36° ANNO ■ Ne 281 ■ FEBBRAIO 1960 sp®«-in °bt>- 30 Gruppo LIRE 300 L I MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE D R A INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI M M A R e n a t o S i m o n i I Voi. esaurito II Voi. L. 4.300 III Voi. L. 4.800 IV Voi. L. 4.800 V Voi. L. 4.800 T r e n t a n n i d i c r o n a c a d r a m m a t i c a I L T E “ Trentanni (li cronaca drammatica’-* e “ Le commedie” sono in vendita da tutti i librai, ma non trovando i volumi, rivolgersi direttamente alla ILTE - corso Bramante, 20 - Torino. Servirsi del c/c postale n. 2/50. intestato a ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice. F"ORrsj ITO R E DI ■S.M. IL RE D'ITALIA E DI ALBANIA IMPERATORE D'ETIOPIA DI S.M. IL RE DI BULGARIA S.A.R. ILPRINCIPE DI PIEMONTE CASA DI S.A.R. IL P.DIPIEMONTE S. A. R. IL DUCA D'AOSTA S. A. R. IL DUCA DI SPOLETO S. A. R. IL CONTE DI TORINO S. A. R. IL DUCA DI GENOVA S.A.R. IL DUCA DI BERGAMO TÌF T C AVA T TT7DT7 TV T? T T AFADA DEL CAVALIERE DEL LAVORO ì *3 A B B IG L IA M E N T O M A S C H IL E «.L'eleganza, ed ancor p iù la classe dì un uomo, form ano Varistocrazìa dell’abbigliamento; la per sonalità non è che un riflesso d i questo risultato anche esteriore. Uguali requisiti deve possedere chi g li fornisce g li indumenti: Po^pf, a M ilano, possiede per antica tradizione queste qualità». (da «il Petronio») MILANO - CORSO VITTORIO EMANUELE, 15 - TELEFONO 700.887 l a p r o s a a l l a r a d i o e a l l a t e l e v i s i o n e FEBBRAIO 1960 PROGRAMMA 15-2 17- 18- 20-2 22-2 23-2 26-2 27-2 29-2 MARZO 5-3 7-3 9-3 12-3 14- 15- 2 2 SECONDO TERZO SECONDO NAZIONALE SECONDO NAZIONALE TERZO NAZIONALE SECONDO I CRIMINALI di MALCOM HULKE ed ERIC PAICE - traduz. di FRANCA CANCOGNI dalla serie Giallo per voi MARIANA PINEDA a garcia lorca GIGI di COLETTE UNA LETTERA PER GIANNI a pierò castellano CHOPIN di ALFIO VALDARNINI (in ricorrenza del 1500 anniversario della nascita dell’autore) L'AIUOLA BRUCIATA IL TESTAMENTO DI PADRE LELEU di roger Martin du garde LA FONTE RISANATRICE a lvdvic holberg - traduz. di alda manghi (novità per VItalia) MELISSA SMITH di WERTHMVLLER e SPINOLA ■ dalla serie I racconti del vecchio IVost tre atti di UGO BETTI (prima esecuzione radiofonica) NAZIONALE SECONDO TERZO NAZIONALE SECONDO NAZIONALE 3 3 BILANCIO DI UNA VITA radiodramma di HEINRICH BOLL - traduz. di I. A. CHIVSANO (novità per l’Italia) VIAGGIO A PANAMA di Alberto bevilacqua (da Troiiope) NOZZE DI SANGUE v / s ' . DAL ROMANZO OMONIMO DI IRWIN SHAW - TRADUZIONE DI RICONO E ODDERA Laura Adani - Luisella Boni - Franco Graziosi - Sotto: Laura Adani e Matteo Spinola Be p e r s o n e (per ordine di entrata in scena) PRIMO E ULTIMO QUADRO ,953 SIGNOR JEAN, padrone del bar IL BARMAN IL PIANISTA LA RAGAZZA IL RAGAZZO LUCY CROWN, 62 anni LO STUDENTE TONY CROWN, 33 anni ANNA, 25 anni PRIMO E SECONDO ATTO 1938 TERZO ATTO 1944 OLIVIERO CROWN, 40 anni OLIVIERO CROWN, 46 anni SAM PATTERSON, stessa età SUSAN, 14 anni JEFF RUNNER, 20 anni LUCY CROWN, 82 anni TONY CROWN, 13 anni TONY CROWN, 19 anni LUCY CROWN, 88 anni (A Parigi, oggi. Un bar vicino ai Champs-Elysées. Penombra. Un pianista negro suona dei blues in continuazione. Al bar il ragazzo e la ragazza, dietro il banco del bar il signor Jean, il padrone, e il Barman). Jean — Che ore sono? I l Barman — Mezzanotte. Jean — Dovrebbe essere pieno di gente. E’ un guaio! I l Barman — Quest’anno gli americani vanno in Spagna. Jean — Già, adesso hanno scoperto la Spagna! E ne avremo almeno per tre anni, è allegro! (ÀI pia nista) Non vale la pena che tu ti affatichi, piantala! I l Pianista — Suono per me. (In un altro angolo del bar). La Ragazza — Allora io gli ho detto: «Niente da fare ». I l Ragazzo — E allora? La Ragazza — E allora non mi ha dato retta. I l Ragazzo — E’ per raccontarmi le porcherie che fai con gli altri che sei uscita con me? La Ragazza — Bisogna pur parlare di qualche cosa! (Al bar). Jean — Il signor Crown non è venuto? I l Barman — No, non è venuto. Jean — Anche i clienti più fedeli ci abbandonano! (Entra Lucy. E’ ancora molto bella ed elegante) Buona sera, signora. Lucy — Buona sera. Potrei avere un panino? Jean — Ma certamente. La signora è sola? Lucy — Sì. Jean — La signora preferisce essere servita al bar o vuol sedersi a un tavolo? Lucy — A un tavolo. Jean — Il 2 le va bene, signora? (L’accompagna) Una mezza bottiglia di champagne, ben ghiacciato? Lucy — No, grazie. Vorrei semplicemente un panino al prosciutto e mezza bottiglia di birra! Jean — Bene, signora. I l Ragazzo (al bar) — Allora hai deciso, sì o no? La Ragazza — Non questa sera. I l Ragazzo — Perché? La Ragazza — Perché René m’aspetta a casa. I l Ragazzo — Possiamo andare a casa mia. La Ragazza — Non sarebbe carino! I l Ragazzo Per chi? La Ragazza — Per René. I l Ragazzo — Ma, per me, sì. La Ragazza — Già. Ah! se si potesse essere carini con tutti nello stesso tempo. I l Ragazzo (vedendo un giovane seduto al tavolo vicino a quello di Lucy) — Salve! La Ragazza — Chi è? I l Ragazzo — Un amico. La Ragazza —- E quella signora? I l Ragazzo — Non so. La Ragazza — Ti piace? I l Ragazzo — Cosa t’importa? I l Barman (al padrone, alludendo a Lucy) — Che genere di donna credete che sia? Jean — Difficile a dirsi. A prima vista ho pensato: forse un’americana ricca a milioni, ma dopo che ha comandato un panino al prosciutto1, mi sono cadute le braccia. I l Barman — Quanti anni avrà? Jean — Con le nostre luci da 38 a 39 anni, ma la mattina quando si sveglia deve averne 45. I l Barman — Avete studiato molto le donne, voi, signor Jean! Jean — Ho sofferto. Ecco tutto. (All’angolo del bar). La Ragazza — Buona sera e amici come prima! I l Ragazzo —• Sei troppo debole! La Ragazza — Ne troverai un’altra! (Gli dà un pic colo bacio ed esce). I l Ragazzo (al pianista) — Senti : conosci « Je suis seul ce soir »? I l Pianista — Vecchia! I l Ragazzo — Per me è d’attualità. (Va a raggiun gere lo studente al tavolo) Allora, per il mio scooter, hai riflettuto? Lo Studente — Cosa vuoi che me ne faccia! Jean (al barman) — Vedi? Per me è del genere IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT donna abbandonata. Ha paura di tirarsi un colpo di rivoltella, se resta sola in casa, e viene qui per cer care di divertirsi. I l Barman — Qui non si divertirà certo stasera! Jean (al 'pianista) — Suona qualche cosa d’allegro. I l Pianista — Non conosco musica allegra. Jean — Inventala. (Al barman) Sono stato inna morato di una donna di questo genere dieci anni fa, ma era troppo in alto per me. E continuo anche oggi a mandarle dei fiori a ogni anniversario del nostro primo incontro. (A un tavolo). I l Ragazzo —- Sai? Io gliele direi due paroline... Lo Studente — Per me, fa pure. I l Ragazzo — No, incomincia tu. Lo Studente —• Che ti gira? Non penserai che attacchi io per il primo! I l Ragazzo — E con Veronica non hai attaccato tu? Lo Studente — Veronica, io, l’amavo. I l Ragazzo — Beh! Niente t’impedisce d’amare anche quella là. Lo Studente — Un momento, permetti? Lasciami il tempo di respirare? Non ho l’abitudine di amare le donne senza guardarle. (All’altro tavolo). I l Pianista (a Lucy) — Se c’è un motivo che pre ferite ascoltare... Lucy — Al momento... I l Pianista — « Memories are made of this » (Lucy prende una sigaretta americana e lo studente gliela accende). Lucy — Grazie. Lo Studente — Il tabacco americano mi piace tanto. Lucy — Non se ne trova a Parigi? Lo Studente — Oh, sì! Ma è tre volte più caro del nostro! Lucy — Prendetene una, voi e il vostro amico... Jean (al barman) — Guarda, guarda; le piacciono i ragazzi! I l Barman — Non fa niente di male. (Il signor Jean va a servire il panino a Lucy). Jean — Desidera altro, signora? Lucy — No. Jean — Alla signora piace Parigi? Lucy — Sì. Jean — La signora abita vicino al nostro bar? Lucy — Sì. Jean —• Al « George V », forse? Lucy — No. Jean — Se posso esserle utile in qualche cosa... Lucy — Grazie. Jean (torna al bar) — Te l’avevo detto: le piac ciono solo i pivelli. (Entra Tony Crown, è un bel l’uomo sulla trentina. Capelli appena brizzolati. Qualcosa di triste e di cinico nel modo di fare) Signor Crown, era ora! Da quindici giorni non vi vediamo. Dove vi siete nascosto? Tony — In Spagna. Jean (tristemente) — Anche voi! Ecco perché siete abbronzato. Tony — Ero abbronzato, fino a ieri, ma m’è ba stato passare la dogana di Orly per perdere tutto il mio bel colore. Jean — Siete magnifico! Guardate me: sono verde. Tony — E’ il colore adatto al padrone di un locale notturno. Jean — Permettetemi di offrirvi un drink... Tony —■ Cosa è successo? Jean — Mi fa piacere. (Al tavolino). Lo Studente — E’ molto che siete a Parigi? Lucy — Due mesi. I l Ragazzo — Allora avete avuto tempo di vedere molte cose. Lucy — Non tante. Lavoro per l’Unesco. I l Ragazzo — Ah! Non l’avrei mai pensato... Lucy — Perché? I l Ragazzo — Le persone dell’Unesco le si imma ginano... Lucy — Molto stagionate e molto brutte, vero? I l Ragazzo — No, ma... non ci si aspetta di incon trarle in questo genere di locali. Lucy — Rimanete con le vostre illusioni sui mem bri dell’Unesco e considerate che io sia una col pevole eccezione. Voi che cosa fate? I l Ragazzo — Oh! Noi studiamo alla Sorbonne. Lo Studente — Io sono stato in America. Lucy — Ah sì, e dove? Lo Studente — A Chicago. Lucy — Vi è piaciuta? Lo Studente — No, preferisco Rambouillet. E’ il paese dove sono nato. Lucy — E’ bello? Lo Studente — E’ più piccolo di Chicago... ma è più intimo... (Al bar). Jean (a Tony) — Siete stato in Spagna per affari? Tony — No. Jean — Ah, un viaggio di piacere. Tony — No. Jean — Oh, oh! Una donna! Tony — Mi piace venire qui a parlare con voi Jean. Quanto siete sagace a distinguere i concetti di donna e piacere! No, nessuna donna. Sono stato in Spagna unicamente perché non parlo lo spa gnolo. Ero stanco e non potete immaginare com’è riposante non capire una parola di quello che vi dicono! Jean — Avrete sentito parlare francese e inglese. Ci vanno tutti. Piace a tutti, al giorno d’oggi. Tony — Naturale. E’ un paese poco piovoso, mal governato e poco popolato. Come potrebbe non piacere? Jean — Siete allegro, questa sera, signor Crown, vero? Tony — Allegrissimo. Ah, se per caso doveste ve dere mia moglie, non le dite che sono tornato. Jean — Contate su di me, signor Crown! (Al tavolo). I l Ragazzo (a Lucy) — Non trovate che sia triste, qui? Lucy — Perché? Lo Studente — Perché si potrebbe andare in un altro posto. Lucy — Dove? a Rambouillet? Lo Studente — Mi prendete in giro. I l Ragazzo — Conosco un locale dove sono tutti negri e danno da bere del « Zombies » e dopo un sorso si vede la vita tutta rosea. (Al bar). Tony (a Jean) — Vado a dormire. Jean — Di già? (Entra Anna, bel viso, grave). Anna — Tony! Tony — Che vieni a fare qui? Anna — A cercarti. Tony (falsamente disinvolto) — Conoscete mia moglie, caro Jean? Jean — Sì, ho già avuto il piacere di servire la signora, non troppo spesso, purtroppo. Tony — Come stai? (Al barman) Due scocth. Anna — Cosa può importarti? Tony — Non vuoi che m’interessi alla tua salute? Anna — Dove sei stato? Tony — In Spagna, lo sai bene. Anna — Con chi? Jean — Solo. Anna — Hai una brutta cera. Tony — Jean mi ha detto proprio adesso che ho una cera magnifica. Anna — Si direbbe che hai dormito sotto i ponti. Tony — Ho dormito negli alberghi dell’Andalu- sia, che non sono più confortevoli. Anna — Quando sei tornato? Tony — Ieri. Anna — Perché non sei venuto a casa? Tony — Dovevo mettere in ordine i miei disegni. Anna — E non potevi farlo a casa? Tony — No, posso lavorare solo dove c’è calma e silenzio. Anna — Filippo è a scuola dalle nove a mezzo giorno e il pomeriggio lo porto a passeggio. Puoi avere tutto il silenzio che desideri. Tony — Si tratta di un’altra specie di silenzio. (Al barman) Grazie... No, senz’acqua. (A Anna) Bevilo puro, ti farà bene. Anna (scattando) — Tony, non ne posso più! Tony — Preferirei che tu non cercassi di risolvere LUCY CROWN i nostri problemi davanti a un barman... Se ci tieni a tutti i costi a farmi una scena, andiamo a sederci a un tavolo. (Si dirigono a un tavolo in 'primo fiano e siedono). Anna — Tony, divorziamo. Tony — Hai delle idee stranamente improvvise e definitive a quest’ora... Anna — Improvvise? No. E’ molto tempo che ci penso. Definitive sì, perché non ne posso più. Non posso più continuare così, Tony, ad aspettarti con tinuamente, ad aspettare con ansia una tua telefo nata o il tuo ritorno. Tony — Se t’immagini che ci sia una donna nella mia vita, ti sbagli. Anna — Lo preferirei. Tony — Si dice così, ma... Anna — Sì, lo preferirei. Contro una donna potrei lottare... Ma questa indifferenza, questa fuga... Sì, Tony, tu mi sfuggi... Tony — E’ me stesso, che fuggo. Anna (piangendo) — Perché? Cosa ti ho fatto? Credi che sia vita per me il non sapere mai dove sei, cosa fai? Se non mi ami più, abbi almeno il coraggio di dirmelo. Tony — Anna, odio questo genere di scenate. Anna —■ Dove vuoi che ti parli? Non sei mai a casa. Tony — Se tu avessi un po’ di pazienza... Anna (scattando) — Pazienza... sono sei anni che ho pazienza, che cerco di capirti, di scusarti, di aiutarti... Tony — Io non ho bisogno che mi si scusi, né che mi si aiuti. Lio bisogno che mi si lasci in pace. Anna — Tony! Tony — Buona sera. (Butta un biglietto da mille franchi sul tavolo) Pagherai tu per me. Io ho biso gno di prendere un po’ d’aria. (Esce bruscamente. Anna rimane sola e flange. Lucy che ha seguito la scena con emozione, dofo qualche istante si alza e si avvicina ad Anna). Lucy — Signora, scusatemi, ma vorrei... vorrei domandarvi un’informazione... Il signore che è uscito ora, si chiama Tony Crown? Anna — Lo conoscete? Lucy — Benissimo. Anna — Se vi fa piacere parlargli, non avete che a corrergli dietro. Non deve essere lontano. Lucy — No, non mi farebbe piacere... e penso che a lui... ancora meno. Anna (ironica) — Non posso credere che gli ab biate lasciato un cattivo ricordo! Lucy (con dolore) — Sì, temo proprio di sì. Anna — Prima che mi facciate delle confidenze è meglio che vi prevenga: sono sua moglie. Lucy — L’ho immaginato. IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT telefonarmi all’Hotel Lan- Anna — Ma ho imparato da molto tempo a non essere gelosa. Lucy — Non dovete essere gelosa di me. Non si tratta di quello che voi immaginate... Io sono sua madre. Anna —■ Sua madre? Tony non mi ha mai parlato di voi. Lucy —• Credevate che fossi morta? Anna — Vi credevo in America. Lucy — Sono ritornata da tre settimane. L’Une- sco mi ha incaricata di una missione in Europa. Anna — Tony, non vi ha certo vista. Lucy — Come avrebbe potuto riconoscermi? Non ci siamo visti da venti anni. Potrei incaricarvi di un messaggio per lui? Anna — Se non è troppo urgente! Perché Dio sa quando lo vedrò. Lucy — Ditegli di caster. Anna — Non volete sedervi? E’ quasi ora che facciamo conoscenza. Io mi chiamo Anna. Lucy — E posso chiamarvi, Anna? Anna — Certo. Dopo tutto, sono vostra nuora... Cosa prendete? uno scocth? Lucy — Con piacere. Anna — Barman, un altro scocth, per piacere... che strano posto per incontrarsi... Lucy — Cosa fa Tony nella vita? Anna — Disegna. Non lo sapevate? Lucy — No. Non mi ha mai dato sue notizie. Anna — Non sapevate nemmeno che si era sposato? Lucy —- No. Anna — Bene. Lo è... Per il momento, almeno. Questo non impegna l’avvenire... Cosa vi dicevo? Ah, sì, fa il caricaturista. Disegna vignette diver tenti per le riviste. Lucy —• Ma non ho mai visto il suo nome. Anna — Non firma con il suo vero nome. (Pausa) Credo che se ne vergogni. (Il Barman -porta i due bicchieri) Grazie. (A Lucy) Al nostro incontro! (Bevono) Bisognerà che m’insegnate cosa bisogna fare per sembrare così giovane. L’idea di invec chiare mi terrorizza. A sedici anni ho giurato di uccidermi il giorno che avrei avuto quarant’anni. Forse potrete impedirmelo. Lucy — Cosa bisogna fare? Lottare continuamen te, senza respiro. Anna — Allora io non passerò i 40 anni... Cosa fate all’Unesco? Lucy — Bersaglio gli uomini politici dei diffe renti paesi perché concedano dei crediti per l’in fanzia abbandonata. Sto vagabondando ormai da cinque settimane in Europa, assumendo un’aria so- lenne alle riunioni, prendendo appunti e accarez zando testoline brune in Grecia, in Jugoslavia, in Austria... Anna — E io che non ho mai fatto nulla! Non ho nemmeno terminato gli studi. Sono venuta qui in vacanza quando ero al secondo anno di università, e ho conosciuto Tony, e addio laurea... Dev’essere una cosa magnifica sentirsi utile! Lucy — Sì, lo è. Anna — Quando Tony deciderà di lasciarmi, cer cherò di rendermi utile anch’io. Lucy — Bisogna vedere se vi lascerà davvero. Anna — Veramente sono io che gli ho proposto poco fa di separarci... Ma ne avrò mai il coraggio?... Ah! Non è un tipo molto facile vostro figlio... Però... non rimpiango niente. Qualunque cosa capiti, non rimpiangerò mai niente, ne valeva la pena. Sa essere anche molto molto caro, a volte... persuasivo... travolgente... ve ne renderete conto voi stessa. Se vuole vi convincerà di aver real mente tentato di telefonarvi per vent’anni, ma che il vostro numero non era mai libero. Lucy — Ne dubito. Anna — In altri momenti invece si rinchiude in una forma di disperazione. Sembra incapace di amare. Ho sempre l’impressione che sia sul punto di andarsene e che una bella mattina — cioè, una triste mattina — svegliandomi mi accorga che è sparito per sempre. La verità è che lui è infelice... E’ stato sempre così? Lucy — No, no, era un ragazzo tenero, fiducioso... (La luce comincia ad abbassari piano piano fino al buio completo) Pensare che eravamo tutti così fe lici e che è bastato un incontro... In tutte le esi stenze, c’è un momento, decisivo... per noi fu in estate... l’estate del 1937. Mio marito aveva preso in affitto una villa in riva a un lago, nel Vermont a qualche centinaio di chilometri a nord di New York... PLV rr r/ì J r r r.strAn (Durante il buio il suono del piano diminuisce e si sente una voce chiamare «Tony! Tony...» La luce ritorna lentamente. Siamo ora nel mese di ago sto del 1937 nel Vermont. La scena rappresenta il living-room di un cottage appartenente all’albergo. Mobili navali. Al fondo un portico che dà su un grande prato in leggera discesa verso il lago. Sono le sei pomeridiane di domenica. I bagagli di Oli viero sono raccolti in un angolo. Sotto il portico un telescopio. Oliviero Crown è un bell’uomo sulla quarantina, è attraente e sicuro di sé. Sam Patter son sembra più anziano. Lia una leggera pingue dine e mostra una bonarietà maliziosa). Oliviero (chiamando verso lago) — Tony, il Tony... Vieni dentro, altrimenti prenderai freddo. Sam (rìdendo) — Credi che ti possa sentire? Oliviero — No, sono ancora troppo lontani. Sam — Allora, non vale la pena di gridare. E’ Tony che rema? Oliviero —• Sì. E’ miracoloso vederlo così tra sformato! Sam — Ogni volta che noi riusciamo a mettere in piedi un malato, invece di attribuire la guarigione al nostro talento, la gente grida al miracolo. Ingrati. Oliviero — Diciamo che è miracoloso averti come dottore. (Guardandosi intorno) Pensare che con que sto bel tempo domani a quest’ora sarò imprigio nato dietro una scrivania a Hartford. Sam — Lamentati! Tu almeno ti sei preso un mese di vacanza! Oliviero — Io mi lamento sempre quando devo lasciare Lucy! Sam — E siete sposati da 15 anni! Oliviero — Sì. Sam — Io sono sposato da sei mesi ma vivrei al legramente lontano da mia moglie. (Entra Susan. 14 anni, viso arrossato, trecce. Espressione ano>- gante. Ha dei blue jeans che aderiscono eccessi vamente, e così il maglione). Susan — Salve! Non c’è Tony? Oliviero —■ Non deve tardare. Susan — Oh, ripasserò più tardi. Oliviero — Volete lasciar detto qualche cosa per lui? Susan —• No, niente. M ’annoiavo... ci si annoia talmente in questo paese... Allora sono passata, così, per niente. Cose questo? Oliviero — Un telescopio. Susan — E serve a qualche cosa? Oliviero — Altro che! Figuratevi che se volete vedere a che distanza si trova Tony, non avete che da mettere questo apparecchio in direzione del lago. Susan — Oh! Non mi interessa proprio! Oh! C’è un ragazzo di là che vorrebbe parlarvi. Oliviero — Chi è? Susan — Non so come si chiami. Oliviero — Ditegli di entrare. Susan — Eh, voi, là, bel ragazzo, venite, venite, non abbiate paura! (Entra Jeff. E’ un bel giovane dal viso aperto, educato. Porta blue jeans e sandali). Jeff — Il signor Crown? Oliviero — Sì. Jeff — Sono Jeff Bunner. Il direttore dell’albergo mi ha detto che cercate un compagno per vostro figlio, per il resto dell’estate. Oliviero — E’ esatto. Jeff — Ho esitato a venire, perché ero vestito così e non è certo la tenuta ideale per presentarmi... LUCY CROWN Oliviero — Non ha importanza. (Presentando) Jeff Bunner, il dottor Patterson. Sam — Scusatemi se non mi alzo. Oliviero — La signorina Susan... Susan — Ci conosciamo. Vi ho visto nel negozio di giornali... Jeff — Ah! Susan — Non mi avete notato? Jeff — No. Susan (furiosa) — Ma uff! Bye bye... (Esce). Oliviero (rìdendo) — Non ve lo perdonerà mai! Sam — Che abominevole piccolo mostro! Oliviero — Allora, signor Bunner? Sam — Vuoi che me ne vada? Oliviero — No, resta, non c’è nessun segreto, purché, s’intende, non dispiaccia al signor Bunner. Jeff — Nient’affatto. Io non ho nulla da nascon dere... o quasi. Oliviero — Cominciamo bene. Quanti anni avete? Jeff —• Venti. Sam — Quando incontro persone che hanno venti anni mi viene voglia di strangolarle. Oliviero — Ditemi, signor Bunner, siete stato mai ammalato? Jeff — Ammalato? Sam —• Scusate la stranezza della domanda: il si gnor Crown non ha avuto mai il minimo raffred dore e considera il più leggero malessere come un peccato senza remissione. Jeff — E’ giustissimo. Se assumessi qualcuno per tener compagnia a mio figlio, vorrei sapere quali sono le sue condizioni di salute. Ebbene, mi sono rotto una gamba sei anni fa sciando. Sam (perentorio) — Non è contagioso. Jeff — In ogni modo sono guarito. Oliviero — Va bene. Siete iscritto a qualche Uni versità? Jeff — A Darmouth. Spero che non ci sia alcuna obiezione per Darmouth? Oliviero — Sono neutrale sull’argomento di Dar mouth. Cosa pensate di fare in seguito? Jeff — Vorrei entrare nella carriera diplomatica. Oliviero — Perché? Jeff — Ho sempre avuto desiderio di viaggiare... eppoi mi piacerebbe partecipare, anche se tra le quinte, a quello che accadrà nel mondo. Sam — Inutile e nobile ambizione! Oliviero — Ditemi, signor Bunner, siete sportivo? Jeff — Giuoco al tennis, nuoto, faccio dello sci... Ma non sono un atleta di professione. Oliviero — Tanto meglio. Gli atleti sono talmente occupati di loro stessi, che non hanno tempo di dedi carsi agli altri e Tony ha bisogno di molta atten zione. IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Jeff — Lo so, l’ho visto. Oliviero — Oh! Quando? Jeff — Sono già stato qui l’estate scorsa. Mia sorella ha una casa qui vicino, sul lago. Qualcuno mi ha detto, se non sbaglio, che è stato colpito da febbri reumatiche, l’anno scorso. Oliviero — Esatto. E’ stato gravemente ammalato: complicazioni agli occhi e al cuore. In seguito alla malattia non ha più frequentato le scuole ed è rimasto troppo vicino alla madre... Il problema è questo. Consentirgli di comportarsi il più possibile come un ragazzo normale... senza però permettergli di esagerare in nulla. Ecco perché gli cerco un compagno che lo possa distrarre, educare e soprat tutto trattarlo un po’ meno teneramente di quel che abbiamo fatto noi. Avete una ragazza? Sam — Andiamo, Oliviero! E’ una domanda indi screta! Oliviero — E’ importante sapere se un ragazzo di vent’anni ha o no una ragazza. Jeff — Ne ho una... più o meno. Oliviero — Si trova qui? Jeff — Se vi dicessi che è qui, mi assumereste lo stesso? Oliviero — Forse no. Jeff (pronto) — Non è qui. Oliviero (rìdendo) — Bella risposta! Vi offro 30 dollari alla settimana. Farete fare a Tony una vita all’aria aperta, gli impedirete di passare il suo tempo davanti alla radio e lo abituerete a non vivere esclusivamente attaccato alle gonne di sua ma dre... con diplomazia, dato che è la vostra specia lità. D’accordo? Jeff — D’accordo. Oliviero — Allora potete cominciare domani. Sam — Ouf! Sono esausto! Oliviero (a Jeff) — Ho scartato altri tre giova notti, sapete. Jeff — Avreste dovuto trovare subito uno stu dente di Darmouth. Oliviero — Uno dei ragazzi che ho rifiutato ve niva proprio da Darmouth. Ah! Bisogna che vi metta in guardia su un piccolo difetto di Tony. Dopo che è stato ammalato, s’è messo, non dirò a mentire, la parola sarebbe eccessiva, ma a rac contare delle storie, a trasformare la realtà. Mia moglie ed io non ce ne siamo preoccupati troppo, ma io desidererei, se dovesse accadere, che voi sco raggiaste queste sue invenzioni prima che la cosa possa diventare un’abitudine... Ah! Un’altra cosa: Tony non ha né fratelli né sorelle, e come vi ho detto, è stato eccessivamente protetto. Preferirei che imparasse quello che un ragazzo di 13 anni deve sapere sulle questioni sessuali da un futuro diplo matico piuttosto che a scuola da un monello qua lunque. Sam — Da dove vorresti che cominciasse? Oliviero — Beh, si regolerà col buon senso. Scu satemi se insisto sulla educazione che desidero dare a Tony, ma sono spaventato della maniera con la quale viene allevata, oggi, quasi tptta la gioventù. Sam — Vorresti che Tony diventasse un uomo senza paura e senza macchia? Oliviero — Vorrei che Tony diventasse un uomo felice. Sam — Non preoccuparti. Con i genitori che ha, sarà felice. E’ ereditario. (Si sentono i richiami vi cini di Lucy e di Tony). Oliviero — Eccoli! (Va loro incontro). Sam -— La «Sacra famiglia»... Sa senza dubbio quello che vuole, è vero? Jeff — Sì. Sam — Aspettate a giudicarlo: ama comandare ma è solo apparenza. In fondo è molto più sensi bile di quello che vuol sembrare. Solamente, ha deciso che Tony dovrà essere esattamente come lui. Voi credete possibile che un padre possa mo dellare suo figlio secondo la propria immagine? Jeff — No, credo di no. Sam — Evidentemente, no. Per fortuna! Se fos simo uguali ai nostri padri e ai nostri nonni, l’uma nità sarebbe troppo monotona. (Entrano Lucy e Tony. Lucy è una donna di 32 anni. Molto bella e affascinante. E’ vestita da spiaggia: abbronzata tiene in mano un cesto nel quale si muovono alcuni pesci vivi. Tony è un ragazzino di 13 anni, troppo alto e troppo magro. Porta gli occhiali). Lucy — Ah, che giornata meravigliosa! Sam, se ci aveste visto nuotare e remare sareste fiero di noi! Sam — Non vi ho visto, ma sono ugualmente fiero. Oliviero (presentando) — Il signor Bunner, mia moglie. Jeff — Buon giorno, signora. Lucy — Buon giorno. Oliviero — E mio figlio, Tony. Jeff — Salve Tony. Tony — Salve. Lucy — Guardate quello che abbiamo pescato! Tony — Non resta più un pesce nel lago. Lucy — Tony! Non credi che ne restino almeno uno o due? Tony (sospirando) — I miei genitori mi proibi scono di esagerare. (A Jeff) Siete un bravo pesca tore, voi? Jeff — Quando i pesci mi vedono arrivare si mettono a ridere. Tony (a Jeff) — Sapete nuotare bene? Io nuoto benissimo. Lucy — Tony! Tony — Ma solamente per dieci bracciate. Non so respirare. Jeff — V’insegnerò io. E’ molto difficile vivere senza saper respirare. Oliviero — Jeff resterà con te fino alla fine del l’estate. Tony — Come infermiere? Oliviero — No Tony, come amico. Sam (a Oliviero) — Io vado in albergo a finire la valigia e ti aspetto là. Oliviero — Credevo che volessi parlare a Tony. Tony (con ■premura) — M i sento benissimo. Sam — E ti sentirai ancora meglio. Tony — Mi sento benissimo, e non ho bisogno di sentirmi meglio. Lucy (con rimprovero) — Tony! Tony — Cosa mi dovete ancora proibire? Ho già rinunciato a un numero sufficiente di cose, in vita mia. Sam — Volevo dirti che per qualche tempo an cora non devi sforzarti a leggere. Per il resto puoi fare quasi tutto quello che vuoi, ma con modera zione. Sai cosa significa : con moderazione? Tony — Significa non chiedere un secondo gelato. (Tutti ridono). Sam — Vedo che hai capito! Tony — Quando potrò togliermi gli occhiali? Sam — Fra un anno, se farai gli esercizi tutti i giorni. Jeff — Se me li spiegate, glieli farò fare io. Lucy (vivamente) — No, non è affatto necessa rio, ci penserò io. Jeff — Come volete, signora Crown. Sam (a Oliviero) — Mi permeto di ricordarti che volevi partire alle cinque. Tony — Papà, bisogna proprio che tu te ne vada? Oliviero — Ti giuro che andarmene non mi di verte affatto, ma cercherò di tornare per fine set timana. Sam — Tuo padre deve lavorare per essere in grado di pagarmi, Tony. Oliviero (ridendo) — Dici proprio bene. Niente costa più caro di un dottore che non manda mai il conto. Sam — Addio, Lucy. (La bacia sulla guancia) Fresca e saporita come un frutto! Oliviero — Fai la corte a mia moglie? Sam — Da molti anni, ma ahimè, invano! Lucy — Sono sicura che troverete da consolarvi! Jeff — Posso accompagnarvi fino all’albergo, dot tore? Sam — Volentieri. Ho da sottoporvi una questio ne. Vorrei che mi spiegaste cosa bisogna fare per avere vent’anni. Jeff — E’ più difficile di quello che si crede. (A LUCY CROWN Lucy) A che ora desiderate che venga domani mat tina? Alle nove? Lucy — Alle dieci e mezzo. E’ abbastanza presto. Jeff — Allora, alle dieci e mezzo. A domani. Ar rivederci, signor Crown. E grazie per la vostra fiducia. Oliviero — Sono certo che non dovrò pentir mene. (I due escono. Pausa). Lucy — Fa freddo... Tony, saluta tuo padre e vai a vestirti. Tony — Oh! Mamma, vorrei restare con voi. Lucy — No, Tony, saluta tuo padre e vai... Tony — Ma mamma... Oliviero — Tony, obbedisci a tua madre. Tony — Va bene... Arrivederci, papà. Oliviero — Arrivederci, mio piccolo ometto. Sii buono. Tony — Anche tu! Oliviero — Sfacciatello. (Tony esce). Lucy (si guarda allo specchio) — Divento vec chia, ho voglia di tagliarmi i capelli. Ah! Non sop porto l’idea del tuo ritorno in città. Fermati ancora una settimana... Oliviero — Hai sentito cosa ha detto Sam? Biso gna che paghi i miei debiti. Lucy — Ma tutta quella gente che lavora per te? Oliviero — Quella gente lavora per me solo quando io sono là e lavoro per loro. Lucy — Odio l’estate. Le estati sono il mio esilio. Oliviero — Ci sono delle signore, qui, delle cen tinaia! Lucy — Centinaia di mostri! Quando le vedo riunirsi all’ora del tè, penso ai loro mariti, a New York o a Hartford, che stanno tirando un gran so spiro di sollievo per essersi sbarazzati di loro. Oliviero — Prometto di non sospirare di sol lievo in città. Lucy (ridendo) — Oh, Oliviero! Oliviero — E’ curioso, quando ridi, sembra che ci sia un’altra donna, nella tua gola, che ride per te. Lucy — Un’altra donna? E com’è? Oliviero — Ha la voce rauca, cammina ancheg giando e ha i capelli di un rosso acceso... Lucy — Forse farei meglio a non ridere più. Oliviero — Neppure per sogno. Ti adoro quando ridi. Lucy — E’ molto tempo che non ti sento dire: ti adoro. Oliviero — Sembra che non sia più di moda. Lucy — Dillo ancora. Nessuno ti sente. Oliviero — Ti adoro. (Si abbracciano). Lucy — E’ terribile. Oliviero — Cos’è terribile? IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Lucy — Avere talmente bisogno di te. (Si scio glie dall’abbraccio) Oliviero! Oliviero — Sì? Lucy — Quanto dai a quel Bunner? Oliviero — Trenta dollari alla settimana. Lucy — E’ molto. Credi che Tony abbia vera mente bisogno di lui? Oliviero — Sì. Affinché tu abbia meno da fare con lui. Lucy — Trovi che me ne occupo troppo? Oliviero — Tony è arrivato a un’età nella quale non è bene che sia sempre attaccato alle sottane materne... Lucy — Perché? Oliviero — Leggi qualsiasi libro di psicanalisi. Lucy — Non ho bisogno di leggere nessun libro di psicanalisi per sapere come devo allevare mio figlio... Trovi che lo allevo male? Oliviero — Non ho detto questo, ma noi viviamo in un’epoca nella quale i ragazzi devono essere forti, moralmente e fisicamente. Lucy — Uno studentello universitario può render forte nostro figlio, mentre sua madre, no? Oliviero — Bunner mi sembra intelligente, equi librato e spiritoso. Lucy — E io naturalmente sono ottusa, emotiva e noiosa. Oliviero — Andiamo, Lucy, non ho detto questo! Lucy — Oliviero, te ne prego, lasciami Tony an cora per qualche settimana, non posso sopportare di vederlo allontanarsi da me. Dopo tutto quello che ho passato per lui. Anche in questo momento, mentre so che si trova all’albergo e che ti accom pagnerà in macchina fino al cancello... devo com piere uno sforzo per non correre laggiù ad accer tarmi che sta bene. Oliviero — E’ proprio quello ,di cui stavo par lando. Lucy (sospirando) — M ’inchino una volta di più alla tua volontà. Ma perché faccio sempre quello che vuoi tu? Oliviero — Perché io sono saggio, infallibile e onnipotente. Lucy — E se diventassi anch’io, infallibile, indi- pendente e ostinata? Oliviero — Non c’è pericolo. Ho preso la pre cauzione di sposarti quando eri molto giovane. Lucy — Allora tu mi credi del tutto debole e sot tomessa? Oliviero — Io ti credo molto forte, ma il compito di prendere delle decisioni spetta a me: ogni volta che incontro una donna, con l’espressione amara, so che il marito lascia prendere a lei le decisioni. Non voglio vedere un’espressione amara sul tuo bel viso. Dammi un bacio. Lucy (abbracciandolo) — Comprati delle nuove cravatte, ne hai bisogno. E ritorna presto. (Oli viero sì dirìge verso la porta) Oliviero! Oliviero — Cosa c’è? Lucy — Lasciami che ritorni a Hartford con te. Oliviero — E Tony? Lucy — Lo portiamo con noi. Oliviero — Sarebbe una follia. L’aria di qui gli ha fatto talmente bene! Lucy — Essere insieme a suo padre e a sua madre gli farà ancora meglio. Oliviero — Senti, prova una settimana. Se fra otto giorni hai ancora voglia di partire, vedremo. Lucy — Telefonami presto. E dimmi ancora quella parola fuori moda, ho tanto bisogno di sentirla. Oliviero — Ti adoro. (Esce). (Rimasta sola Lucy gira su se stessa come ballando il valzer. Lo sguardo perduto come in un bel so gno, poi si guarda nello specchio e fa un profondo sospiro). (Stessa scena. Otto giorni dopo, le 9 dì sera; Lucy è stesa sul sofà, entra Jeff, venendo dalla camera dì Tony). Lucy — Andate via? Jeff — Non ancora, sono soltanto le nove e ho promesso a Tony di finire la partita a scacchi. (Pausa) Cosa state leggendo? Lucy — « Arles era infestata dalle zanzare e dai moscerini, quando arrivarono a Carcassonne, sep pero che la distribuzione dell’acqua era stata so spesa per tutto il giorno». Jeff — Lucy, perché mi evitate da tre giorni? Lucy — E’ la storia di una giovane coppia, ricca e bella, che viaggia attraverso l’Europa : hanno tutto per essere felici, e nonostante questo il loro matrimonio sta naufragando. Jeff — Vi ho fatto una domanda. Lucy — Siete mai stato ad Arles? Jeff — No. Non sono mai stato in nessun posto. (Cow ardore) Volete venire ad Arles con me? Lucy — Ecco perché vi evito da tre giorni. Se continuate a dire delle sciocchezze di questo ge nere, dovrò continuare ad evitarvi. Jeff — Volete sapere cosa penso di voi? Lltcy — Vorrei finire questo capitolo. Jeff — Voi vi lasciate dominare. Lltcy (leggendo) — «Dopo Carcassonne...». Jeff — Vostro marito vi ha rinchiuso a doppia mandata, incarcerata, murata, soffocata. Lucy (fremente) — Non sapete quello che dite. Non conoscete affatto mio marito! Jeff — L’ho giudicato al primo momento. Lltcy — E cosa vi fa credere che io mi lasci dominare? Jeff — Vi ho osservata. Durante due mesi l’estate scorsa, non vi ho mai lasciato. Al cinema mi sedevo dietro di voi. Gironzolavo nel bar quando andavate a prendere il gelato, fingevo di comperare una ri vista, quando entravate nella libreria. E passavo in barca dieci volte il giorno davanti a questo prato. Non dite di non avermi notato. Lucy — Assolutamente no. Jeff — E’ proprio come pensavo. Vostro marito vi ha messo i paraocchi e vi ha accecato! Lucy (ragionevole) -—• Andiamo. E’ normale che una donna sposata, della mia età, non faccia caso ai monelli di 19 anni. Jeff —• Perché pensate che io sia tornato qui, quest’estate? Lucy — Perché vostra sorella ha una villa. Jeff — Me ne infischio di mia sorella. Lucy — Non è gentile per lei. Jeff — Sono tornato per voi. Lucy — Non è gentile per Tony. Jeff (con gravità) — Perché vi amo. Lucy (leggendo con tono limpido e melodioso) — « Dopo Carcassonne, essi si diressero verso la Spa gna, s’annoiavano sempre di più». (Jeff le strappa il libro e lo butta al lato opposto della stanza) Que sto è troppo! Posso sorridere se siete un ragazzo troppo intraprendente, ma non posso sopportare che vi comportiate come un villano offensivo e presun tuoso... e adesso, vi prego, andatevene. Jeff —■ Scusatemi... Non sono presuntuoso... Tre giorni fa vi siete lasciata baciare... Non faccio che ricordare che cosa vuol dire baciarvi, e allora... Lucy — Vi ho permesso di baciarmi, perché ug giolavate come un cucciolo ed era come dare il bacio della buonanotte a un nipotino. Jeff — Non mentite. Trattatemi come volete, ma non mentite. Lucy — Vi ho chiesto di andarvene. (Egli esita, raccoglie il libro e glielo rende). Jeff — Perdonatemi, riconosco di essere stato uno sciocco, riconosco che ho vent’anni, non 19, venti. Non ricordo nulla di ciò che non volete permet termi di ricordare. Non ricordo di avervi detto che siete una donna splendida e ricordo soltanto di aver sempre lodato Oliviero Crown come una pietra di paragone tra gli uomini. Soprattutto non ricordo di avervi baciata. D’ora in poi rimarrò al mio posto, umile, come un verme, rispettoso come il mag giordomo di un milionario, indifferente come un eunuco di 70 anni nell’Ospizio dei vecchi in Tur chia... (Lucy ride) Ecco... avete riso... posso restare? Lucy — Potete restare. Ma ad una condizione. Jeff —■ Quale condizione? Lucy — Dovete promettermi di non prendervi sul serio. LUCY CROWN Jeff (grave) — Sarò così frivolo che i bambini si allontaneranno da me nauseati, ve lo prometto. Lucy (ridendo) — Sciocco! (Suona il telefono, Lucy si precipita) Pronto! Oliviero, caro, che gioia sentirti... (Impallidendo) Ma cosa c’è? Il conto del garage? Sono sicura di averlo pagato da tanto tem po... Ma te lo giuro... Non lo so io, la donna gli avrà cambiato posto... ma cosa vuoi che faccia?... Oliviero, è ridicolo, non ti metteranno in prigione per 75 dollari... Ma insomma, Oliviero... Per una volta che mi telefoni è per farmi una scena... Ci sono delle cose più importanti a questo mondo, credimi. Cosa vuoi che faccia? Che prenda il treno e venga io a cercare questo conto? Sta benissimo, vuoi parlargli? (Chiamando) Tony! Tuo padre vuol parlarti. (Tony entra e va al telefono). Tony -— Ciao, papà. Jeff ed io abbiamo visto un cervo, oggi: è uscito dalla foresta per bere nel lago. Lucy (raggiunge Jeff che durante la conversazione è rimasto lontano. Lei ha le lacrime agli occhi) — E’ troppo ingiusto! Jeff — Lucy, non posso vedervi triste! Lucy — Sono stupida, ma Oliviero sceglie proprio male il momento per trattarmi così. Jeff — Ho un tale desiderio di baciarvi... (La pren de per la vita. Lucy lo lascia fare). Tony (al telefono) — Sai che Jeff mi ha inse gnato a nuotare sott’acqua?... No, no... non ti preoc cupare... Mamma, papà domanda se vuoi ancora parlargli. Lucy — No. A meno che non abbia qualche cosa di particolare da dirmi. Tony — Mamma dice: «solamente se hai qualche cosa di particolare da dirle». Ah! Va bene, glielo dico (a Lucy) Papà non potrà venire sabato, aspetta un cliente da Chicago. Lucy (ferita) — Benissimo. Tony —- Se insisti, può darsi che venga ugual mente. Lucy — Non insisto. Tony — Allora buona sera, papà... Vieni presto! (Attacca il ricevitore) Sono due settimane che non lo vediamo! Mamma, posso dormire sotto il portico questa sera? Lucy — Non avrai freddo, caro? Tony — No, no, vado a prendere le coperte. (Esce). Jeff — Lucy, mia sorella è partita per New York, sono solo in casa, vorrei... vorrei che mi raggiun geste, questa sera. Lucy — Tacete. Jeff — Vi supplico. Sono stato buono per tanto tempo, ora non posso più esserlo. Lucy... Tony (tornando con le coperte) — E la nostra partita a scacchi? Lucy — La terminerai domani. Tony — Stavo vincendo! IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Jeff — Ti prometto di non toccare il giuoco. Tony — Lo giuri? Jeff — Lo giuro. Lucy — Sei certo di voler dormire fuori, stanotte? Mi sembra fresco. Tony — Pensa che ci sono milioni di persone che dormono all’aria aperta, non è vero, Jeff? Jeff — Sì. Tony — Soldati, cacciatori, alpinisti. Chiederò a papà di regalarmi un sacco a pelo. Con quello po trò dormire anche nella neve. Jeff — Avrai tutto il tempo di far questo, du rante la dodicesima guerra mondiale. Lucy — Questo non è spiritoso. Jeff — Chiedo scusa. Tony — Non arrabbiarti con Jeff, mamma. Ab biamo concluso un patto. Mi tratta come se avessi vent’anni. Lucy — Parliamo d’altro. Jeff — Parliamo d’altro. Tony (-prendendo il cannocchiale e andando verso Jeff) — Hai visto la luna questa sera? E’ quasi piena, vi si distinguono bene le montagne e le vallate. Jeff — Non mi dispiacerebbe vagare sul « Mare crisium». (Rivolgendosi a Tony) Che vuol dire? Tony — Mare delle crisi. Jeff — Pensare che anche su questo pianeta ge lato ci sono delle crisi. Eppure forse la luna è il luogo adatto in cui trasferirsi in questo secolo... Quando sei nato, Tony? Tony — Il 27 marzo. Jeff — Ariete. (Chiude gli occhi, come se inse guisse delle visioni) Il segno dell’Ariete, l’animale cornuto, nei cieli. Sai quando e come è arrivato fin lassù? Lucy — Credete nell’astrologia? Jeff (in un tono di voce liturgico e solenne) — Io credo a tutto. Credo ai segni dello Zodiaco, alla fortuna, alla trasmigrazione delle anime, ai sacri fici umani e alla diplomazia segreta, segretamente attuata. Tony (incredulo) — I sacrifici umani, sono vera mente esistiti? Jeff — Certo. Tony — Fino a quale epoca? Jeff — Fino a ieri, alle tre e mezzo del pome riggio. E’ il solo genere di sacrificio che abbia mai giovato a qualcosa... aspetta di aver provato due o tre volte, Tony, e capirai quello che voglio dire. Lucy — Questi dettagli fanno parte del vostro programma di educazione? Jeff — Ne sono la base. Per tornare ad Ariete, i due figli del re di Tessaglia, Frisso e Elle, erano trattati malissimo dalla loro matrigna... Tony — Come si chiamava la matrigna? Jeff —- Eh!... la matrigna fa parte del programma di domani. Ci sono degli storici che affermano che essa si chiamasse Lucy, ma non ne sono sicuro. Lucy —• Sciocco! Jeff — Mercurio ebbe pietà dei fanciulli e mandò loro un Ariete dal vello d’oro per aiutarli a fuggire. Lucy — Sapevate tutte queste cose prima d’incon trare Tony? Jeff — Neanche una parola. Studio tutte le sere il programma per l’indomani, perché Tony possa credermi l’uomo più erudito che sia mai esistito. (A Tony) Non pensi, che sarebbe una bella idea se venissi con voi ad Hartford, e restassi con te quest’inverno, per perfezionare la tua educazione? Tony (entusiasta) — Pensi che ti sarebbe possibile? Lucy (con vivacità) — Jeff scherza. Bisogna che ritorni alla sua LTniversità. Jeff (al cannocchiale, tono drammatico) — Marte è il pianeta che ti domina, Tony, perché tu sei nato nell’Ariete. E’ favorevole ai massacri e alle arti della guerra. Lucy — Jeff, basta con queste assurdità. Jeff — Tony, pensi che siano delle assurdità? Tony — Sì, ma terribilmente interessanti. Jeff — Bravo. Tu dovresti diventare un diplo matico. Ma la scienza delle stelle non ha niente di assurdo. L’umanità si è lasciata guidare dalle stelle da cinquemila anni... Voi mi direte che l’u manità ha avuto torto! Lucy... quando siete nata? Lucy — Molto tempo fa. Tony — Il 25 agosto. Vedi, mamma, non dico l’anno. Lucy — Dillo. Se sapessi quanto me ne importa! Jeff — Il segno della Vergine. Nella regione del- l’Eufrate, la Vergine venne associata a Venere. Era triste e perfetta e ispirava l’amore. Il vostro pianeta dominante è Mercurio, che è gelido da una parte e ardente dall’altra. Lucy — Vorrei sapere dove avete imparato tutte queste sciocchezze. Jeff — I nati sotto il segno della Vergine hanno orrore del disordine e dell’impurità. Ma quando amano, amano appassionatamente. Lucy (tono di sfida) — E voi? Che cosa dice il vostro oroscopo? Jeff — Oh! Il mio è troppo triste perché possa parlarne. Sono in opposizione con le mie stelle. Voglio comandare ed esse mi gridano: «Sii uno schiavo ». Voglio essere coraggioso, dicono : « Sii prudente». Voglio essere grande e dicono: «Forse in un’altra vita». Dico, amore, e rispondono «Di sastro». (Entra Susan. E’ una ragazza di 14 anni tremendamente sviluypata. Porta fantaioni di tela attillatissimi). Susan — Salve! T u tti — Buona sera. Susan (guardando con diffidenza intorno) — Di sturbo? Lucy — Affatto. Susan — Mi manda la mamma, signora Crown. Vorrebbe sapere se accettate di fare la quarta al bridge, questa sera. (Lucy e Jeff si scambiano uno sguardo). Lucy — Questa sera no, Susan. Dì alla mamma che la ringrazio, ma che sono stanca ed andrò a letto presto. Susan — O.K. (Squadra Jeff gelida) Vi conosco. Mia madre ha parlato di voi, oggi. Jeff — Ah, sì? Susan — Ha detto che vi trova molto bello. Jeff (ridendo) — E tu, che cosa ne pensi? Susan (con una smorfia) — Siete piuttosto in gamba. Non vi prenderebbero mai nel cinema, però. Jeff —■ Lo temevo! E per quanto tempo rimarrai qui? Susan —■ Non per molto, spero. Lucy — Perché? Susan — Ci si annoia da morire. Qui ci sono grup pi d’età sbagliata. Fanno il cinema soltanto al sa bato e la domenica. Come le passate voi le serate? Tony (guardando affascinato) — Studiamo le stelle. Susan — Soltanto? Tony — Vuoi vedere la luna? (Le porge il cannoc chiale). Susan (alzando le spalle) — La conosco... Beh, io me ne vado, mia madre aspetta la risposta per il bridge. Tony (ansioso) — Ci vediamo domani? Susan (voce stanca) — Può darsi. Bye, bye! (Esce). Tony — Ha un aspetto strano con quei pantaloni... no? Così rotonda... Lucy — Tony, adesso va a spogliarti e fila a letto. Tony — Jeff, mi leggi qualcosa quando sarò a letto? Lucy — Ti leggerò io qualcosa questa sera. Tony — Mi piace di più come legge Jeff. Salta le descrizioni. Lucy — Jeff, è stanco... e poi probabilmente ha un appuntamento. Jeff — No. Lucy (tono aspro) — In ogni modo, Tony, vai a letto, è tardi. Tony — Sono soltanto le dieci... Lucy —■ Vai. Tony — Ma, mamma... Lucy (perentoria) —• Sbrigati. (Lucy è sempre più nervosa, sfoglia una rivista. La getta via. Chiude la scatola del lavoro. Raddrizza il cannocchiale. Jeff la guarda attentamente, cantarellando) Voi, non mi piace il vostro modo di comportarvi con Tony. LUCY CROWN Jeff (stupito) — Con Tony? perché? Lucy — Quello sfoggio di erudizione, quei di scorsi a doppio senso, tutta quella finzione... Jeff — Quale finzione? Lucy — Di essergli così affezionato... al punto di volerlo rivedere dopo quest’estate. Jeff — Ma è vero. Lucy — Non mentite anche con me. Entro no vembre non ricorderete neppure più come si chia ma. E farete nascere in lui molte speranze... con la sola conseguenza che dovrà superare un lungo autunno di delusioni. Svolgete il vostro compito e basta. Jeff (offeso) —- Come io l’avevo interpretato, il mio compito era quello di tentare di far di lui un ragazzo normale e sano. Lucy — E ne avete fatto un ragazzo morbosa mente attaccato a voi. Jeff (irritato) — Andiamo, Lucy! Lucy — E perché? per vanità. Che cosa c’è di così meritevole nel conquistare l’attaccamento di un ragazzetto solo e malato? perché non ve ne tornate a casa vostra? perché non ci lasciate in pace tutti e due? Jeff (prendendole le mani) — E’ veramente questo che desiderate Lucy? Lucy — Sì. Non avete l’età giusta. (Strappandosi bruscamente dalla stretta) Voi siete troppo vecchio per lui, e siete troppo giovane per me. Andate a cercarvi qualcuno che abbia vent’anni, qualcuno al quale non possiate fare del male, qualcuno che dimenticherete in settembre, proprio come dimen ticherete noi. Jeff (piano) — Lucy! Tacete! Lucy (quasi piangendo) — Andatevene, ve ne prego, la vostra presenza mi fa male! Jeff — Cosa credete sia stato per me? Starvi così vicino un giorno dopo l’altro. Tornare a casa e re stare sveglio sul letto, ricordando com’erano le vo stre mani mentre vi aiutavo a scendere dalla barca, ricordando il fruscio del vostro abito mentre mi passavate accanto per andare a cena. Ricordando il suono del vostro riso... E senza mai potervi toc care, dirvi... Fare del male! Non parlate a me di fare del male! Lucy — Tacete, per favore. Se parlate così con tutte, se avete successo in questo modo con tutte le vostre ragazze, risparmiate me, risparmiate me, vi supplico. Trovatevi un’altra donna. Ce ne sono a decine, qui, giovani, libere senza nessuno al quale dover rispondere una volta finita l’estate. Jeff — Voglio confidarvi una cosa, Lucy, se mi promettete di non ridere. Lucy — Sta bene, non riderò. Teff (vausa) — Non ci sono per me altre donne, IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT non ce ne sono mai state. (Lucy ride) Avete pro messo! Lucy — Scusatemi. Non è di voi che rido. Rido di me. Jeff — Perché? Lucy (lentamente) -— Perché sono maldestra, stu pida, inesperta come voi... Perché né voi né io co nosciamo bene questo genere di cose... (Grave) Per ché le conosceremo. Jeff —■ Lucy! Lucy (molto calma) — Adesso, ragazzo mio, tor natene nella deserta casa di tua sorella, vai a se derti sotto il portico, contempla la luna, pensa a tutte le donne più giovani e più belle che tu avre sti potuto avere questa sera... e aspettami... Jeff —■ Verrete? Non è uno scherzo, verrete? Lucy — Verrò non temere, verrò. (Jeff tenta di baciarla) No... Vattene... Vai... vai... (Jeff esce). (Lucy resta un istante come spaventata dì ciò che ha detto. Entra Tony). Tony — Lio portato il libro. Lucy — Bene. Mettiti a letto. Tony — Dov’è Jeff? Lucy — E’ dovuto andar via, s’è ricordato a un tratto che aveva un appuntamento. Tony (deluso) — Oh! Strano, non mi aveva detto niente. Lucy — Non devi aspettarti che ti dica ogni cosa. Dove eravamo rimasti, Tony? Tony — Là, dove ho messo la foglia per segno. (Si mette a letto) Non sarebbe meraviglioso se l’estate durasse per tutto l’anno... Lucy —- Sì, Tony, sarebbe meraviglioso. (Si siede sul bordo del letto e comincia la lettura) « Allora noi tornammo verso la piroga e mentre lui accen deva un fuoco nella radura, io andai a cercare del caffè, del lardo e una padella per friggere... E i negretti mi guardavano con curiosità, perché rite nevano che tutto ciò fosse stato ottenuto con la magia...». (Il sipario cala lentamente). (Qualche giorno dopo, le cinque di sera. Tony entra, cerca attorno e chiama: « Mamma, Jeff, mam ma-»... Prende una mela e la mangia, mette un di sco sul grammofono, va a prendere in camera di sua madre uno specchio lungo con sostegno e lo mette nel porticato, prende una mazza del base-ball e si esercita davanti allo specchio; entra Susan con i soliti blue-jean, golf aderente, aria annoiata e superiore). Susan — Salve, che cosa stai facendo? Tony -—■ Lo vedi, mi esercito. Susan — A che cosa? Tony — A correggere il mio stile. Susan — E hai bisogno di uno specchio per questo? Tony — Tutti i campioni si esercitano davanti allo specchio così diventano campioni. Susan — Tu non sarai mai un campione, né con 10 specchio né senza. Tony — Cosa ne sai? Susan — Non ho mai visto un campione con gli occhiali! Tony — Fra un anno non avrò più bisogno degli occhiali. Susan — Sei solo? Tony — Sì. Dovevo andare a un pic-nic, ma non ne avevo voglia. Susan — Dov’è Jeff? Tony —- Dal dentista. Susan —- Ah, sì? E tua madre? Tony — E’ andata a vedere un film a Greenhall. Susan — Ah, sì? E che film danno a Greenhall? Tony — Non lo so. Susan (con insinuazione) — Domandaglielo quan do ritorna. Tony — Perché? Susan — Così... per niente... Come mai tua madre non t’ha condotto con sé? Tony — Papà trova che non mi fa bene alla vista, e dice che avrò tempo d’andare al cinema quando avrò vent’anni. Ma avrò tante cose da fare quando avrò vent’anni, che non avrò certamente il tempo d’andare al cinema. Susan — Di chi è questo grammofono? Non l’avevi l’altro giorno. Tony — Me l’ha prestato Jeff, lui adora il jazz: è un esperto; ha una discoteca a casa con 845 dischi, tutti di jazz. Susan — Vorrei sapere in che cosa non è esperto Jeff! Tony — Cosa vuoi dire? Susan — Si crede una persona molto importante. Parla come se sapesse tutto lui. Tony — E’ l’uomo più intelligente che io conosca. Susan — Così la pensi tu. Tony — E’ proprio quello che penso! (Susan ferma 11 grammofono) Perché l’hai fermato? Susan — Odio il jazz. Ascolto solo la musica classica... sai che suono tre strumenti? Tony — Bene. A me piace il jazz e sono a casa mia. (Rimette il disco). Susan — Non sei a casa tua. Sei a casa di tuo padre. Lo paga lui l’affitto. Tony —• Se è di mio padre è mio. Susan —• Questo non ne consegue necessaria mente. In ogni modo, se la pensi così, me ne vado. (Esitando sulla porta) Ero venuta soltanto perché questa casa è così vuota... avevo paura che ti an noiassi tutto solo... Tony (esita, poi fermando il grammofono) ■—• Del resto... non mi piace questo disco. Susan (tornando indietro) — Ah! Vedi? Tony — Quali sono i tre strumenti che suoni? Susan — Il pianoforte, la tromba e il violoncello. Tony (tentando di gareggiare, guardando attraverso il cannocchiale) —■ Il cielo è coperto di « cirus cumulus ». Susan —■ Me ne infischio! Tony — In California, hanno un telescopio tal mente potente che possono vedere le stelle in pieno giorno. Susan — Non m’interessa. Tony —■ Come a me il tuo violoncello. Susan —■ Il signor Bradley dice che prometto molto bene, che fra due anni potrò dare dei concerd da sola. Tony — Chi è il signor Bradley? Susan — Il professore di musica, mi fa sempre tanti complimenti, e ha tentato di baciarmi. Tony — Ah sì? Susan — Oh! Tenta di baciare tutte le ragazze; ha baciato anche la professoressa di pianoforte, l’anno scorso. Tony (molto interessato, pur fingendo indifferen za) — E perché lo fa? Susan (alzando le spalle) •— Ci trova gusto. Tony — Cosa gli hai detto, quando ha tentato di baciarti? Susan — Niente, Fbo lasciato fare. Tony — Perché? Susan — Perché no?... (Pausa) E’ un artista, quando suona il violino, chiude gli occhi. Al cinema gli artisti chiudono gli occhi anche loro, quando si baciano. Allora, tua madre è al cinema? Tony — Te l’ho già detto. Susan (dopo una pausa) — Hai mai baciato una ragazza? Tony — Io... io... certo. Susan — Quante? Tony — Beh... Susan — Quante ragazze? Tony — Diciassette. Susan (avvicinandosi e ponendosi di fronte) — Fammi vedere! Tony — Che cosa? Susan — Scommetto che racconti delle storie e che non hai mai baciato una ragazza in vita tua! Tony — Ti dico di sì. (Tony si avvicina, sbaglia la mira e le bacia il mento). Susan — E allora cosa aspetti? Togliti gli oc chiali. (Tony si toglie gli occhiali, li pone sul gram mofono. Susan si piega un poco e questa volta si baciano sulla bocca. Susan indietreggia) Dio, come ci si annoia durante le vacanze. (Tony imbaraz LUCY CROWN zato è tornato al telescopio) Sai cosa fanno i grandi quando vanno a letto insieme? Tony — Certamente. Susan — Cosa fanno? Tony — Tante cose. Susan — Ma tu le sai o non le sai? Tony — Jeff ha cominciato a parlarmene l’altro giorno, m’ha spiegato qualche cosa a proposito d’un seme, pare che sia come il polline per i fiori. Susan (sprezzante) — Il polline! Questo vuol dire che tu non sai niente. Tony — E tu come fai a saperla così lunga? Susan —■ Ho visto mio padre e mia madre, una sera. Il mio secondo padre. Sono tornati a casa tardi, credevano che io dormissi e siccome faceva caldo, lasciarono la porta aperta... Tu non hai mai spiato tuo padre e tua madre? Tony — Loro non fanno niente. Susan — Ma certo che lo fanno. Tony — Ti dico di no! Susan — Non essere un marmocchio! Lo fanno tutti. Tony — Mio padre e mia madre no. Susan — Finiscila di insistere. Tony — Sei indecente. Susan — Ti proibisco di insultarmi. Tony (irritato) — Sei una ragazza indecente. Susan — Invece di trattarmi così, faresti meglio ad aprire gli occhi. Perché non vai a vedere cosa fa tua madre... e non soltanto con tuo padre... Tony — Sei una bugiarda. Susan (sprezzante) — Il cinema! Mio povero Tony, sei troppo ingenuo! Il cinema, di giorno, lo fanno solo il sabato e la domenica. Guarda, se credi che io sia una bugiarda, non hai che da andare alla villa della sorella di Jeff, non è lontana e in mezzo al bosco, guarda dalla finestra della camera, le tende non scendono fino al basso, si può vedere benissimo cosa succede all’interno. Ho visto io, mi sono fermata a guardare mentre venivo qui. Tony —■ Bugiarda! Susan — Ma vai, vai a vedere, e vedrai se sono una bugiarda. (Tony si lancia su lei per schiaffeg giarla) Non toccarmi o chiamo aiuto. Bamboccio, stupido bamboccio. Vai, e non dimenticarti gli oc chiali. (Esce ancheggiando trionfante. Tony resta solo. E’ crollato, poi si decide ed esce correndo). (Lo stesso giorno, le sette di sera. Entrano Lucy e Jeff). Lucy (chiamando) — Tony! Tony! (A Jeff) Come mai non è ancora tornato? Jeff — E’ andato al pic-nic con gli altri ragazzi. Lucy —- Che ore sono? IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Jeff — Le sette e un quarto. Lucy — Dovrebbe essere già tornato. Jeff — Non preoccuparti. Ti vedrò questa sera? Lucy — No. Jeff —• Perché? Lucy — E’ troppo pericoloso. L’altro ieri, quando sono tornata alle quattro del mattino, Tony era sveglio: mi ha domandato da dove venivo, gli ho detto che m’era venuto il desiderio di camminare nella notte a caso, ma non posso ricominciare, dubiterebbe di qualche cosa. Vado a cambiarmi. Jeff — No, ti prego, rimani. Non è necessario che ti cambi. Vado pazzo per questo vestito. Luciy — Sta bene. Facciamo tutto quello che tu vuoi perché... Jeff —■ Perché? Lucy — Perché hai vent’anni... Jeff — Strana ragione! Lucy — Non ce ne sono delle altre, piccolo caro. Jeff — Mio meraviglioso amore... Lucy — Non chiamarmi tuo meraviglioso amore. Jeff — Perché? Lucy — Perché mi fa sentire colpevole. (Gli ca rezza i capelli) I tuoi capelli hanno lo stesso odore di quelli di Tony. Sanno destate, d’asciutto e di sole. Quando gli uomini invecchiano, i loro ca pelli hanno l’odore della stanchezza. Jeff — Che odore ha la stanchezza? Lucy — Come il sapore dell’aspirina. (Pausa) Dimmi quante donne hai avuto. Jeff — lina, te l’ho detto. Lucy — Con me, fanno due. Jeff — Con te, fanno una. Lucy — Credevo che i ragazzi d’oggi fossero tre mendamente... sfrenati, mi capisci? Jeff — Non tutti. Io sono l’opposto degli sfre nati. Aspettavo. Lucy — Che cosa? Jeff — Te. Lucy — Sii serio. Jeff — Sono serio. Aspettavo qualcosa... (Esita) Non credo nei rapporti casuali, o senza impor tanza, o imperfetti, volevo... qualche cosa di... tra volgente. Lucy — Sei davvero romantico. Jeff — L’amore dev’essere romantico, altrimenti, tanto varrebbe andare in palestra. Lucy — Sei proprio buffo. (Ride) E hai pensato che io fossi travolgente? Jeff — Sì. Lucy — E’ la prima volta (con malinconia) che sconvolgo qualcuno. Jeff —• E tuo marito? Lucy — Gli sono piaciuta, credo di piacergli an- cora, ma non l’ho mai sconvolto... Immagino che mi giudichi consolante... Jeff — Non basta. Lucy — No? Fino a qualche giorno fa pensavo che mi bastasse. Jeff — E ora? Lucy — Dalla metà di settembre in poi... mi ba sterà di nuovo. Jeff — Lucy? Lucy — Sì? Jeff — Voglio che tu mi prometta una cosa. Lucy — Che cosa? Jeff — Che non ci sarà niente fra te e tuo ma rito, fintanto... Lucy — Fintante? Jeff — Che ci ameremo. Lucy — E fino a quando ci ameremo? Jeff — Non lo so. Lucy — Dammi un’indicazione: due giorni, una settimana? Cinque anni? Jeff — Non prendertela... ma non sopporto l’i dea... Ascolta, io potrei venire a New York per le vacanze di Natale, e ogni settimana dal sabato fino al lunedì, ci potremmo incontrare a Boston. Lucy — Graziosa città! E in quale albergo dovrei scendere? Al Ritz? O dovrei scegliere qualche cosa di più discreto, vicino alla stazione? Dovrò met termi una veletta. Levarmi la fede? Jeff (torturato) — Lucy! No! Lucy — E come ti presenterò ai miei conoscenti? Come mio nipote, mio figlioccio, un vecchio amico di famiglia? Jeff — Non rovinare tutto! Lucy — E a mio marito che devo dire? Una persona che mi vuol bene ha posto come condi zione... Jeff — Taci. Ci sono tante maniere per ottenere quello che si vuole. Lucy — Davvero? Allora forse potresti scrivergli tu a Oliviero, come futuro diplomatico, sarebbe un eccellente esercizio, in previsione di dover tra smettere una nota di protesta al Primo Ministro dell’Iran, o all’Ambasciatore di Norvegia : « Caro signor Crown... sono stati sottoposti allo studio dei miei uffici dei reclami contraddittori sul possesso di vostra moglie... ». Jeff — Non prenderti giuoco di me... Lucy — Che altro vuoi che faccia! Jeff — Mi sento miserabile. Se fossi meno giovane e se avessi un po’ di denaro mio... Lucy — Cosa succederebbe? Jeff — Allora potremmo partire insieme, spo sarci, vivere insieme. Lucy — Ringrazia il cielo di non essere meno giovane e di non avere più denaro tuo... Jeff — Perché? Lucy — Perché non partirei con te. E allora da resti la colpa a te stesso, anziché alla tua gioventù o alla tua povertà. E soffriresti molto di più. Così invece, potrai tornare all’Università, quest’autunno, durante le lunghe sere d’inverno potrai vantarti con i tuoi compagni della bella estate trascorsa in casa di tua sorella. Mi par già di sentirti — e ti perdono sin d’ora — quando racconterai : « Ma le donne sposate di una certa età» e a questo punto potrai fare l’occhiolino agli altri « mi si gettano letteralmente addosso». Jeff — Dove vuoi arrivare? Lucy (con malinconia) — Sto cercando di spie garti. Che l’estate è l’estate, che in autunno gli alberghi chiudono, i musicisti mettono via i loro strumenti, le finestre delle ville vengono sbarrate, il lago gela, gli uccelli volano verso il sud, i ra gazzi tornano a scuola, e le signore della mia età ritrovano le noie domestiche, la sicurezza, le par tite di bridge, la loro realtà. Jeff — Tu non mi ami. Lucy (dolcemente) — No. Anche questo non è completamente vero. (Lo bacia leggermente) Non essere così triste, ragazzo mio! (Jeff si allontana -perché ha visto entrare Tony pallidissimo. Guar da sua madre e Jeff senza espressione) Tony! Fi nalmente! Dov’eri? Tony — Ho camminato a caso, come te l’altra notte. (Pausa) Ti sei divertita al cinema? Cosa davano? Lucy — Non ci sono andata. Mi hanno detto che non c’era lo spettacolo di giorno. Non lo sapevo. Tony — Ah! E dove sei stata? Lucy — Ho fatto delle commissioni... sono stata dagli antiquari... Tony — Hai comprato qualcosa? Lucy — No, costa tutto troppo caro... Io e Jeff andiamo a prendere un aperitivo, vieni con noi? Ti offro una bibita. Tony — Non ho sete. Lucy — Puoi accompagnarci e non bere. Tony — No. Lucy — Non ti senti bene? Tony — Sto benissimo. Ho voglia di sentire dei dischi. (Fa suonare il grammofono). Lucy — Potresti essere gentile e venire con noi... Tony (secco) — Avrò il diritto alla mia età di sentire i dischi, quando voglio... Lucy — Va bene... (Lucy e Jeff si scambiano uno sguardo inquieto poi escono. Tony si assicura che siano usciti. Ferma il grammofono e stacca il rice vitore del telefono). LUCY CROWN Tony — Signorina, mi dia il 50813 di Hartford. Una comunicazione personale per il signor Oli viero Crown. A T T O S E C O N D O (La stessa scena, l’indomani. Le otto di sera. Entra Oliviero. Si toglie l’impermeabile, chiama Tony. Si versa un bicchiere di whisky). Tony (entra) — Buona sera, papà. (Resta in di sparte, impacciato). Oliviero — Non mi dai un bacio? Tony — Sì... Oliviero — Cosa c’è? Tony — Niente. Oliviero — Sei stato molto misterioso, figlio mio. Perché non hai voluto dirmi niente ieri sera al te lefono? Hai insistito affinché arrivassi qui alle otto precise e mi hai raccomandato di non avvertire tua madre. Leggi, forse, troppi romanzi polizieschi? Tony — Papà, voglio tornare a casa con te. Oliviero — Perché? Tony — Ne ho avuto abbastanza di questo posto. Oliviero — Ti ha giovato molto, Tony. Hai un ottimo aspetto, sei abbronzato, hai una bella cera... Tony (reciso) — Voglio tornare a casa. Oliviero (dopo un sospiro) — Ne hai parlato a tua madre? Tony — No. E’ inutile dirglielo. Oliviero — Oh! Avete litigato? Tony —• No. Oliviero — Allora hai litigato con Jeff? Tony — Con nessuno. (Con sforzo) Voglio tornare a casa perché non posso più restare qui con Jeff e la mamma. Oliviero — Per quale ragione? Tony — Non posso risponderti. Oliviero (dopo una pausa) — Tony, siamo sempre stati amici, noi, no? Tony — Sì. Oliviero — Io ti ho sempre parlato dei miei crucci e tu hai fatto altrettanto, fino ad oggi. Non è forse vero? Tony — Sì. Oliviero — Non ti ho mai mentito, non ti ho mai nascosto nulla. Tony — No. Oliviero — Quando, l’estate scorsa, cominciasti a prendere l’abitudine di raccontare cose fantastiche, come affermare di poter attraversare il lago a nuoto, mentre in realtà non sapevi nuotare affatto o che noi possedevamo un ranch in California, con cen tinaia di cavalli. Tony — Erano grullerie da ragazzo. IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Oliviero — Lo so. Ma mi sono arrabbiato? Ti ho forse punito? Tony — No. Oliviero — Quando sei stato malato e abbiamo temuto per la tua vita, ti ho sempre tenuto al cor rente, ti ho detto quali erano esattamente le proba bilità di guarire... Tony — Sì... Oliviero — E perché questo? Perché volevo che tutto fosse sempre chiaro e sincero fra noi, che non ci fossero menzogne né sotterfugi, né ma lintesi. Tony (incerto) — Non so come dirtelo, papa. La mamma e Jeff stanno facendo qualcosa di male... Voglio tornare a casa. Oliviero — Chi te l’ha detto, Tony? Tony — Susan. Oliviero (cercando le parole) — Ascoltami, Tony, su di una spiaggia come questa, nel periodo delle vacanze, ci sono molte signore oziose e pettegole che non hanno altro da fare tra un bridge e l’altro che inventare delle stupide storie. E molte volte, le ragazzette di 14 anni, che incominciano appena a interessarsi ai giovanotti, odono una parola qua e una là di frasi che non sono destinate alle loro orecchie, e ci ricamano sopra creando... ehm... in venzioni fantasiose, per rendersi interessanti. Tony — L’ho presa a schiaffi, quando me l’ha detto. Oliviero —• Non credo che avresti dovuto schiaf feggiarla, ma penso che non avresti dovuto ascol tarla. Tony, vuoi farmi un piacere? Tony — Quale? Oliviero — Non parlare di questo alla mamma e neppure a Jeff. Io dirò che ho avuto una sera di libertà e che sono arrivato senza avvertire per farvi una sorpresa. D’accordo? Tony (scostandosi) — No. Oliviero (mettendo tma mano sulla spalla di Tony) —• Perché no? Tony (liberandosi dall’abbraccio del padre) — Per ché li ho visti io... io... io... sono andato fino alla villa della sorella di Jeff, ho guardato dalla fine stra e li ho visti (scoppia in singhiozzi) io, con i miei occhi! Oliviero — Su, su, calmati adesso. Senti Tony, ascoltami, sei ancora molto giovane, può darsi che tu abbia visto qualche cosa che