli uomini, questo è da sovrano. Per tutta la vita, in ogni cosa, ho cercato giustizia, la tirannide al bando. Così per questa violenza che ora non posso evitare e compio per la prima volta, ho le mani legate, perché giusta sono stata, e la giustizia a me è condanna. Se fossi stata sanguinaria come Maria la spagnuola che mi ha preceduto sul trono, allora potrei senza colpa spargere il sangue dei re. Ma la mia voglia di giustizia era una libera scelta 0 un calcolo? 1 regni della terra sono tutti protesi alla mia morte. Da Roma il Papa mi vibra scomuniche sopra la testa, e nel darmi un bacio mi tradisce il cugino di Francia. Alla luce del sole il re di Spagna mi volge lo sterminio sopra i mari. Da tutto il mondo, guerra. Basta, con l’angoscia. Cada la sua testa. Pace. Là dove mi coltivo una speranza, dove spunta una gioia, quella serpe d’inferno mi sbarra la strada, mi strappa l’uomo che amo e le nozze mi ruba. Ogni male FRIEDRICH SCHILLER che piomba sul mio capo non ha che un nome: Maria Stuarda. Silenzio. Si avvicina in fretta al tavolo e afferra la penna. Disgraziata, tu mi hai chiamato bastarda. Sì, lo sono, ma fino a quando respiri tu. Il dubbio si distrugge con te: io ti distruggo. Firma con un tratto di penna, rapido, si curo. Impaurita lascia cadere la penna. Pausa. Alla fine suona un campanello. Davison, Elisabetta. ELISABETTA Dove sono gli altri Lords? DAVISON Sono scesi a calmare il gran tumulto: e il nobile Conte di Shrewsbury ha parlato con tanta forza e con tanta dolcezza, rimproverando la loro violenza, che infine è riuscito a portarli alla ragione, e ognuno se ne andava in gran silenzio. ELISABETTA Il popolo si volge ad ogni vento. Sta bene. Voi potete andare. Quando Davison è sulla porta. Questo foglio, lo metto nelle vostre mani. Signore, riprendetelo. DAVISON trasale guardando il foglio. La vostra firma! ELISABETTA vuole andarsene. Una firma non uccide. DAVISON sbarrandole il passaggio. No, no, mia regina, prima di lasciarmi, fa’ ch’io sappia la tua volontà. ELISABETTA Signore, lascio alla vostra prudenza. DAVISON interrompendola subito spaventato. Alla mia? Dio non voglia! Parla! ELISABETTA Voglio che non si pensi più a questa cosa infelice, mi si lasci tranquilla per sempre, finalmente. DAVISON Cosa debbo fare? ELISABETTA L’ho detto. DAVISON Non mi hai detto nulla! ELISABETTA battendo il piede. Intollerabile! Fate il dovere vostro. Esce. Davison, poi Burleigh. DAVISON E’ andata! Che fare!? Che fare!? Signore, voi mi avete dato questo ufficio. Ora: liberatemi! Ch’io rientri nell’ombra. Questo grado non è fatto per me. BURLEIGH Che vi succede? Tornate in voi. Mostrate la sentenza. DAVISON Datemi un consiglio. Questa è la sentenza. C’è la firma. BURLEIGH Date qua! Date qua! DAVISON Non posso. BURLEIGH Come? DAVISON Sua Maestà non è stata chiara. BURLEIGH Chiara? Con la sua firma? Date qua! DAVISON Non so che fare. BURLEIGH Se tardate siete in colpa. DAVISON E se m’affretto... BURLEIGH Date! Gli strappa il foglio, e via di corsa. DAVISON No! no! inseguendolo. A T T O Q U IN T O Nel Castello di Fotheringhay. Una stan za. Anna, vestita a lutto strettissimo, ha gli occhi consumati dal piangere, sem bra l’immagine del dolore, è occupata a sigillare pacchetti e lettere. A volte si ferma, sopraffatta dall’angoscia, e allora comincia a pregare. Entrano, vestiti di nero, Paulet e Drury. Alcuni servitori li seguono, con vasi d’argento e d’oro, spec chi, quadri, e altri oggetti di valore, che ammucchiano in fondo alla stanza. Pau let consegna alla nutrice uno scrigno, con l’inventario delle cose restituite. La vista di tutti questi tesori rinnova la dispera zione della nutrice. Paulet, Drury, i Ser vitori si allontanano in silenzio. Entra Melvil. ANNA con un grido. Melvil! Voi! MELVIL Ancora ci vediamo, Kennedy. ANNA Doveva morire per poterli rivedere gli amici. Ah! Melvil! Melvil!, e noi si doveva rimaner vivi sino all’alba di questo giorno. MELVIL Piangere voglio per la vita che mi rimane, e questo lutto non lo voglio deporrre più: ma oggi, oggi devo essere forte, per darle un aiuto sull’ultima via. ANNA Melvil, siete in inganno se credete che la regina bisogni di noi per star diritta. E’ lei che dà coraggio a noi tutti. MELVIL Dov’è ora? Mi potete condurre fino a lei? ANNA Ha pregato una parte della notte, ha scritto alcune lettere di addio, ha steso di suo pugno il testamento. In questo momento riposa. Le fa bene questo sonno ultimo. MELVIL C’è qualcuno con lei? ANNA Il dottor Burgoyn e le sue donne. Margherita, Kuri. Gli stessi. ANNA Che c’è Signora Kurl? Si è svegliata? KURL asciugandosi le lacrime. E’ già vestita, e chiede di voi. ANNA Vado. A Melvil che vorrebbe seguirla. Non mi seguite. La preparo al vostro incontro. KURL Il vecchio Melvil! Il maestro di casa! MARIA STUARDA MELVIL Eccomi qui. KURL Ma ormai questa casa non avrà più bisogno del maestro. Voi venite da Londra. Che sapete di mio marito? MELVIL Dicono che lo scioglieranno appena... KURL Appena la regina avrà compiuto la sua giornata. Traditore indegno! Ah! che vergogna. L’assassino è lui. Lui ha giurato una testimonianza che l’ha perduta. E’ vero? MELVIL E’ vero. KURL Anima maledetta sino all’inferno! Ha dichiarato il falso. MELVIL Signora Kurl, pensate a quel che dite. KURL Lo giurerò davanti al tribunale; voglio gridarlo in faccia, che lo sappiano tutti: muore innocente. MELVIL Lo volesse il cielo! Burgoyn. Gli stessi. Poco dopo, Anna. Alla fine, le Cameriere. scorge Melvil. abbracciandolo. BURGOYN Oh! Melvil! MELVIL Burgoyn! BURGOYN a Margherita Kurl. Riempite un calice di vino per la nostra signora. Fate presto. La Kurl esce. MELVIL Si sente male, la regina? BURGOYN No, si sente forte. Il suo coraggio la sostiene e le fa credere di non aver bisogno di alcun nutrimento. Ma le rimane ancora una battaglia dura. MELVIL ad Anna che rientra. Mi vuol vedere? FRIEDRICH SCHILLER ANNA Sta per giungere. Ah! Melvil, mancavamo di tutto quando eravamo vivi, ora insieme alla morte ci ridanno le cose che non servono più. LE CAMERIERE Signore, abbi pietà della nostra regina. MELVIL Frenatevi! Eccola! Margherita Kurl rientra con un calice di vino e lo posa sulla tavola. Maria Stuarda. Gli stessi. E’ vestita a festa con un abito bianco. Porta una col lana a grani con il medaglioncino del- l’Agnus Dei, dalla cintura le pende un rosario, nelle mani un crocifisso, sui cappelli un diadema e un grande velo nero piegato all’indietro. Mentre avanza, i presenti, con i segni del dolore sul volto, si scansano facendo ala. Melvil, quasi senza volerlo, è caduto in ginoc chio. guardando intorno con calma suprema. A Melvil che guarda intorno gli oggetti. MARIA Perché piangete? Che lamento è questo? Gioire voi dovreste insieme a me per la fine di ogni sofferenza, oramai non lontana. Quando ero in balìa della superba nemica, quando sopportavo cose non degne di una regina, allora, amici, era il momento di piangere per me. Avanza un poco. Melvil! No, non così, nobile cuore, alzatevi. Più di una volta il pensiero di voi mi ha fatto male. Come sta Didier? Certo, il mio fido cameriere dorme da lungo tempo nell’eterno sonno, era avanti con gli anni. MELVIL Questa grazia iddio non gliel’ha data. E’ vivo. MARIA Devo morire tra gente straniera. Non ho che lacrime vostre. A voi, la protezione del regale cognato di Francia: egli avrà cura di voi: che se vi è cara l’ultima preghiera, non rimanete in Inghilterra a nutrire l’orgoglio dell’inglese, quando vedrà i miei fedeli caduti nella polvere. Sopra il Crocefisso, qui, fatemi promessa, appena io non sarò più, di abbandonare questa terra della sventura. MELVIL con la ma no sul Crocefisso. A te lo giuro, nel nome di costoro. MARIA Tutto quello che ancora mi rimane, di cui posso disporre, l’ho diviso tra voi. Sono le mie ultime volontà, e saranno eseguite, spero. L’abito è vostro e tutto quanto mi copre. A te mia buona Alice, a te Gertrude, a te Rossana, ho destinato i miei vestiti e le mie perle. Siete giovani ancora e le cose belle vi fan piacere. Margherita, il mio testamento vuol dirti che per me non conta la falsità di tuo marito. Tu sei quella che ha maggior diritto alla mia carità, perché fra tutte le infelici ti lascio più infelice. O Anna, prendi questo pannolino. Nei giorni tristi io lo ricamavo per te, con le mie mani, e ha sapore di lacrime: con questo panno mi benderai gli occhi, quando sarà il momento. Questo è l’ultimo servigio, e lo desidero da te. ANNA Melvil, non reggo più. MARIA con le mani tese. Uno dopo l’altro in lacrime cadono ai suoi piedi e le ba ciano le mani. Venite qui, tutti. Addio, Margherita! Alice, addio! Burgoyn, vi ringrazio per la vostra opera. Le tue labbra son di fuoco, Gertrude — sì, molti mi hanno odiato, e molti, molti amato. — Sia degno l’uomo che ti fa felice, mia Gertrude, perché il tuo cuore arde e chiede amore. Berta, tu hai voluto per te la parte migliore, va’, affrettati, va’, va’, pronunzia i tuoi voti. Ora, basta! Addio! Addio! per sempre! Si distacca in fretta. Tutti si allonta nano. Rimane Melvil. Maria. Melvil. MARIA Ho messo ordine alla parte terrena, e spero di andarmene dal mondo senza debiti: ma c’è un punto, Melvil, che mi opprime. Io sto per presentarmi al Giudice Supremo, e non ho ancora il perdono di Dio. Mi hanno negato un sacerdote della mia Chiesa. Voglio morire nella fede che è mia. MELVIL Un legno secco può buttare foglie, se chi lo stringe ha fede. Colui che dalla pietra fa sgorgare l’acqua, può trasformarti in un altare il carcere, e di questo vino può farti subito una bevanda per il cielo. Prende nelle sue mani il calice. MARIA Melvil! Non sbaglio? Ora, vi capisco! Qui non c'è prete. Non c’è Chiesa. Siate per me un sacerdote, non consacrato. Voglio farvi l’ultima confessione, e che dai vostri labbri ascolti la parola che salva. MELVIL Tu sbagli. Qui c’è un sacerdote. Io, un sacerdote consacrato sette volte dall’olio santo, per ricevere dai tuoi labbri l’estrema confessione, e darti l’Ostia che il Santo Padre ha benedetto per te con la sua mano. MARIA Messaggero divino! Come i vostri ginocchi si piegarono una volta davanti a me, ora mi metto nella polvere davanti a voi. Si butta in ginocchio. MELVIL fa il segno della croce su di lei. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, Maria Stuarda, Regina di Scozia, hai guardato a fondo nel tuo cuore? E fai sacra promessa avanti a Dio per la tua confessione? MARIA Ecco il mio cuore aperto, in verità Così dicendo si scopre il capo e indica un’Ostia in un cofanetto d’oro. MARIA STUARDA gono dal basso, dalla stanza del sup plizio. MELVIL ...e i tuoi scrivani avrebbero così testimoniato il falso? MARIA Iddio li veda. MELVIL E tu vai al patibolo, sicura della tua innocenza? MARIA E’ una grazia del Signore, che io possa pagare con questa morte quell’antico sangue. MELVIL la benedice. Maria Stuarda, Regina di Scozia, tu hai mancato perché sei una donna; e la carne è una povera cosa e resta quaggiù, mentre lo spirito trionfa. Io te lo dico, in forza del potere di sciogliere e legare, che mi è dato: ti vengono rimessi i tuoi peccati, e sia fatto di te come hai creduto. Le porge l’Ostia. Prendi il corpo, immolato per te. Prendi il sangue, versato per te. Prende di nuovo il calice dal tavolo, 10 consacra con una preghiera sommes sa, e lo porge a Maria. Ella esita, e infine lo respinge con la mano. Maria riceve il calice e rimane ingi nocchiata in silenziosa adorazione. Mel vil ripone il calice sul tavolo. Si sente un rumore. Egli si copre il capo e va fino alla porta. Ritorna da Maria. Ti senti forte abbastanza, di là da ogni amaro, di là da ogni odio? MARIA Ho messo nelle mani del Signore tutto il mio odio, tutto il mio amore. MELVIL Preparati a ricevere i Lords di Leicester e di Burleigh. Sono qui. BurJeigh, Leicester, Paulet. Gli stessi. Leicester rimane in disparte, senza le vare gli occhi. Burleigh si mette tra lui e la regina, osserva attentamente 11 suo contegno. La confessione continua in un bisbiglio impercettibile. Luce su Melvil e su Ma ria Stuarda. Colpi regolari e rumori sal BURLEIGH Signora, vengo a ricevere le vostre ultime volontà. MARIA Vi ringrazio, Signore. FRIEDRICH SCHILLER BURLEIGH E’ desiderio della mia regina che non vi sia negato tutto quello che è giusto. MARIA Ho fatto testamento e l’ho fidato nelle mani di Paulet. Non vi chiedo altro che di eseguirlo fedelmente. PAULET Vi potete fidare. MARIA Chiedo ancora che la mia gente sia lasciata libera di raggiunger la Scozia o il regno di Francia, a secondo dei loro desideri. BURLEIGH Faremo come voi chiedete. MARIA Poi che il mio corpo non deve riposare in terra consacrata, si conceda a questo fedele di portare il mio cuore nella Casa dei miei, in Francia. Non si è mai staccato di là. BURLEIGH Sarà concesso. Avete ancora... MARIA Portate alla Regina d’Inghilterra il mio saluto di sorella. Ditele che le perdono la mia morte, che non ho rancore, e le domando grazia per la violenza di ieri: ne ho sentito grande rimorso. Iddio la guardi, e il regno che le concede sia felice. BURLEIGH Ancora: non avete deciso per il meglio? non volete ricevere il decano? MARIA Sono in pace con Dio. Paulet, vi ho fatto male senza volerlo. Odierete, forse, la mia memoria. PAULET le dà la mano. Che Dio non v’abbandoni. Andate in pace. Gli stessi. Anna e le cameriere si preci pitano terrorizzate. Appare lo Sceriffo, con un bastone bianco in mano. Die tro a lui, attraverso la porta spalancata, si vedono Uomini Armati. MARIA Anna che hai? Sì, sì, bisogna andare. C’è lo sceriffo che ci viene a prendere. Le sue donne la circondano in lacrime. A Melvil. Voi, mio Signore, e tu, fedele Anna, voglio avervi con me l’ultima volta. Milord, non mi negate questa grazia! BURLEIGH E’ fuori dai miei poteri. MARIA Come? Un favore da nulla? Sono una donna. Chi mi può prestare l’ultime cure? Non è volontà di mia sorella, ne son certa, che io venga toccata dalle mani degli uomini. BURLEIGH E’ proibito alle donne di salire sul palco: i gemiti, le lacrime... MARIA Non lacrime, 10 mi faccio garante per la forza della mia Anna. Siate buono. Non staccatemi. PAULET Lasciate BURLEIGH Sia. MARIA Leicester è annientato. Maria si allon tana. Davanti, lo Sceriffo, la Nutrice e Melvil le camminano ai lati. Seguono Burleigh e Paulet. Gli altri singhioz zando la guardano mentre si allontana e scompare, ed escono poi dalle porte laterali. Leicester rimane solo. Con passo sicuro si avvia verso la porta del corteo fu nebre. Ma rimane a metà strada. LEICESTER Non la posso guardare mentre muore. Dal basso vengono rumori. prende il crocifisso e lo bacia. Si muove. In questo momento il suo occhio cade sul Conte di Leicester che quando si era mossa aveva trasalito senza vo lerlo e l’aveva guardata. Nell’attimo, Maria ha un fremito, le ginocchia le si piegano, ed è sul punto di cadere. Allora il Conte di Leicester la sostiene tra le sue braccia. Maria lo guarda a lungo, in silenzio. Egli non sostiene lo sguardo. Finalmente è lei che parla. La vostra parola, voi la mantenete, Conte di Leicester. Mi avevate promesso 11 vostro braccio per condurmi fuori da queste mura, e voi me lo porgete, ora. Addio, e vivete felice. Se vi riesce. Sono già tutti a basso. Via! Via! Via! da questa casa di terrore e di morte! Cercherà di fuggire attraverso (tutte) le porte, e le troverà (tutte) sbarrate. Torna indietro. Ah! chi mi avvinghia a questo suolo! Che silenzio! Le tolgono la veste. Ecco!, hanno spinto lo scanno. Ecco!, si sta inginocchiando. La testa, ah! Pronunzia le ultime parole con ansia crescente. Silenzio per un istante. Alla fine ha un movimento compulso e cade a terra privo di sensi. Dal basso risuo nano a 1 ungo sordi rumori. Il Palazzo di Westminster. Stanza della Regina Elisabetta. Elisabetta entra da una porta laterale. I passi e i gesti tra discono una grande agitazione. cammina avanti e indietro, agitatissima. Va’! chiama... No, rimani... E’ morta! E’ morta! Tremo? Non mi mancheranno lacrime, per piangerla. Al Paggio. Ancora qui? Il mio scrivano Davison, subito, qui a mia disposizione. E mandate a chiamare il Conte di Shrewsbury. Eccolo, viene. Il Paggio esce. Talbot, Elisabetta. ELISABETTA Benvenuto, mio nobile Signore. Che ragione vi porta fino a me? ELISABETTA Il Conte non si vede, e anche Burleigh. Se han lasciato Londra vuol dire cosa fatta. Chi è là? Un paggio. Elisabetta. Solo? E i Lords? PAGGIO Il Conte di Leicester e il gran Tesoriere... ELISABETTA nella massima tensione di nervi. Dove sono? PAGGIO Non sono a Londra. ELISABETTA No? e dove sono? PAGGIO Si dice che prima dell’alba hanno lasciato la città. ELISABETTA MARIA STUARDA La cosa deve essere importante, a quest’ora. TALBOT Grande regina, il cuore ha molta pena che non venga macchiato il tuo buon nome. Oggi mi son recato nella Torre dove stan prigionieri Kurl e Nau, gli scrivani di Maria. Volevo una conferma sulla verità della loro testimonianza. Ed ecco Kurl, fuori di senno, grida che ha testimoniato il falso su istigazione di Nau. ELISABETTA Voi stesso dite che era fuor di senno. Le parole di un pazzo furioso non dimostrano nulla. TALBOT Ma una simile pazzia già dimostra anche troppo. Ti scongiuro, non aver fretta, e disponi una nuova inchiesta. ELISABETTA Lo farò, per il vostro desiderio, Conte; non già perché creda i miei Pari capaci di un giudizio troppo spiccio, in tutta la faccenda. Si rinnovi l’inchiesta, e a fondo, per la vostra pace. E’ una fortuna. Siamo ancora in tempo. Neppure l’ombra di un sospetto deve toccare la corona. Davison, gli stessi. ELISABETTA Signore, la sentenza che vi ho dato, dov’è? DAVISON cadendo dalle nuvole. La sentenza? ELISABETTA Quella che vi ho dato ieri, in custodia. DAVISON In custodia? ELISABETTA Il popolo strappava il mio consenso, e firmai contro voglia. La deponevo nelle vostre mani per guadagnare tempo. Voi sapete quel che vi dissi. TALBOT Ridatela, Signore, i fatti son diversi. Tutta l’inchiesta deve essere rifatta. DAVISON Rifatta? Oh, misericordia! FRIEDRICH SCHILLER ELISABETTA Non pensateci sopra. Dov’è lo scritto? DAVISON Son rovinato! ELISABETTA interrompendolo netto. Signore! DAVISON Non l’ho più! ELISABETTA Come? Che dite? TALBOT Dio! DAVISON Ce l’ha Burleigh, fin da ieri sera. ELISABETTA Così ubbidite agli ordini? Conservarlo in custodia rigorosa, non era questo il mio comando a voi? DAVISON Questo comando non me lo hai dato, Regina. ELISABETTA Miserabile, vuoi dire che io mento? Ti ho dato l’ordine di consegnare a Burleigh la sentenza? DAVISON Non me lo hai detto in modo chiaro, ma... ELISABETTA Infame! E osi interpretare le mie parole? Se da questo arbitrio nascerà una disgrazia, la tua vita mi pagherà. Conte, vedete, si abusa del mio nome. TALBOT Dio! Lo vedo. Burleigh e alla fine il Conte di Kent. Gli stessi. piega un ginocchio davanti alla regina. BURLEIGH Lunga vita alla Regina! Tutti i nemici di quest’isola possano aver la fine della Stuarda! Talbot si copre il volto con le mani. Davison disperato si torce le dita. ELISABETTA Dite, Signore, l’ordine di morte son io che ve l’ho dato? BURLEIGH No, Regina, Davison me lo ha dato. ELISABETTA A nome mio? BURLEIGH No, questo no. ELISABETTA E l’avete eseguito subito, senza prima conoscere la mia volontà? La condanna era giusta, e non v’è al mondo chi possa biasimarci. Ma non voi dovevate troncare qualche segno della nostra pietà. Per questo titolo, sarete al bando. A Davison. Un giudizio più duro a voi, sacrilego violatore dei vostri poteri, che avete rubato un sacro pegno della nostra fiducia. Contro costui, l’accusa capitale! Nobile Talbot, unico giusto tra i miei consiglieri, sarete d’ora innanzi la mia guida. TALBOT Non scacciare gli amici più fedeli. Quanto a me, grande Regina, lascia che ti renda questo sigillo che la tua fiducia m’aveva dato, or è dodici anni. ELISABETTA accusando il colpo. Ora no, Shrewsbury, non mi lascerete, ora. TALBOT Son troppo vecchio, perdona, e questa mano è ormai troppo fredda per sigillare le tue imprese. ELISABETTA L’uomo che mi ha salvato, mi abbandona? TALBOT Poco ho fatto. Vivi e regna. La nemica è morta. Non hai più ragione di temere. al Conte di Kent che sta entrando. Esce. ELISABETTA Il Conte di Leicester. Venga. KENT Il Conte ha preso il mare per la Francia. <3T * Tutti i diritti riservati. Elisabetta si domina e assume una ma schera di tranquilla indifferenza. Tutte le forze migliori dell’Arte Drammatica tra la fine del secolo scorso ed il principio di quello attuale furono plasmate da lui; spesso fu Talli a rivelare ad attori, non ancora del tutto formati, il loro stesso destino: Giovannini, Melato, Betrone, Vergani, Lupi, Olivieri, Calò, Sammarco, Tòfano, ecc. Come scopritore di talenti (giovani autori) non fu da meno che con gli attori: a sessantacinque anni, nel 1922 (era nato nel 1857), prese le redini dell’avanguardia, portando sul piano nazionale gli esperimenti di Bragaglia agli «Indipendenti», rappresen tando Chiarelli, Rosso, Antoneili, Cavacchioli, ecc. M M T M M W T S P l l l l W f f C'( 'SPAGN1A PRAMMATIi { ITALIANA V I R G I L I O T A L L I il p r im o g r a n d e “ r e g i s t a ” it a lia n o V, TALLI * I, BRAMATILA - 3, CALABRESI DIRETTA DA ^ " ' R G i H O T A L L I PKB80NALK ARTISTICO fi lì A M A T IL A IR M A ICiv. Cartoni" ¡ ¡sin - cimi , v Yen ri Dina G alli ; ; ' • 'BBrlrapO:... Ruggero Roggeri - ¡ GiuliaRizzotto Gas- Adele Fum ili Vana Rulli Teresa Spano Armellin iiNesti-Oalli tììna Quattro Cristina Buffi Corinna Roggeri Nnnziatina Rissoue Irene Buoncompaun/> Marguevita Sampò Carlotta Rainoldj Oav. Oreste Calabresi - Vi g ilio T a lli Alfredo De Antoni Calisto Berìramo Alfonso Cassini Alberto Giovannini Ugo Far olii Francesco .Miniati Giuseppe Conforti A Jacopo Paoli ni Achille Ponzi li mestò Bai dace ini Leo Ventri Coriolano Bissone Alfonso Spano Cesare Abbo Giuseppe Itine a scena - Due Macchinisti. (lf Valseceli i. Jlcij>'>i Due Suggeritori - Due Fornitori di Scenografo : A. Rovescili - làcci tocc ••>7./; F. Miniati - Tapaezcier> : L. tentante: À. ì?ùJì - Sfgt'eG*.- Giovano: ¡Spano Cartellone della famosa Compagnia « Talli-Gramatica (Irma)-Calabresi » durante sei anni (1900-1906) con la quale la maestria di Virgilio Talli, direttore, diede «le più perfette interpretazioni che si ricordino nel Teatro Italiano » (Mario Ferrigni: Annali del Teatro, anno 1921, pag. 294) dall’Albergo dei poveri di Gorki, alla Figlia di Jorio di D’Annunzio. IVirgilio Talli deve essere con siderato come il più forte degli « agenti trasforma tori» del Teatro Italiano. Sebbene la sua lunga mi lizia d’artista abbia non trascurabili glorie, l’opera sua è di non superabile importanza come direttore I ritratti di Virgilio Talli, qui riprodotti, appartengono a diverse epoche della sua vita, ma segnano tappe impor tanti della sua carriera: in alto, attore con la « Talli- Gramatica-Calabresi »; qui sopra, a sinistra, Talli non ancora capocomico, ma già « brillante » affermato, con la Mariani, Tina Di Lorenzo, Andò (dal 1895 al 1900); accanto, Talli ancora più giovane, come appare nel di zionario del Rasi; in basso, quella che si ritiene l’ultima fotografia di Talli avanti la sua morte: Milano, 24 feb braio 1928. Il testo a firma Mario Ferrigni, che precede quello di Simoni, è stato ri cavato da « Annali del Teatro Ita liano », una serie di volumi iniziati nel 1901 e riguardanti lo Spettacolo in Italia, fino agli anni successivi la prima guerra mondiale. Tale docu mentazione storica si deve iad un teatrante di molta probità e grande passione che ricordiamo ai giovani con una nota ricavata dalla sua car tella nel nostro ’archivio: Mario Ferrigni, giornalista, critico drammatico, commediografo (Firenze, 1878 - Roma 1943). Critico dramma tico del Nuovo Giornale di Firenze, dal 1906 al 1909; trasferitosi a Milano, fu critico della Sera (1913-23), dellTZ- lustrazione Italiana (1930-31) e dal 1923 al 1934 diresse La Lettura. Rac colse in due volumi (1932) le sue cri tiche teatrali e compilò, con altri esperti, gli Annali del Teatro. Autore drammatico, fu rappresentato ripetutamente dalla Ricci- Magni (1925), dalla Compagnia di Dario Niccodemi, nel 1929, e dalla Pavlova nel 1932. Ma fu essenzialmente nn critico teatrale acuto, appassionato, onesto. Nella elencazione della attività artistica di Virgilio Talli, abbiamo preferito servirci di un testo «autentico», cioè scritto mentre Talli viveva, ad una rievocazione di contemporaneo. La nuova generazione può essere così informata, senza aggiunte, ricordi e nostalgie, rendendosi conto esattamente delle qualità ec cezionali di questo maestro del teatro. Lo scritto di Renato Simoni fa parte dei « Ritratti », tutti stupendi di fedeltà ed aderenza al personaggio rievocato. dove è nato nel 1857 (da Angiolo Talli, robusto e geniale fabbricante di mobili) ha la fierezza: di ciò che è, e deve essere l’arte, ha una atavica coscien za, dispotica ed orgogliosa, ma sublime. Ne ha la passione, che lo condusse giovinetto ali € Accademia dei Fidenti », a impararvi i primi rudimenti dell’arte scenica, e che lo sospinse a ventiquattr anni ad ac cettare il ruolo di secondo brillante nella Compa gnia Tessero-Biagi (1882-85) con lo scopo, poi con fessato, di trovare il modo di fare il giro del mon do. Il triennio passò quasi tutto in America. La sua massima interpretazione di quell’epoca, egli ri corda, fu quella del Demente nel Conte di Mon- tecristo! Di ritorno in Italia, artisticamente un po’ più ma turo, vivacissimo, intraprendente ed irrequieto, si fece avanti ed ebbe da Ermete Novelli il ruolo di brillante col quale si affermò in modo notevole nel Deputato di Bombignac. L’attrito di due temperamenti artistici profonda mente diversi, ma in certi tratti — forse etnici — singolarmente affini, doveva informare quello di Talli nella linea che ha poi sempre conservato, dandogli la coscienza precisa del suo valore di attore, molto inferiore, al Novelli, di direttore, mol to superiore; non perchè il Novelli non fosse un ottimo direttore, ma perchè lo fu troppo tardi. In questi due artisti abbiamo i due tipi perfetti e opposti, del Maestro : il Novelli, di rara potenza di suggestione, era un maestro perchè era un mo dello, e così schietto e istintivo, anche nello studio, che chiunque recitasse con lui imparava necessaria- Virgilio Talli con Maria Melato, primattrice assoluta. Tra scorsi gli anni della guerra, dal 1915 al 1918, con una for mazione movimentata, della quale faceva parte anche Gan- dusio, Talli costituì, al Teatro Argentina di Roma, l’Ars Ita lica, sostituendo a Gandusio, Alberto Giovannini. Nel 1921 « assunse una posizione d’avanguardia, favorendo il reper torio nuovissimo italiano che si era andato formando e ma turando durante la guerra ». e maestro d’arte scenica; innovatore di larghe vedu te e suscitatore potente di energie artistiche di pri mo ordine. La sua instancabile e insaziabile passione per ogni audacia artistica ha fatto di lui più che un attore, un vero e proprio interprete, che delle proprie forze e attitudini, e principalmente delle altrui, si è giovato come di strumenti magnifici, con perizia che ha del prodigioso, per l’interpretazione armonica e integrale delle opere drammatiche. Ha del Teatro una concezione così vasta e così austera che è para gonabile a quel concetto di scuola e laboratorio che avevano dei loro studi (e li chiamavano botteghe!) i grandi artefici del Rinascimento. E' un Donatello —• o forse un Verrocchio — del Teatro. Delle glorie popolaresche ed artistiche di Firenze. Una rara immagine del 1896: sono i tempi lontani della Compagnia di Teresa Maria ni, diretta da Ettore Pala dini, ed i fotografati sono Oreste Calabresi, Virgilio Talli, Emilio Picello. Accan to l’ex libris di Virgilio Talli. mente da lui; il Talli è un maestro perchè ha il dono rarissimo di persuadere e di fare intendere, non colla propria virtù scenica, ma coi mezzi e le attitudini degli allievi stessi. Il magistero del pri mo fu tutto soggettivo; quello del secondo è tutto oggettivo : uno è d’ispirazione, l’altro è di direzione e di metodo. Talli continuò a fare il « brillante» senza avere forse nessuna idea di ciò che sarebbe riuscito a fare col tempo. Aveva delle caratteristi che tutte sue; una dizione rapidissima, spiccata, chiara, di una agilità inverosimile, una padronan za e una prontezza di spirito veramente rare, ed un eleganza di portamento e di gesto non comune. Il controllo minuto e assoluto delle proprie attitu dini fece di lui un attore dei più singolari senza renderlo, a dir vero, un attore sommo; ma l’intel ligenza acuta ed arguta e la infinita passione per l’arte sua han fatto sì che ogni giorno, ogni ora, egli ha studiato la vita, il mondo, la scena e i libri con un costante bisogno di approfondire sem pre ogni argomento. Quello che fu prima gioco, divenne poi arte e un magistero. Quando si mise a studiare la pochade con la stessa serietà, con la quale avrebbe studiato Shakespeare, lo fece non perchè ci si divertiva, ma convinto che un’interpretazione sce nica più ingegnosa e più armonica di quelle al lora in uso, avrebbe potuto ricavare da quelle com medie una comicità meccanica, basata sulla perfe zione del congegno, e renderle, quindi, irresisti bili per loro stessa virtù e non soltanto per abi lità dei comici. Nasceva il direttore artistico. Ermete Novelli, associandosi a Claudio Leigheb, aveva fatto il grande tentativo di unire due forze comiche di primissimo ordine; ma l’effetto, talvol ta magnifico, fu in generale inferiore all’aspetta tiva. Al Talli non sfuggì il fenomeno; e ne trovò intuitivamente le cause; c erano troppe differenze di stile fra Novelli e Teigheb; troppa distanza fra di loro, e tra loro e i loro compagni. Bisognava intonare e armonizzare elementi più omogenei. Egli meditava in silenzio e osservava. Ta Compagnia Novelli-Leigheb durò dal ’91 al '93. In questa epoca il Talli (che era stato col Pietriboni dal 1887 al 1890) era divenuto capo comico e condirettore, con Ettore Paladini, di quel la Compagnia Carloni-Talli-Paladini (1890-94) che segna pel teatro italiano l’inizio di un’epoca, con la rappresentazione di La Parigina e dei Corvi di Enrico Becque. Talli manifestò in quell’occasione il suo magnifico spirito di iniziativa, non solo, ma il suo proponimento d’ogni innovazione. Egli aveva anche trovato in sua moglie, Ida Carlo- ni, un’attrice di singolari, anche se non di ampie attitudini: dicitrice impeccabile, un po’ arida, ma di rara efficacia comica; intelligentissima e non docile, aveva qualità artistiche signorilmente ele ganti, ma rigide. Tuttavia, Talli sfruttò ogni qua lità e perfino i difetti per metterla in valore: vi riuscì, facendo di lei l'indimenticabile interprete di La Parigina. Quanta importanza avesse questa rap presentazione nel movimento letterario e teatrale d’Italia è risaputo, ma interessa notare soprattutto il mento dei comici che la fecero conoscere, non senza audacia né rischio. Talli, in quel triennio, maturò il suo progetto di Compagnia comica; la iniziò nel 1894, e fu la Tallt-Sichel-Tovagliari con la quale la conoscenza del teatro comico francese in Italia assunse propor zioni di cui non era prevedibile (né auspicabile) l’ampiezza. Ma se dal punto di vista dell’arte lette raria pura del Teatro questa diffusione è suscetti bile di giudizi anche severi, la sua utilità dal punto di vista dell’arte scenica è indiscutibile. Dalla Com pagnia diretta e condotta dal Talli ai successi cla morosi di Champignol suo malgrado, /’Albergo del libero cambio, Zampa Legata, Gelosa, sono deri vate tutte le Compagnie comiche italiane, e a di stanza di un ventennio, anche alcuni lavori di al cuni autori italiani da Testoni a Fraccaroli. Non solo, ma da quell’esperimento fortunatissimo sono derivate tutte le successive e magnifiche Compa gnie dirette da Talli, ed in esse si è temprata al fuoco di un gioco scenico quasi acrobatico, quan to quello della Commedia dell’Arte, e tuttavia disci plinato da un rigoroso studio di combinazioni e di insieme, la potenza direttiva del Talli stesso e l’agilità dei suoi allievi. Egli ritornò attore più so brio e corretto al fianco di Teresa Mariani, nella Compagnia Mariani-Paladini (1895-96) e con la Andò-Di Lorenzo dal 1897 al 1900, altro triennio di meditazione e di studio nel quale pensò a co stituire quella che doveva essere la Compagnia che fu detta « dei portenti ». La Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi (che aveva nelle sue file Ruggeri, Giovannini, De An toni, Lyda Borelli, la Franchini ecc.) durò sei anni, dal 1900 