M INTERESSE M D IR E TTO A DA LUCIO B ID E N T I & A ©BANDE V ii D R 3JI COMMEDIE DI f- i l M E N S ILE La vita m oderna rende sem pre più necessaria per l'u o m o , sia nella sua sfera p ro fessio nale che in q u e lla sociale, una accu ra ta p ro p rie tà del m odo di presentarsi. A questa esigenza la V IC TO R risponde con una serie di acque di co lo n ia e p ro d o tti per la to e le tta m aschile. P R O F U M I E P R O D O T TI DI L IN E A M A S C H IL E U N A SPLEN D ID A I TRE VERCELLI C O LLANA DELLA ILTE L edizione di questo volume in una splen dida veste tipografica, intende tributare un meritato omaggio ad una celebre Famiglia di Pittori Italiani e diffondere maggior mente la conoscenza delle loro opere, oltre che attraverso le mostre che vengono alle stite in America, in Francia ed in Italia, anche mediante un documento grafico di larga diffusione. II volume di 156 pagine con 28 illustra zioni a colori e 45 in nero, è stampato in offset. L. 9.000 - per gli abbon. L. 5.400. CASANOVA A VENEZIA DOPO IL PRIMO ESILIO | di Gino Damerini ! Prefazione di J. Rives Childs I Volume di 488 pagine con 86 illustrazioni litogra fa ’fiche originali a colori - pregevole rilegatura da pi-, amatore con fregi in oro e custodia rigida sovra| stampata - formato 14,5 x 22. L. 7.500 - per gli ji abbonati L. 4.500. TOSCANINI VISTO DA UN CRITICO ■ di Andrea della Corte ! Una esauriente biografia critica del più grande di|| j rettore di orchestra di ogni tempo corredata da una ■¡¡ricca bibliografia e copiosi indici delle persone nominate - In appendice l'elenco completo dei dischi l i incisi dal Maestro. ■ Volume d’arte di circa 500 pagine con oltre 500 g i illustrazioni ed autografi in gran parte inediti - for|.i mato 14,5x22 - carta uso mano finissima - rilegatura Hi da amatore con fregi in oro sul dorso - custodia rigida sovrastampata. L. 3.500 - per gli abbonati L. 2.180. LETTERE D’AMORE RI di Camillo Cavour g Prefazione di Giovanni Visconti Venosta - ProM sentazione e note di Maria Avetta HI Volume di 400 pagine con 26 illustrazioni in nero ¡S llloli testo - legatura editoriale da amatore - custodia j cartonata - formato 14,5 x 22. L. 3.500 - per gli i abbonati L. 2.100. • CAVOUR E I BALCANI ^ ; di Angelo Tamborra Volume di 400 pagine con illustrazioni in nero fuori *5 i testo - legatura editoriale da amatore con fregi in ^ ; oro sul dorso - custodia rigida sovrastampata - forV) | mato 14,4x22. L. 3.500 - per gli abbonati L. 2.100. Ul ALBERTO PASINI - G. B. QUADRONE | g j| a cura di Marziano Bernardi tijjp i Con questa magistrale edizione, i due pittori hanno : ,i avuto un riconoscimento che, sbiaditosi col tempo, | j oggi rifulge di rinnovata gloria. Edizione numerata Si di pagine LX-110, in carta e cartoncino del formato : di cm. 22 x 30 - rilegatura bodoniana con custodia, ■j L. 5.000 - per gli abbonati L. 3.000. OTTOCENTO PIEMONTESE g|, a cura di Marziano Bernardi Ri Per la limpida scrittura e la vivezza del tocco, oltre ||j che per la serietà dell’analisi critica, «Ottocento l i piemontese» è il grande libro che ogni cultore d’arte subalpina da gran tempo attendeva. Volume di pagg. H 350 e 60 tavole f.t., rilegato con custodia, formato H cm. 22 x 28. L. 2.000 - per gli abbonati L. 1.200. D O C U M E N TI DI TEATRO Collana diretta da Paolo Grassi eGiorgio Guazzotti • Editore Cappelli di Bologna, per gentile concessione. /i' una collana destinata a raccogliere, con il procedimento della ricerca monografica, un panorama quanto mai vasto e minu zioso del teatro mondiale; ed è una collana destinata a tutti. Agli studiosi di teatro, ai critici, ai giornalisti, agli spettatori: punto di convergenza fra essi lo scrupolo della documentazione e la linearità del racconto. Se è vero che in questo trava gliato momento del teatro italiano un pubblico nuovo si viene formando attra verso scelte contraddittorie ma sempre più esigenti e severe, questi « Documenti di teatro» hanno anch’essi un compito im portante da assolvere per contribuire alla nascita di nuove più preparate platee. 1 Gigi Lunari, L’Old Vie di Londra, 142 pagine, 27 illu strazioni 2 Gennaro Magliaio, Eduardo De Filippo, 92 pagine, 29 il lustrazioni 3 Paolo Chiarini, Il Teatro Tedesco Espressionista, 144 pagine, 24 illustrazioni 4 Ettore Gaipa, Giorgio Strehler, 168 pagine, 24 illustra zioni .5 Ghigo De Chiara, Ettore Petrolini, 108 pagine, 24 il lustrazioni L. 500 » 500 » 500 » 500 » 500 6 Andrea Camilleri, I Teatri Stabili in Italia (1898-1918), 132 pagine, 15 illustrazioni 7 Gigi Lunari, Lanrence Oli vier, 124 pagine, 24 illustra zioni 8 Luigi Ferrante, Rosso di San Secondo, 140 pagine, 18 illustrazioni 9 Gian Renzo Morfeo, Il Tea tro Popolare in Francia, 154 pagine, 20 illustrazioni 10 Franco Cologni, Ugo Betti, 168 pagine, 20 illustrazioni 11 G. Romano - G. Richetti, Teatro in Israele, 158 pagi ne, 23 illustrazioni 12 Giuseppe Parolieri, Ermete Zacconi, 158 pagine, 23 illu strazioni 13 Gigi Lunari, Il Movimen to Drammatico Irlandese (1899-1922), 180 pag., 20 il lustrazioni, volume doppio 14 Giorgio Pullini, Marco Pra ga, 152 pagine, 20 illustraz. 15 Ettore Capriolo, Il Group Theatre di New York (1931-1941), 124 pag., 24 il lustrazioni 16 Giulio Trevisani, Raffaele Viviani, 108 pagine, 20 illu strazioni 17 Paolo Emilio Poesio, Jean Louis Barrault, 164 pagine, 24 illustrazioni 18 Ruggero Jacobbi, Teatro in Brasile, 126 pagine, 17 illu strazioni 19 Luigi Ferrante, I Comici Goldoniani, 182 pag., 28 il lustraz., volume doppio 20 Ferruccio Marotti, Gordon Craig, 160 pag., 24 illustraz. 21 Giacomo Gambetti, Vittorio Gassman, 150 pagine, 28 il lustrazioni 22 Gigi Lunari, Henry Irving e il teatro inglese dell’800, 120 pagine, 20 illustraz. 23 Franco Cologni, Jacques Copeau, 176 pagine, 20 ili. 24 Lamberto Trczzini, Teatro in Polonia, 214 pag., 24 ili., volume doppio DRAM M ATURGHI IT A L IA N I DEL ’900 L. 500 » 500 » 500 » 500 » 500 » 500 » 500 » 650 » 500 Eligio Possenti SEI COMMEDIE volume di pag. 370, rilegato L. 3.200, ai nostri abbo nati L. 1.600. Vittorio Calvino TEATRO prefazione di Ghigo De Chiara - Volume di pag. 526, rilegato L. 3.800, ai nostri abbonati L. 1.900. Carlo Terron TEATRO prefazione di Giorgio Pullini - Volume di pag 400, rile gato L. 4.500, ai nostri abbonati L. 2.700. Massimo Dursi TEATRO prefazione di Giorgio Guazzotti - Volume di pag. 412, rilegato L. 3.800, ai nostri abbonati L. 2.280. IL LAVORO TEATRALE Collana di studi e documentazione a cura di Giorgio Guazzotti Bertolt Brecht - Kurt Weill L’OPERA DA TRE SOLDI Uno spettacolo del Piccolo Teatro di Milano - Regia di Giorgio Strehler - Fotocronaca di Ugo Mulas - A cura di Giorgio Guaz zotti - n. 1, pagine 178, 150 illustrazioni L. 2.000, ai nostri abbonati L. 1.200. Bertolt Brecht SCHWEJK NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE Uno spettaoolo del Piccolo Teatro di Milano - Regia di Giorgio Strehler - Fotocronaca di Mario e Ugo Mulas - A cura di Gigi Lunari e Raffaele Orlando - n. 2, pagine 150, 194 illustrazioni L. 2.500 ai nostri abbonati L. 1.500. » 500 » 500 EDIZIONI D’ARTE » 500 della Carlo Bestetti, edizioni d'Arte, di Roma, via della Croce, 77 per gentile concessione » 500 LA VITA MEDIOEVALE ITALIANA NELLA MINIATURA - Testo di Gioacchino Volpe, Adalberto Pazzini, Andrea della Corte, Luigi Volpicelli - Pag. 180 con 90 tavole f.t. in nero e 40 a sei colori - Rile gatura in similpelle con iscrizioni in oro e custodia - (27x37) L. 15.000 ai nostri abbonati L. 7.500 ITALIA - Nel paesaggio, nella vita, nell'arte - Testo di Guido Piovene 400 illustrazioni in nero ed a colori. Edizione italiana, edizione inglese, edizione francese. 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Rilegatura in tutta tela (24x31) L. 15.000 ai nostri abbonati L. 7.500 CATTEDRALI DI PUGLIA - di Alfredo Peti-ucci - Pag. 350 con 500 illu strazioni - Rilegato in tutta tela con iscrizioni in oro - (24x31) L. 12.000 ai nostri abbonati L. 6.000 ABBIGLIAMENTO E COSTUME NELLA PITTURA ITALIANA DEL RINASCIMENTO - Circa 500 pagine di illustrazioni in bianco e nero, 16 tavole a colori - Rilegatura in tutta tela - (24x31) L. 12.000 ai nostri abbonati L. 6.000 la c o n c e s s i o n e è v a l i d a f i n o a l f e b b r a i o 1 9 6 3 . è § ^ KJ fa S © tù S F A C IL IT A Z IO N I SU V O LU M I D I GRANDE INTERESSE c/a /'s r/f û <■ c N. S 5 fa -h k ! S © DO S ^ I g N z E h. M fa © ^ t fa r w n r c/ieZ'to ¿cr, àc ïStJYzm'ez t / / IL D R y A iV iiV L A sono stati fa tti in due serie 762 fascicoli, contando sempre sulla vostra amicizia: chi si abbona esprime tacitamente la sua simpatia. Anche Vesperimento dei fascicoli da cento e più pagine è riuscito; anzi ha avuto una fortuna quasi insperata per numero di nuovi abbonati e di nuovi lettori. Tanta considerazione è il premio della nostra fatica, e ci dispensa dal fare promesse. La nostra rivista si rinnova e si impone ogni numero. 1963 : ai nuovi abbonati ed a coloro che rinnovano l ’abbonamento con 4600 lire p e r l ’Ita lia e 6500 p e r l ’estero ( un anno) diam o la possi b ilità d i scegliere bellissim i lib r i al cinquanta e quaranta p e r cento. R IT R A T T I P E R D U T I di LUCIO RIDENTI Il volume ormai notissimo nel qualeèraccoltaladocu mentazionedella vita edei personaggi celebri dellasce na di prosa, nel periodo 1949-1959. Il volume costa 3000 lire; agli abbonati, 1500. Ì^ O A /a T I^ C AVALCATA D E LLE S T A G IO N I r di LUCIO RIDENTI Moda e Costume neiprimi sessanta anni del Secolo. Volume di circa duecento pagine, in formato grande (29x21) su carta pesante, con numerose tavole aco lori e riproduzioni a due colori ed in nero. Centinaia di fotografìe, ritratti celebri, ripro duzioni di quadri, affìches, disegni, curiosità di ogni periodo che il libro abbraccia. Il volume costa 8000 lire, ma chi si abbona o riabbona a «Il Dramma» lo paga 4000. L’edizione di lusso, rilegata da amatore e conl’adpersonam, richiede2000lire in più, anche per l’abbonato. L’edizione di lusso puòrealizzareagevolmente l’idea di un regalo, ed in tal casorimettendo l’importo di 6000 lire, l’editore avverte il destinatario da chi proviene il dono. 5 I tre volumi di Ridenti sono editi dalla Omnia Editrice, via Arbe 85 - Milano, ed ai nostri abbonati per gentile concessione. i l PETRONIO di LUCIO RIDENTI ovveroil nuovosaper vive re, librodi costumeedi ele ganzamaschile. La strenna più utile e divertente, un libro perfetto come regalo. Rilegato in setaverde, illu stratissimo, costa4000lire, agli abbonati 2000. VO LU M I MOLIERE WILDE SHAKESPEARE STRINDBERG TUTTE LE OPERE DI QUESTI GRANDI SCRITTORI IBSEN (1) Lire S.OOO - DUMAS figlio Lire 4.000 MOLIÈRE Lire 4.000 - OSCAR WILDE Lire 4.000 SHAKESPEARE degli italiani Lire 4.000 - AUGUST STRINDBERG Lire 4.000 QUESTI SEI VOLUMI FANNOPARTEDELLACOLLANA“ I CAPOLAVORI”. LA. RIDUZIONE DEL 50% È PER L’EDIZIONE COMUNE CARTONATA. CHI DESIDERAL’EDIZIONEDI LUSSO AGGIUNGA DUEMILA LIRE DI RILEGATURA DA AMATORE (EL’ADPERSONAM,SELODESIDERA) PERCIASCUNVOLUME (1) Chi desidera il volumeIbsen, nonlo richieda prima del mesedi gennaio, perchénon èdisponibile. DUE FAMOSI LIBRI PER RAGAZZI LE COMMEDIE di RENATO SIMONI LA VEDOVA . CARLO GOZZI TRAMONTO - CONGEDO IL MATRIMONIO DI CASANOVA Il volume costa 2.000 lire; per l’abbonato, 1.000. LE AVVENTURE DI PINOCCHIO di CARLO COLLODI Volume di 230paginecirca con 12 tavole fuori testoa colori stampate in offset formato 22x28 - legatura cartonata. L. 2.000 - per gli abbonati L. 1.200. TEATRO DI RAFFAELE VIVIANI A cura di Lucio Ridenti - Prefa zione di Eligio Possenti - Introdu zione di Vito Pandolfi. Sono 34 commedie divise in 2 vo lumi, rilegati in tela con sovracoperta a colori c scatola protettiva. I volumi sonoinseparabili ccostano 6.000lire ; l’abbonatopaga3.000. RACCONTI di HANS CHRISTIAN ANDERSEN Volumedi 226paginecirca con 8 tavole a colori fuori testostampatein offset - 40 illustrazioni in nero - for mato 25x34- legatura car tonata. L. 1.500 - per gli abbonati L. 900. V E G G H I E N U O V I LE M A G G IO R I F A C I L IT A Z I O N I SU B E L L IS S IM I RENATO DUMAS figlio AG LI ABBO N ATI T R E N T A N N I DI CRONACA D R A M M A T IC A di RENATO SIMON1 Le famose critiche teatrali di Simoni che fanno testoper il periodo teatrale che va dal 1911 al 1952. Sono 5 volumi c costano 4.800 lire Timo. II primo volume è esaurito. L’abbonalo paga 2.400 lire per vo lume e9.600 per i quattro. IBSEN Volume di circa duecento pagine, in formato grande (29x21) su carta pesante, con numerose tavole a colori e riproduzioni a due colori ed in nero. Centinaia di fotografie, ritratti celebri, riproduzioni di quadri, affiches, disegni, curiosità di ogni periodo che il libro abbraccia. Il volume costa 8000 lire, ma chi si abbona o riabbona a «Il Dramma » lo paga 4000. L’edizione di lusso, rilegata da amatore e con l’ad personam, richiede 2000 lire in più, anche per l'abbonato. L’edizione di lusso può realizzare agevolmente l'idea di un regalo, ed in tal caso rimettendo l’importo di 6000 lire, l’editore avverte il destinatario da chi proviene il dono. l / f / r /c B a ■ //rV /s s // / i l i i S i l i i . /Ì'si'/i's e- codiferme- //e-r dedd&n-/ cew/? / r / e - f dec-c& Non si tratta della cronistoria, ormai fin troppo risaputa, ma del l’indicazione degli avvenimenti di tutto il mondo, osservati sol tanto nel riflesso della moda e del costume femminile: un docu mento che segue la trasformazione d’ogni foggia, dalla sontuosità educata ed aristocratica alla stravaganza cocottesca e capricciosa. fz fc t ¿n. /'¿a- es o , _...... W-ir*Va-W* U iW iiU iiiU ii p k.L&UU,Mi-^ iÜÜfe&*.1^ ¿¿mm Wii-WiAUu ■iç ,^ u ¿ *í;¿ U 4 ? ^ w u ^ U iA iU U iU é px “\* -• -jvV è jM M p i P - -\ p\ -•*"- ’^ r, "^T ^r- $ •“' y|t4. “ *s*•* * ’ - - %c-"» J2>ii ***.' -¿’•-¿ >•*<-**.« $&¿&Lij.àjL» j.L..l^AÁ.j.sUm ÁÁÁjfc.ííA.A< te¿« *m ¿*¿iti «. -il f $ H f f i & r i i S . & S . ï æ | f I ' S i “ ¡ j i ¡ i ' - ^ ü ‘i «T^:“ 2- hNMf. i? * * * iii||ia |||i||||||||M lo ^ a ^ a Efe ^ F ^ ~ t $***.4-••*— 1*.. *4 *&àl-4»^t,h:...&.&,¿¿ ■ÀKÍUJklÓi íJüjji ^m ».-*...*:«...«* ... j..>i.:.:.\ ik - ' i»; j •-.* * . * r-■V » * V HA**A*JU^** u « ju ^m ^w £*-5^^^5îM ieââààjy ^ t f t - T t? ' ' •' '" ‘ #,1*nmS*^»-4 A< fe-W «B'*'<4.««•igWAÍi¿¿.1í,pP v-^.TkV f n T i ^ ^ , ln ^ i>tiSj r y X i..p>i-p^4*.4UiiUUjU* U4Ai míuuulu. im i l i ,i. n «i . r r S -K S li n T ¡7 i m ¡ , T T ? Iv#’k i i i i i i i i i J i U - i » u u í4 u ;í» UiÁO^UkJuUiO. ■ \4uu¡..'vv■ m >. n yl>« >V-y. 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La risonanza che l ’“ Eliseo” ha in Italia e a ll’estero fanno di questo teatro la aristocrazia artistica della Capitale. T E A T R O TEATRO E DI L I S PROSA E O U n a g io r n a t a g io io s a . . . c o n la s u lle F i a p is te t H p r e f e r it e . . . O O D L a 1 1 0 0 D è s e m p re in v e tta . C o n i l s u o m o t o r e d i 1 2 2 1 c m c b r il la n t i a c c e le r a z io n i v ia g g ia re p ia c e v o le ed nel e c o n o m ic it à com odo di in t e r n o c o n s u m i. Un c lim a tiz z a to . C h i h a la 1 1 0 0 D , c o m e t u t t i g li a u t o m o b ilis t i F ia t, h a il p r iv ile g io del S e r v iz io F ia t. G a r a n z ia estesa a 12 m e s i ( o p p u r e a 1 5 . 0 0 0 K m ) p e r t u t t e le v e t t u r e e lo r o d e r iv a ti. PRESENTA DUE GRANDI ENCICLOPEDIE E N C I C L D S P E T F O N D A T A O E L T P L A D A E D I A O C O S IL V IO L O D ’A M I C O P e r la p r im a v o lta n e lla s to r ia d e ll’ e d ito r ia t u t t o lo s p e tta c o lo d i t u t t i i te m p i e d i t u t t i i d ’o m b r e di G ia v a P a e s i. D a a g li E s c h ilo e re y to s a B e r t o lt B r e c h t , d a l te a tr o in d ia n i, d a g li a n t ic h i b o z z e tti a lle p i ù m o d e rn e r e a liz z a z io n i s c e n o g ra fic h e . 9 V O LU M I - 30.000 A R T IC O L I - 10.000 IL L U S T R A Z IO N I - 200 S T U D IO S I IT A L IA N I - 400 S T U D IO S I S T R A N IE R I - 30 R E D A T T O R I - 20 A N N I D I LAVO RO PREZZO L. 210.000 - RATA .MENSILE L. 3.000 E N C I C L O P E D I A D E L L ’ A R T E Edita dall’Istituto per la Collaborazione Culturale VENEZIA - ROMA 15 vo lu m i illu s tra ti che raccolgono l ’arte d i tu tti i tem pi e d i tu tti i paesi. 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Rime d'amore di poetesse del '500 • Toccafondi • Neruda: Canzone disperata - Al bertazzi • Achmatova: Il sogno e altre poesie - Proclemer ® Leopardi: L'infinito e altri canti - Aibertazzi • Cendrars: Pasqua a New York - Ninchi ® Pasternak: L'insurrezione dei marinai - Albertazzi • Eluard: La Libertà - Albertazzi • Vaiery: Cimitero marino - Carraro • Whitman: Foglie d'erba - Mon. temurri • Poeti romaneschi • DISCHI DA 25 CM. Neruda: Venti poesie d'amore e una canzone di sperata - Albertazzi • Neruda: Poesie scelte - Albertazzi • Gaspara Stampa e altre poetesse del '500 - Toccafondi • Cendrars: Pasqua a New York e Transiberiana - Ninchi « Baudelaire: Poesie scelte - Ricci • Pasternak: Poesie scelte - Albertazzi • Dickinson: Poesie scelte - Ferrati • Leopardi: I canti - Albertazzi ® DISCHI DA 50 CM. Eliot: Terra desolata e Canto d'amore - Albertazzi ® Porta: Poesie milanesi - Fo ® Poesia romanesca ® Italia dei poeti - Magni, Proclemer, Ricci, Albertazzi ® Eluard: Poesìe - bilingue - Phiiipe, Albertazzi • Vaiery: Charmes - bilingue - Vilar, Carraro • Whitman: Foglie d'erba - bilingue - Haines, Montemurri. N o v ità d e lie R is o n a n z e : BL Nuova Accademia Disco - Via Mario Pagano 65 - Milano. D IS C O B IL IN G U E E D IZ IO N I R A I R A D IO T E L E V IS IO N E IT A L IA N A T E A T R O TEDESCO D E L L ’E T À R O M A N T IC A PRESENTAZIONE DI BONAVENTURA TECCHI ESAUR1TO T E A T R P IE T R O M O D I E T A S T A S IO T E A T R O SPAGNOLO _______ D E L SECOLO D ’ORO PRESENTAZIONE DI ANGELO MONTEVERDI ESAURITO PRESENTAZIO N E D I RICCARDO B A C C H E LLI FIA B E T E A T R A L I PRESENTAZIONE DI DIEGO VALERI L. io.ooo GIUSTINO - DIDONE ABBANDONATA - L’IMPRESARIO DELLE CANARIE - ISSIPILE - L’OLIMPIADE - ATTILIO REGOLO - IPERMESTRA - ANTIGONO - ANGELICA - L’ISOLA DISABITATA - LE CINESI - ALCIDE AL BIVIO - ATENAIDE - GIOAS RE DI GIUDA - ISACCO FIGURA DEL REDENTORE - GIUSEPPE RICONOSCIUTO. T E A T R O FRANCESE C O N TE M P O R A N E O D I A U T O R I C A T T O L IC I PRESENTAZIONE DI MARIO APOLLONIO L. 11.000 T E A T R O FRANCESE D E L G R A N D E SECOLO PRESENTAZIONE DI GIOVANNI MACCHIA L. n.ooo TEATRO D I CARLO G O LD O N I PRESENTAZIONEDI E. FERDINANDOPALMIERI L. io.ooo Nonostante la gran fama che ha accompagnato in vita Pietro Metastasio e il posto che egli occupa nella storia della lette ratura italiana, questo grande melico della tragedia italiana del Settecento è pressoché sconosciuto al lettore dei nostri giorni. La pubblicazione che presentiamo, raccomandata dal nome di Riccardo Bacchelli che l ’ha curata, propone una conoscenza attuale del Metastasio, andando al fondo della sua collocazione storica, penetrando nel segreto del suo tea tro, stabilendo un nuovo rapporto tra la biografia e le opere. I l libro continua la già illustre tradizione della collezione La Spiga ed è corredato da un’ampia iconografia a colori e in bianco e nero. I n vendita nelle p rin c ip a li librerie. P e r richieste dirette rivolgersi a lla E R I . E D IZ IO N I R A I R A D IO T E L E V IS IO N E V ia Arsenale, z i - Torino IT A L IA N A P R E M IO T E A T R A LE “ F R A N C E S C O V A L L E C O R S F Il premio Vallecorsi, che vuole ricordare un volenteroso impiegato delle Officine Meccaniche Ferroviarie Pistoiesi (Ente promotore e principale organizzatore) il quale alternava al lavoro d’ufficio una grande pas sione per il teatro di prosa, ha oggi 12 anni di vita. Nato come concorso provinciale per atti unici è diventato nazionale dopo alcune edizioni a carat tere regionale; il «Vallecorsi» è oggi un premio sul quale si accentra l’interesse di tutti gli autori italiani. La cerimonia della premiazione avviene ogni anno a Pistoia in un reparto delle O.M.F.P. a diretto contatto con l’ambiente di lavoro. Le ultime edizioni sono state caratterizzate dall’intervento di autorevoli nomi del teatro di prosa come Federico Zardi, Gioacchino Forzano, Elena Zareschi, Vittorio Gassman, Valentina Fortunato, Paolo Stoppa e Rina Morelli. Il premio in denaro di L. 500.000 è unico ed indivisibile. Vengono inoltre assegnati ogni anno due medaglie d’oro, una del Presidente della Repubblica e una del Presidente del Consiglio, ed una coppa d’argento del Ministro per le Partecipazioni statali. Alle ultime tre edizioni il Governo è intervenuto ufficialmente alla cerimonia della premiazione con i Sottosegretari Romano, Calvi e Dominedò. 1949 ex aequo GIULIO FIORINI - « RIMPIANTO ». UGO MAZZONCINI - «LE SPIGHE DELLA BUONA SORTE». GINO DEI - «LA DONNA CHE RIDE ». 1950 1° GINO DEI - «IL DOVERE». 2° NILO NEGRI - « QUANDO ARRIVA L’AMORE ». 3° G. FIORINI E A. PONZIANI - « QUASI IN PARADISO ». 1951 - 52 1° RICCARDO MELANI - «LA BOCCA DA LUPI ». 2° MARIO MARZOCCHI - «E SE I MATTI FOSSERO SAVI?». 3° RENZO LUCHERINI - «I BUCHI». 1954 1° FABRIZIO RAFANELLI - « VIRGINIA O LA SOLITUDINE ». 2° NILO NEGRI - « ACCADDE COSI’ ». 3° FABRIZIO RAFANELLI - «DANIELA FUGGITIVA ». 1955 1° PAOLO SALONI - «I SUPERFLUI ». 2" PIETRO BARNINI - «LA DONNA DEL SOGNO ». 1956 1° ELISA LENSI TEVENE’ - « LA PIETRA IN FONDO AL POZZO ». 2° NILO NEGRI - «MARINA». 1957 Premio unico a ALBANI e CAVALLINA - « UN LEVRIERO PIENO DI PULCI ». 1958 Premio unico a ENZO MAURRI - «I PESCI ». 1959 Premio unico a MIRKO VUCETICH - «TRE GIORNI DEL SIGNORE». 1960 Premio unico a ERMANNO MACCARIO - « L’ACCELERATO VERSO LE STELLE ». 1961 Premio unico a GIULIANO PARENTI - « LA DRAGHIGNAZZA ». 1962 Premio unico a GIANLUIGI GAZZETTI - «SU TRE COLONNE DI CRONACA ». M U S E O T E A T R A L E A L L A S C A L A D I M IL A N O B IB L IO T E C A T E A T R A L E L IV IA S IM O N I d i ’/ R E N M éf A T O w /W S I M / d i' O N I ¿ m m & e M a td < // // < / m m d D IC E M B R E 1 9 6 2 - G E N N A IO 1 9 6 3 on-o-i-eALBERTO FOLCHI Ministro del Turismo e Spettacolo NICOLA DE PIRRO Direttore Generale del Teatro SERGIO SPASIANO Prefetto di Milano GINO CASSINIS Sindaco di Milano LUIGI MEDA Vice-Sindaco di Milano ADRIO CASATI Presidente dell’Amministrazione Provinciale ALFREDO BRUSONI Assessore alla P.I. della Giunta Provinciale di Milano ANTONIO CIAMPI Direttore Generale della S.I.A.E. ALDO CRESPI FOSCA CRESPI FRANZ DE BIASE Ispettore Generale del Teatro GIORDANO DELL’AMORE Presidente della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde ROBERTO DE MONTICELLI Presidente dell’Associazione Nazionale dei Critici Drammatici GIAN FILIPPO FONTANA ANTONIO GHIRINGHELLI Sovrintendente al Teatro alla Scala FERRUCCIO LANFRANCHI Presidente dell’Associazione Giornalisti Lombarda GIUSEPPE LONGO Vice-Presidente del Sindacato Nazionale Autori Drammatici LINO MONTAGNA Presidente dell’Ente Manifestazioni Milanesi SEVERINO PAGANI Presidente del Circolo Filologico REMIGIO PAONE Presidente dell’Associazione Capocomici LORENZO RUGGÌ Presidente della S.I.A.D. ALFIO RUSSO Direttore del «Corriere della Sera» ADOLFO SMIDILE Direttore del Teatro di Via Manzoni Renato Simoni GUIDO VALCARENGHI Presidente della Casa Ricordi MARIO VINCIGUERRA Presidente della S.I.A.E. GIORGIO ZANOTTO Sindaco di Verona //¿ i/o e.J PIERO DELLA GIUSTA Esecutore testamentario di Renato Simoni PAOLO GRASSI Direttore del Piccolo Teatro di Milano E. FERDINANDO PALMIERI Critico teatrale RENATO PERUGIA Esecutore testamentario di Renato Simoni ELIGIO POSSENTI Critico teatrale del «Corriere della Sera » LUCIO RIDENTI Direttore della rivista «Il Dramma » STEFANO VITTADINI Direttore del Museo Teatrale alla Scala E N T E T E A T R I T A L I A A L N E O S E D E E D I R E Z I O N E G E N E R A L E IN ftOBVIA Eh l-i Eh Kl Eh h* Q O Eh s o Eh 5 a? o Oh H-| ANCONA BENEVENTO BRINDISI CATANZARO CESENA CHIETI CIVITAVECCHIA COSENZA FIRENZE JESI L’AQUILA LECCE LUCCA MASSA PADOVA PARMA PAVIA PERUGIA PESARO PESCARA PIACENZA PISA RAVENNA REGGIO EMILIA RIETI ROMA ROMA SALERNO SIENA SPOLETO SULMONA TREVISO VITERBO TEATRO SPERIMENTALE TEATRO MASSIMO TEATRO DI GIULIO TEATRO COMUNALE TEATRO BONCI TEATRO SUPERCINEMA TEATRO TRAIANO TEATRO CITRIGNO TEATRO DELLA PERGOLA TEATRO PERGQLESI TEATRO COMUNALE TEATRO ARISTON TEATRO DEL GIGLIO TEATRO GUGLIELMI TEATRO VERDI TEATRO REGIO TEATRO FRASCHINI TEATRO MORLACCIII TEATRO ROSSINI TEATRO MASSIMO TEATRO MUNICIPALE TEATRO VERDI TEATRO ALIGHIERI TEATRO ARIOSTO TEATRO VESPASIANO TEATRO QUIRINO TEATRO VALLE TEATRO VERDI TEATRO DEI RINNUOVATI TEATRO Nuoyo TEATRO COMUNALE TEATRO COMUNALE TEATRO DELL’UNIONE LA S .I.A .E . - S O C IE T À IT A L IA N A DEG LI AUTORI ED E D IT O R I ha assunto la distribuzione e il collocamento in tutto il territorio nazionale delle opere edite dall’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ITALIANO UNA STUPENDA ENCICLOPEDIA ED UN GRANDE VOCABOLARIO 12 volumi rilegati in piena tela buckram (in quarto grande, di oltre 850 pp. ciascuno) La grande novità di questa originale pubblicazione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana è la presenza del vocabolario. Esso è a tutt’oggi il più ampio, il più articolato vocabolario della lingua di cui possa disporre la cultura italiana, e anche il più vicino alla realtà delle cose e delle idee, dal momento che per la prima volta nella storia della lessicografia, lessicografi e tecnici delle varie discipbne hanno potuto lavorare gomito a gomito. Questi ultimi hanno fornito ai primi non solo materiale prezioso per la definizione esattamente funzionale dei vocaboli tecnici, ma hanno anche portato lo spirito della definizione scientifica nelle definizioni dei vocaboli di uso più comune. L’armonica fusione di questo materiale lessicale con quello enciclopedico costi tuisce la caratteristica essenziale dell’opera, la sua novità e il suo pregio. ENCICLOPEDIA ITALIANA D I SCIENZE, LETTERE ED ARTI L opera si compone di 4>1 volumi (in quarto grande di oltre 1000 pagine) e comprende i due volumi della terza appendice 1949-1960; è la grande e famosa Enciclopedia Treccani, completa di tutti gli aggiornamenti. ENCICLOPEDIA DELL’ARTE ANTICA CLASSICA E ORIENTALE L’opera si compone di 6 volumi (in quarto grande di oltre 1000 pagine); sono finora usciti i primi 4 volumi. L’Enciclopedia dell’Arte antica classica e orientale avvicina per la prima volta il grande pub blico all’archeologia in un modo approssimativo o romanzato, ma ponendo a sua disposizione il documento tecnicamente e scientificamente esatto. DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIAN I L’opera si compone di 40 volumi con circa 40.000 biografie. Il Dizionario è in corso di pubblicazione e finora sono usciti 3 volumi. IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO E TUTTE LE ALTRE PUBBLICAZIONI POS SONO ESSERE ACQUISTATI TRAMITE LE SEDI E AGENZIE DELLA S.I.A.E. ELENCO DELLE SEDI REGIONALI DELLA S.I.A.E. ANCONA Piazza della Repubblica 1 NAPOLI Via S. Tommaso d’Aquino 13 BARI Corso Vittorio Emanuele 20/a PALERMO Via Guardione 3 BOLOGNA Via Foscherari 15 PESCARA Via Venezia 25 CAGLIARI Via XX Settembre 9/1 ROMA Via Po 8/b CATANZARO Discesa Poerio 3 TORINO Corso Stati Uniti 20 FIRENZE Via Ricasoli 26 TRIESTE Via Fabio Filzi 21/1 GENOVA Via Fieschi 2/2 VENEZIA S. Bartol., Calle Galeazza 5278 MILANO Via Arco 3 VERONA Via Don Carlo Steeb 1 SE VOLETE UNA BIBLIOTECA IN CASA ACQUISTATE L’ENCICLOPEDIA ITALIANA O IL DIZIONARIO ENCICLOPEDICO, CHE SONO POSTI IN VENDITA DALLE AGENZIE DELLA S.I.A.E. A PARTICOLARI CONDIZIONI CON FACILITAZIONI E PAGAMENTI RATEALI I D R A M M A T U R G H I R osso d i San S econdo T E A T R O (1911-1925) edizione critica a cura di L U IG I FE R R A N TE prefazione di FRANCESCO FLO RA u 2 3 -l O -1 u z Ui H 3 Z UJ H Z O o u Z u £L O IT A L IA N I D E L ’9 0 0 LE SINTESI DRAMMATICHE LA TUNISINA MARIONETTE CHE PASSIONE PER FARE L’ALBA AMARA L’OSPITE DESIDERATO LA DANZA SU DI UN PIEDE LA ROCCIA E I MONUMENTI LAZZARINA TRA I COLTELLI L’AVVENTURA TERRESTRE UNA COSA DI CARNE LA SCALA CANICOLA IL DELIRIO DELL’OSTE BASSA’ Tutte le opere presentate nel testo critico con le varianti apportate dall*autore, sa ranno precedute da una nota informativa recante tutte le notizie sulla loro fortuna sulle scene italiane e \straniere. VOLUMEDI PAG. LTV- 690- COPERTINA DI RENATO GUTTUSO - RILEGATO L. 5.000 RICORDIAMO I « s Ugo Betti TEATRO COMPLETO prefazione di Silvio D9Amico e Achille Fiocco volume di pag. 1544, rilegato L. 6.500 s s TEATRO POSTUMO prefazione di Achille Fiocco volume di pag. 210, rilegato L. 1.500 Massimo Dursi TEATRO prefazione di Giorgio Guazzotti volume di pag. 412, rilegato L. 3.800 Carlo Terrón TEATRO prefazione di Giorgio Pallini volume di pag. 400, rilegato L. 4.500 O C U M E N T I D I T E A T R O CO LLANA D IR E T T A D A PAO LO GRASSI E GIO RG IO G U A Z ZO TT I 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 o l o g n a - C a p p e l l i e d i t o r e E’ una collana destinata a raccogliere, con il procedimento della ricerca monografica, un panorama quanto mai vasto e minuzioso del teatro mondiale; ed è una collana destinata a tutti. Agli studiosi di teatro, ai critici, ai giornalisti, agli spettatori: punto di convergenza ira essi lo scrupolo della documentazione e la linearità del racconto. Se è vero che in questo travagliato momento del teatro italiano un pubblico nuovo si viene formando attraverso scelte contraddittorie ma sempre più esigenti e severe, questi « Documenti di Teatro » hanno anch’essi un compito importante da assolvere per contribuire alla nascita di nuove più preparate platee. 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 Gigi Lunari, L’Old Vie di Londra, 142 pagine, 27 illustrazioni L. L. Gennaro Magliulo, Eduardo De Filippo, 92 pagine, 29 illustrazioni L. Paolo Chiarini, Il Teatro Tedesco Espressionista, 144 pagine, 24 illustrazioni L. Ettore Gaipa, Giorgio Strehler, 168 pagine, 24 illustrazioni Ghigo De Chiara, Ettore Petrolini, 108 pagine, 24 illustrazioni L. Andrea Camilleri, I Teatri Stabili in Italia (1898-1918), 132 pagine, 15 illustrazioni L. L. Gigi Lunari, Laurence Olivier, 124 pagine, 24 illustrazioni L. Luigi Ferrante, Rosso di San Secondo, 140 pagine, 18 illustrazioni Gian Renzo Morteo, Il Teatro Popolare in Francia, 154 pagine, 20 illustrazioni L. L. Franco Cologni, Ugo Betti, 168 pagine, 20 illustrazioni L. G. Romano - G. Richetti, Teatro in Israele, 158 pagine, 23 illustrazioni Giuseppe Pardieri, Ermete Zucconi, 158 pagine, 23 illustrazioni L. Gigi Lunari, Il Movimento Drammatico Irlandese (1899-1922), 180 pagine, L. 20 illustrazioni, volume doppio Giorgio Pullini, Marco Praga, 152 pagine, 20 illustrazioni L. Ettore Capriolo, Il Group Theatre di New York (1931-1941), 124 pagine, 24 illustrazioni L. L. Giulio Trevisani, Raffaele Viviani, 108 pagine, 20 illustrazioni Paolo Emilio Poesio, Jean Louis Barrault, 164 pagine, 24 illustrazioni L. L. Ruggero Jacobbi, Teatro in Brasile, 126 pagine, 17 illustrazioni Luigi Ferrante, I Comici Goldoniani, 182 pagine, 28 illustraz., volume doppio L. L. Ferruccio Marotti, Gordon Craig, 160 pagine, 24 illustrazioni L. Giacomo Gambetti, Vittorio Gassman, 150 pagine, 28 illustrazioni Gigi Lunari, Henry Irving e il teatro inglese dell’800, 120 pagine, 20 illustraz. L. L. Franco Cologni, Jacques Copeau, 168 pagine, 20 illustrazioni Lamberto Trezzini, Teatro in Polonia, 214 pagine, 24 illustraz. volume doppio L. B D Volumi in corso di stampa: Olga Signorelli, Eleonora Duse Carlo di Stefano, La censura teatrale in Italia (1600-1962) Giorgio Richetti, Teatro Habimah: da Mosca a Tel Aviv Guglielmo Chillemi, Il dramma antico nella Grecia moderna Lamberto Sanguinetti, La Compagnia Reale Sarda 500 500 500 500 500 500 500 500 500 500 500 500 650 500 500 500 500 500 650 500 600 500 600 700 TE A TR O D I V IA M A N Z O ! “ R E N A TO S U O N I VIA MANZONI 42 - TELEFONO 790543 - 44 (0 /8 19 NOVEMBRE 1962 Jazz nel mondo, con i concerti dei T rii di Charlie Byrd (integrato da Zoot Sims e da Les McCann). DAL 21 NOVEMBRE AL 20 DICEMBRE Compagnia Dei Quattro, Glauco Mauri, Valeria Moriconi, regìe di F. Enriquez, scene di E. Luzzati. - 21 novembre prima della novità assoluta di Max Frisch « ANDORRA ». La Compagnia Dei Quattro completerà la stagione con una novità mondiale di Oreste Del Buono « NIENTE PER AMORE ». DAL 22 DICEMBRE AL 3 FEBBRAIO Compagnia di prosa con Carlo Ninchi, Mila Vannucci, Franco Graziosi, Enzo Garinei e la partecipazione straor dinaria di Corrado Pani ed altri. I l debutto è fissato con la novità assoluta di Max Frisch « OMOBONO E GLI INCENDIARI » per la regìa di Fersen; seguirà « R I TRATTO D I IGNOTO » di Diego Fabbri, novità per Milano, regista Orazio Costa. DAL 4 FEBBRAIO AL 31 MARZO Agirà la Compagnia di Peppino De Filippo, cui fanno parte Lidia Martora, Luigi De Filippo, Nico Pepe, Hélène Remy ed altri. I l debutto avverrà con una ripresa dello stesso Peppino De Filippo, « QUEL PICCOLO CAMPO ». Seconda commedia sarà la novità in due parti e otto quadri « I MIGLIORI SONO COSI’ ». ADOLFO SMIDILE A T E A T R M IL A N O - O D E L C V IA O M E N O N I O - N V T E L E G N O 0 7 .7 4 .6 8 S & tò a tò o * ENRICO D ’ ALESSANDRO Z 9 tfJ ? - f 9£3* - r e p e r to r io 1 S P E R D U T I N E L B U IO SCELTO DA QUESTO I dramma in tre a tti di elenco ! ROBERTO BRACCO (Rappresentazione celebrativa per il Centenario dell9Autore) Spettacolo di apertura il 26 ottobre 1962 con la partecipazione di RENZO R IC C I ^ • <9 IN C O N T R O A B DUE TEMPI DI S A LV A TO C A P P E LLI (Secondo spettacolo - novità assoluta) SPETTACO LO LA DONNA D I EG UCHI — -, D I “ N O ” SOGNO D U L C IN E A DI OASTON BATY (prima rappresentazione italiana) ENRICO D’ALESSANDRO c/c ANNA SALVATORE A B E L E G IA P P O N E S I ------, IL C A V A L T E R M IS E R I A C A P IT A N O D O P O DI JA M DE MA5?T0G (novità per l’Italia) D IO Completerà la Stagione una novità di autore italiano ed uno spettacolo d i a tti unici. Comunicheremo di volta in volta i complessi che, sempre di prim’ordine, risponderanno alle particolari esigenze dei testi. Attori, registi, scenografi coordinati in una unitaria direzione artistica per un pubblico di qualità. le n o v ità d i p ro s a a lla r a d io e a lla te le v is io n e R A D IO P ro g ra m m a N a z io n a le 6-12 L’INVENTORE DEL C A VA LLO C EN TO C IN Q U AN TA LA G ALLIN A C A N T A di achilìe campanile 8-12 OLTRE IL CONFINE di jais rys 11-12 LA VOLPE E L'U V A di figueredo 15-12 LA FINE DELLA BISM AR C K di Giuseppe lazzari 22-12 ROULETTE RUSSA di Alfred andersch 27-12 LA FAVO LA DI N A TALE di ugo betti S econdo P ro g a m m a 7-12 21-12 Giallo radiofonico FURTO CON SC ASSO di norman edwards IL SONNO DEL VECCHIO BOXEUR di orno vergaci T e rz o P ro g ra m m a 14-12 ore 21,20 LA CORONA V U O T A di john barton 21-12 » » LA SCUOLA DELLE MOGLI di molière 6-12 ore 22,45 LA DO NNA DAI CAPELLI T IN T I CON L’ HENNÉ di massimo bontempelli 27-12 » » UNA GRU A L TR AM O N TO di ju n j kinoshita 26-12 ore 17 IL VERDE PA R A D IS O DEGLI AMORI INFANTILE *• A ttilio bertolucci P ro g ra m m a N a z io n a le 2-12 9-12 16-12 7-12 T E L E V IS IO N E TR AG EDIA AM ER IC AN A di dreiser quarta puntata quinta puntata sesta puntata L’ UOMO DEL MOMENTO é>Lert-e? f ee^/e>tèe LAURA ADANI - CARLO RAGNO - ALVISE BATTAIN . PIETRO BIONDI - ROBERTO BISACCO - RINO BOLOGNESI - IGINIO BONAZZI - GIULIO BOSETTI - ANDREA BOSIC - ANTONIO CANNAS - UGO CAItDEA - FERRUCCIO CASACCI - GINO CAVA LIERI - DONATELLA CECCARELLO - MIMMO CRAIG - MICO CUNDARI . WILMA D’EUSEBIO - SILVANA DE SANTIS - RITA DI LERIA - SERGIO DI STEFANO - ALESSANDRO ESPOSITO - MARIO FERRARI - Q. MASSIMO FOSCHI - VIRGINIO GAZZOLO - GIANNA GIACHETTI - RENZO CIOVAMPIETRO - CARLA GRAVINA - JACQUES HERLIN - BOB MARCHESE - ANDREA MATTEUZZI - FERDI NANDO MERET - GIULIO OPPI - FRANCO PARENTI - FRANCO PASSATORE - ALFREDO PIANO - ALESSANDRO PINELLI GUALTIERO RIZZI - SANDRO ROCCA - RENZO ROSSI - OSVALDO RUGGIERI - GINO RUMOR - CECILIA SACCHI - SERGIO TOFANO - CORRADO VALLETTA - ADA VASCHETTI - ANNA MARIA VIAZZO - RUY SALETTA VISMARA - LIA ZAFFARDI LIDIA ZATINI - VIRGILIO ZERNITZ. I registit GIANFRANCO DB BOSIO, ROBERTO GUICCIARDINI, FRANCO PARENTI, JOSÉ QUAGLIO. Collaboratore artisticoi FRANCO PARENTI. Gli scenografi e i costumisti. EUGENIO GUGLIELMINETTI, JACQUES NOÈL, GIANNI POLIDORI, MISCHA SCANDELLA, LUCIANO SPADONI. I musicisti! GIANCARLO CHIARAMELLO, HANS DIETER HOSALLA, SERGIO LIBEROVICl. Spettacoli scolastici - Manifestazioni gratuite per gli abbonati . Recite in Piemonte - Tournées a Roma, Milano, Genova, Bologna, Firenze, ecc. Un teatro to rin e se per il pubblico italian o T E A T R O S T A B IL E D E L L A C IT T À D I P A L E R M O / 9 6 'J S - ¿>,3 LA R E G IN A E G L I IN S O R T I d i UGO B E T T I (Novità per Palermo) L ’ O C C H IO D I P E S C E d i GENNARO P IS T IL L I (Novità assoluta) LA FAVO LA DEL g F IS IC I d i FRIEDR1CK D ÙRRENMA T T (Prima rappresentazione in Italia) F IG L IO C A M B IA T O d i L U IG I PIR A N D E LLO rrArt /r- r/ /(r r ORAZIO COSTA G IO V A N G IG LI ELENCO ARTISTICO Per ordine alfabetico: EDDA ALBERTINI - GIORGIO BANDIERA - MARIA TERESA BAX - TINO BIANCHI - ANNA MARIA BOTTINI - AMALIA D’ALESSIO - PIERO DE SANTTS - REMO FOGLINO - CESARINA GHERALDI - ITA GUAZZELLI - GUALTIERO ISNENGHI - FRANCESCO MORILLO - SANDRO NINCEII - VITTORIO SANIPOLI - LEONARDO SEVERINI Regìe di: ANDREA CAMILLERI - GIACOMO COLLI - ORAZIO COSTA GIOVANGIGLI - ACCURSIO DI LEO Scene e costumi di: RICCARDO MANZI - MISCHA SCANDELLA - PIPPO SPINOCCIA Direttore di scena: ENRICO FIORENTINI Suggeritore : GIUSEPPE VALENTI Allestimento scenico, scene, costruzioni e costumi realizzati a cura dell’E. A. Teatro Massimo H Gli spettacoli avranno luogo nella « Sala Scarlatti » del Conservatorio V. BELLINI In caso di necessità la Direzione del Teatro si riserva il diritto di apportare modifiche al programma, alla partecipazione degli artisti, alla successione dei turni e a quanto altro potrà ravvisare opportuno. ANNO 38 - NUOVA SERIE N 315 I L D R A M M A MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI DICEMBRE 1962 DIREZIONE-AMMINISTRAZIONE-PUBBLICITA’ : IL TE (Industria Libraria Ti pografica Editrice) Torino, corso Bramante, 20 - Telefono 693-351 - Un fascicolo costa L. 500 - Abbonamenti: Un anno 'L. 4600; semestre: L. 2400; trimestre: L. 1300 - Conto Corrente Postale 2/56 intestato a ILTE. Abbonamenti per l'Estero, con la spesa di raccomandazione postale di ogni fascicolo, obbliga toria: per un anno L. 6500; per un semestre L. 3300; per un trimestre L. 1700. Taccaino: GIOVANI SU UN PIEDE SOLO Commedie: IL MISTERODEL GAUDIO, DEL DOLORE E DELLA GLORIA, su temi medioevalì di Giuseppe Valentini; LA COLONNA INFAME, dramma in due parti di Dino Buzzati; LA PANCHINA, un attodi Eziod’Errico +C.Articoli escritti vari (nelVordine di pubblicazione): GINODAMERINI, FRANCESCOBERNARDELLI, RENATO SIMONI, GIACOMO OREGLIA, GIOSE RIMANELLI, ANTONIO EPREMIAN, LUCIORIDENTI, LUIGI SARZANO, VITTORIO VECCHI, ERNESTO GRASSI, ALBERTO BERTOLINI, ENRICO BASSANO, ELIGIO POSSENTI, EDOARDO BRUNO, Copertina: CARZOU, Natività ^ Disegni: Renzo Vespignani ^ Fotografìe: Svenskt Pressfoto, Beata Bergstrtìm, Publifoto, Pecchia, Troncone, Leoni, Trevisio, Marchiori, Invernizzi, Archivio fotografico ILTE. G IO V A N I S U U N P IE D E S O L O Sia detto subito, chiaramente, che le considerazioni che stiamo per fare sul “ caso ” Gigi Lunari e la sua commedia messa in scena al Teatro Stabile di Napoli e fatta smettere d’au torità dopo il primo atto, ci addolora. Perché Gigi Lunari è nostro caro amico ed è assiduo collaboratore della nostra rivista, fin dal 1954; un collaboratore da nove anni, dunque, dav vero prezioso, che molto stimiamo anche perché “ creatura nostra ” da noi inventata, come si dice abitualmente di chi è stato tenuto per mano e condotto sulla strada professionale. Lo abbiamo conosciuto studente — oggi ha 28 anni ed appartiene all’ufficio studi del Piccolo Teatro di Milano — ancora estraneo al teatro, ma abbiamo capito i suoi interessi culturali, abbiamo sentita la sincerità della sua vocazione. Quasi immediatamente fummo lieti di con statare come egli rispondesse alla nostra fiducia, ma vecchi cani da tartufi come siamo in fatto di scovare giovani capaci, a Lunari avevamo creduto d’istinto. Così, come prima di di lui credemmo allo stesso modo a Gigi Cane che pure venne a noi appena fuori dell’Univer sità, come Lunari. Cane visse ed operò nella nostra redazione alcuni anni: divenne critico, saggista, scrittore, pubblicò una storia del teatro americano per le nostre edizioni, raggiunse il giornalismo quotidiano affermandosi rapidamente: oggi Gigetto è vice-direttore del “ Radiocorriere ” . L’ altro Gigi, il Lunari, come Cane ferratissimo in inglese, prese la via di Londra e sostituì il diletto amico Basii Maloney che emigrava a Broadway con una fotografia di Andreina Pagnani nascosta sotto la giacca al posto del cuore, e ci rimise la pelle, poiché cagionevole di salute lasciava le brume di Londra per gli inverni quasi sempre glaciali di New York. Non l’aveva scelta quella dimora: si trattava di impegni di lavoro. Appartenendo ad una famiglia di rispettabilissimi borghesi, crediamo industriali, la voca zione di Lunari per la letteratura drammatica sconcertò i suoi genitori, almeno al primo annuncio di rottura con la tradizione familiare da parte del rampollo invaso dal teatro. Ri cordiamo la visita della sua cara Mamma, una squisita e gentile signora che a vederla ci sembrò la vivente immagine di tutte le nostre mamme, comprensiva, sì, e desiderosa di aiutare la propria prole, ma timorosa insieme di sbagliare. Yeniva a noi implorando dalla nostra esperienza e quindi da quella saggezza che accompagna sempre una lunga vita aper tamente esemplare, se “ credevamo ” che il suo Gigi possedesse le qualità necessarie per iniziare una così strana (per loro) e difficile attività: la letteratura drammatica. Fummo precisi e senza esitazioni, poiché avevamo già esperimentato in vari termini e modi la note- vole preparazione, la capacità di esprimersi da letterato, le doti di equilibrio e di ragiona mento del nostro giovane amico. Andò a Londra, Gigi Lunari, e dal 1954 stesso in corrispon dente prima timido e poi sempre più comprensivo ed agguerrito. Alternò alla critica la sag gistica, divenne un vero scrittore di cose di teatro e pubblicò numerosi libri. Con una certa fretta, ma è l’ansia dei giovani. Infine credette che ciò bastasse per diventare anche comme diografo. E scrisse atti unici che leggemmo e scartammo; commedie e commedie che sempre leggemmo e subito scartammo, facendogli amichevolmente ma fermamente osservare che commediografi non si diventa: si nasce. Anche se poi quell’inconscio diventa realtà a cinquant’anni, come per Pirandello. Tre anni fa, Lunari, scrisse “ Tarantella con un piede solo ” , una sconcezza letteraria, se così si può esprimersi, che poteva venire in mente nel filone dell’“ Arialda ” . Ma Lunari l’aveva preceduta. Poche volte avevamo letto una commedia più falsa e sbagliata. E fummo severi, naturalmente; ma Lunari incassò senza protestare, convinto forse della nostra arretrataggine. Non osava polemizzare, ma difendeva la sua presunta commedia col silenzio di piombo che ò la caparbietà di alcuni giovani su un piede solo. E la loro perdizione. Adesso uno scandalo giudiziario nel quale è implicato il suo nome ha reso pubblico quel copione, che ha anche il torto di aver preso lo spunto da un miserevole fatto di cronaca per nulla ironico, ma soltanto squallido e sudicio. Ed eccoci nel pieno luogo comune: Lunari, milanese o no, ma tutto ignorando del Sud, si forma l’idea di Napoli (e dei napoletani) non diciamo approssimativa, ma lontana la distanza che ci separa dalla stella Arturo. Ed ambienta la sua commedia a Napoli, aggrappandosi al peggio: prostituzione, questurini, loro conni venza, ladruncolerie, e tutta la pirotecnica di una drammaturgia falsamente sociologica che propone il dramma senza mai risolverlo; che soprattutto ignora la poesia. Perché se poesia ci fosse tutto andrebbe bene, da Machiavelli a Williams, e lasciamo stare Brecht. Abbiamo detto che il fatto del quale l’autore si è servito è realmente accaduto, lo ha ricavato dalla cronaca: uno sposo di campagna vende la sua “ jus primae noctis” affittando la candida sposa contadina per mezzo milione, ed assiste, anche se trasognato e stordito, all’inizio della turpe faccenda. Il tutto condito con un linguaggio volutamente triviale del tutto fasullo. A questo punto della rappresentazione, è risaputo ma siamo costretti a ripetere, il pubblico si è ribellato e la commedia è stata sospesa. È intervenuto personalmente il Questore per ripetere al delegato della Presidenza del Teatro l’ordine di sospensione indefinita. L’autore, è altrettanto risaputo, è stato denunciato per spettacolo osceno e vilipendio delle forze di polizia, esattamente ciò che tre anni fa il buon senso l’educazione ed il mestiere ci hanno suggerito di dire a Lunari. Chi è il regista? Andrea Camilleri. Perché regista, se leggendo il copione non ha capito nulla? Oppure ha capito ed ha voluto essere deliberatamente col pevole? Non era difficile prevedere ciò che sarebbe accaduto. E per quanto riguarda il Teatro della Città di Napoli — quella Napoli che noi tanto amiamo — se altrettanto volontariamente (e non possiamo crederlo) non va in cerca di scandali, come può aver permesso di includere la commedia nel cartellone della Stagione? Chi legge le commedie allo Stabile di Napoli? Come si può fare un esperimento sulla propria pelle, con un testo epidermicamente diffa matorio di una città? E per carità non si ricominci ora la suonata del vecchio organetto della censura cacciata dal portone che rientra dalla finestra, visto che tutto era scontato in partenza con l’avvertimento sulla locandina trattarsi di opera proibita ai minori di diciotto anni? Un ben odioso avvertimento, che noi riteniamo inaccettabile, poiché squalifica un uomo di cultura. Né si dica che l’episodio può costituire un precedente (preoccupante 0 meno) trattandosi della protesta di poche persone: non erano in pochi, ma tutto il pubblico. 