ti è sembrato molto grave e che invece è senza importanza. Tony, devi dirmi che cosa hai visto. Tony — Le tende non arrivavano fino in fondo e c’era un piccolo spazio attraverso il quale si può guardare: mi sono arrampicato, ho messo la testa contro il vetro e li ho visti. (Piangendo) Papà, oh papà, erano a letto. (Si butta fra le braccia del pa dre piangendo istericamente) Portami via papà, te ne supplico, portami via... Oliviero — Calmati, ragazzo mio, calmati. Non voglio che tu pianga! Non posso vederti piangere! Non hai più pianto, da quando eri piccolo pic colo... Va nel bagno, ora, e lavati la faccia. Tony —- Cosa farai? Oliviero (con voce incolore) — Non lo so. (Si sentono le voci di Lucy e Jeff, ridono) Eccoli, La sciami solo con loro. Vai. (Tony esce. Oliviero gira per la stanza, trova una sciarpa di Lucy e ne aspira il profumo. Entrano Lucy e Jeff, felici e allegri. Lucy si accorge di Oliviero). Lucy — Oliviero. (Gli corre incontro per baciarlo). Oliviero — Ciao, Lucy! Lucy — Questa è proprio una sorpresa! Perché non mi hai telefonato? quanto ti fermi? hai ce nato? hai visto Tony? Oliviero — Non posso rispondere in una volta sola a tante domande. Calmati per favore. Salve Bunner! Jeff (che era rimasto sulla soglia avanza) — Buona sera, signor Crown. Lucy — Siediti, hai l’aria stanca. Prendi un whisky? vuoi che ti prepari un sandwich? Oliviero — Non voglio niente. Ho già cenato. Jeff — Si sta facendo tardi. Sarà ora che me ne vada. Oliviero — No, no, restate. Vi prego. Vorrei parlarvi di alcune cose. Lucy — Hai visto Tony? Oliviero — Sì. Lucy — Ha una cera meravigliosa, vero? Oliviero — Meravigliosa. Lucy (parlando in fretta) — Ti ha detto che ha fatto quasi cento metri a nuoto senza affaticarsi? al largo, lontano dalla riva, Jeff lo seguiva con la barca. Io morivo di paura e... Oliviero — Gli ho parlato soltanto per qualche minuto. Lucy — Come mai sei potuto partire? I tuoi im piegati hanno fatto sciopero? Oliviero — No, no: scappato, ecco tutto. Lucy — Abbiamo sentito molto la tua mancanza. Tony domandava continuamente di te: ora ti fer merai non è vero? Oliviero — Non lo so, dipenderà. Lucy —- Dipenderà da cosa? (Pausa. Oliviero non risponde, per darsi un contegno. Lucy chiama) Tony, Tony! Oliviero — Lascialo stare! Vorrei parlare con te, Lucy. Jeff —■ Allora, sarà meglio... Oliviero — E anche con voi, Jeff. Siate gentile di non allontanarvi, vorrei parlare prima con mia moglie, e poi, se non vi dispiace, con voi. Jeff — Benissimo. Aspetterò in giardino. Non avrete che da chiamarmi. Oliviero — Grazie. {Jeff esce). Lucy ■—- Che gioia rivederti. Sei via da tanto tempo... Hai l’aria stanca. Oliviero — Smettila di ripetere che ho Faria stanca, che sembro stanco. Lucy (sconcertata) — Scusami. (Pausa) Hai detto che la possibilità di rimanere qui dipende... da che cosa? Oliviero — Da te. Lucy — Oh! Da me? Oliviero — Lucy, dimmi: mi hai tradito? Lucy — Cosa? Sei pazzo! Con chi? Oliviero — Con Jeff. Lucy (ridendo nervosamente) — Oh, Dio mio! con quel ragazzo? Oliviero — Smetti di considerare tutti gli uomini che hanno meno di 50 anni come dei ragazzi. Lucy — Povero Jeff, sarebbe molto fiero se ti sen tisse! Sai chi ha avuto fino adesso come flirt? Una ragazzetta che frequenta ancora le scuole a Boston! Ed è questa la ragione della tua venuta improv visa? Oliviero — Sì. Lucy — Tutta questa strada in macchina da solo! Povero Oliviero! Eppure, se questo è il solo modo di averti qui, sono soddisfatta ugualmente. Ma come ti è venuta in mente un’idea simile? Hai forse ricevuto una lettera anonima da una di que ste orribili signore dell’albergo? hanno voluto ven dicarsi, perché io rifiuto di giuocare a bridge con loro, vedono me e Tony e Jeff, insieme, tutto il giorno a ridere a divertirci, e siccome sono avide di uno scandalo... Oliviero — Non ho ricevuto lettere anonime; Tony mi ha telefonato ieri sera. Mi ha chiesto di venire qui. Lucy —• Perché non mi hai richiamata subito? Oliviero — Tony m’aveva pregato di non farlo. Lucy — Ecco perché è scappato subito dopo cena. Ecco perché sei arrivato a questa strana ora! Per il segreto convegno dei maschi della famiglia. Mi vergogno di te, di Tony, di me stessa. Del nostro matrimonio. Oliviero — D’accordo, ammetto che avrei dovuto telefonarti, ma questo non cambia le cose; perché Tony mi ha detto molto chiaramente di aver visto te e Jeff in casa di sua sorella. Lucy (impallidendo) — Ah! t’ha detto questo? Oliviero — Sì. Lucy — Ma esattamente che cosa ti ha detto. LUCY CROWN Oliviero — Non posso ripeterlo, ma purtroppo è stato molto preciso. Lucy (giuocando il tutto per tutto) — Oh, sono così addolorata. Soprattutto per Tony. Senti, Oliviero, vi sono varie cose che dovresti sapere di tuo figlio, cose non troppo piacevoli. Ricordi come inventava delle storie. Diciamo le cose esattamente. Mentiva senza rendersene conto. Quante volte l’abbiamo supplicato di non farlo? Oliviero — Non mente più. Lucy — Questo lo credi tu. Solo che, crescendo, inventa storie sempre più scaltre, più ingegnose, più credibili, meno innocenti. Tu lo vedi solo qual che ora alla settimana, nei suoi momenti migliori. Non lo conosci a fondo, come me, che sono con lui giorno e notte. La verità è che Tony non si com porta con me come un ragazzo normale ma come un amante geloso. L’hai detto tu stesso. Oliviero — Ma l’ho detto scherzando. Lucy — Non si tratta di uno scherzo. Sai cosa fa quando torna a casa e io non ci sono. Telefona ovunque cercandomi, si chiude in camera mia e spia dalla finestra il mio ritorno, l’hai visto tu stesso non so quante volte. Oliviero — Questa è stata una delle ragioni per cui ho assunto Bunner. Lucy — E poi mi hai detto di lasciarlo più solo. Di lasciare che trascorresse più tempo per conto suo, e hai detto a Jeff le stesse cose. Bene. Abbia mo eseguito i tuoi ordini ed ecco il risultato. Oliviero — Che cosa vuoi dire? Lucy — Si è trovato a non essere più il centro della nostra attenzione, ha provato del risenti mento e questa è la vendetta. Oliviero — Lln ragazzo della sua età non può inventare tutto ad un tratto una simile storia. Lucy — Perché no? Specie in questo momento. Tra l’altro hai prescritto per lui un corso di edu cazione sessuale. Oliviero — Tony ha l’età di... Lucy — Lia l’età per rimanere sconvolto da tali rivelazioni, per associarle nel suo piccolo cervello alla gelosia malata che ha per me, e la sua fan tasia ha fatto il resto. L’ha portato a inventare una storia assurda per poterci allontanare. Oliviero — Lucy, mi dici proprio la verità? Lucy — Lo giuro. Oliviero (chiamando) — Bunner. Lucy (smorta) — Che cosa vuoi fare? Oliviero — Voglio interrogarlo. Lucy — Non puoi. Oliviero (con dolcezza) — Devo. Lucy — Non puoi pormi in una situazione così imbarazzante. Non puoi umiliare te stesso. Non devi insultarmi alla presenza di quel ragazzo. IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Oliviero — Vorrei parlargli da solo, ti prego. Lucy (tremando) — Oliviero, rifletti, rifletti bene, è molto grave, è in gioco tutta la nostra vita. Se tu gli parli, non te lo perdonerò mai. (Entra ]eff. Oli viero fa segno a Lucy di lasciarli soli. Lucy li guar da con terrore, esita, poi esce). Oliviero — Accomodatevi. Jeff — Grazie. Oliviero — Anzitutto voglio ringraziarvi per le vostre lettere e vi sono grato delle cure e delle attenzioni che avete avuto per Tony. Jeff — E’ mio dovere, e Tony è un ragazzo che sa farsi amare. Oliviero — Le vostre lettere, fra l’altro, mi hanno consentito di farmi un'idea alquanto precisa sul vostro conto. Jeff (ride forzatamente) — Davvero? Spero di non essermi tradito. Oliviero — Tutto l’opposto. M i sono fatto l’idea di un giovane intelligentissimo e onesto. Sono sicuro che avrete successo nella vita... A propo sito: quando vi ho assunto, quindici giorni fa, Dio mio, sono passati soltanto quindici giorni! vi ho domandato se avevate una ragazza e voi rispon deste «più o meno». Jeff — Non ricordo. Oliviero — Si trova, per caso, ancora a Boston e frequenta le scuole medie? Jeff — Non c’è nessuna studentessa di Boston nella mia vita. Oliviero — Ah! Allora qualche persona meno giovane, forse, una donna sposata? Jeff (impallidendo) — Signor Crown, non penso che voi aspettiate realmente una risposta a questa domanda. Oliviero — No. Forse no. (Cambiando tono) Mia moglie vi ha pagato le due prime settimane? Jeff —■ Sì. Oliviero — Adesso io vi pago la terza. Jeff — Non è ancora terminata... Oliviero — Mancano infatti due giorni, ma pre ferisco pagarli oggi, sono trenta dollari, vero? Jeff — Meno due giorni. Oliviero — Non importa. Non vi disturba se vi dò un assegno? Jeff — Non voglio denaro. Oliviero — Perché no? Jeff — Ma, perché... Oliviero — Le due prime settimane le avete ac cettate: perché questa dovrebbe essere diversa dalle altre? Jeff — E’ stato un piacere per me occuparmi di Tony... mi ha trattato da amico... Oliviero — E mia moglie? Jeff — Come? Oliviero — Anche lei vi ha trattato da amico? (Pausa) Stando le cose come sono, non penserete di dover restare ancora, vero? Jeff ('piano) — No. Oliviero — Naturalmente, no. (Jeff si dirige verso la porta) Bunner avete dimenticato l’assegno. Jeff (guarda l’assegno ma non lo -prende) — Dovrei dire che mi vergogno, che sono spiacente, o qual cosa del genere. Immagino che vi sentireste più sollevato. Oliviero — Non necessariamente. Jeff (tono di sfida) — Tanto meglio, perché io non provo niente di tutto questo. Quello che è accaduto è meraviglioso. Oliviero — E’ sempre meraviglioso a vent’anni... Jeff — Voi non sapete. Non la conoscete... Oliviero — Forse no. Jeff (tremante) — E’ pura, delicata... Non dovete incolparla. Sono stato io. La colpa è tutta mia. Oliviero — Non vorrei sottovalutare le vostre con quiste, ma quando una donna di 35 anni cede a un ragazzo di 20, posso riconoscere a questo ra gazzo solo un merito : quello di essersi trovato sulla sua strada, in quel momento. Jeff (amaro) — Siete così sicuro di voi stesso. Vi conosco bene. Me lo ha detto lei. Non andate nemmeno in collera... Venite a sapere che sono innamorato di vostra moglie e tutto quello che fate è di firmarmi un assegno... (Lo straccia). Mi au guro che ella vi lasci... così potrò sposarla. Oliviero — Avete parlato alla signora Crown di questo progetto di matrimonio? Jeff — Sì. Oliviero — E che cosa vi ha risposto? Jeff — Si è messa a ridere. Oliviero — Naturale. Si è messa a ridere. Voi vivete come in un sogno, mio povero Jeff... vi ser vite di parole come amore, matrimonio, delicatezza, purezza... ed io so perché, e addirittura vi ammiro per questo. Non siete un bruto. Volete avere una alta opinione di voi stesso. Volete illudervi di es sere appassionato, eccezionale... bene, è abbastanza naturale... Ma devo dirvi che tutto ciò non con corda con i fatti. Jeff (irato) — Che cosa ne sapete voi dei fatti? Oliviero — Semplicemente questo. Non avete avuto un’avventura d’amore. Vi siete limitato a im maginarla. Avete immaginato una donna che non esiste. Avete vissuto un’avventura banale e cercate d’abbellirla con chiari di luna e con sentimenti nobili... Avete scambiato le vacanze con l’intera vita... Avete scambiato per passione la sciocca, di sinvolta incoscienza di una donna e alla fine sarete proprio voi a soffrirne di più. Jeff — Se la giudicate così non avete alcun diritto di parlare di lei... siete troppo egoista, vecchio e cinico per capirla. Voi non la rispettate, non l’am mirate, non l’amate... Oliviero — Quando sarete cinico, egoista e vec chio come me, capirete che il rispetto e l’ammira zione non hanno niente a che vedere con l’amore. (Pausa) Il grammofono è vostro? Jeff — Si. Oliviero — Credo che fareste meglio a portarlo via. Subito. E qualsiasi altra cosa che vi appartenga. Jeff — Non c'è altro. (Entra Lucy). Lucy — Avete finito? Oliviero — Credo di sì. Jeff — Lucy... Oliviero —• Lasciateci, Jeff. (Jeff esce remissivo con il grammofono sotto il braccio. Lucy aspetta). Lucy — Allora? Oliviero — Allora, lui ha il merito di essere one sto, a parole se non a fatti. Lucy — Cosa t’ha detto? Oliviero — Le solite cose: tu sei pura e delicata, ed io non ti ho mai capita. La colpa è tutta mia. E’ felice che sia accaduto. Vuole sposarti... Molta galanteria... nessun imprevisto. Lucy — Mente. E’ un ragazzo strambo, mi ha girato attorno, tutta l’estate scorsa, e io non l’avevo nemmeno notato. Poi questa estate è tornato qui, perché sapeva che io sarei venuta. Una sera, sì, devo ammetterlo, ho commesso una sciocchezza : era talmente esaltato che per calmarlo mi sono lasciata baciare e la verità è saltata fuori. M i ha detto che si era innamorato di me dal primo mo mento che mi aveva visto, che durante l’inverno mi aveva scritto decine di lettere che non aveva osato spedire, che non poteva più sopportare di star lontano da me. Tutte cose infantili, stravaganti. Volevo subito telefonarti per raccontarti tutto, ma ho temuto che ti saresti arrabbiato e inutilmente, o che avresti pensato che era una scusa per libe rarmi di lui, o che ti saresti preso gioco di me, per non essere stata capace di tenere al suo posto un ragazzino. Mi sono detta: perché disturbarlo per delle sciocchezze? Mancano solo poche settimane. Ho fatto quel che potevo. Ho riso delle sue dichia razioni. Gli ho consigliato di cercarsi delle ragazze della sua età. Ritornava alla carica sempre più in namorato, sempre più insistente... grazie a Dio, c’è stato solo questo bacio, niente altro... Oliviero — Non ti credo, Lucy. Il suo atteggia mento non era quello di un uomo che si è accon tentato di un bacio. Lucy — Ah, no? Oliviero — No. Lucy — Dunque tu non mi credi? Oliviero — No. LUCY CROWN Lucy — Cosa devo fare per convincerti? Oliviero — Niente, perché sei una bugiarda. Lucy — No, non dire questo. Oliviero — E mi disgusti. Lucy (crollando) — Oliviero, Oliviero, ti prego... Oliviero (respingendola) — Stai lontana da me. Questa è la cosa peggiore. Imperdonabile. Dopo qualche tempo, avrei forse potuto dimenticare il tuo universitario estivo, ma le menzogne e soprat tutto la menzogna su Tony... ma che razza di donna sei? Lucy — Non sapevo quel che facevo. Ho tanta paura, Oliviero. Voglio solo salvare noi due, tutti e due, il nostro matrimonio... Oliviero — Bel matrimonio! Distesa tra le sue braccia, a ridere di me, a lamentarti. A dirgli tra un bacio e l’altro che non ti capivo, che ero un tiranno. Con tuo figlio fuori che guardava dalla finestra perché troppo ansiosa di saltare sul letto, non ti eri preoccupata di accertarti che le persiane fossero bene abbassate. Lucy (gridando) —• No, no... Oliviero — Questo è il nostro matrimonio, la no stra felicità, la nostra vita. E’ questo che hai paura di perdere? Lucy (in lacrime) — E’ la prima volta,- te lo giuro. Non so cosa m’è successo, non avresti dovuto la sciarmi sola! io avevo il presentimento, il primo istante che ho visto Jeff, che la sventura entrava con lui, anche se non sapevo se sarebbe stato per Tony o per me, e ti supplicai di non assumerlo. Ricordi? Ricordi?... Eppoi tu mi dicesti che sare sti tornato il sabato, e invece non sei venuto, non sei mai più venuto. E l’altro sabato, quando mi hai parlato al telefono, è stato per farmi dei rimpro veri, per umiliarmi, senza dirmi una parola buona, niente... (Oliviero si alza) Dove vai? Non lasciar mi, farò qualunque cosa, ti prego, non lasciarmi... Non farlo, te ne prego. Oliviero — Non ti lascio: resterò ancora fino a quando avrò deciso il da farsi. (Oliviero esce. Lucy resta sola singhiozzando). dOf 'Y cA J * f rv/ (Dieci giorni dopo, le tre del pomeriggio. Siamo alla fine dell’estate. Alcune valigie sono ammuc chiate sotto il portico). Lucy — Hai tutto pronto? Tony — Sì. Lucy —■ Hai guardato bene in tutti i cassetti di camera tua? Tony —- Sì. Lucy — Non dimentichi proprio niente? sei sicuro? Tony (con intenzione) —■ Non dimentico niente. (Pausa). IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Lucy (andando verso l’esterno) — Si ha l’impres sione di vedere il lago ricoperto dall’autunno. (So spira) Non ho mai amato l’autunno. Tony — A che ora deve arrivare papà? Lucy — Ha telegrafato che sarebbe arrivato verso le tre. Dovrebbe essere qui da un momento all’altro. Tony — Vado ad aspettarlo al cancello. Lucy — Tony. Tony — Cosa? Lucy — Vieni qui. Tony —• Che cosa vuoi? Lucy — Voglio guardarti nei vestiti di città. Sei talmente cambiato, in questi tre mesi! Tony — Sì, sono cambiato. Lucy — Le maniche sono diventate corte e que-, ste spalle sono strette... Bisognerà farti tutto nuovo per l’inverno. Tony — Vado fino al cancello. Lucy — Tony. Tony — Cosa? Lucy — Tony, vuoi darmi un bacio? (Tony guar da sua madre senza commozione, foi le volta le sfalle) Tony. Tony — Cosa vuoi ancora? Lucy ■— Nulla. (Entra Jeff, fallido. Indossa un abito nuovo, ha il grammofono sotto il braccio). Jeff — Ciao, Tony... (Pausa). Lucy — Salve Jeff. Credevo che foste partito. Jeff — Sono tornato per aiutare mia sorella a preparare i bagagli. Sono venuto soltanto a salu tare Tony, penso che ti faccia piacere avere il grammofono. Oh! non è bello, ma funziona. So che ti piace ascoltare la musica... (Tony tace). Lucy — E’ un pensiero gentile, Jeff, ma ne sen tirete molto la mancanza. Tony, è un bel regalo, non è vero? Tony (lentamente) — Me lo regali? Jeff —- Sì. Tony — Perché? Jeff —- Perché? Non lo so: perché abbiamo pas sato delle belle ore insieme quest’estate, e perché vorrei che ti ricordassi di me. Lucy — Non lo ringrazi, Tony? Tony —■ E’ proprio mio? Jeff — Ma sì! Tony —■ Posso farne quello che voglio? Jeff — Certo. (Tony f rende lentamente la maz za del base-ball, mette il grammofono sotto il por tico e lo colfisce con la mazza con tutta la sua forza finché l’affarecchio va a pezzi). Lucy (frecifitandosi verso di lui) — Tony! Jeff (fermandola) — Lasciatelo fare. Tony (senza più fiato ma con aria di trionfo) —- Ecco fatto! Lucy (fiangendo) — Che azione brutale, Tony: ho vergogna per te. Jeff vi chiedo scusa per lui. Tony (selvaggiamente) — Non chiedergli scusa a nome mio. Mai, per nessuna ragione. Jeff (dolcemente) — Non importa, Tony. Se ti ha fatto sentir meglio, per me va benissimo. Tony — No. Non mi hai fatto star meglio. (Pausa) Immagino che vorrete parlarvi prima dell’arrivo di mio padre. Vi lascio soli. (Minaccioso) Tornerò tra cinque minuti. (Esce. Una lunga fausa. Jeff muove col fiede i pezzi del grammofono). Jeff — Me l’aveva regalato una delle mie sorelle. Sarebbe molto sorpresa di vedere come è andato a finire. Lucy... Lucy... sono dieci giorni che non ti vedo... (Lucy ride) Perché ridi? Lucy — Sai a cosa pensavo, mentre Tony mas sacrava quel grammofono? Jeff —■ No. Lucy — Pensavo quanto ti eri dato da fare con lui, insegnandogli a battere con la mazza... Ha impara to bene la lezione! Jeff — Non è poi così divertente. Lucy — Oh! Non è neppure così grave. Di’ a tua sorella che te l’hanno rubato e lei te ne rega lerà un altro a Natale. Jeff — Non si tratta di questo. Tony mi detesta. Lucy —■ Molta gente ti detesterà prima che tu sia arrivato. Che importa? Jeff —■ E tu? Lucy — Se ti detesto io? No, naturalmente. Jeff — Ti rivedrò? Lucy — No, naturalmente. Jeff — Mi spiace, non avrei dovuto tornare. Lucy (tono materno) —- Hai fatto bene, invece. E’ coraggioso e gentile. Non fare quella faccia lunga. Per te è stata un’esperienza simpatica, edu cativa: occorrono a un ragazzo queste avventure. E’ utile e inevitabile, come la scuola o il collegio militare. Jeff — Sono disperato per le noie che ti ho procurato! Lucy —■ Dobbiamo pur aspettarci di pagare in qualche modo lo scotto, il divertimento. Jeff —• Il divertimento? Lucy — Non scandalizzarti tanto. La nostra re lazione è stata breve ma... piacevole. Jeff —. Piacevole? Per me è stata meravigliosa, travolgente... è stato come un terremoto. Lucy — E’ troppo tardi per adoperare queste grosse parole. Jeff — Sei così diversa, oggi, perché? Lucy — L’estate sta per finire. Jeff (fausa) — Torni in città? tomi da tuo marito? Lucy — Le donne non tornano sempre dai loro mariti? è una delle ragioni per le quali ci sposia mo: per avere qualcuno dal quale tornare. Jeff — Ti amerò tutta la vita. Lucy — Ma no! Jeff — Lucy, se per caso dovessimo incontrarci ancora, chissà mai che cosa penserai. Lucy — Di te? penserò come a cosa strana e lontana, che una certa estate, sono stata innamo rata, per pochissimo tempo, di un ragazzo. (Si guar dano. Lucy implacabilmente frìvola, Jeff smarrito, senza che se ne accorgano, entra Oliviero). Oliviero — Salve. Jeff — Ero venuto a salutare Tony... Vorrei... Oliviero (guardando il grammofono) — Cos’è questo? Lucy {in fretta) — E’ stato un incidente. Oliviero (a Jeff) — Avete finito di farvi gli addii? Lucy —• Sì, gli addii sono terminati. Stava an dandosene. Addio e buona fortuna per i vostri esami. {Gli porge la mano. Jeff le stringe la mano, incapace di rispondere. Abbassa la testa e scappa correndo). Oliviero — Dov e Tony? Lucy — E’ andato a salutare i suoi amici. Oliviero —• Sono pronte le valigie? Lucy — Sì. Oliviero {guardando il bagaglio) — Dov’è la tua roba? Lucy — Non ho fatto le valigie. Oliviero — Ti avevo pregato di essere pronta per le tre. Non voglio fare metà della strada di notte. Vai a prepararti. Lucy — No, Oliviero, non è facile come tu credi. Non è questione di finire le valigie, per me è que stione di decidere se torno a casa con te o no. Oliviero {sospira) — Lucy, ho molto riflettuto in questi dieci giorni, ed ho deciso di dimenticare quello che è accaduto quest’estate. Lucy —- Oh, hai deciso! Oliviero — Sì. Lucy — Molto generoso! Oliviero —• Domando soltanto che tu prometta che non succederà mai più. Lucy — E tu mi crederai, se prometterò? Oliviero — Sì. Lucy — Dieci giorni fa ti rifiutavi di credermi. Oliviero — Perché mentivi. Lucy — Come sai che non mentirò di nuovo? Oliviero — Non torturarmi, Lucy. Lucy {aspra) — Rispondimi: come sai che non mentirò ancora? Oliviero — Voglio crederti perché ho bisogno di crederti. Perché non posso vivere senza di te. Ho provato per dieci giorni non soltanto collera, ma sofferenza. Lucy — No, collera. Oliviero — Tutte e due. Chiamala gelosia, con fusione, orgoglio ferito... ero in uno stato tale che ho pensato al divorzio. Poi ho capito che non LUCY CROWN avrei potuto: ero troppo infelice nella mia soli tudine. Ti dico tutto. Ho licenziato la donna, e mi sono fatto perfino da mangiare, pur di non vedere nessuno. Lucy {con ironia) — Non deve essere stato molto piacevole! Oliviero —- Eppoi mi sedevo davanti al caminetto, fino alle due del mattino, senza nemmeno aprire la radio, incapace di pensare a qualsiasi cosa che non fossi tu, alla nostra felicità così scioccamente perduta. Poi andavo a letto senza poter prendere sonno, e t’immaginavo fra le braccia di quel ra gazzo. Io che avevo tanta fiducia in te, fiducia cieca, assoluta... Almeno fossi stato geloso... un uomo geloso s’aspetta sempre di essere tradito... E se un giorno scopre di esserlo, ha avuto almeno il tempo di abituarsi all’idea. Si sentirà quasi tolto un peso, vedendo che i suoi dubbi erano giusti ficati. Ma io... ero talmente sicuro di te... se fossi stato un altro uomo, avrei cercato di vendicarmi... Non mi sarebbe stato difficile. Ma non l’ho fatto. Eppoi credo che non potrei fare l’amore con un’al tra donna. Tu mi sei necessaria, Lucy, mi sei indispensabile... Anche se mi rimanesse Tony, non potrei fare a meno di te. Tony ha gli stessi tuoi occhi, lo stesso colore della tua pelle, i tuoi piccoli gesti... non potrei, Lucy, non potrei... Lucy — Anche se sono bugiarda e ti disgusto? Oliviero — Sto tentando di dimenticare di aver detto queste cose. Lucy — Io non posso dimenticare. Avevi ragione. E’ stato davvero disgustoso. Ho disgustato me stessa. Oliviero — Non mi ami più? Lucy —- Sì che ti amo. Ho pensato anch’io, in questi ultimi dieci giorni, a te ed a quanto ti devo. A quanto ho bisogno di te. Tu mi hai an che educata, convertita. Oliviero — Convertita? Lucy — Sì, voglio vivere in modo che nesssuno possa mai più chiamarmi bugiarda. In modo da non potermi più considerare bugiarda. Oliviero — Se è questo il risultato della crisi che abbiamo avuto, quasi quasi... Lucy — Aspetta Oliviero a compiacertene; non correre troppo. Come sempre tu ti accontenti della mezza verità... Le mezze verità piacevoli. Ma esi ste anche l’altra metà: da oggi, bisognerà che tu Faccetti. Oliviero — Se mi vuoi confessare di esser stata l’amante di qualcun altro, risparmiamelo. Non voglio saper più niente del tuo passato. Lucy — Non voglio confessarti il mio passato Oliviero; voglio confessarti l’avvenire. Oliviero — E’ una minaccia? Lucy — No, una precisazione. Se dovessi tor- IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT nare, incominceremmo un nuovo matrimonio, e voglio che questo sia ben chiaro. Oliviero — Nessuno può cominciare un nuovo matrimonio, dopo 15 anni. Lucy — No, forse no. Diciamo allora un ma trimonio diverso. Fino a questo momento mi hai trattata come se io fossi sempre la stessa ragazza che conoscesti molti anni fa. Come se avessi an cora vent’anni e dovessi essere coccolata, protetta, guidata. E fino ad oggi ho sempre accettato questa situazione, perché... Chi può sapere perché l’ho accettata? Perché ero pigra. Perché era più facile. Perché temevo di irritarti. Ma adesso il nostro matrimonio si è frantumato. Forse verrà rimesso insieme e forse no. Qualunque cosa accadrà, farò in modo di sopravvivere ad essa. E così adesso... non ti accetto più. Oliviero — Che significa? Lucy —■ Che quando sarò d’accordo con te, bene; quando non sarò d’accordo, andrò per la mia strada. Oliviero — Sei tu a dettare le condizioni della nostra riconciliazione: è il colmo! Ma nemmeno una sgualdrina... Lucy — Oliviero! Oliviero — Per bontà e per amore, io cerco di perdonarti, e invece di essermi grata, detti le tue condizioni! E pensi anche che io possa accettarle! Lucy — Nessuno ti forza. Oliviero — Chi ha mancato, tu o io? Lucy — Ho mancato io, la colpa è mia, il tradi mento è mio, ma ti sei domandato perché ti ho tradito dopo quindici anni di fedeltà e di abne gazione? Oliviero — Tu, te lo sei domandato, tu? Lucy — Sì. Oliviero — Hai trovato la risposta? Lucy — Sì. E non ti farà piacere ascoltarmi... Oliviero — Sto abituandomi alle cose spiacevoli... Lucy — Sotto molti aspetti sei stato un ottimo marito: eri generoso, ricordavi i miei anniversari e soprattutto mi hai dato un figlio che ho adorato. Fino ad ora. E’ molto, ma non è tutto. Io sono una donna, Oliviero, e voglio essere trattata come una donna e non come una bambina, docile e timo rosa, che non ha diritto a nessuna reazione, ad alcun desiderio, a nessuna iniziativa... che deve essere sorvegliata, sgridata, ed in ogni circostanza importante, messa da parte. Oliviero —• Che vai raccontando? da quando ti ho conosciuta non ho fatto che occuparmi di te ad ogni minuto della mia vita. Ti sei mai dovuta preoccupare di qualche cosa? Lucy — Materialmente, no. Oliviero — T i ho mai annoiato parlandoti dei miei affari? Lucy — Avrei preferito dividere le tue preoccu pazioni, ma tu non me ne ritenevi degna. Oliviero — Subito dopo il nostro incontro ti ho portato via da quello sporco laboratorio... Lucy —■ Senza domandarmi se desideravo la sciarlo... Oliviero — Ti piaceva passare le giornate china su quegli apparecchi per arrivare forse dopo venti anni alla conclusione che le alghe contengono dello jodio? Lucy — A me piaceva il laboratorio e soprattutto piaceva vivere a New York. Tu hai deciso che ci saremmo trasferiti da New York senza nemmeno consultarmi. Oliviero — Se ogni donna che non può abitare a New York si sentisse autorizzata per conse guenza a tradire il marito... Del resto credi che abbia deciso di trasferirmi a Hartford per diver timento o per dimostrarti la mia autorità? non credi che preferirei pilotare un aereo, come ho fatto durante la guerra, piuttosto che disegnare bielle e bulloni in un ufficio? Non si può fare quello che si vuole nella vita. Ma non mi sono vendicato su mia moglie, non l’ho tradita, io, con il pretesto che non vivevamo nella città dei miei sogni! Lucy — C’è una grande differenza, Oliviero. Sei tu che hai preso la decisione di vivere a Hartford, anche se non ti piaceva; io ho dovuto solo obbe dirti. Oliviero — E ti ci sono voluti quindici anni per giungere a questa conclusione? Lucy — Si possono accumulare molte tristezze in quindici anni, molte amarezze, molte delusioni. Si può sentire il vuoto della vita, ci si può sentire terribilmente inutili. Oliviero — E ti sei accorta di questo vuoto, di questa schiavitù, solo da quindici giorni, perché un ragazzo di vent’anni, che non ha altro da fare che divertirsi con le donne, si è messo a farti la corte? Lucy —• Può darsi. Oliviero — Se almeno fosse stato il colpo di ful mine, la grande passione... Guarda, preferirei che tu mi dicessi : « Ho incontrato un amore che mi ha sconvolto, non posso lottare... ». Lucy — Non ti dirò questo, Oliviero, ma su questo argomento potrei farti delle rivelazioni che non ti farebbero piacere. Oliviero — Al punto in cui siamo... Lucy — Tu mi hai trattato talmente da bambina, che le volte in cui improvvisamente dovevi trat tarmi come una donna, le volte in cui facevi l’amo- LUCY CROWN re con me, non avevo le reazioni di una donna. Ero incerta, mi sentivo inferiore, incompleta. Non soltanto non mi hai fatto dividere le tue respon sabilità nella vita, ma nemmeno all’amore mi hai fatto partecipare. Oliviero — Menti. Lucy — Ti ho detto che non mentirò più. Oliviero — Perché non me ne hai mai parlato? Lucy —■ Pensavo che tu non lo avresti sopportato, mi imbarazzava e forse non mi avresti creduta. Oliviero — Ed è stato questo ragazzo che ti ha svelata a te stessa? Lucy — Ho saputo da lui cosa vuol dire essere desiderata, avvicinata con tremore, presa con fer vore e, dopo l’amore, abbracciata con riconoscenza. Oliviero (dolorosamente) —• Taci! (Pausa) L’amavi? Lucy — No! E’ stato utile, ma lo lascio partire senza rimpianto. Oliviero — E’ stato utile? Lucy — Ho capito che cosa vuole dire essere donna. Oliviero — Che cosa sta cercando di dirmi? Lucy — Sto cercando di dirti che probabilmente accadrà ancora. Oliviero (spaventato) — Non lo penserai sul se rio! O vuoi vendicarti? Lucy — Lo penso davvero. Oliviero (disperato) — Staremo a vedere! Lucy — Perché ti scandalizzi tanto? In giro, le conversazioni sono soltanto su questo tasto. La differenza sta nel fatto che, dopo quindici anni, mio marito mi ha costretta a dire la verità su me stessa ed a me stessa. Oliviero — Come sei cambiata! Non sei più la stessa di due settimane fa. Lucy —■ Hai ragione. Sono cambiata davvero. E non in meglio. Francamente, ne sono convinta: sono cambiata in peggio. Ma si tratta di me ades so, non sono più un tuo pallido riflesso. Da dieci giorni mi sono scoperta, mi appartengo, sono me stessa. Oliviero (dopo una 'pausa, aspro) — Benissimo. Va’ a fare le valigie e partiamo. (Si dirige verso la porta). Lucy — Dove vai? Oliviero — A cercare Tony... dobbiamo partire, tornare a casa. Lucy — E’ questo che hai deciso? Oliviero — Certo. Lucy (molto seria) — Ti ho scritto che non sarei tornata a casa con Tony: non hai letto la mia lettera? Oliviero — L’ho letta. L’ho letta. E’ assurdo. Del resto si tratta solo di pochi giorni: alla fine del mese andrà in collegio e non lo rivedrai più fino a Natale. Lucy — Non lo vedrò né per pochi giorni, né per le vacanze di Natale. Non lo vedrò... Oliviero — Ma andiamo, smettila! Lucy (stanca) — Perché non ve ne tornate a casa tutti e due e non mi lasciate sola? Oliviero — Credevo che ci fossimo messi d’ac cordo. Lucy — Non ci siamo accordati affatto: hai detto che volevi che tornassi con te, ed io ho risposto che sarei tornata a certe condizioni. Una di que ste è che io non debba aver più nulla a che fare con Tony. Oliviero — E’ assurdo; è nostro figlio, lo hai sempre adorato! Lucy — L’adoro ancora. Ma è lui che mi odia. Oliviero — Come puoi crederlo? Lucy — Mi odia, mi è nemico; non dimenticherà mai. Ogni volta che mi guarda è come se spiasse attraverso la persiana. Mi guarda, mi giudica e mi condanna. Oliviero (tentando di calmarla) — Dimenticherà. Ha tredici anni, Lucy. Le reazioni dei fanciulli sono più violente delle nostre, ma non durano. Dovresti provare... Lucy — Ho provato : ha fatto tutto quello che potevo per riconquistarlo. Non l’ho più lasciato un istante, ho giocato con lui, ho nuotato con lui, ho letto per lui, vicino a lui... ogni giorno si è allontanato di più, si è chiuso in se stesso, è di ventato crudele. Oggi ha rifiutato di baciarmi. Ha fracassato questo grammofono con una mazza da base-ball. Ma non era quel grammofono che fa ceva a pezzi, era me, era me che voleva distrug gere, mi stava assassinando. (Singhiozza isterica mente. Tony entra durante le ultime battute). Tony — Cosa succede? Oliviero — Guarda in che stato hai ridotto tua madre. (Lucy dominandosi a stento esce). Tony — Non sono io che l’ho ridotta in questo stato. Oliviero — Sì, Tony, sei tu. Tua madre soffre della tua freddezza, della mancanza di affetto, della tua crudeltà. Tony — Non posso farci niente. Oliviero — Voglio che tu le chieda perdono del tuo atteggiamento. Tony — Non sono io che devo chiederle perdono. Oliviero — Ascoltami, Tony, ascoltami bene. Un giorno comprenderai che la vita non è tanto sem plice, tanto limpida, come ci si immagina alla tua età. Nessuno di noi è perfetto, come nessuno di noi è completamente colpevole. Se tua madre ha IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT commesso uno sbaglio, non sta a te giudicarla. Sono io che devo condannarla o perdonarla. Tony — Vedo che l’hai perdonata. Oliviero -— Lo smarrimento di un istante, del quale in parte, forse, sono stato responsabile, non cancella quindici anni di felicità. Tu sei troppo giovane per sapere cos’è l’amore, Tony; si tratta di un legame fortissimo e potente, un legame tanto forte da resistere anche ad uragani come questi. E per quello che ti riguarda, in ogni caso, tua madre s’è occupata sempre di te con molta tene rezza, con pazienza, con devozione infinita. E ora dice che non vuole vederti mai più. Non vuole neppure che tu torni a casa per le vacanze... Tony — Che cosa vuoi che faccia? Oliviero — Lascio che tu decida, Tony. Ba sterà che tu dica una parola ed io chiamerò tua madre e le farò sapere che resti con me. E poi le diremo addio, e questa sarà la fine. Tony — E che cosa proveresti allora? Oliviero — Mi sembrerà di morire, Tony, ma lo farò. Tony — Bene. Chiamala e dille che tornerai a prenderla. Oliviero — Sei certo di desiderare questo? Tony (amaro) — Non è quello che vuoi? Oliviero — Spetta a te decidere, Tony. Tony (quasi urlando) — Non è quello che vuoi tu? Oliviero ('piano) — Sì, Tony. E’ quello che vo glio. (Tony esce dalla porta, la spalanca e grida). Tony —- Mamma! Mamma! (Al padre) Parlale tu... (Entra Lucy). Oliviero —• Lucy, porto a casa Tony con me adesso. Resterà otto giorni a Hartford e quando andrà in collegio, io tornerò a prenderti. T i co municherò il giorno del mio arrivo. (Prende una delle due valigie di Tony e si dirige incerto verso la porta. A Tony) Prendi le altre valigie. Ti aspetto in macchina. (Esce. Tony guarda lungamente sua madre, poi prende le valigie). Tony — Bene, credo di non aver dimenticato nulla. Lucy (con gli occhi pieni di lacrime) — Tony, non mi saluti? Tony — Sì, certamente. Addio. Lucy — Tony, voglio che tu cresca bene e di venga un uomo meraviglioso. (Si abbracciano a lungo. Lucy si scosta per prima) Va’ non far aspet tare tuo padre. Tony (quando è sulla porta) — Se per caso... ci dovessimo incontrare un giorno in qualche luogo, che cosa ci dovremo dire? Lucy — Io... credo che ci diremo... « Ciao ». Tony (con dolore) — Sì, ecco. Ciao. (Esce. Lucy sola agghiacciata ed immobile. Sente la macchina allontanarsi. Ai suoi piedi, i pezzi del fonografo). A T T O T E R Z O (1944 - L’appartamento di Lucy e Oliviero nel New Jersey si sentono dei passi e una chiave che stenta a trovare il buco della serratura). Oliviero — Ecco tutto quello che siamo riusciti a trovare... questo appartamento tetro, al fondo del New Jersey. Ma sempre meglio che rimanere a Hartford. Tutti ci domandavano di te... perché non passavi le vacanze con noi come gli altri ra gazzi, e via di questo passo. Era diventata una cosa infernale... Tony, mi senti? Tony — Sì, papà. Oliviero — Dove sei? Tony — Sono qui. (Oliviero finalmente ha tro vato l’interruttore della luce. E’ molto invecchiato. Si è appesantito. E’ diventato volgare. Tony è ormai un bel ragazzo di vent’anni. Oliviero è in uniforme di comandante). Oliviero — Siediti, su, mettiti comodo, non sei a Buckingham Palace, sei in casa dei tuoi geni tori... E nella migliore delle ipotesi non mi vedrai per un lungo periodo. Tony — Beh, la guerra non sarà eterna. Adesso che siamo sbarcati in Normandia, il più è fatto. Oliviero —• Il più? Non sai quel che dici! L’A frica del Nord e l’Italia erano solo l’antipasto. (E’ evidente che ha bevuto parecchio) Lo sbarco era la preparazione. E’ proprio adesso che questa dan nata guerra entra nella fase decisiva. Non sia mai detto che Oliviero Crown non vi prenda parte. Te 10 giuro! (Con un sogghigno) Il più duro è fatto, eroismo a parte. Tony (amaro) — Mi spiace di non essere in uni forme anch’io. Oliviero — Lo so, lo so, matricola, non è colpa tua! Non ho voluto offenderti. So che hai fatto del tutto per arruolarti, ma con il tuo difetto agli occhi non era possibile. Dove ho messo il whisky? Tony — Abbiamo già bevuto molto, papà. Oliviero — E pensare che alla tua età noi smet tevamo di bere soltanto quando rotolavamo sotto 11 tavolo! Da un lato, però, sono contento che tu sia un ragazzo serio. Questo dimostra che, nono stante i miei errori, non ti ho poi educato tanto male. I giovani di oggigiorno non pensano che ad ubriacarsi e fare all’amore. Se ne infischiano del l’avvenire. L’avvenire... Nella mia vita ho fatto delle pazzie, ma dal momento che ho incontrato tua madre (fa schioccare le dita) ho smesso. Cosi una volta per tutte, mentre la maggior parte degli uomini non perdono l’abitudine e finiscono col pizzicare l’infermiera al loro letto di morte. Io no. Scatenato fino a 25 anni, tutto d’un colpo alla vista di tua madre «stop». (Pausa) Da quanto tem po non la vedi? Quattro o cinque anni? Tony —■ Sono sette anni, papà. Da quell’estate nel Vermont. Oliviero — Ah! sì, è vero. Adesso lavora in un laboratorio a Port Dix. Io che la prendevo in giro per i suoi studi di chimica, non avrei mai pensato che gli sarebbero serviti dopo venti anni, durante una guerra mondiale! Si occupa di analisi, del sangue... di febbri tropicali. In principio si è tro vata un po’ disorientata, ma ha lavorato sodo e ora ha sei assistenti alle sue dipendenze. Devi essere fiero di lei... Ed è sempre bella, sempre seducente, sempre la stessa. Tony — Tanto meglio! Oliviero — Potremmo telefonarle. Vuoi? Lavora fino a mezzanote stasera: le farebbe molto piacere. Tony — No. Oliviero — Sei un gran cinico! Hai l’aria d’un ragazzino dolce, ma dentro sei duro come una roc cia. A proposito, sai chi ho incontrato l’altro giorno? Tony — No. Oliviero — Te la dò a mille! Tony — Non ne ho la minima idea. Oliviero — Il tuo precettore. Jeff. Tony — Lo ricordo benissimo; sarebbe un po’ difficile dimenticarlo. Oliviero — E’ tenente di marina; era appena arri vato dal Guadalcanal. Lo vidi in un bar, feci finta di nulla, ma dopo qualche minuto dissi « al dia volo» e ci mettemmo a sedere e bevemmo insieme. Mi domandò se eri guarito agli occhi. Tony — Davvero? Oliviero — Sì, mi pare molto migliorato. Deci demmo di considerare morto e sepolto il passato e di stringerci la mano. In fin dei conti, ora ci trovavamo tutti nella stessa guerra. Tony — Già... tranne me. Oliviero — Ci sono state migliaia di morti, città rase al suolo. Stati interi cancellati dalla carta geo grafica, e noi siamo fermi sulle nostre piccole sto rie... Dov’è il tuo bicchiere? Tony — E’ ancora pieno. Oliviero — Ma non sarai tu ad impedirmi di bere un altro whisky. Tony (con rimprovero) — Piai bevuto tutta la sera! Oliviero — Churchill si scola sei whisky il gior no: se fanno bene a lui faranno bene anche a me che sono soltanto comandante. (Beve e versa un po’ dell’alcool sull’uniforme) Ecco. Addosso. Colpa tua, Tony; finiscila di guardarmi. Tony — Non ti stavo guardando. LUCY CROWN Oliviero — Ti disgusto, ho capito. Ma denti il rimprovero per un’altra volta; non questa sera, Tony, capito? Tony — Sì, papà. Oliviero (calmandosi) — Non badare a quello che dico, Tony. Sono un po’ strano questa sera. Non badarci, questa è la mia ultima notte in Ame rica. Capisci? Tony — Dove andate? in Francia, in Italia? Oliviero — Proibizione di dirlo. Se potessi con fidarti tutto quanto mi hanno detto a Washington, ti si rizzerebbero i capelli in testa. Meno male che c’è la proibizione di parlare. Sai cosa dovresti fare un giorno? Dovresti scrivere le tue impressioni su me: «Le mie impressioni sul babbo»; Mio padre ubriaco e no; mio padre in errore; le sue qualità e i suoi difetti; i suoi principi sull’educazione; come ha sacrificato un figlio di tredici anni a sua moglie infedele... Tony — Ti supplico, non parliamone. Oliviero — Perché non se ne dovrebbe parlare, dal momento che tu continui a pensare a questo! Tony —■ Parlarne non serve a niente. Oliviero ■—• Nemmeno in un giorno come que sto, parlare di ciò che ci tocca più da vicino? eb bene, se non vuoi che te ne parli, scrivilo. Metti sulla carta tutti i tuoi rimproveri... Accidenti, che aria infelice hai! Cosa ti succede?... no, non dir melo, è meglio... Che strano ragazzo è mio figlio! Così brillante fino a tredici anni, poi d’un tratto muto. Non più una parola... non guardare l’oro logio ogni momento, lei ti aspetterà... Tony —• Lei, chi? Oliviero — Quella ragazza che ti strizzava l’oc chio al restaurant. Credi che non l’abbia notato? A che ora le hai dato appuntamento? Va’, va’, sono troppo gatto per non capire le occhiate del topo! Tony — Alle undici. Oliviero — Bene! Se arriverai alle undici e mezzo la troverai più impaziente... E di quel di sgraziato sergente che cosa ne farà? Tony — Deve tornare al campo, nei pressi di Long Island. Oliviero — Povero scemo di un sergente! Dopo aver speso tutte le sue economie per condurre la ragazza alla trattoria se la fa soffiare alle undici di sera da un giovanotto incontrato a caso... Per te non sono imprese difficili queste, eh? Conquisti facilmente le donne. Scommetto che ti cascano fra le braccia, prima ancora... Tony — Per favore, papà! Oliviero — Ah! Bene, anche questo è un argo mento proibito. Dio mio, non so più di che cosa parlare con te. Anche se dicessi che fa bel tempo, l’accompagnava, IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE ATJMONT tu troveresti che manco di discrezione! Ebbene, hai torto, Tony. Fa piacere essere un bel ragazzo, ma se tu lo sei, il merito è mio e di tua madre; dovresti essercene riconoscente. Tua madre era bella, sai, non poteva entrare in un locale senza attirare tutti gli sguardi. Lei cercava di passare inosservata, ma più cercava di non dare nell’oc chio, più la si notava. E nonostante questo, dubi tava di lei stessa. Non lo avresti creduto, eh? Non è come te! Di fiducia in te stesso, tu ne hai da vendere, no? E’ segno di forza, a vent’anni, essere capace di giudicare il mondo intero. Andrai molto lontano se i tedeschi o i giapponesi non bombar deranno New York. Tutti quei pancioni che ab biamo visto al restaurant questa sera, che abbiamo sentito dire : « Io me la spasserò un mondo » e di colpo ecco un sibilo e alzano gli occhi, e vedono il soffitto crollargli addosso. Per Dio! Mi piace rebbe essere presente. (Beve) Che spettacolo, il bombardamento di New York. Tony — Papà, te ne supplico, non bere più! Oliviero — E perché non dovrei bere più? Gli altri mescolano aperitivi, vino, cognac... Io sem plifico: comincio con whisky, finisco con whisky. Tony — Sei già su, papà. Oliviero — Sì, sono ubriaco, ma non sta bene farlo notare al proprio genitore. Quando io ero ragazzo, i padri non erano mai ubriachi. Essi be vevano lo stesso, ma nessuno si permetteva di dirlo. Mio padre si tolse la vita l’anno in cui tu nascesti. Non lo sapevi? Anche questo è un fatto del quale non si deve parlare: entrò in acqua a Match-Hill, e andò sempre avanti e annegò così, senza dire una parola, senza lasciare una lettera. Accidenti, per ché mettiamo al mondo dei figli? A che cosa serve? Tony — Lascia che t’aiuti a metterti a letto. Oliviero — Non voglio andare a letto, voglio spiegarti a cosa serve avere un figlio. Forse un giorno anche tu avrai un figlio, e sentirai di avere una ragione di vivere. Si ha un figlio per sentirsi rinnovare, per dare una nuova carica al nostro ottimismo, capisci? per scuoterci, per un nuovo slancio. Arrivi a una certa età, diciamo venticin que o trentanni, dipende da quanto sei intelli gente, e incominci a dirti « ma insomma, tutto questo non significa niente». Poi cominci a capire che è sempre la stessa cosa; anzi la situazione peg giora di giorno in giorno. Non succede nulla, tutti i giorni le stesse cose, e la domenica ancora peggio. Allora che ti resta? un libretto di assegni, conti da pagare, il sangue che non ha più il calore. Che cosa c’è a cena, chi viene a casa? il menù della settimana scorsa, gli ospiti dell’anno scorso. Noia. Il principio e la fine del pessimismo. Ed ecco come c’entrano i figli. Un bambino non sa niente del pessimismo. Qualcosa in lui gli dice che vale la pena di crescere, di imparare a parlare, di impa rare a mangiare con il cucchiaio, di imparare a leggere, a fare a pugni, ad amare... Guardi tuo figlio e ti accorgi che c’è qualcosa nella razza umana che ti dice che vale la pena di vivere... Quando avevi tre anni, passavo delle ore a guar darti, mentre te ne stavi seduto sul pavimento e tentavi di infilarti le calze e le scarpe. Faticavi in un modo bestiale, ma era la vita. Ti guardavo e mi facevo delle grandi e stupide risate, ma lam bivo, per mio uso e consumo, un po’ del tuo otti mismo. Ti ero grato, mi eri estremamente caro, come un tesoro. (Sorseggia il whisky e sorride a Tony) Adesso non ti sono più grato. Un giova notto pieno di rancore, che mi ricorda me stesso quando ero giovane, che mi ricorda la bella donna con la quale mi unii in matrimonio, che mi ricorda come distruggemmo tutto... Tony (con accenno doloroso) — Papà, tutto que sto non è affatto necessario. Oliviero — Ma certo che è necessario. Tony — Non parleresti così se non fossi alticcio. Oliviero (ridacchia) — No? Forse no. E’ una buona ragione per essere ubriaco... Tu non te ne ricordi, perché eri troppo piccolo, ma avevo una altra opinione di me stesso: credevo di essere una combinazione divina di intelligenza, senso del l’onore e capacità di spirito. Qualsiasi cosa mi avessero domandato, a quei tempi, rispondevo come un cervello elettronico. Non avevo dubbio sul la voro, sul matrimonio, sulla lealtà, sull’educazione dei figli, e lo facevo sapere a tutti. Contemplavo il mondo con lo sguardo limpido di un pazzo... E poi, in un quarto d’ora, in una sporca località di soggiorno estivo sul lago, crollò tutto. Presi, natu ralmente, la decisione sbagliata. In realtà, voltai verso di me il pugnale, anche se sono certo che tu la pensi diversamente. Che danno ne avesti? Te ne andasti di casa un po’ prima del solito, e rimanesti solo per un paio di vacanze, ecco tutto. Tony (amareggiato) — Certo. Ecco tutto. Oliviero — In quanto a me, ne uscii semplice- mente morto. In seguito, rievocando l’episodio, mi dissi che era stato per sensualità che avevo ceduto a tua madre... E che fu davvero così. Solo che, dopo qualche tempo, la sensualità scomparve. Na turalmente fingemmo, ma oramai c’erano di mezzo troppe altre cose, e alla fine lasciammo perdere completamente. Tony — Non mi interessa di saperlo. Oliviero — Perché no? Piai vent’anni. Mica vio lento orecchie verginali. Conosci tuo padre e tua madre. Se non puoi onorarli, cerca almeno di co noscerli. Non è una gran cosa, ma è già qualcosa. La guerra mi ha reso di nuovo virile. Ho avuto delle avventure a Columbus, nella Carolina del Nord... se fossi devoto mi confesserei. Questa sera sei tu il mio confessore... Tony — Me ne vado. Abbi cura di te, fammi sa pere dove potrò scriverti e... Oliviero — Per darmi l’assoluzione? Tony — Ciao. (Apre la porta). Oliviero (gridando) — No. (Si alza faticosa mente, barcollando un poco, reggendo con cura il bicchiere) Ho una cosa per te. Chiudi la porta. Altri cinque minuti soltanto. Mi dispiace, è stata una giornata faticosa quella d’oggi. Chiudi la porta. Non berrò più. Guarda... (Con mano tre mante posa il bicchiere lontano da sé) L’ultimo sacrificio. Su, andiamo, Tony. Chiudi la porta. Aspetta ancora un momento prima di lasciar mi solo. Tony (con riluttanza chiude la porta). Oliviero — Ah, bene. Ora ti riconosco. La ve rità è che oggi ho bevuto per amor tuo. Non ri dere. Mi conosci... non sono un bevitore. E’ solo che volevo dirti tante di quelle cose... e da tanto tempo non riesco più a parlarti... Anzitutto voglio chiederti scusa. Tony (prendendosi la testa fra le mani) — Dio mio, no! Non adesso! Oliviero — Ti abbiamo sacrificato, lo ammetto. Le ragioni sembravano valide, sul momento. Come potevamo sapere che non avrebbero tenuto? Se quello che cerchi è la vendetta, guardarmi e ti ac canerai di averla avuta. Tony — Non voglio niente! Oliviero — Grazie, grazie, figliolo. Tony — Volevi dire soltanto questo? (Osserva suo padre che gli sta di fronte curvo, malfermo sui piedi, con gli occhi arrossati). Oliviero — No, no, aspetta. Ti ho detto che vo glio darti una cosa. (Fruga nella valigia ed estrae un pacchetto avvolto in carta velina) Da molto tempo desideravo darti questo. Temevo che l’oc casione non si sarebbe mai presentata... e... Eccolo qui. E’ l’orologio di mio padre. L’ho sempre tenuto come portafortuna, anche se, in realtà, preferisco gli orologi da polso... Me lo diede due settimane prima di morire. Un vecchio Waltham. Lia più di quarantanni, ma continua ad essere precisissimo. Non dovrai portarlo, certo, è tremendamente fuori moda; ma potresti tenerlo sulla scrivania, o qual cosa del genere... (Lo porge a Tony che non lo prende). Tony — Perché non lo tieni tu? se ti ha portato fortuna... Oliviero — Fortuna. (Sogghigna) Prendilo tu, LUCY CROWN invece. Forse la fortuna sarà facilitata, in questo modo. Te ne prego. Tony (prendendo l’orologio) — Grazie. Lo darò a mio figlio, quando verrà il momento. (Alzandosi) Bene... Oliviero — Non andartene ancora. Aspetta. C’è ancora una cosa. Tony -— Di che si tratta? Oliviero — Aspetta. (Prende il ricevitore del te lefono) Signorina, mi dia 1’87554 di Fort Dix. Tony — A chi telefoni? Oliviero — A tua madre. Tony — Oh, andiamo, che senso c’è? Oliviero (mormorando) — Solo una volta. Solo per quest’ultima sera. Solo per salutarla tutti e due insieme. Che cosa c’è di male a salutarla, sem plicemente? Tony (tono stanco) — D’accordo. Oliviero (felice) — Ah, bene. Vieni qui. Prendi il telefono. Parlale subito. Vieni, vieni... (Oliviero gli passa il ricevitore. Il telefono suona a vuoto, monotono e lugubre) Probabilmente è in labora torio, non sente. (Ansioso) Forse l’acqua scorre e non può sentire... Tony — Non risponde nessuno. (Ripassa il rice vitore al padre). Oliviero — Eppure ci dev’essere... (Ascolta) Mi ha detto che ci rimaneva fino a tardi... Lavora molto, sai. Tony — E’ inutile, non c’è. Riattacca. Oliviero (a malincuore) — Aspettiamo che suoni ancora tre volte... Peccato! (Riattacca). Tony — Buonanotte, papà. (Oliviero non lo ascol ta. Continua a fissare il telefono) Ti ho dato la buona notte, papà. Oliviero (stendendogli la mano) — Oh, sì... Tony (a disagio) — Bene... Buona fortuna. Oliviero — Sì... sì... E’ stata una bella serata, figliolo. (Tony esce. Oliviero riprende il telefono) Signorina, provi di nuovo a chiamare T87554 di Fort Dix. (La stessa camera, qualche ora più tardi Oliviero è sprofondato in una poltrona. E’ buio, si vede solo il fuoco della sigaretta accesa. Si sente un rumore di passi e la voce di Lucy e d’uno sconosciuto). Sconosciuto — Lasciami entrare. Lucy — No. Sconosciuto — Perché? Lucy — E’ troppo tardi. Sconosciuto — Solo un’ora. Lucy — No. Tornatene a casa, ragazzo. Sconosciuto — Ti amo! fa’ il bravo IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT ti tre giorni, Lucy — Non parlare così. Sconosciuto — Perché no? Lucy (stanca) •— Perché rende ogni cosa troppo complicata. Sconosciuto — Non mi credi? Lucy — Ma sì! Sconosciuto — Ti vedrò domani sera? Lucy — Chiamami al laboratorio. Sconosciuto — M ’imbarco fra supplico. Lucy — Va bene. Sconosciuto — Grazie, Lucy... è stata una cosa meravigliosa! Lucy — Adesso, fila! (Entra, accende la luce, si leva il cappello e il mantello, poi si accorge di Oliviero in divisa e che non si muove dalla pol trona) Oliviero... Sei qui? da molto tempo? Oliviero (con voce impastata) — Circa tre ore, non so bene. Lucy -—■ Come mai sei venuto? Oliviero —■ Sono in casa mia, no? Lucy — Talmente poco! Oliviero —- Disturbo? Lucy — Affatto. Oliviero — Ho cenato con Tony, mi ha accom pagnato qui. Lucy — Ah! cosa è diventato? Oliviero — Niente di buono. Lucy — Ti ha chiesto di me? Oliviero — Ho avuto la precauzione di parlar gliene io prima che me lo chiedesse. E’ sempre più amaro, sempre più ostile. Lucy —■ Che sia la prerogativa dei giovani di °ggi? Oliviero — Allora, evviva la vecchia generazione. (Pausa) T i abbiamo telefonato Tony ed io al la boratorio. Lucy —- Ah! Quando? Oliviero — Due ore fa. Dov’eri? Lucy — Hai notizie per la tua partenza? Oliviero -—- Partiamo domani. Lucy — Ah! Oliviero — Mi dirai almeno « in bocca al lupo »... Lucy — Certamente. Oliviero •—■ Dammi un bacio. Lucy (scostandosi) — Oliviero! Oliviero — Cosa c’è? Lucy — Niente. Sono molto stanca, ho lavo rato tutto il giorno in laboratorio, non ne posso più. Oliviero — Sei sicura di esserti stancata in la boratorio? Lucy — Cosa vuoi dire? Oliviero — Ho sentito tutto attraverso la porta. Lucy — Ho fame. Vado a vedere cosa c’è nel frigidaire. Vuoi un panino? Oliviero — Non ho fame. Ho freddo. Lucy — Hai una brutta cera. Oliviero — Sono stanco anch’io, stanco di vivere. (Lucy esce) Se tu avessi risposto al telefono, Tony, sarebbe rimasto qui e avrebbe aspettato il tuo ritorno. Lucy — M i dispiace. E’ una sfortuna! Oliviero — Alla malora la sfortuna! Lucy (rientrando) — La cosa non è tanto tragica. Eccomi qui, possiamo dirci arrivederci. In quanto a Tony, questo incontro dopo sette anni, sarebbe stato penoso. Oliviero —• Dov’eri? Lucy — Ho cenato con un giovane tenente che ho conosciuto all’ospedale, un pilota. Oliviero — Hai cenato con un pilota? Mangia molto lentamente il tuo pilota!... Avresti dovuto lasciarlo entrare. Sarebbe stato buffo vederlo met tersi sull’attenti davanti a me! Riposo, fianco destr... avanti, march! Farete otto giorni di rigore per essere andato a letto con mia moglie! Lucy — Oliviero, non è così buffo! Oliviero —■ No, non è buffo. Cosa avete fatto dopo cena? Lucy — Lo vuoi sapere davvero? Oliviero — Hai lasciato che facesse all’amore con te? Lucy — Sì. Oliviero — Era la prima volta? Lucy — No. Oliviero -—■ Lo ami? Lucy — No. Oliviero — Ma ci trovi gusto ad andare a letto con lui? Lucy — In realtà no. Oliviero (grave) — E allora, perché l’hai fatto? Lucy — E’ rimasto ferito in Africa. Gravemente ferito. E ha una paura tremenda, perché sta per partire di nuovo per il Pacifico. Oliviero — Oh, capisco. E’ una forma di pa triottismo. Lucy — Non burlarti di me. Ho avuto pietà di lui. E’ giovane, è infelice. Sembrava che per lui la cosa avesse una grande importanza. Oliviero — Perdio! Se vai a letto con tutti gli ufficiali e tutti i soldati che sono giovani e infe lici, avrai un bel daffare! Io non sono più gio vane, e non sono stato ferito in Africa, ma sono infelice e allora tu verrai a letto anche con me. Non perché sei mia moglie, ma per patriottismo. Lucy — Oliviero, sei ubriaco e io non ne posso più. Dormirai su questo divano e se vuoi ad ogni costo farmi una scenata prima di lasciarmi, me la farai domani mattina. Oliviero — Dimmi, ce ne sono stati altri, vero? Lucy — Non ti rispondo. Oliviero — Parecchi? Lucy — Sì. Oliviero — E fra tutti ce n’è almeno uno che ti ha amato? Lucy — No. Oliviero — Sei sincera? Lucy — Molto tempo fa, dissi che non ti avrei più mentito, Oliviero. Oliviero — Allora, perché lo fai? Perché dia volo lo fai? Lucy — Forse perché mi fa sentire importante e fin da ragazza mi sono sentita senza importanza. Forse perché mi sento vuota, forse perché, per po chi minuti ogni volta, è come se dovesse signifi care qualcosa, è come se vi fosse un enigma del quale riuscirò alla fine a trovare la soluzione. Forse perché sono delusa di me stessa, di te e di Tony. Forse perché sono una donna indegna, o mia madre mi lasciò sola, una notte, quando avevo due anni. (Alza le sfalle) Forse soltanto perché oggi è di moda. Non lo so. Ora me ne vado a dormire. Oliviero (dolcemente) — Dimmi, Lucy, sei felice? Lucy — No. Oliviero — E’ questo l’imperdonabile, il fatto che non sei felice. Sei una donna frivola, corrotta. (Le da uno schiaffo). Lucy — Oliviero! Oliviero (La schiaffeggia di nuovo. Essa harcolla e rovescia la lampada. Nel buio si sente il rumore degli schiaffi che continuano). ( Sul rumore degli schiaffi s’innesta la musica triste e monotona del -pianista che abbiamo visto nel primo quadro. Sia mo di nuovo nel bar. Lucy e Anna sono allo stesso tavolo. Il suono ossessivo del piano continua fino alla fine). I l Barman — Che ore sono? Jean — Le due passate. I l Barman •— Quando se ne andranno quelle due. Quando potremo finalmente andare a dor mire? (Al tavolo). Anna — E’ uno strano ragazzo, vostro figlio... non si sa mai bene come comportarsi con lui. Anche quando avrebbe tutti i motivi per essere felice, ha l’aria di uno che soffre... si direbbe che ha paura di essere felice... Anche nel giorno del nostro matrimonio aveva una faccia come se dovesse andare al patibolo, e se la cerimonia si fosse protratta per altri cinque minuti, sarebbe fuggito come un cervo. Quando siamo saliti in automobile non mi ha nemmeno guardata... E dopo sei anni che siamo sposati, continua a non guardarmi... Lucy — Come potete amarlo ancora? LUCY CROWN Anna — L’amo più come un figlio che come un marito... (Sospirando) Ma, in ogni modo, ho fretta che diventi adulto... Lucy (sognante) — Cosa bisogna fare per diven tare adulti? Anna — Occuparsi degli altri più che di se stessi... cercare di comprenderli e di perdonarli. Lucy (baciandole la mano, teneramente) Anna, siete sorprendentemente adulta. Anna (sorridendo tristemente) — Bisogna che ce ne sia uno nella famiglia... (Entra Tony. Al bar). Tony (a ]ean) — Ho fatto il giro di tutti gli altri locali: sono ancora più tristi del vostro... E dire che quando ero giovane immaginavo che Pa rigi fosse la città più allegra... Jean (facendo segno alla tavola) — Avete visto? Tony — Chi? Jean ■— Vostra moglie è ancora là. Tony — Con chi è? Jean — Non so. E’ la prima volta che quella si gnora viene qui. (Tony si allontana dal bar e si dirige verso il tavolo. Vede sua madre. Una lunga pausa. Nessuno dei tre osa parlare). Lucy (con sforzo) — Non mi riconosci? Tony — Sì, non siete cambiata. Anna — Vedi? Tua madre ed io abbiamo fatto conoscenza. Tony —■ Vedo. (A Lucy) Quanto tempo rimar rete a Parigi? Lucy — Non credi che potremmo darci del tu? (Egli non risponde, sono sempre più imbarazzati) E’ strano essersi ritrovati. Tony — Un giorno o l’altro doveva accadere. Lucy —- Quando pensavo al nostro incontro lo immaginavo sempre al mio letto di morte... Tu correvi molto commosso, molto tenero e ci ab bracciavamo... Tony — Grazie a Dio, invece, stai benissimo. (Pausa) Cosa fai a Parigi? Anna — Tua madre lavora all’Unesco! Si occupa della protezione dell’infanzia. Tony — Buona idea, l’infanzia ha molto bisogno di essere protetta. Lucy — E tu? Tony — Io? Faccio disegni. E’ meno utile, soprat tutto perché non ho talento. Anna — Non è vero... Lucy — Allora, perché non fai qualche altra cosa? Tony — Facile a dirsi. Sembra di sentire mia moglie. Lucy —• Potresti tornare in America. Tony — Mi piace stare qui. I francesi hanno un’eleganza, un cinismo e una serenità nei casi gravi, che mi incantano. IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT Lucy — E i tuoi studi in medicina? Ho saputo che riuscivi benissimo... Tony — Sì... Ho frugacchiato nei cadaveri per due anni... fin da ragazzo avevo deciso di inven tare un siero che impedisse di morire... e lo vo levo per continuare a far vivere sempre te, papà e Jefì. Più tardi scoprii che non mi interessava affatto guarire la gente e che nessuno vale la pena di essere risparmiato. Anna — Tony, non potresti intanto risparmiare a tua madre i tuoi sarcasmi? Tony — Sarcasmi? Mi ha domandato perché ho abbandonato la medicina e io le ho detto il mo tivo. Lei vuol giudicare l’uomo che sono diven tato in rapporto a quello che promettevo. La metto al corrente. (Pausa). Lucy — Tony... sei già stato a Oziéres? Tony — Cos’è Oziéres? Lucy — E’ il luogo dove tuo padre è stato ucci so. Ci sono stata tre settimane fa. Tony — Oziéres... Che idea farsi sotterrare in un posto simile! Lucy — Aveva saputo che un gruppo di tede schi voleva arrendersi. E’ andato verso di loro con la bandiera bianca. Gli hanno sparato contro. Tony — Con la bandiera bianca... convinto che gli altri si sottomettessero. Lo riconosco in questo. Ma era un po’ vecchio per questo genere di scherzi... Lucy — Voleva farsi uccidere. Tony — Può darsi. Lucy — Tu non hai avuto questa impressione l’ultima sera che l’hai visto? Tony — Ho avuto l’impressione che fosse imba razzato che anch’io non indossassi l’uniforme. Poi, quella sera, si è ubriacato in mia presenza: mi è parso un relitto della tua colpa; non ti perdo nerò mai di averlo diminuito, sporcato, ucciso. Anna — Tony! Tony (selvaggiamente) — Ucciso. Perché lui non è morto a Oziéres, si è spento a poco a poco, len tamente, dopo quel giorno. Anna — Tony, adesso basta. Sei ingiusto e cru dele; non posso più ascoltarti. (Si alza). Lucy — Resta, Anna, te ne prego! Anna — Bisogna che vada da Filippo, non lo lascio mai tanto tempo solo. Se si sveglia ha paura... Spero che verrete presto a casa nostra... anche se Tony non ci sarà. (Abbraccia Lucy ed esce. Pausa). Lucy — Tua moglie è molto graziosa. Tony — Vero? Lucy — E molto infelice. Tony — Poteva non sposarmi! Lucy — L’ha fatto perché ti amava. Tony — Allora di che cosa si lamenta? Lucy — Perché non mi hai detto che hai un figlio? Tony — Non sono certo che ci sia di che van tarsene! Lucy — Quanti anni ha? Tony — Sei. Lucy — E’ bello? Tony — Per ora sì. Ma cambierà. Lucy — E’ buono? Tony — E’ indipendente. Gli ho insegnato pre stissimo a contare solamente su se stesso... Io ho scoperto la solitudine bruscamente, a tredici anni. Era troppo tardi. (Viene il barman al tavolo). I l Barman — Un altro whisky, signor Crown? Tony — Volentieri, ne abbiamo bisogno. I l Barman (a Lucy) — Anche per voi signora? Tony — Sì. Lucy (dopo una pausa) — Tony, come mi vedi ora? Tony — Vedo che ti sei conservata giovane, bel la... Sei stata abile! Lucy (offesa) — Abile? Spiegami almeno in che cosa consiste questa abilità; potrà servirmi per i prossimi vent’anni. Tony — Sei una donna che rimane intatta: le famiglie possono sfasciarsi intorno a te, gli Im peri crollare, ma non uno dei tuoi capelli diventa grigio! Lucy (scuotendo la testa) — Ai capelli pensa il parrucchiere; al resto continui a pensarci tu. Vedo che mi sei ancora nemico... Non hai dimenticato... non hai perdonato... (Intanto il barman ha por tato il vassoio e lo ha messo> sul tavolo). Tony (selvaggiamente) — Avrei potuto dimenti care che m’hai abbandonato, avrei potuto perdo narti d’aver tradito mio padre, tu non sei stata né la prima né l’ultima moglie infedele... Ma purtroppo, ti ho visto. Quello che per gli altri esiste solo nella fantasia, nell’immaginazione, io l’ho visto con i miei occhi. E’ come se mi aves sero gettato una manciata di pepe in faccia e quel bruciore non cesserà mai... E sai cosa mi ha accecato, bruciato, torturato? E’ stato il tuo sor riso... Un sorriso che non ti conoscevo, io che cre devo di conoscerti così bene... un sorriso di donna appagata, rapita, trionfante... Da allora ho cer cato quel sorriso in tutte le donne che ho cono sciuto... e le ho sfuggite... E non ho sfuggito sol tanto le donne, ho sfuggito l’amicizia, ho sfuggito gli studi, ho sfuggito la guerra, e adesso sfuggo mia moglie... Resta mio figlio... ma sino a quando? (Breve pausa). Lucy (con dolcezza) — Ti inganni sul tuo conto, Tony. Credi di essere un uomo perfido e odioso tardi... non ci e, naturalmente, tenti di adeguarti a questa imma gine di te stesso. Non credo però, che tu sia real mente così. So com’eri da ragazzo e l’indole non può essere svanita completamente, qualunque cosa sia accaduta. Sono esperta in fatto di autoinganni, Tony, perché ho impiegato questi ultimi dieci anni della mia vita tentando di riparare i danni che feci dopo essermi completamente ingannata sul mio conto. Completamente : casi ed errori. Con abbondante dose di fatalità. Se quella per fida ragazzetta non avesse trascorso l’estate sul lago, se non si fosse annoiata in un pomeriggio nuvoloso e non avesse deciso di fare una passeg giata nel bosco... se il sole fosse uscito e lei fosse andata a nuotare, o se tu fossi tornato anche sol tanto una mezz’ora più trove remmo qui, in questo modo, oggi. Se tu non ti fossi ammalato e non fossi stato quasi in punto di morte, tuo padre non avrebbe mai pensato ad assumere un giovanotto che si occupasse di te... Se tuo padre non fosse entrato in un garage un mattino, venendo a sapere che non avevo sal dato un conto, che io ero invece convinta di aver pagato, se non mi avesse telefonato per rimpro verarmi, facendosi sentire ribelle e insignificante... nulla sarebbe accaduto. Nulla. Invece era una giornata nuvolosa, esisteva una perfida ragazzetta, esisteva un giovanotto e tu non tornasti mezz’ora dopo. Così un episodio isolato e piuttosto stupido da collocare in quel genere di cose che accade a mi lioni di donne e che svanisce in un innocuo se greto, al quale esse guardano con indulgenza nella vecchiaia, si trasformò in un disastro. In un abisso che divise la mia vita e la tua e quella di tuo padre. Tony — Troppo facile. Giustificarsi aggrappan dosi alla fatalità. Lucy — Non crederlo! Tutti sono responsabili dei casi della propria vita, ed io non respingo la responsabilità dei miei; solo che nessuno può evitarli, comunque siano. E’ il modo di affron tarli, il modo di superarli, il modo di riparare i danni ad avere importanza. Bene, io ho fatto la peggior cosa possibile, ma non fu quello il vero errore. Il vero errore consiste nell’aver reso defi nitivo quell’episodio. Una volta persa la testa, insi stetti contro me stessa decidendo di perderla del