al 1906, e diede interpretazioni per fette, di un rigore e di una esemplarità da es sere ricordate nel Teatro Italiano. Talli recitava col « ruolo » di primo attore comico. Diffcile sarebbe ristabilire tutte le opere messe in scena da quella memorabile Compagnia; dalla Prin cipessa lontana ai Romanzeschi; da Fernanda (ri messa in scena con e per Eleonora Duse) alla Casa del sonno e al Lucifero, per culminare con VAl bergo dei poveri di Corpi; e La Figlia di Jorio (1904). Anche la rappresentazione dell’Albergo dei poveri di Gorpi segna una data nella vita teatrale italiana; l’influenza dello scrittore russo ( noto per i Piccoli borghesi, già rappresentati dal De Sanctis) fece presa nel gusto del pubblico, come interesse aveva suscitato Bracco, con alcune delle sue opere più significative. In quanto alla Figlia di Jorio, se la tragedia è il capolavoro teatrale del poeta, la sua rappresentazione è il capolavoro di Virgilio Talli, che applicando anche allo stile di D’Annunzio i criteri ermeneutici che usa per ogni stile, seppe trarre effetti di teatro insospettati — forse dallo stesso poeta inavvertiti — come gli avvenne di trovarne poi, rimettendo in scena la Gioconda, con un ragionato procedimento di « umanizzazione » che l’ha sensibilmente avvicinata alla comprensione del pubblico. Ripensando alla Compagnia T alli-Gramatica-Ca- labresi appare quasi impossibile che un numero così grande di elementi ottimi, ed alcuni già perfetti, si siano mai potuti ritrovare in una sola Com pagnia, sotto una direzione vigorosa e geniale co me quella di Talli. Egli potè attuare le più ardue applicazioni in fatto di omogeneità ed armonia « orchestrale » della recitazione, fino al punto di trarne un criterio pratico tale da trasformare il re pertorio delle sue Compagnie, scegliendolo e com ponendolo con rara sagacia, in modo da sfruttare quanto più possibile le singole attitudini dei suoi attori. Formò, nel 1906, la Compagnia Talli-Re Riccardi (1906-08) che ebbe un repertorio in prevalenza comico, tradotto dal francese, essendo Re Riccardi importatore, che mirabilmente si prestava al tem peramento di Lyda Borelli, Alberto Giovannini, Armando Rossi. Rappresentò I maggiolini, Fio- rette e Patapon, Il re, Il germoglio. Anche questa ottima Compagnia si sciolse e lasciò alla sua luminosa sorte la Borelli, per ricostituirsi, sempre sotto la guida di Talli, in una nuova forma, attorno ad un’altra giovane e promettente attrice: Maria Melato. La Compagnia Talli-Melato-Giovannini, costitui tasi nel 1909, durò sei anni, e se non raggiunse la perfezione della T alli-Gramatica-Calabresi, pure a quella Compagnia si avvicinò molto, e sarebbe forse giunta alla medesima perfezione artistica, se la morte prematura di Giovannini non avesse spostato l'equilibrio dei suoi elementi fondamen tali. Si formarono frattanto nei primi anni di quella compagine altri due attori, Annibaie Betrone e Ruggero Lupi. Talli rinunciò, all’inizio del se condo triennio, a recitare egli stesso per dedicarsi interamente alla direzione. La buona figliola del Lopez, La commedia della peste del Rasi sono di quella prima Compagnia; nei fasti della seconda vanno annoverati T tran satlantici (1911), La guardia di notte (1912), La presidentessa, La zia di Honfleur, L ’amore emi gra (1913), Il rosario (1912), La capanna e il tuo cuore (1913) e due rievocazioni che ebbero lar ghissima risonanza: Il cappello di paglia di Fi renze di Labiche e La Gioconda di D’Annunzio (D B). Negli anni di guerra (1915-1918) la Compagnia Talli, che sostituì Giovannini con Gandusio, ebbe una esistenza molto movimentata; vi passarono elementi buoni e mediocri, passò da una gestione all’altra, finche parve ricostituirsi come Compagnia del Teatro Argentina di Roma e poi come « Ars Ita lica ». Ma anche in questo periodo agitatissimo la genialità di Talli riuscì a riproporre un repertorio assai singolare, in parte comune alle altre Compa gnie, in parte suo proprio. Risuscitò La maschera e il volto del Chiarelli, /'Anfissa di Andreieff, ri prese Il ferro e avviò la Melato e il Betrone ad assumere la massima responsabilità interpretativa: La marcia nuziale, La fiammata, Sansone, Il tri buno, La Signora dalle camelie, La Gioconda for mavano il repertorio abituale. Nell’ultima parte del triennio, terminato col 1921, la Compagnia Talli assunse una posizione « d’avan guardia » favorendo il repertorio nuovissimo ita liano che si era andato formando e maturando du rante la guerra. Aveva 65 anni. Dopo La maschera e il volto rappresentò L’innesto di Pirandello, Marionette, che passione!, La Bella addormentata e Primavera del Rosso di San Se condo; /’Uccello del Paradiso, Quella che ti asso miglia di Enrico Cavacchioli; La fiaba dei tre Magi di Luigi Antonelli, ritrovando ugualmente per il grosso pubblico domenicale i grandi successi di Glauco di Morselli, Beffardo di Berrini, ecc. Dire in che consiste l’arte direttiva di Talli non è facile; si può genericamente indicare come l’a nalisi, parola per parola, minuziosissima, dell’o pera da interpretare e lo studio di trarre da ogni battuta il massimo effetto possibile. Ma dir questo non è che evitare di precisare; l’importante è sem pre nel capire, nell’indovinare, e talvolta nel crea re il signifcato « scenico » di ciò che l’autore ha soltanto « scritto ». Sono a tal proposito stranissimi gli espedienti che Talli usa nel dare rilievo a per sonaggi che non ne hanno (e son tanto frequenti) e lo studio, la fantasia, il capriccio ch’egli impiega per trarre da scene stanche e da figure scialbe de gli effetti sorprendenti. I suoi espedienti sono in tuiti. Egli possiede in sommo grado il senso mera viglioso dell’insegnamento, e di ogni interprete non sfrutta soltanto le qualità, ma anche i difetti. Qualche volta con dei piccoli attori, dei generici che rimarranno tali tutta la vita, ed egli lo sa, si vale soltanto dei difetti. Crea così personaggi mi nori che sono piccoli capolavori. Il dono naturale di Talli non è tanto quello di interpretare le opere, quanto quello di interpre tare gli attori: conoscerne e sfruttarne le energie, le attitudini, le debolezze e perfino le aspirazioni. Egli rivela l’artista a se stesso temprandolo al personaggio e vincendo riluttanze e ritrosie e spie gando reali o immaginarie inquietudini. Questo spiega la sorprendente agilità con la quale Talli cambia repertorio cambiando attori, e adatta sem pre ai caratteri dei suoi interpreti la scelta dei la vori che rappresenta. Il bisogno di amplificare, approfondire, e talvolta di trasformare le opere che rappresenta gli fa commettere degli arbitrii che, quando sono fortunati, il pubblico trova subli mi, e, quando sono disgraziati, giudica imperdo nabili. Ma la verità è che spesso interpretare, vuol dire integrare, accentuare, completare e perfino tra durre. Anche Talli può sbagliare, anche se gli ac cade rarissimamente, ma si tratta sempre dell’er rore di un maestro. Possiamo ■ aggiungere, un grande maestro, visto che il teatro italiano di diret tori esemplari ne ha altri: in ogni capocomico è la presenza di un maestro qualche volta soffocato dall’essere contemporaneamente interprete. Per questo, Virgilio Talli, ha smesso di recitare. Viario Ferrigli T A L L I M A E S T R O D I T E A T R O U n m aestro. T an ta era la sua a u to rità e ta n ta era stata la sua nervosa potenza dom inatrice, che, a vederlo invecchiato, si penava. Anche n e g li u ltim i anni si in tu iv a in lu i l ’uomo avvezzo a coman dare; m a un p o ’ d i so rdità lo isolava e g li im ped iva la prontezza v iv id a e ta gliente delle risposte, che era stata la sua caratteristica . Qualche cosa s’appe santiva in lu i, che s’in dovinava negli sg u a rd i; una m estizia dignitosa e d i stra tta , un im p a llid ire della volontà quasi in u tile e della cu rio sità tro p p o sazia. L ’età g li vietava g li slanci a n i m osi e le in iz ia tiv e e le innovazioni. P erciò i l tem po lo sorpassava. M o rtifi cazione grande per lu i, che era stato sempre alla testa d ’ogni m ovim ento a rd ito . R icordo l ’attore, d ’una com icità signo rile , che, nelle commedie d i tono spre giudicato, inventava certe in d e s c riv ib ili canzonature sfum ate delle pause e delle pronunzie leziose, certe fu g a ci im m obi lizzazioni c a ric a tu ra li del gesto, con fi nezza iro n ica e concisa; e, nelle com medie dove il riso era meno aperto, si faceva am m irare come d icito re perfetto. M a quest’uomo che sapeva recitare tanto bene, voleva so p ra ttu tto fa r recitare bene g li a ltri. Porse, sulle prim e, consi derando che la sua arte non era tale da sopraffare g li a ltr i a tto ri, abbagliando anche sola, m a aveva una specie d i cor re tta e squisita discrezione, g li sorrise l ’idea d i fa rla figurare, armoniosam ente e q u ilib ra ta , in un quadro degno. M a, p iù ta rd i, p e r la bellezza del quadro, dim enticò se stesso; e dalla recitazione s’andò sempre p iù ritra e n d o per dare alla direzione tu tto i l suo ingegno e la sua fa tica . L e Com pagnie che creò, che son diventate storiche fu ro n o belle, erano co stitu ite in modo da dare a lu i la p iù splendida va rie tà d i co lo ri da adoperare con ricca I n f a t t i egli detestava, nella recitazione, la tim i dezza, la naturalezza scialba, l ’approssi mazione. V oleva precisione, tocchi n e tti s ic u ri v iv id i. M a sotto la vaghezza delle tin te , la so lid ità della costruzione. fece le sue p iù I n questo senso egli u t ili esperienze al tem po della Compa gnia T a lli-S ic h e l-T o v a g lia ti, che fu la p rim a esclusivamente comica, m entre la tra d izio n e s ’in o rg o g liva d i Com pagnie v e rs a tili che passavano dalla trag edia faceva sentire tanto fantasia. alla farsa. Ebbe un re p e rto rio compo sto soltanto d i quelle che, in Ita lia , fu rono chiam ate pochades, senza che in F ra n c ia avessero lo stesso nom e: com m edie d i in trig o serrato, ingegnosissime, tu tte fondate su un meccanismo d i in co n tri, d i equivoci, d i coincidenze. I n es se l ’a rtific io ha da esser efficace e deve restare celato. U n a specie d i concitato autom atism o sostituisce l ’azione ; e deve parere azione. L ’effetto ha da essere un convulso esasperato a rru ffìo che si va sempre p iù com plicando e poi gradata- m ente sciogliendo ; m a in realtà, die tro alle apparenze, l ’ordine deve esser gran de. M agnifico esercizio per un d ire tto re , tra tta re questa m ate ria fre d d a e splen dente, m uovere questi congegni ! Le nuo ve generazioni (1) non possono ric o r dare che cosa ha fa tto i l T a lli in que sto campo. L a Com pagnia T a lli-S ic h e l-T o v a g lia ri era composta, in gran parte, d i a tto ri m ediocri. M a parevano t u tti elem enti p rim a ris s im i. L a sua u n ità b rilla n te sor prendeva. Essa passò per l ’Ita lia em piendo d i a lle g ria i te a tri. Le p iù con citate e macchinose pochades, messe in scena da V irg ilio T a lli, acquistavano una grazia leggera, una proporzione ele gante, una m a lizia svelta, u n ’iro n ica b u ffo n e ria ; e ra p id ità e chiarezza e va rie tà d i luce e fe rvo re giocoso. S i b ila n ciavano con arduo e q u ilib rio sul filo teso della loro m a tta insensatezza. E ra i l tem po in cui la fantasia d i T a lli rideva. L ’estro del giovane d ire tto re era argen tin o ; prendeva in giro, sulla scena, le passioni. S tira v a un gesto spontaneo e semplice, fino al p rin c ip io — non p iù in là — della parodia d i quel gesto. Quando era i l caso, u rta va, con un buffetto, le parole in modo da acciaccarle legger mente, facendo un poco oscillare qual che accento sul suo centro d i gra vità , (1) Simoni scriveva queste parole nel 1928, e già esclude le « nuove generazioni » dal poter ricordare l’eccezio naiità di Virgilio Talli. coagulando qualche sillaba, non per amore d i bizzarria, ma per b e ffa re con gentilezza certe deform azioni del d i scorso che sono v e ri e p ro p ri ca ra tte ri professionali. E rano, nella pienezza o r ganica d e ll’insiem e, tocchi ra p id i, ap poggiature inattese, tro va te ingegnose che davano sostenutezza e v iva cità alla esecuzione. L ’a rch ite tto d e ll’A lbergo del libero scambio non abbandonava m ai la sua squadra, neppure quando era p iù im p iccia to e perplesso ; e la trovava sempre tra sé e g li a ltri, tra sé e sé, im barazzante; quando p o i g li pareva d i averla finalm ente deposta, se la vedeva d i nuovo tra le m ani. C ’era da esprim ere la s e rv ilità untuosa d i un cam eriere d i albergo equivoco? A llo stem perarsi de g li in c h in i, dalla testa che si ritra e v a entro le spalle, g iù per la schiena, fino allo striscio m orbido dei piedi, si aggiun geva, una pronunzia acquosa e scivolante. G li am anti fu r tiv i, condotti alle loro stanze, erano sa lu ta ti da un « buona no t te, sig n o ri » che diventava un « buoaotte s fio ri ». R icordo questi m in im i p a rtic o la ri di re cita zio n i esem plari, perché servono a spiegare ce rti elem enti della tecnica d i V irg ilio T a lli. E g li voleva che ogni p e r sonaggio, p rin c ip a le o secondario, fosse c h ia rito e definito da qualche cosa che g li fosse psicologicam ente o decorativa m ente inalienabile. E ra, soprattu tto, un caratterizzatore. E , come sono p iù spe cialm ente in v e n to ri d i c a ra tte ri g li au to r i d ra m m a tici che, o ltre alla v ita an gosciosa, sanno anche descrivere la v ita comica, così egli, p rim a d i d ivenire il d ire tto re della Com pagnia T a lli-G ra - m atica-C alabresi, che la sua seconda grande campagna d ire tto riale, era stato a ttra tto dal teatro ìlare. E sercitatasi m ira b ilm e n te nella ricerca del p iù com plicato m ovim ento scenico e del colore, la sua v e rs a tilità ebbe poi b i sogno d i un p iù largo im piego. N o i ve- rappresentò demmo la sua arte a p p ro fo n d irsi. F in dal debutto della grande Compagnia, egli strinse in un fascio robusto le bel lissim e energie e i v a ri ingegni dei suoi com pagni: Irm a G ram atica, Oreste Ca labresi, Ruggero B u g g e ri, U go P ip e r- no ! Q u a li e quante forze erano a dispo sizione d i V irg ilio T a lli d ire tto re ! E D in a G a lli, venuta dal teatro milanese, piangeva d i paura n e ll’a ffro n ta re i l tea tro ita lia n o ; e i l tim id o A lb e rto G iovan- n in i abbozzava le p rim e m acchiette; e, ta rd i, L y d a B o re lli e G iannina p iù C hiantoni si aggiunsero alla illu s tre schiera. Ciascuno d i questi in te rp re ti aveva la sua p ro p ria poesia. Dolce e aspra quella della G ram atica, ritro v a n te ogni sera una p iù intensa a rtis tic a e o ri ginale se m p licità ; rigogliosa quella del Calabresi, sereno creatore, che pareva abbrancare i t ip i e sta m p a rli sulla sua anim a ricca e im paziente d i p iù d iffu s a v ita ; pensosa quella del B u g g e ri, in quieta d i m alinconie e velata d i qual che rom antico m istero. E T a lli fondeva in un vasto accordo queste in d iv id u a lità prepo ten ti. L ’uomo che aveva, per il prim o, giovanissim o ancora, rip ro d o tto sulle nostre scene i l pessimismo ironico della P a rig in a e quello spietato dei C o rv i, ora passava, con eguale sicu rezza, dalle commedie veriste alla leg g ia d ria a rte fa tta dei Romanzeschi, d a l la v ita angusta e p ro vin cia le del p rim o gagliardissim o atto d i D a l tuo al m io, alla co ra lità sorda e te tra dell 'A lbergo dei p o ve ri che ebbe una sera, altissim a in te rp re te , E leonora Duse. P o i venne L a F ig lia d i Jo rio . V irg ilio T a lli, nella rip rodu zione della tragedia dannunziana, ricercò, e ritro v ò stupen damente, qualche cosa che era ancora nuova alla sua a rte : una specie d i i r re a lità del reale, ossia una v e rità supe rio re , i l modo d i chiudere entro i perso naggi i l loro lirism o , affinché non si esa lasse e non si disperdesse ma divenisse v ita in te rio re , p iù affascinante perché p iù segreta. V i riuscì, perché, se i l suo ingegno era capace d i com prendere an che i l m ondo fantastico, i l suo is tin to era d i v e ris ta ; v i riu scì perché egli sa peva che alla rib a lta anche le p iù aeree im m a g in i, per reggersi in piedi, hanno bisogno d i aver dentro d i loro un peso d i u m anità ; v i riu scì perché sapeva che i l vero liris m o non è oblio della v ita , ma anzi v ita p o rta ta alla massim a potenza. P erciò l ’irre a le che egli traduceva in finzione scenica non era m ai i l falso, ma anzi veniva rappresentato con i p iù lu centi a ttrib u ti del vero. D el vero non aveva m ai qualche cosa d i meno ; ma in vece, qualche cosa d i p iù , forse i l desi derio d i s fu g g irv i; c ’era, nei gesti, nel tono delle voci, nella composizione dei quadri, qualche cosa che si accostava, per un attim o, a ll’ideale della statuaria, della m usica, della p ittu ra , ma trova va nel chiaro e assennato e n itid o senso delle p ro p o rzio n i che i l T a lli possedeva un ostacolo in v in c ib ile a passare p iù in là. L a bella Com pagnia si disciolse, forse perché era g iu n ta a quella perfezione che è una eccessiva m a tu rità . A l teatro non sono possibili le cristallizzazioni. Quando, per esempio, le prove d i una commedia hanno toccato un certo punto d i compiutezza, guai a p ro lu n g a rle ! I buoni ris u lta ti otte n u ti, invece d i fis sarsi, si decompongono. L a in te rp re ta zione invecchia, la freschezza se ne va. Lo stesso si può d ire delle Compagnie. I lo ro elem enti che, per un certo n u m ero d ’anni, si sono fu s i perfettam ente, com inciano a un tra tto a disgregarsi. Porse sono esaurite tu tte le com bina zioni possibili tra d i essi. V ir g ilio T a lli si tro vò quasi a ll’in iz io d i un nuovo trie n n io comico senza a tto ri rin o m a ti. A llo ra si volse ai giovanissim i e com in ciò i l suo terzo esperim ento d ire tto ria le . N on aveva p iù da im piegare forze già sicu re; m a in te lle tti ancora acerbi. A l berto G io va n n in i era, in quel tempo, poco meno e poco p iù d i im secondo b rilla n te . T a lli abolì per lu i ogni deter m inazione d i ru o lo ; e l ’abolì per g li a ltr i com ici, quasi t u tt i ragazzi. O t tenne questo singolare ris u lta to : cbe p rim a che i suoi s c rittu ra ti fossero dive n u ti a tto ri da Com pagnia p rim a ria , la sua Com pagnia ebbe t u tti i c a ra tte ri d i una Com pagnia p rim a rissim a . Perché, in quei p rim i anni, egli recitava per la bocca d i tu tti. I n questo modo diede a ogni in terpretazio ne la fo rte u n ità del suo stile. I l d ire tto re fece fa re a i suoi discepoli la strada che egli aveva percorso. P rim a l i condusse so p ra ttu tto verso la com icità come quella che m eglio conveniva alla chiarezza e alla speranza dei lo ro anni giocondi e li avvezzava a cercar sempre i l pittoresco nella rip rodu zione dei tip i. P o i l i trasse lentam ente al dram m a. E d ecco i l G io va n n in i e la B o re lli ascendere dal sorriso a ll’amarezza e alla passione; e p iù ta rd i ecco com pirsi per M a ria M e la to i l processo inverso, e i l g rig io acco ra to e d iffu s o della sua recitazione d i a llo ra m u ta rs i in in c is iv ità dram m atica, in calore d ’anim a. M a A lb e rto G iovan n in i m o riv a ; e parve, questo, un colpo asprissim o in fe rto dalla sorte alla Com pagnia. N o : c ’era T a lli p ro n to a ric o m inciare e a rico stru ire . I l d ire tto re senza posa, se ha fa tto sempre fa tica re i suoi com pagni, ha fa tic a to con lo ro e non è m ai rim asto im m obile. S i è poi riv o lto al teatro d ’eccezione, e anche qui la prontezza del suo is tin to e la sagacia del suo in te lle tto g li hanno fa tto tro va re i mezzi p ra tic i per attu are con um anità e con poesia le in te n zio n i e i sim boli dei n u o vi a tto ri. P areva che, quanto p iù egli si avvicinava al tram onto, tanto p iù sa pesse d ive n ta r nuovo, protendersi verso l ’a w e n ire . A m o r del teatro ! A m ore com battivo, ge la loso, irru e n te , tira n n ico . L a sua v ita in fa tti non fu che teatro. A lla m a ttin a era già nel palcoscenico sem ibuio con la testa d ritta e im periosa sulle spalle qua drate, e i l naso in su, e le m ani in tasca e quel suo modo d i tenere le punte dei g o m iti strette alla persona. Le prove d i ogni commedia com inciano, come si sa, con la le ttu ra . O gni attore ha la parte in mano e legge le sue battute, quando è la sua volta. Anche a questa p rim a le ttu ra T a lli voleva che si incom inciasse a dise gnare l ’interpretazione. « Colore ! — egli g rid a va — guardate le scene; hanno le tin te p iù rile va te e i tr a tti p iù grossi della ve rità . Tale deve essere anche la recitazione. I l pubblico è lontano. E g li vede d im in u ita im m agine che voi g li date. Tenete conto d i questa d im i nuzione. Quel d i p iù che vo i aggiungete alla v e rità è ann ullato dalla distanza M a se non lo aggiungerete, a pp arirete sco lo riti ». P o i la commedia andava, man mano, componendosi n e ll’esecuzio ne. T a lli si trovava, d a va n ti ad essa, senza idee preconcette. N on aveva p re m editato i l quadro. L o cercava egli stes so, servendosi dei suoi a tto ri, secondo che la sua fa ntasia era mossa, non solo dal testo scritto , m a anche d a ll’im p re - veduto. U n errore d i tono o un gesto inconscio d i un atto re ta lv o lta g li sug gerivano i l modo d i cavare, da q u e ll’er rore e da quella spontaneità, tu tto un sapiente effetto. Ciò che g li era sem brato o ttim o ad una prova, lo sconten tava alla prova successiva. Faceva e r i faceva. L a sua arte era tu tta sperim en tale. N on solo quando un p a rtico la re g li spiaceva, ma anche quando g li piaceva, lo faceva rip e te re e non isolato, freddo fram m ento d i scena, ma rifacend osi dal p rin c ip io d e ll’atto, un p o ’ per control lare se le sue im pressioni erano giuste, un p o ’, anche, per godere la bellezza del l ’intonazione In te rp re ta v a tu tte le p a rti. Balzava dalla sua seg- raggiunta. gioia a lla rib a lta , a ffe rra va g li a tto ri, li atteggiava, scatenava tu tta la sua pas sione. Ir e rapide, com piacim enti fu g a ci, a ttiv ità costante. Se un attore non era alla prova, e un a ltro qualunque lo sostituiva provviso riam ente, e m a g a ri costui era un uomo e aveva da leggere la p a rte d i una don na, i l d ire tto re voleva che quel sostitu- tore provasse con le in fle ssio n i d i voce giuste, parlasse con quella precisione e purezza d i pronunzia che fu una delle sue cure p iù scrupolose, con g li atteg giam enti convenienti al discorso ; e lo faceva provare e rip ro v a re come se do vesse, p ro p rio lu i, in te rp re ta re , alla p r i ma recita, quel personaggio. Se nella commedia dovevano u d irs i voci interne, non g li bastava che g li a tto ri, tra le quinte, rum oreggiassero : voleva che an che la lo ro faccia esprimesse i l senti mento che provocava quelle grida, p e r ché sapeva che quel sentim ento non po teva essere sinceram ente espresso se non era sinceramente vissuto. A lla prova ge nerale era disperatam ente scontento. S i arrabbiava, urlava. T u tto andava m ale ! « Se l ’avviso non fosse già fu o ri — egli esclamava — to g lie re i questa commedia dal re p e rto rio ». A lla sera era in palco- scenico, v ig ila v a su tu tto , dava g li u lt i m i consigli, si rallegrava, si irrita v a , studiava ancora. E quando vedeva che i suoi ragazzi facevano quello che egli aveva voluto si commuoveva e l i lodava. P o i se ne andava soddisfatto ; con le m a n i in tasca, con le punte dei g o m iti strette alla persona, un p o ’ im p e ttito ; e, se g li am ici lo accompagnavano, scher zava serrando m aliziosam ente le labbra e lasciando sfuggire da un angolo della bocca certe iro n ie friz z a n ti e sib ila n ti d ’un um orism o irre s is tib ile . L a m a ttin a dopo rip ig lia v a i l lavoro che, ahimè, splendeva e si distruggeva, quel suo lavoro che non resterà che nel rico rd o e n e ll’am m irazione dei contem poranei. Renalo §imoni s t e l l i n e t e a t r o a l Si dice « stellina » una ragazza dal muset to camuso, sguardo riottoso, che si fa foto grafare in bikini, e anche meno, sulla spiag gia di Cannes o sulle terrazze di Sanremo. Non v’è sul suo volto traccia di luce, ed anzi un che di opaco, come se spessa caligine la adombrasse; ma le membra e quel poco o molto di provocatorio che madre natura le ha fornito si atteggiano in calcolatissime pro spettive che avranno poi sui rotocalchi molto successo. Queste manovre di atteggiamenti e fotografie sono ispirate a grandi speranze, tendono a onori mondiali. Prima tappa l’in gaggio in qualche « formazione » cinemato grafica. Pare che il film, quello corrente, an dante, commerciabile, abbia perenne fame di ragazze come gli antichi mostri delle favole, e divori « stelline ». I l « nudino », lo scorcio malizioso, certe fuggevoli apparizioni piccanti e balenanti rappresenterebbero, si dice, il meglio, la sicura attrattiva del film digestivo; non per nulla piscine e lidi marini sono scelti con cura da soggettisti e registi per gli in contro amorosi dei loro personaggi. D i que sto tuttavia non sappiamo gran che; ma è certo che, nel linguaggio corrente, « stelli na-», « attricetta », « attrice » sono qualifi cativi che si applicano indifferentemente, an che se analfabete, a tutte le giovani che si fanno fotografare spogliate o nell’atto di spo gliarsi su rocce, barche, sedie a sdraio, pur ché appaiano, o siano apparse anche una vol ta sola e per un attimo solo, sullo schermo {e anche se non vi sono apparse mai e ne aspettino l’occasione). Orbene, se tali costumi ci lasciano indiffe renti non possiamo non preoccuparci (fino a un certo punto) dell’attacco delle « stelline » al teatro di « prosa ». I l teatro di « prosa », che qualcuno vorrebbe con ragione e non senza un po’ di enfasi definire teatro di « poe- sìa », non trascura un genere di spettacoli piuttosto liberi nei quali non diciamo l’al cova ma più speditamente il letto è il « pra ticabile » più frequentato. A quali capriole e tuffi esso si presti sul palcoscenico, le bisnon ne in mutandoni di tela e corsetti di pizzo del le pochades fme Ottocento, non avrebbero neppure potuto immaginare, le poveracce che diedero tanto scandalo. Fatto è che lo spoglia rello più o meno dissimulato sta per diventare un motivo non infrequente del teatro di pro sa: ragazzotte che si sfilano le calze rivolte alla ribalta con un sorriso deliziosamente ebete, che si tolgono il vestitino e poi la sot toveste, che si prodigano. Mentre le pazzerelle così volteggiano, in platea compagne e com pagni, amici e spettatori fanno capire ai vi cini di essere con loro in gran dimestichezza, di condividerne gli ideali di spregiudicatezza e d’arte. E a fine d’atto il nome del regista corre, serpeggia, esplode invocato come quel lo di un liberatore. Finalmente! Ma un caro amico napoletano di molta e antica saggezza, osservando il gran dimenìo e il gran lavoro e l’impegno e l’eccitazione di una « stellina » che si sporgeva di qua, si sporgeva di là, an dava sussurrando: « Be’, e perché ci vuoi far vedere queste cose? E noi, non le vogliamo vedere! Neh, guagliuncella, hai inteso, non le vogliamo vedere! ». La « stellina » certo un discorso così non l’avrebbe capito. Non lo capiscono neanche impresari, direttori di compagnia, registi che nelle « locandine », sui programmi, tra gli « interpreti » fanno apparire questi nomi vuo ti, questi cognomi vani, senza volto e senza fantasia, questi nomi e cognomi di donnette che salgono sul palcoscenico come salireb bero nude crude sulla passerella di un con corso di bellezza. Attrici? attrici quelle? Ma lo sanno quello che ci vuole per diventare attrice? quanto ci vuole di umiltà, di sacrifi cio e fatica; quali doni ci vogliono, quale istinto e vocazione, e quale lunga esperienza? E l’intelligenza: lo sanno che per spogliarsi no, ma per essere attrici ci vuole un lume, e sia pur lieve e leggiadro, di intelligenza? Ci man cava questa al nostro teatro, ci voleva l’assal to delle « stelline », la minaccia dello spo gliarello. Il pullulare dei teatri minuscoli, delle filodrammatiche, dei caffè notturni, dei clubs eccentrici, il pullulare e straripare delle attricette che per una camiciola in più o in meno credono di potersi affiancare alle im magini incantevoli delle attrici vere, delle donne vere che furono le creature frementi e argute, ardite, volutUiose, amorose, tenere e crudeli del grande teatro, dei grandi poemi di teatro e delle commedie eccelse e dei drammi della passione e della morte, questo fatuo fenomeno, questa frivola malattia passerà, si dissolverà nel dissiparsi della moda. E’ tuttavia bene ammonire i giovani e le gio vanotte (e i registi e gli impresari) che il teatro non è una piazzetta balneare, e che l’attrice è una creatura in qualche modo pri vilegiata, nata con quel talento, cresciuta in quel destino, che sa dire cose che nessun’altra sa dire come lei, e che in quel personaggio, in quel gesto, in quella voce si rivela un che di profondo, di « suo », di inimitabile. E’ una essenza confusamente femminile e poetica che il tempo raffina e la vocazione fa sempre più lieve e fantasticante. Anche il regista con l’attrice, con un’attrice vera (pensate la Duse), deve andar cauto. L’attrice è un essere viven te ed è un’enigma capriccioso, è romanzesca e romantica. Lo spogliarello, si sa, è più fa cile. Ma un teatro di giovani non può, non deve, certissimamente non deve accettare le COSe facili. Francesco Bernardelli S C A V I A M IL A N O IN T O R N O A L P IC C O L O T E A T R O Milano, di questi mesi, è città sconvolta da una lena, una furia escavatrice. Non si tratta di rin venimenti archeologici, ma della gara, della fre nesia di poter presto lanciare nei cunicoli sotter ranei la « metropolitana ». Quando gli ambrosiani han fatto mente che a loro difettava ciò che è pro prio delle grandi città, non han perso tempo, han perso, invece, la testa; e si son messi a picconare da ogni parte per il tragitto previsto. C’è già in atto nella capitale lombarda la rivoluzione edilizia, per cui scompaiono nel giro di poche settimane case e palazzotti e s’alzan grattacieli: ogni giorno qualcosa di nuovo ti si para contro. Ora abbiamo anche il sottosuolo che viene rovistato: le grandi vie sono impedite, e si va contro buche da guar darsi col binocolo, e son monti di terra che si levano, o viaggiano, portati via da mostri mec canici. Nel bel mezzo di questa fervorosa erosione si è trovato il teatro di via Revello, che si vede pres soché impedite le vie d’accesso; e sotto le fonda- menta sente la perforatrice. E’ stata questa condi zione, che rende quanto mai arduo, disagevole il lavoro dell’organizzazione, i trasporti, e l’accesso stesso al pubblico, a far ritardare l’apertura della stagione, preannunciata però nei giorni avanti Natale. Come avrà avuto modo di rendersi conto l’unico, paziente lettore che ci segue (sta a Lercara Friddi), il nostro animo nei riguardi del « Piccolo » è di una armata, sollecita amicizia; la nostra intelligenza (solo l’amico di Lercara Friddi così l’appella) s’adopera in una impegnata ricerca di giustappo sizione critica che sia colloquio, tessitura di ragioni. C’è stato chi, talvolta, ci ha detto di abbondare di condiscendenza, altri invece di argomentare irrita tamente. Il nostro più recente scritto al proposito, che stava a contrasto di altro dell’amico Guazzotti, parve appunto venato di irritazione. Chi vuole vada a rileggerselo (fascicolo n. 273, giugno 1959) e legga anche in coda a questa nota il repertorio che la Direzione del « Piccolo » ha bandito. E’ l’in segna della contemporaneità: tutti autori dell’oggi. Resta l’eclettismo, ma sorge la contemporaneità. Come si vede la rivoluzione del sottosuolo di Mi lano ha intronato anche negli uffici dei direttori, i quali altri bradisismi debbono aver avvertito in questi tempi. Si sa con quanto tenace volere, nel suo giusto proposito di dar ampio gonfalone al più moderno, organizzato, efficiente teatro d’Italia, Paolo Grassi si sia impegnato per promuovere un Ente autonomo. E ci è riuscito tanto, che l’Ente è sorto e promette grandi cose. La famiglia è cre sciuta con l’immissione di consiglieri, revisori, sni daci (non è nostra partita e noi non sappiamo se chiamarli così sia esatto), i quali rappresentano Enti, Istituzioni cittadine; e con personalità che a questo ideale edifìcio debbono dare il loro con forto. Ora, questi ammessi, questi sopraggiunti, sembra