1 pochi formavano il consueto clan di amici dell’autore. Quel pubblico ha protestato per la nostra stessa protesta di tre anni fa, a scatola chiusa, cioè alla lettura del copione. Le fe tenzie, dicono a Napoli, restano sempre fetenzie. Perché la sociologia è una scienza, non una volgarità. L’episodio Lunari può essere di insegnamento a tutti quei giovani che stanno su un piede solo, in una continua falsa tarantella, aggrappandosi con le loro opere ad ogni lenocinio, tanto più crudele quanto più malcelata è la furbizia. Essi cercano di costruire una facciata e non importa se dietro non si trova dramma e non c’ è poesia. Al pubblico di Napoli che spontaneamente ha rinunciato ad ascoltare la seconda parte della commedia di Lunari, va lode e rispetto: possiamo assicurarlo noi che, oggi sabato 8 dicembre, prima di “ fare questo taccuino” abbiamo ripreso il copione dal cassetto e lo abbiamo riletto. Per coscienza. I I O D D I & S T S R O I 6 H U D I O i -V|1 «adorazione dei Re Magi ». Evangelario siriaca dell’inizio del X secolo, ccfcservato alla BÌTrtiatoca^Dueale di Wolfffenbiittel. D & T T D & m O L w O G ¿te- ¿eme mec^t'oe-ztee^ e& R L A O R I a-/ere£ ree A F IL O L O G IA E P O E S IA D I UNA «SACRA RAPPRESENTAZIONE» Nelle Storie, anzi nei capitoli delle Sto rie del teatro drammatico connessi con le ricerche e g li studi magistrali sulle o ri gini, d i maestri insuperati come i l M o naci, i l D ’Ancona, il De Bartholomaeis, la lenta evoluzione plurisecolare del no stro dramma sacro cristiano, dai remo tissim i e p rim itiv i preannunci litu rg ici alle Laudi, alle n u trite « Rappresenta zioni » del tardo periodo gotico, diventa una specie d i corridoio interm inabile, o addirittura d i ponte sospeso sull’abisso infernale dell’alto Medioevo in fondo al quale si macerano fino a dissolversi, con dannati dalla Chiesa e dalla ignavia del tempo, g li u ltim i residui della civiltà tea trale greco-latina, cioè pagana. E per una strana contraddizione proprio questo ponte finisce col ricondurci là donde si era p a rtiti e col costituire i l legame tra l ’ora detta civiltà e la nascita d i quella umanistica rinascimentale nella quale il dramma sacro si perderà, invece, a sua volta. Si tratta, ovviamente, d i una fal lace costruzione critica la quale non r i solve punto quel problema che essa do vrebbe risolvere del vuoto — se vuoto ci fu — che la fine d e ll’Im pero Romano si dice abbia determinato anche nel mon do dello spettacolo, e che i l teatro cri stiano non colmò, anche perché origina riamente concepito come un addentellato liturgico d i funzioni religiose non pretese neppure d i colmare. La sua verità sta forse in ciò, che, nato come elemento com plementare d i determ inati r iti, nel pro posito d i colpire la immaginazione dei fedeli, esso presto si corruppe, tanto più degenerando verso forme autonome quan to più la cultura e la tecnica vennero esercitandovisi a scopi meramente spetta colari e profani. La cultura laica, si in tende; ma quella clericale le si affiancò e con essa collaborò riconoscendo l ’im portanza, e sfruttandola, del valore pro pagandistico d i manifestazioni che pur perseguivano, oramai, fin i congiunti edo nistici e speculativi. R ife riti al lunghis simo periodo in cui le rappresentazioni sacre ebbero campo d i meglio affermarsi e d i più prosperare (si tratta d i un periodo d i centinaia e centinaia d i anni) i testi, cioè le testimonianze concrete che d i esse ci rimangono, si possono ritenere quanti tativamente poca cosa, tanto più se si pensa alla stupenda medioevale efficienza archivistica degli is titu ti religiosi presso cui sopravvissero; tale che m o lti d i più avrebbero dovuto essercene conservati. Qualitativamente un indizio abbastanza significativo — e negativo — del con cetto in cui furono tenute, lo si ha nella palese indifferenza dell’arte della stampa al suo nascere, e poi, verso la letteratura che ne derivò. I l De Bartholomaeis nel Proemio alla sua opera sulle « origini della poesia dram matica italiana » ebbe già a rilevare quel lo che si può considerare uno dei carat te ri fondamentali d i cotesto scarso reper torio, e cioè che esso è form ato d i com posizioni le quali m olto spesso si ripe tono l ’una d a ll’altra e i l cui valore non consiste nelle im pronte personali che vi si possano scernere, ma bensì nella circo stanza che in esse si assomma il fru tto d i una a ttività durata per secoli; una at tività , conviene aggiungere, che si espli cava partendo da un materiale storico o leggendario, e in ogni caso rituale, im prescindibile, che la condizionava fissan done a p rio ri i lim iti e g li sviluppi. Le evasioni non poterono avere altra mira se non quella d i impreziosire i testi, senza venir meno alla tradizione; con apporti liric i, sovrastrutture d i natura letteraria e coloriture ambientali a loro volta sug gerite piuttosto da necessità d i aggiorna m enti esteriori che non da te n tativi reali d i rinnovamento. M ettiam o pure che, considerata in blocco così come ci è per venuta, e incapsulata nella ricerca più vasta dei procedimenti del teatro dram matico non religioso, la produzione o ri ginaria delle rappresentazioni cristiane possa essere considerata, secondo i l pa rere del Bartholomaeis, come un fossile e « neanche il più prezioso esteticamente », resta che, a indagarne i particolari, essa proprio per questa sua natura diviene fonte d i sorprese lucenti che si fanno sempre più vivide e attraenti quanto più si risale ai m ig lio ri testi p rim itiv i. Col progredire delle tentazioni scenogra fiche e delle contaminazioni profane e spettacolari che ne ridussero in propor zione diretta la presa mistica e la fre schezza dei m odi popolareschi, con ra v viarsi cioè ad essere vero e proprio teatro, le rappresentazioni sacre si avviarono pure a quella decadenza del genere sulla quale il gigantismo dei cinquecenteschi « autos » spagnoli pose una immensa pietra sepol crale. Le manifestazioni tardive che se ne ebbero, o incrementarono una lettera tura d i circostanza ad uso interno delle comunità religiose, o conversero in fo r m idabili imprese folcloristiche nettamen te barocche, i l tipico delle quali si iden tificò — e rimane — nelle celeberrime Rappresentazioni gerinaniche d i origine seicentesca tra cui quelle di Oberrammergau, e in altre molte sim ilari, anche italiane, le quali ultim e, m inori per im portanza e notorietà, hanno, per cóntro, maggiori pregi d i carattere e d i genuinità. E ’ probabile che facendo appello agli O r d in i e alle istituzioni culturali religiose, si potrebbe raccogliere ancora una non scarsa messe d i testi in e d iti cinque e seicenteschi; quello seicentesco che il « Dramma » ha pubblicato nel fascicolo di Natale dell’anno scorso conforta a crederlo. M a fu o ri d a ll’ambiente religioso e prescin dendo dagli scenari che inquadrano le accennate manifestazioni popolari, volen do cioè rimanere in term in i d i letteratura contemporanea, che ne è stato delle rap presentazioni della « Passione »? Esempi notevoli, ma per lo più fram m entari di elaborazioni poetiche d i intonazione neo mistica non fanno difetto. Quella che il « Dramma » pubblica ora, d i Giuseppe Valentini, è indubbiamente tra le più complete, e per m o lti aspetti più esau rie n ti venute da tempo in luce. Dico ve nute in luce, perché essa fu già diffusa dalla Radio Tèlevisione Italiana nella rea lizzazione della numerosissima compagnia d i prosa d i Firenze, per la regìa d i Um berto Benedetto e con la partecipazione d i A rnoldo Foà e d i Nella Bonora; non ché d i un numeroso coro sostenuto da musiche appositamente scelte. E prima era stata posta in scena nell’America la tina. Giuseppe V alentini non è un pro fessionista della letteratura, nella quale trova rifugio e conforto isolandosi, quan do può dalle cure che la sua qualità d i diplomatico g li impongono. La lettura, tuttavia, del suo testo, da lu i in tito la to M istero del Gaudio, del Dolore e della G loria dimostrerà a chi l ’a ffro n ti la preparazione, l ’estro, la ricchezza d i acqui sizioni e d i atteggiamenti con cui egli s’è accinto alla sua nobilissima fatica e con cui è riescito a condurla a buon termine, bene superando le difficoltà im plicite nel l ’arduo compito intrapreso. Con questo suo M istero, Giuseppe Vale n tin i non ha pensato certo a rinnovare i temi, che sarebbe stato impossibile, o le form e della sacra rappresentazione me dioevale. Come egli stesso avverte nel sottotitolo, « su tem i medioevali », a que sti egli si è anzi esplicitamente riportato prendendone ispirazione, e facendo tesoro d i tu tto quanto poteva venire opportu namente elaborato e trasferito nella pro pria composizione, allo scopo precipuo d i ricreare quella suggestione d i un clima a cui la nostra civiltà teatrale non è più proclive. C’è, in fa tti, da scommettere che il V alentini, scrivendo i l suo M istero, non abbia tanto pensato a tram utarlo in spet tacolo, quanto a circonfonderlo in un alone commosso d i poesia e d i fede at traverso la realizzazione e* la confacente accentuazione lirica ed emotiva degli epi sodi della vita terrena d i Gesù, tra tti, come la tradizione vuole, dai testi sacri. La scelta d i ta li episodi si presentava senz’altro ovvia; l ’autore li ha d is trib u iti in tre p a rti distinte ed in sette quadri; il prim o dei quali comprende i l ciclo tra d i zionale della N a tività (la notte d i attesa e l ’annuncio dei pastori; l ’arrivo dei Re M a g i) e si chiude col bando d i sterminio dì Erodej A lla fuga in E g itto è /dedicato il secondo; il terzo è imperniato sulla presenza del D ivin o Fanciullo nella Sina goga d i Cafarnao e sulla discussione d i lu i con i d o tto ri; nel quarto trionfa il m ira colo della resurrezione d i Lazzaro; se guono col quinto, il sesto, e il settimo le vicende vere e proprie della Passione e della Crocifissione: la cena degli Apo stoli, i l tradim ento d i Giuda, il giudizio d i Pilato, i l supplizio della Croce. E, fi nalmente, la gloriosa Resurrezione. L ’azione procede quasi sempre per rac conti e per commenti, affidata, si direbbe, alla eloquenza d i un controcanto che si adegua alle situazioni; che a volte assume i m odi incantati ed ingenui d i una fiaba per fa n ciu lli (la N a tiv ità ) e spesso si af fida a m ovim enti d i un pittoresco este riore; ma risale agevolmente, quando è necessario, ai to n i d i una commossa dram m aticità seguendo l ’incalzare della vicen da divina verso la sublime crisi finale. I l testo alterna i l verso alla prosa; la cantilena distesa delle voci corali alla con citazione serrata dei parlati secchi; una certa esuberanza immaginosa d i coloriti descrittivi orientaleggianti, a im provvisi richiam i lapidari alle indicazioni dei Van geli e, soprattutto, volentieri indugia in evocazioni evidenti d i m ovim enti liric i popolareschi p ro p ri delle rappresentazio ni medioevali. Non si tratta, si badi, di una imitazione superficiale, ma, se così si possa dire, d i una rimeditazione di eventi e d i accenti in v irtù della quale la parabola della « Passione » si irrobustisce scenicamente e si anima umanamente sen za rinunciare alla suggestione del clima mistico donde scaturisce. Secondando con la grande facilità dei ritm i la ricca pro lu v ie dei particolari celestiali, fantastici, religiosi, il V alen tini è portato a compia cersene ed a insistervi incorrendo talora, sia per il contenuto come per la forma, in un manierismo fin troppo scoperto nei brani in versi; d ’altra parte convien rico noscere che i l genere medesimo della com posizione, ancorata a m odelli irrefu tab ili, agisce in tal senso, facendo sì che si rin novi una volta ancora i l già ricordato fenomeno della « ripetizione » se non del rifacim ento puro e semplice, che contrad distingue la univocità della letteratura drammatica cristiana medioevale. La innegabile coerenza stilistica del « M i stero » e la struttura scenica che ne sot tolinea i l vigore rappresentativo (specialmente efficace n e ll’episodio in tro d u ttivo della notte d i Natale e in quelli tragici dell’E pilogo) non sono tu rb a ti dalla libera e quasi spregiudicata introduzione nel te sto d i tem i non propriamente religiosi i quali evocando i l tempo d i cui furono essi stessi una espressione letteraria ser vono, m i pare, ad a ttrib u irg li una attua lità a quel tempo relativa. Ciò va detto a proposito d e ll’inserimento, indubbia mente audace, nelle vicende evangeliche d i figure proprie delle canzoni cavallere sche d i gesta e d i epopee popolari, come quella d i Rolando che appare al popolo « in is p irilo ed in figura » fasciato d i fer ro, sulla strada che conduce a Gerusalem me, nel secondo quadro della seconda parte o come l ’altra del Saladino « Re sanguinante d i insanguinati infedeli »; ana cronismi, d ’altronde, che alimentano, per contrasto, l ’interesse del poema, e defini scono con intermezzi non p riv i d i genia lità quel suo carattere composito che nella lettura occorre tener sempre presente per non perdere d i vista la logica e l ’ordine cronologico delle scene. Un esperimento questo « M istero » del V alentini, giusti ficato, per fortuna, più ancora che dai suoi interessanti presupposti filologici, dai valori poetici altrettanto validi che lo animano. Sino Damerini I L ( D I S T & R m 6 D H O & Q i U D D & L D O & L O I L R L O 0 A I R H I Á G IU S E P P E V A L E N T IN I Giuseppe Valentini, già direttore dell’Istituto di Cul tura Italiana in Portogallo, poi addetto e successiva mente consigliere stampa presso le Ambasciate d’Italia a Rio de Janeiro, Buenos Aires, Città del Messico, Beirut ed attualmente presso quella di Atene. Scrittore e giornalista, collabora alla « Gazzetta del Popolo », «Corriere d’informazione», «Tempo», «Resto del Carlino », «Mattino », « Gazzettino », « Italia Lette raria », « Osservatore politico e letterario », ecc. E’ sta to critico teatrale della « Nuova Antologia ». Ha tra dotto per primo Bodas de sangre di García Lorca, rappresentata a Roma al Teatro delle Arti nel maggio 1939: tale traduzione fu pubblicata da « Dramma » nel settembre 1943. Autore di Ettore, rappresentato a Roma al Teatro delle Arti nel dicembre 1940 e pubbli cato in « Dramma » nel febbraio 1942, del Mistero del gaudio, del dolore e della gloria, radiotrasmessa dalla Compagnia fiorentina della RAI e di Penultima Mi randolina, radiotrasmessa dalla compagnia torinese. Sue opere: Ormeggi ed Approdi; Amor del Mondo; Specchio di nostra stagione; Sonetti per comando di Violante; Camminata con Adamo; nonché in lingua castigliana Inventa Moenia e Las Mañanitas del Atar decer. Ha compilato una «Antologia da literatura italiana », tradotta in lingua portoghese e pubblicata a Lisbona. Ha fondato e diretto a Buenos Aires la rivista mensile «Vita Italiana» e a Città del Messico la rassegna bimestrale « Ragguagli d’Italia ». * Copyright 1962 by Giuseppe Valentini. Non vi porto quiete novelle, io, l'Arcangelo Gabriele, ma gaudio, dolore e gloria, il pane che fu di Israele. A voi popolo cristiano annunzio letizie e lutti, perché nell’anima vostra s’illumini il Padre di tutti. Le pene che peneremo son quelle di Nostro Signore: di Lui le piaghe e l’aceto, di Lui patimento e sudore. Ma prima la nascita chiara, i re che portarono l’oro, il re del paese biondo, il re del paese moro. «Adorazione dei Magi », particolari di una pagina della Biblia Pauperum (c. 1370) con servata nella Biblioteca di Wolffenbuttel. LA MADONNA GIUDA SIMON PIETRO GIUSEPPE LONGINO MARIA MADDALENA GIUSEPPE D’ARIMATEA L’ARCANGELO GABRIELE GIOVANNI L’EVANGELISTA L’ARCANGELO MICHELE IL SALADINO GIOVANNI IL BATTISTA CAIFASSO ROLANDO UN SOLDATO UN PASTORE TRE APOSTOLI MARTA VERONICA UN BANDITORE E’ questo l'eterno mistero, è questa l’unica storia, quella che regge la vita di tutta la nostra memoria. Cristiani, ci assista Iddio con sua bontà e suo consiglio perché qui comincia la storia della carne di Suo Figlio, l’incendio che avvampa nei tempi, il seme di tutte le età, la storia di ieri e di oggi che sempre ricomincerà. (Notte non scurissima. Tre pastori sono in scena). I l Primo Pastore — Si dice ch’è nato... I l Secondo Pastore — Ch’è della stirpe di David... I l Terzo Pastore — Ch’è biondo. I l Primo Pastore — Che ride. I l Secondo Pastore — Che la madre si chiama Maria. I l Terzo Pastore — E che c’è, con la madre, un patriarca. I l Primo Pastore — Che sono di Galilea. I l Secondo Pastore — Che venivano a Gerusalemme per il censimento dei Romani. I l Terzo Pastore — Obbedendo agli editti. I l Primo Pastore — Si dice... I l Secondo Pastore — Si dice... I l Terzo Pastore — Chi è che lo dice? I l Primo Pastore — Tutto e tutti. In cielo e in terra. Voce di Dio... I l Secondo Pastore — Anche l'erba lo dice... I l Terzo Pastore — E la neve... I l Primo Pastore — E in cielo le stelle... I l Secondo Pastore — E l’acqua nel fiume... I l Terzo Pastore — E le pecorelle sul prato... I l Primo Pastore — La memoria dei vecchi... I l Secondo Pastore — La speranza dei giovani... I l Terzo Pastore — L'innocenza dei pargoli... I l Primo Pastore — E’ la notte di tutti gli uomini, questa. I l Secondo Pastore — La notte dei pastori. I l Terzo Pastore — La notte dei re. (Durante tutta questa scena si sono udite remote e fievoli, dall’alto, voci alterne che dicono « Alle luia! Alleluia! ». I pastori lentamente arretrano ed escono di scena; dalla parte opposta lentamente entrano i Re Magi). Melchiorre — Se n’è andata la stella... Gaspare — Se l’è mangiata una nuvolaccia nera nera che pare la faccia di Baldassare. Baldassare —■Dite, dite... Io campo e regno benis simo anche con la faccia nera. (Pausa) Ma il Bam bino sarà bianco... Melchiorre (con lo stesso tono) — Bianco. Gaspare — Bianco... Baldassare — E bianchissima la Madre... Melchiorre — Bianchissima. Gaspare — Bianchissima. Baldassare — E ci sarà l’asinelio... Gaspare — E il bue... Melchiorre — E l’erbetta... Baldassare — E la neve... Gaspare — Per questo è venuta la nuvolaccia; per preparare la neve bianca. Melchiorre — Già, ma intanto abbiamo perduto i cammelli; e la stella ormai non c’è più; pietra e sabbia, freddo e buio. Se lo perdessimo il Bambino? (Lamentandosi con tenera ingenuità, quasi piagnu colando) Addio mirra e oro e incenso... Addio i Re Magi e la « Pasquella » che la dovevan cantare i ragazzi di tutto il mondo... Baldassare — Addio gli zampognari con le ciocie e le cantasilene... Gaspare — Se non ritorna questa stella, addio tutte le stelle, addio l’acqua del Giordano... (S’intende un coro remoto) Sulle rive del Giordano dove l’acqua diventa vino, oggi è nato Gesù Bambino... Melchiorre — No. Lo senti che già i ragazzi la sanno la canzonetta? (Incantato) Oh belle parole le nostre... Baldassare — Le nostre. (Una pausa) Che freddo. Sentite... Nevica... Melchiorre — Nevica... Gaspare —- Nevica... Baldassare — Oh che meraviglia! (Stendendo le mani) Non l’avevo mai vista la neve... Che leggera, che delicata. Appena la tocco si sfa. (Lamentandosi quasi in un piagnucolio) Non sarà che la neve bianca non lo vuole un re negro? Gaspare — No, che si sfa per tutti. Anche alle mani bianche; a quelle di tutti i re e di tutti i sudditi, dei vecchi e dei bambini, degli uomini e delle donne. La neve vuol solo apparire. Non pesa : nessuno la può toccare a lungo, stringendola nella mano. E’ come le stelle, la neve... Melchiorre — Come il mare. Come le favole. (Pausa). Baldassare — Che freddo! Gaspare — Che freddo! Baldassare — Io non lo vedo più il Bambino bian co sulla paglia d’oro. Che si sia sfatto come la neve? Che il Bambino bianco non lo voglia il re negro? Se n’è andato insieme alla stella. (Rab brividendo) Qui appariranno, amici, le fantasime... Melchiorre — Non lo dire... Baldassare — Le male fantasime che le inventano i sassi per i deserti, gli scorpioni nelle voragini, i granchi nel fondo del mare... (Un tuono: contro il cielo buio appare, cinto di ferro, il Saladino, la scimitarra in mano; nel buio si fa largo un’esile mezza luna). Saladino — Ecco il padrone, il guerriero, quello che sciabola e passa, macchina calda di guerra, scimitarra baluginante tra le palme e la mezza luna. (Pausa. I tre Re stanno sbigottiti. Cade il tono cadenzato e militare del Saladino) Chi sono questi fantocci? I tre Re insieme — Tre Re! Saladino — Tre Re disarmati, in un canto che tremano, tre vecchierelli. I Re (ognuno una parola) — Ma Re - Sovrani Padroni. Saladino — Padroni di che? Non vedete che la corona vi cade? Melchiorre — E me la rimetto! Gaspare — Tremavo per il freddo. Non per altro. Baldassare — Son Re ed ho la corona! Saladino — Un negro... Baldassare — Un negro, ma Re... Melchiorre — E attendiamo una stella. Gaspare — Una stella... Baldassare — Una stella. Saladino — Una stella? Ma c’è la mezza luna, non la vedete? Tra le nuvolacce... Gaspare — Se ne andrà. Tornerà la stella. Lo dicon tre Re! Saladino — Tre Re queste anticaglie freddolose. E sfoderate, in tre, le vostre spade; il Saladino ve le sfrange tutte! Melchiorre — Noi non abbiamo spade, siam di pace. E abbiamo una notte sola, questa. Vattene, cattiva fantasima che hai tante notti, mille e ima, dicono. Mille e una notte. Noi una, questa: una notte di pace per tre vecchierelli che tremano, uno Questa è la notte tutta del Bambino persino nero con la corona storta. Tu mille e una, regalata dal Signore. (Pausa. Bruscamente ad con femmine e vittorie. Noi questa, che ce la stiamo Erode con timbro più che intimidatorio) tremando, verso un Bambino che non trema. (Uno E tu vattene, vecchia putredine squillo rauco di tromba, un colpo cupo di tamburo. che con il fiato guasti la Giudea. Se ne va la mezza luna: torna il buio più denso Ritorna da dove venisti, che al principio; appare enorme e barbuto Erode con Satana e Belzebù! illuminato - come sarà sempre in seguito — da una luce verde, intensa e cupa, evocante il pantano). (Appaiono due diavoli tra un incerto lampeggiare di fiamme: il Battista alza la mano. Erode ch’era Erode — venuto ritirandosi verso il fondo della scena se ne Un bambino? che si muoia! va ripetendo come meccanicamente : « Ma dopo, ma che s'affoghi nella sua bava! dopo, ma dopo... ». I diavoli restano, incerti e goffi, I bambini non li voglio; poco fidandosi anche delle fiamme). gli innocenti li sgozza Erode, gli accusatori della mia moglie, I l Battista — il castigo del mio trono. Re saggi, portategli l’oro Brucino il cielo le mie trombe. (Altro squillo che gli luccichi, che lo incanti. di tromba). E l’incenso che lo addorma Mordano il mondo i miei tamburi! (Altro e la mirra che se la sogni. suono di tamburi). 10 non ho regali da fare. Questa è la notte dei Patriarchi Saladino — delle zampogne, dei pastori... (Pausa) Cosa vuole questo tanghero? Baciatelo per me, per il Battista, Questo reaccio prepotente? (Minacciandolo). bruciato dal deserto e dall'attesa, Erode (impaurito e con voce piagnucolosa) — Guardie, soldati, forza pubblica, 11 caro Infante che m’immaginai. (Scompare). venite in soccorso al re legittimo! Belzebù (con voce stridula) — (Entrano le guardie che si gettano sul Saladino. Andate, andate. E noi che siamo? Fragor d’armi. Se ne va il Saladino, lottando con Nessuno ci chiede nemmeno il permesso. le guardie. Dopo una pausa appare il Battista). Satanasso (con uguale tono stridulo) —- Satanasso, Erode (impauritissimo e con tono automatico di Belzebù... burattino) — Melchiorre — Oh, di nuovo, di nuovo, il Battista, Vi conosco, vi conosco L'ho ammazzato venti volte! diavolacci sgangherati... venti volte è risuscitato! E non è l’odore di zolfo I l Battista (con voce ferma e minacciosa) — che mi possa spaventare... Non sono io quel che risuscita. Baldassare — Verrà, ma dopo, il Risuscitato. E non è un piede caprino, E’ che non basta la scure di Erode e nemmeno due povere corna. Per ammazzare Giovanni il Battista. Gaspare — Io non regno in Babilonia Basterà questo bastone sui peccati dei Caldei... a rimandarvi sotto terra. Sono Giovanni, sono il Battista, I tre (ad una voce, in tono di scongiuro, can quegli che annuncia disarmato, tilenando) — senza l’ala dell’Arcangelo Sotto terra, sotto terra, e nemmeno la sua spada... Satanasso, Belzebù! Sono soltanto una voce profonda (I due diavoli, che durante gli scongiuri dei Re che non si tace, che non si tace, Magi erano venuti alternativamente dicendo, come e ti comanda, putrido Erode, su di una musichetta stonata: « Satanasso, Bel di lasciare in pace quei Re. (Cambiando tono, zebù! » se ne vanno tra sempre più esili luccichii con voce improvvisamente delicata) di fiamme. Pausa. Torna la stella). C’è un Bambino appena nato Melchiorre — Se ne sono andate, le male e le che ha bisogno dei loro regali, buone fantasime. E’ tornata la stella... un Bambino che vuol giocare, Gaspare — Strano. Aveva smesso, tra tanto rumore, che solo stanotte avrà i suoi giochi. di nevicare. Eppure c’erano le nuvole. Adesso che Erode (retrocedendo lentamente, sempre più im c’è la stella, che se n’è andata con il chiasso, la paurito ma come volendo darsi coraggio) — nuvolaccia, nevica di nuovo. Ma dopo, ma dopo, Baldassare — Ma non è più freddo. E' la neve Li vedrai gli editti, che non fa danno, la pacifica neve come la vuole La vedrai la legge del Re! I l Battista (non badandogli, con voce intenerita) — il Bambino, come starà nel Presepio, come la can teranno il giorno della Pasquella. (S’odono alterni Questa non è la notte di Erode due cori: uno solenne: « Osanna, Osanna! »; l’attro fuligginosa di ciechi peccati. in sordina, di voci infantili: « Sulle rive del Gior dano - dove l’acqua diventa vino... »). Gaspare — Li sentite cantare gli angeli? (Pieno di giubilo) La vedete già la capanna? Melchiorre — La vedo, la vedo... Osanna! E can tano tutti gli angeli! Baldassare — Io che son negro, sento solo cantare i ragazzi di domani. Ma vedo la capanna. E sulla capanna la stella. Osanna! (Poi comincia a cantic chiare anch'egli: « Sulle rive del Giordano... », fin ché i tre escono rapidi, dicendo) : Gaspare — E’ nato il Figlio, è nato il Bambino. Melchiorre — Sulle rive del Giordano. Baldassare — Dove l’acqua s’è fatta vino... (Così come prima erano scomparsi i pastori lentamente, così adesso lentamente se ne vanno i Re Magi e riappaiono i pastori). I l Primo Pastore — Li avete visti i Re? Venuti da tutta la terra... I l Secondo Pastore — Lo avete visto ridere il Bambino? I l Terzo Pastore — I doni li avete visti? I l Primo Pastore — L’asinelio si è svegliato quando ha sentito tante piastre d’oro. I l Secondo Pastore — Oro antico. I l Terzo Pastore — Il primo oro che vide Adamo. I l Primo Pastore — E se lo voleva mangiare l’oro 10 stolto asinelio. 11 Secondo Pastore — E se lo voleva ruminare l ’in censo il distratto bue. I l Terzo Pastore — E la mirra, ditemi, che sarà? I l Primo Pastore — Una cosa di astrologi e di Re. I l Secondo Pastore — Noi non la sappiamo. I l Terzo Pastore — Non s’interessarono alla mirra né l'asino né il bue. I l Primo Pastore — Ma il Bambino a tutto rise, tutto gradì, caro e lieto. Smise persino, quando arrivarono i doni, di giocare con la barba del Patriarca. I l Secondo Pastore — Il Patriarca che sperava e ricordava. I l Terzo Pastore — Il Patriarca in orazione. I l Primo Pastore (con aria tra di domanda e di estasi) — E Maria? I l Secondo Pastore — E Maria? I l Terzo Pastore — E Maria? I l Primo Pastore — Stava in cielo con gli angeli. I l Secondo Pastore — No, con noi, fiduciosa. Con noi, i pastori. I l Terzo Pastore — E con il Figlio. I l Primo Pastore — E con tutti. I l Secondo Pastore — Con gli angeli, con i Re e con l’asinelio. I l Terzo Pastore — Di cielo e di carne, la dolce Maria. (S’ode la voce del Banditore, monotona, compas sata e fredda, con automatismo un po' buratti nesco). I l Banditore — Comanda Erode il Tetrarca, il sovrano di Galilea, la morte di tutti gl’infanti, la strage degli innocenti. Mobilitate le guardie, si metteranno in cammino appena spuntato il sole, in mano la spada e la legge. Si pubblichi e si promulghi l’editto di Erode il Tetrarca! DEL PRIMOQUADRO «1 Re Magi ehe scrutano la Stella» (dalI’Hortus Deliciarum di Herrad von Landsberg, 1165-1175, ed. A. Straub G. Keller, Strassburg 1. Els., 1879). (Il deserto con una palma. Di notte). Giuseppe — Oh Padre Nostro, proteggi il cammino della Madre e del Bambino che son soli con l’asinelio e con questo vecchierello. Tu sai che andiamo fuggendo Erode, sette corna e sette code. Che c’è la strage degli innocenti, tu lo sai, lo vedi, lo senti. Manda la spada di San Michele contro nemico tanto crudele. Facci trovare la strada d’Egitto, com’è destino, come sta scritto. Michele (apparendo) — Vecchio Giuseppe, non porto aiuto, il Messia piccolo piccolo l’han da salvare forze umane. Questo è un viaggio senza Arcangeli affidato a un patriarca che lo cammina la Sacra Famiglia, senza fretta e senza spade. Con i tuoi poveri affanni, Giuseppe, hai da portarla in terra d’Egitto... (Scompare). Giuseppe — Oh poveretta la mia orazione che non mi valse aiuto di spada... (Pausa) Oh fortunata la mia orazione che m’ha insegnato la vera strada... (Pausa) Ma come potrò tra gli stenti del tribolato cammino tra il sangue di tanti innocenti salvare il nostro Bambino? Maria (entrando) — Potrai, Giuseppe, potrai. Giuseppe — Dolce Maria, m'è più cara la tua voce vestita di grazia che quella nuda dell’Arcangelo. Ma come potremo passar tanti deserti e tante montagne? Anche sotto quella terribile della legge, dovremo passare, Maria. E poi il mare... E poi il Faraone... La terribile strada di Mosé... Noi... Con un asinelio. Maria — Andremo e torneremo... Adesso il Bam bino dorme. Lo vedi? E’ questo, è solo questo che conta, che stia riposato il Bambino, che sorrida felice, addormentato o sveglio. Adesso sta sulla paglia, vicino all’asinelio e dorme a pugni stretti, beato. Come nel Presepio. Ricordi? Ch’era appena nato, che vennero i Re e cantarono gli angeli... e c’era la neve... Giuseppe — Adesso c’è il deserto, Maria, e c’è l’editto sacrilego, ci sono le spade nemiche di tutti i bambini. Maria — Io son donna e non so né di editti né di spade... Né mi preoccupano, Giuseppe. Quando nacque ho sentito la voce degli angeli. Poi vennero i Re, finché apparve Gabriele a dirci d’andare, di lasciare la sacra terra di Davide per quella impura del Faraone. Mi basta. Arriveremo in Egitto e tor neremo anche nel nostro paese che è quello di Dio, che se ci comanda oggi Erode, ieri ci comandò Davide. (Modesta e fiera) Io di quel sangue sono. E quel sangue combatte e ritorna. Giuseppe — Io ho sangue di popolo... Sangue qua lunque... (Ingenuamente fiero) Però ho visto l’Ar cangelo Michele, ho parlato a Michele... Maria — Io invece quel giorno non parlai, ascol tai soltanto la parola dell’Arcangelo pacifico che annunzia le imprese grandi e dolci di Dio. Giuseppe (mortificato) — Veramente, anch’io non ho parlato a Michele. Lui parlò. E disse che il Bambino era il Messia. Maria — Io lo sapevo già, Giuseppe. E ci vuole coraggio a saperlo. Questa è un’impresa di Dio, troppo grande per essere sempre soltanto dolce. Ci sarà da penare, Giuseppe. E non tanto per il deserto, non tanto per Erode... Ma dopo, quando il Bambinello sarà cresciuto e non dormirà più, i pugni chiusi, sulla paglia. Giuseppe — Anche oggi, Maria, anche oggi... (An sioso e angosciato) Dov’è una goccia d’acqua? Ho sete. Da due giorni non beviamo, Maria. E se tu e il Bambino nemmeno ve n’accorgete, io e l’asi nelio soffriamo. La sete è cattiva, Maria. La sete è sempre d’oggi... Maria (semplice) ■ — Ho trovato l ’acqua; laggiù, dietro quelle tre palme c’è un vecchio pozzo che deve avere l’età dei patriarchi, tanto è lontano e straniato da tutti. Ma l’acqua dentro è buona, fresca, viva. Anch’io avevo sete ed anche il Bam bino. Abbiamo bevuto che fu una gioia infinita, una letizia venuta allora allora da Dio. Il Bambino rideva e sguazzava, umido e rosato... Va’ tu, adesso, Giuseppe, e porta con te l’asinelio, che beva. (Alle ultime parole di Maria s’è cominciato ad udire alterno, da destra e da sinistra, un coro di voci gravi e di voci lievi, maschili e femminili: « Turris davidica, Domus aurea, Foederis arca, Janua coeli, ecc. ». I due vengono ascoltando, semplici e raccolti, quelle voci di tempi futuri, finché Maria dice a Giuseppe, preoccupata e pietosa) Giuseppe, va’ e bevi. La sete è cattiva, hai ragione. L’acqua è là, dopo le tre palme. Giuseppe — Non ho più sete, Maria. Queste care voci mi dissetano più che l’acqua. Queste care voci che saranno nei secoli la tua corona, dolce Maria. Maria — La corona di mio Figlio, vorrai dire... Giuseppe — No, proprio la tua... E chi può pensare alla sete, Maria? C’è mai stata nel mondo la sete? E c’è mai stato nel mondo Erode? E l’aspra strada d’Egitto? Senti... Maria — Sento... Giuseppe — La voce degli angeli ti assomiglia, dolce Maria. Maria — E quella dei patriarchi ti assomiglia, pie toso Giuseppe. DELSECONDOQUADRO «I Magi rendono omaggio a Gesù Bambi no ». (DalFHortus Deliciarum di Herrad von Landsberg, 1165-1175, ed. Straub Keller, Strassburg, 1879). (Cafarnao. Un piazzale tra il lago e la Sinagoga, sotto il colle: di mattina). Maria (ansiosa) — L’avete visto il Bambino? L'avete visto? Voi, piante, voi, sassi? Se non lo ritrovano gli uomini, ritrovatemelo voi... Sono tre giorni che lo cerco. I primi dolori... La prima spada... (Come volesse convincere intorno a sé il mondo vuoto) E’ caro al cielo, è l'annunciato dell’Arcangelo il mio Bambino. Ma già in pericolo. E in pericolo da sempre, dai tempi dell’editto di Erode. E’ di Dio, ma candido tra gli uomini bui: ma tenero tra la gente dura. E voi, nuvolette, che dite? Dov’è an dato il Bambino Gesù? Giuseppe (entrando anch'egli ansioso) — Non è un bambino. Maria; ha dodici anni. E’ cresciuto anche se tu non vuoi. Come avviene che non si vogliano quasi sempre le cose più semplici del mondo. Ha dodici anni e ritornerà; è saggio ed attento. Maria — Sempre un Bambino per me, una cosa calda e da nulla nelle mie braccia, propriamente un fantolino come me l’affidò l’Arcangelo. Oh, re stasse così; di Dio e della Madre, soffice e ridente... Giuseppe — Era così per la strada d’Egitto, sul l'asinelio. Questa è Cafarnao, in Galilea. E’ cresciuto. Ha dodici anni e non è più soffice; una canna già rigogliosa, Maria; me ne dispiace per te, tanto... ed anche un poco per me. Ma Gesù non è più sol tanto della madre: ormai è anche del mondo e di Dio. Maria — Di Dio, sì : non del mondo. E' in pericolo, Giuseppe, se il mondo se lo prende, se il mondo l ’avvolge. In pericolo grande. (Come parlando fra sé, a voce più bassa) Del resto è sempre stato in pericolo, fin dai tempi di Erode... Giuseppe — E che si può fare, Maria? Maria (scuotendosi dagli incantati presentimenti e tornando ansiosa) — Cercarlo, cercarlo, cercarlo... Ora e qui... soltanto questo... Giuseppe (desolato e impotente) — Dappertutto l’ho cercato e non c’è. Maria — Come? Non può essere che, essendo nato, Gesù non ci sia. Non può essere più, non può es sere mai. Giuseppe — Che vuoi che ti dica. Maria? Io non lo trovo e nessuno lo trova. Maria — Ma c’è. (La Vergine e Giuseppe restano immobili in fondo, nella luce, come in un quadro. Nella penombra provocata da una nuvola nera appaiono Caifasso ed Erode immobili, cupi, pe santi). Caifasso — C’è. Un ragazzetto nella casa di Dio, a riempirla tutta. La legge così è infranta, minac ciata, guasta. Occorrerà vedere, studiare, decidere. Questa è soltanto la rozza Galilea. Ma da Cafarnao lo scandalo può giungere a Gerusalemme... Erode (con gesto impotente e rabbioso) — Prov vedi tu, Caifasso. Perché non provvedi? Perché non provvedi e nessuno provvede? Io non ho po tuto allora, nonostante le guardie e gli editti; mi scampò da bambino, che parve un miracolo. Caifasso — Che forse fu davvero un miracolo. E qui appunto sta il male. I miracoli potevano, anzi, dovevano avvenire prima, quando ancora non c’era tutta la Legge. Adesso c’è, diventata, a forza di profezie e di miracoli, eterna. Ogni cosa studiata; ogni cosa, quella. Basta ormai con i miracoli; i veri e i falsi. Soprattutto i veri. Erode — Provvedi tu che sei saggio. Io non posso più, io che sono soltanto potente. Fallo arrestare quel ragazzetto insolente e saccente. Ordina agli schiavi del Tempio... Caifasso — L'epoca non è venuta, ma verrà. Scam pare alla barba nera di Erode è più facile che sfuggire a quella bianca di Caifasso. Erode — Io vorrei che fosse subito. Fu l’unico innocente che scampò. L’unico errore delle mie guardie e dei miei editti. (Facendo un gesto rapido come di mannaia che tagli) Proprio vorrei che fosse subito. Caifasso — Anche la parola « subito » dovrebbe essere bandita; è improvvida e miracolosa... Non s’intona alla Legge che s’è fatta con i secoli. Come dimostra del resto l’inutilità di tutti i tuoi editti improvvisi. Occorre tempo all’olio