tutto : decisi che ero una donna sensuale. Beh, risultò invece che non lo ero affatto. Temevo tuo padre, e gli mentii; la menzogna fu orribile, ed io me ne lasciai travolgere e poi me ne vergo gnai. Allora dissi a me stessa che da quel mo mento in poi saremmo riusciti a sopravvivere sol tanto con la franchezza. Bene. Ma non riuscim LUCY CROWN mo a sopravvivere. Eri il testimone e soffrivi, e ci avevi fatto soffrire, e così decisi di rendere irreparabile la sofferenza. La tua testimonianza era troppo penosa ad ascoltarsi quell’anno, e così ti allontanai. E la tua assenza testimoniò contro di noi, in modo sempre più irreparabile, ogni anno... Tony — Credi che sarebbe stato preferibile te nermi con voi? Lucy — Sì. Avremmo sopportato. La famiglia è come la carne e le ossa: quando viene ferita, se ne ha il modo, cicatrizza e guarisce. Ma non gua risce se la ferita viene tenuta aperta. Tramutam mo in ferita la nostra esistenza, e pagammo. Tony — Pagammo? Chi fu a pagare? Lucy — So quello che pensi. Pensi di essere stato tu a pagare. Pensi che a pagare è stato tuo padre. E che io me la sono cavata indenne. Ma ti sbagli! Ho pagato anch’io. Tony — Posso immaginare come! Lucy (tono stanco) — Sì, hai ragione, ma di pas sare fra le braccia di molti uomini smisi una notte, quando tuo padre tornò a casa a salutarmi, prima di andare in guerra... (Ha gli occhi chiusi) Ma non pagai solo in quel modo. Pagai con il rimorso, la solitudine, l’invidia. (Riapre gli occhi e fissa Tony) Credevo anche di aver pagato com pletamente, ma vedo che non è così. Non ancora. Qualsiasi cosa tu possa pensare di me, crederai, presumo, al rimorso e alla solitudine. Ma forse l’invidia fu la cosa peggiore di ogni altra. Perché invidiavo tutti: le donne che avevano placidi ma trimoni senza storia e quelle con matrimoni mo vimentati, con litigi e separazioni e conciliazioni; le donne che tradivano con noncuranza e pote vano prendersi un uomo il giorno e accettarli con facilità, e dimenticarli con altrettanta facilità. In vidiavo le donne che sapevano restar fedeli per tutta la durata della guerra, quelle che prende vano la vita con sofferenza e le altre che la prendevano con noncuranza. Solo io non sapevo come prenderla... Soprattutto, invidiavo me stessa: la me stessa ch’ero stata e il matrimonio che avevo avuto fino a quell’estate sul lago. Non che avessi una visione sentimentale di me stessa o falsi ricordi del matrimonio, ma amavo tuo padre e, riandando al passato, ora, mi rendo conto che il nostro matrimonio si equilibrava, anche se allora non lo capivo. Ero timida, allora, e incerta e ven dicativa, e avevo una pessima opinione di me stessa. E così andai a cercare una più alta opi nione di me stessa tra le braccia di altri uomini. A tutta prima dissi a me stessa che cercavo l’amore, ma non trovai l’amore e non trovai l’altra opi nione di me stessa. E non è che io non abbia IRWIN SHAW - JEAN-PIERRE AUMONT forse avrei potuto salvare fatto del mio meglio! (Con voce bassa e fredda) Un campionario di uomini, e che insegnamento. Un avvocato voleva abbandonare la moglie e tre figli per sposarmi, affermando di non poter vi vere senza di me; visse benissimo senza di me e ora ha cinque figli. Un antiquario voleva che andassi a vivere con lui per impedirgli di diven tare un invertito; non andai con lui, e adesso convive con un ballerino americano. Potrei con tinuare, ma a farmi smettere fu un ufficiale della marina mercantile, molto bello e che aveva impa rato assai dalle signore che andavano in cro ciera nel Mar dei Caraibi. Con costui mi sembrò di aver trovato quel che cercavo... ma lo sor presi, una mattina, indugiare davanti allo spec chio, trasudante fiducia virile da quattro soldi in se stesso. Capii che non lo avrei riveduto mai più, ma soprattutto capii che la cosa non andava per me. La sensualità è per i sensuali, ed io mi ero ingannata sul mio conto. Ed infine, quando giunse il momento di prendere la decisione risa natrice, quando tuo padre e me stessa con una sola parola, la dissi sbagliata. E non poteva essere che così, dal mo mento che bisognava prepararsi con cura ed occor rono anni per veder chiaro in se stessi, per poter dire la parola giusta nella crisi. E io non capivo niente di me, e non ero preparata a niente. Pen savo di essere divenuta forte abbastanza per dire la verità. Ma tra tuo padre e me non occorreva in quel momento il « sì » della sincerità, occorreva il « no » intelligente della carità. Ma ormai, ero rimasta a corto di carità, e tuo padre mi picchiò per questo. Come doveva fare. Partì e rimase uc ciso. Quando seppi che tuo padre era morto e tu telegrafasti che non saresti venuto alla cerimo nia funebre, ci andai da sola. E poi decisi che dovevo riabilitarmi. Dovevo essere in grado final mente di perdonare me stessa. E sentii che il solo modo per riuscirvi consisteva nell’essere utile e amorevole. Mi dedicai ai fanciulli... Forse anche per merito tuo... Ero stata così incapace con te, forse volevo dimostrare a me stessa che, se si fosse presentata un’altra occasione, avrei potuto far meglio. Svolsi le pratiche per adottare due bambini ma si informarono con discrezione sul mio conto e mi negarono l’autorizzazione. Natu rale, solo io non ci avevo pensato. Allora mi of fersi all’ONU per la protezione di tutti i fan ciulli dispersi dalla guerra. Fui assunta, perché qui non c’è responsabilità ma solo impegno. Oc cuparsi di tonnellate di grano e di casse di peni cillina e di latte in polvere per moltitudini che non vedrai mai. Non è come seguire un bambino che ti cresce tra le braccia; tutte le vittorie che puoi riportare, sono tremendamente gelide e astrat te. Ed io non sono una donna astratta. Ma ho lavorato dodici ore il giorno ugualmente ed ho anche investito nella cosa tutto il denaro in mio possesso. Non sono certo soddisfatta, ma so di essere necessaria. Ora deve bastarmi. Sono grata ai milioni di fanciulli sconosciuti che non mi co noscono e che non mi ameranno mai. Vedo che tu piangi, Tony. Mi consola; vuol dire che non sei tanto cinico come vuoi far credere. Ma non voglio lacrime, non voglio pietà... desidero soltanto che tu finalmente mi comprenda. Non per me, ma per te stesso, e per Anna e per Filippo... Essi meritano di più di quello che tu dai loro. Essi non debbono pagare per noi... (Lunga pausa). Tony (con sforzo) — Andiamo a Orziéres insieme. Lucy — Quando vorrai. Anche domani, se sei libero. Tony — Lo sarò. Lucy •—• Hai l’automobile? Tony —■ Una vecchia Ford. Lucy — Va benissimo. Vieni a prendermi all’al bergo Lancaster verso le dieci... Stassera, se vuoi farmi un piacere, torna a casa: prendi tua mo glie fra le braccia e sii tenero con lei. Vedrai, an che a essere teneri, si impara... Tony — Vorrei che tu conoscessi Filippo. Lucy — Verrò domani, al ritorno da Orziéres. Gli porterò un giocattolo... Cosa gli piacerebbe? Tony — Un battello... o un treno meccanico. Sogna i viaggi! Lucy (sorride) —• Di già! In questo riconosco tuo figlio! Bisognerà che mi faccia bella, non voglio che la prima impressione della nonna lo deluda. Sarò bella solo per lui... (Si alza). Tony -— Mamma, quando me ne andai, alla fine di quell’estate, e ti domandai che cosa avremmo detto, se per caso, ci fossimo riveduti, mi rispon desti : « Ciao ». Lucy — Lo ricordo. (Si alza e lo abbraccia). Tony (con gravità) — Ciao, mamma! Lucy (felice) — Ciao, caro. .jyesrze. Alla prima rappresentazione di questa commedia, al Teatro Civico Fraschini di Pavia, il 19 dicembre 1959, le parti furono così distribuite: Laura Adani (Lucy Crown); Luigi Cimara (Oliviero Crown); Franco Grazioni (Tony Crown); Luisella Boni (Anna); Matteo Spinola (Jeff Bunner); Aldo Barberito (Jean); Alberto Carloni (Sam Patterson); Cristiano Minello (Tony); Manuela Andrei (Susan); Raffaele Orlando (il ragazzo); Laura Menegon (la ragazza); Renzo Rossi (lo studente). Regìa di Georges Vitaly. Scene di Tony Vargas. * Copyright Irwin Shaw e Jean-Pierre Aumont 1960. Le prime due foto di questa pagina le dobbiamo alla cortesia di Eligio Possenti e di Stefano Vittadini, direttore del Museo teatrale alla Scala di Milano, biblioteca Simoni. Tutte le altre alla squisita amabilità di Vera Vergani. VENTICINQUE ANNI DALLA MORTE DI D A R I O N I C C f ) '^R’Slt&io Simoni_ che /m Ihaeid , /tei i/e/nyheai '/y t/eio Gu¥f/fo /1 r - ¿ikU'U-e A l nostro cuore dolente, la sua storia pareva insieme fin ita e non chiusa, e alla sua vita senza vera vita e senza m orte pensavamo come una segreta e assurda speranza. Renato Simoni Sopra: Dario Niccodemi, giova nile. Accanto: Niccodemi e Vera Vergani al « Premio Bagutta » conferito a Bacchelli. Crediamo si tratti della prima assegnazio ne. Sono riconoscibili Biancoli, Vellani Marchi, Antonio (figlio di Niccodemi), Franci, Cantini, Folliero, Parenti, Vergani, Ser- Sopra: prima rappre sentazione (1921) di Sei personaggi in cer ca d’autore. Gli atto ri sono ancora « per sonaggi » ma la recita è finita e Dario Nicco demi posa con i suoi comici per la foto ri cordo. Ritroviamo con Vera Vergani, Giget- to Almirante, la Fri- gerio, Brizzolari, la Donadoni, Magheri, la Sanipoli. Cimarà non è nella foto, ma prese parte alla rappresen- zione.Sotto: Vera Vergani in viaggio verso l’A merica del Sud; uno, cioè, dei molti viag gi che la Compagnia Niccodemi, nella sua smagliante esistenza, fece quasi ogni anno. Luigi Pirandello e Dario Niccodemi, nel 1924, quando si rappresentava Ciascuno a suo modo. Appresso: Niccodemi con Vera Vergani e Sal vatore di Giacomo alla ripresa, da parte della Compagnia, di Assunta Spina. Accanto, piccola foto, i maggiori esponenti della Compagnia Niccodemi: Vergani, Cimara, Lupi, con il loro direttore. Si tratta di una semplice cartolina riprodotta con un modesto cliché: poiché a quel tempo l’arte si faceva sul serio, la pubblicità di una grande Compa gnia era tutta in quella cartolina. Poi sono ve nuti i rotocalchi e addio dignità reale e no. VENTICINQUE AN N I D ALLA MORTE D I D A R I O N I C C O D E M I Dario Niccodemi nacque a Livorno il 23 settembre 1875, ma ancora ragazzo si trasferì con la famiglia a Buenos Aires, dove iniziò i suoi studi. La sua prima commedia, “ Il dubbio supremo ” , è del 1900 e fu recitata da Teresa Mariani a Buenos Aires. Poco dopo scrisse in spagnuolo un altro lavoro in tre atti intitolato “ Per la vita ” , e contemporaneamente collaborò a giornali e a riviste. La sua passione per Parte drammatica lo indusse a lasciare la Capitale argentina per Parigi dove, con l’applicazione e lo studio, si mise in grado di scrivere una commedia in francese: la “ Rondi nella ” . Venne rappresentata con successo nel 1905 a Bruxelles dalla Réjane. Scrisse nel 1908 “ Suzeraine ” , che fu data al teatro Réjane di Parigi con vivo successo, e che fu anche rappre sentata in Italia nella tournée che la Réjane fece poco dopo. Intanto Niccodemi pensava a temi più forti e più vasti. “ Il rifugio ” e P “ Aigrette ” gli procurarono il trionfo. In Italia fu ancora Teresa Mariani a presentare “ Il rifugio ” , che rinnovò il successo pari gino, e Panno dopo fu la Compagnia Stabile del Manzoni, diretta da Marco Praga, che mise in scena P“ Aigrette” con Tina di Lorenzo, Febo Mari e Armando Falconi, con un esito grandioso e memora bile. Tanto “ Il rifugio” quanto P “ Aigrette” erano state scritte prima in francese. E anche i “ Pescicani ” , venuta subito dopo, fu dai Niccodemi rappresentata per la prima volta in Francia. “ L’ombra ” è stata la prima commedia scritta in italiano e ha avuto la prima rappresentazione in Italia nella interpretazione di Irma Gramática. Venne poi la “ Nemica ” , interpretata da Maria Melato, seguita da “ Scampolo ” , con Dina Galli, dalla “ Maestrina ” con Emma Gramática, dal “ Titano ” e dalla “ Volata ” con Ruggero Ruggeri, dal “ Prete Pero ” con Ermete Zacconi, dalla “ Acidalia ” con Antonio Gandusio e dall’ “ Alba, il giorno e la notte ” interpretata da Vera Vergani e Luigi Cimara. Dopo questa commedia, scrisse ancora la “ Casa segreta ” , “ La Madonna ” e “ Il principe” . Numerose sono anche le commedie in un atto, tra le quali “ Il poeta” , “ Scena vuota ” e “ Le tre grazie ” sono le più note. Il Niccodemi si interessò anche dei problemi e delle organizzazioni teatrali. Eletto presidente della Società degli Autori, col suo carattere conciliante mise pace nei contrasti fra capocomici e attori, fra autori e interpreti, e, oltre efficaci e utili provvidenze per il repertorio italiano e straniero, pose in opera, per iniziativa di Marco Praga, l’esazione dell’imposta teatrale per conto dello Stato, che s’iniziò nel 1921. Formò poi quella sua famosa Compagnia che con Vera Vergani e Luigi Cimara diede per un decennio spettacoli acciamatissimi in Italia e all’estero. A d d io , addio, povero amico che eri già lontano, chiuso in te stesso, inerte, con la volo n tà addormentata ma il pensiero e l ’im m aginazione desti e scon solati ! A Sabatino Lopez, recatosi alcuni mesi o r sono a visita rlo, nella sua bella casa d i L iv o rn o , aveva detto, guardandolo con occhi pieni d i gravità : « H o tante idee, tante idee ! ». E p o i, dopo breve pausa, in to n o p iù sommesso : « M a non posso lavorare ». D i quella che era stata, o ltre a ll’ingegno, la sua più grande ricchezza, cioè l ’intraprendenza, l ’ardim ento, la tenacia e la gioia calda, espansiva del lavoro, la m alattia l ’aveva im p o ve rito , e lo teneva appartato in un silenzio, ro tto da pochissime parole, tra i suoi cari, in mezzo ai suoi lib ri, dei quali aveva perduto la voglia, non l ’amore. E perciò, al nostro cuore dolente, la sua storia pareva insieme fin ita e non chiusa, e alla sua v ita senza vera vita e senza m orte pensavamo con una segreta e assurda speranza. Pochi, in fa tti, l ’avevano veduto inferm o. D a n o i se n ’era andato via col passo un poco appesantito, con in v o lto una taciuta sfiducia in sé, u n so spetto e uno sgomento della p ro p ria sorte; ma egli era ancora, sebbene p iù accigliato, l ’uom o d i prim a, con un che d i fiero e d i tim id o , bel signore irradiante la sim patia dall’aspetto, dai tra tti, dalla forza brusca e cordiale del talento, dal suo m odo spontaneo d i creare, sempre, in to rn o a . sé, una vigorosa e schietta e im prevista eleganza ; perché il suo spirito, il suo linguaggio erano o rd in a ti e avventurosi, precisi e o rn a ti; e tale è i l suo teatro dove l ’u rto delle passioni raggiunge talvolta la p iù teatrale brutalità, ma i personaggi appartengono per lo p iù alle p iù raffinate classi sociali, e se la parola rom pe, rude e scheggiata, nella cinica violenza, sa anche serbare, finché è abile scherma dialogica, il gusto un p o ’ libresco delle belle im m agini in fiore. Ecco perché d i lu i, che pure nel Rifugio e ne\YAigrette m ostra una singo lare audacia psicologica e verbale, non si può dire che fu un verista. I l baldo coraggio delle sue prim e clamorose v itto rie p iù che da ardore polem ico nasceva dal desiderio d i « far teatro » con forza e con rischio, non da osser vatore, ma da inventore, p iù che da indagatore d e ll’anima umana, da plastico ed eloquente m odellatore d i personaggi. E g li era uno d ì quei com m ediografi ricchi e sicuri che sorgono quando le battaglie per una scuola, per una form a o per una form ula, sono già state vinte, e le opposizioni sono cessate e le idee nuove ferm entano ma non com battono ancora. D a rio N iccodem i non conosceva le in q u ie tu d in i dei rifo rm a to ri. A veva vocazione, ingegno, passione, am bizione. Era giovine, dotato d i una pronta facoltà d i adatta m ento a ll’ambiente, voleva ordire tecniche, trattarle con maestria, farle servire alle sue im m aginazioni, che, per com piersi e attuarsi e risplendere, avevano bisogno dei fuochi della ribalta ; e dopo non lu ngo tiro c in io divenne uno dei p iù applauditi a u to ri dram ma tic i d i Francia con quei p rim i celebri la v o ri nei quali c’è la veemenza d e ll’as salto, un m odo d i gridare le cose dure e irrita n ti tu tto giovanile e appas sionatamente spregiudicato, come per provare che se alle p iù faticose e d iffic ili lo tte D a rio non aveva po tu to partecipare, aveva estro talento coraggio potenza p iù che sufficienti per esse. Poi, in piena fortuna, egli sentì che non poteva rim anere p iù lontano dalla Patria, e che, per vivere e per lavorare, g li era necessario parlare e scrivere il linguaggio dei suoi padri. T o rn ò in Ita lia come affascinato e dovunque andò l ’am icizia g li sorrise ed egli sorrise a ll’am icizia. Era un uom o giusta mente fo rtu n a to e giustamente felice. I l la voro g li dava tu tti i piaceri: p rim o , la volontaria reclusione nelle sue lucide stanze, arredate con n itid o fasto, dove rare edizioni e rilegature preziose, stoffe, quadri, cuoi, o ri, policrom ie temperate e armoniose, in ta g li e crista lli e ceramiche, facevano una quiete nobile e accogliente in to rn o a lu i; p o i, la curiosità e la sorpresa e l ’ebbrezza d e ll’idea che si precisa, del v ilu p p o dram m atico che si dipana, delle figure che si concretano, non con vacua facilità, ma neppure con stento, anzi con quel tanto d i fatica che trova, n e ll’espressione raggiunta, già un prem io, im padronirsi delle intrecci, e quelle chiare, incalzanti, esondanti effusioni lib e ra trici, che dopo le ricerche della penna restia la fanno correre sciolta e felice, lasciando dietro d i sé una conquistata ricchezza; e poi, ancora, al term ine dei g io rn i pazienti e delle n o tti laboriose, D a rio assaporava il d ile tto d i ricopiare le commedie com piute con la sua scrittura d ritta pingue e incisa che vinceva, per com postezza e proporzione, i p iù bei corsivi tipografici. E quasi ogni commedia era un festoso successo ; e se non lo era, prim a d i vacillare e d i cadere, in curiosiva il pubblico, lo interessava, lo sorprendeva. C i si trovava qualche cosa d i scenicamente solido ; se non una struttura perfetta, dei tra tti d i ec cellente architettura; e ci si sentiva, anche negli e rro ri, un vero autore d i teatro; e, oltre alla forza sonante del dram m atico e del patetico, un a rtificio d i grazia leggiadra nelle p a rti piane dell’esposizione e nella dipin tura degli affetti, che diffondevano la simpatia. Una sim patia non facilona, sperperata e procacciante, ma spontanea sana gagliarda e socievole, dava alle commedie del N iccodem i un clim a che temperava l ’asprezza delle « situazioni » e dei contrasti. Q uella stessa sim patia, se, come ho detto, era il segno caratteristico della sua personalità,, 10 era anche, p iù d i quanto appaia a prim a vista, d e ll’opera sua. L ’Ita lia m utò D a rio. A lla psicologia torbida e aggressiva delle sue com medie francesi, egli venne sostituendo una in tim ità delle anime p iù delicata, una tendenza a idealizzare l ’amore, e a porre al posto dell’egoismo delle passioni la sofferenza dei sacrifici, rivelando sempre p iù un desiderio d i d i segnare figure che, oltre alla sostanza drammatica, avessero anche una pos sibilità d i gesti m ora li e m ateriali associami, alla com m ozione, la bellezza. T ip ico , in questo senso, è il giuoco delle m ani della paralitica n e ll’ O c r a ; quelle m ani pallide nelle quali ella sente riflu ire la vita, e che alza con lenta e trepida angoscia finché le può vedere, non p iù m orte, ma animate, riflesse nello specchio. 11 rig o g lio della fantasia d i N iccodem i s’andava pacificando e ordinando n e ll’aura d i casa nostra. M a, d i tanto in tanto, la sua attitudine a inventar grandioso e perfino macchinoso, lo riconduceva verso il suo p rim itiv o teatro. Per uno d i questi rito rn i egli scrisse i Pescicani. V i campeggia un affarista, un avventuriero d i vaste p ro p o rzio n i che maneggia i m ilio n i e che, in tu tti i Paesi d ’Europa, ha lasciato fig li ille g ittim i e un gio rn o v u o l r i chiam arli a sé; una specie d i massiccio e arido creatore d i stirpi, figura m em orabile sotto il cui peso cro llò la commedia, forse per l ’incom piutezza della preparazione e d e ll’elaborazione; certo, p iù d i ogn i altra, m ira b il mente rappresentativa d i que ll’im m aginare rilevato, d i quel foggiare pode roso cui tendeva il N iccodem i che, non n e ll’intensità e nella profondità, cercava la sintesi, ma in un processo d i accrescimento esteriore. M o lte sono le sue commedie, ed alcune son p iù che m ai vive, d i quella vita che viene ad esse dal costante favore del pubblico. A ll’opera d i autore egli aggiunse quella d i presidente della Società degli autori e d i capocom ico; e la bella Compagnia che compose e condusse, con Vera V ergani e il Cimara e la signorina Rissone e il T ofano e i l L u p i e l ’A lm ira n te e i l B rizzo la ti e una schiera d i giovani valenti, rim ane, nel nostro ricordo, esemplare. Anche in questo campo il suo sp irito d i energica iniziativa, la sua fa ttiv ità versatile, il suo fe rtile ingegno, le sue floride e b rilla n ti esperienze, e la grande bontà, chiara, com pagnevole, solidale, che aveva una m irabile v irtù intonatrice e persuasiva, fecero m iracoli. Bei tem pi, tem pi d i serenità, con un solo to r m ento che avrebbe d ovu to essere am m onitore: l ’insonnia. Q uel caro, quel lie to D a rio , sempre p ro n to a entusiasmarsi per una bella chiesa, per una bella musica, per un bel lib ro , per un collega chè aveva scritto una buona commedia, per una intrapresa difficile ma generosa, que ll’uom o che non rinunciava a nulla d i quanto la vita poteva o ffrirg li, né alla solitudine del lavoro, né alle frequentazioni d e ll’am icizia, né alle feste, né al lusso, né alla devozione fedele, né alla stabilità, né al m ovim ento, aveva, talora, sul v o lto d i calda e scura carnagione, dei p a llo ri a rid i e stanchi, contro i quali reagiva il suo fervore d i attenzione e d i partecipazione a tu tto ciò che av veniva in to rn o a lu i. Era l ’insonnia accumulata d i n o tti e n o tti e n o tti, era il riflesso delle albe vedute senza aver chiuso occhio. M a, nella luce del giorno, egli ritro va va se stesso, il vigore, la volontà, la fede e si disperdeva e si p ro digava, scrittore, capocom ico, regista, uom o d i società, com pagno delizioso, am ico senza pari. Forse anche da que ll’insonnia fu preparato il cro llo che ce lo tolse ancora v iv o . Le sue forze d i resistenza parvero, a un tratto, d i m inuite, p o i annullate. N e i suoi sguardi c’era allora una tacita pena, una lunga interrogazione, e come una supplica d i essere compreso e perdonato se non lavorava più, se non sorrideva più, se taceva tanto spesso, se tanto spesso si isolava. E fu come se le sciagure, che la fo rtu n a per tanto tem po aveva tenute lontane, s’accanissero contro d i lu i, lo assalissero tutte. N o n 10 vedem m o più. A veva rinunciato a vive re ; forse aspettava, m uto, assorto, ricordando e cercando d i non ricordare, il sonno p iù lungo, povero insonne! Una fig lia g li era m orta quand’egli sembrava ancora felice e non lo era p iù ; e p o i tragicamente g li fu to lto il m arito dell’altra sua fig lio la ; e i l fig lio A n to n io ha perduto quando, per la sua stanchezza d i dolore, era, con il pensiero, certo p iù là, dove la sua creatura era andata, che q u i dove orm ai non lo possiamo p iù cercare. E n o i che vorrem m o, oggi p iù che m ai, evocare 11 N iccodem i che sorrideva alla vita, lo vediam o m entre guarda nella lo n tananza e g li pare forse che le pallide m ani d e ll’ O c r a s’alzino s’alzino, esili e trem anti, e lo salutino e lo richiam ino in va n o ; e ricadano. Renaio Slmonl ñ i m ñ w > ' d c o . 1 % ó ì M v l f ì ì W ê û W R j û y m J o : < k m > q u i d û s q u i w f a ' t i ¿ u # m ( S é o . r m e t À a m u > m v í v A a s A v i A ô l i & y i b o ^ c M â s w i m f r x ñ n / i m ' ‘p i n n r u v ê _ / M ^ r y i ô ( p m '& t n t n U a , v w s f a & iU & J q A / } u n i c « f j n x p v i m e f w u î > £ m o 1 2 w u 4 v î l / u a ^ w é h ' o ü & M l y í (L d i ' n m k . c e fa - v db p y iM A /V h u n n v d ( n ^ u i ^ J - A ^ u r u i L j u . k n u u M U o < l c h i M t i l e l & A M n t f c U a c e c ç U 'e w M p o i c e r i d d t m t f c e l u u ì i . t v u e u d t ¡ i c h e - i o M i P n t p & f M A V ¿ L H j d T X i i d i à t C O u h a S v e o n k t & P i t jd v c h ie c h i M i ' m . f f x & i M . y w f r l c . d U . C M b ' a í d í M e ^ V S h e t u m e f o i . I d i i K A f r ñ w e W h cmcinaM.â e m M f a . l e ¡ r u e h i f r e C c y i f r c ^ u i t W H - f i w i m a - v u r t u i M , S a ^ ñ . d i ' p w u M u , m m d i ' e h i ù f > % { t d t f r u f i f r t l d g d M Í h i n ñ k & & W m i g l i V ' ■ c j w m f o ù w x t d U c c i w f L C t f i M r A l o j c u v i 1* - i u u . S i m c c i a . S a ' & M h M U j n d i ' m i i d i l l i m m Ñ v w u x M e i M i e . < u m n u k > w ' c & t A u A a , f i o k m i l à l t m a i l c i c M i o & u f p U U M M W M dÜk.M A m / K M \ M A ’ h i W M ò o i v d i i U à i ï J d u , m o k e , ¡ e a u l i m m o S c i d t & h i w - d e a J w { l ò m & A o t i n w Æ l v à c i d o n ù u ± & < n ' I n k m $ m o & f a m i c f a A o . £ f a ^ ¿ c d b i f a t t i S C u o ì ( h d i À f ì / h n u í o . S f a j m i i l m i o n t d l t • t t u t u c a , i f f r u e n \ à U i p v i b l m / f r 4 > o c d i ^ p c u e i / b - ì lx n v p e r n o h t c e d A t - * l a . I K ê W k , d t â U ( M V C M M & u d o ¡ d V W O ( B i f U t t i t u À w f t l f a i ? f a , d e * f e t H b àfauL n t m , é v b a ì c ^ w l ^ P t u i ï o c e n t i w * l p ù A A M t ( f u j n j v u & M ; e U t t i e n h n i c u i U ' ¿ a p w ( * c, r m ' f n v i t c h e /¿ L / W O t n t f t Ç a ' c t g w u f t , O W k l C p l W t d o VW\ fa C C C lg O Ù ) d j M v t n i i f U M t t M / t v i j p M / C f a d i '( p i ( M e o p & w u t f r i n i r t i m i a d ì < A M e n t i i n d o / 'a m e n e e H ì M t x . l e t ( p e c u l i * Ï Ï M (S fa JW i à u t l f a n t m p i n f o ‘ t k t p c A L ¿ f w i M d e , ¿ r à d e I w p e r n a d a & u k ( a l é u > i P u b d t o ¿ p t i M t n i k n f à , t # , l é u v a M n f a c c v o e a M e fa te ‘ e ¿ ¡ U b i- I m t r w e t , z f e m w u d i l l e s c d u J u w w ^ d f à i ‘ „ P o j y h i n > , e d e n v f a w i i o ^ u i & t v ^ o ¿ U < n v t d i n t í m a u c & h t t w " C L W u Â û A f à , e u f y t f h ï Ç w ü i , - f A t / i ^ w A k ) : v i d ' i i m i H m m A o , M f p m » ( f lC M ^ lt ? j M f t u d o < U ¿ c p r f l M M * M O * H lA M O lA C m { c î ) æ ü i / t f l n r f U ic ir f iÁ r f L ¿ t ^ í^ u a P i, ¿ jM t iy h ( ñ u t í i c m i ' ( M c i v i f c « H fH W H H U A ^ t g i f y ) A \ \ M J ) v @ íl¿ - p l C / t i b Z & V T ti f y i d i M Á t i , t l ' a n i w ü m A w í v m C f z i M e / t y * m A ^ a u m ^ £ f î t m t g v m , C * m i i f t i / x . { m v \ Q C fo n à n c e & h i c ^ ñ M - d v f r i ' J i t e h f t v & u u % f U a ^ ' M H t M L U k M A . a u r t ^ O W ' W C i4 M í if f > V M ^ A J ^ f f u r n i : ¿«. t f 'k * " - ¿ - c í í / í x - $ A ¿ /w> ¿ * c W < 3 4 4 ü í d U w v e n ¿ > . yy P f z f a ' p u r y m h n v m * ' à v e g l i o m , m w u c p í a c í l hvmwdvt ù ïïbnm t k . j u j f i i h í - ¡ v m í W U - c íp m x - ç u d t & ' 9 < M - - / u > u w k > t i w r f w M ¿ e n e ¡ W Y C h t - 9 í n w ¿ i q p e w i v b Noia aita ietterà pubblicata in fac-ssmiie La Compagnia Niccodemi ha ottenuto grandi successi all’estero. Niccodemi aveva trascorso parte della sua gio ventù a Buenos Aires dove aveva conosciuto Gabriella Réiane, la famosa attrice francese che era arrivata in tournée. Egli aveva già scritto qualche lavoro dramma tico e faceva anche il critico drammatico in un giornale locale. La Réiane simpatizzò col giovane teatrante che era vivace, intelligente e affascinante; ritornando in Francia lo portò con sé come segretario. A Parigi egli scrisse per lei Suzeraine che è stato il primo successo europeo di Niccodemi. Ma quando scrisse questa lettera era già rovinato dal male. Un’encefalite letargica l’aveva colpito. La vivezza dell’uomo si era spenta. Lottava con la sua forte fibra, ma calava lentamente e inesorabilmente di forze. Nel 1930 la Compagnia diede la sua ultima recita al «.Manzoni» di Milano con La figlia di Jorio. Serata di congedo anche per Vera Vergani che aveva deciso di la sciare il teatro per sempre. sento la profonda pietà delle tue parole. E’ il divino dono dei poeti di dire in una parola tutta una vita o anche tutta un’eternità di sen timenti semplici come quelli che oggi mi tor nano nell’anima. Avevo bisogno di scriverti un po’ quel che c’è d’imponderabile in quest’ora della mia vita. E avvicinandomi a te, Renato, mi sembra di riavvicinarmi a tutte le cose buo ne, care e chiare della mia tormentosa esisten za; e mi fa bene; e te ne ringrazio con un ab braccio augurale per la tua felicità, per il tuo lavoro che racchiude tutta la tua felicità. Sal ve, Renato! Buon anno! Buon anno! Dario La lettera si riferisce alla memorabile commemora zione di Renato Simoni del pittore Angelo dall’Oca Bianca e del poeta dialettale Berto Barbarani, coi quali egli aveva trascorso la giovinezza. Ore liete vero- La lettera accanto, pubblicata in fac-simile — di Dario Niccodemi a Renato Simoni — è un documento di tale nobiltà (umana dolorosa fraterna, sublime nel dolore, pietosa nella disperata invocazione di conforto) da lasciare perplessi ed ammirati nel ricordo di questi Uomini, che un tempo — quello che ci ha preceduto ed al quale noi che scriviamo abbiamo in parte partecipato — formavano la parte eletta della Nazione. Non è certo il luogo, questo, per polemizzare; ma rimpiangere, sì, nell’inesorabile paragone che sorge spontaneo nel giudicare le due generazioni — passata e presente — pur così vicine ed ormai tanto amaramente lontane. Ma se le parole di questi Uomini potranno giungere al cuore di qualcuno che non sa o non crede, il nostro compito, nella memoria di essi, ne sarà pago. Le lettere di Niccodemi (qui riportate per la prima volta, perché anch’esse formano quel patrimonio grandissimo di documenti lasciati da Simoni a Ridenti) recano, in calce, piccole note dovute alla cortese compilazione di Eligio Possenti, vivente esempio di esem plare rettitudine, di rispetto, di appassionato fervore, di amicizia fraterna, che a Simoni fu sempre vicino, come è risaputo, e di Niccodemi, come d’altri commediografi e letterati, fu testimone nei rapporti con Simoni. Lettera con busta - Espresso - Renato Simoni - Cor riere della Sera ■ Via Solferino, Milano. Hotel d’Europa - Torino, 1° gennaio 1922 Questa è la prima lettera dell’anno nuovo; ed è per te, mio caro Renato. Ti mando ancora tanti auguri e sono i migliori, con quelli alla mia figliola che tra poco farà il tremendo passo del matrimonio. Dopo queste righe scri verò anche a lei; così le due migliori e più tenere espressioni del mio spirito sono riunite in un solo pensiero. Ieri terminai un articolo per un giornale di Buenos Aires; e rivivendo, mentre lo scrivevo, la giornata di Verona ho riudito, intiera, in tutta la sua smagliante freschezza, in tutti i suoi colori ed in tutte le sue commozioni, la tua meravigliosa glorificazione della tua città e dei due fortunati che ti ebbero tanto vicino alle loro anime e alle loro opere. « Io credo prima in Dio e poi nelle madri ». E oggi che son qui solo con una lettera della mia bimba che, liricamente, mi dice la sua speranza, e che penso a mia madre che cullò tanto quella stessa bimba che ora prende il volo pericoloso, non puoi sapere, caro Renato, con quanta forza nesi, di tre ingegni fervidi e lucenti. E’ in quella commemorazione, splendida di motivi e di impeti, un atto di adorazione per la sua città nativa. Ha scritto in quella occasione pagine di immenso amore filiale fondendo in un unico amore la madre e la città, per sé e per i suoi due grandi amici. Con busta - Espresso - A Renato Simoni - Corriere della Sera - Via Solferino - Milano - Data del timbro postale di arrivo 20 aprile 1922. Via Mentana, 6 - Roma, 18 aprile Grazie, caro Renato mio, del tuo buon pensiero per me. Vorrei avere il tempo di scriverti una lettera chiara e interminabile come la nostra amicizia; e che fosse, quasi, un testamento — ma non posso — « Mila di Codro dal collo di cigno » come d’Annunzio chiama Vera, tace, esausta, dopo il tremendo sforzo. Ho dovuto sospendere le recite de La figlia di Jorio per la totale afonia dell’interprete veramente trion fante. E puoi facilmente immaginare in quale groviglio di difficoltà io mi dibatta per rime diare a questo gravissimo guaio. I medici dico no che Vera dovrà tacere per una settimana e io, per una settimana dovrò fare un miracolo al giorno per mandare avanti la baracca, decoro samente. E, figurati, che io mi ero promesso un breve riposo dopo La figlia di Jorio!! Peccato che tu non sia stato l’altra sera alla prima recita. Forse avresti avuto qualche mo mento di vero godimento e avresti meno deplo rato la mia « diserzione ». E’ stata una bella se rata che il messaggio di Gabriele d’Annunzio illuminò meravigliosamente. Io non sono scon tento del risultato. Non avevo mai visto la tra gedia rappresentata; e mi sono lasciato guidare dal mio istinto che fu efficacemente aiutato dai consigli, puoi immaginare quanto preziosi e pre cisi, di Gabriele. E il pubblico fu d’una magni fica generosità per lo sforzo proprio sovruma no di questi ragazzi non abituati a quel teatro e che diedero una bella misura della loro adat tabilità. E ora, avanti! Oggi, dovrei essere stato a Milano perché nel programma di quel mio breve riposo c’era un viaggio a Milano. Ma verrò presto e tu devi organizzarmi un ban chetto... ma dalla signora... Un banchetto per noi soli; per chiacchierare tanto e mangiare tanto e bere tanto; e per dirci « addio » prima della mia partenza per l’altro mondo. Vuoi pro porre questa festa alla signora...? Vorrà? Mi farebbe tanto tanto piacere. E parleremo anche di Dario Niccodemi ex-autore drammatico. E ti dirò il dramma proprio angoscioso della mia coscienza. Tu che sei tutto coscienza e tutto fierezza, mi capirai e, forse, mi approverai. In tanto ti bacio con tutto il mio cuore che è per te sempre pieno di tenerezza. Dario Scrivimi ancora. Figurati che l’ultima tua let tera l’ho letta da cima a fondo senz’aiuto di nessuno. Chi nega il mio genio è una bestia! Dario Il successo di Vera Vergarli nella Figlia di Jorio ha dato modo a Renato Simoni di scrivere un bellissimo articolo sulla tragedia e sulla interprete. Nella postil la il Niccodemi si fa vanto d’essere riuscito a decifrare la quasi illeggibile scrittura dell’amico. Lettera con busta - Recapito a mano - A Renato Simoni - Via Stella, 44. 