abbian preso la loro parte con esorbitante zelo. Si sa che cosa accade, quando un ragioniere, avvocato, dottore, ad altro intento, è indotto d’uf ficio ad accostarsi alle cose dell’arte. I sonetti del liceo, una visita al Louvre, i ricordi della Wandis- sima s’accomunano in una presunzione di governo estetico. E quello che pensa la moglie, mettiamo, dell’attrice Lilla Brignone; e ciò che in un salotto fu detto, poniamo di Ruggeri, diventa canone, mi sura. Trovare in così bella adunanza (nella quale c’è sempre un professore che fa lezione seduto su di uno sgabello di copioni mai rappresentati), come potrebbe essere appunto il Consiglio dell’Ente Pic colo Teatro, persone di diversa estrazione, per cui la composita realtà sulla quale si regge il mondo dello spettacolo è solo il piedistallo per una freu diana rivalsa, o una mondana orecchiatura, som mare a questo modo ambizioni sbagliate e auto promozioni facilone può esser rischioso. E’ come consegnare un orologio che andava, non proprio a degli specialisti di fabbriche svizzere, i quali non solo vogliono vedere come è fatto dentro, ma smon tandolo ti promettono di ricostruirlo più grande. E se la fattura non riesce? E se si perdono anche le due lancette? E non si sa più l’ora? Può acca dere. Il Piccolo Teatro con il suo bene ed il suo male è così configurato: è un organismo che abbi sogna di un conferente trattamento fisiologico. Ha fruttuosa serie di esperienze; il suo pubblico in Italia e all’estero; il suo prestigio. E il Revisore l’ha già rappresentato, cosicché non occorre che al trui s’addaffari a correre in sartoria per indossarne i costumi. La nostra rivista, che qualcosa ha detto e ha da dire, si è dichiarata per un Teatro Nazionale a Roma, e che il Piccolo Teatro di Milano perfezioni le sue strutture, bruci le sue scorie. Grassi e Strehler si accettano così come sono (magari ogni tanto è bene far suonare per loro un campanellino d’avver timento) o si perdono. Dividerli, contestarli, con- trastarli, sarebbe privare il Teatro italiano del più efficiente binomio. La capiscano a Milano dove si pensa di mettere in fasce Paolo Grassi e, tranquilli, se la godono che Strehler si trasferisca già per una regia a Roma. Tanto restiamo noi, possono pen sare gli esperti che sono alla tavola rotonda del «Piccolo». Il quale però, di balzo, ci ha promesso un bel programma che direttori registi e attori deb bono reggere sino in cima, alla cuspide. A cruccio di chi scava intorno e sotto. Vittorio Vecchi LA STAGIONE 1959-60 AL PICCOLO TEATRO DI MILANO ■ A partire da questa Stagione, il Piccolo Teatro dì Milano si è costituito in Ente Autonomo. Il Comune di Milano, VAmministrazione Provinciale, l’Ente Manifesta zioni Milanesi e la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde sono gli Enti Fondatori, dal cui apporto finan ziario, oltre che dai proventi di esercizio e dai beni che pervengono all’istituzione a qualsiasi titolo, è costituito il patrimonio. Il Consiglio di Amministrazione, presieduto dal Sindaco di Milano, è formato da 2 membri designati dal Ministero per il Turismo e Spettacolo — Direzione Ge nerale dello Spettacolo — 6 designati dal Consiglio Comu nale, 2 dall’Amministrazione Provinciale, 1 dall’Ente Ma nifestazioni Milanesi e 1 dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. La Stagione si aprirà con Come nasce un soggetto ci nematografico di Cesare Zavattini, già rappresentata al Festival di Venezia 1959, ma novità per Milano. La nostra rivista si è occupata largamente di quest’opera, recensita dà Gino Damerini (nZavattini o del monologo sceneg giato», fascicolo n. 275-76, settembre 1959). Seguirà Za- vattini, lo svizzero Friedrich Dürrenmatt con la sua com media La visita della vecchia signora. Il nome di Diìrren- matt non è ancora noto al pubblico delle platee, ma notis simo ai nostri lettori. Già nel fascicolo di Natale dell’anno scorso abbiamo pubblicato la commedia In panne prece duta da una introduzione sull’opera e sull’autore di Italo Alighiero Chiusano. Nel marzo 1959 (n. 270) abbiamo pubblicato altra commedia di Diirrenmatt Sera d’autunno con una introduzione di Gigi Cane. La visita della vecchia signora è considerata la commedia più importante di que sto autore, alla quale Chiusano ha dedicato una delle sue cronache fin dal 1956 (n. 235 di « Il Dramma ») e del quale — nel tempo — sono state rappresentate altre commedie, tra le quali ultime II signor Biedermann e gl’incendiari (vedi n. 275 del settembre scorso). Il cartellone del Piccolo Teatro comprende, inoltre, La Maria Brasca di Giovanni Tcstori, La congiura di Giorgio Prosperi (Premio Marzot- to 1959) e, abbinati, L’eccezione e la regola di Brecht e Ricordo di due lunedì di Miller. Registri: Strehler, Puecher, Squarzina, Mario Mìssìroli. At tori principali: Carraro, Buazzellì; partecipazione straor dinaria, Franca Valeri in La Maria Brasca. E R R A T A IN T E R P R E T A Z IO N E D E L z é a / z / m z / C’è tutta una letteratura, vasta, documentata e dì precisa iconografia, su tutto ciò che vien comune mente chiamato « dramma sacro » o « sacra rappre sentazione ». Nel caso presente (Istituto del Dram ma Sacro) esiste un’errata interpretazione di ciò, o nella partenza, o nei modi di trattare questa sacra letteratura teatrale. Non esistono, infatti, drammi sacri o drammi profani; esistono situazioni dram matiche. Che un Istituto abbia come compito di divulgare drammi d’una certa tendenza piuttosto che altri d’altre tendenze è un compito strettamente ideologico e d’una particolare organizzazione, lì teatro non ha compartimenti stagni (o non dovreb be averne), non ha rèmore; purché esista, purché sia teatro m tutte le sue manifestazioni emotive, drammatiche, rappresentative; purché riesca, con la parola, con la messinscena, con le luci, con la reci tazione, a raggiungere il principio base di fare rappresentazione. Perché rappresentazione è qual cosa di magico che sta a significare come l’arte del palcoscenico giunge sotto forma di messaggio alla platea. Se questo filone non esiste, o se si spezza, o se il miracolo della fusione palcoscenico-platea non si attua, manca il senso della rappresentazione. L\< Istituto del Dramma Sacro » s’è posto un com pito, che tenta di realizzare ogni anno: una o due eccezionali esecuzioni di drammi a sfondo sacro, il più delle volte d’estate. Il Savonarola è una delle recenti rappresentazioni straordinarie di Orvieto e di Viterbo, ed è una riedizione di quella data nel 1956 al Palatino di Roma, Stadio di Domiziano. Negli anni scorsi, invece, si sono susseguite Le Lau de Umbre di Jacopone da Todi e Francesco d’Assisi a II Miracolo del Corporale di Anonimo del XIV secolo; Il Gran Teatro del Mondo di Calderón de la Barca al Poliuto di Corneille; il Francesco d’As- sisi di Nicola Pecorelli al Cipriano di Anonimo Italiano. Nomi grossi, temi sovraccarichi di mito, leggenda, santità, ma ambizioni ancora più grosse, forse sproporzionate, per elaborazioni di lavori il più delle volte discutibili, lavori nati, cresciuti e defunti nell’arco vago ed aleatorio di due, tre, mas simo quattro rappresentazioni, ora innanzi al Duo mo d’Orvieto, ora al Palatino romano, ora al Sacro Convento d’Assisi, ora in teatri, come l’« Argenti na » di Roma. Se va tenuto conto che molte delle eccezionali rap presentazioni all’aperto — le quali fioriscono di so lito nella buona stagione — nascono in funzione ambientale (Ostia Antica, Taormina, Siracusa, Tin- dari, « Olimpico » di Vicenza, eccetera), va preci sato che con queste eccezionali rappresentazioni di drammi sacri non si assolve ad alcun principio programmatico d'un Istituto che porta il nome di Dramma Sacro, se queste rappresentazioni chiudo no anno per anno il loro breve ciclo in uno di quegli ambienti citati. Tre o quattro rappresenta zioni d’un dramma sacro, in un ambiente già legato di per sé alla fama religiosa o alla eccellenza di architetture e luoghi cattolici, non risolvono quel principio che dovrebbe risolvere un istituzione del genere. Altro discorso, poi: si è portati a fraintendere, di solito, sotto la sigla di « Istituto del Dramma Sacro », un qualche cosa, nelle rappresentazioni finora date, che del sacro pretendono di mantenerne le prero gative, al punto che, sempre, o quasi, il sacro si estrinseca in strette osservanze di paludamenti reli giosi, d’ambientazioni da sacrestia. Dramma sacro è un tutt’uno, nel teatro, con l’« altro » teatro, pur ché sia teatro, purché sia rappresentazione, per cui il « sacro » può essere rispettato sotto multiformi aspetti di rappresentazioni che conservino il rigore della Parola e del Verbo (anche e non solo colle lettere maiuscole) in spettacoli teatrali veri e pro pri; quegli spettacoli che affascinano i pubblici pro prio perché rappresentazioni di fatti nuovi, di nuove situazioni, di rievocazioni classiche storicamente valide, anche conosciute, e sviscerate per la penna d’autori di chiara fama. Per la edizione del Savo narola c’è stata una buona dose d’essenzialità ed una tal qual ricerca d’effetti formali, ma non si può dire, di essa, né teatro, né Parola, né Verbo, né messaggio; quindi si elude a priori il principio di rappresentare per il grosso pubblico. Infatti, un certo assenteismo sia del pubblico che della stampa, a simili esperimenti, è una riprova. Il dramma, sacro o d’influenza, innanzi tutto va ricercato in una vastissima gamma, dai tempi pri mitivi ad oggi, di cui il repertorio di tutto il mondo civile è ricco. Una volta costituita una compagnia valida per uno o due importanti lavori anno per anno, questo sforzo va portato possibilmente nel maggior numero di « piazze », e non solo nelle sedi di stretto rigore religioso, ove il clima ecclesiastico e d’ispirazione vi è congeniale, ma ovunque, anche negli ambienti profani, proprio per portare in am bienti profani quel modo di rappresentare certo teatro (purché sia autentico) che fa della Parola e del Verbo il perno di azioni vive, interessanti, en tusiasmanti. A questo punto, mi si passi quella che, a prima vista, può parere una eresia: non si fa del teatro sacro ove in ogni rappresentazione i perso naggi portino abiti talari, ove il fondale abbia ad unico emblema la Croce, ed ove, spesso, l’altare ed altri luoghi deputati religiosi siano elementi scenici funzionali. Non è questo il teatro sacro; è ben altro. Il repertorio è vasto, interessante, spregiudicato a volte, ma con apporti di speculazioni spirituali e d’interessi propagandistici coerenti, indiretti: mi gliori e più efficaci se indiretti. Delle rappresentazioni ultime del Savonarola, per incarico ricevuto dal Presidente dell’c Istituto del Dramma Sacro», on. Corrado Terranova, se nè occupato attivamente, sia pur precipitosamente, un teatrante-organizzatore tra i meglio dotati, Luigi Gatti, il quale, a conoscenza di vari problemi tea trali, per gusto, tendenze ed esigenze delle platee, ha constatato che è proprio se si farà del buon tea tro rappresentativo, d’informazione e di valorizza zione della Parola e del Verbo (con o senza maiu scola), che si può concentrare su ogni piazza di qualsiasi città un pubblico attento, interessato, com mosso e plaudente. Il vuoto delle platee è doloroso per qualsiasi tipo di teatro; ma ancora di più se è doloso: pretendere di far del «teatro sacro» per impartire lezioni di catechismo dal palcoscenico. Il modo ed i mezzi per rinnovare un Istituto, che porta il nome di Dramma Sacro, ci sono ed affatto complicati, come a prima vista può sembrare. Di questo avviso è anche l’attuale Presidente, per espli cite dichiarazioni fatte; anzi è allo studio un pro getto, in questo senso, progetto che l’organizzatore Gatti sta vagliando per sottoporlo all’approvazione del nuovo ministro dello Spettacolo. Detto ciò, l’im portante è mettere testi teatralmente validi in mano a registi di tutte le tendenze; l’importante è ese guire questo tipo di teatro con appropriate messin scene che nulla abbiano a soffrire nel confronto con le rappresentazioni di rilievo della stagione inver nale; l’importante è richiamare le folle col nome di grandi attori che guardino al loro cimento in certi drammi come a dei traguardi per le loro esperienze o per la loro popolarità; l’importante, infine, è non rimaner isolati nel vuoto d’una piazza sola, sia pur storica, in una sola stagione, ma girare, portare ovunque quella rappresentazione come spettacolo, toccando il nord, il centro, il meridione e le isole d’Italia, proprio per saggiare tutti i pubblici, per far statistiche delle reazioni di ognuno con drammi e con classici che di sacro devono conservare solo l’alto asserto e la funzionalità educativa, ma che devono rimanere sempre teatro di viva rappresen tazione per fare spettacolo. Danilo Tel Ioli Disegno di Gogol per l'Ispettore genera le, rappresentato a Pietroburgo nel 1836. L ’IS P E T T O R E G E N E R A L E ( È IN D IS P E N S À B IL E ) Ci sembra assurda, dispersiva ed inutile la mancanza di coordinamento dei teatri stabili cui si dovrà dare, fin dalla prossima stagione, appunto un ■■ Ispettore generale » per evitare che a Genova si apra la stagione (27 ottobre 1959) con il « Revisore » di Gogol ed a Trieste si apra ugualmente (14 novembre 1959) con l’« Ispettore generale », cioè il « Revisore » di Gogol, così come la passata tagione due altri teatri stabili si sono inseguiti con « Platonov » di Cecov, che a Torino ebbe titolo « Gli amori di Platonov » ed a Milano « Platonov e altri ». Quando i teatri stabili decidono il repertorio, visto che da soli non hanno il buon gusto e la misura di evitare incontri e doppioni, dovranno presentare la lista di repertorio ad un « ispettore generale » che vieterà il malvezzo, visto che ognuno crede, col denaro altrui, di fare ciò che crede. Detto questo, ed era necessario, rimandiamo il lettore al fascicolo scorso, critica da Genova di Enrico Passano, per quanto riguarda la disamina dell’opera di Nikolaj Vasilevic Gogol, e per la cronaca riporteremo le parole di Vittorio Tranquilli, che scrive avere « il regista Colli intelligentemente collocato le sue figure tutte sullo stesso piano, facendone emergere solamente il falso revisore Cljestacov, impersonato con pittoresca baldanza e con piacevole e indovinata enfasi da Leonardo Cortese, attore assai spontaneo e ardente di vitalità ». Molto lodati anche Pina Cei, la Menichetti, Cesco Ferro, Carlo Bagno e gli altri attori che — dice Tranquilli — « fino a poco tempo fa si trovavano nel rango degli allievi ». Ottimo successo. - Fra un mese, fra un anno 9 Al Teatro della Pergola di Firenze, 14 novembre 1959, la Compagnia di prosa E.P.T., diretta da Silverio Blasi, con Vivi Gioì, Renzo Giovampietro e Loris Gizzi, ha rappresentato una specie di sceneg giatura recitata in tre atti di Paolo Levi Fra un mese, fra un anno tratta dal romanzo omonimo di Françoise Sagan. « Paolo Levi ha cercato di essere il più possibile fedele al testo della spregiudi cata scrittrice francese, tanto che si ha Vimpressione di trovarci di fronte ad un romanzo sceneggiato piuttosto che a una vera e propria commedia. D’altra parte quello che più può importarci è il risul tato dell’opera portata alla ribalta». Fatta questa premessa, che è del critico Giulio Bucciolini, non resta da doman dare, con comprensibile perplessità, come sia venuto in mente a Paolo Levi — com mediografo di ben altre intenzioni — di gingillarsi con la materia del ro manzetto della Sagan, i cui intenti ed interessi sono noti, come i suoi libri, purtroppo anche da noi. La commedia è stata messa in scena dal regista TV, Silverio Blasi, il quale « ha indirizzato la sua regìa a chiarificare i vari episodi ed i vari stati d’animo con ritmo ed efficacia assai lodevoli». Gli attori si sono molto prodigati in una fatica di troppo peso per il risultato che se ne poteva ottenere, e vanno lodati tutti, da Vivi Gioì a Elisa Mainar di, da Loris Gizzi a Giovampietro, Giuffré Tu- sco, Isabella Bianco, ITsnarghi. Il pub blico « ha compreso lo sforzo degli inter preti ed ha applaudito ». LA FESTA DI EDUARDO B Al Teatro Quirino di Roma, il 6 no vembre 1959, la Compagnia di Eduardo De Filippo ha rappresentata la nuova commedia dello stesso Eduardo « Saba to, domenica e lunedi ». La difficoltà maggiore in cui incorrono i nostri scrittori è di allargare il cerchio di visuale non solo per quello che riguarda l’orizzonte del loro sguardo, ma anche nei confronti della dina mica storica che indubbiamente sommuove ogni mondo, per ri stretto che sia. Il dato di partenza naturalista tende per sua natura a offrirci un ritratto statico e definito. L’importanza di Eduardo come autore, nel nostro teatro come nel nostro Paese, sta appunto in questo: dopo aver descritto, am piamente e minutamente come si conviene, il mondo in cui era vissuto e di cui si faceva espres sione, ne sta tracciando con qua dri densi di vita e di verità il movimento storico, e cioè ne suggella davvero il profondo ri lievo, conferisce al suo lavoro pro porzioni e portata che non si sarebbero supposti, dato che tali limiti hanno in questi ultimi de cenni pesato in ogni forma sulla nostra produzione artistica e an che nei maggiori. Dopo le parabole de Le bugie con le gambe lunghe, Eduardo per due o tre lavori rimase disorien tato sugli sviluppi da dare al suo lavoro che aveva esaurito il cer chio, per forza di cose ristretto, di un primo stadio ambientale. Lentamente riprese il cammino nella direzione giusta, legata sem pre al suo mondo e alla sua epo ca, ma giostrandone le complesse evoluzioni (che ben difficilmente si lasciano intravvedere dai con temporanei). Dal primo abbozzo di Mia famiglia, all’analisi pun gente e in profondità di Bene mio e core mio, dove affetto e interesse vengono messi a con fronto in un mondo che l’esige, al quadro di grande e commossa evidenza poetica che ci presenta Sabato, domenica e lunedì (tre atti, ognuno per ciascuna gior nata). In un nucleo familiare, l’amore tra due vecchi sposi sembra in crinarsi per un malinteso di nes sun conto che potrebbe però sboc care in tragedia. Tanto avviene durante l’occupazione del tempo libero nel giorno di festa, con il suo prologo e il suo epilogo. L’aneddoto è I personaggi tratti dalla più nor male realtà quotidiana, il lin guaggio si nutre delle espressioni più dirette e usuali, il fremito del la commozione poetica, con lo sfiorare di un alone tragico, na scono quasi inavvertitamente, na scosti sotto un ambito di minute insignificante. constatazioni, tra cui la parola amore non circola mai, eppure trionfa. Peppino Priore, negoziante bene stante, ha gustato più del neces sario uno stupendo piatto di mac cheroni alla siciliana, in un pran zo che gli ha offerto la nuora; e la moglie Rosa se ne è pro fondamente offesa, perché la cu cina è il suo vanto (e così tutte le cure e le affettuosità della casa, con cui ha cercato di rendere fe lice il suo Peppino per lunghi anni). Rosa non gli perdonerà per quattro lunghi mesi, e a Peppino parrà, nonostante che Rosa conti cinquantatré anni e non sia mai stata bella, che ciò sia invece do vuto alla corte accanita e ben ac cetta che le starebbe facendo il ragionier Imparato, amico di ca sa. Il sospetto va di mano in mano ingigantendosi fino ad av velenare completamente la sua vita, fino a spingerlo a meditare l’omicidio del ragioniere. Fortu natamente il suo tormento sbocca in una scenata. Durante il so lenne pranzo domenicale accusa della tresca i due innocenti di nanzi ai figli e ai familiari, susci tando il putiferio. La povera Rosa si difende come una ieonessa, fin ché non sviene e non si ammala per il dolore. L’indomani, quan do Rosa si sta riprendendo e Pep pino si è convinto dell’enormità di quanto ha affermato, soprag giunge una spiegazione, e Rosa gli confessa come prima del ma trimonio, quando Peppino era incerto sul da farsi, lei non aves se usato di un argomento assai grave per convincerlo: cioè che era incinta di lui. Gli ha dato così una grande prova d’amore, ed ha continuato a dargliene fino al giorno dei maccheroni. Sotto l’aspetto burlesco (la situa zione viene adeguatamente lu meggiata attraverso gustosi carat teri di contorno) Eduardo ha trac ciato una commossa e pudica ele gia dell’amore, nei suoi aspetti quotidiani, meno clamorosi e per ciò più sensibili. L’azione viene a dipanarsi lungo i tre atti nel modo tradizionale, ma ogni atto è costruito a pic coli frammenti scenici che si giu stappongono come le tessere di un mosaico, e la verosimiglianza è sempre accuratamente rispetta ta, sia negli avvenimenti che nei personaggi che nelle loro battute, togliendo ogni sapore romanzesco e ricollegandosi alla grande sco perta compositiva di Cecov, per la quale un « montaggio » della realtà quotidiana adeguatamente offerto, ne rivela il substrato, il senso, il perché. Il procedimento è stato messo in atto nel film con risultati sostanziali, ed è abba stanza recente la scoperta che diari, lettere, testimonianze pos sono assumere un valore estetico pari, se non superiore, a quello della fiction. Eduardo ha sentito nel suo più alto significato il valore di questi esempi, e al tempo stesso ha saputo farne lie vitare umoristicamente la mate ria. Eia inoltre compreso come questa forma, fedele al proprio oggetto e preoccupata anzitutto di farlo parlare e di non sovrap ponisi, con lo stesso scrupolo della scienza, fosse la più consona al sentimento dei nostri anni, la più adatta a specchiarne il corso. Cecov disegnava il disfacimento di un mondo, ne faceva lumeg giare indirettamente le prospetti ve che sembravano lontane. Eduardo testimonia invece del l’adeguamento generale a un determinato ideale di vita, deter minato dalle condizioni di lavoro, che viene sorpreso in quell’appa- rire del giorno di festa tra i gior ni feriali. Nel meccanismo cioè in cui la società traccia un equi librio instabile tra il tempo de dito a un’occupazione necessaria al sostentamento della vita, non alla vita stessa, e il tempo libero dedito agli affetti e agli svaghi. Come fa osservare amaramente un suo personaggio, i problemi a un certo punto, mano a mano che la società si va assestando (si è chiuso il dopoguerra), ven- gono ad addensarsi nel tempo li bero anziché in quello occupato. Il tempo libero, come ogni libertà, suscita tormenti: che sono d’al tronde condizione di vita, e, di ciamo pure, ne costituiscono il succo. Altro tema che fa da strut tura alla commedia è il conflitto tra le generazioni, che qui trova una sua espressione realistica e spiritosa, atta a fare da chiaro scuro al conflitto centrale, in una saggia contemplazione dello scor rere dei tempi. Ancora, di contorno ma sempre così vivi sulla scena, un figlio penosamente succube, la signora intellettuale, il reduce sull’orlo della pazzia, la camerierina pic cosa, l’insieme del quadro non ha angoli morti : la sua superfi cie è brillante e mossa in ogni momento, in una sfaccettatura piena di risorse. I confini fra le classi vanno oggi progressivamente cadendo, per la concentrazione della ricchezza e del potere sempre più in mano di pochi, così si perdono le fisio nomie che furono caratteristiche degli altri secoli, e gli stessi ideali di vita in termini fideistici si ac compagnano oramai. La trasfor mazione in alveare livella i pro blemi che si ripetono su diversa scala, non più di diversa natura. A questo processo si deve il seme delle constatazioni di Eduardo, la sua pittura di una situazione psicologica, il cui tema centrale sta divenendo, non senza motivo, la convivenza, come e perché convivere. All’impegno di una forma ideale tracciata dagli estetizzanti di principio del secolo, a quello di un significato metafisico in chiare o meno chiare lettere del primo dopoguerra, vediamo oggi Eduar do sostituire l’esigenza morale, tradotta in un esame delle psico logie e dei caratteri durante il loro trasformarsi, scoperto nel linguaggio diretto dei contrasti e delle fusioni, dell’odio e del l’amore, della gelosia e del pos sesso. La recitazione di Eduardo e di Pupella Maggio, che sono i due protagonisti, contravviene in pie no alle convenzioni del nostro teatro. Il dialogo si svolge in un italiano a cadenza napoletana. Rifugge dagli effetti come dalle norme, alla ricerca soltanto delle verità del cuore, con una sem plicità che a volte ha del sublime, un sublime tutto umoristico e scabro, che sopravviene col vigo re dell’evidenza. Non bada a ri pulire e ad esprimersi. Negli altri interpreti, la stessa immediatezza spontanea, che solo a volte cede alle tentazioni del colore : per far si d’altronde accentuazione spiri tosa atta a porre in controluce il dramma intimo. Vito Pandolci M a l a p a r t e d e l c a p i t a l e ■ Al Teatro del Convegno di Milano, il 6 novembre 1959, la Compagnia del teatro stesso ha rappresentata la commedia in tre atti di Curzio Malaparte « Il capitale ». Regia di Enzo Ferrieri. ® Lo stato di grazia, gli intrepidi e miti discorsi di Curzio Malaparte, in una sua stagione milanese, quando fece teatro, visse coi comici e recitò anche: una cosa sua azzardosa, perché si trattava di una rivista che voleva essere di più! S’accompagnava con chiunque fosse disposto a dargli spunto, rivalsa. Cercava di cogliere dal palcoscenico sgombro, nella frequentazione degli attori, la risolvente per ascendere a quel fatto supremo che, per lui, era il teatro: unica ambizione a qualcosa di inattingibile, lo faceva capire, per lui, che a tante ambi zioni era venuto a capo. La sua non era remissione senza magici argomenti, e non confortata dalle variazioni di chi tentava sempre l’approccio e la conquista, magari con lo spregiudicato uso dell’intel ligenza, di ciò che al tempo stesso gli dileguava. Il capitale, a quei tempi, l’aveva già scritto (fu rappresentato a Parigi nel 1949). « Poteva essere gran cosa » diceva. « Ho messo gli spettatori davanti la responsabilità di una decisione: quelli non han voluto ». Sospen deva il discorso o divagava, ma era il primo ad avvertire che non si è autori di teatro, se una decisione, al pubblico, non la si impone con un calar di tela su eventi perentori. E in quel che diceva, quasi conti nuava la stesura di questa opera, o per ripensamento ripeteva battute carpite a scene che sviava. L'opera già nel titolo è un rischio; lo diventa ancora di più nei personaggi: c’è Carlo Marx e la famiglia e uno scrivano Godson, portatore di Dio, fra le pagine del materialismo storico e dialettico. L’azione, poi, aggiunge carica: siamo nel 1851 quando Marx, dopo il Manifesto, ha la maggior tensione ideale e, nella commedia, ci è fatto vedere come un argomentatore di sé: due figli gli ricordano la morte del suo maggiore, la moglie è in pena, e il Godson gli adombra continuamente Dio con esemplato dibattito. Le parole montano per la discorsività pratese dell’autore che tanta lustra ed ansia aveva di internazionalismo. Compare anche Felice Orsini, tanto per ricordare agli italiani che andrà a mettere una bomba nella carrozza di Napoleone III. Questo mondo è metastorico e dilegua in una bruma intellettualistica; i personaggi ci appaiono ectoplasmi, anche se debbono essere per l’autore al limite di una civiltà borghese che rievoca le proprie ragioni e si rifà il sangue (Ricordate le Bonhomme Lenine?). Per Mala- parte, come per altri fervidi estro si sistematori, Marx è un punto di forza dei benestanti, che posso no anche discutere con Dio ( God- son in commedia). Nel mezzo la pietà degli uomini, delle donne (nella commedia la moglie di Marx), dei bambini: spoglia di sperazione. La rappresentazione così disposta appare di comodo per scariche verbali, contrasti, che non hanno la saliente spirale di un auto sacramentai, ma son dispersi vi e continuamente rinfocolati. Ed anziché dialettici, compene- trantisi, appaion bloccati, vago lanti. L’inquietudine di Malapar- te, il suo morbido, sospettoso e fi ducioso indagare, non può che ripetere le antinomie, non sussu merle. Anche il destro del teatro egli non lo coglie quando avreb be, magari, occasione di giocare una situazione, per rimbalzare un personaggio. E’ sempre una intel ligente rinuncia, ma rinuncia; e che lascia questa commedia nel l’ibrido, nel dubitoso. E la sua voce di quelle serate milanesi, par di sentirla ancora, che continua, prolunga il dialogo fino al di sperato silenzio. Enzo Eerrieri ha avvertito quel tanto di provocatorio, stimolante che aveva in sé questa opera e le ha dato ospitalità, anzi con essa ha aperto la Stagione, al « Conve gno ». Abilmente distensiva, chia rificatrice la regìa. Fra gli inter preti segnaliamo la accorata reci tazione di Marisa Fabbri, nella parte della moglie. Bravi anche gli altri, ma siam quasi presi da un certo timore a nominarli, dato che erano Marx, Engels... tutta via, essi erano Enzo Tarascio ( Carlo Marx), impetuoso ma an che corposo; Raffaele Giangran- de, Ottavio Fanfani, Itala Marti ni, Bertini Salvatori, Mantoni, De Toma, Paola Boccardo e Ma- risa Lizzar di. Varie e fervide chiamate dopo ciascuno dei tre atti. Vittorio Vecchi M a r e e w h i s k y ■ Al Teatro Odeon di Milano, il 13 novembre 1959, la Compagnia Masiero- Volonghi-Lionello ha rappresentata la «commedia con musiche» di Guido Rocca « Mare e whisky ». Regìa di Daniele Danza. Pare che Dino Campana, che nei Canti Orfici assunse a mito, che una realtà sembrava aver trasfigurato, un suo viaggio nell’Ame rica Latina (quella grande e vera poesia che è Montevideo la ricordate?), conoscesse, solamente per virtù di bicicletta, accompa gnato però da visitatici visioni, i dintorni di Marradi e un poco d’Italia. Per contro, i rotocalchi han dato notizia che, nell’estate scorsa, Guido Rocca era disceso alle spiagge del Tirreno, si adden trava in labirinti di stimolante mondanità, per scriver dal vero una commedia. Eccederemo, questa volta, in citazioni, per riparare al transeunte cui desolatamente questa opera ci contagia, per ricor darci e ricordare che Kant ha, nelle prime pagine della Critica alla ragion pura, una proposizione che lascia, anche oggi, interdetti. Dice egli, all’incirca, che ogni scoperta, invenzione, ritrovamento non è che la coincidenza con maturazioni che in noi si sono andate configurando: l’uomo non vi trova che la proiezione di una propria, nuova misura. Per discendere al caso nostro, Guido Rocca doveva preconoscere, per logica anticipazione, quella realtà che andava ad incontrare, non imbattersi in essa: «Oh, ecco la realtà! », e uscirne stordito. Sul realismo cinematografico, figurativo, narrativo e teatrale c’è ai dì nostri chi ne fa gran discorrere e lo pratica in maniera troppo assolutiva. Parole e azioni. Gino Rocca, ad esempio, la sua opera avrebbe potuto scriverla in una mansarda, sotto il lume a petrolio, tanto questa storia, nonostante ci venga presentata sghemba, musi cata, e con gergo ba'neare, fumiga come uno stoppino. Una attri cetta, Silvia, si vuol sistemare con un matrimonio; ed ecco che aduna gli amici del disordinato tempo che fu, per un congruo congedo (oh il frenetico addio allo scapolaggio degli uomini della provincia italiana, nei cinquantanni a cavallo dei due secoli!). Giunge, però, in virtù di un incidente automobilistico, un ribelle incantatore che si piglia la ragazza ed irride al suo mondo. Silvia congeda il fidan zato e spera che il sopraggiunto lo rimpiazzi fino alle nozze. Nicchia, invece, l’estroso per quello che potrebbe pensare la gente e perché una zia potrebbe indignarsi e non lasciarlo erede. (Ombra della Signora delle Camelie!). Tutto ciò è misturato in un cocktail, triturato con ghiaccio, accompagnato dal moto del barman, confuso con suoni e parolacce, ma la storia è questa e non c’è chi se ne salvi. Forse a Silvia (oh Leopardi...) l’Autore ha dato più ondoso piglio, ma tutto va in ischiuma. O in fracasso, quando suona l’orchestra o langue quando c’è la chitarra. Via, questa commedia ci pare Signorinella cantata da Mina, l’urlatrice, che la vuol far passare per nuova. A merito dell’autore c’è qualche tipo ben unghiato, brani di dialogo attento, una riposta amarezza che non riesce a scaricare. Son frange, però, che non bardano l’immatura, precipitosa invenzione della com media, la quale ha avuto in Lina Volonghi, Lauretta Masiero, Alberto Vianello impegnatissimi interpreti. Un bravo ad Ermanno Roveri. Daniele Danza con accorta regìa ha puntato con sforzo su quello che di meglio c’era da far vedere. Ma eran parole scritte sulla rena di una estate italiana. Quindi un successo parziale, ben imbottito di mondanità milanese, e disapprovazioni con veri fischi