e tempo al vino; ulivo e vigna, le due piante che accompagnano da sempre la nostra Legge ed il nostro paese, non crescono in un giorno. Noi raccogliamo frutti ma turi, in nome di una Legge matura. (Guardando Erode, sprezzante) Non sgozziamo pargoli. Erode — Non t ’intendo... Caifasso — M’intenderai... Erode — Ma intanto il saputello sta nel Tempio, un ragazzetto saccente confonde i barbuti dottori... Caifasso (ironico e cupo) — Confonde i dottori di Cafarnao, non quelli di Gerusalemme... (Scompare la penombra della nuvola e con lei Caifasso ed Erode. Si rianimano in fondo Maria e Giuseppe). Maria — Hai visto quei due, Giuseppe? Uno era Erode... Giuseppe — Ma che dici? Non c’era nessuno... Maria — No, c’erano. Sotto la nuvola. Li ho visti i due tristi, il vecchio e il giovane, il nero e il bianco, il nemico di ieri e quello di domani. Il nemico dei pargoli e il nemico degli uomini. Li ho visti insieme. E' tristissimo segno. Giuseppe — No. T’è parso, Maria. Colpa di quella nera nuvolaccia. Maria — E con la nuvolaccia quei due tristi, gli alleati e gl’inventori di tutte le nuvole. (Semplice, come facendo una constatazione) Gesù è nel Tem pio, laggiù sul lago, nel vecchio Tempio che ha gli anni di Davide. E c’era prima dei Filistei e di Gelboè. Giuseppe (incredulo) — E che farebbe a dodici anni Gesù nel Tempio? Maria — Sta discutendo con i dottori, Giuseppe, e li confonde, ch'è gloria grande ma pericolo ancor più grande... Giuseppe — I dottori con tanto di barba a discu tere con un fanciulletto? Maria, quella nuvola t’ha confuso... Maria — Non abbiamo avuto fede. Solo nel Tem pio non l’abbiamo cercato; ci pareva impossibile. E solo le cose impossibili sono degne di Lui, di Gesù. (Voci confuse ed alterne che però vengono componendo come un coro tra cantilenato e reci tato). Voci — Oh parole stranissime e dolci di fanciullo e di dottore! La pietà, la misericordia, la dolcezza del dolore. E’ ritornato il Re Davide pascolante gli agnelletti. Siamo tutti perdonati, siamo tutti benedetti. Durano eterni premio e castigo per volere dell'Onnipotente. Simon Pietro (entrando trafelato, ansioso di offrire alla Madre la prima adorazione terrena) — Torre Davidica, Porta del Cielo, Arca del Patto, Mistica Rosa... Son qui, ai tuoi piedi, Simon Pietro pesca tore, in eterno del Figliol tuo. Agli ordini, Immaco lata, agli ordini tuoi Simon Pietro, che lascia la vecchia rete di Galilea. Se tu vuoi, Regina, se il Figliol tuo lo vuole, pronto a diventare una pie tra, la prima. Maria — Lo sapevo e ti ringrazio, Pietro animoso e pronto. Certo comincia una strada dura e lunga, quella del cielo. Dio l'ha voluto e con Gesù do vremo seguire. Simon Pietro — Con gli uomini... Maria — E sopra gli uomini... Giuseppe — Con i patriarchi... Maria — E i bambini... Giuseppe — Il fiore della tribù d’Israele. Simon Pietro — Il fiore del mondo tutto. Maria — Tutti in Dio, con Gesù, dalle colonne d’Èr cole fino ai monti di Gog e Magog. Simon Pietro — Qui e dovunque; i neri e i bianchi, i poveri e i ricchi, i sani e gli infermi. Giuseppe — Così? Solo per virtù di parole? In pace? Simon Pietro — Non così e non in pace. Dopo molte cose che non saranno quiete. Maria — E molti strazi. E pesante dolore. Oh po vero Gesù, oh caro Bambino! Simon Pietro — Oh combattente e vittorioso Gesù! Giuseppe — E dunque, come ci comandano i Padri, preghiamo. Simon Pietro — E dunque, come ci comandano i figli, preghiamo. Maria — E dunque, come ci comanda Gesù, pre ghiamo. (Cori alterni di voci gravi e lievi intonano mutuamente il Pater Noster e l'Ave Maria). Giuseppe — Oh nuove parole! Simon Pietro — Oh vere! Maria — Oh care! . DEL PRIMO TEMPO «I Magi rendono omaggio a uesu jtsamDino ». (DairHorius Deliciarum di Herrad von Landsberg, 1165-1175, ed. Straub Keller, Strassburg, 1879). (L’aia davanti alla casa di Lazzaro in Betania. Di giorno. Ma un giorno scuro e torvo, come di metallo). Simon Pietro — Una quercia schiantata l’amico nostro Lazzaro di Betania, che soccorse il Maestro e i discepoli. Giuda — Il ricco Lazzaro, il fratello di Maria Mad dalena... Maria (serena e fidente) — Adesso viene Gesù. Giuda (che parlerà a scatti, con voce rauca e in quieta) — Adesso viene la Maddalena... Maria — E con Lui la misericordia. Giuda — E con lei tutti i peccati. Simon Pietro — Lungo e quieto il viaggio di Lazzaro, verso le case del Padre; sta pallido e freddo... Maria — Ha sulle labbra una dolce fiducia. Giuda — S’è vuotato Lazzaro ch’era due volte più grande di me, e non mi vedeva e non mi parlava. Adesso a chi parla? Adesso chi vede? (agitando inquieto le mani) vuoto di sangue e di umori, a tu per tu con tutti i diavoli, Lazzaro ricco e pru dente. Simon Pietro (che come tutti gli altri non ascol terà mai Giuda né mai gli parlerà) — In cospetto di nostro Signore, Lazzaro giusto. Maria — Ancora deve venire Gesù... Giuda — Il Maestro arriverà con la Maddalena. {Ridacchiando) Con la Maddalena... Simon Pietro — Che cielo tetro... Che aria ferma... {Pausa. Poi con lo stesso tono) Ieri si son visti i soldati sulla via di Betania... Giuda — Ti fanno paura, Pietro, i soldati? C’è di che! Le lance bucano, le mazze pesano, le frecce sfondano... {Durante tutta la scena verranno or più alti or più sommessi, dalla vicina casa che non si vedrà, i lamenti delle prefiche e dei parenti intorno al cadavere di Lazzaro). Voci — Era d’antica stirpe. Conosceva la legge. Fu giusto e vigoroso... Ebbe terre e pensieri. Stava con i profeti. E con le profezie... Morte nera, cattiva, Violenta, scostumata... Maria — E’ triste fare il soldato, è triste portare la spada... Simon Pietro — Soprattutto portarla soltanto in nome del Re. Maria — Pure, poveri figli... Giuda {quando parla non sarà ascoltato da nes suno. Fin dal suo primo apparire s’intenderà, quando parla, la musichetta: «Satanasso. Belze bù », quella stessa del primo quadro che accom pagna i diavoli. Giuda sarà sempre illuminato da una luce rossastra come di foglia morta) — Ah, dunque poveri figli, i soldati... Questi scostumatoni più nelle osterie che in battaglia, più tra le donnette che tra i pericoli. Poveri figli, quelle vec chie pellacce indurite da tutti i vizi... Ma perché nessuno mi parla e nessuno mi ascolta? Io dico cose giudiziose, sante. Rampogno i vizi, i soldati, i peccati di Maria Maddalena... E invece no... Ma ria Maddalena è la pupilla del Maestro, e i soldatacci, eccoli qua. Sono addirittura poveri figli. Non ne azzecca una, Giuda Iscariota; è sempre solo, quasi fosse un morto, più solo di Lazzaro, che almeno le vecchie lo stanno piangendo. Per ché allora Gesù m’intende e mi parla? Perché Gesù ammise Giuda tra gli Apostoli? Gli altri mi sputano in faccia il loro silenzio; come fossi una capra o un cane. Perché sono il più brutto e ho il pelo rosso e poche ossa e carne pochissima e cammino storto?... E’ di Giuda la colpa, qualunque cosa succeda. E non glielo dicon nemmeno. Lo fanno intendere con quel loro infinito silenzio. Con quel loro silenzio ch’è un lago di pece... {Finito il lamento di Giuda, una pausa). Maria — Ascolta, Pietro, ascolta. Guarda, Pietro, guarda... {Si sono taciute le voci delle prefiche. I l silenzio pare inghiottire tutto il cielo plumbeo e la terra polverosa. Verrà una luce a cercare la casa: una luce discreta e dolce). Pietro — I l silenzio... Una luce... Maria — Una luce... Il silenzio... {Poi un improvviso prorompere di grida esterrefatte e festanti). Voci — Oh vita che ritorni e che ce lo riporti, contro i secoli morti benedetti i tuoi giorni. Benedetto e beato tutto quello che tocchi, il suo sangue, il suo fiato, le sue mani, i suoi occhi. Era chiuso, era spento, immobile e lontano: il nostro pianto vano, vano il nostro lamento. Ed è venuto Lui che per sempre ci sia contro gli abissi bui la luce del Messia. Luce senza fulgore e senza scintillio: un gesto del Signore, un esempio di Dio. Una pietosa mano su di lui si posò, e di tanto lontano Lazzaro ritornò. Maria {semplice) — E’ arrivato Gesù. Maddalena {irrompe esultante, frenetica) — Mira colo. Miracolo. Di nuovo al mondo tra di noi, Lazzaro morto. {Prosternandosi) Gesù. Gesù. Gesù. Simon Pietro {la imita, più calmo e grave) — Gesù. Gesù. Gesù. {Nel frattempo la luce che illumina la casa s’è come dissolta nell’aria e il cielo si riem pie di sole). Maria {sempre semplice e lieta, d’una letizia non meravigliata) — Mi pareva di saperlo. Anzi, lo sa pevo. Il Bambino... il Bambino... Giuda {con aria proterva e pedantesca indicando Maria Maddalena prosternata) — Questa pecca trice inventa favole, come sempre. La morte è la morte. Non si vince né si doma. Se Lazzaro è vivo è segno che non fu mai morto... {Sullo sfondo ap- pare il solito lampeggiare che accompagna insieme alla musichetta l’apparizione dei diavoli. Giuda, dibattendosi invano, si avvia verso quelle fiamme e scompare. Nel frattempo Pietro, Maria e la Mad dalena sono sempre in ginocchio). Maria — La morte non c’è. Dio eterno non la vuole. Né la vuole il Bambino Gesù. Maddalena — Né la vuole Gesù, il Maestro... Simon Pietro — Né la vuole Gesù, nostro Signore. (Le voci delle prefiche, degli amici e dei parenti: « Alleluja! Osanna! Osanna! Alleluja! »). Marta (apparendo) — Di nuovo abitata, soccorre vole la casa! Di nuovo salva e di Dio, pulita e chiara... Maddalena — Miracolo, miracolo! A servirlo il Maestro, a servirlo il Messia con quel poco che può una peccatrice, a bagnargli i piedi stanchi, ad aiutarlo quando è triste... Maria — Gesù triste. Com'è? Pure può essere ed è. Sette lance e sette spade, la Madre e il Figlio... Sono sette i peccati, sono sette i dolori... Maddalena — Io, Maria Maddalena, ho soltanto i peccati... Maria (carezzandole i capelli) — O soltanto i do lori... (Avanza Giuda, come sempre inavvertito, con una lancia in mano). Giuda — Per la strada viene un plotone di silenziosi soldati; muscoli duri e deserti, irosi ed impolverati. Ecco l ’antica lancia, ecco la lancia nuova, quella che cerca un costato, e che un costato ritrova. Ecco i dadi che rotoleranno nella fumosa taverna, compari d’eterno danno, testimoni di notte eterna. Sulla strada i soldati, vengono tre per tre. Vanno cercando, armati, per coronarlo, un Re! (Si sentirà un passo cadenzato di militari che si avvicina). Maria (a Pietro) — Li senti? I soldati? Poveri figli... Simon Pietro — I soldatacci, carne antica. (Se ne va verso i soldati). Giuda (frenetico di rabbia, quasi profetico) — Nessuno mi sente e mi sentiranno... Io sono Giuda, son l’Iscariota, con la lancia, il fiele e l’aceto. (Se ne va con la solita pantomima dei diavoli). Maria — Vienimi accanto. Maria Maddalena, che io ti carezzi i capelli che gli asciugarono i piedi. Vienimi accanto, Maria, ch'io carezzi in te la casa quieta, la dolce famiglia. Stiamo qui, tre donne, ad essere insieme, a consolarci a patire... Maddalena — Perché dopo verranno i soldati... Marta — Il fiele. Maria — La lancia. Maddalena — A patire... Marta — A patire... Maria — A patire... DEL PRIMOQUADRO «L’Adorazione dei Magi ». Pagine delle Heures à l’usage de Rome di Geoffroy Tory, Parigi, 1525. Conservato alla Biblio thèque Nationale. (Uno spiazzo su di una collina, da cui si domina la strada che conduce a Gerusalemme. Gente del popolo guarda, festante, e parla a voce alterna). Voci — E’ venuta la primavera, quella che scioglie il sangue del mondo, le sue mura finalmente senza il peso delle pietre, una corona sopra le cose quella ch’era una cicatrice. Nere e bianche le rondinelle, per il cielo, scrivono a Dio, raccontandogli i paesi, dove stanno e come sono. Dio fa finta di non saperlo, perché possano raccontare, con quei loro ghirigori frettolosi e delicati, quel che han visto e un po’ di più. (Pausa) E’ venuta la primavera a cancellare le ferite. E con lei viene il Messia, come lo vollero i Profeti. Guardiamo insieme la grande famiglia che si è raccolta intorno a lui. C’è Simon Pietro, pescatore; c’è Giovanni che ha gli occhi in cielo; e c’è Marco la penna in mano e, con la penna, la pergamena, e Tommaso, il naso in aria, polveroso di pensieri. E c’è Lui su l’asinelio, con la Vergine Maria. (Appare Rolando, cinto di ferro: dietro di lui, im mobili, cinti di ferro anch’essi, in duplice fila, otto baroni o, in trìplice, dodici. Mentre Rolando parla si udrà, contrappunto ritmato, un poderoso e lento scalpitar di cavalli). Rolando — Ecco che Rolando appare in ¡spirito e in figura, un eterno sanguinare contro il dubbio e la paura. E con lui la fida scorta, d’ogni luogo e d’ogni istante, seppellita ma non morta, folgorata e folgorante. Il nostro sangue che fu vermiglio nelle vene c’è ritornato, stiamo qui contro Pilato per il Padre e per il Figlio. Voci (costituiscono un coro che si alterna alla reci tazione roca e maschia di Rolando) — Ma perché offendete il sole? Tanto ferro nel mese d’aprile. Non lo vedete ch’è primavera, che le fantasime sono finite? Rolando (rivolgendosi agli immobili baroni). — Paladini, montate in sella, ricomincia la gente mora. La nostra sorte è sempre quella. E dobbiamo morire ancora. Voci (come sopra) — Non c’è sangue e non c’è morte nella gloria del mattino che la empie la speranza, che la semina il Messia. Rolando — Avanti, avanti cavalleria, quella che tutta mi morì: c’è da soccorrere un’agonia, c’è da combattere un venerdì. Voci — Qui non c’è cavalleria, c’è il Messia sull’asinelio carezzato dalla luce che s’avanza ad incontrarlo. Rolando — Qui han radice il nostro destino e la nostra gioventù, poiché qui comincia il cammino che ci condusse a Gesù. (Da questo momento si comincerà ad udire, sem pre più netto e più insistente, il suono dell'oli fante) A quel nome ch’è il nostro porto mi richiama Roncisvalle e ritorno Rolando morto con i monti sulle spalle. (Pausa) Il tempo stagnava sazio tra le lusinghe e gl’inganni... Tra voi s’è aperto lo spazio; di qui ricominciano gli anni. Gesù è una continua battaglia da combatterla sempre ed intera, siate suo scudo e sua schiera, le pietre d’una muraglia. La mia tromba mi vuole con sé, tra i paladini sotterrati. A tutti quanti affido il mio Re ed al suo Segno vi lascio affidati, che vi aiuti nel periglio, che vi consoli nel pianto, per il Padre, per il Figlio e per lo Spirito Santo. (Scompaiono Rolando e i baroni, facendo tutti con la spada il segno della Croce). Voci — La Croce, la Croce, la Croce. (Pausa. Una nube passa sul sole: appare solo e fosco il Sala dino). Saladino — Fate largo al Saladino senza pace e senza scorta, abbruciato paladino, campione di gente morta. Vengo dal fondo degli anni, dalla radice dei guai, dalle terre del Prete Gianni che non fioriscono mai. Scimitarra baluginante al servizio di nudi cieli vi parla il re sanguinante di insanguinati infedeli. Voci — Ma che vuole quest’altra maschera solitaria e fuligginosa? Anche lui dandoci guerra, con la voce arrugginita? Saladino — E’ un’avvertenza, è un consiglio che oggi lealmente vi porto: sette volte i sette peccati. (Pausa) tra voi c’è il veleno e l’artiglio Tutta la loro polvere nera di uno ch’è nato già morto. si accanisce intorno a Gesù. Voci — (Una pausa. Poi le voci tornano esultanti) Poco il ca"vallo che viene teco Sono passati, sono passati, e poco il ferro che porti addosso, al galoppo, un turbinìo: troppe invece le parole, e tutto quanto è tornato nel sole, minaccianti barcollii nella luce nata da Dio. della tua sciabola curva. Voce (quella sommessa ed angosciata di prima) — Vattene via, tetro fantasma, Ma guardate quella polvere vattene via se pure esisti. che laggiù non vuole sparire, Saladino — una nuvola, una maschera, Io che son solo una traccia, che si raggruma, che si stringe. come la luna nel vento, Tutta quanta intorno a una faccia, vi dico che c’è un tradimento, quella polvere nera nera che c’è tra di voi una minaccia. che lasciò la cavalleria Voci — di Caifasso e di Pilato. Grondan di sangue le tue parole, Voci (ansiose) — la mala ventura dal piede caprino Intorno a chi la nuvola cieca, galoppa, lampeggia, minaccia con te. intorno a chi la polvere stracca? Toma di dove sei venuto, (La voce di prima, fattasi più cupa e profonda, se pure vieni da qualche luogo. risponde) Saladino — Voce — Intorno a Giuda, Giuda, Giuda. E non credetemi, genti Voci — credule e non fiduciose, E lo vedete che contro la polvere conservate gli occhi spenti si difende dietro un fico? e le lingue fragorose. Anche lui di braccia storte, Tra voi c'è un'anima vuota, anche lui di storto seme. rovente di roco furore. (La stessa voce di prima, con tono freddo di con Nascosto nel vostro clamore statazione) c’è il silenzio di Giuda Iscariota. Voce — (Se ne va, furioso e impotente). C’è rimasto solo Giuda. Voci — Lo vedete tra la polvere, Giuda, Giuda, Giuda. (Pausa) lo vedete dietro un fico? Perché sarà che questo nome quasi quasi oscura il sole, quasi quasi gela le palme. DELSECONDOQUADRO Pure è uno degli Apostoli, lo vedete, sta con lui. Ed è un nome intemerato nato insieme alla nostra gente. Eran tangheri, fantasime, eran maschere quei due, tanto il biondo quanto il moro. (Una pausa, poi s’intende una voce isolata ed an gosciata). Voce — Ma che viene laggiù tra la polvere, che cos’è che balena nel sole? Voci (esitanti in un brusio) — Cavalleggeri, cavalleggeri, quelli antichi, quelli veri, di Caifasso e di Pilato. Queste no, non sono maschere, sono gli antichi calpestatori, sempre vogliosi di calpestare. Ci sono davvero, ci sono da sempre, la figliolanza del demonio, antichi nugoli di cavallette, Simon Pietro (che s’era venuto calmando, improv visamente inquieto) — Già; dico io, dove sarà lo (Il giardino di Getsemani, sotto la luna, dopo l’Ul sciaguratissimo Giuda? Giovanni — Avete visto quando baciò Gesù alla tima Cena. Sono in scena quattro Apostoli). Cena? E Gesù fece come per ritrarsi. Ma sopportò Simon Pietro — E così, quasi è Pasqua... il bacio, restò lì; solo molto più triste... I l Secondo Apostolo — E così, è primavera... Simon Pietro — E dopo disse che uno di noi lo I l Terzo Apostolo — Non pare... avrebbe tradito... I l Secondo Apostolo — Non pare... I l Secondo Apostolo — Chi? I l Terzo Apostolo — Non c’è pace... Giovanni — E ce n'è troppa: la luna allaga gli I l Terzo Apostolo — Chi? (I quattro si guardano). ulivi. Simon Pietro — Giuda non c’è... Simon Pietro (secco) — Non amo la notte, con ulivi Giovanni — Non si può dir nulla, Simon Pietro. e senza ulivi, con la luna e senza la luna. Mi piace Non basta esser gobbo, storto e di pelo rosso per il bel giorno di Dio... tradire. E l’ha baciato... Giovanni — Anche la notte è di Dio. Simon Pietro — E Gesù diventò nero come la pece Simon Pietro (imbronciato ed irritato) — Ma a a quel bacio. Nero di dolore, ma per un attimo ebbe me non piace, non piace, non piace... Soprattutto negli occhi il rosso della furia. E poi, Giuda non c’è questa... questa notte che, sparsi qua e là per il giardino, I l Secondo Apostolo — Non sono tranquillo. ci siamo tutti, intorno alla preghiera di Gesù. E poi, Giovanni — Nessuno è tranquillo nonostante la il diavolo è gobbo, storto e di pelo rosso... (Lenta Pasqua e la primavera. Nessuno e niente. Nem mente si oscurano gli Apostoli, sotto una luce rossa meno gli ulivi brevi sotto la luna lunga. appaiono Giuda e Caifasso). I l Secondo Apostolo (dopo una lunga pausa) — Giuda — Quaranta denari, illustrissimo, e ti ci Gesù ci ha lavato i piedi... (Amareggiato e dolente) conduco... 10 non volevo, consti che non volevo. Ma che può Caifasso — Non me, se mai le guardie. E bastano 11 mio volere se Gesù, Lui, vuole? trenta denari... Giovanni — Era malinconico. L’ultima cena ha Giuda — Trentacinque... detto che era e ci ha insegnato a mangiare il suo Caifasso (sprezzante) — Trenta. E trenta saranno Corpo, a bere il suo Sangue... Non in parabola, ma in verità. Ce li ha lasciati in eterno per ogni giorno in eterno: non uno di più... Giuda (piagnucolando) — Per un discendente di di tutti i secoli... Simon Pietro — Dovrà aiutarci ad intendere tanto Davide, il prezzo di una capra... Caifasso — Davide non ha discendenti. (Scandendo mistero la colomba dello Spirito Santo. Giovanni — Presto verrà su noi quella colomba le sillabe) E per la tranquillità della Legge non deve più averne. Per un galileo, dunque, figlio di un bianca. Presto Gesù non starà più con noi... falegname qualunque, bastano trenta denari... (Va I l Secondo Apostolo — Lo rapiranno i soldati... gamente minaccioso) Soprattutto se dovrai averli I l Terzo Apostolo — Lo rapiranno gli angeli... Simon Pietro — Io lo voglio con me, accanto a tu, Giuda, che le guardie ti conoscono vita morte Simon Pietro apostolo, ed anche a Simon Pietro e miracoli... E se non ti bastano trenta denari, avrai trenta nerbate... Quando vuoi... Di quelle te pescatore. Lo difendo io contro l’esercito... I l Secondo Apostolo — Ma poi, gli angeli... Come ne meriti anche cento... farai con gli angeli? Quelli hanno sempre ragione. Giuda (continuando a piagnucolare monotono) — E se non i soldati, Pietro, gli angeli te lo porte Illustrissimo, appena il prezzo d’una capra. Anche ranno via, e tu mangerai ed insegnerai a mangiare meno... il suo Corpo leggero leggero, bianco bianco. Caifasso — Anche meno. I l prezzo di ima mala Simon Pietro — Prima però ce lo porteranno via i pianta di fico come quella ch'è l’ombra tua, Giuda soldati; ne ho visti molti fuori a girare a piccoli Iscariota, pessimo in ogni cosa, pessimo come cit drappelli. Ci seguono, pazienti, da Betania, dal tadino e pessimo come ribelle... giorno che Lazzaro risuscitò. Soldati e servi del Giuda (complimentoso, tutto salamelecchi) — Co Tempio. me vuoi, illustrissimo, come vuoi... Giovanni — E Lui, pregando, laggiù tra gli ulivi; Caifasso — Ecco la borsa che resterà eterna insie e soffrendo, solo. me ai trenta eternissimi denari e al tuo fico, Simon Pietro — Così ha voluto, Giovanni. Giuda, al tuo fico. (Pausa) Perché il Galileo che Giovanni — E noi, che facciamo? Questa notte hai venduto può essere anche il Messia, e allora tu... terribile che s’apre a picco sulla voragine del fu Giuda (sgomento, si guarda la borsa in mano) — turo, gli Apostoli quieti, quasi addormiti, i dodici Che dici? che dici? che dici? Ma allora... E tu? Apostoli... Caifasso (amaro e pensoso) — Io, io, io... (Subita Simon Pietro — Undici, dirai. Giuda non c’è. mente rabbioso) Ma di che t’impacci, tu, traditore? I l Secondo Apostolo — Il pelo rosso... Giuda (viperino e sinistro) — Di quello che t’im I l Terzo Apostolo — L’Iscariota... pacci tu, sepolcro imbiancato! (Scompaiono Giuda Simon Pietro — Il gobbo... e Caifasso. Appare, dopo una pausa, nell'angolo Giovanni — Lo storto... opposto, illuminata di luce bianca. Maria). La Guardia — E tu il lupo... Maria — Giuda (iracondo) — Che dici? Figliolo caro e lontano, La Guardia — Niente... ascoltami nel tuo dolore : Giuda — Credevo... volgiti un attimo solo, La Guardia — Credevi bene... riscaldati a tutto il mio cuore. Giuda — Adesso, attenti. Prendete quello che baE’ questa l’ora angosciata cerò. Nessuno di questi dormiglioni. del tremito e dello sgomento. La Guardia — Traditore ed inutile. Si vede benis Quello che t’agita e t’arde, simo chi è, anche senza bacio. Sta laggiù, solo, anch’io, Figliolo, lo sento. e non dorme, e si vede ch’è del sangue di Davide, Stiam qui, due corpi ed un pianto, ch'è vicino al cuore di Dio. a Getsemani, tra gli ulivi; Giuda (con voce stridula) — Facinoroso, sovver stiamo morendo, Figliolo, sivo... perché tutti restino vivi. La Guardia (con rassegnata pazienza) — Marcia, Ti si scolora la carne, marcia e non aver paura. L’arresteremo come ci ti tremano tutte le vene, comanda il regolamento. I tuoi trenta denari, del volgiti, Figlio, e tua Madre resto, tu già li hai avuti... dividerà le tue pene. Giuda (furioso) — Già lo sanno tutti che ho avuto Mi trafiggono sette spade trenta denari, non uno di più, non uno di meno... nello strazio di mio Figlio, Trenta denari o non trenta denari, io lo debbo del mio delicato Bambino, baciare perché lo riconosciate. E’ nel patto. L’ha del mio bianchissimo giglio. deciso rillustrissimo Caifasso, con l’autorizzazione Egli ch’è senza peccato di Sua Eccellenza Pilato. sta in questo lunghissimo pianto. Gesù sporcato dal mondo, La Guardia — E chi ti dice di no? Bacialo pure, se Gesù mia carne e mio vanto. puoi e se non tremi. Mi par molto, però, mi par Nove mesi t ’ebbi con meco troppo quel bacio per soltanto trenta denari... dentro le viscere mie, Giuda (incerto) — Dici? e adesso nel mezzo di tutti, La Guardia (ironico e risoluto) — Dico... (Tornando tra le più nere agonie. alla rassegnata pazienza di prima) Ma ormai è Tu mi venisti all’annuncio tardi per pensarci... Devi baciarlo, Giuda Iscariota. dell’Arcangelo Gabi'iele, Sta scritto, come stanno scritti in tutti i corpi di che non pensavo una sorte guardia del mondo i tuoi connotati, e da oggi ci così gloriosa e crudele. resteranno sempre : pelo rosso, storto e pregiu Ch’ero vestita di bianco, dicato. innocente e speranzosa Giuda — Bada come parli! e son diventata la Madre, La Guardia — Ho parlato. Adesso conduci le guar la Vergine dolorosa... die dove devono, com’è comandato, com’è scritto, E’ l ’orto dei sette dolori, com’è pattuito. (Fanno per uscire). il giardino invano fiorito, Simon Pietro (che si sveglia d’improvviso, s’av e c’è tua Madre che piange, venta alla guardia e gli strappa la spada) — Oh il cuore tutto ferito. cialtroni, oh miserabili. E noi peggio, che stava Volgiti solo un momento mo dormendo. E voi passavate con le torce e le e ti si asciuga il sudore, spade. e trovi nell'ultima notte La Guardia — Le cose del cielo ormai son rivelate vicino al tuo, questo cuore. anche in terra. E’ inutile dunque che mi tagli (La Vergine avrà rivolto il suo dolente invito, im l’orecchio, Simon Pietro, tanto Lui, Gesù, il Messia mobile, fissando un punto dal quale proviene una me lo riattaccherà. (Pietro furente con un colpo luce e dove si suppone sia Gesù. Una pausa. La taglia l’orecchio alla guardia. La guardia pacifica, Vergine, angosciata, ha sulle labbra l’ombra d'un didascalica). Ecco, vedi, più mi stacchi l’orecchio sorriso mesto eppure rinfrancato). e meno sanguina e più sta dov’era; così vuole il Maria — Messia, Gesù Nazareno, del sangue di Davide... Grazie di avermi ascoltato, (Pietro resta un attimo esterrefatto, l’inutile spada d’aver sorriso un momento, in mano. Tornano nel buio Pietro e la guardia. d’aver guardato tua Madre, Riappare Maria nello stesso angolo di prima). la notte del tradimento; — (Scompare la Madonna, sorridendo in tramortita Maria Figlio, stai tra le guardie, tristezza. Appaiono di nuovo gli Apostoli addor già t ’ha baciato Giuda... mentati tutti. Una pausa. Entra, cauto, Giuda con Notte profonda ed aspra, le guardie). notte malvagia e cruda... Giuda — Piano, attenzione. Qui ci stanno i disce poli, gli Apostoli reverendissimi. Guardali lì i cial troni; addormentati tutti. Undici pecorelle bianche DEL SECONDOTEMPO bianche... «Madonna col Bambino ». Nikolaus Ale xander Mair von Landshut (1492-1514). In cisione (Leporini H. Der Kupferstichsammler, Braunschweig, 1954). (In un cortile remoto che dà sull’atrio del Pretorio. Di notte. Sono in scena alcuni Apostoli). Simon Pietro — Non abbiamo potuto vegliare un’ora con Lui. L’abbiamo lasciato solo e inerme. Siamo senza difesa. Siamo senza conforto... T u tti (cantilenando in una cantilena ch’è quasi pianto) — Siamo senza difesa, siamo senza conforto, gli Apostoli addormiti, tra gli ulivi dell’orto. Simon Pietro — E la mia spada non la volle. Giovanni — Non era la tua spada, Pietro; era del soldato cui la togliesti... C’è differenza. Simon Pietro — Ci sono tanti soldati nel mondo, in questo mondo luccicante e armato, e , noi senz’armi e senza luccichio... T u tti (cantilenando nel modo di prima) — E noi senz’armi e senza luccichio, i dodici compagni della pena di Dio. Simon Pietro — Undici. Giuda non è più il com pagno di nessuno, nemmeno di Satanasso. I l Primo Apostolo — Gesù ne sceglierà un altro. Dodici dobbiamo essere, come fummo nella sua prima volontà: dodici, come le primogenite tribù d’Israele. Simon Pietro — Ma poi saranno almeno dodici na zioni e più che dodici regni. Dodici volte di tutto e di tutti. Siamo il seme dell’avvenire che non lo contiene il numero dodici né nessun numero. (Pau sa. Ritornando alla stanca tristezza di prima) Ep pure non abbiamo saputo vegliare un’ora... Una scarsa, una misera ora... Che ne sarà di Lui, di Gesù, incatenato tra le mura del Pretorio... I l Secondo Apostolo (incerto) — Il Padre suo lo proteggerà dall’alto dei cieli. Simon Pietro (con sicurezza dolente) — Come Gesù ha disarmato Pietro, così il Padre suo ha disarma to, questa notte, l’Arcangelo Michele. E’ solo, questa notte. Solo. (Pausa). I l Primo Apostolo — Fa freddo... I l Secondo Apostolo — In cielo montano nuvolacce e nuvoloni : presto viene la pioggia... I l Primo Apostolo (cupo) —■Presto viene la gran dine... Giovanni (acceso, violento e rapido) — E peggio, peggio verrà, a castigo di tutti i peccati e di tutti i peccatori, di tutti i sordi e di tutti gli addormiti, artigli che nemmeno li immaginate, becchi ed unghie di mostri nuovi ed antichissimi: terribili invenzioni o terribili ricordi dell'Onnipotente sde gnato. Simon Pietro — Giovanni, non sei più tu; parli, come l'altro Giovanni : il Battista, quando era nel deserto. Non sembri più né giovane né biondo, Gio vanni : ma come l’altro, la frusta di Dio, una mesta ruga nel Suo volto irato. E meglio per te sarebbe questa notte e meglio per tutti essere non qui, tra la gentaglia armata e la gentaglia stolta, ma nel deserto. Giovanni (con impeto cupo) — Tutta deserta, la terra. Avara, scarsa, maligna; mostri, diavoli, guerra, (secco e solenne) scorpioni, serpi, gramigna... (Canta un gallo). Simon Pietro — Questo è il mio vero nemico. Il gallo, il gallo... Restai addormito... Lo rinnegherò... Tutti (cupi) — Tutti restammo addormiti... Tutti lo rinnegheremo. Simon Pietro (con un brivido) — Che sarà di Lui? (Gli Apostoli all’angosciata domanda di Pietro resta no nel buio. Appare nella solita luce rossastra Giuda tremante, fuggìasco, atterrito, che ansimando dice con voce rapida e cadenzata). Giuda — L’han coronato di spini. L’hanno coperto di sputi, Gesù non parla e non guarda, i cieli restano muti. Io l’ho tradito, io son Giuda, quello dei trenta denari, faccio vergogna all’inferno, offendo i monti ed i mari. Non mi resta che la corda che mi stringa e che mi appenda in mezzo alla carne di tutti, cancrena eterna ed orrenda. Sono di gelo e di sasso, non respiro, non vedo, non sento, sono il guercio lo scempio il gobbo, l'avarizia, il tradimento. Nemmeno più Satanasso, nemmeno più Belzebù, io sono Giuda in eterno. Egli è in eterno Gesù. Non mi resta che il legno falso del fico maligno e storto. Non sono stato mai vivo, nemmeno sarò mai morto. (Scompare. Riap paiono i discepoli). Simon Pietro — Non l’accompagnano nemmeno più i diavoli colui: è la più sola e la più vuota delle fantasime. (Pausa) Avete sentito le novelle di Lui? Sputi e spine, tra la soldataglia e i servi. Spine e sputi, Gesù Nostro Signore, il Figlio di Dio, che con Lui non vegliammo. (S’illumina in alto una finestra che sarà quella della stanza da cui Pilato, sul balcone opposto e sull’opposto cortile parlerà al popolo. S'ode la voce di Pilato). Pilato — Genti di Gerusalemme, per la vostra Pasqua, le nostre leggi e la vostra Legge mi con cedono di offrirvi, a vostra scelta, la libertà di un condannato a morte. Ascoltate e decidete, genti di Gerusalemme: volete voi libero Gesù Nazareno, l ’Uomo ch’è qui, accanto a me, che moltiplicò il pane ed i pesci, che risuscitò Lazzaro in Betania, che è un giusto. O volete voi libera la bestia di Gerusalemme, la piaga di Giudea, lo scellerato Barabba? I l Popolo (s’ode gridare ad una voce) — Lo scelle rato Barabba! Lo scellerato Barabba! Pilato (mentre continua ossessionante il grido, ritirandosi dai balconi, appare sullo sfondo lumi noso della finestra con Caifasso) — Non ricada su di me il sangue di quel Giusto. Io me ne lavo le mani... Caifasso — Se ci riuscirai... Pilato — Quando smetterà di gridare il popolaccio? Caifasso — Ognuno fa il suo mestiere, Eccellenza. Il popolaccio ha da gridare e grida... Pilato — Caifasso, ho un gran peso sul cuore... (Pausa. Scuotendo la testa) In ogni modo io me ne lavo le mani... Caifasso — Non aver fretta, adopera tutta l ’acqua che vuoi. Adopera anche i profumi e gli unguenti. Hai tutto il tempo. Questa è una notte lunga, l’ha cominciata Giuda. DEL PRIMO QUADRO «L’Annunciazione» (metà del XVII sec.). Da Illustrazione d’arte grafica. Incisioni in legno dai 1500 al 1800; raccolta a cura di P. Borgo Caratti Agnelli, Milano, 1902. (Il Calvario sassoso e sterile. L'ombra delle tre croci. Ora livida. Non è né notte né giorno). Cireneo — Pesava la croce, Longino. E Lui non è come me un gigante. E’ delicato e sottile. Pesava la croce, in sul mezzogiorno, per l'erta... Longino — La mia lancia, no, non pesava quando gli trafissi il costato. Né mi pesavano i dadi quando ci giocammo la sua tunica. Il soldataccio Longino che le cose le vede dopo, che non ci pensa prima... Cireneo — Ti stai pentendo, Longino, della lancia e dei dadi. Longino — E che vale quando il male s’è fatto? Chi gliela guarisce a Gesù la piaga nel costato? Sanguinerà nei secoli, sarà eterna la lancia di Longino. Cireneo — Che vuoi farci? Noi siamo la bassa forza e obbediamo agli ordini di Dio o di Pilato, del Faraone o di Caifasso. Longino — Ma Gesù parlava proprio alla bassa forza e di bassa forza eran tutti gli Apostoli suoi. E tu sei il Cireneo e fosti pietoso. Gli portasti la Croce in sul mezzogiorno, nel più rabbioso del l ’erta. Cireneo — Non ho altro che la mia forza, Longino, e debbo pur fame qualcosa: un africano almeno deve aver muscoli. Ma sei un buon diavolo anche tu, soldato Longino, se tanto ti duole l'impronta di quel sangue sulla tua lancia. (Pausa. Passa, fugace e trepido, come volesse sparire, non avver tito, Giuseppe di Arimatea. Longino lo chiama). Longino — Giuseppe d’Arimatea, perché così in fretta? Oggi che tutto è immobile? Dove vai? Oggi che non si arriva né si viene da nessuna parte? Giuseppe D’Arimatea — Signora guardia... NienteCosì... Non sono un sedizioso... Passavo per caso... Ho famiglia, signora guardia... (Tutto in tono con fuso, incerto e spaurito). Longino — Io non sono una guardia. Sono un sol dato. Giuseppe D’Arimatea — Signor soldato... Andavo a casa... Non sono un sedizioso... Ho le carte in regola... Longino (irato) — E perché questa paura di me? E chi sono io? Giuseppe D'Arimatea — Un onorevolissimo signor soldato... Longino (duro) — Piuttosto un mercenario. Giuseppe D'Arimatea — Un onorevolissimo signor mercenario... Longino (amaro) — Un onorevolissimo signor dia volo, direi... Cireneo — Lascia andare, Longino... Oggi è il giorno di tutte le uniformi, eppure è il giorno nemico di tutte le uniforni. Longino — Già... Oggi le uniformi puzzan di zolfo, le passa in rassegna il diavolo. Soldati, mercenari, guardie, tutti di Satanasso e Belzebù. Cireneo (ironico e un po’ seccato dal malumore di Longino) — Lascia andare il nostro povero Giusep pe d'Arimatea che è un prudente ed onorato citta dino che ha famiglia. Longino (secco, a Giuseppe d’Arimatea) — Non eri un nazareno, tu? Giuseppe D’Arimatea — Io... Che dici?... Io non sono un sedizioso... Longino (furioso e scorato) — Vattene... vattene... vattene... Non lo vedi, non lo sai ch’io sono un diavolo? Che gli ho messo la lancia nel costato?... Tre palmi, tutta la lancia. Giuseppe D’Arimatea — Con tuo permesso, onore volissimo signor soldato... Avrei fretta... Proprio tantissima fretta... (Come un’ombra scivola via). Cireneo (dopo una breve pausa) — E colui è uno dei fedeli. Ha preparato il sepolcro per il Nazareno quando lo deporranno dalla Croce, quando sarà finita questa attesa orrenda. Le cose tristi e fami liari, quelle antiche di sempre che pure sono un conforto: il lenzuolo candido, la silenziosa pietra. Un fedele... Un amico del Nazareno. E lo vedi, Longino, come scappa? Longino — Non chiamarlo anche tu Nazareno. (Semplice e convinto) E’ Gesù... (Pausa. Tristissimo. Angosciato) E non muore. I due ladroni han fatto prima ad andarsene, il cattivo ed il buono, quello che tacque e quello che gli parlò. Ma Gesù è ancor vivo. Vedilo che respira e guarda il cielo. Non suda nemmeno più, ma respira... I] picchetto sotto le croci non riesce ad addormentarsi, nel sonno solito e facile dei soldati; non riesce nemmeno a sbadi gliare. Stanno appoggiati, quelli del picchetto, alla lancia e allo scudo, in piedi, composti come tante statue. Meno male ch’io sono smontato... Cireneo — E perché allora non te ne vai a Geru salemme? Verso l’allegria della Pasqua? Longino — E perché tu, Cireneo, resti qui? Cireneo — E’ che non muore... Quanto può soffrire un corpo. Soldato Longino, chi l’adoprerebbe la lancia fredda se sapesse, come sappiamo noi, qui, sul Calvario, oggi, quanto può soffrire un corpo tiepido d’uomo? Longino — Io non l’adoprerò più la lancia dopo che l’ho infissa nel costato di Lui. Né giocherò ormai ai dadi che mi fecero vincere la sua semplice veste. Cireneo — E dove l’hai, quella veste? Longino (accennando il petto, dal lato del cuore) — Qui. Ma l'ho da vedere io soltanto. E Belzebù che verrà a prendermi il giorno della mia morte... Cireneo — Forse non verrà Belzebù, Longino. Gesù ha promesso non so che al buon ladrone... Egual mercede al primo e all’ultimo, a chi giunse con l’alba, e a chi arrivò ch’era notte. Parlò al buon ladrone della casa del Padre... (Pausa). Longino — Ecco, venire le tre dolenti, le tre impie trate. Loro sole, qui, a vederlo morire: e il pic chetto di statue. E noi due, bassa forza. Dove sono andati i discepoli? Cireneo — Uno s’impiccò a un fico stamattina. Quello che lo tradì. Giuda Iscariota, un gobbo di pelo rosso, crepitante di cattiveria... E con le tre dolenti c’è il più giovane, e le tre dolenti le accom pagna Giovanni. Longino — Pure gli altri son vivi e anche loro lo amano, sono suoi, corpo e anima. Ma hanno paura. Ti stupiva del molto dolore che può patire un uomo. E la paura? Quanta paura può sudare e tremare un uomo. Cireneo — Ma le tre Marie non hanno paura. Qui stanno tutte del loro dolore, con il cuore scop piato di pianto. (Appaiono lentamente Maria, la Maddalena, la Veronica, accompagnate da Gio vanni). Maddalena — T’avvolgono, crudo lenzuolo, la sete, il silenzio, la pena, compagno di tutti, sei solo, deserto in ogni tua vena. Veronica — La Veronica, la terza Maria ancor ella è qui con teco: soltanto un’orma, un’eco, che incontrasti per via. Maddalena — Ti vedemmo sanguinando salir per la perfida valle: e non accorse Rolando, non portò qui Roncisvalle. Veronica — Perché non viene Michele, insieme a San Giorgio. Perché? In questo giorno crudele che strazia l’unico Re? Maddalena — Venite dunque, venite squadroni d’ogni lucente cavalleria, angeli, principi, baroni di Lorena e di Lombardia. Veronica — E venite fieri Sovrani, Carlomagno, Goffredo, Boemondo, oggi che rantola il mondo strozzato da barbare mani. {Pausa). Maddalena — Solo Lui ci può liberare, solo Gesù ci ha liberato, con le sue lacrime amare, con il sangue del suo costato. Veronica — Non ci sono più le spade, i Sovrani più non ci sono. Sono serrate tutte le strade della memoria e del perdono. Maddalena — Io gli chiesi perdono ed Egli mi perdonò: per Lui qualcosa sono e qualcosa sarò. Veronica — Io gli ho asciugato il sudore: che altro potevo fare? Approdo di tanto cuore, riva di tanto mare. Maddalena — L’ombra dei due ladroni gli grava sul costato. Gli avvoltoi sono padroni dove comanda Pilato. Veronica — La terra squallida e nuda ha la protervia di un sasso: sta sotto il piede di Giuda, nella mano di Caifasso. Maddalena — Sulle assetate prode incombe la tormenta! Veronica — La ferocia di Erode stagna nell’aria spenta. {Pausa. Intenerite rivolgendosi a Maria) Maddalena — Oh Maria, perché ti taci? Da’ parola al tuo dolore. Veronica — Parla, Maria, fagli cuore, cullalo con i tuoi baci. Maria {con voce straziata e dolce cantilena) — Vieni verso la tua mamma ch’è più tiepida di te, Gesù fuoco e Gesù fiamma, Gesù infante e Gesù re. La tua sete mi venga a bere, la tua sete ed il tuo strazio, tu che avevi le labbra leggere, tu che subito eri sazio. Come ai tempi dell’editto di quel re tanto cattivo che ti portammo fino in Egitto e riuscimmo a tenerti vivo. E ritornami bambino ch’io ti stringa contro il cuore, ch’io ti senta caldo e vicino il fantolino del Signore. {Pausa. Poi con nuda tristezza prosegue) Ah ma no, ch'è l’ora sesta che precipita la sorte, l’ora nera, l'ora funesta della pena e della morte. Questo è il giorno desolato, è lo squallido venerdì, il bambino che m’era nato sulla croce mi morì. (Violento e secco tuono. Si spegne ogni luce salvo quella che illumina la Madonna e un debole chia rore intorno al volto di Giovanni immobile. La Madonna come folgorata si abbatte in ginocchio) DEL SECONDOQUADRO «Adorazione dei pastori» (princ. del XVII sec.). Illustrazione d’arte grafica, a cura di P. Borgo Caratti, Agnelli, Milano, 1902. (Mattino luminoso. Molte piante fiorite. Un luogo di campagna nei pressi di Gerusalemme). Giuseppe D’Arimatea (entrando con Longino) — Ti dico che fu così... Un miracolo grande. La pietra caduta. Il sepolcro vuoto. Gesù risorto. Longino — E le guardie? Giuseppe D’Arimaiea — Addormentate. Videro solo un bagliore e il gran crollo della pietra, che pareva - dissero - fosse il mondo a crollare. Longino — O a salire... O a salire, con quel bagliore, insieme a Gesù. E dopo, le guardie? Giuseppe D’Arimatea — E tu sempre con le guar die... E dopo si riaddormentarono... Longino — Come sempre... Le dormiglione, onore volissime signore guardie... Giuseppe D’Arimatea — Prendimi in giro... Ha: ra gione... (Pausa) Ieri però erano sveglie le guardie... Tutto il tempo che durò l’agonia, che fu lunga, dicono... Longino — Lunghissima, eterna. Sudata. Pianta. Il mondo quasi morì... Già. Tu te Peri svignata e non c’eri... Io sì, ci fui, fino all’ultimo... Giuseppe D'Arimatea — E perché allora tanto fe roce prima con la lancia? E tanto gradasso con i dadi? Longino — Ti dico che il mondo quasi morì. E io me lo vidi morire, il mondo. Ucciso anche da me, dalla mia lancia, dai dadi miei. (Semplice e rasse renato) Oggi siamo rinati tutti, oggi è risorta ogni cosa. E così, eccomi di Gesù, pronto al suo castigo e di quel castigo felice. Giuseppe D’Arimatea — Me la svignai, è vero... Ma feci quel che potei, Longino. Non lo ferii. Lo av volsi nel candido lenzuolo di lino. Gli detti sepol tura domestica e degna. Piansi. (Pausa) Ma perché parlare di ieri, se oggi la tomba s’è spalancata ed Egli è risorto, e con Lui tutto e tutti? (Pausa). Longino —■E la Madre? E Maria? Dov’è? Giuseppe D’Arimatea —- Non è più qui. Starà con Lui, in qualche luogo di Galilea. O dappertutto, con Lui. Dappertutto. (Pausa). Longino — Avverranno prodigi grandi... Giuseppe D’Arimatea — Grandissimi. Il più grande, però, è avvenuto quando cadde la pietra e s’involò nel chiarore il suo corpo. Io non ho più paura dei soldati... Longino — E io non sono più un soldato... (Longino e Giuseppe d’Arimatea escono. Entrano Maria Maddalena e la Veronica avvolte in una calma letizia). Veronica — Maria Maddalena, l’hai vista la pietra? Che grande, che scura. La pietra di Satanasso e della nostra paura. Eppure caduta così, al passo del nostro Re... La pietra del venerdì il sabato si perdé... Maddalena — E’ ritornato, è risorto: e con lui tutta quanta la vita. Nuovissima luce d’aprile, Gerusalemme fiorita. Ieri l’aceto e i soldati, il pianto di tutte le cose... Oggi le fonti ed i prati, le rondinelle e le rose. La terra è un rigoglio in attesa di chi la voglia donare al Maestro risuscitato, a Gesù che la venne a salvare. Offre il cielo la nuvoletta: offre il prato l'erba novella, la colomba il suo tiepido volo, la sua lana la pecorella. Non ha doni, Maria Maddalena, se non il suo pentimento; offro le cose di tutti, il mare, la pioggia ed il vento. T’offro le api ed il miele le lucciole e l’usignolo, le vigne che vivono insieme, l'ulivo libero e solo. T’offro le cose di tutti, perché di mie non ne ho. Maestro, t ’offro il Tuo sguardo di quando mi perdonò. Veronica — 10 t’offro, Gesù risorto 11 tuo sudore di ieri, l’ombra sfinita ed alta dei tuoi angustiati pensieri. Venivi per la collina, solo, deserto, sfranto, nel mondo senza voce, nel mondo senza pianto. T’offro, Gesù, il tuo pallore deserto ed affaticato, ricordo del nostro futuro speranza del nostro passato. T’offro quel po’ di lino che t’asciugò su per l’erta, che s’era perduto il tempo, che stava la terra deserta. T'offro le povere mani che ti portarono aiuto, di tanti giorni, di tanti, io t ’offro solo un minuto. Quello che tu sorridesti, mentre che io t ’asciugai, un minuto, Gesù trionfante, di quelli che Tu salverai. (Escono la Veronica e la Maddalena). Longino (con voce malinconica, tuttavia ancor secca, cadenzata, militaresca) — Io t’offro la lancia, Gesù, che ti ferì nel costato, e t’offro i dadi maligni, e t ’offro Longino soldato. Lo vedrò sempre quel sangue germinarti quasi dal cuore che mi gelò nelle vene tutto l ’antico squallore. Che mi fece tornare nuovo, un altro, senz'armi né ire, non più macchiato dai giorni, tutto dell’avvenire. Non soltanto Re dei Giudei ma di ciascuno e di tutti. Ti vidi sulla tua Croce, sopra le pene ed i lutti. Accetta il tristo strumento di Longino mercenario che ti ferì nel costato mentre salivi il Calvario. Giuseppe D’Arimatea — Perdonami, dolce Gesù, se non restai sul Calvario: Giuseppe d’Arimatea non ha cuore di temerario. Mi fanno paura le guardie, le lancie mi fanno paura, t ’offro la squallida pietra che fu la tua sepoltura. Una pietra che fu divelta, una pietra che non servì, che fu l’estrema sciagura d’un tristissimo venerdì. E t ’offro le povere cure ch’ebbero le mani mie, che ti composero il corpo insieme alle tre Marie. E’ triste quello che t ’offro, ma è quel poco che posso e che ho: 10 accetti, Gesù glorioso, 11 tuo sangue che risuscitò. Prima che vengano gli angeli a offrirti le tue città, insieme alla mia paura, accogli la mia pietà. (Appaiono quattro angeli con, nelle mani sollevate verso l'alto, la riproduzione di tre città alla maniera dei quadri primitivi. I tre angeli entrano insieme e si dispongono simmetricamente, immobili, parlan do l'uno dopo l'altro). I l Primo Angelo — In cielo, Figlio di Dio ritroverai la Tua città; 10 ti porto Gerusalemme per tutta quanta l’eternità. Mi affidò David le torri, 11 re che nacque pastore, perché ritornino intatte rinfrancate dal tuo amore. E con le torri gli ulivi, le palme, le stelle, le mura che videro il tuo trionfo e videro la tua tortura. Eccoti Gerusalemme con Torto della preghiera, quella del primo mattino, quella dell’ultima sera. E’ la città dell’angoscia, è la città del cimento ma Dio la strinse al suo cuore fino dal primo momento. E’ la città della morte ma della resurrezione; chi mormora Gerusalemme già mormora un’orazione. Chi grida Gerusalemme già sta in glorioso cammino, già sta battagliando Caifasso, azzuffandosi col Saladino. Già muore accanto a Goffredo, già muore accanto a Boemondo. Ti porto Gerusalemme, Tamara radice del mondo. I l Secondo Angelo — T’offro, Gesù trionfante, l ’estrema tua cittadella, nel presagio dell’ultimo mare, Santiago di Compostella. Ci arrivò l'Apostolo tuo 0 presto ci arriverà, e intorno alla sua parola questo altare, questa città. E’ la figlia di Monte Cassino, la sorella di Aquisgrana, la tua più remota fortezza e l’eco tua più lontana. Sentile le campane, sentile le preghiere che passano le montagne, che passano le frontiere. 