7 del mattino Non so che cosa dirti, Renato. Vera dorme beata e non sa la consacrazione delle tue pa role. Io ho letto ora il tuo articolo; cioè l’ho riletto perché la prima volta piangevo e non potevo leggere bene. Ti abbraccio per non dirti altro, per non fare delle frasi. Grazie, Renato. Bisogna avere il tuo ingegno per potere avere la tua generosità. Ti abbraccio tanto Dario Simoni abitava in via Stella, diventata poi via Corri- doni. La lettera riguarda l’articolo di Simoni dopo la prima della Figlia di Jorio da parte della Compa gnia Niccodemi (1922). Senza busta - Senza anno. 7 gennaio Mio caro Renato, non ho potuto rispondere su bito alla tua buona lettera perché in questi giorni non sono stato bene neanch’io. Un po’ di malinconia. Niente. Vorrei saperti rinfran cato e rasserenato. Un giorno tra i tuoi giorni travolgenti mandami a dire che la nebbietta che aveva lasciato nel tuo spirito la breve ma lattia è completamente dissipata. Ma, per ca rità, non crederti obbligato a rispondermi ogni volta che ti scrivo; perché ho l’intenzione di scriverti spesso per essere sempre vicino a te. Quando ti capita un quarto d’ora o troppo vuoto o troppo pieno, allora mandami un rigo. Mia figlia fidanzata si chiama Amalia; il suo pro messo sposo si chiama Carlo Durbé, livornese anche lui, buon ragazzo, serio e delicato. Del l’avvenimento te ne avvertirò a tempo; e figu rati l’immensa gioia che farai a quei due ra gazzi con una parola del tuo cuore. Te ne rin grazio tanto fin da ora. La nostra stagione qui oltrepassa tutte le spe ranze e tutte le previsioni. Tutti gli spettacoli sono piaciuti. La stampa è stata di una affet tuosa cordialità; e Domenico Lanza stesso ha avuto per la Compagnia tutta, ma, specialmen te per Vera, delle parole che non sono nella sua consuetudine critica. Ora lavoro accanita- mente per preparare i quattro mesi di Roma e, forse, potrò raggiungere lo scopo che mi sono prefisso di fare su dieci, nove lavori italiani. Ti terrò informato di tutto; sei stato così buono, così incoraggiante e così augurale per noi che, spiritualmente, sei un po’ il buon nume tute lare della Compagnia. Ogni sera, mentre si recita, io in questo angu sto sgabuzzino lavoro un po’ alla mia comme dia; e lavoro anche a quei ricordi di vita pari gina che vorrei darti per la Lettura. Quando ne avrò scritto un discreto numero di pagine te le manderò; e tu giudicherai se valgono o no, d’essere pubblicate. Ti prego di tante cose affettuose e care per la pignora... e quando mi scrivi non dimenticarti di ricordarmi il suo indirizzo che sempre mi sfugge dalla memoria. A presto, caro Renato, Vera ti abbraccia; io più di lei. Dario Dario Niccodemi allude ad una commedia che stava scrivendo e che v’è ragione di credere si trattasse della Casa segreta che con La Madonna e II Principe costituisce il gruppo delle ultime tre commedie dello scrittore. Le tre commedie citate, furono rispettiva mente rappresentate nel 1923, nel 1927, nel 1929. Senza busta - Senza data Modena, Hotel S. Carlo, sabato 6 Speriamo, caro Renato, che la tua volontà e le tue troppe occupazioni ti permettano di mantenerti nei proponimenti di cui mi parlasti l’altra sera, con immensa mia gioia. Figurati con quanto e quale fervore lavorerei se lavo- rassi con te, se le nostre due forze potessero unirsi per fare una vera commedia, cosa che da tanto tempo non brilla nell’orizzonte tea trale italiano. Sarei oltre ogni dire felice. E so no sicuro che riusciremmo a far qualche cosa di veramente, di onestamente e di artistica mente italiano. Pensa all’argomento che ci pen so anch’io. Se la mia « Madonna » non fosse tanto inoltrata ti proporrei questo caso dram matico ricco di risorse. Ma sono troppo avanti e la tua personalità è troppo marcata per en trare tardi in una collaborazione. Ma argo menti ne avremo quanti vorremo averne. Non è questo che mi preoccupa ma la paura che tu, preso e stiracchiato e lacerato da tutte le parti, non possa realizzare quello che, certa mente è ora nel tuo desiderio. Fai uno sforzo, caro Renato. Io me ne andrò in aprile. Ab biamo quattro mesi dinanzi a noi. Possiamo fare molto, forse tutto. Ma non lasciar cadere questa tua buona e bella ispirazione. Sarebbe peccato. Aspetto Bianchi per dirgli la propo sta che deve fare alla casa Sonzogno e cioè, ventimila lire di premio definitivamente acqui sito e diecimila à oaloir sui diritti dell’opera di cui faremo il libretto. Credo che vada bene così, no? Se vuoi scrivermi qualcosa, lunedì sarò al Teatro di Reinach di Parma. Saluta af fettuosamente la buona la sempre più cara signora... Sappimi dire presto qualcosa di Vero na. Un abbraccio con tutto il mio affetto. Dario In uno di quei momenti di entusiasmo che capita vano al Simoni, questi uscì a dire a Niccodemi che avrebbero ben potuto scrivere una commedia in col laborazione. L’idea era ottima: un poeta come Simoni ed un commediografo come Niccodemi avrebbero tratto dalla unione e dalla intesa dei loro diversi, ma splendidi talenti, un’opera di prima qualità. Renato Simoni era preso, ogni tanto, dal desiderio di tor nare a scrivere per il teatro. Vagheggiava anche un tema che gli sarebbe piaciuto di svolgere: il tema dei morti che dominano i vivi, degli assenti che sono setnpre presenti. La commedia avrebbe dovuto far sentire questa presenza degli assenti. Ce ne aveva parlato parecchie volte, ma aggiungeva sempre che era un tema troppo alto e difficile per diventare quel la grande commedia cui egli aspirava. Come è noto, aveva smesso di scrivere per il teatro il giorno in cui Luigi Albertini lo nominò successore di Giovanni Pozza alla critica drammatica del « Corriere della Se ra ». Né scrisse mai la commedia che aveva pur pen sato. e neppure attuò la collaborazione con Niccodemi, sebbene questi più volte insistesse con lui per indurlo a lavorare. Ma già con La vedova, Il tramonto, Il congedo e il Carlo Gozzi si era collocato nella schiera dei migliori autori drammatici italiani, ed era ap punto tra i privilegiati che potevano contare con quattro commedie, quattro capolavori. Del resto, se non ne ha più scritte di proprie, quante ne ha cor rette; quando un amico gli raccontava la trama di una commedia egli la commentava, e commentandola, si infiammava e, infiammandosi, inventava personaggi, situazioni, approfondiva caratteri, creava di sana pian ta una commedia diversa da quella che l’autore gli aveva esposto, ma talmente più bella, che quello se ne andava illuminato e sgomento. Senza busta - Senza data Comme, dans ton absence, Modena - Hotel S. Carlo, domenica 7 Mio caro Renato, scusa se ti scomodo ma sco modarti per quello che sto per chiederti è un principio di collaborazione. E che sia di buon augurio. Vuoi farmi il piacere di tradurmi in versi ita liani questi versi francesi di Andrea Chénier? Sono nella commedia di Bernstein che sto tra ducendo [La galerie des glaces) e ho paura di renderli male. Eccoli: Oh, que n’ai-je moi seul tout l’éclat et la gioire que donnent les talents, la beauté, la uictoire, pout fixer sur moi seul la pensée et les yeux; que, lo in de moi, ton eoe ur soit plein de ma [présence Ton aspect bien aimé m’est présent en tous [lieuxl Sono pochi e per te sarà fatica d’un momento. So che di momenti liberi ne hai pochi ma spero che vorrai farmi questo piacere tanto più che si tratta davvero di una commedia piena di dignità artistica e di reale valore intellettuale. Mandami la tua traduzione al Teatro Reinach - Parma, dove sarò da dopodomani. Spero che avrai ricevuto la mia lettera precedente. Ti abbraccio toto corde Dario Tutte le volte che Simoni poteva fare qualcosa di utile per il teatro non si faceva pregare. Era un cri tico — un grande critico, il migliore di tutti — ma era anche un artista. E amava il teatro non soltanto come studioso, ma altresì come creatore. Amandolo, non lesinava il suo aiuto alle rappresentazioni. Spesso accettava di soccorrere i capocomici nel mettere in scena i lavori. La sua esperienza di regista l’ha com piuta così, con interventi generosi e amichevoli, nella preparazione degli spettacoli, sempre in sordina, sem pre anonimamente, da compagno tra i compagni. Sol tanto quando si sentì padrone del palcoscenico come regista, così come lo era stato come commediografo, accondiscese all’incarico ufficiale di curare la regìa di uno spettacolo col suo nome sul cartellone. Ma anche in questo caso sempre gratuitamente. Il che in un mondo di arruffatori è un esempio luminoso. Lettera con busta-Espresso - A Renato Simoni - Cor riere della Sera - Via Solferino, 28 - Milano - Data del timbro postale di arrivo: 25 novembre 1924. Roma, 24 nooembre Mio caro Renato, non puoi sapere che grande affettuoso avvenimento sia stato per me la tua lettera. E non puoi sapere perché, forse, non sai neanche quanto accorato stupore c’era in me fin dalla nostra ultima stagione di Milano. T’ho sentito distante, tanto distante! E sicco me nella mia coscienza non c’è ombra neppure lieve sull’amicizia che ho per te, mi sono tanto scervellato per indovinare le cause di questa specie di distacco che ho sentito proprio fisi camente, che ho sofferto come una diminuzione dei valori spirituali della mia vita. Ho cercato e non ho trovato né cause, né ragioni. E se tu sapessi davvero come e quanto ti voglio bene, come ti sono fido e devoto, non troveresti esa gerata l’espressione di questo sfogo che mi fa bene. Dunque, benedico la tua lettera, perché mi solleva un po’ dall’avvilimento di cui pati sco in questo momento per quel che accade in Italia, in questa Italia che rendono ogni giorno più irrespirabile, dove pare ormai impossibile che l’uomo ridiventi rispettabile all’uomo, dove tutto crolla... Che delitto! Che delitto, caro Re nato. Ma lasciamo l’Italia e parliamo di Ve rona. Sai che sono come te alla catena corta, schiavo di tutto il lavoro e di tutte le respon sabilità che pesano sulle mie spalle. Credilo, non respiro più e l’accanimento della mia vita diviene ogni giorno più feroce. Ma a qualunque costo farò per te, per Verona e per gli orfani di guerra, quel che mi chiedi pur sapendo quale povero parlatore io sia. Mi preparerò. Tutto è questione d’epoca. La stagione di Mi lano sarà pesantissima e non potrò abbando narla d’un’ora. Potrei fissare questa conferenza per la fine di febbraio o per i primissimi giorni di marzo? Siccome nella lettera del Presidente della Deputazione Provinciale di Verona non mi si fissa una data vorrei sapere se quella che propongo è possibile. Informati; ma non scrivermi qui. Domani parto per Genova e spe ro essere a Milano venerdì o sabato. Potremo, dopo di esserci riabbracciati, parlare di tutto. A presto, caro Renato. Tanti buoni saluti in torno a te. Un buon abbraccio Dario Tra Niccodemi e Simoni era insorto un malinteso non ricordiamo per quale precisa ragione. Probabil mente la causa dev’essere stata qualche commento al suo atteggiamento critico verso un’attrice straniera che aveva iniziato le sue recite in Italia nell’anno pre cedente. I soliti maligni avevano riferito malamente. E’ chiara anche l’allusione al delitto Matteotti che aveva inorridito tutta l’Italia. Senza busta - Senza data Domenica 9 Mio caro Renato, mi dispiacque tanto non aver ti salutato e ringraziato prima della tua par tenza. Lo faccio ora. Il tuo articolo sereno e generoso, mi è stato di gran conforto. Non fu una buona rappresentazione quella dell'altra sera. Vera e Cimara, impressionati fin dal prin cipio dalla riservatezza quasi ostile del pub blico, abituati com’erano, ad averlo simpatico fin dalle prime battute del lavoro, non recita rono bene; divenuti nervosi fecero quel che fanno tutti gli attori nervosi: eccederono, oltre passarono la misura, calcando le tinte con in solite intemperanze vocali. La commedia ne soffrì; e io più della commedia; la quale, se ha un merito, uno solo, è quello di una grada zione logica degli effetti. Queste cose tu le hai certamente capite e ti ringrazio, per me e per gli interpreti, di non averle dette. Se tu fossi stato in teatro iersera, alla seconda recita, avresti avuto ben altra impressione tanto del l’insieme quanto dei particolari del lavoro. Iersera il successo fu, per lo meno, triplicato. Tra scena e pubblico si stabilì subito la con cordanza simpatica che mancò quasi totalmen te la prima sera. Pazienza! Del resto, tutta la critica — eccettuato l’Albini — è stata rispet tosa e benevola. Ho, perciò, la speranza che si farà una discreta serie di repliche il che mi permetterà di dedicarmi con calma a La Mo- rosina di Fraccaroli e a La distanza di Lopez. Spero che nella settimana che incomincia do mani, Vera ed io troveremo un giorno per ve nire a Viggiù. Non puoi sapere come e quanto lo desidero, ne ho bisogno; e Vera ne ha più bisogno. Ha i nervi stanchi e la fatica, non improba ma durissima di questi otto mesi di lavoro hanno un po’ sciupato la gioviale sere nità della sua giovinezza. Ed è un vero pec cato. Così sono certo che una dozzina d'ore nella luce e nella calma del tuo eremo, le fa ranno un gran bene. E noi potremo parlare seriamente di tante cose. Non fare una com media, ora che ne abbiamo parlato, sarebbe proprio come bruciare un tesoro. Bisogna farla, e presto. Leggo commedie italiane, francesi, spagnole, inglesi e, davvero, non c’è nulla o pochissimo. Una desolata miseria di idee, una assoluta mancanza di fantasia. Credilo, non è vana presunzione pensare che noi due possia mo fare una bella commedia italiana sana, so lida, divertente e che aderisca potentemente allo strano momento intellettuale che viviamo, specie in teatro. Se tu lo vuoi davvero io lo voglio con quanta forza e fervore sono in me. Decidiamoci. Bacia le mani della signora... Ti abbraccio col l’augurio di mille tordi al giorno. Dario Ieri, di tordi, ne mangiai otto! Squisiti, deli cati, prelibatissimi! La commedia di cui si parla in questa lettera è La Madonna che non ha avuto un successo caloroso. Piuttosto di stima e di simpatia che di convinzione. Quanto ad una eventuale collaborazione tra Nicco demi e Simoni era più il primo che il secondo a tenerci. Non se n’è poi fatto di nulla appunto perché Simoni ha lasciato cadere la cosa. A Simoni accadeva di partire entusiasta con un progetto di lavoro e di dover poi rinunciare a causa di molteplici impegni al « Corriere della Sera » che lo obbligava in ufficio dal mattino alla sera. La Morosina di Fraccaroli ha avuto pieno successo; La distanza di Lopez non è pas sala trionfalmente. Un momento dell’ultimo atto ha suscitato qualche mormorio da parte del pubblico. E lo si capisce se si pensa che l’argomento era audace, a quei tempi, e dinanzi ad un pubblico qual era quello del Teatro Manzoni di quegli anni. A T T U A L I T À E V E R I T À 0 3 I B S E N Che Ibsen fosse la prima voce rivoluzionaria del teatro europeo toccò a Benedetto Croce — dopo il famoso saggio — sottolineare in una lettera a Piero Gobetti di quarant’anni fa. E Gobetti aveva, nel suo esercizio di critica dram matica, già rivendicato al norvegese un’aura di perfetta solitudine fuori dal clima positi vistico e dalle licenze che con i suoi testi si prendevano gli attori veristi. Poiché Torino fu forse la prima città italiana dove Ibsen trovasse presto corrispondenza e un certo in tendimento (sarà doveroso ricordare nell’oc casione i precedenti d’una interpretazione se ria di Ibsen, quale fu quella del critico Do menico Lanza, le cui cronache duole che non siano mai state raccolte), salutiamo compia cendocene la stampa di 1 Drammi di Henrik Ibsen nella traduzione di Anita Rho, che è la grossa strenna dell’anno 1960 dell’editore Einaudi: tre volumi di oltre 2400 pagine com plessive, con 24 riproduzioni di opere di Ed- vard Munch, il pittore norvegese al quale i temi dell’amore, della passione e della morte erano familiari e che dopo il 1890 si pose, nell’estremo nord, come campione di un sim bolismo nebuloso, a sfondo pessimistico, che traduceva in termini drammatici, di angoscia gelosia e disperazione, i teoremi letterari dei simbolisti francesi. Tra le tele, i disegni e le incisioni di Munch ci aggirammo qualche anno fa in una sezione della Biennale di Venezia: e veramente ci sembrò un incontro da segnare tra gli acquisti favorevoli di un lungo periplo culturale. Oggi che ritroviamo Munch appa iato a Ibsen, con acqueforti, litografie e inci sioni in legno provenienti da gallerie norve gesi e austriache, possiamo agevolmente rico noscergli una posizione di puntualizzatore di particolari atmosfere nelle quali il chiuso mondo spirituale ibseniano ha la sua contro- partita grafica, non priva naturalmente di sot tintesi polemici, e tuttavia risonante come un grido di sofferenza, iterato e diluito in suites di immagini dalle quali dipende la intima con cordanza della visione del pittore con la con cezione ibseniana della vita come costante an tinomia e conflitto di bene e di male, di ve rità e di menzogna, non risolvibili con i sem plici mezzi umani ma intanto definiti e denun ciati con la intransigenza di un moralismo assoluto e con le intuizioni della poesia. Se fu la Francia la prima nazione latina ad accogliere e intendere (e magari, allora, a fraintendere) Ibsen, spetta all’Italia il merito di essere arrivata buona seconda e inoltre li bera da presunzioni e prevenzioni di corrente e non incline ad irreggimentare il norvegese in movimenti artistici e in fatti di moda lette raria, ma ospitale e serena, e sede propizia- trice, per lunghi periodi, delle meditazioni e del lavoro di lui. Studi (l’Ibsen di Slataper, scritto alla vigilia della guerra del T4 e pub blicato più tardi da Arturo Farinelli in una sua biblioteca europea, è un saggio tuttora consultabile), traduzioni di valore diverso e quasi tutte di seconda mano, ma alcune con dotte sugli originali e degnamente presentate (citiamo l ’Ibsen della lite, 1945), ricerche, ricordi, commemorazioni, rappresentazioni, un ritorno appassionato della Duse « dotata di antenne straordinarie » come diceva Lugné- Poé riconoscendole una sorta di primato ibse niano : ecco alcuni momenti della fortuna del l’autore degli Spettri il quale nel nostro paese scrisse i poemi di Brand e di Peer Gynt — in cui con un po’ di buona volontà si potrebbe riconoscere un esempio di sincretismo nordico mediterraneo — in quegli anni 1866-67 che furono tra i meno tormentati della tormen- tatissima esistenza sua. Tutto ciò è raccontato molto bene in quella somma di vita morte e miracoli ibseniani che è l’edizione critica fran cese (Plon) curata da P. G. La Chesnais in sedici volumi la quale comprende anche gli altri scritti di Ibsen (poesie, prose, ecc.) ed è accompagnata tomo per tomo da ampie in troduzioni, commenti, cronache, bibliografie e via discorrendo: insomma, una specie di debito pagato, quel debito della cultura occi dentale verso Ibsen del quale Georges Bran- des, vivendo l’autore, già precisava la portata in termini di entusiasmo, collocando l’influenza universale di Ibsen sul medesimo piano della influenza di Nietzsche, pur senza risolvere l ’equazione : « Più difficile è rispondere alla questione di sapere quale dei due ha eserci tato l ’infìuenza più profonda e decisiva sulle anime contemporanee e quale resterà più a lungo celebre ». E’ un problema critico tuttora aperto: quel che è sicuro è che dal teatro di Ibsen ha preso le mosse il dramma europeo contemporaneo e che si può non amare Ibsen, e proprio per le ragioni messe innanzi dal Brandes, di astrattezza nordica e di rigore mo ralistico luterano, ma occorre riconoscere che gli equivoci iniziali sono tutti risolti, le for mule provvisorie cadute e che la statura del protagonista sta «oltre l ’amore». L’opera di Ibsen non ammette soluzioni frammentistiche, continuare a dividerla in drammi romantici e popolari, in drammi nazionali, in drammi sto rici e sociali e simbolici e idealisti è una con venzione che non spiega più nulla. E, come ammise recentemente un critico inglese, né la precisa ambiguità del paradosso, né l ’am bigua precisione del simbolo possono in ul tima analisi distruggere la complessa unità dell’arte ibseniana: essa è irriducibile. Adesso la edizione Einaudi aiuta a riprendere il discorso sulla posizione della cultura ita liana verso Ibsen, il quale è tutto, come inte riorità, nella sua opera: in quanto, per dirlo con parole sue, vivere significa combattere contro gli spiriti maligni di se stesso. E aiuta con una ventina di pagine introduttive assai belle di Franco Antonicelli; egli respinge le sottigliezze (o i pressappochismi) della identi ficazione delle fonti e degli influssi, e punta su Ibsen come militante della vita etica alla quale l’arte sua era indissolubilmente con giunta, ciò che non esclude che ci fosse in lui un reale talento d’artista (questo va ricordato a coloro che sanno di Ibsen una cosa del tutto erronea, che svolgesse nei drammi alcune tesi : « Le grandi bellezze riappaiono da sé, appena uno apre queste pagine... ma le piccole verrebbe voglia di additarle a una a una... »). I problemi ibseniani hanno per duto d’attualità? Lo afferma l ’Auerbach in Mimesis, attribuendone la causa al mutamento avutosi dal ’14 in poi nella condizione sociale della borghesia e agli sconvolgimenti portati dalla crisi mondiale. Antonicelli giustamente risponde che intanto Ibsen va letto come un classico, e poi che in Ibsen non vanno cercate le soluzioni, ma « l ’ostinazione, la critica pre liminare e spietata, l ’assolutezza morale, tutto ciò che porterà noi a trovare le soluzioni se condo l’animo nostro ». (Vorremmo aggiun gere che se è vero che la condizione sociale della borghesia è mutata, non ne appare mu tato l ’animo; e il « ben pensante » 1960 non ha nulla da apprendere, in fatto di arretra tezza e grettezza, del « ben pensante » 1914). Infine, Ibsen può ancora incoraggiarci a cer care la verità dello spirito dietro le nere fac ciate della vita. C’è sempre nei suoi drammi cosidetti a tesi qualche cosa che non è impe gnato nei combattimenti ideali dell’epoca sua, che raggiunge anche noi e vale anche per noi. Un parallelo tra lui e Bjornson, l ’altro grande norvegese, porterebbe lontano. In vita Ibsen invidiò il successo e la popolarità di Bjornson. Presso i posteri ha vinto lui. Lorenzo Gigli I L Y ^ J S lY R O O i i & R f l M a Y i e © D I T U T T O I L M O ^ O O Le esperienze maturate nella ricerca e nel l’approfondimento dei singoli episodi della storia del dramma coagulano, quando gli in teressi si espandono al di là delle limitazioni di coscienza e di poetica, nello svolgimento di temi di amplissimo raggio, nel tentativo, in cui si nascondono estreme difficoltà e traboc chetti pericolosi, di articolare in un discorso unico tante espressioni diverse e tante diffe renti tendenze. L’impegno che un lavoro del genere richiede, l’estrema incertezza dell’esito, i rigidi termini storici dentro i quali deve inquadrarsi costituiscono altrettante remore, che limitano il numero di tali pubblicazioni. Verrebbe quasi da dire: fortunatamente, se ciò rappresentasse un elemento chiaramente positivo per la serietà ed importanza dei la vori. In Italia, possiamo dirlo, non esistevano fino ad oggi opere del genere, garantite dalla firma di valore ed accomunanti, ad un tempo, intenzione scientifica, piacevolezza e chiarezza espositive. Si trattava o di opere dai palesi lim iti divulgativi oppure di altre che, nella vanagloriosa apparenza scientifica, perdevano anche l’aspetto, a volte apprezzabile nello slancio della divulgazione, della facile lettura. Sembra oggi che questa grave lacuna possa essere colmata dall’opera di un valente stu dioso (1), i cui interessi per il teatro si ma nifestano in una duplice, compiutissima veste — di regista e di critico — e, superando le chiuse comuni degli apprezzamenti estetico- (1) V. Pandolfi: Il Teatro Drammatico, Roma, Edi zioni Moderne, 1959, due voli. idealistici, si stabiliscono in una sfera assolu tamente originale, moderna. Il naturale svi luppo di ogni studio sull’arte drammatica ha, come conseguenza, di portare prima o poi al grande trattato, alla descrizione storica ed estetica dei grandi avvenimenti, che contrad distingue le pubblicazioni a grande respiro, in un organico sforzo di racchiudere in un lavoro unitario i differenti fermenti, per ogni epoca e per ogni civiltà, che rappresentano il cammino del fenomeno teatrale in oltre duemila anni di vita. Per chi segue gli orientamenti critici di Vito Pandolfi non è difficile individuare, a prima vista, i significati più autentici di questa sua ultima fatica, e se non bastasse la limpidità espositiva, le note che precedono i due vo lumi, oneste come al solito e chiarificatrici, toglierebbero ogni dubbio. Spazzando via i preconcetti idealistici e superando i numerosi tabù elevati a significato assoluto di un pre cedente trattato dello stesso genere, Pandolfi ha inteso dimostrare come il fatto teatrale non si manifesti in maniera e misure alogiche ed astratte, ma solamente ubbidendo a deter minate influenze e sotto la pressione di uno specifico ambiente culturale e sociale, il quale tende appunto ad emanciparsi attraverso la sua elezione a partecipe della creazione. L ’as surda pretesa, sostenuta da alcuni critici di formazione completamente astorica, che le leggi della drammaturgia si sottraggono ad ogni influsso ambientale per ubbidire soltanto ad un impulso creativo affatto indipendente — un impulso che invece stranamente obbe disce a delle regole fisse di natura assurda mente sacrale — oggi non resiste più di fronte alla spinta demolitrice di nuove concezioni esegetiche, delle quali non indugiamo a rico noscere in Pandolfi uno dei migliori, se non il migliore in senso assoluto, esponenti. Rinunciato da principio e per costituzionale sfiducia a tracciare una linea univoca intorno alla quale descrivere la parabola storica del fatto teatrale, l’autore propone un discorso del tutto nuovo, sia per quanto si riferisce alla regola dei principi estetici, sia per la libertà di giudizio concessa al lettore nel margine amplissimo garantitogli da una interessante scelta antologica. Fatto non nuovo nelle inten zioni, ma che si presenta qui in misura di ori ginale vastità. Le diverse parti in cui è divisa l’opera fini scono col rappresentare altrettanti saggi di una saporita attualità, nei quali le esperienze direttoriali — l’attività di Pandolfi in questo senso abbraccia l’arco di circa venti anni e si esprime in una trentina di regie sui più sva riati testi — sussidiano l’opera del critico, suggerendogli sensazioni nuove e punti di vista nuovi, a loro volta inquadrati nella inda gine rigorosa, che porta alla esposizione chiara e completa di concetti di una assoluta novità, qualche volta rivoluzionari. Se l’epoca classica non può suggerire più spunti critici originali, l’esperienza di Pan dolfi comincia a far sentire la forza della sua dialettica quando l’autore si apre alla inter pretazione del mondo teatrale medievale. Le comuni affermazioni risalenti ad un vecchio saggio del ì)’Ancona, ribadite dal De Bartholo- maeis e più recentemente dal Toschi e con toni di fideismo dal D’Amico, stabiliscono l’origine del teatro in quelle particolari espressioni di una religiosità deputata, che furono le rappre sentazioni sacre. Se il discorso è valido in In ghilterra ed anche in Spagna, dove la tradizio ne drammatica discende evidentemente da questo filone originario, esso non regge più se lo si applica ai casi di Italia e Francia. Qui il fenomeno rappresenta un episodio del tutto isolato, non più riferibile alla tradizione e senza una prospettiva lontana. La mancanza di continuità tra la laude e la sacra rappre sentazione e la secondarietà sul piano culturale di manifestazioni destinate ad un pubblico refrattario alla lettura, consentono di seguire l’autore su questo ordine di ragionamento, così come accettabili ad ogni effetto sono le interessanti ipotesi avanzate sulla commedia del ’500 e su quella all’improvviso. Qui l’un saggio compendia ed integra l’altro e se il tessuto ramificato e vario della commedia del l’arte trova un campo di analisi più specifico nella monumentale opera che il Pandolfi sta portando a termine in questi giorni, le valu tazioni di una evidenza cristallina ed innova trice sulla commedia erudita e su quella popo lare avviano alla comprensione di certi pro blemi di assimilazione, di ispirazione, di espres sione risolti in chiave moderna e pienamente soddisfacente. Quando Pandolfi riconosce che nella commedia rinascimentale non è presente una completa imitazione plautina soltanto, ma lo stampo classico <ì aveva soprattutto il com pito di giustificarne la sbandierata immoralità e la ragione d’essere letteraria... », il suo giu dizio si stabilisce su una piattaforma di una naturale storicità, in cui l’osservazione della realtà civile e sociale del nostro paese si con tempera con il ricorso dei tempi plautini e con l’alitante spirito di classicità seguito alle fenomenali scoperte degli umanisti. La pre senza in queste composizioni di un elemento innovatore, maturato nelle università dell’Ita lia superiore e specialmente a Pavia, è una scoperta di una importanza che risalta in tutta la sua trasparenza e che pone il problema della commedia italiana rinascimentale in una luce nuova. Osservate da questo angolo di vi suale, si spiegano tante situazioni apparse fin qui completamente oscure. L’interesse del let tore si sposta allora dalla trattazione generale e generica a queste considerazioni monogra fiche e anche se si accentua il distacco dai temi universali, se ne guadagna in chiarezza ed assiomaticità di risultati. E’ evidente che in questi lavori di propor zioni spirituali così vaste l’interesse dell’autore debba finire con l’appuntarsi principalmente su quegli argomenti che gli sono maggior mente congeniali. Ora, se è vero che l’atti vità critica di Pandolfi verte sui più svariati argomenti, è altrettanto vero che alcuni di essi riescono meglio a fermare la sua atten zione, a caratterizzare le sue tendenze critiche e a decifrare i suoi interessi sul piano della ricerca. I problemi più evidenti riguardano la tradizione drammatica italiana, ma anche i fermenti delle altre drammaturgie risultano vivacemente osservati, specie quando — come nel caso degli elisabettiani — il fatto teatrale si inserisce di diritto sul filone della novelli stica nostrana. L ’opera, così non ripete le elementari e fine a se stesse elencazioni di nomi e titoli, ma prescindendo dai significati banalmente informativi tende ad aprire al lettore, specialmente a quello nuovo, la via di interessi più specifici, rivolgendosi alla per sona intelligente con un discorso intelligente, nel quale tutti i valori delle diverse dramma turgie vengono, quanto meno, presentati in una interessante successione di concetti e fatti storici. Nei casi in cui il lavoro abbandona le risoluzioni schematiche per approfondire al cuni aspetti più tipici di certe epoche meno completate da indagini o risultati superficial mente discordanti, l’autore si libera del fred do distacco dello storico per librarsi in conce zioni accettabili e legate sempre al concreto del documento e del legame con gli altri avve nimenti culturali. Allora l’interesse di Pandolfi si incentra su alcuni motivi, specie su quelli maggiormente oscuri, della storia teatrale, ne mette alla luce i presupposti nascosti, oblitera il fatto particolare dal troppo generico, ne invera tutti i significati. Invita, così, ad appro fondire il discorso sulle ragioni che hanno impedito il nascere di una tragedia italiana fino anche agli aneliti alfieriani, permeati di problemi e di vita nazionali, ma limitati nella qualificazione societaria ad un esperimento sostanzialmente regionale. Libera Corneille dal luogo comune della imitazione classica e lo sistema in un ambiente che « approfondì la natura tutta mondana dei suoi ideali ». La parabola comica tracciata da Molière a Gol- doni, se non presenta caratteri di assoluta originalità nella esposizione di Pandolfi, serve a mettere in una prospettiva più autentica la figura del grande veneziano, che, quando sulla linea del Dazzi, quando in polemica con lui, viene posto in un quadro storico valido e grandemente lucido, in cui i pregi e i vizi del commediografo acquistano una dimensione singolare e vera. L’autore, poi, approfondisce i significati della polemica Gozzi-Goldoni, sot traendoli ai giudizi di comodo