alla fine. v. v. Bl c a p p e l l o d i p a g l i a d i F i r e n z e H Al Teatro Stabile di Torino, il 7 novembre 1959, la Compagnia del teatro stesso, con la partecipazione straordinaria di Laura Solari e Filippo Scalzo, ha rappresentata la commedia in cinque atti di Labiche e Michel « Il cappello di paglia di Firenze ». Traduzione di Gian Renzo Morteo. Regia di Gianfranco De Bosio. ® E’ curioso come l’impressione che il pubblico torinese si è portato via dalla rappresentazione del Cappello di paglia di Firenze che il regista De Bosio ha proposto in apertura di stagione del Teatro Stabile, richiami vagamente — ma con insistenza — la pittura di Chagall. Non tanto per le intonazioni di colore, accese e squillanti, quanto per l’estroso affastellarsi delle note e per il mescolarsi delle immagini su un piano di fantastica libertà e di sorniona facilità dei motivi. Vale a dire che l’effetto è stato duplice e che, in un certo senso, ha smosso sensazioni contraddittorie: per un verso si sono avvertiti la estrema semplicità del costrutto, la scontata ovvietà delle situa zioni, il carattere innocente e innocuo del dialogo; e per l’altro si è continuamente sentita la presenza di una raffinata trascrizione, di una compiaciuta deliberazione della forma, di un prezioso gusto di rifinire ironicamente il particolare. Così il Cappello di Labiche è risultato un « classico » non per il suo valore intrinseco, quanto piuttosto per il fatto che è regolarmente servito da pretesto alle spregiudicatezze provinciali della pochade. E pareva finito con esse. Un buon motore, un ingranaggio sicuro, congegnato funzionalmente (il perfetto cerchio disegnato dallo svolgersi dell’intreccio e il com pleto dissolversi di ogni complicazione): e non ci si avvedeva rivol gendogli questo complimento che si diceva cosa vera, ma con un significato puramente strumentale, come per una impalcatura essen zialmente comoda, e solo per questo ingegnosa. La consistenza, il « significato » a quest’opera li hanno sempre dati quelle scabrosità veristiche che dosavano la recitazione: il sanguigno naturalismo delle macchiette che non mancava di indulgere a grettezze e giovialità paesane, e la inevitabile ilarità di una borghese impudenza boccac cesca. Che la perfezione del congegno risultasse dalla sublimazione di una scoperta fantastica e che tale intuizione rendesse possibile il confronto, esilarante certo ma non per questo meno critico, di due fondamentali correnti del costume, passò inosservato ai critici; anche se gli interpreti migliori istintivamente ne assimilarono le pungenti osservazioni. De Bosio non ha creduto nel dettato della tradizione: forse anche perché si è reso conto che la memoria degli spettatori sarebbe stata una cattiva alleata, troppo indulgente col passato e troppo innamorata di remoti confronti; e piuttosto che deluderla cercando di compia cerla ha preferito rischiare di sorprenderla. Ma soprattutto ha giocato in lui la suggestione di quella fantastica spregiudicatezza: e più che il servile congegno meccanico ha intravvisto l’audacia di una addi zione di momenti paradossali e ne ha avvertito l’autentica verità e — soprattutto — la modernità. Ha denudato la macchina, svelan done la semplicità del funzionamento: di qui quella sensazione di innocenza, di linearità; ma poi si è inserito arditamente in quella zona di libera circolazione della fantasia che gli è avvenuto di indi viduare per caricare il puro disegno di molti significati riflessi. Quella stessa cultura dello spettacolo — maturata attraverso influenze ed esperienze surrealistiche ed espressioniste — che gli ha permesso di rintracciare la modernità di Labiche, ha contemporaneamente costituito un insidioso filtro intel lettuale: si è spenta la goffi a mali zia ed è subentrato il compiaci mento di un assaporamento iro nico. Ridere di come rideva la borghesia di cent’anni fa: questa la segreta tentazione cui si è affi dato il regista, pur volendo nello stesso tempo conservare i modesti risultati satirici di quella arguta risata ottocentesca. Per far prendere corpo di spet tacolo a questa intelligente intui zione critica —- che serve del re sto a spiegare anche la scelta del Cappello per un teatro stabile — De Bosio ha richiesto la colla borazione di tre elementi essen ziali: il disegno di Raymond Pey- net, le musiche di Sergio Libero- vici, la recitazione di Giustino Durano. Tre componenti piutto sto eterogenee, da ricondurre con difficoltà a un equilibrio funzio nale; anche se ciascuna di per sé esprime un gustoso distacco ironico nei confronti del testo e cioè consente un interessante spunto di interpretazione. Punto d’incontro fra loro la lievitazione fantastica, quella zona di libertà di inventiva che la stessa costru zione di Labiche pare postulare; e ciascuna di queste componenti ha recato un suo apporto speci fico alla maggiore effiervescenza del contenuto immaginativo del lo spettacolo, contribuendo alla sua definizione surreale. Ma le caratteristiche di ciascuna, non facilmente malleabili secondo la esigenza del copione e tanto me no riducibili a un denominatore comune, hanno poi fatto pesare delle resistenze particolari in sede di realizzazione. E qui vanno cercati i punti incerti della rap presentazione; e di qui — da queste sfuocature di effetto — proviene quell’impressione di ec cessiva ricerca formale, che è, in definitiva, il risultato di sovrap posizione di gusti non divenuti omogenei. La pittura di Peynet, ad esem pio: con le sue delicate tinte pa stello, campite su larghe zone ed Al Teatro Stabile di Genova, ha avuto un eccezionale suc cesso, non soltanto per l’ope ra, ma anche per la regìa e l’esecuzione, L’Hurluberlu di Jean Anouilh. Enrico Bassa- no ne parla in questo stesso fascicolo. Nelle fotografie, qui accanto, a destra, nella prima, Vittorio Saninoli e Franco Parenti; nella secon da, Adriana Vianello e Milly Vitale. Nella scena qui sotto, Vianello, Sanipoli, Bardellini, Parenti, Musy, Mantesi, Seve- rini, Calindri, Vitale. Ernesto Calindri, nella parte del « Gene rale » protagonista della commedia. Ha avuto, forse, il maggior consenso di cri tica e di pubblico della sua carriera, già ricca di non poche e facili interpretazioni. Scena dell’ultimo atto: Sanipoli, Mantesi, Calindri, Parenti, Bardellini. Renzo Ricci, Elsa Merlini e Èva Magni reci teranno insieme questa stagione. A qualcuno potrà apparire strana questa unione, ma è sol tanto il risultato — ottimo e ragionato — di distribuzioni di parti in commedie che hanno personaggi adatti ai tre interpreti. Ricci, dal canto suo, riprenderà La morte civile di Gia cometti. In alto, prima foto, Raffaele Giangrande e Ma- risa Fabbri, nella commedia di Curzio Mala- parte Il capitale recitata al Teatro del Con vegno di Milano. Regìa di Enzo Ferrieri. Uno spettacolo eccellente, applaudito ripetutamen te e con una lunga serie di repliche. gg Seconda foto della colonna, una scena di Un cappello di paglia di Firenze di Labiche e Mi chel, commedia recitata al Teatro Stabile di Torino, regìa di Gianfranco De Bosio, che ha dato alla vecchia commedia un tono caricatu rale forse troppo eccessivo. B§ Terza foto, ultima della colonna, una scena di L’ispettore generale di Gogol, commedia reci tata al Teatro Stabile di Trieste, protagonista Leonardo Cortese, che ha ottenuto un successo personale che la critica ha messo in grande rilievo. Gli altri attori, intorno a Cortese al centro, sono Alberto Ricca, Giorgio Valletta, Carlo Stocca, Luciano Del Mestri, Mimmo Lo Vecchio, Savorani e Paoletti. uniformi, toglie ogni scabrosità di rilievi alle figure e agli am bienti: li rende levigati, gentili, garbatamente stilizzati; li trasfe risce sì in un’atmosfera di iro nica favola, ma li ferma e li standardizza sotto un unico se gno, talché la fondamentale dif ferenza fra la borghesia citta dina e quella campagnola sce nicamente si perde. Il dinamismo che è una condizione dello spet tacolo trova una resistenza in queste forme statiche, di deriva zione letteraria. Giustino Dura no, che è certamente un attore « indovinato » per una trascri zione attualistica del « vaudevil le » — e perciò scelto giustamen te — rientra come esilità di fi gura nella gustosa ironizzazione del tipo ottocentesco, ma la sua recitazione è toccata dal fremito di una febbre tutta moderna. Il sotterraneo contrasto fra que ste due componenti, ugualmente accarezzate dal regista, lo si è avvertito nel commento musi cale di Sergio Liberovici, che ha dovuto pagare con un certo ec- clettismo lo sforzo di seguire e di rivestire sonoramente le due forze in gioco. I simpatici mo tivi arieggianti la facilità melodi ca di popolareschi « couplets », si sono rotti in improvvise sincopi ed hanno cercato intonazioni più mediate, cedendo a incupimenti ed a esaltazioni espressionistiche. Liberovici non ha sviluppato un tema costante, ma ha alternate delle soluzioni: perfettamente servito, per altro, in tutte le di rezioni, dalle parole trovate per le canzoni da Michele Straniero, non sempre assecondato dalle vo ci degli attori. Queste discordanze di accenti nell’elaborazione di un intuizione che ha la sua base unitaria in un comune intento ironico, han no accentuato l’effetto vagamente surreale dello spettacolo, quel suo chiaro tono di favola che ri specchia l’elementarità della nar razione e, insieme, quella volon tà di commento che provoca fre quenti scomposizioni e sovrap posizioni di motivi. Uno spetta colo sorprendente, inatteso, ma non per questo meno accettato dal pubblico. Anzi dove finisce 10 stupore, là incomincia una cu riosità nuova nello spettatore: che si dispone a gustare di più 11 divertimento raffinato dell’in telligenza che non quello offer togli dai casi, in fondo risaputi, della commedia. Del resto le dissonanze cui ab biamo accennato non hanno per nulla incrinato il funzionamento dello spettacolo, orchestrato con indubbia bravura da De Bosio: che ha sfruttato al millimetro per i molteplici movimenti del l’ameno corteo l’avarissimo spazio del palcoscenico del « Gobetti » ed ha ottenuto dagli attori una intelligente ubbidienza alla sua intuizione d’insieme. Accanto a Durano, De Bosio ha incastona to in una precisa misura di cari caturale stilizzazione le sapienti dosature di voce di Scelzo, la ge nerosa « verve » popolaresca di Lanzarini, la simpatica naturalez za e l’amabilità della Solari, la si curezza di Oppi e di Ortolani, la irruenza di Bartolucci. Contem poraneamente ha liberato e favo rito la sensibilità mimica e il gu sto ironico degli attori più gio vani, ottenendo dal Passatore, in Bobin, un umoristica marionetta di permalosità, dalla Parmeggia- ni una Hélène di sorniona vuo taggine, in M illi un Tardivau di maniaca frenesia; e ha manovrato di contorno un campionario di spiritose rifinite con bravura dalla Galvani, dalla Pro no, dalla Erbetta, dal Buttarelli, dal Marchesi, dal Bologna. Resterebbe da dire della tradu zione appositamente curata da Gian Renzo Morfeo: ma tutto il lavoro per questa revisione cri tica di Rabiche è nato da un suo acuto e non dimenticato saggio su La cagnotte. La traduzione è stata quindi eccellente premes sa filologica per il lavoro del re Giorgio Guazzotti gista. figurine S a p o r e d i m i e l e Al Politeama Genovese di Genova, il 25 novembre 1959, la Compagnia E.R.T. diretta da Silverio Blasi, ha rappresen tata la commedia in tre atti di Shelay Delaney: « Sapore di miele ». Strana « piazza » teatrale, questa Genova che lascia languire per mesi e mesi i suoi centotrenta- sette « patiti » della prosa (li ab biamo censiti, tanti sono) nella più squallida solitudine di de centi spettacoli, eppoi, di colpo, gli propina due novità assolute, una dopo l’altra, senza un gior no di distacco per riprendere fiato, per rimettersi dall’emo zione, per tastarsi il polso pe ricolosamente sobbalzante per la straordinaria avventura... Strana « piazza »! Due novità assolute, una dell’in glese Shelay Delaney, Sapore di miele (compagnia Gioì, Giovam- pietro, Mainardi, Giufdrè, Gizzi, regìa di Silverio Blasi), l’altra di Jean Anouilh, L'Hurluberlu (Teatro Stabile della Città di Genova, regìa di Luigi Squar- zina). Cominciamo dalla signorina She lay Delaney che, come Gigi Lu nari corrispondente da Londra di questa rivista, ha ampiamen te detto nel fascicolo 270 (mar- zo 1959) è una ex operaia che lavorava in una fabbrica vicino a Manchester, ma abbandonò il mestiere per scrivere un ro manzo. Dopo il romanzo ven ne la commedia A Taste of Ho- ney — che significa tanto un gusto di miele, come un po’ di dolcezza — e inviò il manoscrit to al Theatre Worksop, che lo accettò subito. Ora ne abbiamo avuto la rappresentazione italiana. E poiché la signorina Shelay è giovanissima, sotto i venti, il suo miele non poteva che essere ama ro, anzi amarissimo. Storia di una madre e di una figlia (sen za padre stabile) immerse nel fango di una periferia di città che ha tutta l’aria e i significati di una periferia umana. La ma dre è una donnaccia patentata, fa merce di sé e trova — inspie gabilmente — un uomo che la sposa. Dopo tanto esempio di virtù materna, la figlia si regala a un negro di transito, e con quello combina un figlio, natu ralmente al caffelatte. Poi il ne gro scompare, e la ragazza trova un giovane che potrebbe anche sistemarla, ma questo giovane — come dire? — ha il comples so della « deviazione », quindi, per non dotare il nascente di un padre più adatto al senso della maternità, tutto da rifare. Ma non si rifà nulla; si resta lì, tra parolacce sospese a mezz’aria o piombate come stracci bagnati tra quei ritagli umani. E al bar lume di salvezza affacciato dalla madre non si può credere de centemente; tutt’al più si respira uscendo da teatro, anche se im perversa lo scirocco genovese. Del testo di « miss » Delaney non di ciamo proprio nulla; tra volga rità senza misura e invenzioni neorealistiche vecchie ormai co me il vecchio cucco, pensiamo alla facilità di certi temi, e al conformismo, ormai, dei corag giosissimi anticonformisti d’ogni lingua e latitudine. In compenso una recitazione splendida per una commedia senza conto; uno sforzo grande per un gioco senza echi, senza riflessi. Dopo averci fornito una prova eccellente con Tra un me se, tra un anno di Paolo Levi, del romanzo della Sagan, in Sa pore di miele, il Blasi, prove niente dalle file della Rai TV, dopo essere stato attore e regi sta sulla scena, cioè uomo di tea tro completo, ci ha offerto una bellissima misura dei suoi mezzi, dell’impegno, della preparazione e del gusto che lo guida. Per la commedia dell’inglesina, il re gista ha saputo creare un clima sinceramente umano là dove una tinta fasulla sarebbe stata più che sufficiente, riuscendo a commuo vere autenticamente un pubblico che dal solo testo avrebbe attinto una doppia impressione: noia e ribrezzo. Magnifica madre, davvero alluci nante nel dolore e nella bruttura, è stata Vivi Gioi, e non meno brava Elisa Mainardi, schietta, nervosa, aderentissima alla sua infelice « figlia ». E bravi il Gio- vampietro e Carlo Giuffrè, e Mar cello Tusco. Non sappiamo, dav vero, dove sarebbe finita que sta commedia, priva di questo « cast ». Il successo c’è stato. La signorina Shelay può mandare il « pudding » natalizio inglese a Silverio Blasi e ai suoi artisti. E. B. L ’ H U R L U B E R L U Al Teatro Stabile di Genova, il 26 novembre 1959, la Compagnia del teatro stesso ha rappresentata la commedia In tre atti di Jean Anouilh: < L'Hurluberlu ». Regia di Luigi Squarzlna. ® L’Hurluberlu di ]ean Anouilh è attualmente in scena, e con suc cesso crescente, a Parigi. Nelle scene di questa commedia circolano netti e trasparenti i migliori succhi del teatro francese di ieri, di oggi, di sempre. Non è, questa linfa vitaminica, di sola ed esclusiva prove nienza dell’autore fecondo e sostenutissimo di almeno venti pièces, tra le più acclamate in questi ultimi cinque lustri di vita teatrale europea; ma è fiume di linfa di tutto il Teatro francese, con le fonti in Molière, con gli affluenti Marivaux, Balzac, Becque, e con altre polle e torrenti tutti convogliati a una foce straricca di vita pulsante e feconda. C'è infine, tutto lo spirito di Francia, in Jean Anouilh e nelle sue commedie nere o rosa; c’è « l’esprit », come dire cento ingre dienti diversi, ma soprattutto autentica libertà di pensiero, di inda gine, di giudizio, di cultura. Infatti, « il generale » Hurluberlu f qualcosa di intraducibile, per noi, ma di molto vicino al termine « lunatico », e così l’avremmo tradotto) non ha un cognome e un nome anagrafici, ma è uno e nessuno e centomila; e questo vuol dire estrema libertà di azione e di classifi cazione. Il generale Hurluberlu potrebbe non avere eseguito le arram picate su per la scala dei gradi militari, né fatta la guerra m Africa o Indocina, né essere stato radiato dai « quadri » reo di cospirazione nostalgica; il « generale » avrebbe potuto essere un « gros bonnet » del l’industria o della finanza, o un piccolo mercante della provincia, o un commesso viaggiatore, o un libero professionista; ché, infine, Hurluberlu è un francese scontento, né più né meno scontento di un altro cittadino di chissà mai quale altro Paese di questa vecchia Europa che ha l’acqua alla gola, e tiriamo via sul resto. Il generale ha appena quarant’anni, e già è pensionato; tutto finito, per lui, come strada al sole. S’è perciò intanato in provincia, conserva mosaici di divise e gradi, urla e comanda, impreca e sbocca parolacce (tante, anche troppe, e non lui solo; ci si spreca, a termini da barroc- cidi intrippati di vino; qualcosina si poteva risparmiarla) e cospira contro — dice lui — i vermi che mangiano viva la Francia. Fochi lo assecondano (ma po trebbero diventare partito, legio ni, si capisce che cè mezza po polazione, pronta a « hurluberlu- rarsi ») e i pochi sono frilli, scar tine; tutto, attorno al generale, cade a pezzi come una vecchia tappezzeria. Anche la famiglia del generale fa i vermi, marci sce. Assorbito dalle sedute cospi rative, e dai sermoni contro il presente e l’avvenire, e dai pic coli infantili sfoghi personali, il generale non s’accorge del tarlo familiare; ma poi, distogliendo gli occhi dal grande panorama nazionale, e portandoli nella im mediata zona di casa, l'uomo si accorge del marcio che s’è attac cato alla sua gente; la sua di sfatta è completa. La seconda moglie lo tradirà come la prima, la figlia maggiore si è gettata allo sbaraglio, gli altri ragazzi hanno tutti un malseme che li rode. Non soltanto la Francia politica è corrosa dai vermi; è guasta anche la carne della fami glia. E non c’è scampo; come il « generale », ognuno, preso nella morsa di questa verità, può solo offrire se stesso a bersaglio dei colpi più impietosi; e restare a terra disteso, con due soli compa gni: un ragazzino che crede an cora alle favole, un ex-combat tente che si qualifica con una parola irriferibile. Tremendamente amaro, tutto questo. Ma Anouilh ha stempe rato l’amarezza nella variata e iridescente formula del suo tea tro. Comicità sostenutissima e umorismo di grande classe aiz zano di continuo questo « gene rale » fino a crearne una mario netta vivente, spesso incredibile nelle sue punte di crisi, di rivolta, di accusa. Poi, improvviso, scatta l’apparato umano, il « generale » è solo e soltanto un uomo, e il tono della sua voce diventa quel lo di un bimbo, di una creatura innamorato » perdono indifesa, di un tradito, di un cal pestato. Qui è Anouilh poeta che lascia scorrere, come nelle pagine piu alte di Allodola, del Viag giatore, di Invito al castello, di Leocadia, la vena di una dol ceamara concezione della vita, del dolore come linimento, del l’amore come estremo bene ir raggiungibile, della solitudine co me ultimo conforto ad ogni tra dimento. La commedia è quasi tutta vali da. I due primi atti non hanno una scorie, non trattengono un battito a vuoto: sono splendidi. Qualche calo savverte nei due atti successivi, un po’ verbosi, in cerca di pretesti per esistere, per allungare il tempo di tenuta, per infilare la gugliata dell’ultima scena, 1 monologhi del « reazio nario il mordente e lo smalto iniziali; ci vorrà la dolente catarsi, per il riscatto totale di una comme dia che resta comunque uno dei più alti e brillanti « pezzi » della produzione teatrale francese di questi ultimi vent’anni. Gusto squisito e sottigliezza estrema hanno guidato Luigi Squarzina regista, nel comporre sulle scene del nostro Stabile uno spettacolo di altissima classe. In Hurluberlu si ammirano l’intel ligenza, la scaltrezza, la fantasia, la classe di un regista che ha piani decisi, visioni chiare, mète sicure. Niente è gratuito, in que sto spettacolo; niente è rimasto allo stato di intenzione, di dise gno. Anche là dove cede il testo, la regìa ha soccorso il calo, con qualche invenzione, con un tono scenico che sorregge e riporta al livello di eccellenza l’opera intel ligentissima. Grossa prova per Ernesto Culin àri: una bellissima vittoria otte nuta con piena autorità e sicu rezza di mezzi. Da un impianto volutamente esteriore, è balzata, come attraverso la crepa di un vecchio muro, la foglia tenera della sofferenza, del dolore. Quel « generale » che s’accascia « uo mo », ha offerto la giusta misura di un attore completo, in grado di passare con piena responsabi lità attraverso una gamma espres siva ricca e gustosa. Attorno al « generale » una spi ritosa manciatella di figure e fi gurine: il « barone » eccellente mente colorito di Vittorio Sani- poli, il curato umanissimo di Severini, il piacevole « gallo » di Mantesi, il dottore di Bardellini. Ma la perla del mucchietto è sta ta offerta da Franco Parenti, con il suo francesissimo Ledadu: un piccolo capolavoro di quel mac- chiettismo che è arte se trattato con l'intelligenza, il gusto, la sen sibilità di questo attore gustoso, sensibile, intelligente. Milly Vitale è stata Aglae, gio vine e piacente moglie del «ge nerale »; ci ha detto qualcosa di piu preciso nella prima parte che nella seconda. Bravissima Giusi Dandolo, con quella sua sgargiante zia Bise, vittima vo lontaria d’ogni aggressione ma schile. Da ricordare ancora il Musy, la Vianello, il Millia, e i bimbi Zoccheddu, Montuschi, Cacciatore. Scene stupende di Polidori; quella dei due ultimi atti degna del Salon. Successo autentico, vivo e persistente. Enrico Bassa.no S e s s o d e b o l e Al Teatro Storchl di Modena, il 28 no vembre 195», la Compagnia De Lullo- Falk-Guarnieri-Valli-Albani, ha rappre sentato la commedia in tre atti di Edouard Bourdet: « Sesso debole ». Re gia di Giorgio De Lullo. DA GIORGIO GUAZZOTTI, INVIATO ® La scelta di Sesso debole di Bourdet da parte della Compa gnia detta dei « Giovani », che ne hanno fatto lo spettacolo per il loro debutto in questa nuova Sta gione, si è attirata in sede preli minare non poche punzecchiature critiche. Abbiamo letto, abbiamo sentito ripetere nelle conversazio ni che si tratta di una scelta sba gliata e che è un testo inadatto a loro. Evidentemente il ricordo delle precedenti esecuzioni italia ne, tutte in chiave di un gustoso ricalco del brillante spirito « bou- levardière », faceva temere ai con servatori la insufficiente « verve » di questi nuovi attori e spingeva i modernisti a sentirsi insoddi sfatti di un copione ritenuto de cisamente secondario, limitato in quanto ad efficacia strettamente al proprio tempo. A spettacolo avviato, dinanzi alla nuova prova di bravura dei « Gio vani » che non mancherà di assi curare loro il successo delle pla tee, cioè a problema risolto, si comprendono meglio la rigidità e la approssimazione di quegli ap punti critici. La scelta si rivela, infatti, più significativa del pre visto; non in quanto denuncia un passo falso, bensì come preci sazione di un orientamento di in teressi, come conferma di una ci fra di gusto. Non è l’incidente dovuto a un crisi di repertorio, ma l’indicazione di un vero e proprio limite programmatico; e semmai può servire a testimonia re le difficoltà che si incontrano nello sviluppare un indirizzo este tico le cui ricerche sono affidate alla sensibilità di un gusto raffi nato, però essenzialmente deca dente, più che a una motivazione polemica. Crediamo di avvertire che un orientamento di questo tipo sarà tentato spesso a « volgersi indie tro », a ritornare su certi episodi, per ricantarseli con il prezioso e sapiente godimento di una rico struzione. Non che in queste ri- costruzioni manchi uno spunto critico; anzi l’intenzione è sicu ramente quella di muovere a tali riscoperte facendo uso di acidi ironici, provando per ambienti, si tuazioni e personaggi una nostal gia acre e velenosa, tale da far decantare la crudeltà sostanziale, « oggettiva », di certi contenuti di costume rispetto alle fittizie ver nici moralistiche, o brillanti, che si erano dati per rientrare nelle convenzioni sceniche della con- giuntura storica entro cui si era no presentati alla ribalta. Testi come quello di Bourdet, scarsamente significativi sul pia no di una rigorosa misurazione estetica, offrono appunto il van taggio di essere degli ottimi se gnalatori di una situazione di costume; si dispongono ad essere illuminati con una luce radente che ne riveli improvvisamente le ombre crude e le prospettive in terne, le pieghe — o le piaghe — psicologiche del tessuto morale da cui sono scaturiti. Ma nel pro cedere alla ricostruzione può an che accadere di prendere gusto, di innamorarsi della materia in contrata; forse perché la sensibi lità che ha ispirato l’accostamento è assai più forte dello spunto cri tico di cui si è servita per dare una motivazione alla propria ri cerca. Ed è nell’ambiguità di que sta adesione, maliziosa e persino crudele nel sottolineare i vizi e le componenti negative, deliziosa mente ironica nel rilevare carica turalmente certi tratti di una « epoca », eppure tutta presa in un goduto abbraccio di tale ma teria, che ci viene spiegata la funzione dipendente, puramente strumentale, dell’impegno critico rispetto alla dettatura di un gusto alimentato da una straordinaria sensibilità, raffinata, compiaciuta di se medesima; e, in un certo senso, fine a se stessa, tanto da farci pensare che talvolta ingi gantisca artificiosamente i propri argomenti critici per darsi ra gione di una scelta che è, invece, spontaneamente avvenuta su un piano di affinità sentimentali. Che è il caso di Sesso debole. La riuscita dello spettacolo, la im peccabile rifinitura delle interpre tazioni, la scrupolosa cura del det taglio sia neH’ambientazione che nella recitazione, quella felicità di tocchi con cui si è riinventata e fatta lievitare una atmosfera or mai « perduta » ci provano quanto sia attento e penetrante il gusto di questi attori e particolarmente di Giorgio De Lullo regista; ma confermano anche i nostri so spetti sui limiti organici di un intero indirizzo di lavoro. La « pièce » di Bourdet ha trovato in loro una così squisita compe netrazione ai propri ricami psi cologici, una tale aderenza al pro prio clima intinto di sarcasmo fintamente patetico, da non la sciar credere che il risultato sia dovuto solamente a una punti gliosa ricostruzione. C’è un’evi dente intimità di consenso, una vera e propria degustazione di situazioni e di toni. E’ vero che all’interno di questa adesione sen timentale i reagenti ironici e cri tici hanno scavato più profonda mente con i loro acidi il tessuto della commedia: e dove Bourdet accennava a un effetto comico De Lullo ha premuto con tin te più scopertamente caricaturali, elegantemente dosate e distribuite ma non di meno marcate; e dove nella penombra delle psicologie l’autore lasciava intravvedere la malizia, De Lullo ha cercato con minuziosa cura delle sfumature la crudeltà, ha illuminato lo spie tato egoismo degli atteggiamenti. I ritmi rallentati così da far sop pesare ogni battuta e renderla ri velatrice in ogni suo segmento, e quello stesso accorgimento « filo logico » di dare ai cosmopoliti personaggi l’inflessione spiccata della loro lingua d’origine sono serviti a sottolineare i significati, ora in senso satirico, ora in ordine alla loro posizione morale. Ma questa accurata introspezione non ha tolto al testo l’ambiguità che gli vien dal fatto che, in fondo, si compiace — più che giudicarla — della materia che tratta. Un segreto compiacimento cui anche la regìa si è abbandonata, simpa tizzando con quella sentimentale amarezza che veniva scoprendo. Quando al terzo atto, De Lullo ha creduto di mettere con forza in rilievo le conclusioni critiche proposte dal testo, si è sentito perfettamente come la commedia di Bourdet, viva nel ritrarre una situazione, manchi poi completa- mente della forza di commentar la; e si gira su se stessa, e si ri pete affannosamente tingendosi di moralismo, mascherandosi di ipocrisia, incapace tuttavia di pro porre una soluzione; altro che sorridendo con un malizioso — e complice — ammiccamento. Particolarmente efficace nella so brietà dei toni scelti e dosati con molta acutezza, Romolo Valli ha ricavato dal personaggio del « maitre » che gli è affidato, in una educatissima inflessione di amarezza, l’unica autentica sin cera nota di commento che il testo comporti; sempre più bra vo, Valli, intelligente, misurato, succoso negli effetti della sua recitazione. Ma tutto il gruppo ha funzionato all’altezza della fama che si è conquistata; espri mendo una bravura in qualche tratto persin leziosa. L’Albani instancabile e abilissima nel va riare i registri di umore e di voce di cui si serve l’incallita ipocrisia del personaggio « ma terno » che fa da perno allo spietato gioco degli egoismi; De Lullo che ha portato un fre mito di disperazione picaresca nel pessimismo del « gigolò » stanco del proprio ruolo; la Falk che ha offerto una splendida e convincente sinuosità a una ma liarda argentina; la Guarnieri che, nella pungente scontrosità che le è propria, ha perfetta mente trovato i germi di certa arida sensualità che fa del fem minismo americano un singolare impasto di volontà di comando e di segreta ritorsione puritana. E, perfettamente affiatati con loro, vanno ancora ricordati l’Orsini, convincente, preciso, sicuro; e la sempre brava e gustosa Gina Sammarco sotto la espressioni stica maschera, densa di gravità sarcastica, di una matura, disfat ta erotomane. Partiti da Modena i « Giovani » hanno così iniziato il loro con sueto itinerario. Difficile dubitare di un successo in crescendo. Giorgio Guaziotti TEATRO IN TV Nonostante il parere contrario esposto da Guido Guarda nel suo bel volume La Televisione (editore Francesco V aliar di') e che costi tuisce il punto di partenza di tante teorie estetiche sulla televisione come spettacolo, il teatro di prosa non deve generare « nella trasposi zione televisiva, il teledramma »: altrimenti, sarebbe inutile ricorrere alla prosa e al suo repertorio; basterebbe, con un pizzico di fantasia, far ricorso ad alcuni ingredienti-base e ricostruire interi canovacci. Con fortuna pari a quanto fa il cinema corrente, che diverte e inte ressa, senza ambizione, il pubblico di tutto il mondo. La televisione — non ci stancheremo mai di ripeterlo — deve assolvere nella varietà dei suoi programmi, alle sue varie funzioni, con una certa umiltà e onestà: deve essere cinema, cronaca, sport, varietà, quando vorrà essere queste cose. E prosa, quando promette la prosa. Nient’altro. E i registi non dimentichino di essere gli allestitori di questi spetta coli, gli interpreti — secondo una più moderna visione della messin scena — ma non si arroghino il diritto di manipolare ogni cosa. Seguano il gioco degli attori, rispettino il copione con fedeltà e rigore e, soprattutto ne conservino il ritmo e il linguaggio. Claudio Fino allestendo, per il classico del mese, il Saul di Vittorio Alfieri, si è sforzato di restare aderente allo spirito teatrale dell’opera, muovendo con le « camere » attorno agli attori, cercando di espri mere, con chiarezza espositiva, l’amara follia del vecchio re, lasciando la scena vuota da sovrastrutture e rispettando la cadenza del testo. Forse ha nuociuto, alla sua regìa, la scelta degli attori, questa volta troppo «moderni» per una declamazione efficace, troppo abituati ad un realismo minuzioso, per poter esprimere la violenza classica di Alfieri. Soprattutto Salvo Randone, così truccato in maniera inve rosimile e abbigliato con cattivi costumi, non doveva essere ripreso in primi piani così insistenti: la declamatoria spegneva la sua umanità. Ma nel suo insieme il Saul è riuscito ad essere uno spettacolo