1 pellegrini in viaggio verso la tua cattedrale, verso il prodigio di Pasqua, il miracolo di Natale. Accanto c’è Roncisvalle e con la sua guerra Rolando: Santiago ti attende in ginocchio, Santiago ti chiama pregando. C’è presagio di mondo nuovo, augurio di nuova terra in questa Santiago che t’offro contro la morte e la guerra. I l Terzo Angelo — T’offro le mura d’un borgo aperto al sole ed al vento, perché ci fiorisca ogni anno l’eterno Tuo nascimento. Un po’ di campagna festosa, di quella che ti somiglia, che pare inventata dagli occhi della Tua Sacra Famiglia. T'offro le quiete ginestre che a mezza costa son vive: la luce sulle colline favellatoci e giulive, la polverosa, l’alacre orma dei tuoi fraticelli che combatterono i lupi e si arresero agli agnelli. T’offro il guascone e il lombardo, il provenzale e il tedesco: ognuno che ti conobbe negli occhi di San Francesco. Che camminò tutto quanto può essere camminato: e ti trovò in ogni fonte, e ti trovò in ogni prato. T’offro pochissime case sotto tantissimo cielo, perché ogni anno ci nasca nel crepitare del gelo. E ti ritrovi con gli angeli, la paglia, l'asino, il bove: le antiche voci ritornino, divengano antiche le nuove. T'offro l'albergo che acquieta gli stanchi, gli afflitti, i divisi: cullano il Bambinello le attente pietre di Assisi. I l Quarto Angelo — Accogli Gesù, le tue pietre, accogli, Gesù, i colli tuoi, questa è Roma che ti vuole questa è Roma che tu vuoi. Qui la memoria del mondo acquista il suo vero colore, è la città del raccolto e quella del Seminatore. Cosparsa del sangue di Pietro sia tua fortezza e tua luce; da Roma ogni strada si parte, a Roma ogni strada conduce. E’ una fiera città che ti dono di coraggio e di travertino: coronala con il tuo cuore, raggiungila nel tuo cammino. Prendine in mano le mura, color di miele e di sole, accolgano il loro silenzio le tue gloriose parole. Con l'aquila la colomba, con la lupa la pecorella... Gesù trionfante, ecco Roma: è arrivata la tua stella. (7 quattro angeli restano immobili e illuminati, con sulle mani le città e Michele si avanza al pro scenio e dice l’epilogo). E dunque tutto è avvenuto il gaudio il dolore e la gloria: il passato s'è fatto futuro, la speranza s’è fatta memoria. Ho la spada e sono Michele, vengo dal tempo profondo che sgominati gli abissi, apparve limpido il mondo. Sono l’arcangelo intatto, sono l’arcangelo pio che trova luce e sostanza nella giustizia di Dio. Non ci fa inermi la gloria e non ci fa disattenti: Iddio vittorioso ci vuole svegli se pure fidenti. Sangue eterno e germinato è passato per questa terra, portava amore ebbe furia portava pace, ebbe guerra. E dunque giudicheremo, e dunque giudicherà vivi e morti, da nascere e nati: nell’eterno di tutte le età. Sono una spada ed un’ala, la sentenza dopo il racconto, sono il castigo e il soccorso sono l’arcangelo pronto. Da sempre e dovunque combatto contro l’ignavia e l’oblio, occorre il popolo tutto alla giustizia di Dio. Splende una nuova promessa sopra le culle e le bare, anche una lacrima basta quando non basta il mare. L’alta misericordia è spoglia d’ogni viltà: io son l’ala che vi precede e la spada che vi seguirà. Alla destra dell'Onnipotente Gesù sta con la dolce Maria; per il gaudio, il dolore e la gloria così è stato e così sia. C he cos’ è i l g u s to t e a t r a le ? Avendo assistito or non è m olto ad una rappresentazione del B e ll’A pollo di Marco Praga (una commedia del 1894 e che allora non ebbe successo) ci venne fatto d i domandarci se la ripresa del « repertorio » vecchio, e d i opere m inori del tempo passato, sia opportuna, utile, auspicabile, e se possa essere fortunata e felice. Vorremmo dire d i sì. Questa commedia veristico-satirica non è bella, ma è caratteristica, ricca d i chiaroscuri, d i allusioni. C’è, qui, un’atmosfera, anche se l ’ironia dell’osservazione psicologica, la canzonatura d i un costume falso e rettorico e la partecipazione umana dei per sonaggi non si sono fuse in autentico fer vore comico. L ’opera è mancata, e tu t tavia la si ascolta con curiosità, con d i letto, e ci si imparano molte cose. Se lo spettacolo è artisticamente riuscito, lo si deve soprattutto a L u ig i Squarzina, re gista, che, con g li a tto ri del Teatro Sta bile d i Genova, ne ha risolto le molte difficoltà, con gusto sicuro e fertile. Ed ecco il punto saliente d i questi pro blem i: che cos’è i l gusto? Non è certa mente quello che si dice buon gusto, gusto squisito, raffinato, delizioso, non è quel sofisticare, prezioso e fatuo, che so spinge trop pi teatranti a rendere, ad esem pio, irriconoscibile G oldoni. Nel dizio nario del Tommaseo leggiamo che i l gusto è « facoltà d i scorgere con giusto e pronto discernimento le bellezze e i d ife tti di un’opera, particolarmente in quel eh’essa mostra d i piacevole o d i ingrato ». Esatto; il regista deve porsi al centro della com media con una specie d i sorvegliatissimo candore e accettarla com’è, bellezze e d i fe tti, ciò che è piacevole e ciò che è ingrato. La parzialità presuntuosa d i chi non entra nel cuore del vecchio repertorio, ma per puntiglio e ambizione intellettuale lo guarda dall’alto, e si propone d i scartare, attutire, dissimulare, nascondere, elim i nare è la peggior nemica del gusto. Si crede così d i « interpretare » con supre ma malizia, d i rendere « attuale », d i far moderno. M a è un tradim ento; forzando un vecchio testo a diventar tu tto bello e tu tto attuale e tu tto diverso da se stesso, gli si toglie l ’unica possibilità d i sopravvi vere, g li si toglie il « carattere », ossia quel tanto d i forza definita ed espressiva, di linguaggio persuasivo che ancor gli rimane. Essere al centro d i una commedia è in fa tti, per un regista, essere al centro di un linguaggio. Sorpassato, aspro, pun gente, m ellifluo, sincero, insincero; il re gista deve intonare questo linguaggio, in tu tti i suoi accenti, nella sua remota, sfug gente verità. E ’ m olto difficile. A lla buona fede, il regista deve aggiungere un orec chio infallibile, una capacità d i id entifi cazione e d i scoperta non razionale, ma intuitiva. Più che mai i l regista deve co noscere, in questi casi, i l mestiere del l ’attore, la polivalenza misteriosa d i un fraseggio, l ’arcana virtù d i suggerire, tra parola e parola, l ’ombra e la luce di un discorso scenico che procede per allu sioni e analogie. Quando la battuta è falsa, rettorica, tanto lontana da noi da sembrar ridicola, pro prio allora il gusto deve trovare le solu zioni m igliori. I l regista darà alla parola una vibrazione che non ne dissim uli l ’ar tificio, che lo renda anzi intero, ma così ben affiatato, e concertato con la p a rti tura del testo, che anche il pubblico lo accetti com’è, sbagliato in se stesso, ma rivelatore. Nel B e ll’A p ollo c’è un don giovanni che non ci fa più paura né or rore, che non offende le nostre abitudini m orali (ne abbiamo viste d i ben a ltre), e che non irrita la nostra sensibilità: sem mai verrebbe fatto d i sorriderne. Eppure, questo dongiovanni imborghesito e me schino, questo dongiovanni da teatro ve rista fin d i secolo, è venuto alla ribalta, interpretato da A lberto Lionello, intero, vivace, curioso. Perché i suoi discorsi fa tu i e convenzionali, la sua civetteria ba rocca, la sua vanità salottiera ebbero in tonazione giusta e misurata: quell’in to nazione a due facce che rese perspicue nei suoi atteggiamenti l ’apparenza e la sostanza: il personaggio qual è ( appros simativo e incom piuto) e il suo rapporto delicato, profondo, veramente teatrale con un mondo scomparso, con un’immagina zione abolita, con le intenzioni del suo autore. In questo « gusto » c’è del rispetto, e schiettezza ed umiltà. E ’ uno « stile » che ci aiuta a riportare sulle scene qualcosa « del vecchio repertorio ». Gioveranno al teatro italiano codesti te n ta tivi? Pensia mo d i ìz, perché è anche questo un modo d i rieducare i l pubblico, d i ridestarne la sensibilità e l ’assuefazione alla virtù dram matica e comica della parola teatrale. A ciò forse non bastano i capolavori. Ci vuole magari alcunché d i più modesto, di più affabile e quotidiano, che ci proponga una più fam iliare varietà d i linguaggi scenici c o lti in sul nascere, nel momento incerto e vago del loro affacciarsi alla ribalta. Far sentire, nelle mutazioni del tempo, la variazione d i personaggi, sentimenti, tip i, situazioni, ambienti, è un modo di riportare i l pubblico al senso immediato, affettuoso della rappresentazione scenica, che sempre fu mista d i verità e d i conven zione. Una commedia, un dramma di Praga, d i Rovetta, d i Giacosa, questo per modo d i dire teatro minore può avere ancor oggi una funzione, e suscitare pic coli fuochi d i simpatia, non per ragioni impeccabilmente estetiche, ma per grazia d i evocazione nel contrastato concerto delle voci e delle immagini teatrali. Nel contrasto maturerà forse tanto più ela stica e concreta Vintuizione d i quel linguaggio scenico, tu tto nostro e tu tto ine dito e originale, che le nuove dramma turgie promettono e che g li spettatori nUOvi attendono. Francesco Bernardelli R . iordinando documenti, corrispondenza e ma noscritti di Renato Simoni per la Mostra dei suoi cimeli, in visione attualmente al Museo della Scala di Milano, abbiamo ritrovato un manoscritto — illegibile, se non se ne cono scesse il testo — ma eccezionale ugualmente, perché privo di pentimenti, correzioni o altri segni, se non trascurabili agli effetti dei ripen samenti di uno scrittore. Per noi, quel mano scritto di varie cartelle, tutto di getto, scritto evidentemente con vena felice oltre che facile, ha un significato, per il personaggio cui quel l’articolo è dedicato. Ricordiamo che quando si voleva veder spianato il bel volto di Simoni imbronciato, e farlo sorridere e magari aper tamente ridere con veneta soddisfazione, ba stava ricordargli il « marchese del sorbetto », come egli chiamava un curioso personaggio tea trale — e non soltanto teatrale — del Sette cento, vissuto fino a 76 anni e morto, consape vole, succhiando un sorbetto: il marchese Fran cesco Albergati Capacelli, autore drammatico, nato a Bologna il 29 aprile 1728 ed in quella città spentosi il 16 marzo 1804. Albergati fu amico di Goldoni (che nel secondo volume dei Mémoires lo ricorda), di Voltaire, di Alfieri; nel teatro egli rappresenta, storica mente, quella fase postgoldoniana percorsa da nuovi fermenti illuministici. Nel suo opuscolo «Della Drammatica» (1798) reagì al giaco binismo, sostenendo la indipendenza del Teatro. Fu revisore alle stampe ed ai libri (1800) ; ispet tore degli spettacoli (1801) e quasi saliva in cattedra alla Università di Bologna, dove la cat tedra di letteratura drammatica gli fu propo sta, anche se poi non gli venne concessa. Il m a r c h e s e d e l s o r b e tto Bene attillato e atteggiato nella bianca assisa di ciambellano della Chiave d ’oro e generale aiutante di campo di S. M . Sta nislao Augusto Poniatowski, re di Polonia, il marchese Francesco Albergati Capacelli senatore di Bologna papale, più volte gonfaloniere di giustizia, filodrammatico, autore di parecchi volum i d i commedie che hanno goduto buona reputazione per qualche decennio e ora dormono, in tiriz zite e impolverate n e ll’oblio, amico per corrispondenza e lodatore, lodato d i rim balzo, del Voltaire, al quale fece cono scere le commedie d e ll’altro amico suo, i l G oldoni, è visibile in un pomposo r i tratto d i non illustre pennello, che ap partiene al Museo della Scala. La sera d e ll’8 agosto 1786, nella sua v illa di Zola, la moglie d i questo celebre signore, Caterina Boccabadati, morì, per due col tellate al costato, e quando la lama, squar ciando le carni, si insanguinò, soltanto il signor marchese era presente. Si gridò su b ito al suicidio, prim a d i tu tti dal ma rito : anzi l ’Albergati si dichiarò inno cente quando Caterina era ancora viva, e, pur terribilm ente ferita, reggendosi in piedi, non credeva d i morire. E g li corse al piano inferiore della villa , o v’era la servitù, piangendo e gridando: « Correte, correte, è matta ed io non v i ho colpa! O h D io ! ». La versione del suicidio venne accettata dal Cardinal legato che gover nava Bologna in nome del Pontefice; ma, pochi giorni dopo, giunse a Zola un ca pitano con dodici granatieri, e, tu tti e tredici, condussero i l padrone d i casa nella stanza più appartata e p iù brutta della villa. Inchiodate le finestre, furono ap prestati due le tti, uno per i l prigioniero e l ’altro per i l capitano; un sergente dor miva in poltrona davanti a ll’uscio e fu o ri dell’uscio faceva buona guardia una sen tinella. Bologna era piena di vociferazioni, di m alignità, di pettegolezzi e d i astio. Si accusava il marchese di uxoricidio. E d egli rimase carcerato in casa propria fino alla consumazione del processo. La v illa d i Zola è, credo, poco mutata. Non credo però che v i sia più i l famosis simo teatro che poteva contenere trecento persone, dove i l marchese e i suoi amici e le sue amanti recitarono, e per il quale i l G oldoni scrisse alcune delle sue com medie. L ’ospitalità a Zola era, prim a del fattaccio, e fu anche dopo, deliziosa. La v illa accoglieva una grande quantità di gente, amici, conoscenti, anche appena conosciuti, dame e anche meno che dame; e la nobiltà bolognese se ne irritava. Cia scuno viveva, tra quei giardini e quei bo schetti e tra quelle statue, o in brigate o solo, come gli suggerivano o l ’affabilità o la scontrosità. G li uom ini, alla mat tina, trovavano in una stanza barbieri e parrucchieri a lo ro disposizione; e anche le signore saranno state servite d i cala m istri e d i pettini. Dopo una prim a cioc colata o un prim o caffè, i l marchese, uscito lieto e prospero dal sonno e ben vestito e tira to a lucido, convocava a suon di campanella la compagnia dispersa a una seconda cioccolata e a un po’ di conver sazione; poi tu tti liberi, finché la cam panella l i richiamava ai cibi pingui e vari o, più tardi, alle tavole dove si giocava al biribisso, al faraone, alla bassetta e a pentolino; o alle gite, in lunga fila di carrozze, qualche volta portando il gran de paiolo per la polenta, un sacco d ’uccel lin i appena presi, i l vino, l ’olio, il lardo, l ’acqua. I n mezzo alla campagna prim a che i l vespero scendesse, s’accendevano fuochi, si facevano girare schidionate di pispole o d i fringue lli, si godeva l ’odore della salvia strinata, degli uccellini che si rosolavano u n ti e si intrecciavano d i scorsi d i galanteria gentile o grassocci. N ei giorni delle rappresentazioni di trage die del B e ttin e lli o d i V oltaire o d i com medie goldoniane o albergatiane, m o lti cocchi venivano da Bologna, carichi di in v ita ti p ro n ti a d ir male d e ll’invitante; e le accoglienze erano fastose e le recite eccellenti; ché, in quel tempo, dame e cavalieri recitavano di gusto e, pare, mi- rabilmente; e la maestria d e ll’A llergo li era riconosciuta ovunque. E ora, nella v illa d i Zola, l ’anfitrione, i l Roscio locale era ingabbiato come una belva e sorvegliato a vista; e g li era precluso ogni colloquio coi fig li, Eleonora d i nove anni e L uigi poco p iù che fanciullo. Ernesto Masi dedicò un lib ro m olto bello e vivo e noto e pregiato, al tempo, alla società, alla vita, a ll’opera letteraria e agli amici di questo epicureo bonario e spen daccione, spirito tanto indipendente da inim icarsi l ’aristocrazia bolognese, con le sue commedie che mettevano in scena spesso una nobiltà o viziosa o ridicola, eppure tanto vanitoso da procurarsi con doni di quadri i galloni, le ciarpe e le coccarde del re d i Polonia; e tuttavia, quando toccavano i suoi d ir itti o vole vano lim itare la sua libertà, ostinato con tro i più potenti. In questo libro, al quale debbo m olta informazione, anche la morte crudele della Boccabadati è narrata con le conseguenze che ebbe; ma, per tale tra gedia m i gioverò di una settantina d i vec chie pagine, stampate nello scorcio del 1786, che sono i l « ristretto d i fatto e di ragione » presentato al cardinale A rchetti legato a latere di Bologna e alla sua Con gregazione criminale in difesa del N obile ecc. ecc. Francesco Albergati accusato d i uxoricidio dalla Curia del Torrione. I l « ristre tto » è firm ato da L u ig i N ic o li e Ignazio Magnani avvocati dei poveri. La presunzione d ’uxoricidio non era del tu tto ingiustificata. Caterina Boccabadati non aveva sangue azzurro nelle vene; era, pare, d ’u m ili condizioni: si parlò di gente d i teatro; ma questo particolare non è ben certo. Si afferma che l ’Albergati sia stato innamoratissimo della moglie; ma che ormai la fiamma si era spenta; e che da alcuni anni la comunanza del talamo fosse cessata. Vero è che i l marchese ave va cinquantott’anni. M a Caterina si la gnava di lu i, non tanto per questo, quan to perché le pareva che egli non la facesse rispettare dalla servitù. I l che non risultò poi vero; anzi tu tti i testim oni afferma rono che, in casa, non comandava che lei, e capricciosamente e bisbeticamente. In ogni modo i litig i tra moglie e m arito erano frequenti e acerrimi; e Caterina un giorno fece l ’atto di ferirsi con le forbici e un’altra spezzò coi denti l ’orlo d ’un bicchiere e tentò di ingoiare i pezzi di vetro; ma non le riuscì, perché la sua bocca ebbe p iù giudizio del suo cervello; si aggiunse che p iù volte percosse le fan tesche e minacciò di accopparle. Era dun que donna capace di trascendere, n e ll’ira, fino a ll’eccesso d i colpirsi; ma anche di tirarsi addosso la coltellata d ’un m arito esasperato. Dopo cena, a proposito d ’un paio di guanti per i l figlio L uigi, che il maestro d i casa non aveva comperato, Caterina prese a gridare che nessuno la obbediva; il m arito rispose, pare, con dol cezza; poi le o ffrì i l braccio e la condusse nelle sue stanze. La bambina Eleonora era con loro. Nella camera da le tto di Caterina la discussione si rinnovò e si inacerbì; poi calò d i tono. M a n e ll’anima della donna l ’ira fremeva ancora, e quan do Francesco la baciò augurandole la buo na notte, ella g li disse, in veneziano ( g li Albergati da qualche anno, straniati da Bologna, passavano l ’inverno a Venezia): « Paron, ch’el vada pur, che el cielo lo benedissa »: parole che sembrano pateti che e invece erano ironiche e spregiose; lo affermano i difensori e lo ripete il Masi. La signora restò con la bambina. Poco dopo i l marchese bussò a ll’uscio della ca mera da letto; voleva, dichiarò poi, pa cificare e rasserenare la moglie. Ella lo accolse ostile, subito incollerita, anzi fuori ucciso la moglie colluttando con lei per di sé: e dicendo: « vedrete quel che im pedirle di colpirsi. farò » entrò in una camera vicina e trasse Certo quel correr via dalla moglie san dal cassetto d ’un « burro » ( sic ) un col guinante gridando « sono innocente » è, non dico strano, ma vilmente egoistico. tellino da frutta. Così disse la figliolina, In quel momento l ’io del signor mar che supponendo che la mamma volesse, con quella lama, scagliarsi sul padre, corse chese invece d ’aver paura d e ll’avvenire, avrebbe dovuto obliarsi nella pietà per la giù al pian terreno, chiamando la servitù. donna ferita. La difesa, in ogni modo, M oglie e m arito rimasero soli. Poco dopo l ’Albergati seguì la figlia piangendo e g ri delucidò i fa tti, dimostrò il rispetto affet tuoso di Francesco per la moglie, i doni dando: « Correte, è matta, io non v i ho colpa »; e rimase giù, mentre avrebbe di danaro, di gioielli, di buoi e di be potuto chiamare le cameriere a scampa stiame minore che le faceva con frequen nellate tirando certe cordicelle appese al za. Persino un vaso da notte d ’argento letto d i Caterina, e soccorrerla, se si era le aveva regalato. ferita, invece di lasciarla sola così, o, al Caterina alla servitù accorsa non disse pa meno, poiché s’era allontanato, mandare rola che accusasse il marito. Ella ripe in cerca d ’un medico. U om ini e donne teva: « Vedete come sto » e pensava solo a far sparire, in modo sì ingenuo, quella accorse trovarono Caterina sanguinante, ritta ancora. Supplicata di dire qualche tal lettera. Le parole del figlio, che igno cosa, rispondeva terribilm ente spandendo rava ancora i fa tti, potevano voler dire sangue: « Vedete come sto »; poi, riso soltanto che l ’acuità dei dissidi domestici luta, si avviò verso una stanzina dove era aveva generato e prodotto tanta sciagura. una seggetta; l ’aprì, v i gettò una lettera, Certo era che l ’arma l ’aveva impugnata la chiuse e tornò nella camera da letto, Caterina, e che le due ferite, parallele, dove perdette altro sangue e le forze, e vicinissime, vibrate dal basso a ll’alto, d i spirò invocando un prete e la confessione. mostravano che ella stessa s’era accol I l marchese intanto era risalito e chia tellata. mando la moglie morente ripeteva che Verso la fine dell’anno una piena assolu « non ne aveva colpa ». Ma il figlio Luigi, zione mandò libero « dominum marchioprim a di correre in cerca d ’un medico, nem Franciscum Albergati ». I l marchese aveva detto al padre: « Adesso el sarà tornò alla composizione delle commedie e contento ». Si aggiunga che la lettera che alle recite, prese alcune cotte solenni, e, la povera donna aveva gettato nella seg ben vecchio, si acquetò sposando una bella getta, quasi per salvare il proprio onore, era d i un amante. Dunque Caterina po ballerina. I l 16 marzo del 1804, quasi teva essere stata uccisa per gelosia. Que ottantenne e ammalato, chiese un sorbetto. ste circostanze ed altre, come le macchie M entre lo gustava mandò un gemito, e al servitore che g li chiedeva che volesse, di sangue trovate sulla camiciola e sui calzoni del m arito, suscitarono e aggra rispose: « Niente, niente; muoio ». varono i sospetti. G li accusatori non pes La morte di Caterina non era stata così Renato Simon i sim isti reputarono che l ’Albergati avesse facile e leggera. f LA C O LO NN A IN F A M E S E N T D A G u g lie lm o È A T N Z A A P ia z z a , e G io .G ia c o m o M o r a - i. q u a li c o n o r n o p e ftife r o h a n n o a p p e tta to la C it t à d ì M ila n o l'A n n o A d i n s t a n t i d i frA n c e fc o 'B ta n c fx ì LA B E ° M IN I EVO LE R IT R A T T O d7| ALDRVI D'ORSA IN F A M E E P R IM A CAGIONE DELLA P E S T I L E N Z A D I M IL A N O . F iren zc>N a p o lij& in B o lo g n a ,p e rN ìc o lò T e b a id in i* C o n L ice n za deV S uperiori.i 63 f . N e lla S c im iìl,. R ife rito in Senato d a l M a g .S e n a to r M o n t i f P refidente del A d agì f ì ra to de lla S a n ità ,il ProctJJoformato con t r a f u i ¡elmo P ia z& a e G io .G ta co m o M o r a y q u a li con onio pestifero hanno appi ñ a to la C ittà d i A l i l a noy'vdtto ln u o ti de P a d ri i l Senato è concorf o tn que ñ a fe n te n z a H i l i fo p ra n o m in a ti M o ra , e Piazza , p o rti fo p ra d ì v n carro fi jn o c o n d o tti al loco fo lito della G iu f t itia . N e ll’andare ne’ lo c h i oue hanno d e lin q u id o , fijn o ta n a g lia ti. A lia n ti la B a rba ria d e l M o ra i t a g l i a ll’ v n o , & aH’ a lti o la m ano d ritta . S ¡ ro m p in o lo ro l o i a al fo lito con la R o ta , la qua le lì le u i in a lto , & in q u e lla v iu i s’in tre ccin o i lo ro c o r p i. D o p ò fo ih o r e iì fo a n n in o ,e fu b ito l i lo ro cadaueri s’abbrucino,e le ceneri fi g e ttin o in fium e. L a cafa d e l M o ra fi { p ia n i, & in q u e l la rg o fi d r iz z i vna C o lo n n a , la q u a le f i ch ia m i In fa m e , & in e rta li fc riu i i l fucceiTojne ad alcuno fia perm eilo m ai p iù rie d ifica re d e t ta cafa . S id ia fa tis fa ttio n e à c re d ito ri d i detta cafade beni de co n d enna ti, e n o n h a rta n d o , fiano fe tis fa tti del P u b lic o . L i beni d i d e tto M o ra e Piazza fi confi {c h in o . I l m odo d i cód u rre co llo r o alla m orte fi j q u e llo V adino aitanti due B a n d ito r i,li q u a li p a lelino al p o p o lo la cag grone de lla lo ro condennaggione ,e to rm e n ro fa m o rte . V i fia g u a rd ia {ufficiente, acciò non nafca qualche tu m u l to n e l p o p o l o , a l m e d e l ì m o fine fi fig g illa n n o le cafe de fo fp e tti.S i g e tti vn Bando, c h e c ia fc u n o ftijin cafa, e f i g u a rd i, illo c o , oue fi d o u e r à fa r e la G iu ftitia fic ir c ò d i con cancelli d ile g u o ,! q u a li, acciò no portino c lfe re o n ti con l ’o n to p e rtife r o fiijn o da h u o m in i a porta guardati. Sopra i l m edelìm o lo co fi fo rm i come v n ’om brella,acciò l i R e lig io lì con m in o r d ifa g g io p o ifin o alfifte re a g iu rtitia c i, e del tu tto s’a u u ifi il V ic a rio d i G iu ftitia . O tta n io B e ria fc a . R ice t- C DRAMMA IN DUE PARTI di D IN O B U Z Z A T I cr-pr^rSGIAN BATTISTA VISCARDO auditore di sanità - 38 anni, elegante, crudele, arrivista, cinico. IGNAZIO BERNARDINI capitano di giustizia - 40 anni, corpulento, flemmatico epieno di sé. VITTORE MALVEZZI avvocato fiscale - 35 anni, buon uomo, bene intenzionato ma pavido. GUGLIELMO PIAZZA commissario di sanità - 40 anni, plebeo, furbacchione. GIAN GIACOMO MORA barbiere - 45 anni, sempliciotto e furfante. DON RODRIGO - 30 anni, signorotto gaudente. LUCERIO detto IL GRISO braccio destro di Don Rodrigo. ROSARIO - FANTI bravi di Don Rodrigo. ENRICO CRODA Cognato di Malvezzi. LUCHERINO folletto di Milano. L'USCIERE GIACOMO. PAOLO GEROLAMO MORA - 19 anni, figlio del barbiere. FISICO PERLASCA. SEI UNTORI DI CUI DUE DONNE. UN MONATTO. GIOVANNA - 45 anni, popolana, portinaia. COSIMA - 55 anni, casigliana. CATERINA ROSA - 35 anni, casigliana. MARTINA - 17 anni, molto bella, nipote di Mora. ELENA VISCARDO moglie dell’auditore di Sanità. UN NOTAIO CANCELLIERE. SBIRRI. USCIERI DI TRIBUNALE. MONATTI. PAR TE P R IM A (Una strada del quartiere Ticinese a Milano nel febbraio 1630. E' notte e nevica un poco. Finestre chiuse. Una lanterna accesa dinanzi a una porta chiusa con sopra l'insegna « Hosteria ». Intermit tenti echi di canti e di musica. Passano due uo mini, di cui uno ha visibilmente fretta. L’altro si ferma a guardare il numero di una casa). Croda (si ferma) — Su vieni è tardi, ho un freddo del diavolo, filiamo a casa!... Dài, non son posti questi da fermarsi... Si può sapere che cosa guardi? Malvezzi (a bassa voce) — Vieni. Vieni a vedere. Croda — Che c’è? Malvezzi — Vieni a vedere. Croda (torna indietro a guardare anche lui) — Cosa? Malvezzi — Quel muro. Croda — Non vedo niente. Malvezzi (irritato) — Tu, tu, almeno non vedi mai niente. Croda (irritato a sua volta) — Non sarò mica orbo, no? Tu cosa vedi? Malvezzi — Una storia. Croda — Dove? Malvezzi — Scritta col sangue (fa segno) là... là... là. (Fa segno a tutto lungo il muro) Una storia orrenda. Croda (calmo) — Alle volte mi sembri un matto. Malvezzi — Vedrai. Croda — Riguarda noi due? Malvezzi — Riguarda tutti. Croda — Non vedo niente. Malvezzi (lentamente, assorto) — C’è scritto che convincerà tra poco. Croda — Ci hai proprio la fissa. La peste, sempre la peste. Una persona colta come te, sembra fino impossibile. Malvezzi — Che silenzio. Croda (interrompendolo) — Io ragiono con la mia testa. Se la peste esistesse, ti pare che lascerebbero fare il carnevale? La peste non esiste: hai paura di che? Sono favole. Malvezzi — Non lo senti questo silenzio? (Grido di civetta). Croda — Favole. Favole dei signori per poi crescere le tasse, tormentare la povera gente. Per tener buoni chi ha fame, spaventare le teste calde. Tu, caro Vittore, sei il più bravo uomo di questa terra, però che temperamento! Adesso leggi anche le pro fezie sui muri. Dov’è questa peste? Se ne parla da mesi e mesi e io non ho ancora visto un morto. Ti pare che se ci fosse la peste, lascerebbero fare il carnevale? Ne ho visti di carnevali in vita mia, ma come questo. Non lo vedi? Milano è come pazza. Allegria dappertutto. Feste dappertutto. Banchetti. Balli. E i preti predicano; Sodoma e Gomorra poi verrà la punizione dei peccati. Che punizione? Che peccati? Che male è un po’ di baldoria dopo tanta fame che si è patita? Altro che peste. Altro che storie scritte sui muri. Tu ti sogni. (Lontano abbaiare di un cane). LA COLONNA INFAME Malvezzi — Avrai paura anche tu. Oh se avrai paura! Croda — C’è gente. Andiamo, su. Malvezzi — Dove? Croda — Dei tipi che non mi piacciono. Guardali là. (Fa segno). Voce (da fuori scena, lontana) — Oh, quei due. Dico a voi due. Cosa state facendo? Croda (a Malvezzi) — Dai, dai, gambe! (I due fuggono. Per un istante la scena resta vuota. Echi di musica lontana. Entrano Don Rodrigo, il suo fido Lucerio e due bravi. Sono mascherati. Don Rodrigo con sontuoso mantello e pennacchi a colori. Lu cerio porta sotto il mantello una chitarra). Griso (con grande risata) — Ha visto, don Rodrigo, che fugone, quei due. Chissà cosa hanno creduto. Don Rodrigo — E non fare tanto chiasso! Griso — Siamo arrivati. Don Rodrigo — E la ragazzina? Griso — Là. Quella finestra. (Fa segno). Don Rodrigo — E’ sicuro? Griso — Se non è vero che mi prenda un... Don Rodrigo — Le chiavi? Griso (consegnandole al più alto dei due bravi) — Questa più grossa, apre la porticina. (Fa segno) L’altra è della abitazione. I l Primo Bravo — Se la troviamo chiusa dal di dentro? Griso — Non la troverete chiusa... Ma avete capito tutto bene? O c’è bisogno che vi spieghi per la centesima volta?... I l Primo Bravo — Capito. Griso — Quando il signor conte avrà finito di cantare e sentirete la voce di lei che parla allora voi due... mentre lei è affacciata alla finestra, voi le piombate alle spalle e... I l Primo Bravo — Abbiamo capito. Griso — Ma non prima, mi raccomando. Altri menti è uno sconquasso. I l Primo Bravo — D’accordo. Griso — E la dormia ce l’avete? I l Primo Bravo — Stia tranquillo, signor Lucerio. Griso — Entrate, allora, voi due. E badate che lei non strilli. (7 due bravi aprono con la chiave la porticina ed entrano, lasciandola socchiusa. Il Griso si ritira nascondendosi in una rientranza così che dall’alto non lo possano vedere, dopo aver consegnato la chitarra a Don Rodrigo, il quale rimane quindi solo). Don Rodrigo (dopo aver accarezzato le corde, at tacca la serenata). — Toc toc chi batte son io bella Martina tu angelo santo demonio crudele deh fatti veder. Apri apri bambina ti nrego rosa rossa di sangue cuore duro di sasso perdizione dell’uomo DINO BUZZATI rossa fiamma d'amor. Apri apri Martina bella Martina nel letto dei sogni tu dormi non senti i sospiri e i lamenti di chi ti vuol ben Se tu non mi apri se tu non mi guardi se tu non mi parli io qui morirò. Martina (aprendo le imposte e sporgendosi. E’ av volta in uno scialle. Divertita e spaventata insieme) — Chi siete? Chi sei? A quest’ora? Don Rodrigo (tono falso) — Deliziosa fanciulla, grazie, avete esaudito chi spasima per voi... Martina — Signore, lei è pazzo, non si prenda gioco di una povera ragazza. Lo so, è uno scherzo di car nevale e la perdono. Ma adesso via, se ne vada. Don Rodrigo — No no, dolce Martina, aspetta un istante, concedi un respiro al mio cuore dolente. (Sottovoce) Griso! Griso (sempre nascondendosi nella rientranza del muro) — Comandi. Don Rodrigo — Cosa fanno quei due tangheri? Cosa aspettano a incuccarla? Martina — Chi c’è là? Don Rodrigo — Nessuno, amore, assolutamente nessuno. Martina — Buona notte, signore. Don Rodrigo — Un momento, un momento, in gi nocchio ti supplico. Martina — Torni a casa, signore. La sorprenderà la ronda. Don Rodrigo — La ronda questa notte non verrà. Per le strade non c’è che il mio amore per te, incantevole Martina. Voce (dall’interno della casa) — Basta! Pietà per un cristiano. Martina — Signore, se ne vada. Il posto non è bello. C’è uno che sta male. Buonanotte. (Lenta mente richiude le imposte). Don Rodrigo — Amore, lascia almeno che ti canti ancora una canzone. Senti, Martina... {Ma le impo ste si richiudono con un colpo secco) ... Se n’è andata, la puttanella. {Inquieto) Griso! Griso — Comandi! Don Rodrigo — Cosa fanno quei due? Saranno entrati? L’avranno presa? Lei avrà fatto resistenza? Non vedo l’ora che sia finita. Griso — Rosario e Santi sono due ragazzi fidati. Don Rodrigo — All’anima. Dovrebbero essersela sbrigata, a quest’ora. {Un richiamo sinistro di uccello notturno. Un cavernoso singhiozzo dall’in terno della casa) Lucerio! Griso — Comandi. Don Rodrigo — Che sia successo qualcosa? (Con un lungo cigolio si apre la porticina e compare, tra felato uno dei due bravi) Rosario, Rosario. Ce l’avete? Rosario {stralunato, si guarda intorno come in balia di un terrore e senza badare al padrone, fissando la porticina, arretrando, balbetta) — Mise ricordia! Don Rodrigo {alterandosi) — Per il demonio, vuoi rispondere, Rosario? Che avete combinato? Santi dov’è? Rosario {continuando ad allontanarsi, arretrando, dalla porticina) — Signor conte, sapesse cosa ho visto! Don Rodrigo — Santi dov’è? {Dall’interno della casa viene il rumore di passi pesanti che scendono le scale. Rosario spaventato, fugge) Rosario! Rosario! Griso — Don Rodrigo, forse è meglio andarsene. Don Rodrigo — E Santi? Griso — Si arrangerà. Don Rodrigo — Eccolo. {Il rumore dei passi si è arrestato iti corrispondenza della porticina, da cui esce lentamente un tipo con una maschera terrifi cante: la faccia smangiata da vaste piaghe, un mostruoso naso a proboscide che gli pende dinan zi) Santi, che scherzi sono? Che maschera ti sei messo? E la ragazza? Che avete fatto della ragaz za? {Il tipo con la maschera avanza lentamente) Che vuoi? Che vuoi? Togliti quella maschera schi fosa! (Tenta di strappargli la maschera, sente che è carne putrida) Cos’è? Questa è carne, carne viva. Via, maledetto. {Arretra). Griso — Andiamo, andiamo. {Don Rodrigo arretra inorridito, poi fugge seguito da Griso). {La strada resta vuota, silenzio, ancora il grido della civetta, una specie di singhiozzo dalla casa, passa un pezzente esaminando i piedi dei muri, un suono lontano di chitarra - niente musica di fondo - poi un lungo doloroso lamento accompa gnato da un confuso mugolio « Gesù, Maria San tissima », quindi passa la ronda, tre sbirri armati con lanterna come se cercassero qualcuno, rapida mente ecco venire la luce del giorno accompagnata dal brusìo della vita che riprende, persiane che si aprono, scalpiccii, rumori di stoviglie). Voci — Su, su, Margherita che è tardi... Sì, l’ho tro vato... Achille, Achille, vieni un momento... {Una voce di ragazza che si mette a cantare con abbando no - può essere eventualmente la Martina affacciata alla finestra - accompagnata da rumore di panni battuti. Una donna sui quaranta, Giovanna, esce da una porta, mettendosi a spazzare l’andito. Da una finestra si affaccia una vecchietta, la sciura Cosima). Cosima — Giovanna. Giovanna — Buondì, sciura Cosima. Cosima — Hai sentito stanotte? Giovanna — Mi no. Cosima —- Quello là che cantava. Giovanna — Che? Cosima — Ho visto dalle fessure delle imposte Giovanna — Cantava? Cosima — Erano in maschera. Certi tipi. Giovanna — Chi? Cosima — Erano in tre. Uno con un mantello, vedessi che mantello. E un pennacchio che non finiva più. Dio, che freddo. Giovanna {ridendo) — Nevicava stanotte. LA COLONNA INFAME Cosima (un po’ interdetta) — Un poco sì, nevicava. Giovanna — Erano in quattro, non in tre. Cosima (delusa) — Ah, li hai visti anche tu? Giovanna (facendo il verso) — Dalle fessure delle imposte. Cosima — La