del contrasto di principio, per giungere, anche sul piano estetico, a stigmatizzare i caratteri dell’uno e dell’altro fino alle più logiche conclusioni. Il romanticismo del Goethe esprime la sintesi di motivi ricavati dall’esperienza e di tendenze spirituali e sociali dei tempi nuovi, sia nel l’avventura vitale di Faust che nei temi neo classici, aprendo alla conoscenza orizzonti esi stenziali, che preannunciano larga parte del teatro moderno. L’arco creativo della civiltà borghese dalla visione moraleggiante di Schil ler passa attraverso le impressioni realistiche di un Balzac, i personaggi intrisi di vivi con trasti sociali di Ibsen, si stempera nella cata strofe strindberghiana per arrivare al frantu marsi, al dissolversi del mondo di Cecov. Al lora il teatro diviene portavoce della ideologia borghese e nella assenza dei valori estetici si impone per l’importanza dei suoi significati morali. La crisi dell’età moderna si riflette nella crisi del teatro, una crisi di duplice na tura, ideologica e spettacolare. La mancanza di una ideologia che permei di sé la costru zione letteraria e drammatica trova la sua critica evoluzione nella partecipazione confusa di temi tolti dalla realtà o da un passato, spe cialmente classico, riproposto nei termini fan tastici di un ammodernamento, che spesso non riesce ad andare più in là di un prezioso gioco estetico. La crisi non risparmia la letteratura drammatica europea, mentre la cultura ame ricana e quella sovietica, alimentate da prin cipi poetici maggiormente saldi ed univoci, esprimono, in un certo senso, una condizione assolutamente nuova. E’ la crisi stessa della ideologia borghese che si compendia nella mancanza di una coscienza sociale e si mani festa in forme di decadente estetismo, in cui nasconde la sua mancanza di spiritualità e una morale assai elastica. Pirandello, che parte da tempi realistici e dialettali per arrivare a una forma di dialettica esasperata, sembra comprendere tutti gli aspetti della crisi. Sulla falsariga del famoso giudizio di Gramsci, Pan- dolfi non teme di indicare proprio nella prima esperienza regionalistica del maestro siciliano i motivi e le soluzioni migliori, lasciando alla seconda produzione il significato di rottura e di esperimento. Tutta la produzione moderna viene esaminata alla luce di rigidi principi critici, che lasciano, però, massimo campo di sereno giudizio anche nei casi in cui, malgrado la precisa concezione storicistica, uno spirito onestamente obiettivo consente una valuta zione spassionata. Si diceva in principio che un largo spazio è lasciato alla presentazione dei testi più signi ficativi. Ciò consente la massima libertà di scelta nei confronti dell’esposizione critica, correda la narrazione trattatistica di un ele mento snello ed indispensabile, suscita nel lettore più attento il desiderio di nuove let ture, avvicinando un pubblico più vasto ad un fenomeno, della letteratura e dello spet tacolo, che per il significato umano, sociale, politico, poetico che ha avuto in un cammino artistico di oltre duemila anni, non deve mo rire. Il contributo che Pandolfi ha dato e dà alla diffusione del teatro nella società e all’appro fondimento dei suoi temi essenziali non ha bisogno qui di essere ricordato. Questa prege vole ed importante — anche sotto il profilo di una raffinata estetica tipografica — opera rappresenta una nuova tappa della sua ven tennale fatica, di cui il mondo del teatro tutto Ac!lilIe Mango deve essergli grato. l a F a l l i t a r i f o r m a d e l l a C o m é d i e F r a n ç a i s e L'istituzione teatrale che ha più lunga e ininterrotta storia d'Europa (280 anni) non ha sopportato la «svol ta » imposta dal ministro Malraux. Questa storia della Comédie Française va sem pre ripresa dal principio; un principio creato da André Malraux, ministro di Stato, incari cato degli Affari Culturali. Ne abbiamo parlato nel fascicolo di maggio del 1959, ma riassumia mo per sommi capi: il ministro nominò, a quel tempo, Claude Breart de Boisanger, ambascia tore di Francia a Praga, amministratore della Comédie Française. Provvedimento che si in quadra nella voluta riforma, da parte del mi nistro, del teatro francese. Sono passati nove mesi; non molto, ma bastanti per creare il caos; in esso ci ha rimesso le penne l’ammini stratore, che pare abbia il solo torto di aver obbedito al ministro. Comunque, allontanato De Boisanger (ora se ne occuperà, come com missario straordinario, Maurice Escande) non si vede che cosa possa risollevare la vecchia maison dallo stato pietoso cui è ridotta. E’ dif fìcile dire dove comincia e dove finisce questa crisi. Il motivo addotto per Pallontanamento di De Boisanger è un pretesto qualsiasi: aveva aumentato i prezzi dei biglietti senza l’autoriz zazione ministeriale. Ora, come si sa, la Co médie è un teatro nazionale e le sue sorti dipen dono strettamente dall’indirizzo governativo. Quell’aumento suonava male all’orecchio di mi nistri che già si sentono rinfacciare ogni giorno l’aumento del costo della vita. Ma le ragioni della crisi della Comédie risal gono più lontano. Retta sulla base dei vecchi decreti napoleonici, essa è controllata dal sovrin tendente degli spettacoli e praticamente posta sotto la guida di un amministratore o commis sario governativo: una vecchia struttura che spesso diventa ingombrante ed astratta. Tutti gli attori sono associati nell’impresa, ma si la mentano di essere pagati male (al massimo 200 mila franchi il mese), per cui sono costretti a la vorare anche per il cinema e la televisione, tra scurando la preparazione del loro lavoro tea»- trale. Sono vecchi motivi di lamentela, che negli ambienti teatrali parigini si perdono ormai in una atmosfera di rassegnazione. Ma il risultato pratico è che molti attori, i quali negli anni scorsi ave vano saltuariamente rinnovato alla Comédie i fasti del vecchio teatro, se ne sono andati a recitare — come si dice a Parigi — sui Boulevards, vale a dire nei teatri privati, dove si guadagna di più e si ha la soddisfazione di vedere ancora il teatro vivere di virtù propria. In che cosa consisteva la « riforma » P, la divisione della maison: il teatro classico a Palais Royal, ed all’« Odeon » (con piena autonomia) la guida di Jean Louis Barrault. A questo punto un quotidiano della forza del «Figaro» ha incaricato Jean Fayard si svolgere un’inchiesta, le cui conclusioni cerchiamo di riassumere brevemente, visto che gli interventi sono stati più che notevoli. Incominciamo con quel lo di Pierre Descaves, amministratore della Comé die prima di Claude de Boisanger, dal 1952 al 1959. Egli dice tra l’altro : « Bisogna tener presente che ad ogni cambiamento di regime si cambia l’am ministratore della Comédie. E’ ormai un’abitu dine... Purtroppo, l’associazione degli attori è dive nuta terribilmente ìbrida e decadente; prima era libera e quindi tutt’altra cosa che un Ente di Stato; ma da quando lo Stato ha incominciato a sovven zionarla, è stato sempre più tentato1 a nazionaliz zarla. Questa sarebbe la fine della Comédie, perché un attore non può essere un funzionario. Un ar tista dipende solo dalla sua fantasia. Coupeau ha detto che l’immaginazione drammatica non può nascere dal costringimento... L’amministratore vie ne nominato dallo Stato sovvenzionatore; la sua posizione è difficile, perché i suoi poteri sono limitati e dal governo e dai soci della CF. Se parteggia troppo per i secondi, si rende inviso al primo, se fa troppo il funzionario, invece, i soci- attori cercano di agire il più possibile senza di lui o contro di lui... Siccome poi viene cambiato di continuo, non ha tempo di affermarsi di fronte a un comitato che rappresenta gli interessi di soci permanenti... ». Per quanto riguarda la seconda sala, Descaves ha detto : « Chiudere la seconda sala della CF è come levare un ventricolo al cuore. Essa aveva permesso di allestire, ai miei tempi, 12 lavori all’anno; invece dei 4 di una sola sala per la quale, inoltre, ci sono troppi attori e troppe spese... ». Barrault, tirato in causa direttamente, si è limitato a dire : « Solo una dichiarazione : bisogna che la Comédie cerchi di conservare con tutte le sue forze il suo carattere e il suo statuto di società di attori. Perderebbe la sua personalità se diventasse un teatro di Stato...». Su questo punto concorda anche André Roussin, che aggiunge, dal canto suo, di ritenere assurdo e paradossale che un presidente o amministratore che dir si voglia non sia lui stesso membro della società. Jules Romains conclude il suo intervento con una battuta: «Togliendo una sala, hanno condannato la CF a divenire una pesante ripetitrice di tragedie e solo tragedie. Potremmo ancora chiamarla “ Mai son de Molière ” ? Ch’io sappia, Molière non ha mai scritto tragedie ». Jean-Jacques Gautier elenca le sue conclusioni : « 1) La CF deve vivere; 2) è e deve restare un’associa zione di attori; 3) l’amministratore deve avere idee chiare e convincere il ministro a scegliere decisa mente una delle due sole politiche possibili per lo avvenire dell’istituzione, e cioè: o la Comédie-Con- vento (troupe ridotta, una sola sala, repertorio fisso, con al massimo qualche opera moderna rappresen tata su scene spoglie), oppure Comédie-multipla, atta a servire simultaneamente, e con tutti i mezzi disponibili, la causa del teatro francese in Francia e in tutto il mondo. Fatta questa scelta, si lascino l’amministratore e i soci in pace per qualche anno e non si pretenda (come dice Jean Fayard) di farli pagare per ogni mattone rotto. Questa nozione di pace è importante. D’altra parte non si può negare che si è sempre agito, negli ultimi anni, in modo da danneggiare la CF e favorire altre istituzioni chiaramente in concorrenza con essa. Tipico è il caso del TNP di Vilar che ha sempre beneficiato, al contrario della Comédie, di una sistematica be nevolenza. L’autorità si è ben guardata dal mettere in causa la qualità del TNP ogni volta che questi non otteneva dei risultati artistici lodevoli. A rin carare la dose del favoreggiamento, venne la con cessione a Barrault dell’ “ Odèon ” per cui Malraux inventò addirittura l’appellativo di “ Teatro di Francia” . Io affermo — esclama Gautier — che questo rinnegamento ufficiale di una tradizione gloriosa apparve al complesso degli attori francesi come un’offesa che ha contribuito a creare lo sco raggiamento attuale ». Questo bisogno di ridare fiducia agli associati della CF è ribadito anche da Fayard al momento di tirare le somme della sua inchiesta. « Lo Stato, una volta nominato il suo amministratore, dovrà dare a questi e agli attori tutta la sua fiducia per un lungo periodo di tempo e non tenerli responsabili d’ogni sommossa o d’ogni ribasso in borsa. Questa la situazione, la « crisi ». Resta poi il teatro, cioè la Stagione teatrale, paurosamente scadente. Per quello che ci riguarda, al Théâtre des Mathu- rins, dopo oltre due mesi di prove, non hanno potuto rappresentare una commedia di Pirandello, per il veto posto da Marta Abba, proprietaria dei diritti su quella commedia (1). Si è saputo soltanto in questa occasione, qui, che Pirandello, morendo, ha lasciato alla Abba la proprietà di sette sue opere. L’attrice, di solito, ne proibisce la rappresentazione. E’ inaudito e sembra perfino impossibile; ma è così. Evidentemente Marta Abba ignora che l’arte di Pirandello appartiene al mondo e che ella ha ereditato del genio e non un cassettone. Ha il diritto — diritto morale, s’intende — di sottrarre, di nascondere Pirandello (e per ben sette opere) alla conoscenza del mondo? Pirandello appartiene alla civiltà, a tutti, e Marta Abba, ci pare, fa male ad impedire che queste opere si recitino. Deve avere delle ragioni ben forti, crediamo. E non c’è nessuno in Italia cui interessino queste cose? sap piamo che anche in Italia, e non una volta sola, l’attrice ha messo nell’impaccio teatri che volevano allestire le opere di «sua» proprietà; ma che ciò avvenga all’estero, per un teatro straniero, è incon cepibile. Naturalmente, quando al « Mathurins », due mesi fa, incominciarono le prove, non sapeva no nulla né di Marta Abba né dei suoi diritti; lo hanno saputo, purtroppo, al momento di andare in scena. Dicono che Marta Abba rifiuti per un eccesso critico, e cioè ritenendo che attori e registi non comprendono e non sanno recitare Pirandello. Si convinca, se è così, la signora Abba, che Piran dello, come Shakespeare, può essere recitato anche dai guitti: è un lusso del genio. Ma soffocare que sto genio, tenendo sette copioni in cassaforte, non e Civile. Le Due Parigi, gennaio 1960. (1) «Il Borghese», del 4 febbraio 1960, pubblica una lettera di Paolo Grassi, a rettifica dell’affermazione di un lettore, con la quale il direttore del Piccolo Teatro di Milano informa: « Giorgio Strehler (regista stabile del “ Piccolo ”) aveva dovuto con rincrescimento, e per solo amore del senso di responsa bilità, rinunciare all’invito di Jean Vilar di mettere in scena a Parigi, per la Compagnia del Théâtre National Populaire, 1 gi ganti della montagna di Pirandello. A prescindere da ciò, è subentrato successivamente il divieto di rappresentazione dello spettacolo stesso, da parte di Marta Abba, proprietaria dei di ritti d’autore di alcune opere teatrali di Pirandello. La signora Abba ha comunicato direttamente il suo divieto a Jean Vilar ». H I L R IN O C E R O N T E DI EUGENE JONESCO Questa nuova commedia dell’« avanguardista » Jo- nesco è stata rappresentata al Théâtre de France diretto da Barrault. Si tratta di una commedia apparentemente « tutta da ridere », ma in realtà niente affatto divertente per i francesi e per la Francia stessa. Opera politica, con dichiarate allu sioni all’Algeria, con domande intenzionali ed in qualche punto anche palesi. « Rinocerite » o « gol lismo » sono sinonimi; si discute per tre atti sulla scena (basterebbe uno, come giustamente afferma Jean-Jacques Gautier sul « Figaro ») di conformi smo e anticonformismo ; si dichiara che il confor mismo è il male del mondo e particolarmente della Francia d’oggi. Se non si vuole drammatizzare dal palcoscenico e se proprio non si vuole indicare la commedia di Jonesco come un’accusa contro la Francia, senza dubbio II rinoceronte è un avverti mento duro e tragico per questo Paese che tende a diventare sempre più conformista. La commedia che ha origine da un racconto pub blicato da Jonesco tre anni fa è facilmente riassun- tibile, poiché non è il fatto che conta ma la qua lità: due principi, due tendenze, due cause distinte ed opposte. In una cittadina di Francia, un mat tino appare, stranamente, un rinoceronte (reazione, secondo la propria abitudine, del sindacalista, della massaia, del funzionario, del libero pensatore, ecc.); ma dopo poco se ne scorge una coppia, di rinoce ronti, e cosi di seguito, via via, tutti gli uomini diventan rinoceronti. Meno uno: Beranger (Jean Louis Barrault), il ribelle alla «rinocerite ». Egli è il solo uomo della vicenda che, disperatamente, riesce a rimanere uomo nel dilagare dell’epidemia. Barricato nella sua casa, Beranger non sarà rino ceronte, non subirà la metamorfosi che l’autore fa realizzare in scena. Di tutta l’opera questa è la scena più drammatica e nello stesso tempo più irresistibile, ferocemente comica. Chi subirà l’at tacco violento di « rinocerite » è invece Jean, amico dì Beranger, ma con il quale fin dal manifestarsi dell’epidemia ha litigato. Per quanto Barrault sia il protagonista, il suo antagonista, l’attore William Sabatier, lo ha battuto sul piano artistico. Barrault non è un grande attore come la sua fama potrebbe far credere; si è trovato di fronte un Sabatier che grande attore meriterebbe già di essere considerato. Perché Beranger non sarà attaccato dal morbo? perché invece Jean è uno dei primi a subire la metamorfosi, seguito da tutti coloro che davanti alla « potenza », al « numero » (ricordate il « nu mero come potenza » in Italia) non sanno resistere al richiamo di coloro che possiedono il potere? Beranger ama la logica e non ne abusa; non cede alla « logica delle cose » cui fa appello perfino sua moglie, andandosene, attratta dai rinoceronti; sì guarda allo specchio, si riconosce ancora uomo, e grida: « M i difenderò contro tutti. Io sono il solo uomo, l’ultimo uomo, ma non capitolerò; resisterò fino in fondo ». La commedia non ha sangue né anima, non ha creature vìve; basata su una osser vazione scientifica e sociale, ha due atti di troppo. Neli'intermezzo dello spettacolo, Jean Cocteau guardava la folla, ripetendo: «Un giorno o l’altro ci sveglieremo tutti rinoceronti ». Che una commedia simile abbia o no successo (lo ha avuto) non ha importanza: è la chiave che conta. Si è riso, si è riso molto, ma come dolente. Chi non ha voluto capire ha ripreso il motivo dell’avanguardia di Jonesco, ha protestato contro questa « trasformazione dell’avanguardismo », ha sentenziato che di Jonesco è rimasto il divertente fotografo della stupidità umana. Ma poiché sulla scena, Jonesco, che francese non è, ha messo « tutti » i rappresentanti del popolo francese, facen doli esprimere con un linguaggio da epidemia di rinoceronte in atto (« germe che viene dalle co lonie » —■ dice —; leggi: Algeria) gingillandosi con un fatto letterario è perlomeno temerario. Marcel ILe Due 3 II Festival del Teatro (Théâtre des Nations al «Sarah Bernhardt» di Parigi) si terrà, quest’anno, dal 15 marzo al 13 luglio. Innovazione importantissima, il servizio, a disposizione degli spettatori, della traduzione simultanea in cinque lingue (francese, tedesco, inglese, italiano e spa gnolo) che permetterà di seguire, in un testo comprensi bile, gli spettacoli presentati da compagnie di quindici paesi diversi. Lo spettatore disporrà di una cuffia ricevente, come i delegati dell’ONU e delle grandi conferenze inter nazionali. La partecipazione italiana comprende la compagnia di Eduardo De Filippo che presenterà Pulcinella in cerca di fortuna a Napoli-, la Compagnia universitaria di Ca’ Fo- scari, di Venezia, con due commedie dell’arte. E’ annunciata inoltre una serie di rappresentazioni del- l'Enrico IV e della Dodicesima notte di Shakespeare, da parte di una Compagnia capeggiata da Orson Welles. Un’altra opera di Shakespeare, Amleto, verrà presentata dallo Youth Theatre di Londra, interpretata unicamente da uomini (Ofelia sarà incarnata da un ragazzo di quin dici anni). Gli Stati Uniti invieranno uno spettacolo già dato a Broadway: The visit (La visita della vecchia signora, di Diirrenmatt), interpretato da Alfred Lunt e Lynn Fon taine e diretto da Peter Brook. Sono pure annunciati La madre di Gorki e Arturo Uis di Brecht (Berliner Ensem ble), Fedra di Racine, Nathan il saggio di Lessing e II rinoceronte di Jonesco (Schauspielhaus di Düsseldorf), Ned Kelly, un western australiano di Willis Hall (Theatre Workshop), Elettra, Le Coefore e Le Eumenidi (Teatro del Pireo), L’usignolo errante, leggenda popolare persiana (Teatro di Teheran), Edipo re (Teatro nazionale turco), La sabbia e la schiuma di Kaztelan (Teatro drammatico di Zagabria) e altre rappresentazioni del Centro maroc chino d’arte drammatica, dei « Faux nez » di Losanna, del Teatro d’arte popolare brasiliano. Il Festival comprende anche un ciclo lirico, nel quale l’Italia è rappresentata dai « Virtuosi » di Roma, che pre senteranno Il barbiere di Siviglia di Paisiello. NEL TEATRO AM ERICANO FINISCE L ’ETÀ DELLE SIGNORE GRAZIOSE La nuova grande attrice di Broadway è una italiana del Bronx, nata nella < Piccola Italia », Anna Maria Italiano, in arte Anne Bancroft. Ha già la copertina di «Time». Nella nostra ultima cronaca avevamo accennato al fatto che si va infittendo nel teatro americano la schiera degli attori di origine italiana. Essi hanno trovato, adesso, il loro clamoroso portabandiera in un’attrice di 28 anni, affermatasi così imperiosa mente in The miracle wor\er di William Gibson (vedere la nostra corrispondenza nel « Dramma » di dicembre), che la rivista « Time » le ha riservato l’onore di dedicarle una copertina. Parliamo di An ne Bancroft (nome d’arte); quello vero non potreb be essere più italiano: Anna Maria Italiano. Nata nella « Piccola Italia » del popolare quartiere new yorkese del Bronx e cresciuta, come lei stessa dice, nella più modesta e tipica famiglia all’italiana, con una madre che comandava i figli a bacchetta, Anna Maria ha portato a Broadway una vampata latina di temperamento, di mimica e d’impeto comuni cativo. Uno dei suoi insegnanti di recitazione, Her bert Berghof, ha detto: «E’ come una piccola figlia di Anna Magnani ». Sta riscuotendo elogi incon dizionati. Il celebre impresario Harold Prince è giunto a pronunciare queste testuali parole : « E’ la più grande che abbiamo. Nel nostro teatro fini sce l’età delle signore graziose. Non so dire preci samente perché, ma sento che questa ragazza inizia una nuova era ». Fu l’onnipotente mamma Italiano a decidere che Anna Maria sarebbe stata attrice, e alla figlia non restò che ubbidire. Sempre la madre, telefonista presso una grande compagnia, la seguì e tutelò passo per passo, affinché, diventando attrice, non smettesse di essere una ragazza per bene. Quando non poteva sorvegliarla direttamente, mandava qualcuno della famiglia. Durante una recita di filodrammatici, Anna Maria si mise a fumare in scena, ma dal fondo della sala la voce minacciosa d’una zia, ringhiò: «Lo dirò a tua madre». Debutto in televisione con lo pseudonimo di Anne Marno, ma il successo non fu eccessivo. Poi decise di andare a Hollywood e naturalmente la mamma prese alcuni giorni di permesso per accompagnarla e non tornò al suo posto di telefonista fin quando non vide la figlia decorosamente sistemata in un appartamentino per bene in Sunset Boulevard. Il famoso Darryl Zanuck decise che per il cine Anna Maria doveva incominciare con un altro nome e glielo fece scegliere da una lista di nomi prefab bricati che teneva nel cassetto. Lei optò per Anne Bancroft perché le sembrava quello che meno po- tesse far pensare a una « vamp » tipo Lana Turner. Ma anche a Hollywood non combinò nulla di ecce zionale. Tra l’altro i suoi nerissimi occhi di meridio nale erano la disperazione dei « cameramen » che evitavano il più possibile di riprenderli in primo piano. Gli « studios » volevano farne un tipo « sexy » alla Monroe, « ma io », dice Anna Maria, « vo levo sviluppare la mia recitazione, non il mio cor po ». (E forse non avrebbe più osato ricomparire davanti a sua madre). Debutto a Broadway con Henry Fonda in Two for thè seesaw di Gibson ed ottenne buon successo. Ma dissero che non riusciva che ad essere se stessa, selvatica, impetuosa, popola resca. Quando si seppe che avrebbe impersonato la celebre infermiera cieca Anne Sullivan in The mi- racle worker, molti pensarono che si sarebbe di strutta con le sue stesse mani. Invece è stato il trion fo. Anna Maria si è preparata a questo lavoro quasi con fanatismo. Frequentando un istituto di ciechi per impararne l’alfabeto e i gesti, è giunta al punto di bendarsi gli occhi ed andare in giro per le strade al braccio d’un’amica per « sentirsi » cieca. Con la fama è giunto anche il benessere, ma è ancora l’onnipresente mamma Italiano a mandarle a casa gli spuntini per dopo le recite. La Ford Foundation, meravigliosa organizzazione che aiuta copiosamente le scienze e le arti, ha deciso di intervenire anche in favore del teatro. Dopo circa due anni di indagini semi-segrete, la Fondazione è giunta alla conclusione che il problema più grave dei teatri d’arte consiste nella difficoltà di poter scritturare buoni attori con buone paghe per un periodo continuativo, e ha quindi deciso di intervenire in tal senso stanziando la somma di 559.000 dollari che, per un triennio, dovrà servire a quattro teatri per pagare a 40 attori (10 per ogni teatro) uno stipendio annuale di 200 dollari la settimana. Si tratta di ingaggi in grado di sottrarre attori anche a Broadway, soprattutto se si pensa alla loro durata annuale. Nell’annun- ciare questa decisione che ha riscosso vivissimo plauso, il vice-presidente della Ford Foundation, William McPeak, ha detto : « Per troppo tempo il teatro degli Stati Uniti è stato concepito come affare o divertimento. La nostra Fondazione vuole ora dimostrare la sua convinzione che il teatro sia una risorsa culturale più che commerciale, pari per dignità e importanza alla musica e alle arti figurative di cui finora la Fondazione si era pre valentemente occupata ». I quattro teatri che usufruiranno dell’elargizione, tutti già affermati per l’impegno artistico della loro attività, sono: il Phoenix Theater di New York, l’Alley Theatre di Houston, l’Arena Stage di Wash ington e l’Actor’s Workshop di San Francisco. L’A rena Stage è stato il primo a partire sotto questa nuova spinta, rappresentando uno degli otto lavori inediti suggeriti dalla Ford Foundation. Si tratta di Clandestine in thè morning line di Josh Green- feld, un giovane che ha già scritto diversi drammi senza averne mai visto nessuno rappresentato da compagnie professionistiche. E’ un lavoro certo non commerciale, qua e là ancora immaturo, ma presenta un carattere centrale — una signora visio naria ed eccentrica — pienamente riuscito. L ’au tore può essere soddisfatto dello spettacolo allestito con molta bravura. Il prestigio della Ford Foun dation ha fatto sì che anche il nume dei critici, l’Atkinson, del «New York Times», che di solito non si muove da New York, abbia preso apposi tamente l’aereo per Washington per andare a re censire il lavoro. E anche di questo il giovane Greenfeld può essere soddisfatto. Ugo Betti ha ottenuto un bel successo di prestigio e di pubblico con Ispezione (Time of vengeance) al York Playhouse. Sono cadute le riserve che ave vano accolto II giocatore e Delitto all’Isola delle Capre, apparsi alcuni anni or sono; sono cadute di fronte alla forza morale e intellettuale del la voro, giudicato superiore ai due precedenti. Ottima, sotto la guida di David Metcalf, la recitazione degli attori tra cui fanno spicco Charles Gregory nella parte di Ugo, Lou Gilbert in quella di Au gusto e Merriman Gatch in quella di Sabina. Notiamo infine i tre mezzi fallimenti di autori celebri che hanno deluso l’aspettativa. Con Good bye Charlie George Axelbrod non ripete il suc cesso dei Desideri del settimo anno. La storia si esaurisce all’inizio: Charles Sorel muore ma viene rispedito sulla terra a scontare i suoi peccati cam biando sesso. Divenuto donna (interprete Lauren Bacali) incontra vecchi amici che gli fanno la corte e ragazze che, da maschio, aveva corteggiate. Il gioco della commedia si esaurisce in questi primi incontri. Anche Roert Anderson con Sileni night, lonely night è decisamente inferiore a. Tè e simpatia. I due personaggi principali, impersonati da Barbara Bel Geddes e Henry Fonda, si trovano casualmente a passare insieme la notte di Natale. Lei ha un marito infedele e un figlio sventurato, lui una moglie ricoverata in una clinica, pazza, e sa di aver contribuito con la sua condotta a farle per dere il senno. Si incontrano per la prima volta, i soliti convenevoli, poi il dialogo si fa più intimo, l’atmosfera della notte natalizia li avvicina, parlano d’amore, ne sentono il desiderio, dapprima resi stono, poi i sensi sono più forti, e infine si la sciano, lei torna dal marito, lui alza voti perché la moglie guarisca. La commedia è tutta qui, in un eccessivo e deprimente dialogo. Avrebbe po tuto essere, al massimo, un atto unico. Meno deludente dei tre è forse William Inge, che resta comunque inferiore alla fama di Picnic. An- che questo suo ultimo lavoro, A loss of roses, ci porta nel Middle West; s’impernia sulla contra stante relazione tra una vedova (interprete Betty Field) e il figlio ventunenne (Warren Beatty), che viene complicata dall’arrivo di una ballerinetta disoccupata (Carol Haney) che una volta era la loro cameriera. La storia finisce col figlio che se ne va piantando in asso la madre che non si era risposata per stargli più vicino, e la ragazza cui aveva promesso il matrimonio. Inge qui si abban dona alla sua facile vena macchiettistica senza mettere in evidenza il problema centrale del la voro, cioè i rapporti tra madre e figlio1, e la sua commedia finisce così col mancare della nota essen ziale. E le molte battute « alla Inge » mostrano un autore già troppo abbandonato alla sua maniera. Ricordiamo ancora, brevemente, alcuni altri lavori che hanno iniziato molto bene il loro ciclo di re pliche e che quindi terranno ancora a lungo il cartellone. Tra questi Vìve finger exercise, del commediografo inglese Peter Shaffer, che segna il debutto di Sir John Gielgud come regista. E’ un quadro di vita di provincia inglese, c’è un marito grezzo (attore Roland Culver), una moglie intellettuale (Jessica Tandy), un figlio e il suo istitutore, un tedesco catturato in terra di nessuno. The Andersonville trial, di Saul Levitt, ricrea il processo, tenutosi alla fine della guerra civile, con tro l’ufficiale dei Confederati che comandava il campo di concentramento di Andersonville. L ’azio ne verte principalmente sul processo, serrato, appas sionante; ottima la regìa di José Ferrer. Ricordiamo infine ai lettori italiani l’ottimo successo della com media musicale Fiorello! che narra la vita del famoso italo-americano Fiorello La Guardia. Concludiamo questa nota con la tragica fine di Diana Barrymore, figlia di John, ultima discen dente di quella « Famiglia reale » (del teatro) che ebbe in Ethel la più grande fra tutte le attrici di prosa americane. Diana è morta di etilismo, come tutti o quasi i Barrymore. Suo padre subì la stessa sorte, diciotto anni fa. Aveva 38 anni, ma ne dimostrava cinquanta, tanto la sua vita è stata disordinata. Un tempo fu considerata « lo scandalo numero uno di Hollywood ». Due anni fa pubblicò un libro intitolato Troppo, troppo presto nel quale, senza veli né pudori, ha rac contato la sua vita, lo squallore dell’etilismo, i suoi molti amori occasionali, i suoi vizi, la sua rovina. Era nata nel 1921, quando suo padre era in piena fama, e la madre Bianche Delrichs, attrice e scrittrice (col nome di Michael Strange), non riusciva a distogliere John dall’alcool. Tutto il resto, dopo una infanzia dorata ed una adolescenza irrequieta, è desolazione e distruzione. New York, gennaio 1960. Maurice Lansdale | cecov i | L © A B B I A N O AL TEATRO LA COMETA DI ROMA H La vocazione teatrale ai Cecov nasce dalla sua novellistica (come più tardi per Pirandello, e come sarebbe potuto succedere al Boccaccio). E’ uno svi luppo congenito alla sua arte di narratore, alle sue capacità di raffigurare in modo vivo, eloquente, di retto. Nei suoi primi lavori in un atto, dotati di una sicura grazia e di un umorismo garbatamente sati rico, gli elementi già da lui riflessi nei racconti si fondono in genere con l’esperienza del dramma fran cese, in particolar modo del vaudeville, lasciando però maggior spazio alla pittura, umoristica sì ma con un sottofondo amaramente malinconico, degli ambienti borghesi tra cui aveva trascorso la sua vita traendone significative esperienze dirette. Tuttavia, fin dal primo lavoro teatrale, quella commedia senza titolo che compose a vent’anni e che recentemente è stata rappresentata in diversi teatri d’Europa come Platonov oppure Quel pazzo di Platonov, si ha già la profonda sensazione che nelle sue facoltà creative si agitino correnti sotterranee del tutto libere da in flussi e sommovitrici. La psicologia individuale e il comportamento del l’ambiente circostante nei suoi confronti vengono scan dagliati nelle loro reazioni interiori scoprendone le tempeste e la sofferenza, e fin d’ora, il mondo di Platonov viene ad assumere una fisionomia storica, appare il riflesso diretto della vita di una Nazione a cui gli avvenimenti dovevano portare rivolgimenti e totali rinnovamenti, sviluppi imprevedibili e del tutto originali. Fin da questo suo primo lavoro, Cecov fa da portatore di una vicenda nascosta e pur così potente, storica nei suoi effetti e non legata a una effimera polemica di costume come troppo spesso si ascolta in Ibsen, dove pure il tentativo era stato operato con grandiosità e vastità di orizzonti. Il procedimento trova in Ibsen il suo fondatore e in- stauratore con una compiuta fenomenologia sociale, ma solo in Cecov riconosce il suo autentico compi mento, in quanto solo in Cecov, gradatamente, acqui sta quella totale sincerità che si fa rivelazione. Platonov è un dongiovanni provinciale che prova senza ambagi il tormento della sua condizione psico logica, l’inutilità di disporre a piacimento di amori e donne che gli si offrono. Più chiaramente che nella successiva novellistica, Cecov pone attraverso la disperata ricerca del suo protagonista un desiderio affannoso di certezza, di stabilità interiore, di scopo valido, di ragione autentica all’esistenza. L’infelicità che alla radice piaga le giovani esistenze viene rag giunta nelle sue ragioni e nella sua ineluttabilità. In Ibsen si era già proceduto alla scoperta del lin guaggio quotidiano. Qui, in un cammino che si farà graduale, si giunge a quella della situazione quoti diana, superando il ricorso artificioso alle sue crisi, di cui Cecov sente la necessità per un sostegno nelle prime prove, per giustificare la propria audacia. Ivanov, come e in misura più marcata Lo spirito dei boschi, costituiscono tipiche esperienze di ricerca e di transizione, che verranno riassorbite in opere posteriori e in cui la struttura formale e l’individua zione