piut tosto accurato: la semplicità delle scene, basate essenzialmente su effetti chiaroscurali, la silenziosa ripresa senza musiche che sovra stassero le voci degli interpreti, hanno lasciato alla parola tutta la sua forza evocativa. Forse si imponeva una maggior stringatezza, qualche taglio avrebbe questa volta giovato all’unità del testo. In questo caso — anche se con molte cautele — si poteva riconoscere una funzione agli adattatori, molte volte chiamati a intervenire a sproposito. Per il ciclo di trasmissioni dedicate al teatro popolare, Diego Fabbri ha scelto, come seconda opera, Rabagas di Vittoriano Sardou. Il cri terio di scelta è sempre lo stesso, già discusso su queste pagine il mese scorso. Questa volta Fabbri ha voluto sottolineare, nella presen tazione, anche l’aspetto « mestiere » (« non foss’altro che per questo, Vittoriano Sardou, ha diritto d’essere considerato un maestro »). Ma anche questo punto di vista è sembrato insufficiente, secondo noi, a giustifcare una tale scelta. Rabagas è soprattutto un dramma poli tico, una storia dì costume direttamente legata al suo tempo, per cui quando venne rappresentata la prima volta, nel febbraio 1872, suscitò « un putiferio di reazioni ». Ma oggi, che effetto fa questa storia di un avvocato intrigante e sleale arrufjapopoli, attraverso il quale si voleva colpire il cuore stesso della democrazia? Il rischio di fare una confusione politica è eviden te e il sapore popolare di questo spettacolo, affidato all’ intreccio, agli intrighi, ai voltafaccia e alle violenze, resta alquanto margi nale. Tino Buazzelli è parso il più convìncente, con la sua gros sa sagoma e la sua voce fragorosa, tra i tanti attori prescelti; e la sua interpretazione è apparsa — benché modulata su toni diame tralmente opposti a quelli di Rug- geri che sottolineò, di questo per sonaggio, più le umane debolezze che la foga esteriore — efficace e « grandguìgnolesca ». Alessan dro Brìssoni, che ne ha curato la regìa, ha ceduto — anche lui! — al gusto spettacolare, senza per dere però certe punte di ironia e di ritmo. Rinviata per una serie di ragioni e di polemiche, giunge ora, con ritardo, la commedia di Dmo Falconi e Luigi Motta, Paparino, nell’allestimento di Giacomo Vac- cari. Edizione in « transcryber », cioè registrata su pellicola, è ap parsa tecnicamente difettosa: scu ra di fotografia e confusa nella arte sonora. La storia di questo « imbroglio » piacevole e intrica to, condotta da un simpatico sca vezzacollo ai danni di un fratello ricco, moralista insopportabile, è stata ambientata arbitrariamente nei primi del Novecento, sottoli neando un gusto da operetta vien nese, inesistente nel testo e spe gnendo — se mai — certi toni mordenti della farsa contempora nea. La ragione di questo adatta mento è davvero incomprensibile : per fortuna, anche così appiattita, questa storia è stata un pretesto felicissimo per rivedere l’ottimo Umberto Melnati alle prese con un personaggio da farsa e per trascorrere con lui due ore di buon umore. Occorrerebbe usarlo in maggior misura questo attore che ha tanta simpatia nel pub blico, ed usarlo appropriatamente. Può far molto. Altra commedia gaia e divertente è stata L’incomparabile Crichton dello scozzese James M. Barrie, tutta trasmessa per la regìa di Eros Macchi. Questo incomparabile Crichton è il cameriere di classe di Lord Loam, ineccepibile mag giordomo, che sa conservare il suo sangue freddo abituale, an che quando un naufragio spin gerà lo « yacht », sul quale era in crociera con i suoi padroni, a ro vinarsi su un’isola deserta. A par te il cattivo gusto di aver inse rito dei brani dì canzonette, per sottolineare il carattere da film alla rappresentazione, la messinscena è apparsa falsa e di scutibile. Dalla scelta degli attori — solo Franco Coop, Lord Loam, era in carattere con la ironia del suo personaggio — alle scene e ai costumi di pessimo gusto, uni ca preoccupazione di Macchi è stata quella di far spettacolo. E il risultato è stato proprio l’oppo sto di ciò che, probabilmente vo leva raggiungere: ha appesantito questa deliziosa commedia sino a renderla a tratti persino noiosa. L’incomparabile Crichton è, inve ce, una delle commedie di costu me più divertenti e più « inglesi » che si possa immaginare e nono stante i suoi cinquantasei anni, viva e moderna. L’ironia di certi ragionamenti progressisti di Lord Loam e i criteri rigidamente « conservatori » del suo maggior domo, sono messi in berlina con sottile belgarbo. Cosa invece ne ha fatto Otello Toso del perso naggio del cameriere, risparmia mo di dire ai lettori che non hanno visto. Con La pelle degli altri, presen tato come un originale televisivo di Arthur Miller e Romildo Cra- veri (mentre, in realtà, non si trattava che di una riduzione, molto arbitraria, di un racconto di Miller) non siamo più nel campo della prosa. E francamen te, aver sottratto al teatro una trasmissione, non ci pare un buon servizio reso allo spettatore. Il ve nerdì è oramai una consuetudine e vorremmo che la TV non se ne allontanasse. Lo schema de La pelle degli altri a prima vista, non si allontana dalle altre tra smissioni, metà cinema e metà teatro: solo che qui neanche le battute, e la costruzione narra tiva, rispecchiavano una esigenza « drammatica ». Il regista Mario Landi è stato un allestitore cor retto; muovendo la « camera » continuamente ha ricreato, con una certa abilità, il clima ameri cano della storia e ha fatto muo vere e gestire i suoi personaggi avendo a modello certi film di Hollywood. Ma con quanta falsa impostazione è facile capire: Ma rio Feliciani, Renato de Carmine, Elisa Cegani, Enrico Glori fran camente avevano proprio l’aria della provincia nostrana. Così, i significati dell’intreccio, sfuggiva no allo spettatore, distratto da altri particolari. Edoardo Bruno ■ “ A n c h e l ’ I t a l i a h a l a s u a L o l i t a ” Al Teatro delle Muse di Roma, il 23 novembre 1959, la Compagnia Franca Dominici - Mario Siletti ha rappresen tato la commedia in tre atti di Mario Luciani Tanti fiammiferi spenti. Mario Luciani è attore nella Compagnia Lida Ferro-Ferrari-Alberici, ed ha scritto una commedia — scrive Vincenzo Talarico — dalla quale « Franca Dominici ha saputo ricavare uno spettacolo vivace ed inte ressante, oltre che per l’interpretazione personale, anche per la direzione arti stica ». Con i ritagli di stampa, ci è giun to anche il « tamburino » a pagamento che la Compagnia fa sui giornali; la com media è presentata con queste parole « La più audace novità dell’anno. Anche l’Ita lia ha la sua Lolita ». La Lolita del caso è l’attrice Paola Quattrini che — conti nua Talarico — « ad una convinzione fortemente comunicativa ha aggiunto no te di piccante sfrontatezza ». La comme dia, infatti, è vietata ai minori di sedici anni. Il successo è stato vivissimo. La signorina Quattrini è stata applaudita due volte a scena aperta, e Franca Domi nici ed il bravissimo Mario Siletti, Vera Frediani, Marco Mariani hanno avuto applausi in proporzione al continuo in teresse del pubblico. Si presumono nu merose repliche, sempre con il divieto per i minori «non per il testo — con clude Talarico — ma per la presenza della giovanissima attrice Paola Quat trini, in una parte amaramente lolitesca ». Forse sarà bene che la giovane attrice legga l’articolo di Francesco Bernardelli a pag. 86. L e c e l e b r a z i o n i d e l b i c e n t e n a r i o d i S c h i l l e r I n t u t t o i l m o n d o A Marbacb si è svolto un Convegno di uo mini di cultura di tutto il mondo, in occa sione del bicentenario della nascita di Schiller. In genere si tratta di cultori di letteratura tedesca, giunti anche dall’America del Nord, ma poiché il Convegno era stato promosso non soltanto con intento celebrativo, ma pog giava su una interrogazione quasi polemica « che cosa può dire al mondo di oggi l’opera di Schiller? », i convenuti sono stati moltis simi e di alta classe in fatto di cultura. Marbach è una borgata sulle rive del Neckar ad una trentina di chilometri da Stoccarda, e non poteva certo contenere tanti ospiti, ma la distanza tanto da Stoccarda come da Lud- wigsburg non ha impressionato nessuno. Il Congresso si è tenuto nel museo che si inti tola a Schiller, ed i convenuti hanno discusso sul significato dell’opera del poeta nel mo mento presente. Ad onore di tutti, bisogna subito affermare che non si è trattato di una esaltazione ad ogni costo di « tutta l’opera di Schiller », ma di una esposizione critica fatta con molta chiarezza. Questo perché, cento anni fa — è risaputo — la posizione di Schiller nel mondo (tempo del primo cen tenario: Schiller è nato a Marbach, il 10 novembre 1739) era ben diversa, perché alcuni popoli, il nostro compreso, stavano realizzando, o erano vicini alla realizzazione del loro sogno di liberazione. L’Europa era in fiamme per la « libertà dei popoli » e Giu seppe Mazzini anteponeva Schiller a Shakes peare e a Goethe. D i questo hanno dovuto tener conto i con venuti di Marbach, anche i germanisti tede schi; e si è discusso su retorica e poesia, su « pathos » e realizzazione artistica, benché le rappresentazioni di lavori come Maria Stuarda, La morte di Wallenstein e perfno Guglielmo Teli al teatro di Stoccarda, ab biano dimostrato ogni sera, se pure ce n’era bisogno, quale grande uomo di teatro fu Schiller e come egli sapesse bene quanta è la differenza tra la parola scritta per gli occhi del lettore e quella rappresentata sulle scene. Nella stessa sede del Congresso — il Museo Schiller, come s’è detto — è stata allestita una mostra dell’importante materiale di ogni genere di cui il museo dispone: autografi, prime edizioni, carteggi, documenti icono grafici e una lista di trenta titoli di drammi da stendere o in parte stesi, tra cui un Temi stocle, una Agrippina, una Carlotta Corday e quel Demetrio non condotto a termine al quale Schiller lavorava al momento della sua morte. La mostra schilleriana di Marbach resterà aperta sino alla fine dell’anno. Anche a Roma, nelle sale della Biblioteca Germanica, dal 24 novembre al 3 dicembre è stata allestita una mostra dedicata al grande poeta tedesco: sono stati esposti manoscritti, stampe, quadri rari, che illustrano la vita e le opere di Schiller. Hanno partecipato alla esposizione biblioteche e musei italiani e tedeschi. La nostra Rivista — la cui diffusione in tutto il mondo ci fa partecipi degli avvenimenti culturali di ogni Paese — rende omaggio alla memoria di Friedrich Schiller, con que sto fascicolo, pubblicando una nuova interes sante versione di Maria Stuarda, che nell’ope ra di Schiller è la prima della serie che, stac candosi dall’atteggiamento confessionale del le precedenti, conferisce alla figura della re gina di Scozia carattere nettamente romantico. La nuova versione è dovuta a Emilio Mariano, studioso di letteratura tedesca, profondo co noscitore della materia, scrittore e saggista. Egli, inoltre, dedica la sua attività al culto e alla memoria del grande poeta della Nuova Italia, Gabriele d’Annunzio, quale sovrinten dente del « Vittoriale degli Italiani » e diret tore dei « Quaderni Dannunziani ». ■ M O R T E D I G É R A R D P H I L I P E Parigi si è fermata un istante; forse « il mon do intero » ugualmente si è fermato un istante apprendendo la morte di Gerard Philipe (con una p sola per poter ottenere, contando, il numero tredici che prediligeva e non gli ha portato fortuna). Che cosa è accaduto di così eccezionale, se questo giovane attore, di tren- tasette anni, non aveva ancora toccato la gloria, pur avendo dato il meglio delle sue possibilità artistiche? Ha prevalso la giovi nezza, la bellezza, la popolarità; ha prevalso lo schermo, che tuttavia non ha distrutto l’attore di teatro. Perché Gérard Philipe vo leva essere attore di teatro; desiderava ar dentemente la considerazione dell’attore di prosa. Lo hanno sepolto con il costume bianco e nero di « Rodrigo » del Cid e av volto nel grande mantello rosso, come « se fosse morto sulla scena »; come sperano, cioè, e desiderano ancora oggi, i grandi attori della tradizione, compresi ed orgogliosi di essere anche romantici. Che cosa Philipe abbia fatto sullo schermo in questi ultimi anni è ancora cronaca e lo sarà per molto tempo (due grandi cinema visionano la sua ultima fatica Amicizie pericolose 1959], ma vogliamo ricordarlo per quel poco — ma bene — che ha fatto per il teatro. E che con siste soprattutto nella sua partecipazione al « Teatro nazionale popolare » di Jean Vilar, al Cid di Corneille, nella parte cui s’è fatto cenno. Ma non è « tutto » il suo teatro; aveva vent’anni, quando Claude Dauphin — che stava preparando una compagnia per recitare Une grande fille toute simple di Roussin — accet tando la raccomandazione del regista Alle- gret — lo scritturò per una piccola parte. Successivamente fu con Svetana Pitoeff in Une jeune fille savant, recitò in Sodoma e Gomorra di Giraudoux (gli avevano asse gnata la parte del giardiniere, ma dopo la prima prova ottenne quella dell’angelo), prese parte al Caligola di Camus, e nel 1952 — già affermato — apparve grottescamente truccato al T.N.P. in La nuova mandragola di Jean Vauthier. Di questo spettacolo fu an che regista. A questo punto il cinema, che già gli era venuto incontro, fece il resto. E’ morto in gloria se è stato rimpianto come un eroe: il teatro e il cinema fanno ancora questi miracoli. m. jl. i>. P ^ P B C g i LA PETITE MOLIÈRE SCENARIO RECITAI0 La petite Molière di Jean Anouilh e Roland Lau- demborch, al Théâtre Odèon. Si tratta di uno sce nario per film trasportato in palcoscenico, e con la massima precisione il cartello avverte « Dialogues de Jean Anouilh ». La Compagnia Renaud-Barrault ha inteso presentare uno « spettacolo » e sotto que sto punto di vista nulla da eccepire: riuscito. Inge gnosità di realizzazione, incessante dimostrazione di gusto sicuro, festa di colore, infallibile armonia, equilibrio di massa, tutto ciò ha costituito un diver timento dei più piacevoli per gli occhi. Poi vengono i dialoghi. Con tutto si può esprimere questo giu dizio: la vita di Molière raccontata ai ragazzi. Non crediamo che Molière si presti ad una commedia; tutti coloro che hanno tentato di farlo, non ci sono riusciti che parzialmente, oppure hanno mancato del tutto il bersaglio; questa volta sembra che, nel la girandola dei quadri, sia pure piacevolissimi, Molière dica: ma io che c’entro? Non c’entra, infatti. E l’aver messo in scena uno spettacolo che commedia non è, e film non può essere, è stato un errore. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo sta tuto della Comédie Française; se ne parla perché in Francia ha la stessa importanza delle ragioni di stato che esentano ufficialmente l’erede di Dior dal presentarsi alle armi. In definitiva, il nuovo statuto non differisce molto —• grosso modo — da ciò che la Comédie era prima, e coloro che gridano che si attenta al carattere collegiale dell’istituzione non sono nel giusto. Dipende dagli uomini, come sem pre; se chi è a capo vuole instaurare una dittatura, lo farà in tutti i modi, sotto qualsiasi regime. Quel lo attuale lo permette particolarmente, è vero, ma si spera nel criterio del signor Boisanger. Ed in quanto al famoso comitato di lettura, non ci sarà d’aver timori, perché il problema non è di autori, come da noi, ma di attori. Tanto è vero che, col nuovo statuto, ora l’amministratore interverrà nel la nomina di nuovi « sociétaires » mentre prima era escluso. I nuovi « pensionnaires » non possono pre tendere l’immediato debutto ufficiale, ma esordiran no quando l’amministratore lo crederà opportuno. Per gli autori, nel nuovo statuto, c’è anche una clau sola economica : coloro che la passata Stagione han no avuto accettata una commedia, ma non è stata recitata, saranno risarciti con somme da 150.000 franchi a 700.000. Ce ne sono parecchi. Nei molti teatri che si sono riaperti nel mese di novembre, si segna il passo : Bérénice al « Gymna se », con Marie Bell; I tre moschettieri (proprio quelli di Dumas) all’« Ambigu »; Gli eroi e i sol dati di Shaw, al «Gramont»; un ritorno di Sacha Guitry con il suo Mio padre aveva ragione a «La Madeleine ». Al Théâtre des Nouveautés, invece, Claude Magnier — del quale in Italia Laura Adani recitò II signor Masure — ha fatto rappresentare Blaise eseguita con la infallibile ricetta di Feydeau. Ma Feydeau si nasce e Magnier non lo sa. La farsa ha però trovato dei buoni attori e quindi un certo divertimento. All’« Atelier », nell’adattamento di Huguette Hatem, la commedia del nostro Ugo Betti, Una bella domenica di settembre', uno squi sito spettacolo messo in scena da André Barsacq, con attori eccellenti, ed una traduzione, soprattutto, che fa onore alla signora Hatem. Hanno recitato benissimo Marcel Cuvelier, interprete intelligente, Claude Rich e Suzanne Flon, squisitissima. Al Théâtre Hebertot, è giunta —■ dopo aver fatto il giro del mondo (ma Parigi non ha fretta per gli autori stranieri) — la commedia di Eugene O’Neill Lungo viaggio verso la notte adattata (per ché qui non si traduce mai, ma si collabora con l’autore) da Poi Quentin, uno specialista. La commedia ha incontrato il favore del pubblico con la normalità abituale alle opere di questo au tore, senza i nostri ed altrui entusiasmi. E’ stata molto lodata l’attrice Marcelle Tassencourt, cui si deve anche la messa in scena dell’opera. Gli altri interpreti si sono difesi. In un dramma simile, basta questo per capire l’assenza di entusiasmi. Infine, al Théâtre Fontaine, una graziosa, fine, deli cata commedia di Louis Velie: Mousseline. Lascia un po’ perplessi in principio, perché non si com prende subito il pasticcio dello stile classico, ma poi la volontarietà della cosa si chiarisce e la commedia va avanti spedita. Louis Velie ha la mano leggera, apparentemente facile, ma è un uomo di teatro nato. La sua commedia è un continuo divertimento, grazie anche agli interpreti che sono eccellenti : Luisa Colpeyn, prima fra tutti, alla quale l’autore deve non poco, intelligente, spiritosa, vaporosa; Jean Pierre Moulin, Frédéric Hébrard, Kéren Thè- rese Barbey. Slarcel Le Duc Parigi, novembre 1959. m PRIMI PASSI PER UN TEATRO PROPRIO I due principali problemi del teatro brasiliano at tuale sono la scarsezza di una drammaturgia auten ticamente nazionale e la mancanza di un pubblico più fedele e numeroso. Ma, soprattutto, di un pub blico più popolare. Il primo problema determina, evidentemente, l’assenza di uno stile tipico di reci tazione; il secondo può anche esser considerato come una conseguenza, appunto, della scarsezza di testi che ci parlino direttamente dei nostri problemi e della nostra vita. Tuttavia la situazione non può esser vista con pessimismo. Negli ultimi cinque anni attraversiamo una fase di progressi. Affron tando gli ostacoli della nostra mancanza di tradi zione e della loro stessa immaturità, cominciano a sorgere autori drammatici che corrispondono alle nostre aspirazioni. Non abbiamo una vera tradizione drammatica. Questo è il punto grave. Ciò che fu il teatro brasi liano, dai suoi primi passi (la catechesi dei Gesuiti) fino ai primi quattro decenni del nostro secolo, può riassumersi in venti titoli, anch’essi senza grande valore universale. Il periodo di maggiore svolgi mento fu senza dubbio l’epoca romantica della no stra letteratura, specialmente il decennio 1840-1850. C’era la presenza di un autore drammatico di gran di possibilità, il poeta Gonqalves Dias (autore di cinqtte drammi, nella sua gioventù, fra cui Leonora di Mendoza, preceduta da un lucido prologo su problemi della drammaturgia). C’era, anche, un commediografo di ricca vena, assai importante, Mar tin s Penna, che riuscì a fissare, con spirito di osser vazione e lieve gaiezza, nel suo stile senza pretese, tutta la vita del suo tempo (fra le molte commedie potremmo ricordare La confraternita delle anime, II novizio e Le spose zitelle). Ricordiamo ancora, successivi al Penna, altri due commediografi che pure mantennero vivo lo stesso genere, con opere mìnori: Joaquim Manuel de Macedo. Alla fne del secolo, abbiamo avuto Artur Azevedo. Gli altri ro mantici scrissero commediole senza interesse, o vio lenti drammoni passionali, oggi inavvicinabili. Uni ca eccezione, per l’umorismo e il dialogo grazioso, gli atti unici del romanziere Machado de Assis. L’inizio del Novecento fu dominato da un teatro musicale senza immaginazione, o da commedie e drammi d’importazione franco-portoghese. Lenta mente nacquero, sulla stessa linea di cattivo gusto e scadente sentimentalismo, alcuni autori, oggi di menticati. Poco dopo il 1930 apparve Dio ve ne renda merito di foracy Camargo. La citiamo pel suo valore storico: un gran successo di pubblico, benché dal punto di vista letterario o scenico non apportasse nulla di nuovo, tranne, come accennò recentemente un critico, una vaga inquietudine so ciale. Ma in modo inespressivo. La maggior parte del testo era occupata da tirate flosofche assai discutibili. Grazie a Ziembinsfiy e al gruppo dei « Comedian tes» (1941-1946) apparve il nostro primo autore moderno: Nelson Rodrigues, col lavoro che con tinua ad esser la sua opera più importante: L’abito da sposa. Nello stesso periodo comincia il rinnova mento dello spettacolo, grazie a molti registi stra nieri, che introdussero la mentalità europea e le sue conquiste. / primi obbiettivi di questo rinno vamento furono sul piano dello spettacolo. La lette ratura teatrale fu lasciata da parte per un certo tempo, e solo in questi ultimi cinque anni le dedi chiamo nuovamente la dovuta attenzione. Conti nuano ad esistere, naturalmente, autori meno « nuovi ». Fra quelli di maggior successo popolare (anche all’estero) possiamo citare: Guilherme Fi- gueiredo, foracy Camargo, Pedro Bloch e Henrique Pongetti. Nel «.Teatro Brasileiro de Comedia» un ex-attore debuttò come autore, Abilio Pereira de Almeida, con un dramma che, sebbene superf dale, rivelava un interesse per temi più seri: Vecchio granaio. La promessa non fu mantenuta. Abilio ha scoperto la via del successo facile, con pseudo-satire sociali, su scandali d’attualità, mescolandovi una forte dose di sesso per allettare il pubblico. Il suo contributo si è fatto povero, più per conformismo che per mancanza d’ingegno. Ma il suo enorme successo è servito a rivelare una verità indiscutibile: l’attrazione generale che desta la trasposizione di figure brasiliane sulla scena, con un dialogo abile, che riproduce fedelmente il nostro linguaggio quo tidiano. Il pubblico ha trovato gente conosciuta su un palcoscenico finora ingombro di stranieri. Anche Nelson Rodrigues non ha risposto all’attesa: ha moltiplicato i suoi lavori su temi morbosi, mentre restava L ’abito da sposa come esempio di una fase espressionista senza continuatori in Brasile. Comincia a questo punto una più decisa battaglia, per una letteratura teatrale più vicina al nostro popolo. Fra l’altro, è un’esigenza dei giovani registi brasiliani, alla ricerca di uno stile nazionale di spettacolo. Ma gli ostacoli al sorgere di tali autori sono immensi. Foca è la cultura sistematica, man cano l’aiuto e la comprensione. L’assenza di tradi zioni ha condotto molti scrittori a cercar fonda menti altrove, con gravi confusioni. Malgrado ciò a Rio de Janeiro esistono almeno quattro autori di speciale importanza. Due scrivono commedie leg gere: l’attore e regista Silveira Sampaio e l’umo rista Millor Fernandes, ambedue tratteggiando, con intenzioni satiriche e certa finezza di gusto, quadri della vita borghese nella capitale. C’è ancora Fran cisco Pereira da Silva, alle prime armi, ma elogiato dalla critica migliore: Gianni Ratto presto metterà in scena a Rio il suo dramma Cristo proclamato. Ricordiamo anche Antonio Callado, autore di vari tentativi, e tra i meglio riusciti la sua opera Pedro Mico. L'interesse dei romanzieri e poeti per il teatro è quasi inesistente. Uno dei tentativi più curiosi in questo senso è /'Orfeo negro, di Vinicius de Morais, più valido come poesia che come teatro. Fra gli italiani legati alla storia del nuovo teatro brasiliano, uno solo scrive nella nostra lingua, Ruggero Ja- cobbi, che all’inizio di quest’anno ha fatto recitare a Porto Aiegre il dramma L’altra riva del fiume, la cui azione si svolge nel dopoguerra europeo. Sempre a Porto Aiegre, dobbiamo ricordare Maria Ines de Barros e Edy Lima, scrittrici che cercano di adattare un clima regionale a problemi più vasti. Ma, sul piano del regionalismo, il nome più vivo viene dal nord, ed è Ariano Suassuna, con diverse commedie satiriche e funambolesche, realizzate con grande autenticità regionale, specialmente nei tipi e nei dialoghi, e dominate da un forte sentimento cristiano. Fra le sue opere, finora, la più importante è l'Auto della Pietosa, costruito sull’esempio degli « autos » medievali. Ma, sebbene lontani da quella prospettiva storica che solo il tempo può dare, crediamo che la sede principale del rinnovamento è a San Paolo. Non solo sul piano letterario, come su quello scenico. Specialmente al Teatro d’Arena, benché sia neces sario citare l’interesse per i nuovi autori da parte di altre compagnie, come quella di Maria Della Costa. Questa, infatti, lanciò forge Andrade, con La moratoria, uno dei nostri migliori testi, costruita su uno schema che ricorda, seppure in modo ori ginale, i drammi di Arthur Miller. La preoccupa- zione di Andrade è la lotta degli uomini dinanzi al cielo e alla terra, mostrando la decadenza del l’aristocrazia del caffè, nell’interno dello stato di San Paolo. Nel senso di ricerca d’una drammaturgia corrispon dente alla nostra realtà sociale, un lavoro di somma importanza è svolto dal Seminario di Drammatur gia di San Paolo, annesso al Teatro d’Arena. E’ diretto da un giovane autore e regista, Augusto Boal, che ha studiato nell’America del Nord, con John Gassner ed altri. Attualmente riunisce un gruppo di autori scelti, che discutono i loro lavori con la maggiore sincerità, senza nascondersi uno all’altro. Da queste discussioni, dalla costante rifles sione su problemi concreti di teatro, son nati i due principali lavori teatrali del repertorio brasiliano moderno: Essi non usano black-tie, di Gianfrance- sco Guarnieri, ambientato nei borghi miserabili di Rio, e Chapetuba F. C., di Oduvaldo Vianna Filho, di argomento sportivo. Ambedue sono orientati, senza limitazione del valore artistico, da un conte nuto politico. Cercano di contribuire, parlando di rettamente alle masse, ad una nuova organizzazione della nostra vita collettiva. Se non sono opere defi nitive, lo si deve alla estrema gioventù degli autori. Ma indicano un cammino sicuro. Indipendente mente dal fatto sociale, pongono problemi con emo zione umana e senso drammatico. Il successo che hanno ottenuto presso il pubblico (specialmente la prima, ed ora, nel ’59, l’altro la voro di Guarnieri, Gimba, storia di un delinquente di periferia, dove entra in scena uriintera scuola di samba carnevalesca, tuttavia legata al fatto dram matico) dimostra l’accoglienza che il popolo tri buta a chi è disposto a capirlo e rivelarlo sulla scena. Oggi tutti gli sforzi sono tesi in questo senso: per una letteratura drammatica nazionale e popolare, artisticamente valida, senza concessioni di sorta. Condizioni, tutte, indispensabili perché possa esi stere un autentico teatro brasiliano. Porto Aiegre, Brasile, novembre 1959. Fernando Pelxoto V a r s a v i a ì r # n d e a m o r e Jaroslaw Iwaszkiewicz, lo « specialista » delle bio grafìe dei grandi artisti, ha consegnato tempo fa un suo nuovo copione alla compagnia del Teatro Kemeralny di Varsavia, dedicando la sua fatica, questa volta, al sommo scrittore francese Leone Balzac, o, per meglio dire, ad un momento parti colare della vita del grande autore della Comédie humaine: quello del suo matrimonio con Ewelina Hanska. La commedia, che si intitola, appunto, Wesele pana Balzaca (Le nozze del signor Balzac) presenta un Balzac umanissimo, carico di anni e di gloria, spigliato e vivacissimo ma soprattutto amaro, cosciente com’è della impossibilità di con servare ciò che in questo mondo è conseguibile. Nel sontuoso palazzo ucraino della ricca e affasci nante Ewelina, lo scrittore sa quanto sia fragile il suo legame con questa donna, avverte con la sua intelligenza magnificamente lucida la permanente insidia della presenza dell’assai più giovane e ro mantico amministratore della casa, Aleksander Da- rowski. Sa bene che la sua fama, la sua mente poderosa poco o nulla valgono contro l’urgenza tutta terrestre di sentimenti, nella descrizione dei quali egli è irraggiungibile maestro. Non si creda tuttavia che questa nuova commedia di Iwaszkiewicz — già noto anche al pubblico europeo per le sue pre cedenti Estate a Nohant, Chopin, Mascherata, Pusfin — intenda riproporre all’attenzione dello spettatore un’ennesima, stucchevole storia « trian golare », anche se alcuni aspetti superficiali della sua trama potrebbero indurre a pensarlo. Ciò che maggiormente interessa lo scrittore polacco non è nemmeno tanto la biografia complessa e certamente impossibile a racchiudersi in tre atti di Balzac, ma il dramma in sordina — non per questo meno sconvolgente — di un grande genio che, varcata la soglia della vecchiaia, si rende conto della cadu cità delle cose, della impossibilità di mantenere fer mo ogni umano possesso. Il suo delicato umorismo, la poliedrica lucentezza del suo genio, il suo spre giudicato interesse ai dettagli più futili, la corrosi vità delle sue celeberrime battute altro non sono in realtà che altrettante maschere frapposte fra il personaggio « distaccato » e « superiore » che vuole apparire e il suo essere vero, il suo angoscioso dramma interiore. Penetrando la psicologia del per sonaggio e tentando di sintetizzare il succo della commedia, il critico Henryk Bereza si è così espres so sulla rivista «Teatr»: «La cosa peggiore è che si perde inevitabilmente tutto ciò che si ha. Iwasz- kiewicz ha risolto in maniera categorica il dilem ma di Amleto: essere innanzitutto, essere più a lungo possibile, essere come si può o come si deve. Il non essere viene da solo, il non essere è inevi tabile ». A rendere poi più interessante la nuova commedia di Iwaszkiewicz valgono i molti accenti patriottici, i numerosi riferimenti alla drammatica situazione della Polonia, allora oppressa dalla dominazione zarista. Interpretato stupendamente dall’attore Lech Ma- dalinski, il personaggio del grande romanziere non ha mai cessato di essere convincente. Eccellente Janina Romanowna, uno delle più grandi attrici della scena polacca, nelle vesti di Ewelina. Regìa di Wladislaw Hancza. Considerato il successo ripor tato, è certo che le repliche raggiungeranno nel corso della Stagione teatrale 1959-60 almeno la cen tesima replica. Quella di Iwaszkiewicz è per ora la sola novità polacca dei teatri varsaviesi. Sono annunciate però nuove commedie di Tarn (l’autore del dramma Il delitto al Central Par\, tradotto anche in italiano), Broszkiewicz e Kruczkowski. Quest’ultimo autore, in un referendum organizzato dalla più importante rivista teatrale polacca, si è visto assegnare la palma di primo commediografo. Proprio una sua com media, infatti (/ tedeschi, tradotta anche in Italia), è stata considerata l’opera più interessante del tea tro polacco contemporaneo. Attualmente — come abbiamo già accennato — la sua nuova commedia, Il primo giorno di libertà, è in preparazione al Teatro Wspólczesny e dovrebbe essere rappresen tata fra pochi giorni. Ne parleremo, quindi, nella nostra prossima lettera da Varsavia. Ma ora non vogliamo chiudere questo nostro servizio senza prima parlarvi degli altri successi della presente Stagione. I maggiori successi sono stati ottenuti dal Teatro Dramatyczny con Romolo il grande di Dùr- renmatt e Le streghe di Salem di Miller. Di en trambi i drammi è interprete principale Jan Swi- derski, un attore dalla fortissima personalità e che rammenta, soprattutto per la sua voce calda e vel lutata e ricchissima di sfumature, il nostro indi menticabile Ruggero Ruggeri. Al Teatro Polski continua ad essere replicata la brillante commedia Wychowan\a (La figliastra) di Fredro, un classico del teatro polacco, uno scrit tore del primo Ottocento che venne in Italia e si entusiasmò di Goldoni; un commediografo che meriterebbe di essere conosciuto anche nel nostro paese. Una commedia che ha superato ormai la centesima replica e che continua nel successo è Gli alberi muoiono in piedi di Cassona. Anche in Italia que st’opera