Martina eh. Con quella sua aria di Madonnina infilzata. Giovanna — Che schifo. Neanche sedici anni e si è già fatta conoscere da tutta Milano. Adesso vengono i signori a cantarle serenate. Ci vuol coraggio. Serenate a quella schifosa. Cosima — Perché? Tu credi? Giovanna — Ma se lo sanno cani e porci. Per due parpagliole, quella lì... Cosima — Se fosse come dici, che bisogno avreb bero di venirle a fare serenate? Giovanna — Perché i signori sono idioti. Prepo tenti ma idioti. Ne ho menato anch’io per il naso, dei signori, ai miei tempi. Cosima — Però confesso la Martina non credevo. Giovanna — E l’hai visto quell’altro? Cosima — Quell’altro chi? Giovanna — Quello che li ha fatti scappare. Cosima — Non ho visto niente. Giovanna — E’ venuto fuori da quella porta lì. (Fa segno) E allora gli altri se la sono battuta. Cosima — Non ho visto niente. Giovanna — Mi ha fatto venir paura, mi ha fatto. Aveva la maschera della morte. Cosima — Non ho visto niente. Giovanna — Era tutta buchi. Una faccia smangiata dalla lebbra capisci? una cosa ributtante. Fatta bene, capisci. Sembrava proprio carne viva, pro prio come la lebbra. Cosima — Chi era? Sai chi era? Giovanna — Non lo so, però lo immagino. Cosima — Chi? Giovanna — Lo conosci anche tu. Cosima — Io? Giovanna — E molto bene anche. Cosima (allarmata) — Chi vuoi dire? Giovanna — Ma Lucherino, no? Cosima (sollevata) —- Ah Lucherino! Giovanna — Non c’è che lui capace d’inventare questi scherzi. Cosima — E gli altri se la sono battuta? Giovanna — Non si son fermati ancora adesso dalla fifa che han preso. Ma tu proprio non l’hai visto? Cosima — Ti dico di no. Giovanna — Mi par fino impossibile. Cosima — O te lo sei sognato tu? Giovanna — Sognato? L’ho visto da qui a lì! Cosima — Ti sei sognata. Semplicemente ti sei sognata. Chiudo perché fa freddo. (Chiude la fine stra e si ritira. Giovanna continua a scopare e facendo ogni tanto cenno con la testa alla finestra della Cosima. Entrano Malvezzi e Croda che pas sano affaccendati). Croda (trattenendo per una manica Malvezzi) — Mio caro cognato e avvocato fiscale era qui, vero, che tu ieri sera... Malvezzi — Lascia perdere. Giovanna (espansiva) — Buondì, signor Malvezzi. Malvezzi — Ciao, Giovanna, come va? Giovanna (con intenzione) — Potrebbe andare peggio. No? Malvezzi — Tu, almeno, sempre allegra. Giovanna — Io sì, sa. Non vai la pena, mi creda, signor Malvezzi. Lei, invece, sempre così serio, così preoccupato... Le autorità importanti come lei, signor Malvezzi, che brutta vita devon fare. 10 certo non le invidio. Croda (insistendo e facendo segno al muro) — Era qui? Malvezzi (seccato) — Lascia perdere. Croda — La vedi ancora la scritta sul muro? Malvezzi (duro) — No. Croda — Come lo spieghi? Malvezzi (in modo da non farsi udire da Giovanna) — La notte parla, caro il mio Enrico, a quelli che la stanno a sentire. La notte sa molte cose che poi 11 giorno dimentica perché preferisce dimenticare. La notte scrive nel cuore degli uomini... Croda (ironico) — E sui muri. Malvezzi — ... E anche sui muri, sì, molte cose che poi la luce del giorno cancellerà. (Accennando alla Giovanna) Andiamo, ha delle orecchie quella lì. Croda — Che c'è di male? Malvezzi (sottovoce) — Non si sta mai abbastanza attenti. Lasciatelo dire da me che sono dentro a queste cose fino al collo, purtroppo. Ogni parola viene travisata. Basta una semplice diceria. Croda — Non avrai mica paura tu, alle volte. Malvezzi — Non si sa mai. Croda — Tu, avvocato fiscale. Malvezzi — Non si sa mai. La paura moltiplica la perfidia della gente. Croda — Che paura? Malvezzi (spazientito) — La tua, quella che ti tieni in corpo tu. E per liberartene la neghi. Per paura ti rifiuti di vedere, di sentire, di capire. E te la prendi con chi cerca di farti aprire gii occhi. E lo odi. Si starebbe freschi se tutti ragio nassero così. Purtroppo, come te, la maggioranza dei milanesi. Croda (con un’alzata di spalle) — Be’, vediamo un poco: Giovanna. Giovanna (che fin qui ha cercato di decifrare la conversazione dei due) — Comandi, signor Croda. Croda — Dimmi un po’, Giovanna: in questa casa, che tu sappia, e tu dovresti saperlo, penso: quanti ammalati finora? Giovanna (fingendo stupore) — Ammalati? Croda — Dico : quanti casi di peste? Giovanna (vivace) — Nessuno, grazie a Dio. Ci mancherebbe altro!... Perché, signor Croda, lei crede che ci sia la...? Croda — E, dico: nelle case vicine, qui del quar tiere? Giovanna — Che io sappia, nessuno... Croda — L'avresti saputo, immagino, se qualche duno... Giovanna — Be’, si sa, le voci fanno presto a girare... DINO BUZZATI Croda — L'avresti saputo, no? Giovanna — Penso di sì. Croda (a Malvezzi) — Lo vedi? Lo vedi? In tutto il quartiere neanche un ammalato, neanche un morto. (Ironico) Eppure la peste ci deve essere, ci deve essere per forza, lo dicono i sapientissimi dottori e perciò così deve essere. Giovanna (incoraggiata) — Ho piacere che un signore istruito come lei la pensi così. Questo è un parlare giusto. Vorrei che tutti avessero il suo buon senso, signor Croda. Ma dove è andato a finire il buon senso? Basta che un medico dica una scempiaggine, tanto per metterla giù dura. E subito gli danno a trarre. Malvezzi (sconsolato) — Povera Milano, poveri noi. {Esce. Entra Lucherino, ragazzo gioioso, ama ro e beffardo, specie di Arlecchino o di Folletto; è moroso della Martina. Non visto si è messo ad ascoltare e interviene all’improvviso, provocando un sussulto della Giovanna). Lucherino — Il protomedico Settala, sapientone dei sapientoni, poco è mancato che gli facessero la pelle, stamattina. Giovanna — Ben gli sta. Lucherino — Poco è mancato che gli facessero la pelle, era a cavallo, l’hanno tirato giù: Ah, tu sei quello della peste? E prendi questa. Tu vuoi la peste tu? Ma sai dov’è la peste? E’ nei peli della tua barba maledetta. Allora l’hanno tratto giù di sella, volevano pestarlo. Fortuna per lui che... Giovanna — Uei, non ti metterai anche tu, Luche rino, non ti metterai nella masnada... Lucherino — Io? (Ride). Giovanna (ironica) — Tu, senti, piuttosto. Credevo che ti piacessero, le serenate... Lucherino — Serenate? Giovanna — Questa notte, così per dire, non l'hai mica gradita eh? Lucherino — Stanotte cosa? Giovanna — Alla Martina. Non è il tuo amato bene? Lucherino — La Martina? Manco per idea. Giovanna (dandogli uno spintone) — Ma va, va. Mi prendi per scema. E così della serenata non sai niente. Lucherino — Ti giuro, io non so niente. Giovanna — Sì, figurati!... E io ti credo, natural mente. Lucherino — Dai, poche storie, Giovanna. Chi erano? Giovanna — Fattelo dire dalla Martina. Lucherino — Giovanna, tu sei una brava donna... Ma quando fai così mi rughi. Giovanna — Erano quattro. Mascherati. Un tipo di gran signore con tre scagnozzi. Lucherino — Armati? Giovanna — Poi è venuto fuori uno da casa nostra, aveva una maschera da fare spavento e quelli là, quelli là devono essere lì che scappano ancora. Avessi visto che faccia. Lucherino — Chi era? Giovanna — Va là va là che tu la sai lunga. Lu cherino. Tu coi tuoi scherzi. Solo tu saresti riu scito a combinarti una faccia simile. Un mostro, ti dico. La morte in carne ed ossa... Lucherino — Non ero io. Ti giuro. Giovanna — Lucherino, Lucherino, uno capace di fare su la Giovanna non è ancora nato. Lucherino — Non ero io. Giovanna (con un principio di inquietudine) — Su, Lucherino, dimmi. Lucherino — Non ero io. Stanotte non ero in casa. Stanotte io ho dormito fuori. E le serenate alla Martina non mi fanno né caldo né freddo. Non è il mio tipo. (Si allontana). Giovanna — Lucherino, aspetta. Aspetta ti dico... {Parlando fra sé) E se non era Lucherino chi era allora? Croda — Cos’è questa storia della maschera? Giovanna — Niente. Croda — Dimmi, Giovanna. Cos’è questa storia della maschera? Giovanna — Niente. Croda — Un mistero? Di questi tempi, cara Gio vanna, è meglio non averne, di misteri. Giovanna — Perché? Croda — Cos’è questa storia della maschera? Giovanna — Una maschera. Croda — Com’era? Giovanna — L’ho vista stanotte. Ma... Croda — Ma cosa? Giovanna — Forse me la sono sognata. Croda — Hai paura? Giovanna — Paura di che? Croda — Di parlare. Giovanna {si fa coraggio) — Uno che è venuto fuori da questa casa. E poi è rientrato. Vuol dire che è uno che sta qui. Aveva una maschera. Credevo fosse Lucherino. Lucherino m’ha detto di no. Ha detto che non era lui, ha detto che ha dormito fuori. Ecco tutto. Croda — Brava. E perché te ne cacci tanto? Giovanna — So io. {Intanto si affaccia la signora Cosima alla finestra e sta ad ascoltare). Croda — Una maschera brutta, vero? Giovanna — Mm mm... Croda — Faceva paura? Giovanna — Ma cos’è, signor Croda? Perché que st’interrogatorio? Io non ho niente da nascondere. Croda {arretra due passi) — Non si sa mai. Giovanna — Io sto bene, signor Croda. Mi sento bene. Non mi sono mai sentita così bene. Perché si tira indietro? Croda — Son tempi grami. Dove ci sono misteri, meglio stare alla larga. Giovanna — Io sono sana, signor Croda, glielo giuro, sana come un cavallo, lei non dovrebbe così tirarsi indietro. Croda — Parla, donna benedetta. Non sarà mica questione della peste. Giovanna — La peste? Sono balle. LA COLONNA INFAME Croda — Certo che sono balle. Cosìma — Balle, balle, nient’altro che balle. Giovanna — Ah signora Cosima. Lei ascolta. Cosìma — Io sto alla mia finestra. Giovanna (facendo segno alla signora Cosima) — L’ha visto anche lei. Cosima — Cosa? Giovanna — Stanotte quello con la maschera. Cosima — E dai! Io non ho visto niente. Giovanna — Glielo domandi a lei. Cosima — Io non ho visto niente. Giovanna — Non vuoi parlare? Cosima — No. Giovanna (sempre più rapida) — Non vuol par lare la signora Cosima, anche lei ha paura la si gnora Cosima. (Infervorandosi) Allora glielo dirò io com’era la maschera. Era una maschera ma sembrava carne viva, la carne rosa e gialla delle piaghe col pus, viscida, coi bordi tutti screpolati e dalle screpolature veniva giù la marcia e anche gli occhi erano marci, e il naso, e la bocca, la bocca era una caverna nera, Dio non voglio ricordar mela, no non era una maschera non è vero che fosse una maschera lo dicevo tanto per tranquil lizzarmi perché ho paura, signor Croda, ho paura, no che non era una maschera, fin dal primo mo mento ho capito che era... che era... Misericordia, in questa casa, in questa casa... (Vedendo ricom parire Lucherino) Oh Lucherino, sei tornato? Vieni qua Lucherino, tu sei un bravo ragazzo Lucherino, magari strambo ma ho sempre detto che sei un bravo ragazzo, dimmi Lucherino, dimmi la verità, questa notte eri tu, vero Lucherino? eri tu con la maschera che ti eri fatto per spaventare quei porci che cercavano il tuo amore. Lucherino (duro e beffardo, leggendo un foglietto) — Novità della giornata 23 marzo 1630. Sant’Eustorgio 190, San Celso 45, Porta Ludovica 112, Porta Orientale 86, Molino delle Armi 17, Porta Tici nese 117. Giovanna — Cos’è? Cos’è? Lucherino — Lazzaretto 203. Giovanna — Cos’è? Cos’è? Lucherino — E cosa vuoi che siano? I morti, no? Giovanna — Madonna, allora è tutto vero? Lucherino (beffardo) — Macché, tutte balle, tutte balle. (Si allontana di corsa). Giovanna (disperata) — E anche qui. Anche in questa casa ormai! Altro che maschera. (La signo ra Cosima chiude la finestra) Signora Cosima! Adesso capisco. Signora Cosima! (La signora Co,isima riapre un poco la finestra) \Signora Cosima, dimmi un poco, signora Cosima. Come sta tuo figliolo Marco? Cosima (con un principio d’allarme) — Marco? Giovanna (implacabile) — Dico tuo figlio Marco lo scrivano, come sta tuo figlio Marco di salute? dimmi un po’ come sta, signora Cosima, è un bel po’ che non lo vedo. Cosima — Non c’è. E' fuori Milano. Giovanna — Dove? Cosima — A Como. Dagli zii. Giovanna — Come mai io non l’ho visto uscire? Cosima — E’ via da quattro giorni. Giovanna — Io sono sempre qui, di giorno e di notte, come mai non l'ho visto uscire? Cosima — Non c’è, non c’è. Giovanna — Ma io ho sentito ieri la sua voce, l’ho riconosciuta ieri mattina, era tuo figlio Marco, come mai ho sentito la sua voce se era a Como? Cosima — Non c’è, non c’è. Giovanna — Sì, sì, era la sua voce, la conosco, posso giurare che era la sua voce. Cosima (d'improvviso supplicante) — Signora Gio vanna. Giovanna — Cos’è? Cosima — Giovanna, io sono sempre stata buona con te. Giovanna — Sì, certo. Cosima — Sono povera, ma quando posso ti fac cio sempre dei regalini. Giovanna — Non dico di no. Cosima — Per pietà, Giovanna. Giovanna — Cosa c'è? Cosima — Mio figlio. Giovanna — Era lui, vero? Altro che maschera. Cosima — Però adesso sta meglio. Giovanna — Immaginarsi, con quella faccia! Cosima — Adesso sta meglio, giuro... Giovanna, ti supplico, non fare la denuncia. (Ricompare Luche rino). Lucherino (beffardo) — Novità della giornata. 15 aprile 1630. Sant’Eustorgio 140, San Celso 78, Ludovica 116, Porta Orientale 83, Molino delle Armi 116, Porta Ticinese 160... Lazzaretto 212. Cosima (insistendo) — Giovanna, promettimi. Giovanna — Io non prometto niente. Cosima — Un bel regalo Giovanna, ti giuro un ve stito per la festa con le gale. Giovanna — Io non prometto niente. Cosima — Come quello che portava l’altro giorno la contessa, ti giuro, tale e quale, se mi prometti di non fare la denuncia. (Compare sulla porta la Martina pallida e stravolta). Giovanna — Oh la bella Martina, cosa cerca qui la nostra Martina. (Martina si avvicina barcollando alla Giovanna) Vuoi un’altra serenata, signorina. Per stasera un’altra serenata? (Martina mormora qualcosa all’orecchio della Giovanna, che ha un sobbalzo) Tua mamma? (Martina fa segno di sì con la testa singhiozzando) Quando? Martina — Adesso. Sarà dieci minuti fa. Giovanna (spingendola indietro con ribrezzo) —E tirati indietro che sei infetta. Martina — S’è sentita male stanotte. All'improv viso. E poco fa... Giovanna (con ira) — Taci, taci, non dirmi di cosa è morta, non dirmi di cosa è morta tua mamma, Santissima Vergine siamo rovinati. E adesso ver ranno, verranno quelli della sanità a mettere il naso. Vergine Santa siamo rovinati; è un pezzo che ronzano qui intorno e poi i monatti quei pendagli da forca ci porteranno l’infezione e bruceranno e ruberanno e faranno la festa alle donne, così sue- DINO BUZZATI cede: lui in letto che sta crepando e la moglie da vanti violentata da quei mustacchi di porco, così succede; la mamma in letto che crepa e la bam bina davanti sverginata da quei manigoldi, se no portano via anche lei al lazzaretto. Ah ce l’hanno fatta quei maledetti a spander gli unti per le strade, anche qui sono venuti a mettere l’unto, hanno impestato questa casa, chi adesso più si salva? Croda — Gli unti, gli unti! Giovanna, ma se prima non credevi nemmeno alla peste e dicevi che la peste erano balle e adesso credi anche agli unti degli untori; ma ragiona un po’ con la tua testa, chi vuoi che si diverta a seminar la peste? Che cosa ci ricaverebbe? Possibile che una donna come te creda a queste balordaggini? Giovanna — Credevo che la peste erano balle, sì, credevo che fosse ima invenzione dei signori ma era febbraio, adesso siamo in giugno, ne sono suc cesse delle cose, Domineddio, ne sono successe e se noi siamo ancora qui è un miracolo e adesso è morta la mamma della Martina e io non so il motivo ma so che la peste è stata messa in giro apposta, lo sanno tutti, lo dicono tutti, mi meravi glio di lei, signor Croda. Croda — Ma ragiona un momento, Giovanna. Che scopo avrebbero? Giovanna — Non so, non so, ma l ’unto sui muri l’hanno visto tutti, intere strade untate, che son venuti anche quelli della sanità e hanno visto i muri untati che era impossibile non vedere tutta quella sporcheria gialla sui muri e sulle porte e adesso è morta la mamma della Martina. Croda (violento) — Ma era uno scherzo, una vassallata per far paura alla gente: anche in tempo di morte c’è chi si diverte a sfottere e... Giovanna — No non è uno scherzo, come dicevano degli studenti di Pavia per far stremizio, perché li scherzi non fan morir la gente e dove l’unto è stato messo, subito c’è stata la morìa. (Compare la signora Caterina). Caterina (in tono mite, con voce chioccia che spic ca fra tutte le altre) — Sentite. Poco fa dalla finestra... Giovanna (distrattamente) — Oh signora Caterina, se sapesse con gli unti sono arrivati fino da noi. Croda — Ma Giovanna, non mettere in giro queste storie; guai se si comincia davvero a crederci, nes suno si salva più. Giovanna — Però i muri untati li avrà visti anche lei. Croda — Ma quelli dell’unto cosa ci guadagnereb bero? Caterina — Sentite, poco fa dalla finestra ho... Giovanna (interrompendola, risponde al Croda) — Che cosa ci guadagnerebbero? Che ne sa lei, signor Croda? Sarà un complotto dei francesi. Sarà la vendetta di Cordova che abbiam cacciato a torso late, sarà una delle solite di Riceliù che non crede più in Dio di quello che facciano le mie ciabatte, che ne sa lei, signor Croda? O sarà semplicemente il diavolo. Croda — Adesso anche il diavolo! Lucherino (spunta all’improvviso a guisa di fol letto, ha una piccola chitarra o altro strumento per accompagnare il canto) — Sicuro, il diavolo, gli unti del diavolo! Ho da raccontarvene una bella. Caterina (mite ma ostinata come un rintocco) — Sentite, poco fa dalla finestra ho... Giovanna (interrompendola) — Signora Caterina, dopo. Abbia pazienza, lei quando comincia... lasci parlare Lucherino. Caterina — Ma senti, Giovanna, volevo dire che poco fa dalla finestra... Lucherino (attacca a cantare) — E la storia voi cantare del mercante Attilio Como che l’altro giorno in piazza del Duomo ha incontrato un gran signor. Il signore l’era in carrozza tirata da sei cavalli bianchi e aveva gli occhi come due diamanti che facevano tremar. La carrozza era dorata con i pennacchi e con gli stemmi e lui gli disse : tu perché non vieni ti fo vedere la mia magion. Attilio sale col grande signore e galoppan per un’ora e poi si fermano alla Bullona una casa che nessuno sa. Era un palazzo di marmi rari pieno zeppo di meraviglie i saloni saran stati mille con ricchezze d’argento e d’or. Caterina (petulante e ostinata, approfittando di un breve respiro del Lucherino) — Sentite. Poco fa dalla finestra ho visto... (Tutti la zittiscono energicamente). Lucherino (prosegue) — E il signore dagli occhi di fuoco prese per una mano Attilio gli disse: ti considero mio figlio ti farò ricco più di me. Lo condusse in un cortile c’era un monte di marenghi: quello che vuoi prendere tu prendi mi farai però un piacer. Qui gli diede una bocce ttina con un olio sovrumano se tu con questo ungerai Milano la fortuna sarà con te. Solo allora Attilio vede che l’altro aveva coda e corna gli disse tu sappi per tua norma il demonio mai servirò. I due occhi mandaron fuoco ci fu un lampo ci fu un tuono in un baleno Attilio Como accanto al Duomo si ritrovò. Caterina (interviene prontissima appena Lucherino ha terminato l’ultima emissione di fiato) — Sentite poco fa alla finestra ho visto... LA COLONNA INFAME Giovanna (alzando gli occhi al cielo) — Chi ci salva più? Quando questa qui incomincia... Croda (a Lucherino) — Questa favola dove l’hai sentita?... Lucherino — Macché favola. Questo Attilio lo conosco anch’io. Caterina — Sentite, poco fa dalla finestra ho visto... Giovanna (spazientita, sfottendo) — Su, coraggio, dai, signora Caterina, si decida : « Sentite poco fa dalla finestra, sentite poco fa dalla finestra ». Silenzio, per favore. Sentiamo che cosa ha visto dalla finestra poco fa la signora Caterina dalla finestra poco fa. (Ride). Caterina (imperterrita, in tono monotono) — Sen tite poco fa dalla finestra io abito là sapete (fa segno) e ho ima stanza proprio in quel passalizzo che la traversa la Vetra e io così non ho bisogno neanche di affacciarmi basta che io giri gli occhi da una parte e dall’altra e siccome ci sono due finestre una da una parte e una dall’altra io vedo quelli che vengono dal Carrobbio e vedo quelli che ci vanno e dunque poco fa volto gli occhi mentre sfazendavo volto gli occhi dalla parte del Carrobbio e la strada era deserta ma vedo uno che viene da verso il Carrobbio incappato di cappa nera vestito di saglia nera col cappello tirato sugli occhi e aveva in mano una carta piegata e ci met teva le mani sopra che pareva che scrivesse e poi si fece presso la muraglia delle case subito voltato il cantone e ho visto che levata una mano dalla carta la fregava sopra la muraglia e anche dopo, a luogo a luogo, tirava con le mani dietro al muro e allora mi è venuto il pensiero che fosse uno di quelli che vanno in giro a ungere le case e ho visto che quello là toccava le muraglie pure dalla parte dritta dove abitano i Tradati e poi tornò indietro e voltò verso il Carrobbio. Croda — Lei è proprio sicura? Caterina — L’ho visto coi miei occhi e a un certo punto si è incontrato con un uomo che io non conosco e costui lo salutò e io poi ho domandato a quest’uomo chi era quel tale e lui mi rispose che era un commissario della sanità e allora io gli ho detto che avevo visto quello lì fare certi atti che non mi piacevano e subito si è sparsa la voce e sono uscita a vedere e c’erano le muraglie imbrattate di un certo unto che tirava al giallo e i Tradati dicevano di aver trovati imbrattati i muri anche nell’andito della porta che adesso stanno bruciando con la paglia. Croda — E si sa chi è questo commissario? Caterina — Dicono che sia un certo Piazza e che sia un poco di buono. Croda — E questo commissario si guardava in torno? Alzava gli occhi a vedere se nessuno lo guardava dalle finestre? Caterina — No. Niente. Tirava via dritto. Croda — E vi par possibile? Uno va in giro a ungere i muri di primo giorno perché tutti lo vedano? E poi se ne torna tranquillamente per la stessa strada? E che unto sarebbe? Se fosse tanto micidiale sarebbe morto lui per primo, no? Ma non vi vergognate a dir tante coglionerie? E magari c’è qualcuno che l’ha già denunciato, quel com missario. C’è da avere i brividi. Se quelli del Tri bunale ragionassero come voi! Lucherino (sempre beffardo) — Sì, sì, l ’hanno già messo dentro. Adesso lo stanno interrogando. (Secco e sinistro accordo di chitarra). (Sala del Tribunale. Al tavolo della Corte sono seduti il capitano di giustizia Bernardini, l’audi tore di sanità Viscardo, l’avvocato fiscale Malvezzi piti un notaio scrivano. Di fronte al tavolo della Corte c’è un vano entro cui si eseguono le eventuali torture. I giudici lo vedono. I l pubblico della sala, no. Entra Lucherino. La sua comparsa non viene avvertita dai giudici che restano immobili come statue). Lucherino (con tono distaccato e leggermente ironico) —• Osservate i tre eccellentissimi giudici che dovranno decidere il caso di Guglielmo Piazza, commissario della sanità. Il capitano di giustizia Ottavio Bernardini è il primo a sinistra. (Fa segno) Dicono che sia un uomo tutto d'un pezzo. Quello che siede in mezzo lo conoscete già. E’ l ’avvocato fiscale Vittore Malvezzi. Non si direbbe, dalla faccia, molto soddisfatto di trovarsi qua: vero? Un funzionario bene intenzionato. Pieno però di scrupoli e paure d’ogni genere. Comunque, vedre mo. Il terzo è il meno importante, almeno in appa renza: l’auditore di sanità Giovanni Battista Vi scardo. Un aspetto a modo, un volto mite. Sarà poi vero? Poi c’è il notaio che stenderà il verbale. In quanto all’imputato, per la verità non gode una buona fama. Ci sono, sul suo conto, rapporti poco edificanti. Non si sa bene come abbiano potuto prendere come commissario di sanità un tipo simile; ma, di questi tempi, come guardare per il sottile? Chi è disposto a girare per le case infette, fra i bubboni e i morti se non i santi? o i fur fanti? (Si ritira). Malvezzi — E da quando fai il commissario di sanità? Piazza —- Dal ventisei maggio. Malvezzi — Che lavoro fai? Piazza — Si sa, con le denunce degli anziani vado a far sequestrare gli infetti e condurli via, e far portar via i morti dai monatti sui carri. Malvezzi — Che zona hai? Piazza — Quest'ufficio lo faccio per la Porta Tici nese, insieme con due altri commissari. Malvezzi — E di’ un po’. Ieri mattina cos’hai fatto? Piazza — Ieri? Ieri mi sono alzato che erano già suonate le nove poi mi sono andato a prendere la nota degli ammalati cioè al Carrobbio, poi a San Michele la Chiusa, poi dietro al fosso fra il Molino delle Armi e il ponte di Porta Ticinese, poi in DINO BUZZATI Cittadella, poi in Viarenna, e poi sono tornato al Carrobbio dove ho incaricato l’apparitore che andasse a prendere i carri, e poi sono andato al Lazzaretto. Viscardo (fa un lungo sbadiglio, poi, come soprap pensiero, al Piazza) — Ieri mattina, con che vestito sei uscito di casa? Piazza — Col ferraiolo di panno cavellino perché pioveva. Viscardo — Non portavi un ferraiolo di saglia? Piazza — No, avevo quello di panno cavellino. Viscardo (accennando ai documenti che ha dinanzi) — Qui risulta invece che tu ieri avevi il ferraiolo di saglia. Malvezzi (approvando) — Già. Piazza — No, avevo quello di panno cavellino. Malvezzi — Forse ti sbagli. Prova a pensarci su. Se portavi il ferraiolo di saglia puoi dirlo libera mente. Piazza — No, avevo quello di panno cavellino. (Vi scardo fa un lungo sbadiglio). Malvezzi (dopo una breve pausa) — Be’, sei pas sato, ieri mattina, dalla contrada della Vetra dei Cittadini? Piazza — Una volta sola, era passato mezzogiorno e ci sono stato coi signori deputati della par rocchia. Viscardo — Una volta sola dopo mezzogiorno? Curioso. Qui risulta che ti hanno visto passare per la Vetra prima delle nove. Piazza — Nossignore, era passato mezzogiorno. Viscardo (consultando le carte) — Dimmi una cosa: mentre passavi per la Vetra sei stato salutato da qualcuno? Piazza — Non lo so. Malvezzi — Come non lo sai? Vuoi dire che non ti ricordi? Piazza — Sissignore, non mi ricordo. Viscardo — Curioso. Qui risulta invece che sei stato salutato da uno che ti conosce e che ti ha incontrato alla Vetra. E dice che erano circa le otto e mezza. Piazza — Non ricordo. (Malvezzi compulsa le carte. Viscardo si avvicina a Malvezzi e gli mor mora una cosa nell’orecchio). Malvezzi (fa un cenno di assenso; al Piazza) — Hai detto che alla Vetra ieri mattina ti sei incon trato coi deputati della parrocchia? Piazza — Sissignore. Malvezzi — Chi sono questi deputati? Piazza — Non lo so. Malvezzi — Come è possibile che tu non li conosca se tu li frequenti a motivo dell’ufficio? Piazza — Non ho detto che non li conosco. Ho detto che non so come si chiamano. Viscardo (a bassa voce) — Non è verosimile. I l Capitano di Giustizia — Come? Viscardo (più distintamente) — Non è verosimile. Piazza — Signorsì, i deputati della parrocchia li conosco di vista e so bene dove stanno, ma non so i loro nomi. Viscardo (con intenzione) — Non è verosimile. Malvezzi (dopo una pausa, lentamente) — Piazza, 10 sai che sono stati trovati alcuni imbrattamenti di muri nella città e specialmente a Porta Tici nese? Piazza — Non lo so. Io non mi fermo niente a Porta Ticinese. Malvezzi — Andiamo, prima non hai detto che abiti a Porta Ticinese nella parrocchia di... di...? (Fa un atto come per chiedere il nome al notaio). 11 Notaio (consultando le carte) — Di San Pietro in Camminadella, ha detto, al Torchio delPOglio. Malvezzi — Bravo. Dunque tu abiti a Porta Tici nese? Piazza — Sissignore. Malvezzi — E fai il commissario di sanità a Porta Ticinese? Piazza — Sissignore. Malvezzi — E facendo il commissario di sanità a Porta Ticinese, frequenti necessariamente per necessità del tuo ufficio Porta Ticinese? Piazza — Sissignore. Malvezzi — E come mai hai detto adesso che non ti fermi niente in Porta Ticinese? Piazza — Volevo dire che io vado per i miei affari e non mi fermo per qua e per là a fare chiacchiere. (Viscardo che da qualche poco dà segni di impa zienza, alza un dito per chiedere di interloquire). Malvezzi (fa segno di assenso) — Prego, caro Viscardo. Viscardo (al Piazza, con un sorriso mellifluo) — Tu hai detto, vero, che non ti fermi per qua e per là a fare chiacchiere. Piazza — Sissignore. Viscardo — Ma il signor fiscale non ti aveva chiesto questo. Ti ricordi cosa ti aveva chiesto il signor fiscale? Piazza — Sissignore. M’ha chiesto se sapevo di certi imbrattamenti. Viscardo — ...a Porta Ticinese, vero? Piazza — Sissignore. Viscardo — E tu hai risposto che non lo sai perché tu non ti fermi niente in Porta Ticinese. Piazza — Sissignore. Viscardo — E invece tu abiti a Porta Ticinese. E sei commissario di sanità a Porta Ticinese. Come dunque puoi dire che non ti fermi niente a Porta Ticinese? Piazza — Volevo dire che non mi fermo a fare chiacchiere. Viscardo — E’ inverosimile. Se tu abiti a Porta Ticinese e sei commissario di Porta Ticinese e pratichi Porta Ticinese non è verosimile che tu non sappia se ci sono novità, specialmente in materia di questi imbrattamenti di unto. Dopo tutto è ima cosa che appartiene al tuo ufficio. Piazza — Ma io sono sempre in giro a far con- LA COLONNA INFAME dur via i morti e gli ammalati e per questi trasporti sono quasi sempre fuori Porta Ticinese. Viscardo — Non è una scusa. Tanto più che sei costretto a praticare Porta Ticinese se non altro per venire a prendere i morti e gli ammalati. (Va a mormorare qualcosa all’orecchio del capitano). Piazza — Sissignore. Ma subito dopo vado per i fatti miei. I l Capitano di Giustizia (leggendo sulle sue carte) — Qui dal processo risulta che ieri mattina sono state unte le muraglie delle case in diversi luoghi di Porta Ticinese per la qual causa sono stati accesi fuochi per bruciare tali unti. Il che è cosa pubblica non solo a Porta Ticinese. Se ne parla per tutta Milano. Perciò tu, Piazza, di' un po’ il motivo per cui neghi una cosa tanto notoria. E non sta in piedi la scusa che tu non pratichi Porta Ticinese perché anzi a motivo del domicilio e a motivo dell’ufficio tu sei costretto a praticare Porta Ticinese più di ogni altra parte della città. Piazza — Non dico, signor capitano, che non pra tico Porta Ticinese. Dico soltanto che non l’ho saputo. Viscardo (interviene velocissimo) — Tu hai detto liberamente di non praticare Porta Ticinese. Vero, signor notaio? (Il notaio fa segno di assenso. A Piazza) Spiega dunque perché tu neghi una cosa tanto chiara e notoria. Piazza (come annaspando) — Sissignore, io pra tico Porta Ticinese ma di questi unti non so, non ho sentito dire niente. Viscardo — E sai almeno come si chiamano i deputati della tua parrocchia? Piazza — Nossignore. I deputati con cui sono andato ieri alla Vetra dei Cittadini li conosco sol tanto di vista. (Viscardo mormora qualcosa al l’orecchio del capitano). I l Capitano di Giustizia — Che tu non sappia i loro nomi è inverosimile. E perciò devi spiegarci il motivo perché dici di non saperli. Piazza — Il motivo è perché non lo so. (Viscardo fa un cenno al capitano). l i Capitano di Giustizia — Qui, caro il mio uomo, non andiamo niente d'accordo. Devi deciderti a dire la verità. Piazza — Che verità, signor capitano? I l Capitano di Giustizia — La verità che ci nascondi. Piazza — Che verità, signor capitano? I l Capitano di Giustizia — Perché neghi di sapere che sono state unte le muraglie? Perché neghi di sapere i nomi dei deputati della parrocchia? Ci sarà pure un motivo per cui tu menti. E tu devi dirci questo motivo. Viscardo — E perché dici che ieri mattina portavi il ferraiolo di panno cavellino se ti hanno visto col ferraiolo di saglia? E perché dici di essere stato alla Vetra dopo mezzodì se alla Vetra ti hanno visto prima delle nove? Ci sarà pure un motivo per cui tu menti. I l Capitano di Giustizia — E tu devi dirci questo motivo. Viscardo — In caso contrario... I l Capitano di Giustizia — In caso contrario, se tu non ti decidi a dire la verità e a spiegare tante cose inverosimili, ti dobbiamo mettere alla corda. Piazza — Signori, se volete farmi anche attaccare per il collo fatelo pure, che di queste cose che m'avete interrogato non so niente. (Il capitano di giustizia indeciso, guarda Viscardo. Viscardo fa un cenno di assenso. I l capitano di giustizia fa un cenno al Malvezzi. Malvezzi suona la campanella) Signori illustrissimi, la verità l’ho detta. (Due guardie compaiono e a un cenno del capitano di giustizia trascinano il Piazza nella stanza delle torture). I l Capitano di Giustizia (alle guardie) — La corda, sì. Malvezzi (titubante) — Ma... Viscardo — Qualcosa che non va? Malvezzi — Mi domando se è regolare. Come si fa? Si può applicare la tortura su delle circostanze secondarie e in fondo di minima importanza che possono anche non avere alcun rapporto col delitto...? Viscardo — Caro Malvezzi, voi mi insegnate che per espugnare una fortezza gli assedianti non en trano mai dalla porta principale. Ma attraverso passaggi laterali, cunicoli segreti, gallerie sotter ranee... E poi Milano è in allarme, Milano è in ebollizione, questi untori vanno presi e condannati, la folla già tumultua per le strade, parliamoci chiaro, se questo Piazza la fa franca, sarebbe per il signor presidente della sanità una cruda de lusione. Malvezzi — Bisognerà pur avere delle prove. Viscardo — Le prove, le prove! Non ha fatto che contraddirsi, questo Piazza sostiene cose così as surde. Già queste, per me, sono prove. Malvezzi — Vorrei vedere chiunque altro nei suoi panni. (Il capitano di giustizia rivolto alla stanza della tortura, fa segno di cominciare. Si ode un cigolio di legni ruotanti). Voce del Piazza — Ah! Oh! Viscardo (eccitato) — Piazza, vuoi parlare? (Altro più intenso cigolio). Voce del Piazza — Ah, per amor di Dio! Viscardo — Ti decidi a parlare? Vuoi dirla o no la verità? (Cigolio). Voce del Piazza — Ahoo! L’ho detta, signore. (Ci golio). Viscardo — Vuoi dirla o no la verità? I l Capitano di Giustizia — Parla. Su, parla! Voce del Piazza — Vossignoria mi faccia lasciar giù. Solo un momento. Mi faccia lasciar giù. Viscardo — Sputa fuori. Mascalzone! (Cigolio ac centuato). DINO BUZZATI Voce del Piazza — Ooohiii! Vossignoria mi faccia lasciar giù che dirò quello che so. Viscardo — Ti sei deciso a parlare? Voce del Piazza — Mi faccia dare un poco d’acqua! I l Capitano di Giustizia (facendo cenno') — Dài! (Cigolio). Voce del Piazza — Mi faccia lasciar giù che parlo. Viscardo — Ti sei deciso? Voce del Piazza — Sii, sii, sissignore. Parlerò. (Il capitano di giustizia guarda Viscardo. Viscardo fa segno affermativo. I l capitano di giustizia fa segno di sospendere). Malvezzi (con sollievo) — Meglio così. Viscardo — Perché, caro Malvezzi? Malvezzi — Non si doveva. Viscardo — Ma adesso parlerà. (Piazza entra, bar collando, le braccia doloranti penzoloni, sorretto dalle guardie). I l Capitano di Giustizia — Dunque? Piazza — Non so niente. Vossignoria, la prego, mi faccia dare un poco d’acqua. Viscardo — Parli o non parli? Piazza — Io non so niente. Viscardo — Parli o non parli? Piazza — Io non so niente. Vossignoria, mi faccia dare un poco d’acqua. Viscardo — No, no, no! Niente acqua! Prima la verità. Malvezzi — Su, parla, Piazza. E’ meglio che tu parli. Non c’è niente di male se tu dici che non sapevi di quegli imbrattamenti e invece tu sapevi. Piazza — Vossignoria, io non so niente. Malvezzi — Piazza, stanimi a sentire: se nascondi qualcosa è meglio tu lo dica; se sai qualcosa è meglio tu lo dica subito; qui c’è un decreto del Senato che ti riguarda. I l Capitano di Giustizia — Un decreto che ordina, se tu non dici la verità, di farti rasare, metterti gli abiti della curia, farti purgare, questo per sot toporti alla tortura grave con la legatura del canapo. Hai capito? Ti decidi dunque? Vuoi dirla questa benedetta verità? Piazza — La verità l ’ho detta, signor capitano. Vossignoria se vuole, può anche farmi appiccare subito io non so niente. I l Capitano di Giustizia (alle guardie) — Be’, voi, sistematelo questo qui. Rasato e purgato. Poi ap pena pronto si comincia. (Le guardie portano il Piazza nell’andito delle torture. Silenzio. I tre giudici restano assorti. Viscardo continua a pulirsi le mani con la pezzuola). Malvezzi (dopo una pausa) — Non potete. Viscardo (prontissimo) — Cosa? Malvezzi — Non possiamo. Viscardo (sorridendo) — Perché? Malvezzi — E' illegale. Se non ci sono indizi nuovi e più evidenti, non si può rinnovare la tortura. I l Capitano di Giustizia — C’è un decreto del Senato. Malvezzi — L’inverosimile, l ’inverosimile. E’ inve rosimile che questo Piazza non sapesse niente delle unzioni. Che ne sa lui dell’inverosimile? Lui nega tutto, negherebbe anche di esistere. Lui ha semplicemente paura di parlare. Lui capisce che se comincia a parlare, per lui è finita. Siamo sin ceri. Che cosa c’è di più inverosimile dell’accusa che gli viene fatta? Viscardo (ironico) — Dunque, il nostro caro Mal vezzi non crede negli untori? Malvezzi (preso in contropiede) — Be’, non dico. Viscardo — Il signor avvocato fiscale ritiene forse balorda la decisione del Senato? Malvezzi — I l Senato non sa. Viscardo — Il signor avvocato fiscale è dunque contrario all’opinione di Sua Maestà? Sua Mae stà è il primo ad essere convinto di questi com plotti diabolici. Malvezzi (ripiegando) — Non mi son mai per messo di discutere l’opinione di Sua Maestà. Viscardo — E allora? Non capisco, ehm, ehm, sinceramente non capisco tanti scrupoli. Malvezzi (a bassa voce) — Preferirei lavarmene le mani. Viscardo — Cosa? Malvezzi — Niente. I l Capitano di Giustizia — Dispute oziose. (Sorri dendo) Ci attende l’ingrato compito. Su, voi, sve glia manigoldi. (Fa alle guardie un cenno con la mano indicando di alzare. Lungo cigolio). Voce del Piazza — Oh Dio mio! Cosa volete da me? I l Capitano di Giustizia — La verità. Voce del Piazza — La verità l’ho detta! Ah che assassinamento è questo. I l Capitano di Giustizia — Aspettiamo la verità. (Fa segno di insistere. Cigolio e colpo). Voce del Piazza — Ah, ah, ah. Signor capitano fatemi almeno appiccar presto. Fatemi tagliar via la mano! Viscardo — Parla, malnato, invece di piagnucolare. Voce del Piazza — Ah, signor fiscale, per I’amor di Dio, fatemi dar da bere. Viscardo — Solo se parla. Voce del Piazza — Non so niente, la verità l ’ho detta. Viscardo — Vuoi rispondere? (Lungo lamento di Piazza) Vuoi rispondere? Voce del Piazza (fiocamente) — Non so niente, la verità l’ho detta. I l Capitano di Giustizia (con volto disgustato fa segno di calare il Piazza e di portarlo via) — Ri portatelo dentro. (Ai due altri giudici) E’ duro, eh? Ho gran paura che questo qui non si domi. Viscardo (con sorriso sinistro) — Si domerà. (Si lenzio). Lucherino (si affaccia) — Non ce l ’hanno fatta, no. Un tipo stagno, il commissario Piazza. Il brac- LA COLONNA INFAME ciò destro storpiato, la mano destra scavezzata. A posto, come prima, quel braccio non torna più, garantito, ma la pelle almeno è salva. Se l’è cavata, sì... Se l’è cavata? Mah. Questi tre valentuomini devono rassegnarsi? Il Viscardo, poi, auditore di Sanità. Così attivo, sollecito del bene pubblico! Ve lo immaginate a far rapporto? « Signor Presi dente della Sanità, il Piazza commissario, sotto posto a duplice tortura, e la seconda con la lega tura del canapo, non ha parlato. Era rasato, pur gato, vestito con gli abiti curiali, conforme alla legge ». (Sbeffando) La grande scienza! Quando li hanno tosati e data una potente purga, i crimi nali parleranno. Nei capelli, si sa, o nelle budella nascondono i filtri, le polveri, le stregonerie del Diavolo che fan resistere ai tormenti. Questo di cono i sapienti, eh eh... Eppure il Piazza niente. Non ha parlato. Ha tenuto duro. Lui ne sa niente, dice, non ha sentito niente. E sì che il boia l ’ha torchiato a regola d'arte. Ma lui niente. E il pre sidente della Sanità : « Ma non lo hanno visto ungere i muri? Due donne non hanno fatto testi monianza giurata di averlo visto fregare le mani sopra i muri? ». « Sissignore ». « E su quei muri poi non è stato forse trovato l'unto? ». « Sissignore. L'unto c’era. E lo hanno subito bruciato con la paglia. Ma l'accusato nega, dice di non sapere niente. Anche sotto gli spasimi ha detto di non sa pere niente ». « E adesso? » chiede il presidente della Sanità. Adesso, in mancanza di prove, non resta che lasciar libero quel Piazza commissario. Ve lo immaginate? Io no. Li conosco questi valen tuomini. Non lo molleranno l ’osso, così facile. Che diavoleria combineranno non lo so. Ma è possibile che debbano rassegnarsi? E quelli, intanto, strepi tano in piazza. Gli untori! Gli untori! Alla ruota gli untori! Il governatore è inquieto, il vicario di prov visione è inquieto, l’eccellentissimo Senato è in quieto, i decurioni sono inquieti, il presidente della Sanità è inquieto. E volete che i valentuomini del tribunale se ne stiano con le mani in mano? (Si è fatto progressivamente buio, restando illuminato solo Lucherino alla ribalta. Poi sul fondo una luce batte sul Piazza, che giace stremato sul giaciglio della prigione. Rumore di passi, di chiavi, di ser ratura che cigola. Lucherino si ritira). Viscardo (emerge dal buio tenendo una lanterna e avanza con circospezione verso il Piazza) — Tu, Piazza. Piazza (in un lamento) — Che c’è? Viscardo — Sono venuto di nascosto. Piazza (con sforzo si alza a sedere e tenta di met tersi in piedi) — Oh, illustrissimo signor auditore. Viscardo — Resta pure seduto. Piazza — Non c’è che una panca. Se si degna di accomodarsi. Viscardo — Due parole soltanto. Sono venuto di nascosto. Gli altri non sanno. Devo parlarti. Piazza — Ai suoi ordini. Viscardo — Sono qui per salvarti. Piazza — Salvare me? Viscardo — Salvare te. Io ho capito tutto. Piazza — Che cosa? Viscardo — Che tu non hai colpa. Che tu non sapevi. Che t’hanno dato quell’unto da spalmare, ma che tu non sapevi cosa