psicologica risultano ancora incerte, legate come sono all’influenza del mèlo francese, o per lo meno al dramma di società, da Dumas figlio a Sardou. Il senso della verità racchiusa nel banale e nell’ovvio non ha ancora preso il sopravvento. Nasce II gabbiano : pochi anni prima della fine del secolo. Baudelaire si era già raffigurato nell’albatros, un animo disposto ad innalzarsi nella vastità del cielo, ma poi condannato nel suo slancio, e con una lirica invo cazione all’albatros Gorkij salutava il nuovo secolo in versi di grande respiro poetico. Per Cecov il gabbiano è un essere colpito a morte dalla cecità del cacciatore che passa al di sotto del suo volo, è il personaggio da luì amato, Nina colpita a morte da un uomo che passa, stroncata nel suo volo verso la felicità e l’arte. Costan tino sarà vittima anch’egli, e con lui Mascia, dell’inadat tabilità al mondo che li circonda e li soffoca, di un amore che fatalmente non verrà corrisposto. Il loro destino è di non trovare una consonanza attorno a sé, di non poter imbastire un colloquio. Ad ognuno è riser vata un’incomprensione, ognuno di questi personaggi registra dentro di sé un silenzioso fallimento: sia Irina, la grande attrice, che Trigorin, lo scrittore di successo, che Sorin, il Consigliere di Stato, che Doni, il dottore amato dalle donne. Ne II gabbiano non mancano incertezze tecniche (per esempio il ricorso ai monologhi), a volte ingenui cedi menti all’esigenza teatrale derivati dall’acerbità espres siva, ridondanze di carattere forzato, dove le remini scenze letterarie si uniscono a velleità di chiarimento. Ma nel suo insieme l’opera risulta compiuta, definitiva, ed avvia in modo deciso a quel processo di veggenza interiore dell’impasse e del tormento in cui si è posti, che forma la profezia di Cecov, la sua resa definitiva del presente dramma insito nell’esistenza. Gradatamente Cecov verrà purificando ed esaltando il senso della vita e delle sue sconfitte, tratto dalle sue impercettibili apparenze. La straordinaria sensazione che oggi egli ci comunica è che le sue scene (71 gabbiano ne annovera di fonda- mentali per il suo mondo e le sue facoltà espressive; soprattutto al secondo e al quarto atto) conservano vivo come non mai un riferimento che non potrebbe essere più diretto alla nostra vita quotidiana di questi anni. La sua poesia drammatica per la prima volta mette in piena luce il rapporto che la nostra esistenza ha con il suo successo pratico e i suoi rapporti affettivi: l’aspirazione infranta è sua legge di allora, come di oggi, le sue stesse folli speranze e folli prospettive (quel mondo deserto dì cui vaneggia Costantino) vivono an cora oggi irraggiungibili. « Saper soffrire per credere », mormora Nina, all’ultimo termine della sua rovinosa anàbasi. Le rappresentazioni italiane delle opere di Cecov sono governate, per forza di cose, da un destino di approssi mazione. Difficilmente la sensibilità dei nostri registi e attori si accorda con le intime esigenze della poesia cecoviana. Si tende a trasferirla in termini di facile ed esteriore drammaticità. Va però osservato che si dedica ogni cura e molto scrupolo, nella ricostruzione dell’am biente e nella psicologia dei personaggi. Neli’edizione presentata alla « Cometa » de II gabbiano, con la regìa di Mario Ferrerò, si riscontravano sia un rigoroso impegno da parte degli attori e del regista che una fantasia rievocativa di molto gusto nelle scene di Mario Chiari e nei costumi di Maria de Matteis. Ala il clima e ì personaggi rimangono incerti, in definitiva modellati su quanto di similare può esservi stato da noi, oppure sul luogo comune che in Cecov tutto dev’essere grigio, sommesso, e in definitiva tedioso. Si è trascurato il ritmo dello spettacolo, così come si sono accantonati i suoi valori lìrici, a parte qualche svo lazzo canoro. Soprattutto si è compiuto un fondamentale errore di distribuzione affidando il ruolo di Nina a Giu liana Lojodice, un’attrice giovane che finora non ci sem bra in grado di assumere ruoli impegnativi, legata com’è ai moduli scolastici e leziosi. D’altronde Nina è ruolo per una prima attrice, giovane naturalmente, ma dotata di autorità e di impeto (non a caso la prima interprete russa fu Vera Kommissazverkaja). Certamente Valeria Monconi avrebbe fatto molto meglio, anche se le dif ficoltà non le sarebbero mancate. Nella parte di Mascia ha dipinto con tenerezza e sensi bilità le sue angoscie, la sua spenta rassegnazione a un amore e a una vita senza speranza, con una partecipa zione sincera, virtù tanto rara quanto decisiva sulla scena. Giulio Bosetti — Costantino — ha piuttosto mini mizzato il suo personaggio (che nell’intenzione di Cecov simboleggiava invece il dramma intimo della genera zione che lo seguiva) rendendolo un triste esemplare dì fauna provinciale, preso da manie dilettantesche. Andreina Pagnani (Irina) e Gianni Santuccio (Trigo rin) hanno trovato più aderenti i loro personaggi e pur con qualche incertezza ne hanno fornito un’eloquente e schietta immagine. Tradizionali le caratterizzazioni di Olinto Cristina (Sòrin) e di Renato Lupi (Sciama- ràiev): una maggiore moderazione di tinte le avrebbe rese più intonate. Carlo Hintermann (Dorn), Annamaria Bottini (Paolina), Tino Bianchi (Miedvediènco) hanno avuto misura e finezza nel disegnare le loro figure minori. Lo spettacolo si inserisce nell’ottimo livello medio rag giunto ormai sul piano dell’interpretazione e della mes sinscena, munito di dignità e buon gusto (che tuttavia a lungo andare risultano monotoni). Vito Pandolfl L A C O N V E R S I O N E D E L C A P I T A N O B R A S S B O U N D Al Teatro Stabile di Torino, il 23 gennaio, la Compagnia del teatro stesso, con la partecipazione straordinaria di Lia Zop- pelli e Roldano Lupi, è stata rappresentata la commedia in tre atti di G. B. Shaw: « La conversione del capitano Brassbound » (Un'avventura). Regia di Gianfranco De Bosio ed Ernesto Cortese. « Avventura » è un termine che promette molte cose care ai romantici : [’inoltrarsi in contrade sconosciute e imprevedibili, assalti di guerra e d’amore, fascino della forza, esaltazione della bellezza e dell’onore. E G. B. Shaw definendo « un’avventura » La conversione del capitano Brassbound -— una commedia « per puritani » pressoché dimenticata dai nostri pubblici, ora riscoperta non senza malizia dal Teatro Stabile di Torino — sem- bra assicurare di non aver voluto dimenticare alcuno di questi corposi ingredienti salgariani. Se un fiero magistrato britannico approda sulle rive del Marocco, sia pure accompagnato da una cognata non troppo matura (e persino graziosa), non è difficile sup porre si tratti di un episodio di quell’instancabile « spleen coloniale » praticato dagli inglesi nell’800. La immancabile cannoniera, casualmente in crociera dinan zi alla costa, testimonia che l’intraprendenza dei giusti è opportunamente protetta dalla Provvidenza. E che il fiero magistrato si ritenga un inflessibile amministratore della legge provvede lui stesso a farcelo sapere con perentorie dichiarazioni. Ma anche ai giusti conviene servirsi di una scorta armata per compiere un’escursione in terre abitate da popoli « non cristiani » : ed egli, accorto, si informa se i fucili degli avventurieri che gli si offrono dispongano di una potenza di fuoco superiore a quella delle armi vendute di contrabbando agli indigeni. Fiero, deciso e previdente : ma non indovino e pessimo fisionomista. Lo scorbutico capitano Brassbound, intrat tabile e violento capomanipolo di quegli « accompagna tori » purtroppo indispensabili, che pare forgiato appo sitamente per tener lontani con la sua grinta i pre doni, non capita di scoprirsi un suo nipote, ritenuto scomparso? Ad esso l’autorevole zio, distributore di giu stizia, ha sottratto una proprietà, facendogli per giunta morire di crepacuore la madre. Il capitano Brassbound tiene dunque in trappola l’uomo da lui più odiato : da protettore, divenuto padrone della sua vita, si dispone a consegnarlo a un fanatico capotribù, perché ne faccia — a suo modo — giustizia. Tuttavia il vendicativo capitano non ha considerato l’effetto psicologico che le mitragliatrici della marina regolare esercitano, anche di lontano, sui riflessi primi tivi degli indigeni; basta un gentile messaggio dalla nave e la situazione si capovolge, Brassbound, con i suoi « bravi », si vede consegnare, mani e piedi legati, al comandante della cannoniera. Un processo per direttis sima non glielo può evitare nessuno, e manovrato da quel campione di pubblico ministero che deve essere lo zio. Ma c’è Lady Cecilia, graziosa, suadente e non meno decisa. Mentre l’avventura si complica fra assalti, liti di interesse, propositi di vendetta, sparatorie e corti mar ziali, il fascino di L'ady Cecilia ha provveduto a scio glierne tutti i nodi dall’interno; è riuscita a smobilitare gli stimoli più tenaci, a trasformare i sentimenti violenti degli uomini in altrettanti fioretti di gentilezza e d’amore. Ultimo ingrediente romantico, il fascino fem minile si rivela il più costante e quello risolutivo. Già prima che l’arrestassero, Brassbound s’era ammansito sotto le convincenti espressioni della Lady e s’era dispo sto a perdonare; né il comandante della cannoniera, chiamato infine a giudicarlo, sa opporre una valida con testazione alla versione addomesticata che la Lady offre dell’incidente. Tutti sono conquistati dai suoi modi cor tesi, dal suo eloquio malioso e insinuante : marinai, arabi, missionari, capitani, tutti ubbidiscono agli ordini che essa non emana, ma — femminilmente •—■ sugge risce. E anche il pubblico l’ascolta rapito dalla sua ama bilità e divertito dal suo spirito; e applaude alle sue immancabili vittorie, che hanno ragione delle mille goffaggini e testardaggini maschili. Questo intreccio parrebbe pienamente giustificare chi ri tiene tale commedia di Shaw scritta alla vigilia del secolo nuovo, una sorta di massiccio monumento innal zato alla femminilità : un omaggio così profondamente e deliberatamente sentito da far dimenticare, per un tratto, al caustico scrittore le raffinatezze delle sue aggressività paradossali; tanto da indurlo ad ammassare nel breve spazio di un copione tutto quanto il bagaglio tematico proprio del teatro ottocentesco, per più facil mente riuscire nel suo intento celebrativo. Nella Conver sione del capitano Brassbound non manca, infatti, alcuno dei nodi drammatici cari al teatro borghese; le agnizioni a sorpresa, i vendicatori che aspettano la loro preda fra orizzonti scarlatti, le eredità contestate di nobili degra dati e, appunto, il magico potere dell’eterno femmi nino, che è il principe degli argomenti romantici. Tuttavia analizzando la funzione del personaggio di Lady Cecilia in mezzo a questa congerie di effetti troppo caricati per essere autenticamente creduti dall’autore, non è difficile sentire riaffiorarvi prepotente quella vena ironica da cui trae il suo significato il miglior teatro di Shaw. La forza della Lady, ciò che rende questa donna più temibile di una cannoniera britannica, è il suo spirito critico, il suo buonsenso, la sua capacità di commentare con amabilità spietata le azioni degli altri: quanto di meno romantico si possa immaginare. Infatti, al fatale scoccare della scintilla amorosa — Brassbound che vuole sposarla — ecco che la donna elegantemente si sottrae e accompagna il calare del sipario con una battuta rivelatrice : « ... che pericolo... ». E mai un sor riso tanto smagliante di gioia ha accompagnato un addio fra innamorati. Se è dunque vero che la commedia di Shaw prende vita ancora nel clima del teatro ottocentesco e ne porta le tracce evidenti nella struttura, nei temi, nel linguag gio (se non fosse così, Shaw ci avrebbe consegnato quella commedia moderna che in effetti non ci ha saputo dare), è altrettanto vero che anziché subirlo questo mate riale egli ha tentato di dominarlo con la sua ironia; e ne ha tratto pretesto assai più di quanto sembri averne scontata l’eredità. Proprio il personaggio di Lady Cecilia, che parrebbe la esaltazione del più ortodosso sentimento ottocentesco, è la chiave di un decisivo ribaltamento critico. Shaw si serve dell’alone persuasivo della femminilità come di un « cavallo di Troia » per far passare gli elementi critici della sua osservazione. Paradossalmente il contenuto antiromantico viene associato al fascino femminile: il mordente analitico si sposa astutamente con l’istinto e ne sfrutta le suggestioni : da questo centro di attrazione egli maliziosamente fa partire —- sapendo di essere più facilmente ascoltato — le battute che trafiggono il tru culento castello inventato nella sua « avventura » che riproduce le convinzioni della società con cui intende polemizzare. E — forse non del tutto consapevole — prepara e fa intuire un effetto ancora più avanzato e tecnicamente rivoluzionario. Perché non è solamente l’accusa ai me todi del colonialismo britannico e alla ipocrisia della giustizia borghese che sentiamo agitarsi in trasparenza; né tutto si esaurisce nei richiami ai principi di un più Pene di amore perdute, quelle del regista. Per mezzo secolo si studia, poi si organizza, ci si sfiata a insegnare: si lotta contro fornitori operai pubblico critici. Anche quando il lavoro riesce bene tutto crolla dopo poche sere, per sem plice mutazione di programma e finisce nell’oblio. Tristezza di suggestive illuminazioni che si spengono, di belle scene demolite, di costumi avviati alle stampelle! Il regista maschera la sua melanconia col dire « ci siamo le vati un pensiero », ma soffre. Tanto più che Sisifo regista dovrà tornare a rotolare in salita il suo masso. Nuovi crucci, arrabbiature e dolori per questa fatica che svanisce come nebbia al sole, senza lasciar traccia di sé. « Passano gli atti umani come fiumi » diceva Cecco d’Ascoli. La regìa è la più effimera delle arti: labile più che la danza che, almeno, è riproducibile col cinema. Tutto vive appena la vita di tre ore. Ogni battuta recitata vibra pochi secondi e svanisce sepolta sotto la successiva, che regge un’emo zione altrettanto fuggevole e cangiante. Di tanto lavoro si conserva appena la lode di alcuno, la maldicenza di altri, dietro il vetro appannato del tempo. Man mano che passano gli anni muoiono i vecchi spettatori, testimoni del nostro la voro, e con essi moriamo un po’ noi. Negli ascoltatori delle dicerie future si svilupperà una nuova regìa, immaginativa di quella che fu la reale. Noi stessi che vedemmo La Nave nel 1908 riguardiamo come un sogno la bella realizzazione della quale non ci resta, ormai, che la memoria del nostro stupore giovanile. La regìa è un’amante volubile che spesso si concede, tna sempre ti tradisce, scomparendo. E, ogni volta, ti chiedi se tanto amore perduto valesse la pena. Eppure, come con le donne, noi si torna al teatro: a illu derci, cioè si torna a sbagliare. La regìa è un atto d’amore verso un testo, verso certi personaggi, per un genere di alle stimento e, proprio come il piacere, vive appena un mo mento: non è durevole, né memorabile. Obliate quanto fugaci, le fatiche di una lunga vita nella vecchiaia risultano sterili: sono ancora illusioni per chi le sostiene, come lo furono per gli spettatori, « Noi che ab biamo il vizio dell’immortalità », diceva Cardarelli, « ci troviamo a schernirci allo specchio, per natura derisoria nostra. Di men caduco restano soltanto i libri delle teorie, delle polemiche, degli sfottetti: la mia storia è tutta lì. Il mio lavoro della regìa seni più agli altri che a ine, vecchio patito ». Eppure io seguito a pensare: che se ha sopravvissuto la memoria del paradossale teatro ideato da Giulio Camillo, i posteri ricorderanno anche il mio. sto Giulio Camillo. Ma subito rifletto che tanti si chiederanno chi fu mai que A11I011 Giulio llrag'aglia ■ INDEX - Al tempo degli «Indipendenti» Anton Giulio Bragaglia, primo regista italiano, pubblicava oltre le famose « Cronache di attualità » (in superata rivista) anche un’appendice a questa, chiamata INDEX, di pic colo formato e di eccezionale contenuto. Il mondo teatrale di tutte le Nazioni è passato nell’Index; lo spirito corrosivo di Anton Giulio Bra gaglia ha demolito con l’Index le terme di Settimio Severo, dove tre generazioni, assistendo agli spettacoli, presero i reumatismi. Anton Giulio li ha ancora. L A M E N T O D E L R E G I S T A A N TO N G IU L IO B R A G A G L IA ANDREINA PAGNANI ha interpretato, eia quella grande attrice che è, in II gabbiano di Cecov, il personaggio di Irina, che — crediamo — nessun’altra attrice in Italia potrà forse uguagliare in perfezione. La difficoltà di questa parte, è risaputo, non consiste negli aspetti esteriori di svagatezza e frivolità, già risolti in partenza per il solo fatto di essere attrice e recitare « un’attrice », ma nel saper rinunciare proprio alla caratterizzazione di essa, per calarsi nell’animo della commediante coti sobrietà persuasiva, coti illuminazioni e accenti di pietosa umanità. Andreina Pagnani ha ottenuto un personale e vivissimo successo. Una scena di II gab biano, commedia rap presentata al Teatro Cometa di Roma, il 15 gennaio, per ono rare il centenario della nascita di Ce- cov. In questa stagio ne teatrale, le sorti del « Cometa » sono state affidate a Re migio Paone, con ri sultati artistici ec cellenti. Nelle foto sopra, Gianni Santuc- cio e Andreina Pagnani. Han no preso parte allo spettacolo, con molta bravura e tutti lo datissimi, oltre la Pagnani e Santuccio, Tino Bianchi, Giulio Bosetti, Olinto Cristina, Carlo Hintermann, Giuliana Lojodice, Anna Maria Bottini, Valeria Mo nconi, Mauro Benedetti, Giulio Como, Zoe Bucari. Regìa di Mario Ferrerò; scene di Mario Chiari; costumi di Maria De Matteis. Sopra: Sarah Ferrati, in terprete principale della commedia di Friedrich Diirrenmatt: La visita del la vecchia signora (Fal- tro attore è Roberto Pi stone), recitata con vi vissimo successo il 31 gennaio I960 al Piccolo Teatro di Milano. DURRENMATT Di questo autore, che ha il suo momento di notorie tà in tutto il mondo per una sua estrosa concezio ne drammatica, che si ri collega a non pochi auto ri, indicati come esponen ti del teatro di « rottura », la nostra rivista si è oc cupata da tempo, pubbli cando anche due sue ope re: In panne, nel fascico lo 26 del 1958 e Una sera fhns, lavori musi cali alla fne, può rappresen tare, insieme alle altre centinaia di note, una delizia per lo studio so e un tesoro per lo studente. Appare chiara la relazione del la voro di Brecht cogli artisti che gli vissero intorno: pittori, dise gnatori, musicisti, registi, e i no mi più importanti sono: George Grosz, Caspar Neher, Teo Otto, Kurt Weill, Hanns Eisler, Pisca- tor, Erich Engel. Incidentalmen te notiamo che non è stata fatta abbastanza attenzione al contri buto che Helene Weigel’s ha por tato al marito durante trent’an- ni. Non sono state ricordate le loro lunghe discussioni nell'ap profondimento e chiarimento di idee e le sue superbe interpreta zioni dei drammi più importanti. Nonostante sia chiara e evidente l’accuratezza quasi penosa della ricerca, lo stile di Willett non è né scabro, né accademico. Seb bene egli conobbe Brecht soltan to nel suo ultimo anno di vita e poco profondamente, getta nel suo libro come nella più esote rica discussione la vera, se non diabolica, natura del suo sogget to, la sua sconcertante indifferen za per la realtà e il suo amore alla contraddizione. Il libro di Willett insiste su: « ... quelle spesso perverse con traddizioni che possono dare una aperta possibilità d’incomprensio ne, dietro al grande teatrante che offriva al pubblico già pronte con clusioni, cera lo scettico prepa rato al non credere in nessuna conclusione. Dietro al propagan dista che martellava con la sua tesi, c’era il razionalista che vo leva che la ragione predominasse in ogni momento e in ogni spet tatore. Dietro lo scrittore epico, con la piana successione di ela- borati attenti dettagli, cera il teorico che insisteva nell’impor tanza che un pubblico deve es sere sempre tenuto nell’estrema curiosità. Dietro la sua abitudine al meccanismo delle sue didasca lie e i soliti simboli, planato dai suoi voli, cera l’asceta che crede va nella semplicità rivolta all’in telligenza ». L’autore non cerca di velare i tratti meno buoni dell’opera del drammaturgo tedesco come per esempio adoperare a volte idee altrui e lavorare nella sfiducia. « Si può farlo se si può farlo » era il rammarico di Brecht, gioco di parole in risposta a quell’accusa durante il Festival Teatrale a Pa rigi dove la sua Madre coraggio vinse il primo premio. Willett fa luce su tutto ciò no nostante l’interesse dato, special mente all’estero, principalmente alle teorie e al teoricizzare del drammaturgo: il principale inte resse di Brecht era sempre per il lavoro creativo, il dramma che egli stava scrivendo o rappresen tando. Pagina dopo pagina in questa interessante presentazione scopriamo la profondissima de vozione di Brecht al dettaglio in tutta la sua opera. La preoccu pazione senza limiti che egli ave va nel ricercarlo, nella recitazio ne, scenari, musiche, regie e l’oc chio artistico con cui egli cercava di raggiungere i desiderati effet ti visivi ed auditivi. Un dram ma era per Brecht prima di tutto significato, pittura della società in cui si svolgeva, ma desidera va anche dare all’occhio e all’o recchio il loro godimento, il di segno delle scene, la sistemazio ne, la recitazione, le canzoni-si parietto, le luci che dovevano es sere sempre complete in modo che il pubblico potesse sempre « vedere ». Egli non si sentiva le gato a nessuna tradizione e con i suoi collaboratori e colleghi in ventò e adottò le molte innova zioni teatrali che sono quasi il suo distintivo e ciò appare vera mente straordinario se si pensa quanto poco prodotto e quasi di menticato fu Brecht fino ai suoi ultimi otto anni di vita in Ber lino Est. Ma il libro non espri me chiaramente l’indignazione dell’autore per le ipocrisie che egli odiavai derideva e satirizza va. Willett ci mostra come Brecht non permise mai a se stesso di pensare semplici le cose o pensare che queste potessero avere sia nel la vita sia sulla sua realistica sce na una semplice conclusione. « Voi avete due spiriti rivali che abitano in voi. Non tentate di soppesare i loro meriti, siete de stinati a portarli tutti e due ». Brecht dimostrò in un dramma dopo l’altro « l’umano terribile desiderio di cecità », « la infinita tentazione di fare il bene », « co me può essere benvenuta qualche volta l’amicizia » o « egli che cal za delle scarpe d’oro calpesta il debole e il vecchio », « dura il ma le lungo tutto il giorno... ». I sag gi esprimono perfettamente l’u nione di Brecht con il suo tempo e mostrano come il poeta incor porò la natura della sua epoca e il suo vario stile in un completo, franco linguaggio. Così ci appare l’uomo vivida- mente dedicato al pubblico che egli stesso ha scelto di raggiun gere. Lavoratori e intellettuali, in un singolo dramma su una scena improvvisata o con il grande Ber- liner Ensemble composto negli ultimi anni da più di duecento attori. Willett però omette la di vertente spiegazione di Brecht alla domanda perché le sue ulti me commedie fossero « impossi bili da recitarsi ». Brecht mi dis se una volta che non avrebbe mai voluto essere rappresentato per poter così creare tutti i personag gi da lui scelti. Forse è a questo pensiero che noi dobbiamo la grande varietà e il colore del Cerchio di gesso del Caucaso. E’ un peccato che qualche negli gente errore non sia stato cor retto; ad esempio il nome di Mao Tse-tung o il semplice ti tolo tedesco Zweite Sondernum- mer ripetutamente errato in tut to il libro. Ancora più spiace vole la mancanza di un più completo panorama dell’opera di Brecht in America, in particola re delle eccezionali produzioni del Galileo a Hollywood e a New Yori; con i ruoli sostenuti da Joseph Losey; la magnifica produzione di disegni di John Hupley, artista dell’U.P.A., nes suno dei quali purtroppo è stato riprodotto e un accenno al ge neroso aiuto di 50 mila dollari fatto da E. Hambleton che rese possibile queste produzioni. Il libro riesce a mostrarci Brecht come un’affascinante, poliedrica personalità, un genio intorno al quale sarà ancora molto scritto e i cui drammi saranno sempre più eh» winter rappresentati. (Traduzione di Maripiera De Vecchie) TUTTO IL TEATRO DI GOGOL finale Prima dell’incontro tra Dio e gli uomini, ai margini della coscenza noi troveremo il nostro Ispettore Generale, il no stro Revisore, che visiterà la squallida cittadina dell’anima do ve i peccati, i più gravi e nasco sti, hanno assunto tranquilla mente e tranquillamente man tengono le posizioni più impor tanti di funzionari. « Conside rate attentamente la cittadina della commedia. Tutti sanno che una simile cittadina non esiste in Russia ». Scrisse Gogol in una scena che avrebbe dovuto essere la conclusione dell’Ispettore Ge nerale, dove gli attori e qual che letterato dopo la rappresen tazione cercano di spiegare la forza simbolica della commedia, dove la cittadina non sarebbe altre che la coscenza di ciascun uomo. Ma Gogol sapeva che di Chlestaklov, di funzionari cor rotti e di simili cittadine era pie na la Russia e purtroppo anche il resto del mondo. A considerare i fatti della vita dello scrittore, le sue lettere, i suoi frammenti scritti a seguito di ciascun’opera, e che molto in telligentemente l’editore Ugo Mursia ha incluso nella sua edi zione completa di Gogol (1), ci stupisce il meraviglioso realismo poetico raggiunto nelle Anime morte e nel Revisore. Tutta la sua vita è stata una fuga e un ritorno, un’antica paura religio sa lo ha seguito, accompagnato, a volte braccato e un’estrema preoccupazione mistica ha sem pre dominato la sua mente, co sicché delle Anime morte e del Revisore si può dire che abbia no due facce, una, la ancora at tuale, la vera, profonda, l’altra, la moralistica, la spirituale ad ogni costo, la simbolica. Due ve rità: una sociale e l’altra reli giosa; due aspirazioni: il mostra re la vita nella sua epoca in Rus sia e la vita tutta protesa verso una soluzione oltre la morte. Oserei dire che questo secondo volto di Gogol non ci interessa o per lo meno non aggiunge niente di significativo alle uma ne preoccupazioni spirituali e la sua forza moralistca è più do lente e ansiosa che convincente. Il Gogol grande è quello del riso triste, è quello che raccon ta ciò che vede intorno a sé e oscuramente sente che la sua è una società che sta morendo perché ha perso ogni senso della vita e del suo significato. L ’ulti ma scena del Revisore lo attesta. Pietrificati nella sorpresa, in si lenzio, i personaggi mimano il loro stesso spirito. Di un mondo di false « perso ne importanti », il mondo che Gogol vede dominato da un mo stro inumano formato da esseri umani posti in scala di grado sociale che si chiama burocrazia, Chlestaklov ne è il prodotto (1) Nikolaj Gogol - Tutte le opere nar rative e il teatro - Presentazione di Eri- dano Bazzarella - Editore Ugo Mursia - Milano (Due volumi: 1° - Tutti i rac conti 2° - Tutto il teatro'). tedesco ma acuto e chiaro, che si allarga a pianto nelle Anime morte. Un dolore che si umilia e si difende, e così profondo che la seconda parte del romanzo, quella che doveva contenere i personaggi russi positivi, fu bruciata da Go gol prima di morire. Si è detto tanto del Revisore in cent’anni di critiche: che era vaudeville, che era espressioni smo avanti lettera, simbolismo, eccetera. Non c’è molto da ag giungere. Direi però che è so prattutto tragicommedia, e non ha soluzione, la soluzione spetta al pubblico, alla vita, se questa può darne; ciò mi pare oltre modo significativo perché si ri vela così origine di tanto ma gnifico teatro moderno: dal tea tro impressionista fino a Brecht. Non è la forza della parabola che ci interessa in Gogol, è la sua realtà e la sua tristezza di uomo per questa realtà. perfetto. Di uno snobismo scioc co recita la parte che preferisce venendosi a trovare casualmen te alla sommità del mostro, per poche ore, per un giorno. Ma questa è la cosa più importante. Nell’incredibile arrampicamento burocratico, nello sforzo e nel l’attenzione che si pone nell’a- scendere, ogni urgenza, ogni ap plicazione di giustizia diventa pura formalità e perde di signi ficato. L’impiegato Akakij Aka kievich non può neppure riave re il suo cappotto rubato e ne muore, attonito, impaurito. E la tristezza di Gogol è proprio nel vedere il volto troppo grinzoso, quasi morto della sua Russia e non nel terrore del diavolo nel misticismo delle antiche leggen de ucraine raccontato nelle «Ve glie alla fattoria presso Didan- ca ». Un dolore di sottofondo nel Revisore, appena nostalgico nel Matrimonio e ne / giocatori, che sono soltanto fragili bozzet Maripiera De Vecchia ti della vita provinciale russa, IN T R O D U Z IO N E ALL.’A M L E T O di h. Granville - barker pnrTrmrr r a Ter» t a Come si debba leggere una grande opera teatrale, assumerla in pro prio, ai fini di una resa spettacolare, trasferirla nella temperie del proprio tempo, per renderla nuova e riconoscibile al pubblico: ecco l’insegnamento che ci viene da questo libro. Lo indichiamo ad attori, registi, come esempio di metodologia. L ’autore, che fu a sua volta regista ed attore, alle soglie del secolo, restaurò, sulla grande lezione shakespeariana, la disamina analitica, facendo somma delle acquisi zioni, degli apporti di contemporanee e preesistenti scuole. Sua ambi zione, sua volontà riportare Sha\espeare alla sua capienza, dimen sione, ridargli i naturali ritmi, riinvestirlo di una mitologia poetica, che possa avere, anche, da parte della psicologia, tutti gli avalli. Compito improbo, come si vede, e che nuove concezioni hanno scavalcato. Resta il fatto, però, che le introduzioni alle opere dì Shakespeare, che così tenacemente il Granville-Barker ha steso e fra le quali questa dell’Amleto è preminente, sono rivelatrici, dei labirinti, delle tarsìe dell’opera shakespeariana. L’indagine è condotta fino all’usura; la storicizzazione dei perso- naggi si dipana fra la loro età e la nostra. Lo scavo è tanto acuto, fin da raggiungere le filiformi radici. Il libro si inquadra, a questo modo, nel maggior ambito dì una civiltà teatrale, quale è quella inglese; e ne è prestigioso documento. La traduzione italiana (eccellente) è dì Giorgio Brunacci e la pre fazione, acutamente orientatrice, di Luigi Squarzina. v. r. LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile - Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 I manoscritti, le fotografie ed i disegni non richiesti, non si restituiscono per nessuna ragione « IBSEN. La commedia delPamore - Brand - Peer Gynt - Le colonne della società - Casa di bambola - Spettri - Un ne mico del popolo - L'anitra selvatica - Rosmersholm - La donna del mare - Edda Gabler - Il costruttore Solness - Il piccolo Eyolf - La lega dei giovani - Quando noi morti ci destiamo. DUMAS (figlio). La signora dalle camelie - Diana De Lys - Demimonde - La questione danaro - Il figlio naturale - Un padre prodigo - L’amico delle donne - Le idee della signora Aubray - La principessa Giorgio - La moglie di Claudio - Il signor Alfonso - La straniera - La principessa di Bagdad - Dionisia - Francillon. WILDE. Il ventaglio di lady Windermere - Una donna senza importanza - Un marito ideale - L’importanza di chiamarsi Ernesto - La duchessa di Padova - Vera o i nichilisti - Sa- lomé - Una tragedia fiorentina - Una santa cortigiana - Il cardinale di Avignone. MOLIÈRE. Il medico volante - La gelosia del Barbouillé - Le preziose ridicole - Sganarello o il cornuto immaginario - Il medico per forza - Il siciliano o amor pittore - La scuola delle mogli - La critica della scuola delle mogli - L’improv visata di Versailles - Tartuffo - Il matrimonio per forza - Don Giovanni - Il misantropo - L’avaro - George Dandin - Il borghese gentiluomo - Gli imbrogli di Scapino - Il ma lato immaginario. SHAKESPEARE (degli italiani). I due gentiluomini di Ve rona - Romeo e Giulietta - Il mercante di Venezia - La bi sbetica domata - Molto rumore per nulla - Giulio Cesare - Otello - Antonio e Cleopatra - Coriolano - La tempesta. STRINDBERG. Maestro Olof - Il viaggio di Pietro il Fortu nato - Il padre - La signorina Giulia - Creditori - Paria - Simun - Il legame - Verso Damasco - Delitto e delitto - Gustavo Vasa - Pasqua - Danza macabra - Il sogno - Tem pesta - La casa bruciata - La sonata degli spettri. UNA COLLANA ORMAI FAMOSA; SOLTANTO IL VOLUME IBSEN È ALLA OTTAVA EDI■ ZIONE (1959). IN DIECI ANNI QUESTI VOLU- MI SONO STATI TUTTI RISTAMPATI PER ALCUNE DECINE DI MIGLIAIA DI COPIE. INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE TORINO CORSO BRAMANTE, 20 - TEL. 693.351 Questa è l’edizione cartonata, con sopracoperta. Il prezzo del volume IBSEN è di L. 5000; tutti gli altri volumi, L. 4000 l’uno. Chi si abbona a « Il Dramma », o rinnova l'abbonamento fino al febbraio I960, ha lo sconto del 50 % su ogni volume. Di questa Collana esiste una edizione di lusso, rile gata da amatore, con l’ad personam, se richiesto. Ogni volume rilegato viene maggiorato di 2000 lire; lo scon to del 50 % agli abbonati esclude la rilegatura che si paga sempre a parte. Se il vostro libraio ne è sprovvisto, rivolgetevi diretta- mente a noi. Servirsi del Conto Corrente Postale in testato a ILTE, n. 2/56. « v r f „ T O R I N O (otz/tZ/aZé'

Documenti

Tipologia

Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

Fondi collegati

appartiene a