è notissima per l’interpretazione di Emma Gramatica, e si sa quindi che l’opera è mediocre, ma la parte principale ha delle vere attrattive per un’attrice non più giovane. Così è accaduto anche qui, grazie alla magnifica interpretazione di Miec- zyslawa Cwiklinska, una delle più anziane attrici del teatro polacco. La commedia che si rappresenta al Teatro Rozmaitosczy costituisce un palpitante documento dell’amore che i varsaviesi hanno per i loro grandi attori. Non è l’opera dello scrittore spagnolo che interessa, quanto l’interpretazione del l’attrice, il cui ritorno alle scene, dopo una lunga malattia, è stato quasi un avvenimento nazionale; ne hanno parlato tutti, operai e intellettuali, ed i quotidiani hanno dedicato all’avvenimento titoli in prima pagina. Nessuno oggi vuole mancare all’ap puntamento con la grande attrice perché, come ebbe a esprimersi una collega piena di riverente com mozione per quello che stava per dire: «Questa potrebbe essere l’ultima volta che vediamo recitare la nostra cara Cwiklinska ». Diciamo questo anche perché pensiamo, non senza rammarico, al destino dei vecchi attori in Italia, illustri e no. E per fortuna del nostro paese esiste quella splendida istituzione che è la Casa di Riposo degli Artisti Drammatici di Bologna alla quale, in questa rivista, basta un solo cenno. Qui invece, l’amore al teatro che parte dal pubblico di ogni categoria, costituisce uno degli elementi più belli della vita polacca. Una delle cose, per esempio, che continua a stupire quando si va a teatro è quella di vedere, oltre alla platea gremita, operai, impiegati, scrittori e ministri seduti nella stessa fila di poltrone. La loro appartenenza a questa o quella categoria sociale si nota facilmente dal diverso modo di muoversi, di commentare, di vestire; ma il fatto importante, quello che spiega perché quasi tutte le opere in repertorio raggiungano la centesima re plica, è che qui tutti si interessano al teatro e lo frequentano. Debbo aggiungere che anche qui c’è la televisione, naturalmente. Ma fa notizia, non spettacolo a tutti i costi. Infine il prezzo basso: il costo di un posto di poltrona si aggira sui 25-30 zloti, meno di mezza giornata di lavoro di un operaio. Ma l’importante è che qui il teatro non è considerato « un di più », un qualcosa di cui si possa fare a meno, un genere di lusso; ma cosa essenziale, invece; una parte importante della vita. Basterà dire, per rendere più chiare le idee, che nella stampa quotidiana una prima teatrale occupa più spazio dello sport. Ed è giusto, e nessuno pen serebbe che da noi possa essere diverso. Varsavia, novembre 1959. Ibio Paolucci B r o a d w a y I O ff- B r o a d w a y a p ie n o r it m o | n o n d a m e n o Molte novità sono apparse nel mese di novembre, obbligando i critici ad andare a teatro quasi tutte le sere della settimana. Off-Broadway ribatte colpo su colpo, e i poveri critici, di solito molto scrupo losi, si domandano come possono fare. Qualche gior- naie sta pensando di affidare a due persone diverse i due regni del teatro di New Yorfi. Incominciamo con il Living Theatre di off-Broad- way, dove viene rappresentato Questa sera si recita a soggetto col titolo Tonight we improvise. Le ac coglienze sono state contrastanti e sono riapparse, anche se in toni più smorzati, le polemiche che accolsero i drammi di punta del grande siciliano al loro primo apparire. Gli attori hanno dato prova di grandissimo amore e di sincera fede nel lavoro, oltreché di talento. Jìlian Becfi, regista dello spet tacolo e nella commedia, ha conferito una bella unità alla rappresentazione. Calorosi applausi sono toccati, nelle scene più tradizionali, a fudith Malina, vibrante Mommina, a Bennes Mardenn, ottimo Pai miro La Croce, e ad Alan Ansara, emotivo Rico Verri. Motivi di alto interesse si trovano nel dramma The miracle worker di William Gibson, l’autore di Due sull’altalena. Anzitutto le due protagoniste, entram be eccezionali: Anne Bancroft nella parte della famosa infermiera Annie Sullivan, e la piccola, incredibilmente brava Patty Du\e nella parte di Helen Keller. Ad Annie Sullivan, insegnante cieca proveniente da un istituto di minorati, viene affi data una giovane creatura che è una piccola bestia nel senso più letterale del termine; non si sa tro vare altra definizione per Helen Keller, infatti, che non può vedere, né sentire, né parlare e a causa di queste gravissime minorazioni vive chiusa in un mondo incomunicabile e inesprimibile di istinti violenti e furiosi. Un piccolo mostro. Annie deve sostenere delle vere e proprie lotte furibonde per insegnarle anche dei piccoli gesti come mangiare servendosi d’un cucchiaio. Lotte tra due ciechi, penose e sfibranti, quasi assurde, anche perché An nie non si ritiene soddisfatta quando riesce a ridur re all’impotenza la disgraziata bambina. Non le basta renderla inoffensiva e addomesticarla come si farebbe con un animale, vuole insegnarle a espri mersi e aprirsi al mondo degli uomini; e s’inizia così un muto, difficile, palpitante tentativo di dia logo tutto affidato ai polpastrelli delle loro dita. Un dialogo che raggiunge momenti di rara effi cacia teatrale e si fa via via più completo e lungo e incessante. « Questa sera », esclamerà Annie Sulli van, « vado a letto con i crampi dello scrittore per aver parlato tanto ». In un dramma del genere la mimica acquista gran de importanza, i gesti si stagliano e dilatano in pause di intenso silenzio. Ci sono però delle « voci del passato » fuori campo che vogliono creare con trasti drammatici ma finiscono col disturbare. Sono un difetto dovuto al fatto che The miracle worker apparve prima come originale televisivo ed è stato portato sulla scena senza modifiche; i suoni e le voci che sullo schermo apparivano congeniali, qui risultano fuori posto. Abbiamo detto della magnifica «performance » delle due protagoniste. Ottimi sono anche Patricia Neal e Torin Thatcher, genitori di Helen. Lodevole la regìa di Arthur Penn che, aiuta to anche dalla encomiabile sobrietà del testo, ha evitato i toni melodrammatici nei quali era facile cadere. Di The warm Peninsula di Joe Masteroff è stato argutamente detto che non ha note false perché non ne ha nessuna vera. E’ un vuoto chiazzato dì turismo e night-club, genere che sembra affliggere anche dei giovani autori d’Europa e d’Italia. Si regge quasi esclusivamente sull’abile vaniloquenza degli interpreti, o perlomeno vorrebbe reggersi, perché è chiaro che non basta dire bene delle pa role inutili. La « calda penisola » è la Florida e due donne, Ruth e foanne, ci vengono a dire che cercano il loro uomo. Senza l’amore, chissà, forse moriranno. Vivono nello stesso appartamento (per il quale Ruth paga all’altra metà dell’affitto senza sapere — atroce inganno! — che è già tutto pagato dall’amico di lei) e la prima è una ragazza insipì- dina, pallidina e porta naturalmente quegli occhiali che sembrano essere diventati l’emblema di queste ragazze intonse, quasi una versione moderna della cintura di castità, tanto è vero che quando con gesto energico se li tolgono, significa che hanno deciso di saltare il fossato (e miopi come sono, poverine, male ci cascano, producendosi spesso no tevoli protuberanze al pancino). foanne invece è una « entraîneuse » disoccupata. Trovano infine il loro uomo, se ne innamorano, ma ahimè! quello di Ruth è un pittore « gigolò » che la sfrutta, e quel lo di foanne è un «fusto», come si dice in Italia, che ha cinismo, vanagloria, prepotenza, stupidità e moglie. Le ha proprio tutte. E la storia finisce con le due donne che alzano lai di deluso amore. Reci tano Julie Harris, fune Havoc, Larry LIagman, Fuller Granger; regìa di Warren Enfers. Al Cricket Theatre è andato in scena Vincent di Francis Gallagher e vedendone il successo la gente si domanda come mai il lavoro abbia dovuto aspet tare diciannove anni prima di essere rappresentato. Si sa, il senno di poi... E’ la storia dell’ultimo pe riodo di Van Gogh ad Arles e dei suoi ultimi due giorni ad Auvres. Il personaggio di questo grande artista, che sembra non possa riuscire a comunicare al mondo il suo ideale di bellezza e verità, è qui caldo, umano, credibile, grazie anche all’appassio- nata caratterizzazione di Leonardo Cimino (si va infittendo la schiera degli attori di origine italiana). Anche bene espresso da Joel Thomas un Gauguin dal brutale egotismo, da Larry Swanson il paziente fratello di Van Gogh e da Rochelle Olivier, infne, la dolce e semplice compagna dell’artista. Un dramma ben costruito e ben diretto, che non fa violenza alla storia e alla verità. Regìa di Amnon Kabutchni\. Paddy Chayefsfy, dotato di genuino talento, riesce a rendere credibile e avvincente una storia quasi assurda. La sua commedia The tenth man verte infatti sugli esorcismi. La storia è questa: gli psi chiatri sono convinti che la nipote di Froman sia una schizofrenica da internarsi a vita in una casa dì cura, ma Froman, un ebreo ortodosso profonda mente religioso, è sicuro invece che si tratti della malignità di un « dybbu\», uno di quegli spiriti cattivi che, secondo le antiche credenze ebraiche, usano entrare nelle persone. Bisogna scacciarlo dal corpo della nipote. Più nessuno della comunità che si riunisce nella vecchia e misera sinagoga crede ancora nei « dybbuf », tuttavìa gli amici di Fro man, sempre pronti a quanto abbia un vago sapore di cospirazione, decidono di organizzare una rituale cerimonia di esorcismo. Ed essa riesce, e non solo per la giovane: anche un giovanotto intellettuale e piuttosto nevrotico viene liberato dal « dybbu\ » dello scetticismo e del disamore. The tenth man è bella per il suo tono di fantasia vernacolare, e so prattutto per la carica di simpatia umana di questi ebrei di mezza età che organizzano l’esorcismo. Pieni di umori, sempre pronti a discutere per ore e ore di anarchia e comuniSmo, di materialismo e di Dio, vìvi come delle scintille, infaticabili come formiche e saggi come i corvi delle favole antiche, essi sprigionano un forte e salutare profumo di terra e nello stesso tempo ci appaiono avvolti da un’aura di antico misticismo. Per merito loro la storia fantastica diventa subito familiare. La reci tazione complessiva è tra le più belle che si pos sano vedere in questo momento a Broadway. Tutti sono bravi, dai quasi-cospiratori che fanno da coro ad Arnold Marles, un Froman con la semplice grandezza d’un patriarca domestico; da Donald Harron, l’intellettuale nevrotico a Risa Schwartz, su tutti splendida nella parte della nipote posseduta dal « dybbu\ ». Sa rendere senza sforzo apparente il trapasso dalla pazzia alla liberazione e raggiunge alla fne toni di appassionata sanità. Regista da pre mio è Tyrone Guthrie. Crediamo che di questo lavoro si parlerà sovente nel corso della stagione. Maurice Lansdale New York, novembre 1959. S E 1 N O ’ C A S E Y U k p r i m a e d o p o LA SUA NUOVA OPERA “ COCK-A-DOODLE DANDY” L o n d r a In estate, quando eravamo al Festival di Edim burgo, abbiamo segnato sul nostro taccuino questo appunto: « Sean O’Casey, trascurato in patria. Ri cordarlo ». Lo facciamo ora più agevolmente di quanto possa essere un riferimento di cronaca, visto che Edimburgo, quest’anno, ha avuto il merito — come è risaputo — di aver riproposto all’attenzione dell’Europa teatrale questo autore che i suoi con nazionali non amano per ragioni estranee all’arte; si tratta di combattività ed ardore polemico basato su differenti interpretazioni nazionalistiche. Un grande silenzio è sceso intorno a Sean O’Casey, da molti anni. Anche in Italia il suo nome è andato scolorandosi con la scomparsa del primo traduttore che lo valorizzò e divulgò: Carlo Linati. Né va dimenticato Camillo Pellizzi, che nel suo Teatro inglese del 1943, si occupa anche di O’Casey per riflesso. Ma questa rivista ha ripetutamente pub blicato saggi di O’Casey, nonché due commedie di questo autore: La spia e L'aratro e le stelle. La spia non è altro che Giunone e il pavone (Juno and thè paycoclma al momento della pubblicazione correva il titolo del film, tratto da Giunone e il pavone, appunto come La spia. Titolo, d’altronde, permesso dall’autore. Liliana Scalerò, traduttrice, si attenne al titolo del film, ormai famoso, interpre tato da Victor Mac Laglen. La commedia è su « Il Dramma» n. 397 vecchia serie; L'aratro e le stelle è ne' fascicolo n. 56 del 1948. O’Casey ebbe un suo momento di fulgore negli anni tra il 1923 e il ’26, allorché — ormai sulla quarantina — esordì nel teatro presentando al- l’Abbey Theatre, diretto da Yeats e da Lady Gre gory, a distanza di non molti mesi l’una dall’altra, tre commedie ambientate negli « slums » di Du blino: Il falso repubblicano; Giunone e il pavone; L’aratro e le stelle. Poi, un lungo silenzio. Per nove anni il nome di Sean O’Casey non comparve più sul cartellone del- l’Abbey Theatre, dando forse a pensare che il fuoco di quelle tre prime fortunate esperienze si fosse affievolito, e che il commediografo irlandese avesse esaurito in quei tre quadri di vita popolare tutto ciò che gli premeva dire, così come Synge aveva cantato l’esistenza e le lotte dei pescatori nelle isole Aran. Ma il motivo di quel silenzio improv viso aveva invece la sua origine, non in un affie volirsi della fantasia, ma nel rifiuto cosciente del l’autore di lasciarsi andare per quella via che gli si presentava come la più facile e la più ovvia; nel suo rifiuto di continuare a « copiare se stesso », di continuare a parlare di « slums » visto che gli riu sciva bene e che tutto sommato al pubblico piaceva, di costruire, insomma, immaginari « séguiti » come è d’uso per i film commerciali. Iniziata a quaran tanni la carriera d’autore drammatico, Sean O’ Casey si rifiutò di considerarne chiusa a quarantar cinque la prima fase: quella dell’evoluzione, del l’apporto originale, dell’acquisizione e della presa di coscienza di un proprio preciso mondo interiore. Giunto ad un livello d’eccellenza in quella sua prima via, O’Casey ne inforcò una seconda; rico minciò daccapo, riprese il faticoso sperimentare, cercò altri problemi, altri ambienti, altri interessi, altri tipi umani. In quel rifiuto vi è una lezione di coscienza professionale e di dignità umana che a moltissimi autori — non solo nel teatro — tor nerebbe utile meditare. La ribellione del secondo O’Casey al se stesso prima maniera, sconcertò. Strano, tuttavia, che sconcer tasse un altro infaticabile sperimentatore di nuove forme e di nuovi linguaggi: William Yeats, che quando si trovò a leggere in qualità di direttore dell’« Abbey » The silver tassie rimase profonda mente deluso, e disse chiaramente di non essere riuscito a comprendere perché mai O’Casey avesse abbandonato quei tipi umani, quegli ambienti, quei problemi che conosceva tanto bene, per inoltrarsi in altri mondi e tentare —■ con la stilizzazione e col simbolismo — nuove possibilità espressive. Ma non è il caso ora di seguire passo per passo l’evolu zione di O’Casey, i suoi tentativi, i suoi passi falsi, le sue conquiste; basti dire che il lettore italiano, che ha abbandonato O’Casey dopo L’aratro e le stelle, troverebbe ne1 l’attività successiva del grande autore irlandese il riflesso di una tal vastità d’inte ressi e d’esperienze quale pochi altri autori possono vantare, ed una vitalità creativa che neppur oggi — a settantacinque anni — accenna a venir meno. Un esempio stupefacente di questa vitalità è Coc\- a-doodle dandy, la commedia che recita l’English Stage Company del Royal Court Theatre di Lon dra. Quest’opera ripropone all’attenzione dell’Euro pa — come è detto in principio — un autore che l’Europa ha torto ad ignorare. Coc\-a-doodle dandy ■— che si potrebbe tradurre « Il bel chicchirichì » — è ambientata nella cam pagna irlandese, nel giardino della villa d’un ricco campagnolo, Michele Marthraun. La ricchezza di costui è abbastanza recente: trae origine dalla sco perta di un giacimento di torba in un pezzetto di terra di sua proprietà; un terreno che egli ha avuto in cambio di cinquanta sterline date al suocero, un pover’uomo che aveva bisogno di quella somma per mandare a Lourdes, in cerca del miracolo, una figlia paralitica. Michele non ha perso niente nel cambio, ma questo non gli impedisce di continuare a ricordare agli uomini e a Dio quel suo munifico gesto. Per il resto, è tutt’altro che un prodigo: dall’inizio del primo atto alla fine dell’atto terzo non lo vediamo far altro che litigare con il marinaio Mahan, proprietario dei camions che trasportano la sua torba dalla cava alla città; Mahan spergiura che sarà rovinato se Michele non aumenterà di due scellini il compenso per ogni carico; Michele pro testa che se deve dargli due scellini di più, tanto vale gli regali la cava tutt’intera. I due compari sono seduti in giardino; nessuno vuol cedere sulla questione del compenso, e discutendo di soldi si lasciano trasportare di tanto in tanto a parlar d’al tro. Soldi, vino e donne, sono la loro croce e la loro delizia; in fondo, le loro inclinazioni sarebbero orientate con buona precisione, ma altrettanto pre cisa è la voce del parroco del villaggio — un Tor- quemada di campagna dall’eloquente nome di Pa dre Domineer — che non lascia passare occasione senza lanciare tonanti avvertimenti contro le insi die del demonio e contro quelli che sono i suoi strumenti preferiti di tentazione: le femmine! Mi chele e Mahan ne sono rimasti ossessionati : anche il vecchio Shanaar, il santone ufficiale dei dintorni, li ha messi in guardia contro i travestimenti del demonio, che anche se di preferenza si traveste da femmina non disdegna però di trasformarsi in bottiglia di vino o in volatile non appena questo gli faccia comodo. Michele e Mahan sono talmente colpiti da quegli avvertimenti che vedono il demo nio dappertutto: in un momento di buon umore, Mahan lascia andare un pizzicotto alla fiorente ser vetta di Michele, ed ecco che a questa spuntano le corna. I due vecchi si prosternano battendosi il petto. Michele ha una figlia di nome Loreleen; è be'la, è giovane, sa correre e ridere e cantare. Ma quelle risa e quel canto suonano troppo belli, troppo invitanti, e padre Domineer ha fatto sapere a tutti che il demonio ha buon gusto nello scegliersi i suoi travestimenti: Loreleen è il demonio in persona. Anche Michele ne è convinto; ha visto strane cose : ha sentito odor di zolfo al suo passaggio, altri l’hanno vista circonfusa da una strana luce... e poi è stata a Londra, la metropo'i dalle luci al neon e dalle tentazioni tentacolari. Michele e Mahan conti- nuano a discutere, a litigare. Essi sono due dittato- relli che sfruttano senza molti ritegni i minatori ed i camionisti di rispettiva competenza (per il resto sarebbero dei bonaccioni senza problemi e sen za vizi) ma nell’atmosfera ossessionata in cui vivono non c’è posto che per l’orrore del peccato e per il timore del castigo eterno. Il timore è così supersti zioso che dello spirito religioso che apparentemente li anima non è rimasto che il formalismo più este riore. Nessuno dei due pensa agli operai e ai camio nisti sfruttati; Padre Domineer non parla mai degli operai; il pericolo numero uno per la salvezza dell’anima è — anche qui —• la donna! Ogni donna non è altro che il demonio travestito. Ed all’apice di queste metamorfosi, ecco il simbolo vivente di tutti gli immaginari tabù: un bel gallo alto, dalla rossa orgogliosa cresta e dal piumaggio di mille colori, che lancia agli atterriti parrocchiani di padre Domineer i suoi squillanti chicchirichì. Coc\-a-doodle dandy è opera teatralissima, vivace e spiritosa dalla prima battuta all’ultima, e rincal zare stesso delle immaginarie stregonerie sa tenere avvinto l’interesse dello spettatore. Ma al di là della storia narrata, ciò che forma il vero oggetto di questa commedia è la religione quale purtroppo è ancora concepita da un atteggiamento mentale ben diffuso anche da noi : la religione superstiziosa, svuotata d’ogni contenuto ideale, trasformata in formalismo esteriore. E’ significativo notare come a tutti i personaggi di Coc\-a-doodle dandy vada, in fondo, quella simpatia che l’autore tributa sem pre alle proprie creature, meno Padre Domineer. Questa figura di prete senza amore, che sembra non poter concepire Iddio altro che come un arido con tabile, e che va seminando tra i suoi parrocchiani terrore ed orrore per tutto ciò che è vita e gioia, non trova in Coc\-a-doodle dandy neppure una parola di pietà, neppure una parola che ce lo faccia appa rire uomo e non mostro. Con quello stesso astio con cui egli tratta la vita, così O’Casey tratta lui. Coc\-a-doodle dandy è stata violentemente attac cata in Irlanda, dove sotto la figura di Padre Domi neer si è vista simboleggiata la Chiesa Cattolica e la religione. Ma si deve confondere una accusa ad una chiesa con un’accusa ad una religione? Coc\- a-doodle dandy ci sembra invece una difesa, una riaffermazione dei principi fondamentali della Chiesa Cattolica; un rifiuto ad immiserirli in quegli atti formali, in quelle vuote procedure a cui in Irlanda — e non solo in Irlanda — si trovan sovente di fatto ridotti. Ma questo non stupirà certo nessuno. Gigi Lunari Londra, novembre 1959. INCHIESTA PER L’ACCADEMIA DI ARTE DRAMMATICA? Nella breve, ma chiara e positiva esposizione, fatta dal Direttore Generale del Teatro, Nicola De Pirro, dopo la relazione del ministro Tupini, alla « Com missione di studio per la nuova legge sul Teatro », soffermandosi sulla necessità di creare a Roma il Teatro Nazionale Italiano — anche da questa Rivi sta ormai auspicato da anni — disse, per inciso « ed è naturale che accanto al Teatro Nazionale, dovrà funzionare il Conservatorio di Arte Drammatica, naturale trasformazione dell’attuale Accademia ». Quelle parole ci ritornano in mente, leggendo nel quotidiano « Roma » di Napoli una inchiesta firmata Carla Pilolli, che dell’attuale situazione dell’Acca demia fa un quadro non certo edificante, dichiaran do che tra l’altro (moltissimo altro)'. «Il Ministero della Pubblica Istruzione aprirà un’inchiesta sull’Ac cademia Nazionale d’Arte Drammatica. Le autorità ministeriali vogliono infatti stabilire quanti tra gli insegnanti dell’Accademia tengano, durante l’anno, un corso regolare di lezioni. Il provvedimento del Ministero è stato sollecitato dalle rimostranze degli allievi stessi, i quali hanno segnalato le ripetute assenze di alcuni elementi del corpo insegnante. Essendo quasi tutti gli insegnanti attori ” quotati ” subiscono il richiamo della TV, delle partecipazioni straordinarie nei cosiddetti ’’ Piccoli Teatri” o di Milano o di altre città e persino la lusinga delle Compagnie di giro. E’ il caso, quest’anno, di Carlo d’Angelo scritturato da Vittorio Gassman per il suo Circo, con un contratto annuale che richiede agli attori una disciplina ferrea dato il numero degli scritturati, sessanta circa, e l’impegno degli spetta coli. Si presume che Carlo d’Angelo debba lasciare l’insegnamento di dizione poetica anche se l’abitu dine di disertare la cattedra, l’attore l’abbia contratta già dalla scorsa stagione nella quale con molta disin voltura ricopri il ruolo di primo attore in una Com pagnia di giro ma evidentemente non ” di ferrea disciplina ”. Comunque di quest’ultima si sente la più assoluta carenza all’Accademia d’Arte Dramma tica. Durante le assenze degli insegnanti o del regista Costa non si provvede a stabilire un qualche turno di supplenza. Ipso facto gli allievi registi vengono investiti del compito di inquadrare gli allievi attori ». Se ciò corrisponde a verità — e non abbiamo ragione di dubbio, se pubblicamente denunciato — l’Acca demia è matura per essere trasformata in « Con servatorio ». I P M « Da anni, ormai, le commedie nuove italiane vengono « bru ciate » in una sola Stagione; con successo o meno, una volta rappresentata la « novità », quando viene sostituita, vuol dire che è stata anche sepolta. Non se ne parla mai più. Non la si riprende che in casi eccezionali, come può essere per D’amore si muore di Patroni Griffi, che « I Gio vani » hanno in cartellone anche quest’anno. Nino Ta ranto, rompendo la consuetudine di esordire ogni Stagione con una commedia di Raffaele Viviani, ha iniziato il suo giro riprendendo a Napoli Appuntamento in Paradiso di Ernesto Grassi, già rappresentata in quella città, la scorsa Stagione, e, con essa, ha « debuttato » a Milano, al Teatro di Via Manzoni, il 1° dicembre. Il successo nelle due città è stato clamoroso, dal momento che — praticamente — tutte le scene vengono applaudite. Nel quotidiano « Roma » di Napoli del 26 novembre, gior nale del quale — è risaputo — Ernesto Grassi è critico dram matico, abbiamo trovato le parole che riportiamo, scritte dall’autore della commedia e indirizzate a Nino Taranto: « Nino Taranto ha dato la mia commedia Appuntamento in Paradiso. Della grande arte di Taranto ha scritto con l’intelligenza e con l’affetto che lo distinguono il più caro dei miei giovani colleghi: Baldo Fiorentino. Ma sia con sentito all’autore di esprimere il suo caldissimo ringrazia mento all’interprete per il suo impegno personale, per la scrupolosa preparazione dell’elegantissimo spettacolo, so prattutto per l’allegria e, poi, per la commozione che egli ha saputo dare al modesto artefice del lavoro che l’ascol tava da un palchetto di proscenio. Quando, spersonalizzato come deve essere l ’uomo di teatro di fronte all’affascinante mistero del Teatro, si ha la ventura di commuoversi non già per ciò che si è scritto, ma per il magistero di chi lo trasforma in una “ franche de vie ” [la “franche de vie ” non consiste soltanto nella rappresentazione realistica del la bruttura], allora nell’animo dello spettatore «sui generis» che dimentica di avere scritto la commedia si fa strada una tenera riconoscenza per chi ha saputo dare a lui, ai lim iti della vecchiezza, ed al pubblico entusiasta, la più pura, ed oggi la più rara, sensazione di arte e di vita. Pas sando magicamente dall’interpretazione di un personaggio popolare creato dal grande Raffaele Viviani a quello di un giovane e poi vecchio patrizio napoletano, Nino Taranto ha suscitato questi preziosi sentimenti nel mio cuore e nel gran cuore del pubblico. Di tanto desidero esprimere a lui ed ai suoi compagni d’arte il mio ringraziamento ammi rato e sincero. Ernesto Grassi ». Il gesto di Ernesto Grassi a noi sembra non privo di signi ficato: ecco l’autore italiano — uno per tutti — che rin grazia, grato, i suoi interpreti. Confessiamo di averne pro vato un compiacimento tanto più tangibile, in quanto le parole di Ernesto Grassi le abbiamo lette, per caso, ap pena dopo aver appreso di un giovane attore che, poche ore dopo l’uscita di un quotidiano importante, in una grande cit tà, ha fatto pervenire al cri tico drammatico un telegram ma con le parole « Non rin grazio ». E il giovane attore era stato trattato con tutto il rispetto, unitamente ai suoi compagni, citati come « noti attori ». Non facciamo il no me dell’attore solo per il ri spetto e la devozione che ab biamo per la proverbiale one stà dell’illustre critico. GRIDARIO ■ I soliti ignoti (dal « Corriere d’In formazione » di Milano del 5 novem bre 1959, notizia da Parigi e firmata, con altre, da Lorenzo Bocchi) - « Ci sono voluti I soliti ignoti per imporre al grosso pubblico francese Vittorio Gassman. Sono passati diversi anni da quando il “ Mattatore ” apparve la prima volta sugli schermi francesi nella parte del tipaccio di Riso ama ro. Poi vennero gli “ altri ” film italiani e quelli hollywoodiani e le recite dell’Oreste alfieriano. Ma è solo come Peppe, il ladro velleita rio del Bigeon (questo è il titolo de I soliti ignoti), che Gassman è diventato popolare in Francia ». ■ Equilibrio (da «La Settimana TV - Milano », 15 novembre 1959 - Lettere dei lettori) - Domanda : « Sono un patito del teatro e come tale soffro nel vedere a che punto questa gran de scuola di vita sia scesa nella con siderazione dei contemporanei. E’ naturale quindi che legga ogni mese quella stupenda pubblicazione che si chiama “ Il Dramma ” e che Lucio Ridenti dirige con tatto ed equani mità. Nel numero di ottobre a pa gina 43 ho letto una cosa giusta: “ Ovunque nel mondo civile potrà esserci una crisi del teatro — che è un fenomeno insito nella stessa scena e nel suo travaglio — ma che milioni di persone rincretiniscano davanti al televisore è condizione unica di casa nostra. Anche gli altri paesi hanno la TV ma la prendono a piccole dosi; gli italiani ne sono ubriachi ”. «Nello stesso fascicolo, più avanti, e precisamente a pagina 66, a pro posito del Premio Marzotto per il teatro, è detto con una larvata vena di critica salace: “ Si prenda esem pio da Terron (a proposito dei cri tici che scrivono commedie - N.d.r.) che è critico, che è funzionario alla TV di Milano, e fa rappresentare sue commedie a teatro, le fa tra smettere per radio, le fa apparire sullo schermo TV. In che posizione si trovano nei suoi confronti capo comici e attori? I primi debbono riverire il critico; i secondi deb bono lavorare alla TV ”. «Ho citato questi due brani a signi ficare il mio personale convincimen to che molta della crisi del teatro italiano contemporaneo dipende pro prio dalla televisione. Sarei felice di sapere il suo pensiero in proposito. (Angelo T. - Verona) ». Risposta: «La TV, in Italia come nel mondo, non è che un aspetto del la crisi drammatica. Le ragioni sono profonde e riguardano il costume di vita, direi la civiltà. E’ naturale dun que che certe crisi, arrivando al dunque, assumano aspetti diversi a seconda del temperamento dei po poli che le ospitano. E’ vero, gii ita liani stanno prendendo una sbronza di TV e nei fumi del video dimen ticano altri aspetti del divertimento, dello svago. Finiscono col dimenti care che si può ugualmente andare al cinema, al teatro e magari alla partita di calcio. E’ la stessa ragione per cui nel ’39 c’erano 40 milioni di fascisti e nel ’45 altrettanti milioni di antifascisti. L’equilibrio non è una virtù nazionale ». E Denari e dubbi (da «Il Corriere Lombardo » di Milano del 3 dicem bre 1959) - «Un altro teatro se ne va. Qualche anno addietro, Milano aveva perduto l’“ Excelsior ”, predi letto da Ruggero Ruggeri. Ora, sta perdendo l’“ Olimpia ”. Al termine delle rappresentazioni della Compa gnia di Vivi Gioi, dopo l’Epifania, l’“ Olimpia ” chiuderà i battenti. La società Suvini-Zerboni ha concesso l’“ Olimpia ” in gestione al signor Salvatore Benenati con contratto d’af fitto, per cinque anni. Fino al ’64, quindi, niente prosa in largo Cairoli. I lavori di trasformazione sono già iniziati, ma entreranno nella fase de cisiva il 10 gennaio prossimo. “ Music- hall autentico, di gran classe, coi tavolini, coi palchetti, con uno sca lone illuminato dal palcoscenico al la sala ” dice Benenati infervoran- dosi, e aggiunge: “ Il più impor tante d’Europa, non esagero... ”. « Si chiamerà ancora “ Olimpia ”. Ci saranno novanta persone in scena, e lo spettacolo si chiamerà Pioggia di stelle. “ Dovrebbe piovere — assi cura Benenati, — anche Marlene Dietrich, ma il contratto non è stato ancora firmato. Non facciamo que stione di denari, sono gli impegni di questa grande artista che ci fanno dubitare ” ». rigi. L’impresario si lagnava che il foglio paga fosse troppo elevato. Per andargli incontro abbiamo modificato i nostri contratti. Ora il costo della Compagnia era sceso a circa 320 mila lire per sera. Non è eccessivo, considerato che si trattava quasi di un complesso di rivista e con attori di rilievo. Poi dalla fine di ottobre l’impresario non ha più pagato nes suno. Io non ho mai ricevuto una lira ”. L’impresario della Compagnia, «CINQUE M ILIA R D I» PER IL TEATRO Lorenzo Ruggì, presidente della Società Italiana Autori Drammatici, uomo fra i più attivi e appassionati della scena di prosa, ha lanciato una singolare proposta per aumentare i fondi a favore del teatro. « Bisogna — egli afferma — pensare a qualche cosa decisamente di nuovo e che però risponda alle esigenze essenziali per aversi il buon fine di un nuovo inesplorato carico di contribuzioni. Ogni ceto fa presente di non poter sopportare un tributo che, in qualche modo, incida sulla propria economia ed il legislatore, per ragioni anche elettorali, trova la cosa più che giusta e meritevole di considerazione, specie trattandosi di favorire provvedimenti riguardanti cosa nobilissima, ma tuttavia apparentemente superflua, come la ricreazione (leggi: teatro) ». Ma dove trovare un nuovo cospicuo gettito che non leda direttamente