fosse. Piazza — Io non so niente. Giuro. Viscardo — Sì, tu non sapevi niente. Tu sei caduto in un inganno. Ma è tanto chiaro. Saresti andato in pieno giorno ad ungere le case se avessi saputo che era un unto pestifero? Piazza — Io non so niente. Viscardo — Io ho capito che tu non hai nessuna colpa. Ma gli altri no. Gli altri ti credono colpevole. Piazza — La verità, l’ho detta. Viscardo — Però gli altri non ci credono. Hanno deciso per domani un’altra tortura. Col doppio canapo, stavolta. Piazza — Iddio Santo m’aiuti. Viscardo — Ti aiuterà. Solo che anche tu t'aiuti. Piazza — Io disgraziato! Viscardo — Quelli ti rovineranno, li conosco. Quel li ti storpieranno per sempre. E anche se continue rai a negare non servirà a niente. Quelli sono convinti che tu sei colpevole. Avrai un bel negare, tu. Quelli ti condanneranno a morte. Piazza — Misericordia! Io non ho fallato! Viscardo — Lo so. Tu sei un onest'uomo. Un poco ingenuo, questo sì. Onest’uomo. Eppure ti condanneranno a morte. Piazza — Dio, Dio santissimo. Viscardo — Puoi ancora salvarti. Piazza — Salvarmi come? Viscardo — Se parli, avrai l’impunità. Se parli, ti terremo ancora qualche giorno qui, per non dare nell’occhio. Poi ti lasceremo libero. Piazza — Io, la verità l’ho detta. Viscardo — Sì, sì, lo so. Ma non Io capisci che se non parli sei perduto? Piazza — Parlare cosa? Viscardo — Chi ti ha dato l'unto. Semplicemente, tutto qui. Poteva capitare a chiunque, tu non sapevi. Piazza — Io di unti non so niente. Viscardo — Lo sai che morte ti aspetta? Sul carro, ti strapperanno le carni con le tenaglie roventi. Ti taglieranno una mano, ti romperanno le ossa a furia di bastonate, una per una. Così conciato ti intrecceranno nella ruota come un nastro. Ti lasceranno lì per sei ore, lo capisci? Sei ore di tormenti atroci, al sole, senza un goccio d’acqua. Solo dopo sei ore ti scanneranno. Piazza — Gesù Santo, pietà. Io non ho fallato. Viscardo — E se invece parli, sarai libero. Piazza — Vossignoria ha l ’autorità? Viscardo — C'è una grida del governatore. Chi DINO BUZZATI metterà in chiaro le persone che hanno commesso, favorito, aiutato cotal delitto, anche se sarà dei complici, gli è promessa anco l’impunità della pena. Piazza (torcendosi le mani) — Cosa devo dire? Viscardo — Chi t’ha dato l'unto? Piazza — Non so, non so niente. Viscardo — Sono venuto per salvarti, e tu... Piazza — Non so niente, lo giuro sui Santissimi Sacramenti. Viscardo — Chi ti ha dato quell'unto? Piazza — Uuh, che cosa posso mai dire? Viscardo — Avrai anche un premio. Piazza — Io non so. Viscardo (cambiando tono) — Basta. Ho fatto il possibile. Mi facevi pietà. Pazienza. Qualsiasi cosa accada, te la sei voluta tu. Io vado. Piazza — Un momento, signor auditore. Viscardo (che sta allontanandosi, si volta) — Cosa c’è? Piazza (balbettando) — Quell’unto... Viscardo — Quell’unto... Piazza — Me lo ha dato un barbiere. Viscardo (con demoniaco trionfo) — Parli? ti sei deciso a parlare? Piazza — E quando potrò andare libero? Viscardo — Oh, al più presto, figliolo mio, al più presto! {Interno della bottega di Gian Giacomo Mora barbiere. Mora sta radendo Don Rodrigo. I l figliolo Paolo sta armeggiando ad un fornelletto. Sulla porta, immobili in pose da Callot, due bravi). Don Rodrigo (con impazienza al Mora che lo sta radendo) — Vuoi spiegarmi? Mora — Sì, aspetti un momento, signor conte. C’è mio figlio, ha delle orecchie! Don Rodrigo — Spediscilo di là. Mora {al figliolo) — Paolo, è pronta l ’acqua? Paolo {flaccido) — Subito. Mora — Spicciati, dai! Don Rodrigo (a un moto del rasoio) — Attento! Mora — Manco toccato! Don Rodrigo — Senti, tu. Lo conoscevi? Mora — Chi, signor conte? Don Rodrigo — Quel Piazza. E’ di queste parti, no? Mora — Lo conoscevo? Lo conoscevo di buon dì, buon anno. Chi lo avrebbe immaginato? Don Rodrigo {ironico) — Perché? E’ un brav’uomo? Mora — Io, per me, mi pare impossibile. Gli unti. Ma chi vuole, signor conte, che abbia il gusto di seminar la peste? A che scopo? Che cosa gliene viene? Don Rodrigo — Agli untori non ci credi, tu, a quanto pare. Mora — A me, sembra impossibile. Don Rodrigo — Eh no, caro mio. A questo mondo bisogna avere un po’ di fiducia nella ribalderia del prossimo. Se no, dove si andrebbe a finire? Sta’ attento qui {fa segno a sotto il mento) ho la pelle delicata. Mora — Io la sto pitturando, signor conte. Don Rodrigo {svagato) — Gli unti. Il gusto di far male. Magari son porcherie qualsiasi, inoffensive. Ma è un po' come le streghe. C’è chi si immagina d’essere il demonio. Quegli untori, poi, quando incominciano, non ne possono far senza. Sono gente fatturata. Come un vizio. Per loro, andare in giro ungendo, è un piacere sovrumano, che non c’è niente di più bello. Quasi quasi ci prenderei gusto anch’io... Mora — Sa, signor conte, io sono un povero igno rante, certe cose non le capisco proprio. Don Rodrigo {impaziente) — Ancora qui il ragazzo? Mora — Paolo. Pronta l’acqua? Paolo — Eccola, papà. {Porta lentamente una baci nella fumante). Mora — E adesso va’ di là. Va’ a aiutare la vecchia. E’ dietro a fare il bucato. {Paolo esce svogliato). Don Rodrigo {sbottando) — Be’ si può sapere cosa mi hai combinato? {In questo istante scompare la bottega di barbiere e per mezzo di una velatura compare [a destra, o a sinistra o di là della parete di centro a volontà del regista] una stanza adibita a lavatoio con pile di biancheria, secchie, indumenti appesi, scope e arnesi del genere. In un’altra tinozza di legno la Martina, nuda, sta facendo il bagno e canta, inter rompendosi nei momenti in cui si sciacqua). Martina — No ti me dire che mi vuoi bene che non l’è vera io son 'na gatta per te ci vuole un fiore. Un fior profumato colore del sogno vestita di seta e di sol che la che la che la ti stuferà. Io son 'na gatta con nove code con sette artigli io son 'na gatta però so far l’amore. Paolo {si affaccia sorridendo a una lunetta chiusa da inferriata) — Martina! Martina {si china cercando di nascondersi e vol tando le spalle) — No, no va’ via! Paolo — Martina, come sei bella. Martina — Va’ via ti dico. Paolo — Lasciami entrare. Devo dirti una cosa. Martina — Dilla. Paolo — Di qua non posso. Martina — Me la dirai dopo. Paolo — Devo darti una cosa. LA COLONNA INFAME Martina — Me la darai dopo. Paolo — Un momento solo. Martina — No. Paolo — Un momentino. Martina — No. Paolo — E’ una cosa importante. Martina — Non mi fido. Tu poi, quando ti ho fatto entrare. Almeno aspetta che mi asciugo e che mi vesto. Paolo — Ti prego, Martina! Martina — Ti lascio entrare ma a un patto. Paolo — Cosa? Martina — Che ti bendi gli occhi. Paolo — Con cosa? Martina — Con qualcosa, un fazzoletto, uno strac cio. (Paolo scompare dalla lunetta e bussa alla porta) Sei bendato? Paolo — Giuro. Martina — Aspetta. (Coprendosi con grande asciu gamano esce dalla tinozza e va ad aprire la porta). Paolo (bendato, entra con le mani tese, come cer cando nel buio, mentre lei si ritrae) — Dove sei? almeno un bacetto. Martina — Allora sta' fermo. Tira giù le mani. Paolo (si irrigidisce) — Sono una statua. Aspetto. Martina (gli porge da baciare un gomito) — Indo vina cos’è. Paolo (che non capisce) — E’... è... il tuo nasino. (Martina scoppia in una risata. Paolo con un balzo l'abbranca alla vita). Martina — No! No! (Cerca di divincolarsi con sem pre minore convinzione, finché risponde all’ab braccio) Paolo, Paoluccio mio. (Gli toglie la benda e ride). Paolo (un po' goffo) — Dio, come sono contento. Non vedo l’ora di... Bisogna che mi decida. Biso gna parlarne a mio papà! Martina (improvvisamente seria) — Ti dirà di no. Paolo — Perché? Martina — Perché sei troppo giovane. E poi tuo papà non mi vuol bene. Paolo — Perché? Martina — Da quando è morta la mia mamma e sono venuta a vivere qui da voi... Paolo — Ti ha detto qualche cosa? Martina — Niente. Però tuo papà non mi vuol bene. Tuo papà non mi piace. Mi guarda sempre in un certo modo. Tuo papà non lascerà mai che tu mi sposi. Paolo (in un accesso di gioia spensierata) — Ma io ti porterò via. Ce n'andremo. Fuggiremo. Nessuno saprà dove. Io il mestiere ce l’ho. Vero, Martina bella? Mabtina (commossa) — Sì, sì. (La visione dello stanzino dilegua e ricompare la bottega del Mora, come prima). Don Rodrigo (riprendendo il discorso) — Be' si può sapere che cosa mi hai combinato? Mora — Perché, signor conte? Don Rodrigo — Non è venuta. Mora — Mi dispiace. Don Rodrigo — La tua bella nipotina non si è degnata. Mora — Mi dispiace molto. Don Rodrigo — L'ho aspettata tutto il pomeriggio, la sgualdrinella. Come un cretino. Mora — Lo so, lo so. Una ragazza senza cervello. Don Rodrigo — Ma tu t: eri impegnato, no? Mora — Che vuole, signor conte, con quella testo lina matta conviene usar pazienza. Don Rodrigo (imbestialito) — Ah sì? A che gioco giochiamo? Cambi le carte in tavola? Sei tu che me l’hai promessa, ricordati. Sei tu che me l’hai fatta vedere. « Uno zuccherino - dicevi - uno zucche rino, voglio proprio che lei provi, mia nipote ». Mora — Non nego, signor conte, ma... Don Rodrigo — E che ruffiano, sei, dunque? Credi che verrei a farmi la barba in questa latrina se non fosse per... E sta’ attento, perdio! Mora — Non è niente, signor conte. Neanche una goccia di sangue. Don Rodrigo — Lo vuoi capire o no che quella sgazzolina mi piace? L’aspetto oggi in palazzo. Mora (asciugandogli la faccia) — Come si fa? Come si fa? Don Rodrigo — Arrangiati. Mora — Vede, signor conte, con la Martina io ho fatto tutto il possibile. Don Rodrigo — Lo vedo! Mora — Ma lei fa la difficile. Si è spaventata. Pensi. Ha appena sedici anni. Don Rodrigo — Facciamo diciotto. Mora — Sedici, lo giuro. Persuaderla non è facile. Don Rodrigo — Le hai fatto capire chi sono? Che occasione sarebbe per lei? Mora — Figurarsi. Ma le ragazze d’oggi non le capisco. Si montano subito la testa. Pensare: un signore come lei che la coprirebbe d’oro. Don Rodrigo — Be’, adesso non esageriamo. Mora — Faccio così per dire. Un gran signore come lei, qualsiasi donna si sentirebbe onorata. Ma quella squinzia no! Fa la preziosa. Ha paura di far peccato. Don Rodrigo (alzandosi e rimettendo spada, giacca, cappello) — Far peccato con un gentiluomo come me? Che idea! (Grande risata. Mora ride esageratamente. Don Rodrigo duro) Oggi non ti dò un soldo. Così impari. E adesso ascolta bene : cinquanta scudi per te, ci sono, ricordati. Mora — Sempre generoso, il signor conte. Don Rodrigo — Ma cinquanta bastonate sul tuo groppone, ricordati, se questo pomeriggio la put tanella non viene da me. I miei ragazzi hanno le mani svelte. Mora — Le giuro, signor conte, farò di tutto. Don Rodrigo — Scegli tu. O cinquanta, o cinquanta. (Esce ridacchiando seguito dai due bravi). DINO SUZZATI Mora (spaventato) — Signor conte, senta una cosa, signor conte... (Si guarda smarrito intorno) Paolo, Paolo!... Voce di Paolo (/. s.) — Cosa c’è? Mora — Vieni qui subito! Paolo (entra svogliato) — Cosa vuoi? Mora (bilioso) — Tu, lumaca, adesso fai un salto e vai a chiamarmi la Martina. Ma che venga qui immediatamente. Paolo — Perché? Cosa succede? Mora — Niente succede. La Martina mi aveva pro messo un lavoretto e non l'ha fatto. Un lavoretto da niente. E adesso per me sono guai. Quella lazzarona, quell’idiota, tutto il santo giorno davanti allo specchio. Ah se stavolta me la paga. Paolo — Che lavoretto? Mora — Niente. Tu corri a cercarla. (Non visti dal Mora che gli volge le spalle, compaiono sulla soglia, tetri, controluce, l’auditore della Sanità Viscardo e due sgherri. Al figlio) Be' ti muovi? Ti decidi? Che hai? Ti ha preso una paralisi? Paolo (impietrito dallo spavento) — Papà... Mora — Cosa c’è adesso? Paolo — Papà... (Fa segno ai tre immobili sulla soglia). Mora (si volta e fa un grande inchino) — Quale onore, eccellenza. Viscardo (al Mora mentre gli sbirri gli legano i polsi) — Niente onore! Sai perché siamo venuti? Mora — Mah, eccellenza, mi faccia pensare... (Come illuminato da una idea, al figlio) Vuoi vedere che è per quel vasettino di unto che avevo preparato per il Piazza! Viscardo — Che vasettino? Mora — Il mio elettuario, il rimedio contro il con tagio. L’altro giorno quel commissario Piazza pas sava di qua e m’ha pregato di fargliene un poco. Viscardo — Un elettuario? Mora (andando a prendere un vasetto) — Eccolo qua. Lo avevo apparecchiato per darlo al commis sario ma non è venuto. Poi ho sentito dire che l’hanno mandato in prigione. Ma io, grazie a Dio, non ho fallato. Vossignoria guardi pure dapper tutto, io non ho fallato, Vossignoria può spara gnare di farmi tener legato. Viscardo (agli sbirri) — Guardate bene tutto, mi raccomando, e voglio un completo inventario. Mora — Posso sapere da Vossignoria perché mi fa arrestare? Viscardo — Tu non lo immagini? Mora — Nossignore, non so. Per quell’elettuario non può essere, l’ho fatto solo a fin di bene e per la salute dei poveri. No, non può essere per l’elettuario. Vossignoria mi vuol dire? Viscardo — Lo saprai fra poco. Mora — Mi fa portare via? Viscardo — Lo saprai fra poco. Paolo (anche lui coi polsi legati, si getta singhioz zando verso il padre) — Papà! Papà! (Mentre gli sbirri con Viscardo portano via il Mora e il figlio, entra Lucherino che canta, riprendendo l’aria della ballata precedente di Attilio Como). Lucherino — Questa storia maledetta non vorrei cantare mai ne ha già avuti troppi di guai la nostra povera Milan. Attilio Como si è salvato ma il demonio è testa dura pieno di rabbia prende la vettura si fa portare in Tribunal. In Tribunale i magistrati hanno un'anima anche loro senza bisogno di diamanti e d’oro il demonio la comprerà... PARTE SECONDA (Tinello in casa dell’auditore di Sanità Viscardo. Ambiente signorile. Mentre una fantesca sta prepa rando la tavola per il pranzo, Viscardo, in primo piano, si trattiene col fisico Perlasca, tipo caratte ristico di studioso pedante. Sono seduti). Viscardo (che si mostra sempre preoccupato di non lasciarsi avvicinare troppo dalle altre persone) — E allora, si può sapere che cos’è quest'unto? Perlasca — Adagio. Una cosa alla volta, amico mio. Queste cose vanno fatte con cautela. Ne può di pendere la vita di parecchie persone. Viscardo — Certo. La massima cautela. Perlasca — Perché io ci tengo a chiarire bene in precedenza le cose. Viscardo (un'ombra di impazienza) — D’accordo. Perlasca — Dunque... (Si concentra, lunga pausa) Dunque io ho avuto l’incarico di esaminare il contenuto di un secchio trovato sotto la vasca nello sgabuzzino retrostante alla bottega del bar biere Gian Giacomo Mora, in contrada Vetra dei Cittadini. Dico bene o dico male? Viscardo — Esatto. Perlasca — Tale secchio, e se incorro in inesattezze ti prego di correggermi, tale secchio è stato recu perato da te, auditore fiscale con l’intervento di due guardie armate addì sei giugno milleseicentotrenta e depositato con gli usati modi presso la cancelleria dell’eccellentissimo tribunale di Sanità il quale tribunale della Sanità ha successivamente commesso a me, fisico Perlasca Eugenio, di esa minarne il contenuto conforme alla scienza. Dico bene? Viscardo (impaziente) — Esatto. Perlasca (sempre pedantescamente, ma rapidissi mo) — Tale esame, commessomi, aveva lo scopo di rispondere possibilmente ai seguenti quesiti: primo, se la sostanza in causa era semplicemente ranno, o smoglio, per fare il bucato, come il Gian Giacomo Mora sosteneva; secondo, se in tale ma teria eravi qualche elemento che dal ranno si dif ferenziasse; terzo, in che cosa consistesse tale elemento eventuale; quarto, se tale elemento LA COLONNA INFAME avesse qualità venefiche; quinto, se tale elemento potesse procurare la morte; sesto, se tale elemento potesse procurare la peste. Dico bene? Viscardo — Esatto. E allora? Perlasca — Dunque... {Pausa. Estrae di tasca un libretto e lo consulta) Mi è lecito affermare di avere riscontrato, sul fondo del secchio, una certa quantità di materia grassa, unta, appiccicaticcia, dall’odore nauseabondo che non si ritrova nel con sueto ranno, o smoglio. Quindi la prima domanda trova risposta negativa che non trattavasi di solo ranno e alla seconda domanda conviene risposta positiva che sì, eravi nel secchio un elemento che dal ranno si differenziava. Viscardo — Unto pestifero? Perlasca — Adagio. Alla terza domanda spetta risposta evasiva non essendo stato possibile deter minare con certezza quale natura avesse la detta materia dall’aspetto e dalle caratteristiche, diremo così, inconsueti. Viscardo — Questo c’era da aspettarselo. Perlasca — In quanto alle congetturate qualità venefiche, sono state eseguite delle prove nel l’ordine e con i risultati seguenti: una mosca co mune, immersa in detta sostanza, nel giro di pochi minuti è morta. Viscardo {favorevolmente impressionato) — Ah! Perlasca — Un ratto, chiuso in trappola, spalmato con detta sostanza, ha dato segni di malessere, ed è rimasto immobile come se avesse perso le forze. Viscardo — E’ morto? Perlasca — Ancora no. Poi la sostanza è stata spalmata sulla testa di una gallina che ha subito dato segni di agitazione e insofferenza. Viscardo — E’ morta? Perlasca — No. Ma incoraggiati dalla prova si sono fatti ingurgitare alla medesima gallina quattro pallottole di detta sostanza e il mattino dopo... Viscardo — Era morta? Perlasca — E’ stata appunto trovata morta. Viscardo — Diavolo! Perlasca — Si è pure spalmata detta sostanza su di un gatto che ha pure dato segni di agitazione ma sfortunatamente ci è poi sfuggito né finora l’abbiamo ritrovato. Viscardo — A quest’ora forse è morto. Perlasca — Forse. Se ne deve concludere che alla quarta domanda, con le riserve del caso, si deve dare risposta positiva che sì, in determinate circo stanze, se ingerita, tale sostanza ha qualità vene fiche. Pure alla quinta spetta risposta positiva con le riserve del caso: che sì tale sostanza può pro curare la morte. Viscardo — E’ importante. Perlasca — Non si può invece evadere il sesto e ultimo quesito se il detto elemento possa procurare la peste. Viscardo — Ma mi sembra che nel complesso, una prova sia stata raggiunta... Perlasca — Con le riserve del caso, per la tran quillità della coscienza. Giacché escludere non pos siamo che tale elemento sia il frutto di circostanze casuali quali il deposito dei residui lasciati da panni e indumenti immondi nel corso di prece denti liscive né va negata l’eventualità che pure lo smoglio usuale, fatto ingerire a una gallina in considerevole dose ne possa provocare la morte. Viscardo — Una prova c’è, comunque. Perlasca — Non spetta a me, che sono un fisico, stabilire i requisiti per la consistenza legale di una prova. Viscardo — E l ’hai già steso il rapporto? Perlasca {alzandosi) — L’avrete domattina. Viscardo — Inutile dirlo, quanto più chiaro e sin tetico. Puoi tralasciare le considerazioni secondarie per esempio sull’ipotesi che anche il ranno usuale... Perlasca {con un sorriso ambiguo) — Ho capito, ho capito, voi avete bisogno di una prova... Viscardo {come scusandosi) — Dato che è stata raggiunta. Perlasca — Ho capito, ho capito. Tuttavia il mio responso di studioso non può discostarsi... Viscardo — Andiamo, andiamo, caro Perlasca, in tempi così gravi i doveri che ci impone l’interesse della cosa pubblica soverchiano ogni nostra consi derazione personale. Nulla va trascurato nel com battere questa diabolica congiura. Caro Perlasca, hai fatto un buon lavoro. Perlasca — Grazie. Ma ora è tardi. A casa mi aspettano. Viscardo (senza alzarsi) — Buonasera, Perlasca. Perlasca {fa per dare la mano a Viscardo ma Viscardo non fa una piega; perciò si ritrae imba razzato) — Buonasera, Viscardo. Viscardo — Buonasera! (Mentre Perlasca esce) Ad aprirti dabbasso c’è il Giuseppe. Elena (entrando) — Se ne è andato finalmente? Io lo trovo un tale noioso... Cosa voleva? Viscardo — Pratiche d’ufficio. {Entra la fantesca con la zuppa). Elena — Il processo del Piazza? Viscardo {sedendosi a tavola) — Anche. Elena {si siede anche lei) — Che orrore. Viscardo — Puoi dirlo. Elena — Quelle torture. Dicono che gli urli di quel disgraziato si sentivano fin sulla strada. Viscardo {servendosi la zuppa) — Dicono dicono quante cose dicono. {Controlla le posate). Elena — Che c’è? Viscardo — Questo cucchiaio. C'è un’ombra. Non è pulito bene. Elena — Prendi questo. {Gli porge un cucchiaio togliendolo dal terzo posto finora libero). Viscardo (cominciando ad alterarsi) — La Teresa dov'è? Possibile che dobbiamo sempre aspettarla? Elena {imbarazzata) — Vedi, Giovanni, la Teresa stasera a tavola non viene. Viscardo — Perché? DINO BUZZATI Elena — Non si sente tanto bene. Viscardo — Cos’ha? Elena — Un po’ di mal di testa. Viscardo — Per un po' di mal di testa! Ha dodici anni ormai. Valla a chiamare. Elena — Non si sente bene, ti dico. Viscardo — Bel sistema di educare i figli. Elena — E’ ancora una bambina. Viscardo {duro) — Valla a chiamare. Elena — Ha un po' di febbre. Viscardo (con un principio di sospetto) — Febbre? Elena — Poco fa scottava. Viscardo — Costipata? Elena — Non so, non credo. Viscardo — Chiamiamo un medico, allora. Chia miamo il Livraghi. Elena — Perché non ci dai un’occhiata tu? Viscardo (quasi impaurito) — Io, no, io no. Chia miamo il Livraghi. Elena — Aspettiamo. Lo sai, questi dottori... fanno di tutto un caso... di questi tempi meno medici girano per casa... Viscardo (lasciando a metà la zuppa, alla fantesca) — Porta via, porta di là. Elena — Non ti piace? Era la tua passione una volta la zuppa di piselli. Viscardo (guarda uscire la fantesca, poi con ap prensione) — Cos’ha la Teresa? Dimmi. Cos’ha? Elena — Niente! Sarà un po’ di infiammazione. Sai, a quell’età! Viscardo — Infiammazione? Elena — Dico per dire. Viscardo — Infiammazione dove? Elena — Ma niente. Un piccolo ascesso, credo. Viscardo (si alza di tavola) — Ascesso? Dove? Elena — Dice che aveva un foruncolino. Poi deve essersi grattata. Viscardo — Dove? Elena — All’inguine. Ti prego, prova a darci tu un'occhiata. Viscardo — Tu pensi che...? Elena — Sei pazzo. Viscardo — Comincia quasi sempre all’inguine. Elena — No no. Sei pazzo. Viscardo — Vado a chiamare il Livraghi. Elena — Ti supplico. Viscardo — Allora è vero! Elena — E' tua figlia! Non capisci che se viene il Livraghi la fa portare al lazzaretto? Viscardo — Vorresti tenerla in casa? Elena — E’ tua figlia! Viscardo — Ricordati della carica che ho. E’ estre mamente doloroso, lo so. Ma è il mio dovere. Elena — La tua maledetta paura. Estremamente doloroso!... estremamente doloroso! Non hai vi scere? Viscardo (strofinandosi con un tovagliolo le mani) — Sottrarmi alla legge proprio io Viscardo audi tore della Sanità. Elena — Ma sì! Corri a chiamare i monatti! Fam mi portare via anche me sul carro! Oramai sarò infettata anch'io! Fa’ portare via anche me! Viscardo — Povera Teresa, figlia mia! Elena — Ipocrita! Viscardo — Ti capisco, Elena. E’ terribile. Ma non dobbiamo perdere la testa. Elena (decisa) —■ No. Non farai in tempo. No. La Teresa la porterò via io. I monatti non la tro veranno. So io dove nasconderla. (Esce d’impeto dal tinello). Viscardo — Povera Teresa, figlia mia! (Si lascia cadere sulla sedia stringendosi la testa fra le mani. Si fa buio. Entra Lucherino, afferra a una spalla il Viscardo ancora seduto, riscuotendolo. Viscardo si rivolta, impaurito) Chi sei? Che vuoi? Via le mani da me! Lucherino (ridendo) — Che paura. Guardale, le mie mani. Sono bianche e pulite. Pulitissime. Guar dale e annusale. (Gliele passa sotto il naso) Niente unto. (Ridacchia) Pulitissime. Più ancora delle tue, che tu ti netti da mattina a sera. Viscardo — Chi sei? Come sei entrato? Lucherino — Non hai mai sentito nominare Lu cherino? Viscardo — No. Lucherino (sempre beffardo) — Sono uno che va e che viene quando meno ce se l’aspetta, vero? Giovane. Svelto. Leggero. Attraverso i muri da parte a parte, neanche se fossero di carta. (Ride bonario) Il meglio fiore di Milano. Viscardo (con repulsione) — Un demonio? Lucherino — Magari. Sarei almeno potente e mi rispetterebbe la gente importante e seria come te. Viscardo — Che vuoi? Lucherino — Dunque vuoi sapere perché sono venuto? Vo’ portarti a visitare i laboratori dove complottano gli untori. Viscardo — Tu li conosci? Lucherino — Tutto conosco di Milano i palazzi le strade le coscienze le fogne i conventi i postriboli i misteri le lacrime le chiese le gioie le vergogne le bettole le alcove i cimiteri quello ch’è marcio e quello ch’è sano. Viscardo — E’ lontano? Lucherino — No, no, due minuti di cammino. Viscardo — E se poi resto infettato? Lucherino — Dagli untori? Da quegli sciagurati? Messer Viscardo dunque la tua testa ragiona così male? Se davvero i loro unguenti portassero la peste LA COLONNA INFAME sarebbero già morti tutti quanti. Sono degli invasati. Viscardo — Fandonie! Lucherino — Su vieni altrimenti si fa tardi vedrai che strane cerimonie messer Viscardo, dopo tutto è il tuo dovere. (Si avvia). Viscardo — Aspetta. (Si alza e lo segue). (Piccola chiesa in completo abbandono. Un qua dro di Santo, squarciato. Appoggiato a un lato dell’altare un crocifisso a testa in giù. Issato sul l’altare un sinistro simulacro diabolico: la testa è un bucranio sogghignante con lunghe corna, barba rossiccia e paludamenti vescovili. Qua e là assi, mobili sgangherati, botticelle, bottiglie, recipienti vari. Luce di ceri sghembi disposti qua e là. Di nanzi all'altare una specie di cattedra dove siede il capo degli untori, con manto rosso e maschera a becco bianchissima. Sulla cattedra, una fila di vasetti col coperchio. Disposti sui banchi, come scolari, cinque untori novizi■ C’è una zitella, un manovale, un nobile, un chierico, una giovane e procace donna in abito scandaloso). I l Capo Untore (a mo' di litania) — Pauperati hodie et demissi cras enim nostra hora veniet. G li Untori (in coro) — Nostra hora veniet nostra hora veniet. I l Capo Untore — Domine nostrus Lucifer. G li Untori — Interface prò nobis. I l Capo Untore — Balaoc niger. G li Untori — Interface prò nobis. I l Capo Untore — Maghenna veneficus. G li Untori — Interface prò nobis. I l Capo Untore — Catus fons mali. G li Untori — Interfice prò nobis. I l Capo Untore — Sachem incubus noctis. G li Untori — Interfice prò nobis. I l Capo Untore — Pestifer Iblis. G li Untori — Interfice prò nobis. I l Capo Untore — Ones tenebrarum spiriti. G li Untori — Interficite prò nobis. I l Capo Untore (salmodiando) — Et in aeterna Dei suspicione adversus humanum genus adversus omnes sanctos in saecula saeculorum. T u tti — Amen! (Entrano non visti Lucherino e Viscardo). Lucherino — Li vedi? Untori : di quelli veri! Un bottino superbo per i vostri boia se... Viscardo — Se cosa? Lucherino — Se tu li potessi ritrovare. Ma ritro varli non saprai. Viscardo — Oh se li ritroverò. Farò passare casa per casa, chiesa per chiesa. Lucherino — Ritrovarli non saprai. Viscardo — Sulla ruota tutti e sei. Lucherino — Tu no? Viscardo — lo? Lucherino — Non sei un untore pure tu, a modo tuo? (Ride) Non dà febbre e bubboni la peste che tu semini. Ma forse è peggio. Viscardo — Buffone. Lucherino — Buffone, certo. Se no la verità come la potrei dire? Ma ascolta adesso, messer Viscardo. Viscardo — Cos’hai lì sotto il braccio? Lucherino — Niente. Dopo vedrai. Uno scherzo. Uno scherzettino. Ma ascolta adesso, messer Vi scardo. I l Capo Untore (paterno, solenne ed ecclesiastico) — In nome dell'innominabile signore dell’abisso, padrone nostro, benvenuti, cari figlioli chiamati alla Causa. Grande e meritevole orgoglio è quello di aspirare al sacerdozio del male. I l cuore di ciascuno di voi certo sbigottisce al pensiero dol cissimo delle gioie che vi aspettano, tanto più intense, quanto più perverse, tanto più inebrianti quanto più minacciate dai pericoli. Ma vostro usbergo sarà la intrepidezza dell’animo. E’ vero: grazie a un elettuario che vi darò, sarete preser vati dalla peste. Per cui potrete maneggiare l'unto senza timore. Tuttavia agguerrito e potente è il nemico che insidierà il vostro cammino. Spesso sarete tentati dalla paura. E le seduzioni imbelli del rimorso cercheranno di trattenere la vostra mano. Exultatio in malo! Vi vedo già, tutti e cinque, cari figlioli, adoperarvi con sollecitudine per la rovina di questa nostra odiata città, esem plari funzionari della morte. Prima tuttavia di concedervi l’investitura e consegnarvi l’unguento fatale che farà dei vostri nemici cancrena, è mio dovere ascoltare da ciascuno di voi il motivo della vostra determinazione. Tu, laggiù in fondo, gio vanotto, vuoi parlare per primo? Untore Manovale — Mi voeri copai tuti. Lavoravo dal Casiraghi quello degli stallazzi dormire sulla paglia una zuppa che pareva gesso un pane che sapeva di piscio lui teneva una quantità di cani un giorno uno mi ha sgagnato qui e mi gh'ho dà ona pesciada allora lui giù una frustata in piena faccia. Dovevo star citto? Cosicché un anno di prigione. E adesso li voglio vedere tutti quei maledetti Casiraghi crepare con la pancia in giù in un mucchio. I l Capo Untore — Mi sembri ben disposto, figliolo. Penso che farai grandi cose. E tu, bella figliola? La Giovane Donna — Tutte le notti tutte le notti viene il mio tesoro, il diavolo si chiama Rok, gli angeli cosidetti fanno schifo al paragone. DINO BUZZATI E tutte le notti fino all’alba baci abbracci tante belle cosine poi lui se ne va con un fischio. Ah se sapessero tutte quelle cretine che delizia l’amore col diavolo, i giovanotti al [confronto è come succhiare un martello. Che pelle liscia [e calda, che muscoli, che bocca. Ma stamattina prima di lasciarmi, io ero là sul letto sfinita, [lui mi dice: Marietta, mi dice, non andresti in giro a dare [un po' di unto a questi cari milanesi? Mi faresti un regalo. E in premio mi ha promesso certe cose! I l Capo Untore — Tu sei quindi già dei nostri, carina. Da te avremo soddisfazioni. E tu, bel signore? I l Nobile — Con queste mani che vedete, e non toglierò neanche gli anelli, mia bella dose di peste spalmerò sul portone del conte Amerigo Boneschi, che ha intrigato dal governatore per farmi togliere l’incarico delle gabelle, e un altro po’ sul portone di mio cugino don Ascanio Visconti, che mi ha scorticato al gioco barando, e poi ungerò il pa lazzo di quel bellimbusto del Bertani che mi ha soffiato il mio amore, e poi e poi... ne ho trentadue in lista. Voglio vederli precipitar giù con la faccia nella polvere, morti secchi, di colpo, al cospetto dei loro stemmi. I l Capo Untore — Non c’è male. Ma sarà bene, signore mio, che tu estenda il lavoro anche al di fuori dell’ambito degli amici. E tu, gentile donzella? La Zitella — Sterminarle tutte, quelle col marito, quelle coi figli, quelle col moroso, quelle belle, quelle simpatiche, quelle graziose anche se sono bambine, tutte quelle che hanno fatto o faranno l’amore. Soltanto io senza. Soltanto io in tutta Milano. Perché? Si può sapere il perché? Sono forse così brutta? Tutte morte distese sui carri che le portano via, con la faccia gonfia e ribut tante che nessuno le bacerà più, finalmente. I l Capo Untore — Hai un profittevole impulso, damigella. Sarai una delle più attive forze operanti. Mi compiaccio. E tu, infine, che indossi l’abito a noi più sgradito? Ma te ti conosco! Scusami di non averti subito riconosciuto. Ah, con te non oc corrono spiegazioni. Ti aspettavamo. Non potevi mancare. Bravo! (Pausa) E adesso prima di con segnare gli strumenti, ci gioverà intonare la nostra diletta canzone. (Si chiarisce la voce). Sit sit sit animus animus animus animus nostrus fortis in largitionibus mortis... sint sint sint manus manus manus manus nostrae incestae in multiplicanda peste est est est... Lucherino (interviene) — Ehi, voi! (Avanza con una spaventosa maschera cadaverica coi segni della peste) — Ehi, voi! I l Capo Untore (con terrore) — Misericordia. La peste! (Fugge) Via! Via tutti! (Gli untori friggono, in tumulto, con voci di spavento. Lucherino si to glie la maschera e scoppia in una selvaggia risata. Musica di intermezzo). (Aula del tribunale. Seduti: il capitano Bernar dini, Viscardo, Malvezzi e il notaio. In piedi Gian Giacomo Mora). I l Capitano di Giustizia (tono burocratico) — Gian Giacomo Mora, ti sei deciso o no a dir meglio la verità di quello che hai fatto finora? Mora — Signore illustrissimo io non so niente. Signore illustrissimo perché mi ha fatto mettere questo vestito che pare mi voglia far dare tormenti? I l Capitano di Giustizia — Non è per la tortura. Ma la camicia che avevi dava nausea tanto era puzzolente. Intendiamoci però. A farti dare la tor tura siamo sempre in tempo, se non dici la verità. Mora — Vossignoria illustrissima, la verità l’ho detta. Viscardo (attaccando) — Gian Giacomo Mora, vuoi dirmi la causa perché quando ti è stato chiesto se il Piazza frequentava casa tua, non contento di rispondere una volta di no hai risposto : signor no, signor no, signor no? Mora — Perché non è la verità. Viscardo — Per negare, basta dire di no una volta. Cosa significa quell’insistere signor no signor no signor no? Significa la smania di negare, la paura di non essere creduto. E perché? Lo sai il perché? Perché sapevi che non era vero. Mora — Vossignoria illustrissima, io la verità l’ho detta. Viscardo — E allora vuoi dire il perché quando ti è stato chiesto se avevi sentito dire che qualcuno avesse ricercato il commissario Piazza a untare le muraglie della Vetra dei Cittadini, tu, non con tento di rispondere di no, hai risposto: signor no, mai, mai, mai. Mora —■ Signore illustrissimo, perché mai avevo sentito dire questo. Viscardo —■E invece se hai negato con tanta esa gerazione di aver sentito dire vuol dire invece che tu hai sentito dire. Mora — Signor no, non ho mai sentito dire. Viscardo —• Allora dimmi. Non sei stato tu, alle volte, che hai ricercato il commissario Piazza a ungere le muraglie della Vetra? Mora —■Signor no, di no, in eterno. Fare io queste cose? Viscardo — E allora come spieghi che questo com missario Piazza dice che tu gli hai dato un va setto di vetro con dentro l’unto perché ungesse le muraglie della Vetra e gli hai promesso che se ungeva bene gli avresti dato un sacco di denari? LA COLONNA INFAME Mora — Oh Dio misericordia, non si troverà mai questo. Viscardo — Ma che cosa dirai quando poi da que sto commissario Piazza ti sarà questa verità soste nuta in faccia? Mora — Guardami Dio. Sostenermi questo in fac cia? Dirò che è un infame e che non può dir que sto perché non gli ho mai dato dell’unto, e guar dami Dio. I l Capitano di Giustizia — Però adesso, Gian Gia como Mora, devi deciderti a dire la verità su tutte le cose che ti abbiamo interrogato perché la verità non l’hai detta e se non ti decidi a dirla, per sapere questa benedetta verità saremo costretti a farti dare i tormenti. Mora —■Signore illustrissimo, torno a dire che la verità io l’ho già detta e ho tanta fede nella Ver gine Santissima che mi aiuterà perché non ho fal lato, non ho fallato, non ho fallato. I l Capitano di Giustizia — E allora, visto che con le buone da te non si ottiene niente, allora che si cominci... Mora — Ah Dio misericordia, non si troverà che 10 ho fallato. (Viene trascinato dagli sbirri nell’an dito dei supplizi). Viscardo (ironico al Malvezzi) — Oggi tace, il no stro caro fiscale. Malvezzi — Questo qui parlerà. Questo qui non resiste alla tortura. Viscardo — Meglio, no, se parlerà? Malvezzi — Gli caveremo fuori tutte le bestialità che vorremo. La verità! La verità! Povera verità! 11 Capitano di Giustizia — Non è il momento, Malvezzi. Malvezzi (chinando il capo) — E’ giusto. I l Capitano di Giustizia (facendo cenno di comin ciare) — Voi... una tirata. Viscardo —■Vuoi risolverti, Gian Giacomo Mora, a dir la verità? (Cigolio). La Voce di Mora — Ah Vergine Santissima, io non so niente. I l Capitano di Giustizia (con voce strascicata, fa cendo cenno) — Un poco più forte. Viscardo — Vuoi risolverti a rispondere la verità? (Cigolio). La Voce di Mora (disperata) — Non so niente. Che martìri sono questi che si danno ad un cristiano? Non so niente. I l Capitano di Giustizia — Voi. Una tirata! La Voce di Mora — Ohi ohi, lasciatemi giù che dico la verità. I l Capitano di Giustizia — Comincia a dirla. Tu comincia, e ti faremo lasciar giù. La Voce di Mora — Lasciatemi giù. Fatemi slegare per pietà. Sicuramente vi darò gusto vi darò gusto vi darò gusto. I l Capitano di Giustizia (agli sbirri) — Voi. Slegate. Viscardo — E allora? I l Capitano di Giustizia — Ti abbiamo fatto lasciar giù. Parla adesso. La Voce di Mora — Vossignoria illustrissima, io non ho fatto niente. I l Capitano di Giustizia — Hai promesso che parlavi. La Voce di Mora — Vossignoria illustrissima, io la verità l’ho detta, io non ho fatto niente. I l Capitano di Giustizia (flemmatico agli sbirri) — Voi. Tiratelo su. (Cigolio). La Voce di Mora —■Uh uh uh. Vergine santissima non so niente. (Cigolio) Uh Signore, se sapessi che cosa dire! I l Capitano di Giustizia (agli sbirri) — Voi. Un pochino più forte. La Voce di Mora — Gesù Maria, sia sempre in mia compagnia, son morto, son morto, son morto. Malvezzi (non potendone più) — E parla! Parla! La Voce di Mora — Uh uh uh. Fatemi slegare un pochettino che dico la verità. I l Capitano di Giustizia — Comincia a dirla. La Voce di Mora — Fatemi slegare un pochettino che comincio. I l Capitano di Giustizia (agli sbirri) — Voi, una tiratina. La Voce di Mora — Ohimemè, che son morto. Ah, signore, fatemi slegare che vi darò gusto. I l Capitano di Giustizia (nasale, flemmatico, caden zato) — Eh no, basta con questi giochetti. Prima tu parla e poi, quando tu avrai parlato, ti faremo slegare. (Agli sbirri) Voi, una tiratina. La Voce di Mora — Ooooooh! Vedete quello che volete che dica e lo dirò subito lo dirò subito lo dirò. Viscardo —■Ma noi vogliamo che tu dica la verità. La Voce di Mora — Ooooh! Sì sì sì ho dato al com missario un vasetto pieno di brutto perché ontasse le muraglie! Viscardo — Glielo hai dato tu? La Voce di Mora — Sì signore sì signore. Viscardo —■ E poi? Parla parla. E che unto era? La Voce di Mora (sempre più frenetico e rapido) — Era sterco umano, smoiazzo, oh signore fatemi metter giù, era smoiazzo e di quella materia che esce dalla bocca dei morti che sono... che sono sopra dei carri, oh signore illustrissimo, fatemi sle gare un poco, fatemi slegare, e me la diede il commissario Piazza e lui mi dice di fare di questa composizione perché lui avrebbe lavorato assai perché si sarebbero ammalate delle persone assai e tu mi dice guadagnerai sempre di più col tuo elettuario oh Vergine santissima slegatemi almeno un poco. Viscardo — E poi? E poi? La Voce di Mora (che ora si va affievolendo) — E allora io l'ho messo sulla caldaia che è là in casa mia. Poteva tenere una libbra di roba oh al meno un pochettino... Viscardo — E quando te l’ha data? La Voce di Mora —• Saranno dieci giorni perché ci siamo incontrati in corso di porta Ticinese miseri cordia di Dio mi hanno storpiato per sempre e lui mi dice così vorrei che si facesse qualcosa per poter lavorare tutti due, e io gli domando... Viscardo — E poi? E poi? DINO BUZZATI I l Capitano di Giustizia (sempre flemmatico) — Ha parlato, se Dio vuole. Lucherino (avanza alla ribalta) — Evviva! Sono riusciti a aprire la porta deH’inferno. (Si guarda intorno) Una bocca ha parlato anche le altre parleranno non si fermeranno più. E’ bastata una carrucola è bastato tirare una corda, su e giù, su e giù, su e giù. Per fare questo hanno studiato sui grossi libri scritti in latino hanno fatto i capelli grigi hanno avuto lauree ed onori sono chiamati eccellentissimi per fare questo: appendere un uomo e torcergli le ossa finché avrà raccontato quello che loro desiderano. Ci sono riusciti finalmente gli eccellentissimi non potevano essere che loro con la loro grande sapienza. Che bella cosa l’autorità che può fare questi miracoli e ha sempre la coscienza a posto perché chiama a testimone Dio e la sera rincasa soddisfatta della propria bravura. Così si coricano la sera eccellentissime eccellenze al calduccio, leggendo testi edificanti di religione tre Pater tre Ave tre Gloria poi il sonno del giusto. Che bella cosa la giustizia che grande cosa l’autorità con la coscienza sempre a posto e per testimonio Dio. (Una sala del palazzo del tribunale. Viscardo sta parlando con don Rodrigo mentre in disparte ma gistrati compulsano incartamenti, uscieri portano pacchi di documenti, un paio di sbirri ciondola vicino alla porta). Don Rodrigo (pressante) — No, ti dico. Non è per me. Io non c’entro. Te l’ho già detto. E’ la cugina di uno dei miei ragazzi. Viscardo — Tu però la conosci. Don Rodrigo — Conosci conosci... l’avrò vista qual che volta là dal barbiere... Viscardo — Tu andavi da quel lurido barbiere? Don Rodrigo — Qualche volta... era comodo... è vicino al mio palazzo... E allora?... me la fai met tere fuori? Viscardo — Ti fai vivo sì e no una volta all’anno e quando vieni capiti in una giornata come questa... Non puoi tornar domani per esempio? Don Rodrigo — Ma è presto fatto. Non ti faccio perder tempo. Basta una riga su un biglietto. E la tua firma. Viscardo — La fai facile, tu. Non sono io che comando. Don Rodrigo — Figurati. E’ in mano a te questo processo. Viscardo — Non è vero... Torna domani, ti dico... Non ho la testa oggi... Don Rodrigo — Sii gentile. Non ti ho mai chiesto niente. Devi convenire che della tua autorità io non ho mai voluto approfittare. Oggi è la prima volta. Ti prego, fammela metter fuori, non ti sarà per caso saltato in mente che a metter gli unti possa essere stata lei... Viscardo — Ancora non sappiamo... suo zio bar biere potrebbe anche... Don Rodrigo — Ma se è una bambina... Viscardo — Ti piace tanto? Don Rodrigo — Vero che è bella? Viscardo — Non Tho mai vista, io. Don Rodrigo — Cugino mio, fa’ questo piccolo sforzo! Viscardo (dopo aver fissato don Rodrigo con aria perplessa) — Senti... Don Rodrigo (sperando che l’altro acconsenta) — Cosa? Viscardo (scuotendo lentamente il capo) — Dico: non la finirai mai di fare questa tua vita balorda? Sei un uomo fatto, ormai. Hai più di trent’anni. Possibile che tu non pensi ad altro che a correr dietro alle gonnelle? Don Rodrigo — Ti ripeto. Questa volta io non c’entro. Non è per... Viscardo (interrompendolo) — E a quello che ti può capitare tu non pensi? Don Rodrigo — Capitare che cosa? Viscardo — Dico. Non sai che per Milano gira la peste? Ma per te la peste non esiste, vero? Ascolta. Tu, che hai niente da fare... va’ in campagna. Ne hai, di ville, no? Don Rodrigo — In campagna mi annoio. (Beffardo) Le contadine hanno un così cattivo odore. Viscardo — Va' in campagna. Anche tu potresti... Don Rodrigo (con un gesto di stizza) — E taci... Non fare il menagramo. Perché dovrebbe capitare proprio a me? (Entra il capitano Bernardini). I l Capitano di Giustizia (accorgendosi che è in stretta conversazione con don Rodrigo) — Oh scusami... Viscardo (al capitano) — Vengo, vengo subito. (A Don Rodrigo) Perdonami, ho da fare... Se credi toma domani, dopodomani, ma non credo sia una cosa facile. Don Rodrigo (trattenendolo per una manica, sup plichevole) — Due righe su un foglietto! Viscardo (liberandosi e accostandosi al capitano saluta il cugino) — Ciao, Rodrigo, a presto... (Don Rodrigo resta qualche istante indeciso se insistere ancora, poi se ne va a gran passi, la faccia nera. E sulla porta va quasi a sbattere contro Malvezzi che sta entrando. Viscardo, con indifferenza) Sta mattina a chi tocca? LA COLONNA INFAME I l Capitano di Giustizia (che si è messo a guar dare dalla finestra) — I l figlio del Migliavacca, foresaro, e poi se non mi sbaglio c’è anche una ragazza, la nipote del Mora. Malvezzi (a Viscardo, facendo con la testa cenno alla porta donde don Rodrigo è uscito) — Cosa voleva? Viscardo — Lo conosci? Malvezzi — Chi non lo conosce? Se non altro di fama, no? Viscardo — Non è mica poi quel demonio che si dice. Basta saperlo prendere. Malvezzi — Cosa voleva? Viscardo — Mah... non ho capito bene... Stamat tina a chi tocca? I l Capitano di Giustizia (voltandosi finalmente) — Ti ho detto. Il figlio del foresaro e la ragazza nipote del Mora. Malvezzi (sospettoso) — La ragazza? Viscardo — ¿’abbiamo già vista, no? Quando è stato arrestato il Mora con i suoi. Era insieme. I l Capitano di Giustizia — Mica male la ragazzina. Viscardo (con un sottile sorriso, sfogliando i docu menti) — Visdomini Martina, anni diciassette, di fu Antonio e di Mora Margherita. Malvezzi — Fu Mora Margherita. La madre è mor ta di peste. Viscardo (anche lui sospettoso, a Malvezzi) — Sei bene informato! Malvezzi — Ho letto il rapporto del bargello. I l Capitano di Giustizia (sempre flemmatico) — Parlerà la ragazzina? Viscardo — Immagino che con questa qui i mani goldi non avran bisogno di stringer tanto. Malvezzi — Stringere tanto perché? Viscardo — Perché parli. Malvezzi (allarmato) — Non penserai mica dì met tere alla tortura anche lei? Cosa vuoi che c’entri quella disgraziata? Viscardo — I l Mora ha fatto il suo nome. Dice che lei lo aiutava a preparare l’unto. Malvezzi — Si sa benissimo perché l ’ha accusata, quella canaglia. I l Capitano di Giustizia (che ha ripreso a guardar fuori dalla finestra) — Perché? Malvezzi — Perché il Mora voleva che lei si met tesse a far la vita per guadagnarci sopra. E lei non voleva. Litigavano sempre. I l Capitano di Giustizia — Interessante. Malvezzi — C’è abituato il Mora a questi traffici (sfogliando i documenti) ecco qui per esempio, de posizione di Lattanzi Francesco, fornaio... si parla di una rissa fra il Mora e un certo Lampugnano perché il Lampugnano manteneva una putta assai bella e lui Mora la voleva negoziare carnalmente. I l Capitano di Giustizia — E la bella Martina non ci stava? Malvezzi — A quanto pare. Viscardo — E il Mora l’avrebbe denunciata per questo? Malvezzi — Un assassinamento sarebbe. Viscardo — Cosa? Malvezzi — Metterla alla tortura. Viscardo — Ti interessa la ragazzina! {Un risolino) Non ti dò torto. (Clamore dalla piazza. Con vago allarme) Che succede? I l Capitano di Giustizia {che guarda dalla fine stra) — C’è folla. Donne. Urlano. Viscardo — Cosa vogliono? {Si alza e va a vedere anche lui). I l Capitano di Giustizia — Gli untori, gli untori alla ruota! La consueta sete di sangue. Viscardo — Quasi tutte donne. I l Capitano di Giustizia —- Già. Viscardo — Darci per esempio quella là. I l Capitano di Giustizia — Cosa? Viscardo — Per farle felici. Darci la nipote del Mora. Da sbranare. I l Capitano di Giustizia {lentamente) — Gliela daremo. Malvezzi {cominciando un discorso) — Voi... voi... Viscardo — Sei un po’ stanco Malvezzi. Dovresti riposarti un poco. {Improvvisamente duro) La giu stizia è crudele. Soprattutto con chi l’amministra. Credi tu che io mi diverta? Malvezzi {senza rispondere) — Comunque... A que sto nuovo assassinamento io non assisterò... {Si alza mentre fuori si ridesta il vocio della folla) 10 me ne vado... Mi farò sostituire. 11 Capitano di Giustizia {senza voltarsi) — Perché? Malvezzi — Ne ho abbastanza di questo sporco affare. I l Capitano di Giustizia — Diavolo! Malvezzi — Un commissario di Sanità va sui carri a raccogliere la bava che esce dalla bocca dei morti. E la porta a un barbiere che conosce ap pena perché gliela accomodi in un vaso. Mancano forse ammalati, mentre muoiono ottocento citta dini al giorno? Che bisogno c'è di far ammalare altra gente? A che scopo? E come mai l'unto pesti fero fa ammalare gli altri ma loro due no? E per ché il Mora incarica il Piazza di spargere l ’unto? E perché gli promette di dargli una quantità di soldi? Perché? Per vendere di più il suo specifico contro la peste. Magnifico! Ci può essere un cu mulo più assurdo di castronerie? Chi ci può cre dere? Voi ci credete? Voi ci credete? Viscardo — Sarebbero dei gentiluomini, secondo te, il Piazza e il Mora? Malvezzi — Saranno dei furfanti anche. Questo, che significa? Di tutta la storia degli unti è chiaro che non sanno una parola. Gliela abbiamo cavata fuori noi. Con i trucchi e coi tormenti. Non c’è ombra di verità. Viscardo {facendogli il verso) — E gli untori na turalmente non esistono. Tutta fantasia di Sua Maestà. L’unto trovato sui muri non esiste. Sono venuti a metterlo gli angeli del cielo. Malvezzi — Esisteranno gli untori se vuoi, ma non sono i nostri di sicuro. Lo so che esistono. Degli invasati, dei maniaci, che si mettono in mente di essere strumenti del demonio. Come le streghe. E sono convinti di spargere la peste. Ma i loro unti... DINO BUZZATI I l Capitano di Giustizia {sempre pacato) — Direi che basta. Malvezzi (dopo aver guardato gli altri due) — Dio abbia pietà di voi. {Esce). I l Capitano di Giustizia (guardando dalla finestra mentre la folla rumoreggia) — Guarda quella me gera là, è la più furiosa di tutte. (Continuando sullo stesso tono impassibile) La ragazzina... non c’è bisogno di tortura se si vuole che la ragazzina confessi... non c’è bisogno di tormenti... La scena è divisa in due comparti, che si illumi neranno alternativamente. Da una parte lo studio dell’auditore di Sanità Viseardo: scrivania, poltro na, scaffali con libri, un quadro di soggetto sacro, un divano, una lampada accesa, una pendola che fa tic tac. Dall’altra parte un angolo del lazzaretto : su una coltre di paglia vari appestati, serventi e « ministri » che passano, monatti che portano ma lati o sgomberano salme, frati. Da un angolo in pe nombra viene un fitto mormorio di preghiere, incomprensibile, un tono litaniante. STUDIO DI VISCARDO {Viseardo allo scrittoio sta scrivendo. Ogni tanto si guarda nervosamente alle spalle. Bussano alla porta). Viscardo — Avanti. Uno Sbirro {si affaccia con una lanterna in mano) — E’ qui. Viscardo — Falla entrare. Martina {vestita di nero, pallida, spaurita, malcon cia, viene spinta avanti rudemente dallo sbirro. A voce spenta) — Che la Vergine Santissima mi protegga. Viscardo {allo sbirro) — Adesso va’, tu. {Lo sbirro esce. Silenzio. I due si guardano. Poi Viscardo si alza e si fa incontro alla ragazza tendendo le mani) Non avere paura Martina. Vieni. Che cosa ti hanno fatto? Sei spaventata? Ma qui non devi aver paura, non devi assolutamente aver paura. Vieni. {La con duce al divano) Siediti qui tranquilla. {Cava di tasca un fazzoletto stirato coi pizzi e le asciuga gli occhi). Martina {stupefatta) — Oh signore. Viscardo — Qui c’è uno che ti vuol bene, Martina, uno che vuol tirarti fuori da questi posti. {Le pren de le mani) A queste tenere manine che cosa ti hanno fatto? Ti dolgono, creatura, ti dolgono an cora? Martina {fa vedere la mano sinistra) — Questa qui. Non riesco più a muovere i diti. Viscardo — Fortuna che li ho fatti smettere subito, se no... Martina — Grazie, signore. Viscardo — E il braccio? te l’avevano legato, vero? Te l’han rimesso a posto? Martina — Sì, ma mi fa tanto male. Viscardo — Fammi vedere, figliola. {Cerca di sco prirle la spalla). Martina — Perché? Viscardo — Sono medico. {Le scopre la spalla, pal pa qua e là) Qui ti fa male? Martina — Un poco. Viscardo — E qui? Martina — Ohiii! Viscardo {d'improvviso la stringe a sé e si mette a baciare la spalla nuda). Martina {cercando di liberarsi) — Signore, lei non deve scherzare con una povera ragazza disgraziata come me. Viscardo — Se tu sapessi! {La bacia sulla bocca). LAZZARETTO {In primo piano sono, distesi a breve distanza l'uno dall’altro, don Rodrigo, ormai morente e uno dei suoi bravi, Rosario, che invece è sulla via della guarigione. Entrano due monatti trasportando un appestato ormai più di là che di qua). Un Monatto — Voi qui, fate largo, c’è un caro amico che vi viene a trovare. Rosario (protestando) —• Porco diavolo, proprio qui dovete portarlo? Siamo già in troppi qui, non si respira. Un Monatto — Vorresti per caso anche i profumi? (/ due gettano il malato sulla paglia, mentre gli altri appestati si scostano un poco, più che altro per ribrezzo. I monatti si allontanano). Rosario — Signor padrone, signor padrone! Don Rodrigo {ormai quasi privo di conoscenza, con un lamento) — Eh? Rosario {toccandosi qua e là) — Ma sì, ma sì, non mi dolgono più, Don Rodrigo — Eeeh? Rosario — Qui, i gonfi, i bubboni, non dolgono più. Si asciugano, si seccano... Sono guarito! {Cerca di alzarsi, felice, ma le forze gli mancano) Uei, signor padrone. {Don Rodrigo gira gli occhi a guar darlo ma non emette che un rantolo) Stai crepando eh signor padrone? Bel gusto essere signori... La peste Tè una grande giustizia, il servo guarisce e il padrone tira le cuoia. STUDIO DI VISCARDO Martina {cercando di respingere Viscardo che la tiene abbracciata) — Signore, lei non deve fare così. Viscardo — Perché mi chiami signore? Non devi chiamarmi signore. Io sarò Giovanni per te. Martina — Signore, mi vuole aiutare sul serio? Viscardo — E perché ti avrei fatto venire qui da me? Bambina mia, non devi più aver paura. Martina — Grazie, signore. Viscardo — Anche se le cose non sono così sem plici. Martina — Ma io non ho fatto niente, le giuro. Io di quegli unti... Viscardo — Lo so, lo so. E so anche perché tuo zio ti ha denunciato. Voleva che tu facessi quel me stiere, vero? Ti voleva vendere ai signori, povera la mia piccola. Martina — Lei signore come l’ha saputo? Viscardo — Si sa tutto, qui dentro. Martina — E allora? Mi lasceranno andare? Viscardo {simulando grave preoccupazione, si passa LA COLONNA INFAME una mano sul volto) — Tu sapessi com’è difficile. Quegli altri due ci credono. Martina — Chi? Viscardo — Il capitano di giustizia e l ’altro, il nuovo fiscale. (Riprende ad accarezzarla) Domani vogliono metterti ancora alla tortura. Martina — Dio mio! I l Frate — Il tuo padrone? Rosario {facendo segno) — Eccolo là. Un conte, un signorone... E io invece son guarito... penso pro prio, reverendo padre, che il Signore abbia ascol tato le mie preghiere... {Fa finta di mettersi a piangere) Oh povero padrone mio, col bene che ti volevo! LAZZARETTO Rosario — ... guardalo là (scuote il corpo di don Ro drigo con la punta di un piede)... che strano si gnor conte Rodrigo Cortez dei Libarra, bel nome eh?... hai dei gonfi uguali ai miei, proprio nessuna differenza... Non ci pensavi, vero, quando mi hai fatto portar via da quei malnati da forca?... Signori e poveretti, tu pensavi che ci fossero due pesti diverse?... e invece... chi dà gli verrà dato, chi prende viene il giorno che rende... E sei rimasto impestato anche tu... E adesso crepi... mentre il Rosario che il signor conte prendeva così volen tieri a calci nel sedere, il Rosario è un tipo più stagno di te e resta a godersi la vita... eh, eh, i palazzi, i cavalli, le carrozze, i piatti d'argento, il vino francese, eh, eh... le belle donnette... ti piacciono ancora le belle donnette?... Non credo che ce ne siano molte ad aspettarti giù nella fossa dove fra poco... STUDIO DI VISCARDO Martina — Mi sembra così strano che... che... Viscardo — Strano che cosa? Parla. Coraggio. Martina — Che un signore importante come lei si prenda a cuore una povera ragazza ignorante. Viscardo — Tu sei bella, Martina. Non lo sai che sei bella? Sei un fiore, tu. Martina {scuotendo il capo) — Lei dice, signore... Ma poi... Viscardo {interrompendola e baciandola sulla boc ca) — No, no, devi darmi del tu. Chiamami Gio vanni. Martina {sorridendo, timida) — Giovanni. Viscardo — Oh, brava. Così voglio vederti! Sorri dente. Martina {scuotendo il capo) — Non so. Mi pare fino impossibile... Viscardo {tenendola fra le braccia e accarezzandole il volto) — E allora mi prometti? Martina — Che cosa? Viscardo — Di fare quello che ti dirò io. Martina {lo guarda rasserenata, con un fiducioso sorriso e a sua volta gli accarezza il volto) — Sì, Giovanni. Viscardo {toccandole per vezzo, con un dito, la punta del naso) — Eh, questo bel nasino imper tinente! {Si fa buio). STUDIO DI VISCARDO Viscardo (stringendo la Martina a sé) — E tu non potrai resistere. Ti faranno dire tutto quello che vogliono, li conosco. A quei tormenti non resistono neanche gli uomini di ferro... E tu... tu... con i tuoi piccoli ossicini... ti metteranno nuda sai, ti leghe ranno, ti storceranno tutta, ti ridurranno deforme, ti rovineranno. Martina — Non hanno cuore? Cosa ho fatto di male? Viscardo (riprendendosi) — No, no. Bisogna sal varti a tutti i costi. Assolutamente. E tu devi fidarti di me. Devi fare quello che ti dirò io. Martina — Fare che cosa? Viscardo — Se confessi spontaneamente, avrai l’im punità. Martina — Confessare cosa se non ho fatto niente? Viscardo — Te lo insegnerò io, amore. Qualche cosetta per tenerli buoni. Martina — E dopo? Viscardo — Dopo, niente. Dopo, ti terremo qui ancora qualche giorno, tanto per non dare nel l’occhio. E poi ci ritroveremo fuori. Libera, come un passerotto. {La bacia) E io sarò vicino a te. LAZZARETTO Rosario — Signor padrone, signor padrone. {Lo tocca con un piede e lo scuote. Don Rodrigo non reagisce, non si lamenta più) ... Ciusca, questo qui l ’è bello e sistemato per l ’inferno... {Chiamando) Padre, padre! {Un frate si avvicina in atteggiamento interrogativo. Rosario improvvisamente mellifluo e untuoso) Che disgrazia, reverendo padre, che disgrazia... il mio padrone Tè morto, un così bravo signore se sapesse... {Entra Lucherino con la chitarra, più amaro e beffardo che mai). Lucherino — Giustizia, signori, è stata fatta. Addì 2 agosto 1630 una magnifica giornata neppure troppo calda insomma si stava bene. E il suono delle campane, s’intende. Un carro per ciascuno e per ciascuno un frate che gli dava da baciare il Cristo mentre il boia gli arrostiva le carni con la tenaglia arroventata una bella consolazione. E il popolo intorno che esultava e i signori che guardavano dalla finestra e il sole che illuminava Milano con tutti gli onori. Una simile giornata di festa! Anche la Martina? Anche la bella Martina? Ma certo. Non aveva forse confessato? E dunque? Anzi, la Martina è stata la più grande gioia per le brave donne di Milano. Tutte intorno erano al suo carro e quando lei strillava come ridevano di gusto. DINO BUZZATI Impazzite quando il boia ha cominciato con il mazzapicchio a spaccarle le ossa Dài, dài, più forte, urlavano! La bella ragazzina! Ridotta a un budello sanguinolento braccia e gambe nude infilate tra i raggi della ruota e quegli occhi sbarrati e il rantolo che non finiva mai si son messe a ballare intorno le brave donne di Milano che grande cosa la giustizia! Perché? Perché? Qualcuno non approva l’operato deH'eccellentissimo Senato di Milano? Tutti rei confessi, con splendide confessioni che si vorrebbe di più? E poi il popolo doveva avere la sua soddisfazione no? Che bella cosa vederlo così felice come quest’oggi. Non l’ho mai visto divertirsi tanto. Sì, sì, il popolo ci tiene alla giustizia! (Studio dell’auditore di Sanità Viscardo. Ora del tramonto. Viscardo, molto pallido, siede al tavolo immobile e pensieroso. Ogni tanto infila la mano sinistra sotto la giubba come per tastarsi. La stanza si fa via via più scura. I l Capitano di Giustizia (entra) — Be’! Non sei venuto a vedere? Viscardo — Avevo da fare. I l Capitano di Giustizia — Peccato. Ne valeva la pena. Viscardo (spento) — Peccato. I l Capitano di Giustizia (come al solito pacato, mellifluo e sornione. Camminando svagatamente su e giù) — A proposito... la tua bella Martina. Viscardo (punto sul vivo) — Mia perché? I l Capitano di Giustizia — Sei stato tu a sistemarla, la ragazzina, no? Viscardo — E allora? I l Capitano di Giustizia — Ha fatto un po’ di chias so, la piccola, quando si è trattato di metterla sul carro. Figurati, voleva fare scandalo, pareva diven tata matta. Voleva che ti chiamassero. Viscardo — Io? I l Capitano di Giustizia — Sì, tu, Viscardo. Urlava che tu eri il suo fidanzato... (ride)... il suo fidan zato! Urlava che le avevi promesso la libertà, che c’era uno sbaglio. Viscardo — Ah così? I l Capitano di Giustizia — Poi, quando ha capito che non c’era niente da fare, è stato ancora peggio. Una indemoniata. E si è messa ad urlare che tu... (Esita). Viscardo — Io cosa? I l Capitano di Giustizia — Che tu l’avevi costretta a far l’amore con te con la promessa della libertà. Viscardo — Tu, c’eri? I l Capitano di Giustizia — Sì, per calmarla, le ho fatto dare un po' di dormia. Viscardo — Dopo tutto, non c’era da dir niente. Un giudice, per indurre una donna a confessare, può farsela venire nella sua stanza, ivi baciarla, acca rezzarla, fingere di amarla, prometterle la libertà. Così dice testualmente il grande Claro. I l Capitano di Giustizia (sempre flemmatico) — Già... Quando l ’han tirata fuori dalla cella era già un po' via con la testa. E stanca morta, credo. Per tutta la notte gli sbirri là del carcere se la erano passata da uno all’altro. Figurati, saranno una ventina. Quando una condannata è appena pas sabile, finisce sempre così. E’ consuetudine. Del re sto, diciamo la verità, sarebbe stato un delitto che un simile ben di Dio fosse rimasto inutilizzato. Peccato solo che queste piacevoli licenze non siano consentite a noi magistrati. (Ridacchia). Viscardo — E lei ci stava? I l Capitano di Giustizia — Be’, questo direi che ha un’importanza molto relativa. (Si avvicina al tavolo mettendosi di fronte a Viscardo e fissan dolo) Ma perché fai quella faccia? Non ti senti bene? (Preso da un sospetto arretra). Viscardo — No, no, sto benissimo, te lo assicuro. I l Capitano di Giustizia (a disagio) — Meglio così. (Scruta Viscardo) Meglio così vero? (Pausa) Io vado. (Esce. Viscardo, rimasto solo, si agita in quieto sul sedile e ansiosamente si palpa sotto la giubba. Poi suona un campanello da tavolo. Si lenzio. Poi passi che si avvicinano). L’Usciere Giacomo (si affaccia) — Comandi, si gnore. Viscardo (senza riuscire a nascondere la inquie tudine) — Senti, Giacomo. Stanotte devo aver la sciato la finestra aperta ed ho preso un'infred datura. L’Usciere Giacomo — Mi dispiace, signore. Viscardo — Ma non è niente, non è niente. Ho soltanto un po' di freddo. L’Usciere Giacomo — Si vede, signore. Viscardo — Sono pallido? L’Usciere Giacomo — Un poco, signore. Viscardo — Giacomo, devi farmi un piacere. L'Usciere Giacomo — Ai suoi comandi. Viscardo (con un dubbio) — Tu sei sempre stato zelante, Giacomo, e leale. L’Usciere Giacomo — Bontà sua, signore. Viscardo — Giacomo. Fa' venire qui sotto la car rozza. L’Usciere Giacomo — Subito. (Fa per uscire). Viscardo (ansimando un poco) — Aspetta, Giaco mo. (Giacomo si ferma). Poi devi andare dal Livraghi protomedico, sai dove sta, in contrada di Sant’Eufemia, ci sei stato altre volte. L’Usciere Giacomo — Sì, signore. Viscardo — E' un vecchio amico mio. (L'usciere tace, ambiguo, aspettando) Pregalo di venire a casa mia. Al più presto. L’Usciere Giacomo — Sì, signore. Viscardo — Digli che è per un affare importante. L’Usciere Giacomo (ripetendo) — Per un affare importante. LA COLONNA INFAME Viscardo — Sì, una causa del nostro tribunale. L’Usciere Giacomo — Sarà fatto. Viscardo — Ma subito, ti prego. L'Usciere Giacomo — Vado immediatamente. (Fa per uscire). Viscardo (richiamandolo ancora) — Giacomo, vuoi darmi quella mantelletta? (Fa segno ad un attac capanni) Ho freddo. (L’usciere va a prendere la mantelletta e invece di aiutare Viscardo a indos sarla gliela porge col braccio teso) Che cos’hai, Giacomo? Perché mi guardi in questo modo? L’Usciere Giacomo (si ritira bruscamente, la man telletta finisce per terra) — Vado a chiamare la carrozza. (Esce velocemente). Viscardo — Giacomo! (Raccoglie la mantelletta, se la stringe addosso, si passa la mano destra sulla fronte) Dio, come sto male. (Bussano alla porta) Avanti! L'Usciere Giacomo (si affaccia appena appena) — Signore, c’è qui una donna che chiede di parlarle. Viscardo (smarrito) — Una donna? L’Usciere Giacomo — Una giovane. Dice che è per un affare di giustizia. Viscardo (scattando) — No, no. Non ci sono per nessuno. Mandala via. Dille che torni domani. Tu va a chiamare la carrozza! (L’usciere esce, richiu dendo la porta. Viscardo si alza e a passi malfermi va alla finestra e guarda in giù) Quanto ci mette quel lavativo? (Si apre lentamente la porta e com pare, avanzando, il fantasma della Martina). Martina (con voce diafana) — Giovanni. Viscardo (si volta di scatto. Arretra inorridito) — Tu? Sei viva? Martina — Il mio corpo squartato in questo mo mento sta bruciando. Le ceneri le butteranno nel fiume. Viscardo (arretra, mentre lei avanza verso di lui) — Via, via! Via, via! Martina — Le tue dolci manine, dicevi, ti ricordi? Tagliate via con l ’accetta. Viscardo — No, no! Vai via! Martina (arretra nella penombra, scomparendo a poco a poco) — Sarai contento, adesso. (Viscardo, appoggiato ad un muro, ansima con angoscia) Ti aspetto, Giovanni. Fra poco. La morte è venuta anche per te... anche per te... anche per te... (La voce si spegne in un sussurro mentre il fantasma dilegua). Viscardo (si stacca dal muro e appoggiandosi qua e là si dirige verso la porta. Battono alla porta) — Avanti! L’Usciere Giacomo (affacciandosi) — Signore, il carro è pronto. Eccoli qui. (Apre completamente l'uscio lasciando entrare sei monatti dai ceffi ter ribili, che portano una sudicia barella). Viscardo (folle di terrore) — No, no! I monatti! Indietro! Sono Viscardo, auditore di Sanità. Vi ordino. Vi ordino, capite. Via di qua, maledetti. (Ma i sei monatti, ghignando, avanzano concen tricamente su di lui). Un Monatto — Su da bravo, vieni con noi, bel signorino, non sei dei nostri? Viscardo (cade in ginocchio) — No, vi supplico, no! (In una vaga nebbia stagnante con in fondo un riflesso di sole compare la colonna infame. Intorno eventuali macerie della casa del Mora, distrutta. Appoggiato alla base della colonna sta seduto per terra Lucherino che con accento solenne e amaro reciterà il seguente primo periodo della « Storia della colonna infame » di Manzoni). Lucherino — Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accu sati d’aver propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili, parve d’aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in ag giunta de’ supplizi, la demolizione della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio si innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giu dizio fu veramente memorabile. (Mentre entrano tutti gli altri personaggi del dram ma che si uniranno a lui in coro): Una bocca ha parlato anche le altre parleranno non si fermeranno più. E’ bastata una carrucola è bastato tirare una corda su e giù su e giù su e giù. Per fare questo hanno studiato sui grossi libri scritti in latino hanno avuto lauree ed onori sono chiamati eccellentissimi. Per fare questo: appendere un uomo e torcergli le ossa finché avrà raccontato quello che loro desiderano. Che bella cosa la giustizia che grande cosa l’autorità con la coscienza sempre a posto e per testimonio Dio! .y m e Questa commedia è stata rappresentata la prima volta il 23 ottobre 1962, al Teatro Sant'Erasmo di Milano, da parte della Compagnia del «Teatro delle Novità » diretta da Maner Lualdi. Le parti sono state così distribuite: Vittore Malvezzi (Piero Nuti); Enrico Croda (Luciano Rebeggiani); Rosario (Nuccio Ambrosino); Il Griso (Adalberto Andreani); Don Ro drigo (Lino Troisi); Primo Musico (Armando Celso); Secondo Musico (Furio Ciapetti); Martina (Mariella Zanetti); Giovanna (Adriana Innocenti); Cosima (Itala Martini); Lucherino (Paolo Poli); Caterina Rosa (Giuliana Rivera); Guglielmo Piazza (Giu stino Durano); Giovan Battista Viscardo (Gianni Cajafa); Ignazio Bernardini (Cesare Bettarini); Notaio (Alberto Ar chetti); Usciere (Armando Benetti); Gian Giacomo Mora (Carlo Montini); Paolo Gerolamo Mora (Donatello Falchi); Perlasca (Ermanno Roveri); Elena Viscardo (Olga Gherardi); Capo Untore (Augusto Bonardi); I Untore (Adalberto Andreani); II Untore (Dina Zanoni); III Untore (Nuccio Ambrosino); IV Untore (Claudia Lawrence); Santi (Luciano Rebeggiani); Monatto (Alberto Archetti); Monaco (Augusto Bonardi). Regìa di Edmo Fenoglio. Scene e costumi di Eugenio Guglielminetti. Musiche di scena di Gino Negri. * Copyright 1962 by Dino Buzzati. I L P I R A I N T E A T R O N D F R PIRANDELLO E IL TEATRO FRANCESE Nel dicembre del 1922 Charles Dullin, alle stendo II piacere dell’onestà, proponeva per la prima volta sulle scene francesi il nome di Luigi Pirandello. Quaranta anni sono pas sati, durante i quali si contano, per la sola Parigi, ben 39 allestimenti pirandelliani: rare sono le stagioni senza rappresentazioni di almeno una commedia di Pirandello. Generazioni diverse di registi ed uomini di teatro francesi hanno manifestato pari inte resse per l ’opera del drammaturgo sici liano : per non citarne che alcuni ricorde remo, per il periodo fra le due guerre mon diali Charles Dullin, Georges Pitoëff, Gaston Baty; per questo dopoguerra André Barsacq, Jean Mercure, Jean Vilar. E tale inte resse non accenna a diminuire; se da un lato Pirandello è entrato a far parte del reperto rio della Comédie-Française, dall’altro la sua opera non cessa di stimolare i registi delle più giovani leve : nel 1960 Antoine Bourseiller, nel 1962 Jean Tasso. La continuità appare quindi una delle carat teristiche della presenza del teatro piran delliano in Francia: quali sono i rapporti che esistevano, o che si sono venuti creando nel quadro di tale continuità, fra Pirandello e il teatro francese? Si può, ed in quale m i sura, parlare di influenza dell’uno sull’altro? Sono queste le domande che abbiamo r i volto, nel corso di una rapida inchiesta, a quattro personalità parigine che, seppure in modo diverso e da differenti punti di vista, si sono in questi u ltim i anni interes sate al teatro pirandelliano. Jean VILAR, direttore del Théâtre National Popu laire di Parigi. Ha allestito nel 1957 sulle scene del teatro da lui diretto Enrico IV, interpretando il ruolo di protagonista. J’ignore dans quelle mesure le théâtre fran çais a pu influencer Pirandello mais, par D E A N C I L L O I A contre, je pense que Pirandello a beaucoup influencé le théâtre français. Cette influence a pu se produire de deux façons: d’abord très directement, par l’ad miration que certains auteurs, comme Anouilh, je crois, lu i portaient et lui portent. Ensuite, parce que Pirandello a « brisé » la structure classique de l’action dramatique et de l’intrigue. I l a rompu avec la tradition française d’une intrigue « orthodoxe ». Henri IV est un exemple frappant de cons truction non classique. Pour un Français, la construction de cette œuvre est invrai semblable: une gageure. Et cependant, com me nous le savons bien, Henri TV est d’une efficacité évidente sur tout public. La rupture de Pirandello dans le théâtre pourrait être comparée à celle que Proust a accomplie dans le roman. Car, au fond, ce sont des écrivains de la même génération, de même âge, bien qu’ils n’aient pas connu leurs œuvres respectives, Proust du moins. De plus, ils se retrouvent dans leur position par rapport à la notion de temps: le temps, en tant que chose-qui-dépend-de-la-montre, n’existe pas. C’est la mémoire qui est le ca dran ou la comptabilité du temps. Disper sion, anomalie de la conscience ou non, cet te conception du temps donne à l’œuvre de Pirandello son originalité et son efficacité dramatique. Cette rupture pirandellienne n’a pas seule ment influencé certains écrivains français, mais aussi d’autres écrivains européens. Il faut d’ailleurs noter que Pirandello a fa it ses études dans des Universités allemandes, Bonn notamment, et qu’on peut retrouver dans son œuvre certains côtés de la littéra ture allemande. I l existe un certain « cousi nage » entre Kleist, Büchner et Pirandello, et il existe un certain parallélisme entre Henri IV et Woyseck. Enfin, l’influence ger manique est certainement plus probable qu’une influence de la littérature française sur Pirandello, qui n’a été en aucune façon marqué par ses prédécesseurs français. Je pense qu’on rejouera toujours Pirandello parce qu’il a le génie de la construction dra matique, le sens de la création des personna ges et aussi et précisément parce que ses sujets sont souvent ardus à suivre. Mais il sait admirablement se servir, sciemment ou non, de leur côté mélodramatique, dans le sens français du terme, et cela touche toujours. Très souvent, ses pièces sont basées sur le désespoir absolu, l’échec total avec tout ce que cela comporte de larmes, de tristesse. Par exemple, Henri IV ne fa it pas seulement appel à une compréhension intellectuelle, mais surtout aux sentiments du public. Les boulevardiers ont parlé de « pièce intellec tuelle ». Dans une certaine mesure, bien sûr, mais il s’agit là d’un thème mélodra matique et non philosophique, dans la même mesure où Shakespeare a pu être mélo dramatique et où Molière nous a donné ses grandes Farces. Nous nous trouvons à la fois devant la réflexion intellectuelle d’un auteur — qui sait ce qu’il veut — et le don qu’il possède d’intéresser le public grâce au sentiment. Et même si dans les siècles à venir, elle peut subir quelques arrêts ou quelques chutes, son œuvre doit demeurer. D’ailleurs, depuis le début des hostilités, on ne jouait prati quement plus Pirandello, et je peux dire que c’est André Barsacq et mai qui avons, en 1950, rappelé au public qu’il existait un certain Pirandello. Et, sans grande d iffi culté, le public des nouvelles générations l’accepta. Bernard DORT, critico drammatico. Ha parteci pato neU’ottobre 1961 al Congresso intemazionale di studi pirandelliani promosso a Venezia dalla Fondazione Cini, presentando una relazione su « Pirandello e il teatro francese contemporaneo ». Peut-on parler d’une influence du théâtre français sur Pirandello? Je ne le crois pas. Certes, lorsque Pirandello a commencé d’é crire pour le théâtre, c’est la dramaturgie bourgeoise française de la fin du X IX ' siècle qui dominait sans conteste. Aussi Pirandello est-il parti d’elle, mais ce fu t pour s’en éloigner. Il a utilisé certains des matériaux qu’il trouvait ainsi à sa disposition, mais les utilisant il les a transformés, comme avait fa it avant lu i Scarpetta qui, il est vrai, se proposait seulement de traduire en napoli- tain des pièces de boulevard françaises. Sandro d/Amico m’a fa it remarquer qu’une pièce de Pirandello, Comme avant, mieux qu’avant, je crois, était ainsi tirée de ¿’Odet te de Sardou. Par contre, rien n’est plus légitime que de parler de l’influence de Pirandello sur tout le théâtre français de l’entre-deux-guerres, voire d’une cristallisation de ce théâtre autour de formes et de thèmes pirandelliens. Aujourd’hui encore, Pirandello continue à être joué en France autant sinon plus qu’en Italie. On notera d’abord que les principaux met teurs en scène du Cartel ont joué Pirandello: Dullin, les Pitoëff, Baty, que Copeau aussi s’y est intéressé dans la mesure même où Pirandello allait dans le sens de ses efforts pour rethéâtraliser le théâtre et le dépassait même dans ce domaine. Et tous les dra maturges français des années vingt et trente ont fa it du pirandellisme. Impossible de les citer ici. Notons seulement que leur pi randellisme va du plus simple, du plus banal au plus complexe, du jeu du « théâtre dans le théâtre », que nous retrouvons chez des auteurs comme Marcel Achard ou même Sacha Guitry, aux variations sur la person nalité d’un Salacrou, sans oublier Anouilh dont l’œuvre exploite de façon quasi éhon tée toutes les situations et tous les procédés pirandelliens. Mais les deux auteurs qui me semblent les plus proches de Pirandello ne sont sans doute pas ceux qui l’im itèrent le plus directement. C’est dans l’œuvre de Camus et de Sartre que je retrouve, en effet, le théâtre pirandellien. N’y aurait-il pas eu Henri IV, je doute fo rt que Camus eût écrit Caligula. Et toute l’œuvre de Sartre me paraît profondément pirandellienne: elle est, en effet, construite sur ce que Pirandello appelait « le tragique conflit entre la forme et la vie » ou mieux encore, dans une lettre à Tïlgher, « entre la forme et le mouvement », qui se traduit dramaturgiquement chez Sartre comme chez Pirandello par le fa it que le personnage prin cipal s’invente une conduite. Mais, bien sûr, chez Sartre, cette dramaturgie est incluse dans une problématique morale, voire sociohistorique, tandis que chez Pirandello elle reste purement tragique. Je crois donc que l’intérêt que nous pou vons avoir aujourd’hui pour le théâtre de Pirandello est à la fois historique et actuel. D’une part, Pirandello est devenu un clas sique du théâtre contemporain, et ce qui a paru nouveau dans les années vingt, no tamment les procédés rhétoriques pirandellistes, date maintenant, a acquis comme un caractère rétrospectif. Mais nous compre nons mieux ce qui est derrière ces pro cédés: nous abordons maintenant de front le tragique pirandellien, et nous sommes à même d’en tenter une explication. Sans doute, Pirandello n’a-t-il pas inventé une forme nouvelle de théâtre, mais il a radicalisé les formes de la dramaturgie bour geoise, il les a poussées à leur terme, en s’interrogeant sur elles. Son théâtre peut ainsi être considéré comme une tragédie de la réflexion. I l constitue une étape — la dernière dans l’évolution de la comédie ou du drame tels que nous les ont légués le X IX e siècle. Mais jusqu’alors, rien n’a pu encore les remplacer complètement. Nous sommes donc toujours dans le pirandellisme, ce chant du cygne du théâtre occi dental. Michel ARNAUD, traduttore ed adattatore. Ha curato, fra l ’altro, l’adattamento delle due com medie pirandelliane più recentemente presentate a Parigi: Come tu mi vuoi e Non si sa come. Que vous dire sur le dramaturge Pirandello qui n’ait pas déjà été dit et mieux dit que je ne pourrais le faire? Certes, cette longue fréquentation que m’a imposée la traduc tion de certaines de ses pièces, me l’a sans doute fa it connaître profondément — plus profondément, en tout cas, qu’une lecture si attentive soit-elle — mais cette connais sance « de l’intérieur » m’empêcherait plu tôt, tel l’amour, de voir l’œuvre elle-même avec ce détachement qui, seul, permet une vue critique de quelque intérêt. Je me con tenterai donc de parler très brièvement d’un point sur lequel, me semble-t-il, on s’attarde trop rarement et qui est l’écriture théâtrale de Pirandello. Comme tous les grands et authentiques auteurs dramatiques, Pirandello a, en effet, une écriture très per sonnelle qui est plus qu’un style. Son dia logue — avec ses ellipses, ses incidentes, ses points de suspension — qui a pu parfois sembler « cérébral » — et, de ce fait, il peut le devenir si, en le traduisant, on ne tient pas compte de sa « respiration » — est en réalité extraordinairement nuancé et dy namique: jamais abstrait, il exprime au rythme même de la vie une pensée souvent complexe mais qui, pour être pirandellienne, n’est pas plus entachée de pirandellisme que, par exemple, le dialogue de Marivaux n’est entaché de « marivaudage ». Et c’est pourquoi, outre que par sa profonde huma nité, ce théâtre réputé difficile peut et doit toucher un toujours plus vaste public. Renée LELIEVRE, studiosa di storia del teatro. Ha pubblicato nel 1959 un ampio studio su Le Théâtre dramatique italien en France. Ce qui a frappé à l’apparition de Pirandello à Paris, c’est son originalité. Et pourtant, à bien examiner, il ne différait pas tellement de nos classiques; l’intérêt dramatique est puisé aux mêmes sources chez lu i et chez eux; d’où, sans doute, l’aisance avec la quelle il a conquis son public. On a maintes fois parlé de Molière à propos du « théâtre dans le théâtre », ou de la pro gression du comique dans l’absurde. Mais Corneille, mais Racine présentaient aussi des modèles à Pirandello, le premier d’argu mentation logique, le second d’argumenta tion passionnée, d’interprétation a poste rio ri des actions, des attitudes, des mots de l’adversaire. Ainsi, dans les Six personnages, le père s’évertue-t-il à prouver qu’il a eu raison d’agir avec sa femme comme il l’a fa it; Baldovino, dans la Volupté de l ’hon neur, qu’il ne peut pas ne pas être un tyran domestique; ainsi, dans Comme ci ou com me ça, discute-t-on de l’attitude et des sen timents réels de Délia Morello. Mais, chez Pirandello, la donnée initiale est saugrenue, et tandis que chez les classiques, le pro blème de la vérité des faits ne se posait pas, ils sont eux-mêmes, chez lui, déjà contesta bles; ainsi dans Chacun sa vérité. Sans aucun doute, son influence sur le théâtre français a été très grande. Après lui, tout le théâtre d’avant guerre, le théâtre bourgeois, a paru usé, vieillot. I l l’a en quel que sorte renouvelé, à la fois par le choix des sujets qui ont paru étranges à l’époque, et par sa façon de conduire la pièce; au lieu d’exposer la situation et de dérouler ensuite les événements, il lance le spectateur au milieu de la crise, et laisse deviner ensuite, à travers les conversations des personnages, ses causes profondes ou occasionnelles. Presque tous les dramaturges français ont été marqués par son œuvre, même Cocteau (Les Monstres sacrés) ou Bernstein (La Galerie des glaces). Giraudoux semble bien avoir échappé à son influence; mais Anouilh, Salacrou, G. Neveux, Ionesco, Vauthier, pour ne citer qu’eux, lu i doivent beaucoup. En ce qui concerne l’intérêt du spectateur des années 1945-1955 pour le théâtre de Pirandello, on peut noter d’abord une curio sité sympathique: on voudrait connaître tou tes ses œuvres; d’autre part, la qualité de son tragique humoristique correspond assez bien à la mentalité d’après guerre. Je crois qu’actuellement, la grande vague d’intérêt qu’il a suscitée est passée. Plusieurs raisons à cela: d’abord, ses idées se sont répandues dans le monde, se sont en quelque sorte vulgarisées et, de ce fait, son théâtre sem ble moins original. D’autre part, certaines de ses pièces récemment révélées sont de celles qui datent un peu à l’heure actuelle, par exemple: Comme tu me veux, pour tout le premier acte; d’autres, enfin, n’ont pas été montées dans de très bonnes conditions et l’ont un peu desservi. Enfin, les pièces à caractère mythique, comme Les Géants de la montagne, ne passent pas aisément en France, leur qualité poétique et leur aspect féerique étant très difficiles à rendre. Par contre, ses grandes œuvres sont maintenant incontestée; des reprises récentes ont prou vé qu’elles étaient toujours vivantes. Elles font partie, à l’égal de nos classiques, de notre bagage intellectuel, comme le prouve l’inscription au répertoire de la Comédie Française de Chacun sa vérité, et celle des Six personnages aux programmes de la Salle Luxembourg. ALLESTIMENTI A PARIGI D I COMMEDIE PIRANDELLIANE I l 20 dicembre 1922, Charles Dullin, pre sentando nella sala del Théâtre de l’Atelier di Parigi II piacere dell’onestà, proponeva per la prima volta al pubblico francese il nome di Luigi Pirandello. Quaranta anni dopo, il 23 febbraio di quest’anno, il gio vane regista Jean Tasso, allestendo sulle scene del Vieux Colombier come « novità » Non si sa come, portava a 22 il numero delle commedie pirandelliane presentate a Parigi da compagnie francesi. Riportando ora l ’elenco di queste 22 com medie (ordinate alfabeticamente a seconda del loro titolo italiano), indichiamo per cia scuna di esse la data di presentazione a Parigi dell’unico o dei vari allestimenti, il nome del regista, dell’adattatore e, ove