i contribuenti? Nel Totocalcio, dice Ruggì; e precisa: «A calcoli fatti, con competenti di statistica, ho rilevato come portandosi ogni schedina per giocata dal prezzo di 100 a 105 lire (vedi agli sportelli la presenta zione facile di una moneta da lire 100 e di una monetina da 5, in più) si avrà, quasi per miracolo, un finanziamento da destinarsi al teatro di prosa di oltre CINQUE MILIARDI, che tante sono le giocate e le schedine registrate in un anno. Chi può lagnarsi di un simile tributo? Certo nessuno. « Chi — si domanda ancora Ruggì — si asterrebbe dalla giocata setti manale solo perché d’ora innanzi ci sarebbero da versare 5 lire in più? Assolutamente nessuno. Non si perderebbe un solo giocatore, anche se miserabile. D’altra parte, un nuovo tributo che grava sul gioco e che tende ad uno scopo di alta finalità come quella di un teatro valido, non po trebbe incontrare reazioni di nessun genere. « Lo stesso CONI — conclude Lorenzo Ruggì — che, da tanto tempo, va in cerca di qualche mezzo per moralizzare il gioco, lo troverebbe in questo tributo, applicato il quale, potrebbe esso vantarsi di avere risolto un problema annoso coi propri mezzi ». SS Giovane bolognese (Enrico Basile in «La Notte» del 1° dicembre 1959, per lo scioglimento, a Roma, della Compagnia Mandolfo-Valori-Tedeschi nella quale avrebbe dovuto esordire «in prosa» Wanda Osiris) - «“ E’ stata una cosa imprevista — ci ha detto Bice Valori. — Sembrava ini zialmente che tutto fosse inappunta bile e perfetto. Insieme con me era no scritturati attori come Alberto Bonucci, Giancarlo Tedeschi, Ave Ninchi, Milly, Rossana Rory. Si pun tava molto anche sulla partecipazio ne straordinaria di Wanda Osiris. Non ce l’aspettavamo davvero. Non pagavano, nonostante i contratti. Ab biamo aspettato. Ma di più non po tevamo. Lui, l’impresario, diceva di avere già speso venti milioni per l’allestimento. Si trattava della com media di Marcel Aimé: Gli uccelli della settima luce, che l’anno scorso ha avuto un enorme successo a Pa dott. Minai Faldèlla, è un giovane bolognese, facoltoso notaio ». figlio di un CORREZIONE Il taccuino del fascicolo scorso preci sava, in una elencazione di cifre, che il Sindacato Nazionale degli Autori Drammatici ha un contributo statale di dieci milioni. Non si tratta del « Sindacato » (altrimenti che sinda cato indipendente sarebbe?) ma del la «Società Italiana Autori Dram matici », presieduta da Lorenzo Rug gì, che quelVassegnazione ottiene per aiutare le filodrammatiche. Ed ac corti a non confondere (è facile) la Società Italiana Autori Drammatici con la Società Italiana Autori ed Editori, che è ben altra cosa; una è SI AD, Valtra è S1AE. Le sigle sono diventate la nostra algebra quoti diana. Pazienza. l’intrecciarsi con esso di una sur reale e schematica fantasia avve niristica. Entrambe componenti dettate dal suo animo polemico, queste qualità mettevano certa mente in risalto la funzione di rottura del teatro di Majakovskij e la sua irriducibile vocazione ri voluzionaria: ma pur percepen do in esse lo schietto sentimento romantico della ribellione, una ispirazione autenticamente perso nale, restava da chiarire in che rapporto tale poetica viveva con il movente politico; se cioè lo ave va subito come una sollecitazio ne esterna di cui veniva a rap presentare il rivestimento reto rico o se, invece, aveva trovato in esso l’occasione e la condi zione di fede per esprimere una traboccante carica di intuizioni poetiche. Il termine « propaganda » servì alle opposte posizioni di giudi zio : ai detrattori che, fingendo di negare al suo teatro una vitalità al di fuori di una contingente situazione politica, in realtà ne temevano le suggestioni e — in teressati — ne decretarono un ri goroso ostracismo dalle nostre scene; e ad imbarazzati e mal convinti sostenitori d’ufficio che intesero con il suo esempio di mostrare il principio della neces saria dipendenza del momento artistico dalla dettatura politica. E’ vero che il suicidio di Maja kovskij, sorprendente e folgoran te come le più pure espressioni della sua poesia, poteva suggeri re un sospetto: di un’irriducibile autonomia sentimentale, di una disperata volontà di non arren dersi alla delusione, insomma di un’intuizione poetica tanto pro fonda da essere una condizione di vita. E l’ironia e il sarcasmo dai quali muove principalmente l’azione del suo teatro non dice vano forse a sufficienza che il sentimento della rivolta scaturiva in lui dalla radicata convinzione « critica » che la società in cui era cresciuto doveva essere cam biata e che per trasformarla oc- il correva trasformare l’uomo? Il sentimento della rivoluzione era dunque profondamente connatu rato nell’uomo; la sua poesia, il suo teatro esaltavano la rivolu zione perché essi stessi così come erano concepiti erano un aspetto, un momento stesso di quella sto rica necessità. Tuttavia soltanto con la ricchis sima documentazione raccolta, ed elaborata in un ampio studio da Angelo Maria Ripellino, il « lea der » della nuova generazione degli slavisti italiani, si è potuto avere una dimostrazione critica di questa ipotesi più approfon dita sull’importanza dell’azione e sul significato del teatro di Maja kovskij. Il volume di Ripellino Maja\ovskjj e teatro russo d’avanguardia —■ pubblicato re centemente da Einaudi (Collanai: Saggi, n. 248) — ricostruisce il cammino del poeta russo sin dai suoi primi approcci con il palco- scenico, avvenuti nell’ambito del le polemiche esibizioni del mo vimento futurista russo. Una vasta circolazione di sugge stioni e di esperienze espressive — la pittura cubista, le comiche di Chaplin, il circo, le feste popo lari e ancora gli esempi forniti da analoghi movimenti di rot tura operanti nella cultura euro pea — viene ad alimentare l’im pulso polemico di Majakovskij e dei suoi compagni. Ed ecco chiarito come l’adesione alla ri voluzione bolscevica non sia la causa prima della sua poesia, ma semmai una conseguenza del suo modo di credere nell’arte. La ri voluzione politica è il grande al veo popolare attraverso cui può avanzare e realizzarsi una orga nica rivoluzione dei valori etici ed estetici, e diviene perciò essa stessa il contenuto di fede, di speranza, il tema ideale, la sostan za di una nuova poesia. Distru zione del vecchio, costruzione del nuovo: ecco l’occasione per cui la posizione ideologica e morale dello scrittore ed i suoi stimoli fantastici trovano un unitario BIBLIOTECA MAJAKOVSKIJ E IL TEATRO RUSSO D’AVANGUARDIA EINAUDI - EDITORE Di Majakovskij e del suo teatro si è accennato a più riprese in Italia; ed in ciascuno di questi accenni traspariva evidente la cu riosità dei nostri uomini di tea tro di verificare quanto ci fosse di vero nel sommario giudizio « politico » che tiene questo auto re lontano dai nostri palcoscenici. Ma fu sempre una curiosità sen za conseguenze pratiche: la pru denza rispetto a Majakovskij è stata ancora più impenetrabile di quella inculcata nei confronti di Brecht. E sì che le occasioni non sono mancate: ancor prima che uscis se alla fine del 1958, a cura degli Editori Riuniti, quella ottima edizione di Tutte le opere sue, che ha permesso di osservare la intera parabola, breve ma con vulsa, della sua multiforme pro duzione e di confermare quale prepotente tempra di animatore culturale egli possedesse e che autentica voce di poeta scaturisse dalla sua convinzione rivoluzio naria. Infatti il nucleo essenziale del suo teatro — Mistero Buffo; La cimice; Il bagno — era stato tradotto e pubblicato sin dagli anni immediatamente successivi alla guerra, portato alla luce dai vivaci fermenti culturali che ca ratterizzarono la rinascita italia na. Colpì subito la nostra atten zione l’efficacia della vigorosa e ironica vena polemica di questo autore che ha saputo dare un forte rilievo drammatico e una suggestiva presenza scenica a uà materiale addirittura tumultuoso; ci interessarono soprattutto la for za deformante, il gusto satirico del suo disegno, che approda a risultati infallibilmente comici, e sbocco espressivo. Egli non è il propagandista, ma il testimone vivente della rivoluzione, colui che la canta mentre la provoca. Il suo teatro sorge di necessità sulle strutture di un grandioso spettacolo di masse in movimen to, di eventi storici ed adopera come lievito drammatico l’ironia, il sarcasmo, la satira, che sono i sentimenti tipici di cui si serve per operare la sua critica il mon do popolare. La violenza nel de formare i personaggi, il caratte re clownesco del loro comporta mento valgono appunto a indi care criticamente il pittoresco bar gaglio delle convinzioni e delle abitudini che va distrutto, per ché l’uomo possa inoltrarsi ri temprato sulla via aperta dalla rivoluzione. Ciò che dà un va lore di universalità a questo mo mento polemico è il vigore crea tivo che vi abita, il gusto geniale della invenzione satirica, l’intui zione drammatica della rappre sentazione fantastica della realtà. Viene così a cadere la questione della « ortodossia » di Majakov- skij : dagli uni imputata allo scrittore come prova del signi ficato solamente politico della sua arte; e dagli altri ritenuta in sufficiente, tanto da dimostrare la non completa rappresentatività della sua opera. Agli uni e agli altri è sfuggito come quest’ope ra sia un momento della rivolu zione stessa, una componente es senziale della lotta e della sua intima verità. Qualsiasi codifica zione teorica può venire solamen te dopo, ed è comunque modifi cabile e transitoria; mentre im mutabile rimane la traccia lascia ta nella parola dello scrittore dalla forza di catalizzazione eser citata in lui dal sentimento della rivoluzione rispetto ai materiali più eterogenei suggeriti e spe rimentati dalle contraddittorie esperienze estetiche da lui in contrate. L’interesse dello studio di Ripel- lino sta nella meticolosa esplora zione dei rapporti intercorsi fra 116____________________________ lo scrittore e i movimenti lette rari e figurativi del suo tempo; rapporti di polemica o di assi milazione in vista di un tota le rinnovamento del sentimento estetico e dell’espressione. Viene anche chiarito come Majakov- skij, pur per il tramite di proie zioni cerebrali, guardi alle mani festazioni più genuine del mon do popolare del suo paese e su quelle radici cerchi di innestare significati nuovi e una prepo tente volontà di dichiararsi. Attraverso la documentata para bola della produzione di questo scrittore, Ripellino ci ha permes so di intravvedere l’importanza effettiva di quel filone dello spet tacolo sovietico che, sotto la spin ta del momento rivoluzionario, si separa dal ceppo del « Teatro ci’Arte » e dialetticamente gli si contrappone. Come Cecov e Gor- kij presuppongono e sostengono la presenza di Stanislavskij e del suo metodo psicologico, così Ma- jakovskij presuppone gli allesti menti di Mejerhold, li sollecita e li giustifica. A questo modo in- travvista appare una zona estesa e ricchissima di motivi e di sug gestioni che dovremo esplorare meglio di quanto sia stato fatto sino ad oggi. In quanto alla presenza di Ma- jakovskij sulle nostre scene, per un pubblico che ha scoperto ed accettato Brecht solamente quan do si è ripartiti dalla sua Opera da tre soldi, credo ci sia posto anche per il teatro dello scrittore sovietico. E forse è questo il suo momento. A Giorgio Guazzosi TEATRO PER GLI ANNI VERDI E’ uscito per le stampe il terzo volu me del « Teatro per gli anni verdi » di Giuseppe Luongo; contiene: L’ar cifànfano, Il burbero benefico, Giran dola in Furberia, Il padre di Plauto e Freccia d’oro. Luongo è irriducibile sulle sue posi zioni: crede fermamente nell’alto po tere di suggestione del teatro sulle menti e i cuori dei giovanissimi, e da quella specie di trincea conduce la sua battaglia. Chiamando « trincea » la posizione di Luongo, si vuole indicare nelle intenzioni dell’autore una jerma e recisa avversione ai vari passatempi da altri offerti ai giovanissimi, « fu metti » in prima linea. Il teatro è anti-fumetto per eccellenza. Il teatro di Luongo è doppiamente antifumet tistico: i personaggi e le trame ideate dall’autore di Fiordigiglio e i tre com pari o di Squassamondo o di Principe Air, nulla traggono e nulla debbono ai vari eroi dalle provenienze astrali, ai conquistatori di lune e pianeti as sortiti, ai robotti, ai giganti rincor- belliti dalla forza bruta, ai macrocefali dai nomi idioti e dalle azioni ade guate. Personaggi e trame di Luongo hanno cuore umano e condotta uma nissima anche se trasvolano nella fiaba. Si riallacciano alla più bella e limpida tradizione italiana della narrativa e del teatro per la gioventù, con un tanto di fantasioso che lievita il senti mento e l’immaginazione, senza in durre i giovani lettori o spettatori a trasvolate spaziali o ad assurde avven ture che creano soltanto oscurità e confusioni estreme nell’anima dei gio vanissimi. Con « Teatro degli anni verdi », in somma, siamo ancora nel bel mezzo del cammino grande e sicuro: siamo ancora sulla buona strada di un Ber telli, di un Fanciulli, di un Bonetti, di un Tòfano, di una Tartufaci, di un Giardini; cioè, fortunatamente, sullo stradone maestro tracciato da De Amicis. Ma dopo tutto questo che s’è detto per delineare i caratteri, e più che le intenzioni gli scopi raggiunti da Giu seppe Luongo, eccoci ad avvertire (e di premura, per il timore di solleci tare dubbi o sospetti) che questo tea tro niente ha da spartire con cert’altro « repertorio » atta tiravia, molto ti morato, molto « tenuto », molto im provvisato. Luongo è autore provve duto, conosce il teatro e conosce i suoi polli giovani, e sa che non si può fare del palcoscenico una cattedra-succur sale di quelle scolastiche, né una tri- bunetta da predicozzi. Sicché, in pie na e assoluta libertà d’azione e di fan tasia, le sue commedie per i ragazzi hanno /'allure di quelle per il teatro regolare, e alla prova di consistenza scenica resistono come i testi più sicuri. Del resto il teatro « verde » di Luon- go ha sopportato e vinto ogni prova: lo hanno recitato fior di compagnie, alle « Muse » e al « Valle » di Roma, ai « Piccoli» di Totino, Trieste, Pa lermo, all’e. Angelicum » di Milano, e in tournée con la compagnia veneta di Gino Cavalieri, e alla Radio italia na, svizzera, slovena. Un bel cammi no, e su terreno di varia cultura. Oggi « esiste » dunque il « Teatro per gli anni verdi », con una dozzina di te sti largamente collaudati, clamorosa mente applauditi dai ragazzi ( e dai grandi! ). ~Nell’ultimo volume troviamo la sor presa di un Burbero benefico niente meno che da Goldoni, tradotto e adat tato da Luongo con molto gusto, molta avvedutezza: del testo illustra- H La Nuova Accademia Editrice ha pubblicato — nel « Thesaurus Litterarum » — fondato da Vin cenzo Errante, e per la parte che riguarda il « Teatro di tutto il mondo », diretta da Raffaele Can tarella, un nuovo volume a cura di Mario Vallauri Teatro India no. Contiene, oltre un panorama del teatro indiano, cinque opere tra le più importanti e significa tive, omettendo — volontaria mente — quella che « la tradi zione critica letteraria indigena è concorde nell’attribuirle un pri mato assoluto » : Sa\untala. La omissione è dovuta ai limiti di pagine del volume ed al fatto che di iSafiuntala, dal 1871 al 1946, esistono numerose, ottime traduzioni. Tuttavia il concetto non ci sembra del tutto ragio nevole, trattandosi, appunto, di un « Thesaurus Litterarum » il cui corpo di letteratura univer sale contiene il « Teatro di tutto il mondo». Fatta tale riserva, dobbiamo ripetere, perché ne ab biamo ampiamente parlato altre volte su questa rivista, che anche il volume Teatro Indiano è per fetto sotto ogni aspetto, com presa l’esauriente nota bibliogra fica e le bellissime tavole a colori. Non manca il cenno sulla pro nunzia delle parole sanscrite. tissimo niente manca che non sia uti le alla conoscenza e al dialetto dello spettatore giovanissimo. Ottima jorma di un insegnamento che niente ha di scolastico (anche Cesare Giardini ha compiuto, in questo campo, opera lo- devolissima). C’è pure un Arcifànfano di classicissima origine, e un Padre di Plauto che muove da una allegra tro vata e rifà il verso a molti dottorom che sputano sentenze a dritta e a manca, e che, alla fine, in nome della cultura, allineano figure barbine senza nemmeno sapere arrossire. Pensiamo che l’opera di Giuseppe Luongo sia bella e meritoria; certo la più utile per creare lo « spettacolo » che gli « anni verdi » chiedono, e che gli uomini che verdi sono stati ra ramente sanno o non possono dare. Enrico Bassuno ® Nella Collana « I grandi Clas sici stranieri » — perfetta sotto ogni aspetto — Sansoni ha pub blicato un nuovo volume di mil le pagine di Heinrich Von Kleist: Opere. Le traduzioni sono di Bemporad, Errante, Nesti, Pintor, Regini, Traverso, Villa, Wildt, Zamboni; introduzione e note di Leone Traverso. 11 volume com prende i sei drammi di Kleist, le novelle, i saggi, le marionette, l’epistolario. ® Nella « Collana Teatrale » (ca ratteristica per la sopracoperta ne ra e la riproduzione di un’opera celebre di pittura), dove già sono apparsi i volumi con le comme die di Ugo Betti e Gherardo Gherardi, l’editore Cappelli ha pubblicato il Teatro di Vittorio Calvino, con una prefazione di Ghigo De Chiara. La scomparsa del nostro caro amico e collabo ratore Calvino, che noi « sco primmo », cioè accogliemmo in questa nostra rivista e per primi ci occupammo di fargli raggiun gere la ribalta, è troppo recente per ripeterci sulla sua personalità e la sua opera. Il volume con tiene le sue undici opere, in uno o più atti, scritte nella sua breve vita incominciando da quel gioiello che è La torre sul pollaio nota e tradotta in va (1909-1956) rie lingue, dopo la pubblicazione in « Dramma » nel n. 81 del 1949. Questa commedia aveva vinto il Premio Sanremo e fu in quella città rappresentata la prima vol ta, protagonista Sergio Tofano. La nostra rivista ha pubblicato tutte le opere di Calvino, ma averle raccolte in volume è gran de merito dell’editore Cappelli. per Casa di Riposo Lyda Sorelli A rtis ti D ram m atici Italiani Alfredo Robert, che fu primo atto re con Eleonora Duse ed è da tem po gradito ospite della Casa di Ri poso, ha avuto quest’anno — come è risaputo, tanto dalla stampa quo tidiana come dalla nostra Rivista —■ il premio di un milione che la Di rezione Generale dello Spettacolo (Ministero del Turismo e Spettaco lo) assegna ad attori, autori, regi sti ecc., che con la loro arte e la di gnità della loro vita spesa per il Teatro hanno ben meritato. Della somma spettantegli, con generosa comprensione, Alfredo Robert ha fatto dono alla Casa di Riposo di centomila lire. Il Presidente, Loren zo Ruggì, lo ha affettuosamente pregato di non privarsi di una così notevole frazione del premio, ma Robert ha insistito, dimostrando co sì una squisita sensibilità, non solo, ma il suo attaccamento all’Istituzio ne e la gratitudine verso coloro che la conducono e se ne preoccupano. E’ un gesto che supera il fatto ma teriale, come ognuno può capire, perché se gli ospiti stessi vogliono, appena si presenta loro l’occasione, concorrere tangibilmente, vuole di re che sono ben compresi delle ini ziative che la Casa di Riposo si as sume e mette in atto per elevare sempre più la propria dignità e per mantenere negli ospiti tutti la loro personalità. Ringraziamo il caro vecchio compagno Alfredo Robert. DEL VENTIDUESIMO MILIONE LORENZO RUGGÌ per ricordare Sem Benelli nel decennale della morte PICCOLA RIBALTA DI TORINO GIANMARIA GUSMINI in memoria della mamma » FRANCESCO LO FASO » L. 40.000 » 10.000 7.000 5.000 L. 62.000 Somma precedente L. 91.190 Totale L. 153.190 LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 / manoscritti, le fotografie ed i disegni non ri chiesti, non si restituiscono per nessuna ragione SECONDO ELENCO T e a t r o S t a b i l e d d e i l l a c i t t à G e n o v a S T M G S Û N E 1 9 5 9 . 1 9 6 0 GLS ATTORI GINO BARDELLINI, DINA BRASCHI, ERNESTO CALINDRI, DONATO CASTELLANETA, AMALIA D'ALESSIO GIUSI DANDOLO, GIORGIO DE VIRGILIIS, LAURA GIORDANO, GIANNI MANTESI, GIANO MARINI FERNANDO MAZZARELLO, GIANNI MUSY, EROS PAGNI, FRANCO PARENTI, QUINTO PARMEGGIANI ENZO ROBUTTI, VITTORIO SANIPOLI, LEONARDO SEVERINI, ADRIANA VIANELLO, MILLY VITALE Direttore IVO CHIESA, Amministratore LUIGI CARUBBI, Direttore di scena CARLO LANDI, Primo macchinista e costruttore ALESSANDRO ROLLANDINI, Suggeritore UGO DEL CORSO, Capo elettricista RINALDO POMATI, Segretario NINO MI LI A, Attrezzista GIANCARLO FORTUNATO, Sarta CORINNA ROLLANDINI IL REPERTORIO IL REVISORE COMMEDIA IN 5 ATTI DI NICOLA GOGOL L’ HURLUSERLU ovvero - il reazionario innamorato" COMMEDIA IN 4 ATTI DI JEAN ANOUILH (NOVITÀ PER L'ITALIA) LA TAVO LA DEI POVERI COMMEDIA IN 3 ATTI DI RAFFAELE VIVI ANI S PAGLIACCI ( TITOLO PROVVISORIO), COMMEDIA IN 3 ATTI DI FEDERICO ZARDI (NOVITÀ ASSOLUTA) D REGISTI: FRANCO PARENTI, VIRGINIO PUECHER, LUIGI SQUARZINA SCENOGRAFI E COSTUMISTI Mario Chiari, Misa D'Andrea, Maria De Matteis, Ezio Frigerio, Gianni Polidorì IL PRESENTE CARTELLONE SARÀ INTEGRATO CON UNO SPETTACOLO DEL TEATRO STABILE DELLA CITTA DI TORINO, "QUI NON C'È GUERRA" DI GIUSEPPE DESSI, CHE SARÀ OSPITATO AL TEATRO DUSE MENTRE IL TEATRO STABILE DI GENOVA RECITERÀ AL TEATRO GOBETTI UNO DEI SUOI SPETTACOLI P I C C O L O T E A T R O D E L L A C I T T À D I M I L A N O ENTE AUTONOMO DIREZIONE PAOLO GRASSI - GIORGIO STRETTI .Fit PALAZZO DEL BROLETTO - MILANO - VIA ROVELLO, 2 - TELEFONI 872.352 - 877.663 Z 9 Z 9 . Z 9 Z Z ^QUATTORDICESIMA DALLA FONDAZIONE M CO M E N ASC E UN SOGGETTO C IN E M A TO G R AFIC O di CESARE ZAVATTLNI Novità LA V IS IT A D E LLA V E C C H IA SIG NO RA di FRIEDRICH DÜRRENMATT Prima rappresentazione in Italia LA CO NG IURA di GIORGIO PROSPERI Novità assoluta RICORDO DI DUE LU NED I di ARTHUR MILLER LA M A R IA BR AS C A di GIOVANNI TESTORI Novità assolata L’ EC C E ZIO N E E LA REGOLA di BERTOLT BRECHT Prima rappresentazione in Italia In “gemellaggio ” col Piccolo Teatro di Milano, il Théâtre National Populaire di Parigi, diretto da Jean Vilar, presenterà a Milano in aprile LE TR IO M PH E DE L ’AM O UR di MARIVAUX HENRI IV e di LUIGI PIRANDELLO mentre il Piccolo Teatro di Milano presenterà in aprile, a Palais de Chaillot di Parigi, al Théâtre National Populaire, la ripresa de L ’ OPERA DA TRE SO LD I di BERTOLT BRECHT - KURT WE1LL Per la tournée negli Stati Uniti d’America, Canadà e Messico, ripresa di AR LEC C H IN O SER VITO R E DI DUE PADRONI di CARLO GOLDONI y i t e t * e- des, '■U>e4V-& (PER ORDINE ALFABETICO) Alvaro Alvisi, Armando Alzelmo, Maria Grazia Antonini, Delia Bartolucci, Narcisa Sonati, Marina Ronfigli, Elena Borgo, Tino Buazzelli, Francesco Carnelutti, Tino Carraro, Bruno Cattaneo, Ivan Cecchini, Angelo Corti, Giusi Dandolo, Vincenzo De Toma, Giancarlo Dettori, Ottavio Fanfani, Mario Feliciani, Piero Fezzi, Gaetano Fusari, Donatella Gemmò, Gabriella Giacobbe, Raoul Grassilli, Giulia Lazzarini, Walter Luce, Anna Maestri, Lamberto Maggiorani, Ezio Marano, Andrea Matteuzzi, Gianfranco Mauri, Milly, Franco Moraldi, Marcello Moretti, Gastone Moschin, Gigi Pistilli, Roberto Pistone, Cesare Polacco, Carlo Porta, Paolo Ra- daelli, Lia Rainer, Nicoletta Ramorino, Relda Ridoni, Romana Righetti, Checco Rissane, Nicoletta Rizzi, Mario Scaccia, Ferruccio Soleri, Enzo Taraselo, Riccardo Tassani, Gianni Tonolli, Luigi Vannucchi, Liliana Zoboli Parteciperà a LA VISITA DELLA VECCHIA SIGNORA: SARAH FERRATI Q Parteciperà a LA MARIA BRASCA: FRANCA VALERI REGIE DB GIORGIO STREHLER, MARIO MISSIROLI, VIRGINIO PUECHER, LUIGI SQUARZINA Scene di LUCIANO DAMIANI - Costumi di LUCIANO DAMIANI - Musiche di FIORENZO CARPI, PAUL DESSAU - Maschere di AMLETO SARTORI - Regista assistente: MARIO MISSIROLI - Assistente alla regìa: FRANCESCO CARNELUTTI - Maestra di danza: ROSITA LUPI - Maestra di Mimo: MARISE FLACH T E A T O R S.A.C.A.D. - SOCIETÀ IN ACCOMANDITA C I G A R C H IA R E LLA ARTE DRAMMATICA TELEFONI 47.048-527.998 I L G R A N D E T E A T R O D I D a l l a C o m p a g n ia c o m ic a d e l M e d e b a c h ( 1 7 0 0 ) a l l a C o m p a g n ia R e a le S a r d a ( 1 8 0 0 ) a l l a C o m p a g n i a d e i g i o v a n i - p e r c i t a r e i n u n a t u t t e le f o r m a z i o n i a r t i s t i c h e d e l n o s t r o t e m p o - t r e s e c o l i d i g l o r i a h a n n o c o r o n a t o lo s p l e n d o r e d e l l a m i r a b i l e s a la c o s t r u it a i n t o r n o a l 1 7 1 2 . I L D R A M M A d e i c i n DELLA MATERIA CONTENUTA IN “ IL D R AM M A” NUOVA SERIE DAL N. 268 AL N. 279 GENNAIO - DICEMBRE 1 9 5 9 269 LEPRI as» «so m. tn o)i»>k> n*t »<*« *** I L D R A M M A BUENO 278 I N D I C E G E N E R A L E D E L L A M A T E R I A P U B B L I C A T A D E L L ’A N N O 1 9 5 9 s—sy ' '/y, ^ / ' 268 - GLI AMORI DI PLATONOV, dramma in cinque atti di Anton Cecov; gennaio vers. it. di Alberto Carpitella, riduz. e present. di Gianfranco De Bosio e Gianrenzo Morteo. A aASCUNO 1L SUOj commedia in un atto di Alberto De Maria e Giu- S6PPe P0SSentÌ' AUTORI 269 ■ CARNE UNICA, commedia in tre atti di Silvio Giovaninetti. febbraio TRADUTTORI 270 - VIA CRUCIS, quattordici stazioni da «Le Mystère de l’invention de la PuizspivTA'rniiT Croix » di Henri Ghéon; vers. it. e present. di Guido Guarda. riuisiiiiiiAiutti marzo DIO SALVI LA SCOZIA, commedia in tre atti e cinque quadri di Nicola Manzari. SERA D'AUTUNNO, commedia utopistica sulla fenomenologia dello scrittore di Friedrich Dùrrenmatt; vers. it. di Italo Alighiero Chiusano. Present. di Gigi Cane. i_E GATTE, un atto di Nicola Manzari. 271 ■ LASTRICO D'INFERNO, commedia in tre atti di Paolo Levi. APRILE 272 - DA GIOVEDÌ' A GIOVEDÌ', commedia in due tempi di Aldo De Benedetti. maggio 273 - UN ISTANTE PRIMA, commedia in tre atti di Enrico Bassano. giugno IL SOLDATO PICCICO', commedia in tre atti e cinque quadri di Aldo Nicolai. Present. di Vito Pandolfi: Il cammino di Nicolai e il soldato Piccicò. INCONTRO COL GENTLEMAN, commedia in un atto di Ezio D’Errico. 274 - ANGELICA, dramma satirico in tre atti di Leo Ferrerò. Present. di Vit- luglio torio Vecchi. NOTTURNI, due tempi e un intermezzo di Alberto Bertolini. 275-276 - RAGAZZE D'ESTATE, commedia romantica in tre atti e due quadri ag.-sett. di N. Richard Nash; vers. it. di Gigi Lunari. APPUNTAMENTO IN PARADISO, commedia in due tempi e cinque quadri di Ernesto Grassi. 277 - L'EX MAGGIORE HERMANN GROTZ, tre atti di Anton Gaetano Parodi. ottobre Present. di Enrico Bassano. LA CORDA DI PAGLIA, atto unico di Douglas Hyde; vers. it. e present. di Gigi Lunari. 278 - LA FORESTA, visione drammatica in due tempi e quattro quadri di NOVEMBRE EzÌO D’Errico. 279 - COMMEDIA DI DIECI VERGINE, di Ignoto fiorentino del secolo XVI. Tra- dicembre scrizione in prosa moderna e present. di Italo Alighiero Chiusano. MARIA STUARDA, tragedia in cinque atti di Friedrich Schiller; vers. it. di Emilio Mariano. AUTORI E SAGGI DI V A R IA LE TTER ATU R A D R A M M A TIC A Fase. n. \ Pag. Achard (« L'Habit Vert » a Marcel) - Grassi 273 Aiutiamoci a vivere - Bernardelli . . . . 269 Andersen Maxwell............................. 270 Bassano (Fronde d'oro a Enrico) . . . . 273 Botte al critico • Bernardelli ................. 272 Bruckner Ferdinand.......................... 268 Cinquantanni dalla cena delle beffe - Pos- 273 Contini (La figura e l'opera di Ermanno) 275-276 Crepuscolo dell'umanesimo - Marcel . . . 277 Da Goldoni a Pirandello - Bernardelli . . 275-276 Dal teatro della strada alla Commedia del- 272 Equivoci del realismo - Paccino............. 268 Errata interpretazione del dramma sacro - .............! 279 l'Arte - Damerini................ Telloli senti................................ ... - Pandolfi...................... ... 67 Figli d'arte - Ridenti.......................... 270 3 Generosità del teatro - Bemardelli . . . . 81 Hyde Douglas - Lunari........................277 78 8 Individuo e ii teatro (L') - Bernardelli . . 268 29 8 Jarry (Alfred) - Bragaglia......... 275-276 57 | Jerome K. Jerome - De Vecchis . . . . . 277 I Kemp Robert..................................... 274 55 8 Maiakovski Vladimir - Vecchi - Pasternak . 270 I Meano e nascita di Salomè (Ricordo di) - Ridenti .................................... 271 110 278 23 Miller (Il teatro di Arthur) - De Vecchis 119 Praga (Marco) - Trentanni dalla morte - Vecchi....................................... 269 31 | Pubblico non ha torto (II) - Bernardelli . . 271 41 8 Raggio (Addio a Enrico) . ._ . . . . 278 8 Ramo (Addio a Luciano) - Ridenti . . . . 274 88 3 Riforma del teatro (La) - Bernardelli . . 275-276 . 270 ■ Fase. n. Pag. 57 4 34 5 84 65 60 77 51 45 52 3 63 58 3 133 Segue: AUTORI E SAGGI DI VARIA LETTERATURA DRAMMATICA Rosso di San Secondo - Fratelli . . Rovetta (La famiglia) - Simoni . . Schiller (Friedrich) - Bicentenario nascita - Damerini................ 278275-276 della 279 Pag. 3438 38 Schnitzler Arthur - Mazzucchetti Spirito della tragedia in Italia - Stelline al teatro - Bernardelli . Pandolfì Fase. n. I Pag. 424885 269275-276 279 FIGURE DI ATTORI ■ TECNICA DELLA RECITAZIONE - REGÌA E SCENOGRAFIA Pag- Addio alla grande Signora (Lyda Borelli) - Ridenti.................................... Barrymore Ethel............. ............. Duse figlia d'arte (La) - Bragaglia . . . . Duse - Pagine di un diario di attrice - Robert....................................... Gramática Emma (Il premio Simoni per la fedeltà al teatro) - Bassano............. 273274 271 268 274 Knipper-Cecova (Olga) - Blandi . . . . Morelli R ina................................ Mosaico per la Duse - Ridenti . . . . Philipe (La morte di Gérard)............. Talli Virgilio (Ritratti perduti) - Ferigni TaSii Virgilio Maestro di teatro - Simoni Tofano (Sergio) - Nozze d'oro col teatro Possenti................................ 271275-276 268279279279 269 Pag. 36035 39 62 9460 106506031 60669230 65 62 5459 1066357 52 62 52 28 43 92 6510158 4658 61106605759 62103105904967 6310836 1047781 37 Pag. 68496359 95985358 97 615455 9360 41 62 6250 61 55 91 68 57 5359 6564 9060 9765 53995758 10259 59 59 6163 Pag. 50 105 1055351 104 5152 Amore a Roma (Un) - Patti................ Angelica - Ferrerò............................. Année du Bac (L') - Lacour . . . . . . Antigone - Alfieri................... Appuntamento in Paradiso - Grassi. . . . Arcangeli non giocano al flipper (Gli) - Fo Assedio (L') - Rondi................... ... . Ballo dei ladri (II) - Anouilh................ Baruffe chiozzotte (Le)....................... Benessere (II) - Brusati e Mauri............. Ben tornato signor Pardi - Possenti . . . Blues per Silvia (Un) - Rocca............. Bugiardo (II) - Goldoni ....................... Buio in cima alle scale (II) - Inge . . . . Capitale (II) - Malaparte................... Cappello di paglia di Firenze (Un) - Labi- che e Michel................................ Carabinieri (I) - Gemelli....................... Cara delinquente - Popplewell . . . . . . Carne unica - Giovaninetti .................... Casa Monestier - Amiel................... Christophe Colomb - Bertin................ Come nasce un soggetto cinematografico - Zavattini................................ ... Condanna e morte di Socrate - Riduz. Fer- rie ri.......................................... Confessioni di un italiano (Le) - Nievo . . Da giovedì a giovedì - De Benedetti . . . D'amore si muore - Patroni Griffi . . . . Diari (I) - Bertoli .............................. Dio salvi la Scozia - Manzari................ Donna ombra (La) - Craig Rice............. Falsi (I) - Pensa .............................. Figli d'arte - Fabbri.......................... Filomena e Bauci - Bonacci................ Filottete (II) - Sofocle.......................... Formicole rosse (Le) - Rea . . . . . . . Fra un mese, fra un anno - Levi . . . . Giganti della montagna (I) - Pirandello . . Giona - Guaita.................................... R IB A LT A Pag. IT A L IA N A 270273275-276 274 274270271277275-276 270278271269271 274 268279 Giorni della vita (I) - Saroyan ................. Giulietta e Romanoff - Ustinov............. Giulio Cesare - Shakespeare................ Giustizia (La) - Dessi ........................... Grande statista (II) - Eliot................... Hurluberlu (L') - Anouilh................... Indiziato (L') - Calendoli................... Intèliettuaie a letto (L') - Mainardi . . . Isabella, comica gelosa....................... Istante prima (Un) - Bassano................ Lastrico d'inferno - Levi .................... Luna per i bastardi (Una) - O’Neill . . . Mare e whisky - Rocca....................... Marta Monestier - Amiel................... Mer.andro................... ................... Mercadet l'affarista - Balzac................ Morte di Carnevale - Viviani................ Nascita di Salomé - Meano................... Operazione Brambilla - Ramo............. Platonov e altri - Cecov................ ... . Possédés (Les) - Camus....................... Racconto d'inverno - Shakespeare . . . . Ragazze bruciate verdi (Le) - Callegari . . Ragazzi della signora Gibbons (I) - Glick- Revisore (11) - Gogol.......................... Romagnola (La) - Squarzina................ Ruota - Lodovici................................ Sabato, domenica e lunedì - E. De Filippo Santi in soffitta - Gigliozzi................... Sapore di miele - Delaney................... Scandalo sotto la luna - Palmieri . . . . Serata all'italiana . .......................... Sesso debole - Bourdet....................... Stagione delle albicocche (La) - Nicolaj Taglia (La) - Giannini.......................... Tanti fiammiferi spenti - Luciani . . . . Undici su un ramo - Caballo................ Uomini della domenica (Gli) - Roncoroni . Veronica e gli ospiti - Marotta e Randone Viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse Dio? (Il) - Brancati....................... Zitella (La) - Bertolazzi....................... man e Stein................... 94 279277275-276 268278274 275-276 270275-276 269268272269275-276 277278270269275-276 275-276 279270 274 R IBALTA FRANCESE 273 268274269275-276 279271272275-276 274 269 270269271 279273277270 269271273272275-276 268278269270279 272 279270271 279272 259 279 277271272 269277 Becket ou l'honneur de Dieu - Anouilh . Belia domenica di settembre (Una) - Betti Blaise - Maenier............................. Crapaud-Buffle (Le) - Gatti.................... Dodici uomini in collera - Rose............. Effet Glapion (L') - Audiberti............. Emboulement au quai Nord - Betti . . . Figli d'arte - Fabbri .......................... Hurluberlu, ovvero il reazionario innamo rato (L') - Anouilh.......................... 278 279 279 278 269 278 269 271 271 134 Pag. Klop - Maiakovski 51 Lungo viaggio verso la notte - O’Neill 105 105 Mousse li ne - Velie 53 Mascarin - Lacour 51 Ossessi (Gli) - Camus 52 51 46 45 Petite Molière (La) - Anouilh e Laudem- Séquestrés d'Altona (Le) - Sartre Tête d'or - Claudel . . . borch 269279279278 269 279277278 Blanco Posnet - Shaw....................... Deirdre l'addolorata - Synge................ Disenchanted (The) - Schulberg e Breit . Gang's all here (The) - Lawrence e Lee . Grande Dio Brown (II) - O’Neill . . . . J. B. - Mac Leish................................ Legend of Lizzie (The) - Lawrence . . . Mal aimés (Les) - Mauriac................ Miracle Worker (The) - Gibson............. Molto rumore per nulla - Shakespeare . . Night Circus (The) - Gazzo . . . . . . Orpheus descending - T. Willialms . . . Piccola città - Wilder....................... R IBALTA AM ER IC AN A Fase. n. Pag. 50 278 278 50 269 48 278 50 50 278 47 269 72 273 270 83 278 50 279 109 278 50 47 269 278 50 278 50 Potenza delle tenebre - Tolstoi . . . . Questa sera si recita a soggetto - Piran dello....................................... Raising in the sun (A) - Hansberry . . Rashmon....................................... Requiem per una monaca - Faulkner . . Sweet bird of Youth - Williams . . . . Tall story - Lindsay e Crouse . . . . Tenth man (The) - Chayefsky . . . . Tre sorelle (Le) - Cecov................... Uccelli della luna - Aymé................ Vincent - Gallagher....................... Warm Per,insule (The) - Masteroff . . R IB A LT A TEDESCA Arrestabile ascesa di Arturo Ui - Brecht . Bianca di Castiglia - Grillparzer . . . . Foresta (La) - D’Errico . . . . . . . . Franco Quinto - Diirrenmatt................ 275-276 275-276 277275-276 Pag- 11311243113 Signor Biedermann e gli incendiari (II) - Frisch................................ ... Togliete la pietra! - Csokor................ Fase. n. Pag. 50 278 279 109 273 75 83 270 83 270 49 269 42 271 270 84 279 110 278 50 278 50 109 279 279 109 Fase. n. Pag. 275-276 275-276 114 114 R IB A LT A Pag. N G L E S E Amante compiacente (L') - Greene . . . Brand - Ibsen.................................... Bright one (The) - Fulton................ . Cenci - Shelley................................ Cock-a-doodle dandy - O’Casey............. Country boy (The) - Murphy . . . . . . Eight in the Shade - Dane................... Fool's Paradise - Coke....................... Gilt and Gingerbread - Hare . . . . . . Gioco delle parti (II) - Pirandello . . . . Gioia del dottore (La) - Drew............. Grass is Greener (The) - Hugh e Margaret Williams............................. . . Hidden River (The) - Ruth e August Goetz Hook, line and sinker - Roussin . . . . Hot summer night - Willis................ ... Lasciatemi mangiare la torta - Lonsdale . 275-276 275-276 270275-276 279273270272272268268 268272268268275-276 111112 8611211169865354 56 56 5654 5655 112 Long and the short and the tall (The) - H a ll................................... ... • Macbeth - Shakespeare................... ... Madré coraggio e i suoi figli - Brecht . . Magistrato di Pinero (II) - Molière . . . Mondo di Paul Slickey (II) - John Osborne Moon on a reinbow shawl - Enol John . Orpheus Descending - Williams............. Pleasure of his company (The) - Taylor . Rosa tatuata (La) - Williams................ Santa Giovanna - Shaw....................... Sganarello e Tartufo - Molière............. Signor Fox di Venezia (II) - Knott . . . Taste of honey (A) - Delaney............. Two for the seesaw - Gibson ................. Who's your father? - Cannan ................. Woman on the staiss (The) - Parish . . . 272 268273 272275-276 268275-276 272 270273 272 272 270 270 268 270 Conseguenze dell'orticaria................... Mercadet l'affarista come arte o come af fare? ............................. . . . . Gli anni diffìcili del teatro italiano . . . Sei punti (di sutura) per la scena di prosa L'anno comico vietato ai minori di anni ............. ................... sedici TA C C U IN O Pag. 268 269 270 271 272 Forse gli autori drammatici andranno a pescare .................................... . Precisazioni del senatore Busoni al taccui no del fascicolo scorso: non è poi certo che gli autori drammatici vadano a pe scare ................... ...................... Il primo passo.................................... La mano sul muro .............................. Cinquanta ma non si vedono................ Cinque più due................................ 273 274275-276 277278279 B I BLIO TEC A Degli evirati cantori - Bragaglia . . . . Documenti di teatro.......................... iulien - Fabrizio Rossi Longhi . . . . . Lélio, premier historien de la Comédie italienne - De Courville................ Majakovskij e il teatro russo d'avanguar dia - Ripellino............................. Miller Arthur: Teatro - Fonzi............. Napoletani di Napoli - Minervini . . . . Napoli fedelissima - Cutolo................... Opere - Von Kleist.......................... Pirandello - Ferrante .......................... Romanzi e taccuini - Dostoevskij . . . . 275-276 275-276 269 275-276 279278275-276 270279 270 270 Pag. 12012266 123 11545121881178989 Storia della caricatura - Gianeri . . . Storia del teatro britannico - Mac Leod Storia del teatro popolare romano - Bra gaglia................................ , Sul filo della nostra storia - Vergani . Teatro - V. Calvino....................... Teatro indiano - Vallauri............. Teatro italiano del dopoguerra - Pandoliì Teatro milanese - Vergani e Rosti . Teatro per gli anni verdi - Luongo . Theatre in our times (The) . . . . Vita e i pallidi amori di Guido Gozzano (La) - Vaccari............................. 275-276 270 270270279279273272279270 270 Pag. 54 56 7055 11154 1125385 705554 848656 86 Pag. 113317 Pag- 12191 8788 117 117796111690 135 V A R 8 E D 'IT A L IA E FUORI Pag. Pag. Alta Casa di Riposo tre nomi per sempre - Bassano .................................... Alla Compagnia Baseggio il «Secundo Tro feo Barcelona » - Bassano............. Annuale Convegno dell'Istituto del Dram ma Italiano - Bassano................... Bibbia a fumetti (La)................... ... . Biblioteca Simoni annessa al Museo Tea trale alla Scala di Milano, ora perfetta (La)................................... ... • Celebrazioni del bicentenario di Schiller in tutto il mondo (Le)................... Cento milioni del sen. Vittorio Cini alla Casa di Riposo Lyda Borelli per Artisti Drammatici................... Comédie Française da 279 anni - Simoni . Convegno a Marina di Pietrasanta del Cen tro Iniziative per un nuovo teatro ita liano - Sarzano............................. Convegno del teatro del sud................ Convegno di Royaumont (II) - Gennari . . Critici a convegno - Vecchi ................. Da un anno all'altro - Pandolfì............. Dieci drammi americani che si crede pos sano sopravvivere (I) - Sarzano . . . Festival di Venezia - Damerini . . . . . Finlandia (Convegno Internazionale del Tea tro - Nicolaj............................. Inchiesta per l'Accademia di Arte Dram ....................................... matica? Insuccesso sui due fronti del Teatro fran cese di Stato - Le Due................... Lettera non inutile................ ... Milanese Errepì come Stendhal (II) . . . Milano per il suo Piccolo Teatro . . . . Non andare a parlare di crisi in Finlandia - Nicolaj.................................... Passata Stagione Teatrale ed alcuni cam biamenti essenziali per la nuova (La) - Trabucco . ................................. 274 278 277270 275-276 279 274272 277277273271272 278274275-276 274 279 278270274274 277 275-276 Piccolo Teatro di Milano - Dodici anni di lavoro per ii teatro - Guazzotti . Piccolo Teatro di Milano (Qui parliamo noi del) - Vecchi............................. Podrecca . . . . . ....................... Presenza del teatro italiano in Brasile ................................ Peixoto Riforma del teatro francese (La) . . . Scavi a Milano intorno al Piccolo Teatro Vecchi .................................... Stagione 1959-60 al Piccolo Teatro di Mi lano (L a )................................ Stagione teatrale 1958-59 in cifre ufficiali (La)................................... Teatro alla Casa di Riposo a Bologna (Un) Teatro brasiliano - Peiscoto............. Teatro di prosa è bello ma caro? (Il) . Teatro in TV - Bruno....................... Teatro Milanese nel libro e sulla scena (II) Pagani.......................... . . . . Teatro nella scuola americana (II) - Dugan Teatro polacco vive (II) - Paolucci . . . Teatro Stabile di Torino (II) - Guazzotti Tony................ ......................... Tra cinque anni non ci saranno più Com pagnie di giro?....................... Urgentissima - Trabucco . . . . . . Varsavia grande amore - Paolucci . . 273 273274 271272 279 279 275-276 271279271268269270271272273274275-276 277278279 272275-276 277278275-276 275-276 277279 73 56 523 118 103 7343 5756765555 48 28 91 70 112 52656972 49 87 51 5059 4942 87 88 986610565646286616378711156361101 6178 455479 10955 107 A T T O R I NELLE COMMEDIE CHE HANNO (Riproduzione fotografica o disegno) NTERP RETATO Abel . . . Adani Laura , L’année du Bac . . Gli amori di Platonov Agostini Carla Il grande statista . Dio salvi la Scozia Albani Elsa Alberici Luciano Alzelmo Armando Andreini Gabriella Andrilli Maria Andrycz Nina . Angeleri Lia Anseimi Rosina Antonini Eliana Giulio Cesare . . . Il buio in cima alle scale ................ I fa ls i................ Le ragazze bruciate verdi . ............. Maria Stuart . . . . Malia................ Dio salvi la Scozia Arletty Barabanti Arrigo . . . . Dio salvi la Scozia Barberito Aldo Bardella Mario Girotondo............. Gli amori di Platonov Bardellini Gino Barrault Jean-Louis Il revisore . L’hurluberlu 274271268268268268275-276 270270270270 274 268278273 271 273277 273 268 270 270 270270271 270 270 270 270 269 268 269 268 268278279272 136 Pag. 4857 50 345891011121071920 21 22 61 58 50 48 50471920 21 22481920 21 22 459101112589542 Bartolucci Gastone . Gli amori di Platonov : Baseggio Cesco . . Battistella Antonio . Benvenuti Vittorina Besozzi Nino Bianchi Tino Blakmer Sidney Borboni Paola . Bosetti . . . . Botta Leonardo Braccini Lola . Briccon Gianni Brignone Lilla . Bua Rosolino . Buazzelli Tino . Calabresi Oreste . Calindri Ernesto . Calvelli Cesare Il ballo dei ladri . . Il bugiardo . . . . Le baruffe chiozzotte Il sistema Rabadier . I giganti della mon tagna ................ Giulietta e Romanoff Sweet bird of Youth La giustizia . . . . Antigone............. Girotondo............. Lastrico d’inferno Giulietta e Romanoff Antigone............. Malia ................ Come nasce un sog getto cinematogra fico ................ II misantropo . . . Girotondo . . . . Nascita di Salomé L’hurluberlu . . . Dio salvi la Scozia Capodaglio Wanda Carlini Paolo . . Carnabuci Piero . Carraro Tino . . Carubbi Luigi Venerdì santo Carne unica . Giulio Cesare Il revisore k Casagrande Wilma . Carne unica 268268268268270274278273272 270 268273272 269274 269 269271 268273274 268 277 279269 271 279270 270 270 270 270 269273274278 269 275-276 Pag. 910111256 35575051 55475052 55 614546 547 50 61 47 9061784657 951920 21 22 565 50 61586 Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag. Castellaneta Donato . Il revisore Cattaneo Carlo . . . . . Dio salvi la Scozia Cavalieri Gino . . Cegani Elisa . . Gei Pina . . . . Celli Maria Letizia Cervi Gino . . . Checchi Andrea . Coen Maria Pia . Connor Whitfield Conte Luisa . . Cortese Leonardo Corti Enrica . . Costantini . . . Dandolo Giusi . . D'Angelo Carlo . De Angelis . . . Delfosse Raoul . . Del Mestri Luciano De Sica Vittorio . De Toma Vincenzo I fa ls i................ , Le baruffe chiozzotte , Da giovedì a giovedì , Un istante prima . . , Tra vestiti che ballano Le allegre comari di Windsor . . . I giganti della mon tagna . . . . , Girotondo . . . Le gatte . . . The Disenchanted Appuntamento in Pa radiso . . . . L’ispettore generale La bisbetica domata Assunta Spina . . Il grande statista . Il revisore . . . . Lastrico d’inferno . Assassinio nella catte drale............. Angelica . . . . La tête à l’envers . L’ispettore generale Gli amori di Platonov De Virgiliis Giorgio Di Giulio Anna Maria Dolfìn Marina . . . Eichhorn Werner Ermelli Claudio . . Il revisore . . . . Girotondo............. Il bugiardo . . . . La foresta............. Dio salvi la Scozia . Eronen Ella . . . . Esposito Alessandro Pour Lucrèce . . . Gli amori di Platonov Esposito Carlo . Fabbri Marisa . Feliciani Mario Ferrari Mario . Ferro Lyda . . Fijewski Tadensz Fiore Maria Fortunato Valentina Francia Maria Grazia Gallina Mario . . . Gandolfì Paola . . . Garrani Ivo . . . . Garrone Riccardo Genta................ Giachetti Fosco . . Giacobini Franco . . Giangrande Raffaele Gielgud John . . . Gii Janine . . . . Gioì Vivi............. Giovampietro Renzo Gramatica Emma Lungo viaggio di Na tale ................ Il capitale . . . . I falsi ............. I falsi ............. En attendant Godot Le gatte . . . . Undici su un ramo Un istante prima . ba Una luna per . . . . stardi Il sistema Rebadier Angelica . . . . Notturni . . . . Il grande statista . Lungo viaggio di Na tale . . . Il bugiardo . Giulio Cesare Girotondo . . Il viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse Dio? . . . . Notturni............. Il capitale . . . . Amleto................ L’année du Bac . . Girotondo............. Lastrico d’inferno . . Le ragazze bruciate verdi ................ 278270270270270 278278271272271273 268269 268 270 269269272275-276 271275-276 279 268270272275-276 278273271 275-276 274277279 269 268 268 268 263278269 274 278270 270 270270277 268 268 268 268 268 273278 278 277272 277271273 271272274274275-276 263274274269 269274779274274274269271 271274 581920 21 22 575758557647 40 48 554546 51 79 58 53 964756 4010758505 1073562964091011125846 3551920 21 2247 9101112 47 965057 574851 62 576 53513536 107 47356146 553696333334 465 5862 ria gna Grassi E li Raul . . .1 giganti della monta ................ Graziosi.............Il grande statista . . Guarnieri Anna Ma ................ Il buio in cima alle scale ............. Guerrini Ottorino . La bisbetica domata Assunta Spina . . Guzzinato Margheri ta ................... La bisbetica domata Hannessy Michael . The Jailbird Innocenti Adriana . Carne unica Inzadi . . . . . Notturni Jockeit Ursula . . La foresta Kiley Richard . . . Redhead Klipstem (Ernest von)................ La foresta Knipper Giga . . . Latin................ L’année du Bac . Lauri Maria Teresa Venerdì santo . . Lenze................ L’année du Bac . Lodovici Carlo . . . Il bugiardo . . . Lo Vecchio Mimmo . L’ispettore generale Luciani Mario . . . I falsi ................ Lupinacci Aiessandra Da giovedì a giovedì » Macario Erminio . . Undici su un ramo . Mac Lionaith Tomàs Lunga giornata verso la notte............. . . Magni Èva Magoia Elena . . Gli amori di Platonov » Malaspina Michele Malatesta Renzo . Maldeck Karl . . Malfatti Marina . Malleson Miles . . Maltagliati Evi . . Mannocchi Giovanni Lastrico d’inferno . . George Dandin . . . Isabella, comica ge losa ................ La foresta............. Girotondo............. Sganarello............. Gli amori di Platonov Mantesi Gianni Martelli Arnaldo Martel Marie-José Martini Italia . Mascetti Rina . Masina Giulietta Massey Raymond Mastroianni . Mauri Glauco Mazzoli Dario Meixner Karl Melato Maria Meriini Eisa . Meurisse Paul Micheluzzi Carlo Millo Achille Minello . . . Miraglia Dante Il revisore . . . L’hurluberlu . . L’hurluberlu . . . . . Notturni Lungo viaggio di Na tale . . . . Angelica . . . . J.B................. Angelica . . . I giganti della monta g n a ............. La bisbetica domata La foresta . . . . . Carne unica . . . L’hurluberlu . . . Il bugiardo . . Le baruffe chiozzotte . Un istante prima . . Il buio in cima alle scale............. . Dio salvi la Scozia Montagna Carlo Gli amori di Platonov Monteverdi Germana I falsi Mooney Ria Moreau Jean Morelli Rina Moretti Marcello Il ballo dei ladri . Lunga giornata verso la notte............. . . L’année du Bac I ragazzi della signo ra Gibbons . . . 270275-276 268268270 275-276 268273 269269274277278275-276 278271 274270 274 274279 273278271272277 273279 268 268 268 268271275-276 278 269272269 268 268 268 263278279273 271274 270 268278277279269271 274278 273 268270 270 270 270 268 268 268 268 270 278 268274273275-276 274 273274275-276 268273 Pag. 55107 484756 477145 3647 580 548 34563435 96 505758 562 71 9691011125107 107 546 52 4091011125895 50 4836 47 3572 79 35 5547 57896548 35 576 481920 21 2291011125657 7134108 4850 137 Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag. Pag. Monconi Valeria . . Morlacchi . . . . Muller Walter Albert Murigiani............. Mussier Jacques . . Musy................ Neubauer Peter . . Newmann Paul . . Ninchi Annibaie . . Nucci Alberto . . . O'Dubhlainn sionn . . . Uin- O'Floinn Pilib Oppi Giulio . Girotondo . . . Giulio Cesare La foresta . . . Angelica . . . La tête à l'envers L’hurluberlu . . La foresta . . . Sweet bird of Youth n Filottete . . Lungo viaggio di Na tale . . . . Lunga giornata verso la notte............. Lunga giornata verso la notte............. The Jailbird . . . . Gli amori di Platonov Ortolani Attilio . Padovani Lea . . Page Geraldine Pagnani Andreina Pani Corrado . . Paoletti Roberto . Paoli Lina . . Parenti Franco Parmeggiani Carla Patrick Jeanine . Pellizzi............. Pescara Roberto . Pescarolo Vera . Pezzinga Ernesto . Picelio Emilio . . Pisu Mario . . . La giustizia . . . . Il ballo dei ladri . . Nascita di Salomé . Gli amori di Platonov La rosa tatuata . . Sweet bird of Youth La pappa reale . . . Il grande statista . . Lungo viaggio di Na tale ................ L’ispettore generale Il misantropo . . Il revisore . . . L’hurluberlu . . . Nascita di Salomé Les possédés . . Il grande statista Giulietta e Romanoff Isabella, comica ge losa Dio salvi la Scozia . . . . Plummer Christo pher ................ J.B. Polacco Cesare Gli amori di Platonov Porta Pier Paolo Prono Lucietta Propst Herbert Randone Salvo Ricca Alberto Ricci Renzo . Il viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse Dio? . . . . Notturni............. . Gli amori di Platonov La foresta . . . . Il Filottete . . . . L’ispettore generale Dio salvi la Scozia Rissone Checco . Ristori Adelaide . Riuttu Leo . . . Rizzi ............. Robards Jason Jr. Robutti Enzo . . L’isola dei pappagalli Il ballo dei ladri . . . Maria Stuarda . . Le nuvole . . . . Undici su un ramo The Disenchanted . Il revisore . . . 13S 268 273 269 274277278 274277 2/9278 272275-276 273273268268268268269270 271 268 268 268 268 271271272270 268275-276 268279273 273277278279271275-276 273277270270270270 273275-276 268268268268 269 274 268 268 268 268278 273275-276 279 279270 270 270 270 269270 279 277277275-276 275-276 268 275-276 278 47 71 4561475356295552107 7171 91011125556 57 91011124847525557 107 479650506158 95 57 8910747 10750781920 21 22 72 699101112 5536 910111255010796961920 21 22 405637 47 62 79 58 Rocca Sandro . Gli amori di Platonov Roggeri Augusto Roland . . . . Rosaspina Dino Rossetto Emilio Rossi Luisa . . Undici su un ramo L’année du Bac . Lungo viaggio di Na tale Baruffe Gli amori di Platonov . . . . . . . Roveri Ermanno Dio salvi la Scozia Saetti Liliana . Salvadori . . . Sammarco Gina Sanipoli Vittorio Santi Aldo . . Santuccio Gianni Savorani . . . . Sbragia Giancarlo Scaccia Mario . . Scalfì Saviana . . Scotto Giovanna . Seglin Margherita Seripa Renata . . Severini . . . . Siivola Vilho . . Siletti Mario . . Spadaro Umberto Spesca Adolfo . . La bisbetica domata Notturni . . . . La giustizia . . . Il ballo dei ladri . Nascita di Salomé Il revisore . . . L’hurluberlu . . . Gli amori di Platonov La giustizia . . . Antigone . . . . L’ispettore generale Una luna per i ba stardi . . . . Il misantropo . Carne unica . . Tra vestiti che bai . . . . lano Le baruffe chiozzotte I falsi . . . . , L’hurluberlu . . Le nuvole . . . Isabella, comica ge Io sa ............. Malia ............. Dio salvi la Scozia Steenbergen Paul Platonov............. L’ispettore generale . Stocca Carlo . . I ragazzi della signo Stoppa Paolo . . ra Gibbons . . . . Talli Virgilio . . Appuntamento in Pa Taranto Nino . . radiso ............. » Il sistema Rebadier . Tedeschi Gianrico Il grande statista . . Da giovedì a giovedì Tieri Aroldo . . Toccafondì Bianca . Dio salvi la Scozia » Tofano Sergio Valderi Xenia . Valletta Giorgio Valli Romolo . Vanamaker Sam Vaneck Pierre Venturi Antonio Verdon Gwen . Vernon . . . Vianello Adriana Vigliani Antonella L’isola dei pappagalli . . Mandragola Il cigno . . . . Minnie la candida Girotondo . . . . L’ispettore generale . Il buio in cima alle scale . . . . La rosa tatuata . Les possédés . . Notturni . . . Redhead . . . L’année du Bac . L’hurluberlu . . . . . . 'vrrrTra vestiti che bai lano 268 268 268 268277 274 268278 268 268 268 268 270 270 270 270 268 274269270271278279 273273 268 268 268 268 269274 279 275-276 271277269 268278278279 277 268270 270 270270 277 279 268279279 271275-276 272275-276 271272 272 270 270 270270 269 269 269 269 269 269 269 269 279 268271275-276 274275-276 274279272 268 9 10 11 12 62 34 475791011121920 21 22 47 365556575895 5050 910 11 12 55 6196 58616 47575795 47 107471920 21 22 6296 48 7779 58 5451 10758561920 21 223940 40 40 40 404546 96 4848893680 34 95 51 47 Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag. Villi Olga Vitale Milly . Le allegre comari di Windsor............. I giganti della mon tagna ................ . Gli amori di Platonov Viziano Gino [/hurluberlu . . . Dio salvi la Scozia Volanenna Eeva-Kaari- Pour Lucrèce 268 270268268268268279270270270270 277 VoEonghi Lina Dio salvi la Scozia Volonté Gianmaria . La bisbetica domata . Volpi Franco . . . Da giovedì a giovedì Ward Myra . . . . Platonov . . . . Il processo Werawski Woszczerowicz Jacek II processo Zago Otello . . . . Zareschi Elena . . Zoppelli Lia . . . . 270270270270 268271272272 277 277 277273 273 273 48 559101112951920 21 22 47 A U TO R I Pag. (Riproduzione fotografica o disegno) Pag. 3447 7268022335147524 6247 Pag. 4772 804558 Anderson Robert . Anouilh Jean . Apollonio Mario Bassano Enrico Bertolini Alberto Bruckner Ferdinand Cecov Anton . . Crouse Russel D7Errico Ezio . . Dursi Massimo . . Ferrerò Leo Giovaninetti Silvio Goldoni Carlo . . Grassi Ernesto . . 271271273273274 268 271273271272274 269 274275-276 47 45 50636574850 4851 3562853 (Archibald Hyde Douglas . Inge William . Leish Mac)............. Levi Paolo . . . Lindsay Howard . Manzari Nicola Marcel Gabriel . . Marotta Giuseppe Miller Arthur . . Nash N. Richard . Nicolaj Aldo Parodi Anton Gae tano............. . . Patrick John 277271 273271275-276 270 277272271275-276 273 277271 Pensa Carlo Maria Possenti Eligio . . Randone Belisario Ridenti Lucio . . Rovetta Gerolamo Schiller Friedrich Schnitzler Arthur Schrefer Hans Joa chim . . . . Simoni Renato . Wilder Thornton . Williams Tennessee 278274272277278275-276 279 269269 277270 274271 271 R E G IS T I, IM P R E S A R I, ecc. (Riproduzione fotografica o disegno) Pag. Breat De Boisanger Claude............. Fischel Albert . . . Grassi Paolo . . . Greppi Antonio . . 272 277273 273 42474950 Kazan Elia Lucignani Luciano Puecher Virginio . 271273275-276 269278 Ratto Gianni Strehler Giorgio Zanotto Giorgio 273273273274 SCENE (Riproduzione fotografica o disegno) Pag. Pag. 48 8 91011359034 61 585656 57 4735 49 96 965 9058561920 21 79 48 57 Filottete (II) . . Foresta (La) Gatte (Le) . . George Dandin Giganti della monta gna (1) . . . Giostra (La) . . Girotondo . . Giulietta e RomanofF Giulio Cesare . . Giustizia (La) . . Grande statista (II) Guerra e pace . . Hurluberlu (L7) . Isabella, comica ge Iosa . . . . Ispettore generale (L7) ............. Istante prima (Un) Jailbird (The) . . . J.B...................... Lastrico d7inferno . Liberazione . . . . Luna per i bastardi (Una)................ Lunga giornata ver so la notte . . . Lungo viaggio di Na tale ................ 275-276 277278 272275-276 270272 269 269 268 274 269275-276 277271279 275-276 279271273 273 273 273275-276 271271277 271 273 268 10747 551107 5551454648 61 55107484895 9657567172 7956 48 107 58 71 48 Malia............. Maria Stuart . . Misura per misura Nascita di Salomé Notturni . . Nuvole (Le) . alle Piccolo mondo grò . . . Piovana . . tante Piume de ma (La) . . . Possédés (Les) Pour Lucrèce Processo (II) Questi fantasmi . Ragazze bruciate ver di (Le) . . . Ragazze d7estate Ragazzi della signo ra Gibbons (I) . Redhead Revisore (II) . . . Rosa tatuata (La) . Sistema Rebadier (Il Soldati Piccicò (II) Sweet bird of Youth Tartufo............. Tra vestiti che bal lano ................ Venerdì santo . . . Viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse Dio? (Il) . . . . 268268268268268274275-276 274274 271270270 278 268 274 268279 279269 275-276 271272 272 270 270 270275-276 277278 Allegre comari di Windsor (Le) . . Amori di Platonov (Gli)................ Angelica............. Année du Bac (L7) Antigone............. Appuntamento in Pa radiso ............. Assunta Spina . . . Balio dei ladri (II) . Baruffe chiozzotte (Le)................ Bisbetica domata (La) Bugiardo (II) . . . Buio in cima alle scale (II) . . . . Capitale (II) . . . . Cappello di paglia di Firenze (Un) . . Carne unica . . . . Come nasce un sog getto cinematogra fico ................ Da giovedì a giovedì Dio salvi Scozia . Disenchanted (The) . En attendant Godot . Falsi ( I ) ............. 268 277 277271 274 277 268272 275-276 275-276 277277 271 271275-276 275-276 268275-276 278279271272273 273 272 272 268270 269 Pag. 1920 21 2247 58566248 48 50 50 50 57 62 51 3358 43 38 42 45 4755624747 Pag. Pag. 504950 62 Pag. 4748 4857 3647 48 51 80894748 48 5856 48805890 4851232452 52 4856 55 DICEMBRE 1959 PROGRAMMA 15-12 17- 18- 12 18-12 23-12 29-12 12 NAZIONALE SECONDO SECONDO TERZO TERZO NAZIONALE PALUDI tre aiti di DIEGO FABBRI LA VOLPE SFORTUNATA radiodramma di SANCIA BASCO IL TOPO radiodramma di RAFFAELE LA CAPRI A IL TRASPORTO di henry monnier IL GENIO DELLE MONTAGNE radiodramma di MICHEL BREITMAN OBLOMACK RISORTO radiodramma di LUIGI COMPAGNONE ad EZIO ZEFFERI GENNAIO 1990 1-1 2-1 4-1 5- 6- 8-1 9-1 11-1 12-1 13-1 DICEMBRE 1959 15-12 18-12 22-12 25-12 29-12 GENNAIO 1980 1-1 3-1 11-1 1 1 TERZO NAZIONALE SECONDO NAZIONALE SECONDO TERZO NAZIONALE SECONDO NAZIONALE TERZO CYRANO NELLA LUNA odati, radioionico di ALESSANDRO BRISSONI (prima parte) DOLORE SOTTO CHIAVE radiodramma di EDUARDO DE FILIPPO (novità assoluta) NON PUOI RIVIVERE LO STESSO GIORNO radiodramma di PAUL ICKES - traduzione di ITALO ALIGHIERO CIIIUSANO INTERCESSIONE PER ISMAY radiodramma di GIAN FRANCESCO LUZI (novità assoluta) IL PRINCIPE AYR CENERI di SAMUEL BECKETT - « Premio Italia s PROSDOCIMO un atto radiofonico di ANTONIO SANTONI RIJGIU da COLLODI PICCOLE MISERIE DELLA VITA CONIUGALE * ivan canciullo L OMBRA di JULIEN GREEN - traduzione di FIORENZA PUCCI ANGELICA a leo ferrerò fiaba in tre ani di GIUSEPPE LONGO CAVALCATA A MARE di joiin synge LA TORRE SUL POLLAIO * Vittorio calvino NESSUNO E' SOLO di luigi candoni ALADINO di REX TUCKER BEN TORNATO SIGNOR PARDI di Giuseppe possenti LA BOTTEGA DEL CAFFÈ' di carlo goldoni TRE MESI DI PRIGIONE di Charles vildrac I DUE SERGENTI ,Ii D'AUBIGNY e MAILLARD N.B. programmi nel prospetto indicati possono subire spostamenti o variazioni in conseguenza dolle necessità di programmazione. LEONARDO CORTESE INTERPRETA CLJESTACOV IN “ L’ISPETTORE GENERALE” DI GOGOL AL TEATRO STABILE DI TRIESTE PER LA STAGIONE TEATRALE 1959-1960 La riproduzione di questi cinquecento rubli deilo Zar è servita per fare un programmino dello spettacolo; nei retro, infatti, c’è la elencazione dei personaggi e degli interpreti della commedia. Dal «Messaggero Veneto» di domenica 15 novem bre 1959: «La composizione dell’attuale Compagnia appare senz’altro felice: si è trovato in Leonardo Cortese l’attore che può dare alla stagione teatrale attuale un autentico colpo d’ala. Scritturando Cortese, il Nuovo (teatro stabile) ha voluto dare una rinfre scata generale per raggiungere una più dinamica e cordiale comunicativa. Inoltre ha potuto avere per la prima volta un « nome» che servisse da solo a chia mare pubblico in sala, senza per questo esulare dalla disciplina di un teatro stabile, che non ha certo esu beranza di mezzi. Leonardo Cortese era in questo senso l’ideale. Averlo strappato a tanti impegni è non poco merito per i dirigenti del Nuovo ». « Leonardo Cortese è stato un Cljestacov brillante e comunicativo, ricco di sfumature; il fantasioso cre scendo della sbornia, il ricatto e la seduzione hanno trovato nel suo aspetto sempre giovanile e nella sua recitazione arguta e disinvolta un notevole rilievo ». Dal «Corriere di Trieste»: «Ha dominato in primo piano l’eccellente Leonardo Cortese, destinato in que sta edizione della “ Stabile ” a ricoprire i ruoli prin cipali. Il suo Cljestacov si è bilanciato alla perfezione nell’ambigua situazione da cui ne esce alla fine la sconvolgente ilarità della vicenda. E’ piaciuto, ha con vinto ed ha avuto la messe maggiore degli applausi ». Da «L’Unità»: «Degli interpreti, in primo luogo, Leonardo Cortese, estroso, bizzarro Cljestacov, ha offerto una bella e sostenuta prova, tenendo in mano le redini della “ moralità ” gogoliana ». ^O'i/eàe- come l’impiegato Ivan Alexandrovic Cljestacov, in L’ispettore generale (Il revisore) di GogoL Vittorio Tranquillini ha scritto in «Il Piccolo»: « Il regista ha intelligentemente collocato le sue figure tutte sullo stesso piano, facendone emer gere solamente il falso revisore Cljestacov, imper sonato con pittoresca baldanza e con piacevole e indovinata enfasi da Leonardo Cortese, attore assai spontaneo e ardente di vitalità ». jyyljÚUii. 4 ^ i a u u u z ^ ) ”, ^|4jj^N^¿ÍN^4Ná4»‘*^<- ’SÍ^'f^S ^á U ^é .é ^á U M . JmM . . , ~ w *&&■£. ijL .** i*J ¿.«mW «k m Tpik là^.i4-i ¿ $►.*«► "Ù. ^ *>é*u> * IJI ..<>• fejl

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Tipologia

Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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