pos sibile, dei principali interpreti. La nostra indagine si lim ita agli spettacoli svoltisi nei soli teatri parigini: non è fatta pertanto menzione della presentazione di commedie pirandelliane nei teatri di pro vincia, salvo il caso, invero assai raro, in cui tale presentazione abbia cronologicamente preceduto quella nei teatri della capitale. BELLAVITA (Bellavita) 1954 : Jean-Marie Serreau Commedia allestita per la prima volta l ’otto aprile 1954 dalla compagnia diretta da JeanMarie Serreau sulle scene del Théâtre Marìgny. Adattamento francese di Marie-Anne Comnène. Interpreti principali : Jean-Marie Serreau (Bellavita), René Alone (il notaio Denora), Gaston Vecchia (l’avvocato Con tento). L ’atto unico pirandelliano, replicato nel corso della stagione, era presentato as sieme a Vestire gli ignudi. CECE’ (Cece) 1950 : Jacques Mauclair Commedia allestita per la prima volta il 22 giugno 1950 sulle scene del Théâtre des Noctambules da una compagnia diretta da Jacques Mauclair. Adattamento francese di Marie-Anne Comnène. Questo atto unico viene presentato assieme a Sogno, ma forse no, nel corso dell’estate, e quindi non viene più ripreso. CIASCUNO A SUO MODO (Comme ci ou comme ça) 1926: Georges Pitoëff Commedia allestita per la prima volta il 3 maggio 1926 sulle scene del Théâtre des Arts dalla compagnia Georges Pitoëff. Adat tamento francese di Benjamin Crémieux. Interpreti principali: Ludmilla Pitoëff (De lia Morello), Mora Sylvère (Contessa Palegari), Leo Peltier (Doro Palegari), Michel Simon (un amico), Paulette Pax (un’ami ca), Georges Pitoëff ( l’amico di tu tti). La commedia è replicata fino al termine della stagione, quindi non viene più ripresa. COME PRIMA, MEGLIO DI PRIMA (Comme avant, mieux qu’avant) 1928 : Paulette Pax 1956 : Jean Negroni Commedia allestita per la prima volta il 7 marzo 1928 sulle scene del Théâtre de Grenelle dalla compagnia della Croix Nivert diretta da Paulette Pax. Adattamento fran cese di S. L. Menard, regìa di F. Crommenlynck. La commedia cessa di essere rappre sentata dopo una trentina di repliche, né più viene ripresa dalla compagnia della Croix Nivert, scioltasi l ’anno dopo. Un nuovo allestimento di Come prima, me glio di prima, è presentato da Jean Negroni il 22 aprile 1956 sulle scene del Théâtre de Paris: adattamento francese di Benjamin Crémieux, interpreti principali Suzy Prim e Jean M artinelli, regìa di Jean Negroni. COME TU MI VUOI (Cornine tu me veux) 1932 : Gaston Baty 1952 : Raymond Géróme 1960 : Antoine Bourseiller Commedia allestita per la prima volta l ’8 no vembre 1932 sulle scene del Théâtre Mont parnasse dalla compagnia diretta da Gaston Baty. Adattamento francese di Benjamin Crémieux. Interpreti principali: Roger Karl (Cari Salter), Jeanne Perez (Lena Cucchi), Yonnie Dubois (Mop), Martial Rebel (Salesio Nobili), Lucien Nat (Bruno Pieri), Mar guerite Jamois (l’ignota). La commedia vie ne replicata durante la stagione 1932-33 ma non più ripresa da Gaston Baty nelle sta gioni successive. Un nuovo allestimento di Come tu m i vuoi è curato da Raymond Géróme e presentato, a partire dal 18 dicembre 1952 sulle scene del Théâtre Charles de Rochefort. Adatta mento francese di Benjamin Crémieux; il ruolo de « l ’ignota » è sostenuto da Nadia Gray. La commedia pirandelliana è per la terza volta allestita il 2 ottobre 1960 sulle scene dello Studio des Champs-Elysées: regìa di Antoine Bourseiller, nuovo adattamento francese di Michel Arnaud. Interpreti prin cipali: Danielle Delorme (l’ignota), Henri Poirier (Cari Salter), Yves Peneau (Salesio Nobili), Jean-Marie Fertey (Bruno Pieri). COSI’ E’ SE VI PARE (Chacun sa vérité) 1924 : Charles Dullin 1937 : Comédie Française 1955 : René Lesage Commedia allestita per la prima volta il 24 ottobre 1924 sulle scene del Théâtre de l’Atelier dalla compagnia diretta da Charles Dullin. Adattamento francese di Benjamin Crémieux. Interpreti principali: Charles Dullin (Lamberto Laudisi), Marcelle Dullin (la signora Frola), C. Comay (il signor Ponza), M. Blazy (la signora Ponza). Repli cata nel corso della stagione 1924-25, la commedia viene ripresa nel novembre 1925, nonché a partire dal 23 febbraio e dal 22 settembre 1927, dal 16 gennaio 1928 e dal 3 dicembre 1929. Charles D ullin diviene nel 1936, assieme a Baty, Copeau e Jouvet, regista stabile della Comédie Française: la commedia pirandel liana viene pertanto ivi ripresa il 15 mar zo 1937 con scene di Suzanne Lalique e con nuova distribuzione dei ruoli. Entrata così a far parte del repertorio della Comédie Française, Così è se vi pare sarà successiva mente ripresa a partire dal 4 gennaio 1940, dall’8 febbraio 1951, dal 18 settembre 1954, dal 25 aprile 1960. La commedia pirandelliana è stata inoltre presentata a Parigi dal 18 al 20 giugno 1955 dalla Compagnie de Saint-Etienne, che l ’ave va per la prima volta allestita nel luglio 1953 a Lione: la regìa delio spettacolo, svoltosi sulle scene del Théâtre Hébertot, era di René Lesage, le scene ed i costumi di Raymonde Delpy. ENRICO IV (Henri IV) 1925 : Georges Pitoëff 1950 : André Barsacq 1957 : Jean Vilar Commedia allestita per la prima volta a Montecarlo nel gennaio 1925 e ripresa a Parigi il 24 febbraio sulle scene del Théâtre des Arts dalla compagnia diretta da Georges Pitoëff. Adattamento francese di Benjamin Crémieux. Interpreti principali: Georges Pitoëff (Enrico IV), Mora Sylvère (Matilde Spina), Ludmilla Pitoëff (Frida), M. Peltier (Carlo di Noli). Replicata durante la stagione 1924-25, la commedia viene ripresa da Georges Pitoëff a partire dal 27 dicembre 1925 per venire poi abbandonata nelle successive stagioni. La commedia pirandelliana viene nuova mente allestita il 12 ottobre 1950 da André Barsacq sulle scene del Théâtre de l’Atelier : interpreti principali: Jean Vilar e Ger maine Monterò. Un secondo allestimento, curato da Jean Vilar, per conto del Théâtre National Po pulaire, va in scena dal 15 al 30 luglio 1957 ad Avignone, nel quadro della decima edi zione del locale Festival Teatrale. Tale spet tacolo viene ripreso dalla compagnia del Théâtre National Populaire il 7 dicembre 1957 nella sala del Palais de Chaillot di Parigi. Interprete principale: Jean Vilar. LA FAVOLA DEL FIGLIO CAMBIATO (La fable de l’enfant échangé) 1955 : Bernard Jenny Commedia allestita per la prima volta il 25 febbraio 1955 sulle scene dello Studio des Champs-Elysées. Adattamento francese di Marie-Anne Comnène : regìa di Bernard Jenny, scene di Henri Beirier, commento musicale di Pierick Hondry. La commedia pirandelliana è presentata assieme all’atto unico L ’ Uomo dal fiore in bocca. LA GIARA 1924 : (Balletti svedesi) (La Jarre) 1952 : Jacques Mauclair Questo atto unico pirandelliano viene per la prima volta utilizzato in Francia per le scene quale argomento coreografico per uno spettacolo presentato dalla compagnia dei Ballets Suédois nel Théâtre des ChampsElysées il 19 novembre 1924: la scenogra fia ed i costumi erano di De Chirico, la mu sica di Casella. La prima rappresentazione teatrale della Giara ha luogo il 22 maggio 1952 sulle scene del Théâtre de Babylone. Adatta mento francese di Marie-Anne Comnène; regìa di Jacques Mauclair, commento mu sicale di Georges Delarue, scenografia di François Ganeau. L ’atto unico pirandelliano è presentato assieme a Pensaci Giacomino. L’IMBECILLE 1925 : Charles Dullin (Un imbécile) 1952 : C. Wagram La presentazione di questo atto unico era stata inclusa nel programma della compa gnia Charles Dullin per il 24 ottobre 1924: essa avrebbe dovuto precedere Così è se vi pare. Un incidente tecnico ne impedì al l ’ultimo momento la rappresentazione; r i masto sconosciuto al pubblico parigino, l ’at to unico pirandelliano sarà presentato dalla compagnia D ullin in provincia, nel corso delle tournées effettuate durante la sta gione 1924-25. Un nuovo allestimento de L ’Imbecille va in scena il 5 giugno 1951 nella sala della Comédie Wagram nel quadro di un festival di atti unici. NON SI SA COME (On ne sait comment) 1962 : Jean Tasso Commedia allestita per la prima volta il 23 febbraio 1962 sulle scene del Théâtre du Vieux Colombier nell’interpretazione di una compagnia diretta da Jean Tasso. Adat tamento francese di Michel Arnaud. Inter preti principali : Alain Cuny (Conte Romeo Daddi), Maria Mauban (Donna Bice Daddi), Delphine Seyrig (Ginevra Vanzi), Yves V in cent (Giorgio Vanzi). LA PATENTE (Diplômé) 1925 : Madame Simone 1941 : André Barsacq 1954 : C.E. Rosen Questo atto unico fu per la prima volta allestito a Parigi dalla compagnia di Ma dame Simone il 20 febbraio 1925 sulle scene del Théâtre de la Renaissance: adat tamento francese di Benjamin Crémieux, interpreti principali Charles Lavielle (Ro sario Chiarchiaro), Jean Boudreau (D’Andrea), Bianche Montel (Rosinella). Un nuovo allestimento de La patente viene presentato il 23 settembre 1941 sulle scene del Théâtre de l’Atelier dalla Compagnie des Quatre Saisons: regìa di André Bar sacq. Completava lo spettacolo la comme dia pirandelliana Vestire gli ignudi. Questo atto unico è per la terza volta alle stito, col titolo Le brevet, nella sala del Théâtre Fontaine il 2 novembre 1954 da una giovane compagnia diretta da Claude Emile Rosen, che curò la regia dello spet tacolo: scene e costumi di Jacques Noel. Esso era presentato assieme ad una com media di Quinault, L ’Indiscret. PENSACI GIACOMINO (Méfie-toi, Giacomino) 1952 : Jacques Mauclair Commedia allestita per la prima volta sulle scene del Théâtre de Babylone il 25 mag gio 1952 da una compagnia diretta da Jac ques Mauclair. L ’adattamento francese è di Marie-Anne Comnène; regìa di Jacques Mauclair; scene e costumi di François Ga neau; accompagnamento musicale di Geor ges Delarue. La commedia viene replicata durante la stagione ed è presentata assieme a ll’atto unico La Giara. IL PIACERE DELL’ONESTA’ (La volupté de l’honneur) 1922 : Charles Dullin 1954 : Jean Mercure Commedia allestita per la prima volta il 20 dicembre 1922 sulle scene del Théâtre de l’Atelier di Parigi dalla compagnia diretta da Charles Dullin. Adattamento francese di Camille Mallarmé: interpreti principali, Charles D ullin (Baldovino), A libert (il mar chese Fabio), L. Arnaud (Maurizio Setti), Raimbourg (Marco Fongi), Alice Pierval (Agata Renni). Dopo essere stata replicata nel corso della stagione 1922-23, la commedia viene r i presa dalla compagnia D ullin sulle scene dello stesso Teatro, nel corso di successive stagioni a partire dall’8 novembre 1923, dal 7 marzo 1924, dal 23 gennaio 1927, dal 16 ottobre 1928, dal 16 aprile 1932, dal 18 maggio 1934. Charles D ullin interpre terà ancora il ruolo di Baldovino e per l ’ul tima volta a partire dal 6 marzo 1942 e per complessive 30 repliche nel Théâtre de la Cité. La commedia pirandelliana viene nuova mente allestita il 29 gennaio 1953 sulle scene del Théâtre Saint-Georges e quindi ripresa, nel corso della successiva stagio ne, su quelle del Théâtre Montparnasse. La regìa è curata da Jean Mercure, le scene ed i costumi sono di Leonor Fini. Interpreti principali: Jean Mercure, Jandeline, Germaine Engel, Robert Favart, Jacques Monod. Essa viene rappresentata il 29 agosto 1954 nella sala del Théâtre Sarah Bernhardt nel quadro del Primo Fe stival Teatrale Internazionale di Parigi. QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO (Ce soir on improvise) 1935 : Georges Pitoëff 1957 : Sacha Pitoëff Commedia allestita per la prima volta il 18 gennaio 1935 sulle scene del Théâtre des Mathurins dalla compagnia diretta da Georges Pitoëff, nel corso di una serata in onore a Luigi Pirandello, premio Nobel 1934. Adattamento francese di Benjamin Crémieux. I l ruolo principale (il regista Hinkfuss) è sostenuto da Georges Pitoeff, che cura inoltre la regìa dello spettacolo. La commedia viene replicata fino al 30 aprile 1935. Un nuovo allestimento di Questa sera si recita a soggetto viene curato da Sacha Pitoëff e va in scena il 27 dicembre 1957 nella sala del Théâtre d’Aujourd’hui. Lo spettacolo viene ripreso nella stessa sta gione e dalla stessa compagnia sulle scene del Théâtre de VAthénée ed infine su quelle del Théâtre du Vieux Colombier. SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE (Six personnages en quête d’auter) 1923 : Georges Pitoëff 1952 : Comédie Française Commedia allestita per la prima volta il 10 aprile 1923 sulle scene del Théâtre des Champs-Elysées dalla compagnia diretta da Georges Pitoëff. Adattamento francese di Benjamin Crémieux. Interpreti principali: Georges Pitoëff (il padre), Marie Kalff (la madre), Ludmilla Pitoëff (la nuora), M. Penay (il figlio), Irma Perrot (la signora Pa ce), Michel Simon (il direttore). Dopo 39 repliche nel corso della stagione, la commedia viene ripresa da Pitoëff a par tire dal 4 marzo 1924 e dal 21 maggio 1926, nel Théâtre des Champs-Elysées e replicata a partire dal 20 febbraio 1928 e dal 4 gennaio 1937 sulle scene del Théâ tre des Mathurins. La commedia pirandelliana è nuovamente allestita dalla Comédie Française il 5 marzo 1952 ed entra così a far parte del reper torio di tale teatro che la riprende a par tire dal marzo 1959. SOGNO, MA FORSE NO (Je révais peut-être) 1950 : Jacques Mauclair Commedia allestita per la prima volta il 22 giugno 1950 sulle scene del Théâtre des Noctambules da una compagnia diretta da Jacques Mauclair. Adattamento di MarieAnne Comnène : regìa di Jacques Mauclair. Lo spettacolo è stato ripreso a partire dal 10 febbraio 1952 nella sala del Théâtre de l’Atelier. TUTTO PER BENE (Tout pour le mieux) 1950 : Charles Dullin Commedia allestita per la prima volta il 12 aprile 1926 sulle scene del Théâtre de l’Atelier dalla compagnia diretta da Char les Dullin. Annunziata in un primo tempo col titolo Le Rôle du Mari, la commedia fu adattata in francese da Benjamin Cré mieux. Interprete principale: Charles Dul lin (Martino Lori). La commedia pirandel liana viene replicata una trentina di volte nel corso della stagione e non verrà quindi più ripresa. L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA (La fleur à la bouche) 1950 : Jacques Mauclair 1955 : Bernard Jenny Commedia allestita per la prima volta il 15 dicembre 1950 sulle scene del Théâtre des Noctambules da una compagnia diretta da Jacques Mauclair. Adattamento francese di Marie-Anne Comnène; regìa di Jacques Mauclair. La commedia pirandelliana è nuovamente allestita il 25 febbraio 1955 sulle scene dello Studio des Champs-Elysées con regìa di Bernard Jenny: essa viene in tale occa sione presentata assieme a La Favola del figlio cambiato. Interprete principale: An dré Reybaz. André Barsacq. Essa è presentata assieme all’atto unico La Patente. Vestire gli ignudi è per la terza volta alle stito l ’8 aprile 1954 sulle scene del Théâtre Marigny da una compagnia diretta da JeanMarie Serreau: regìa di A. Medina, inter preti principali: Jany Holt e Marc Cassot. LA VITA CHE TI DIEDI (La vie que je fa i donnée) 1930 : Xavier de Courville 1947 : Pierre Grout 1954 : Claude Regy L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTÙ’ (L’homme, la Bête et la Vertu) Commedia allestita per la prima volta il 1931 : Max Maurey 13 marzo 1930 nella Salle d’iena dalla 1956 : André Villiers compagnia La Petite Scène diretta da Xa Commedia allestita per la prima volta il vier de Courville. Adattamento francese di 19 novembre 1931 sulle scene del Théâtre Benjamin Crémieux. Interpreti principali: Saint-Georges. Adattamento francese di Marie-Ange Rivain (donna Anna Luna), Louise Servicen e Max Maurey, che cura Germaine Delbat (Lucia Maubel), Suzanne inoltre la regìa dello spettacolo. Interpreti Florian (Francesca Noretti), Max de Kedarouet (don Giorgio Mei). La commedia principali: Marta Abba (la signora Perella), pirandelliana viene replicata per un mese, G. Pauley (il professor Paolino), M. Legain (Nino Pulejo). Lo spettacolo viene repli fino al 13 aprile. cato nel corso della stagione 1931-32 e non La vita che t i diedi è nuovamente allestita più ripreso nelle stagioni successive. La nel 1947 dalla compagnia Les masques nus commedia pirandelliana viene nuovamente e presentata, a partire dal 9 aprile, sulle allestita il 24 marzo 1956 sulle scene del scene del Théâtre Agnès Carni: la regìa dello spettacolo è affidata a Pierre Grout. Théâtre en Rond per la regìa di André Un terzo allestimento della commedia pi Villiers : viene riutilizzato l ’adattamento randelliana è presentato dalla compagnia francese di Louise Servicen e Max Maurey. diretta da Claude Regy sulle scene del Théâtre de l’Atelier il 6 luglio 1954. Adat VESTIRE GLI IGNUDI 1924 : Madame Simone tamento francese di Benjamin Crémieux, (Vêtir ceux qui sont nus) 1941 : André Barsacq 1954 : André Medina scene e costumi di Jacques Mariller, regìa Commedia allestita per la prima volta a di Claude Regy. Ripresa nell’ottobre 1954 Parigi il 19 febbraio 1925 sulle scene del nella sala del Théâtre des Noctambules, la Théâtre de la Renaissance dalla compa commedia era interpretata da Tania Balagnia di Madame Simone, che già aveva pre chova (donna Anna Luna), Loleh Bellon (Lucia Maubel), Helena Manson (France sentato la commedia pirandelliana in Sviz sca Noretti), Robert Moor (don Giorgio zera, nel Théâtre de la Comédie di Ginevra, Mei). nel settembre 1924. Adattamento francese di Benjamin Crémieux. Interpreti princi Onde completare la presente rassegna oc corre, seppure rapidamente, segnalare que pali: Madame Simone (Ersilia Drei), Jean gli attori o compagnie italiane che, a varie ne Grunbach (la signora Onorina), Bianche riprese, hanno presentato sulle scene pari Martel (Emma), M. Vargas (Ludovico No gine commedie pirandelliane interpretan ta), Jean Yonnel (Franco Lespiga). Le re dole in lingua italiana. Tali spettacoli che, pliche cessano dopo poco più di un mese per evidenti motivi, non potevano essere e lo spettacolo non sarà più presentato a inclusi fra gli allestimenti francesi che fin Parigi dalla compagnia di Madame Simone. qui siamo venuti elencando, sono, ordinati La commedia pirandelliana viene nuova cronologicamente, i seguenti: mente allestita il 23 settembre 1941 sulle — Sei personaggi in cerca d’autore (cinque scene del Théâtre de l’Atelier dalla Com rappresentazioni), Enrico IV (sei rappre pagnie des Quatre Saisons : adattamento sentazioni), Il piacere dell’onestà (quattro francese di Benjamin Crémieux, regìa di rappresentazioni), commedie interpretate maiuscoli allorché si tratta di un nuovo allesti mento, in caratteri minuscoli allorché si tratta della ripresa di un allestimento risalente ad una precedente stagione, in caratteri minuscoli corsivi allorché si tratta di una interpretazione in italiano. Come data di inizio della stagione teatrale è stato prescelto il primo settembre : 1922-23 : IL PIACERE DELL’ONESTA’ (Ch. Dullin). - SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE (G. Pitoëff). 192324 : Il piacere dell’onestà (Ch. Dullin). - Sei personaggi in cerca d’autore (G. Pitoëff). 1924-25 : COSI’ E’ SE VI PARE (Ch. Dullin). ENRICO IV (G. Pitoëff) - VESTIRE GLI IGNUDI (Madame Simone). - LA PATENTE (Madame Simone). 1925-26 : CIASCUNO A SUO MODO (G. Pitoëff) TUTTO PER BENE (Ch. Dullin). - Sei personaggi in cerca d’autore (G. Pitoëff). - Enrico IV (G. Pi toëff). - Così è se vi pare (Ch. Dulin). - Sei perso naggi in cerca d’autore (comp. Pirandello). - En rico IV (comp. Pirandello). Il piacere dell’onestà (comp. Pirandello). 1926-27 : Così è se vi pare (Ch. Dullin). - Il pia cere dell’onestà (Ch. Dullin). 192728 : COME PRIMA MEGLIO DI PRIMA (P. Pax). - Sei personaggi in cerca d’autore (G. Pi toëff). Così è se vi pare (Ch. Dullin). 192829 : Così è se vi pare (Ch. Dullin). 1929-30 : LA VITA CHE TI DIEDI (X. de Courville). - Il piacere dell’onestà (Ch. Dullin). 193031 : (nessuna rappresentazione pirandelliana). 193132 : L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTÙ’ (M. Maurey). - Il piacere dell’onestà (Ch. Dullin). 1932-33 : COME TU MI VUOI (G. Baty). - Agro di limone (Petrolini). 193334 : Il piacere dell’onestà (Ch. Dullin). 193435 : QUESTA SERA SI RECITA A SOG GETTO (G. Pitoëff). 193536 : (nessuna rappresentazione pirandelliana). 1936-37 : COSI’ E’ SE VI PARE (Comédie Fran çaise). - Sei personaggi in cerca d’autore (G. Pi toëff). 1937-38 : (nessuna rappresentazione pirandelliana) 1938-39 : (nessuna rappresentazione pirandelliana). 193940 : Così è se vi pare (Comédie Française). 194041 : (nessuna rappresentazione pirandelliana). 1941-42 : VESTIRE GLI IGNUDI (A. Barsacq). LA PATENTE (A. Barsacq). - Il piacere dell’one stà (Ch. Dullin). 194246 : (nessuna rappresentazione pirandelliana) 194647 : LA VITA CHE TI DIEDI (P. Grout). 194748 : Sei personaggi in cerca d’autore (O. Costa). 194849 : (nessuna rappresentazione pirandelliana). 194950 : SOGNO MA FORSE NO (J. Mauclair). Quadro cronologico riassuntivo - CECE (J. Mauclair). - Questa sera si recita a sog Raggruppando ora, per singole stagioni teatrali, getto (G. Strehler). - Tutto per bene (R. Ruggeri). le rappresentazioni di commedie pirandelliane - L’uomo dal fiore in bocca (R. Ruggeri). 1950-51 : ENRICO IV (A. Barsacq). - L’UOMO svoltesi a Parigi dal 1922 ad oggi si ottiene il seguente quadro cronologico riassuntivo, per la DAL FIORE IN BOCCA (J. Mauclair). - L’IMBE comprensione del quale precisiamo che il titolo CILLE (C. Wagram). - Così è se vi pare (Co della commedia (seguito fra parentesi dal nome médie Française). 52 : SEI PERSONAGGI IN CERCA DI AUdi chi ne ha curato l’allestimento) è in caratteri 1951- nel luglio 1925 sulle scene del Théâtre Edouard V II dalla Compagnia del Teatro d’Arte diretta da Luigi Pirandello. — Agro di limone, commedia interpretata in dialetto siciliano dal 3 al 15 giugno 1933 sulle scene del Théâtre de la Potinière da Petrolini. — Sei personaggi in cerca d’autore, com media interpretata nel luglio 1948 dalla compagnia del Piccolo Teatro di Roma sul le scene del Théâtre Sarah Bernhardt : regìa di Orazio Costa. — Questa sera si recita a soggetto, com media interpretata dal 24 al 30 ottobre 1949 dalla compagnia del Piccolo Teatro di Mi lano sulle scene del Théâtre des ChampsElysées: regìa di Giorgio Strehler. — Tutto per bene e L ’uomo dal fiore in bocca, commedie interpretate dalla compa gnia Ruggero Ruggeri nel giugno 1950 sul le scene del Théâtre Michel. — La vita che t i diedi, commedia interpre tata nel novembre 1951 sulle scene del Théâtre Gramont dalla compagnia Emma Gramática. — Sei personaggi in cerca d’autore, com media interpretata dal 12 al 18 marzo 1953 dalla compagnia del Piccolo Teatro di Mi lano sulle scene del Théâtre Marigny: regìa di Giorgio Strehler. — Tutto per bene e Enrico IV, commedie interpretate nel marzo 1953 sulle scene del Théâtre Saint-Georges dalla compagnia Rug gero Ruggeri. — I giganti della montagna, commedia in terpretata nel giugno 1959 dalla compar gnia Gino Cervi sulle scene del Théâtre Sarah Bernhardt nel quadro delle manife stazioni del Théâtre des Nations. — Ciascuno a suo modo, commedia inter pretata dal 2 al 5 maggio 1962 dalla com pagnia del Teatro Stabile di Genova sulle scene del Théâtre Sarah Bernhardt nel qua dro delle manifestazioni del Théâtre des Nations. Regìa di Luigi Squarzina. TORE (Comédie Française). - PENSACI GIACO Dans cette pièce où Pirandello a brossé, MINO (J. Mauclair). - LA GIARA (J. Mauclair). Sogno ma forse no (J. Mauclair). - La vita che ti une fois de plus, te tableau de la folie qui le hantait, où il a étudié la genèse d’une diedi (E. Gramática). 1952-53 : IL PIACERE DELL’ONESTA’ (J. Mer folie, en même temps qu’il analysait la cure). - COME TU MI VUOI (R. Gérôme). - Sei réalité du rêve et s’employait à peser les personaggi in cerca di autore (G. Strehler). - fautes commises hors du contrôle de la Tutto per bene (R. Ruggeri). - Enrico IV (R. Rugconscience et de la volonté, nous retrou geri). 1953-54 : LA VITA CHE TI DIEDI (C. Reggy). - vons, certes, la bizarrerie de son inspira VESTIRE GLI IGNUDI (A. Medina). - BELLA- tion et le caractère hallucinatoire de sa VITA (J.-M. Serreau). - Il piacere dell’onestà fantasmagorie, mais aussi nous décelons (J. Mercure). 1954-55 : COSI’ E’ SE VI PARE (R. Lesage). - les pires défauts d’une expression parfois LA FAVOLA DEL FIGLIO CAMBIATO (B. Jen inextricable; nous souffrons avec lu i de ny). - L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA (B. Jenny). l’épaisseur des nœuds qui étouffent l’ar - LA PATENTE (C.-E. Rosen). - Così è se vi pare tiste, l’embarras de sa parole nous indis (Comédie Française). 1955-56 : L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTÙ’ pose et nous dérobe ses charmes oniriques. (A. Villiers). - COME PRIMA, MEGLIO DI PRI Tant d’autres de ses œuvres eussent mieux MA (J. Negroni). servi sa gloire, les eût-on connues davan 195657 : (nessuna rappresentazione pirandelliana).tage. C’est souvent une grande erreur que 195758 : ENRICO IV (J. Vilar) - QUESTA SERA de se détourner des titres célèbres qui ont SI RECITA A SOGGETTO (S. Pitoëff). 1958-59: Sei personaggi in cerca di autore (Co franchi les frontières et les ans. Ils le sont médie Française). - I giganti della montagna généralement avec raison. (G. Cervi). 195960 : Così è se vi pare (Comédie Française).Ici, n’ayant point lu le texte original, j ’aurai 196061 : COME TU MI VUOI (A. Bourseiller).peine à juger de l’adaptation de Michel 1961-62 : NON SI SA COME (J. Tasso). - Ciascuno Arnaud. Tout ce que je puis dire, c’est que a suo modo (L. Squarzina). sa forme, ne contribue point à délabyrinther la pensée de l’auteur et que l’articulation PIRANDELLO E LA CRITICA des longues tirades dévolues au héros ne me semble pas dictée par le souci de rendre Non si sa come (On ne sait pas comment), recentemente allestita sulle scene del Théâ dicïbles ces pages de roman-fleuve. tre du Vieux Colombier da Jean Tasso La représentation du Vieux-Colombier com rappresenta una novità per Parigi. porte trois bons éléments: d’abord les décors Quale è stata la reazione della critica fran et les costumes de M. André Acquart; en cese a questa presentazione di una nuova suite, la beauté de Maria Mauban dont le commedia di Pirandello? Quale si è rive visage évoque une toile de l’école italienne; lata, in questa occasione, la posizione della enfin et surtout, la présence dramatique, critica nei confronti del teatro pirandel l’intensité, la passion de M "' Delphine liano? Per trovar risposta a tali domande, Seyrig. riteniamo utile riportare le recensioni ap Jean-Jacques G a u th ie r, in Le Figaro, parse sui principali quotidiani e periodici parigini. 24 febbraio 1962. Vouloir fêter le vingt-cinquième anniver saire de la mort de Pirandello est une entreprise louable. Pirandello est un grand écrivain, un grand auteur, un grand dramaturge, un esprit insolite qui eut sur tout le théâtre et la littérature une influence considérable. Sa descendance dramatique est immense, lui dont, pourtant, l’accent fu t unique, l’ob session si personnelle et si intime. I l eut du génie ou un génie, et cela est bien de l’honorer. Mais avoir choisi pour le faire On ne sait comment, qui n’est point un de ses meil leurs ouvrages, me paraît une idée curieuse. Devant l’exhumation d’une pièce ignorée, c’est d’abord la postérité qui se trouve en procès: s’agissait-il d’un texte mineur dû ment enseveli, ou d’un chef-d’œuvre méjugé et irrecevable en son temps? I l y a des deux dans cette avant-dernière pièce de Piran dello boudée en France comme ailleurs: une insistance, une gaucherie de dénouement, qui expliquent la préférence donnée à la perfection dramatique des Six personnages ou de Chacun à sa guise; mais aussi une forme de paroxysme psychologique qui mé rita it d’être tirée de l’oubli et qui devrait trouver sa juste résonance à une époque où romans et film s prolongent à leur ma nière l’introspection pirandellienne. Vue du dehors, l’histoire se ramène aux déchirements de deux couples bourgeois troublés par un obsédé de l’analyse et du remords. A la délectation du reproche, il mêle celle de la lucidité. Dans mauvaise conscience, il y a « conscience ». Parce qu’il croit se faire justice et qu’il a su inspirer aux autres des remords sans cause, Roméo, en bon schizophrène, s’imagine maître du réel, dans le secret des êtres et des choses; une sorte de surhomme, de gourou, de moine styliste au-dessus du désert, ce désert où Alceste, déjà, rêvait de se retirer. Comme toujours, et mieux que jamais, Pi randello exerce ainsi une double fascina tion: par l’analyse implacable d’un cas de démence évolutive et par l’évocation à travers elle des grandes interrogations humaines. Magistralèment adaptée par M i chel Arnaud, cette chronique d’une folie développe avec une rigueur de tragédie antique les hauts thèmes de la faute ori ginelle et des élans de toujours vers quelque certitude. Comme la quête spirituelle des héros de Tchékhov ou de ceux de Musïl — à qui on songe très souvent — l’aventure intérieure de Roméo ne prend toute sa signification universelle que si elle reste inscrite scéni quement dans un cas particulier, qui est ici celui d’un bourgeois italien de 1914 en villégiature. Par habitude de spectacles moins « incar nés », par crainte des vieilleries naturalistes — à moins que ce ne soit à cause de son principal interprète — le jeune metteur en scène Jean Tasso s’est montré sur ce point moins prudent que ses contemporains Sacha Pitoëff et Antoine Bourseiller. Au lieu d’ins taller un cadre, un climat, un milieu, et de circonstancier ainsi les angoisses du pro tagoniste, jeux et décors (André Acquart) leur cherchent hors du temps et de l’espace des correspondances stylisées. Seules, de ravissantes toilettes Belle Epoque ramènent au drame réaliste d’origine. B. Poirot-Delpech, in Le Monde, 24 febbraio 1962. Comme tu me veux, Comme ci et comme ça et surtout Ce soir on improvise avaient, jadis ou naguère, requis des familiers du vieux magicien sicilien un esprit sans cesse en alerte et flanqué la migraine aux profanes. On ne sait comment, l’avant-dernière œuvre de Pirandello raffine encore sur ses devan cières en les résumant. Elle prélude à ce Géant de la Montagne qui la couronne. L ’ambiguïté de notre nature; les interfé rences du rêve et de la réalité; les prises de conscience surgissant de l’inconscient; le mensonge devenu vérité, une vérité qui se contemple dans un m iroir à trois faces dont les reflets se brisent et s’entrecroisent dans un palais des mirages régi par un subtil magicien, lequel en incurve les glaces et en truque les perspectives, tous ces pres tiges ambigus et ces dédoublements de notre moi, l’auteur les a, comme à plaisir, m ulti pliés au cours de ses trois actes immobiles dont les personnages en quête d’eux-mêmes se livrent à la fois à une introspection an xieuse et à une féroce inquisition de leurs partenaires. Cependant, ce petit drame, qui se clôt par le coup de pistolet incongru d’un marin — lequel, bien qu’ayant une femme dans cha que port, ne badine point avec la fidélité conjugale et l’honneur du mâle bafoué — ne tire point son très v if agrément que des subtilités d’une gymnastique mentale con finant à l’acrobatie. En effet, si l’on y retrouve, à peine transpo sé, le thème de Henri IV, celui de la folie jouée par son héros afin de se préser ver à la fois d’un monde d’imposture et du remords de la double faute dont il feint de s’être absout, c’est surtout par la froide lucidité déployée envers les désœuvrés au sang bleu qui, avec une instinctive bonne conscience, s’exonèrent de la responsabilité de leurs frasques portées au compte d’une fatalité complice, qu’On ne sait comment nous touche et nous conquiert. Ainsi, ces deux couples irréprochables peuvent-ils en freindre la loi conjugale sans autre remords que ceux qu’il convient d’exprimer chez les gens bien élevés, qui révèrent la morale de leur classe tout en pratiquant l’adultère mondain. Cette ironie sous-jacente qui pimente discrè tement ce tableau de mauvaises mœurs de gens du monde et des menues angoisses qui leur servent de passe-temps, Michel Arnaud a su nous la transmettre dans sa souple adaptation. Tout comme le metteur en scène Jean Tasso et le décorateur et cos tumier André Acquart, qui, en remontant à l’époque de Poiret le Magnifique et du tango, ont ainsi souligné l’archaisme des personnages et de leur comportement. Gustave Joly, in L ’Aurore, 21 febbraio 1962. Jamais, je crois, le grand dramaturge italien n’a été aussi loin dans l’analyse, dans la recherche vertigineuse de l’insaisissable, dans le scintillement fulgurant des idées. Théâtre cérébral, dira-t-on. Certes! Le mé canisme dramatique, ici, est réduit à sa plus simple expression. I l n’y a pas d’action à proprement parler. Pas d’interférences extérieures. Pas de coup de théâtre. Rien qu’une impitoyable « prise de conscience » chez l’un des personnages... Et nous voilà tous engagés avec les autres personnages dans un univers dont les hori zons ne cessent de s’élargir. Théâtre célébrai, oui, mais théâtre humain aussi, dans la mesure même où l’intelligence et la lucidité de l’auteur s’appliquent à des problèmes qui touchent l’homme et non à des abstractions gratuites. Théâtre sensible enfin, très paradoxale ment, puisque toutes les « études » ont trait à des sentiments: sentiment de responsabi lité et de culpabilité, notion de remords. André L afargue, in Parisien libéré, 24 febbraio 1962. Le sujet de la pièce est dans son titre: On ne sait comment... on peut faire certaines choses, d it Roméo, le m ari de Bice. Dans quelle mesure sommes-nous responsables de nos actes, de ce que nous n’avons pas expressément voulu ou de ce que nous avons seulement rêvé? Ce problème de la responsabilité humaine, Pirandello l’a plusieurs fois abordé, dans Six personnages en quête d’auteur, dans Ou d’un seul ou d’aucun, dans Comme ci ou comme ça, dans Le jeu des rôles. I l ne l’a jamais poussé si loin, il n’a jamais pénétré si avant dans le débat psycholo gique, métaphysique, moral, i l ne s’est ja mais interrogé plus douloureusement sur le mystère de l’être, sur la dualité de l’homme, sur les desseins de Dieu, qui nous a « rendus aveugles pour que la vie naisse », sur ces vrais crimes que sont les crimes qui ne relèvent pas des tribunaux. Nous ne savons pas ce que nous sommes: tous innocents et coupables. C’est le der nier mot de cette pièce, foisonnante de ré flexions, riche de méditations et rigoureuse comme une tragédie antique, qui tantôt fait penser à Shakespeare, à la folie d’Hamlet — et c’est le fou qui « voit ce que les gens raisonnables ne voient pas, ne veu lent pas voir » — et tantôt annonce Sartre. Et il y a un autre mot, étrangement de visionnaire: « La vie... prodigieuse pour tout le monde... On ne la croirait presque plus humaine ». L ’adaptation française de Michel Arnaud conserve à On ne sait comment sa densité dramatique. La mise en scène de Jean Tasso est efficace sans être voyante. Les décors et les costumes d’André Acquart situent la pièce à l’époque où elle fu t écrite: cela crée un accord dans lequel tout prend son sens exact. Marcelle Capron, in Combat, 24 febbraio 1962. Vouloir résumer la pièce, c’est à coup sûr la trahir; du reste, il n’y a pas de fable, ou si peu: un homme est en train de de venir fou; dans un moment d’égarement, il a trompé sa femme avec la femme de son meilleur ami. Et c’est alors que lui revient en mémoire une autre faute qu’il a commise alors qu’il était encore enfant: le meurtre d’un petit paysan qui avait tué un lézard. Mais, dans l’un comme dans l’autre cas, est-ce lu i qui a commis la faute ? Aussitôt après, il ne savait plus que c’était lu i qui avait fa it cela. Moi, je n ’avais pas voulu le faire, dit-il... Alors, l’homme est-il responsables de ces choses qu’il a faites on ne sait comment?... C’est tout le pro blème de la responsabilité humaine — qu’il a déjà traitée dans de nombreuses autres pièces — que Pirandello analyse avec mi nutie, passant au peigne fin les raisons que l’on a d’être tenu ou non pour responsable de tel ou tel acte, bien plus, de certaines choses que l’on a seulement rêvées... Pirandello s’est, volontairement semble-t-il, efforcé de traiter le problème sans se sou cier de lui donner un support dramatique solide. Tout se passe à l’intérieur des es prits, des consciences. Toute la pièce est en définitive une longue série de monolo- gués et le dramaturge ici n’a pas su éviter les pièges du verbalisme. Aussi, le spectateur a-t-il beaucoup de mal à porter un réel intérêt à ces personnages bien peu en chair. Certes, dans On ne sait comment, on peut voir, ainsi que le sou ligne Michel Arnaud, une critique sociale, celle d’un certain m ilieu aristocratique et oisif. Mais faute d’avoir mieux décrit les personnages, de les avoir mieux situés dans leur milieu, l’auteur, en définitive, a ôté toute virulence à cette critique qui ne peut apparaître qu’à posteriori. Ce qui domine, c’est un débat d’idées, qui déjà en 1934, n’étaient pas toutes très neuves, et l’illustra tion d’un certain nombre d’obsessions de l’auteur. Obsessions nées de problèmes qui nous concernent tous. Alors, d’où vient que nous restions si souvent à l’extérieur du dé bat pendant la représentation? Aux c riti ques proprement dramatiques que je fai sais tout à l’heure, il faut sans doute ajouter une certaine confusion de pensée sensible même dans le choix des cas proposés, dans cet amalgame arbitraire entre le meurtre du jeune paysan et le fu g itif adultère, entre l’acte accompli et l’acte rêvé... I l était bon de vouloir commémorer le vingtcinquième anniversaire de la m ort du grand dramaturge italien. Peut-être aurait-il mieux valu, plutôt que de tire r de l’oubli cette œuvre jamais encore jouée en France, re prendre l’une de ses grandes pièces. Il en est qui, même si elles sont connues, offrent une riche matière au désir de création d’un jeune animateur. Claude O liv ie r, in Lettres Françaises, I o marzo 1962. Le Vieux-Colombier présente, dans une adaptation de Michel Arnaud, une pièce non jouée en France de ce Pirandello de qui l ’œuvre, et ses miroitements, est en core ici fo rt mal connue et peu comprise. Il se peut bien que Pirandello ait été vic time, dans l’esprit d’une forte majorité du public, du charmant mot que son nom a permis d’inventer. Le « pirandellisme » est devenu l’un de ces termes vagues, et qui peuvent passer partout — il en va ainsi du « giralducisme », du « kafkaïsme » — dans lesquels on emprisonne commodément la tournure d’esprit d’un penseur et d’un artiste; cela, sans doute, facilite les con- versations et encourage la paresse d’esprit qui préside généralement aux échanges d’idées, mais n’en favorise pas moins une trahison à l’égard d’une œuvre entière et d’un auteur dont la pensée, jamais, ne s’est figée. Cet On ne sait comment (Non si sa corne), que nous révèlent au Vieux-Colombier la mise en scène de Jean Tasso et les excel lents acteurs qu’il a assemblés, ne man quera pas de surprendre — et de réjouir — tous ceux pour qui le « pirandellisme » se réduisait aux fo rt habiles, et simples, in terrogations sur la personnalité que com portaient les Six personnages en quête d’auteur ou Chacun sa vérité. Michel A r naud le souligne avec raison dans la no tice qui accompagne la traduction qu’il a faite de Non si sa corne: cette œuvre, qui est l’avant-dernière qu’ait écrite Pirandello, marque sinon un élargissement de la façon « pirandellienne » de concevoir les rapports entre les êtres humains, au moins une forte prise de conscience, chez lui, de î’existence de la personnalité humaine. Toute l’œuvre, qui est violente, passionnée, et dramatique au meilleur sens du mot, tourne autour de la responsabilité de l’individu, de sa part de responsabilité dans le mal — ce pour ra it aussi être dans le bien — qu’il fait à autrui. I l va de soi que ce problème de la responsabilité implique, dès lors qu’on le pose, la croyance en la ferme existence, donc en l’unité, de la personne humaine. Je ne pense pas que dans quelque autre de ses œuvres dramatiques Pirandello ait été aussi loin dans l’affirmation de cette foi, puisqu’on y voit le coupable, ou celui qui se déclare tel, s’accuser, faire son pro cès, se condamner et — pratiquement — présider à son exécution... Comme il en va pour les œuvres les plus fermes de Pirandello, On ne sait comment est une pièce dans laquelle l’anecdote, les rapports des personnages, leurs échanges tiennent en apparence la place essentielle; c’est de là qu’elles sont si parfaitement dramatiques et que la scène — pourvu qu’elle soit occupée par des acteurs qui savent de quoi il retourne — les sert si bien, et je le dis parce que c’est vrai, et aussi pour rassurer les esprits craintifs que met en fuite la simple perspective d’en tendre parler d’ « absurdité » au théâtre, encore qu’ils passent le plus clair de leur jo u r au sein de la plus extravagante absur dité sans vouloir le reconnaître. Et le mot responsabilité les terrorise peut-être plus encore. Mais qu’ils ne craignent rien: la « responsabilité » est ici revendiquée par un fou — ce qui est extrêmement rassurant. La mise en scène de Jean Tasso éclaire avec simplicité les complexités d’une action inté rieure pleine de force et de subtilité. Les décors, les costumes, d’André Acquart, ont les grâces démodées et piquantes qu’exige le texte. C’est une excellente soirée « pirandellienne » qu’offre le Vieux-Colombier, parce qu’elle élargit notre connaissance d’une œuvre et accroît notre admiration pour son auteur. Jacques Lemarchand, in Figaro Littéraire, 3 marzo 1962. du drame. Admirable de densité, d’ampleur croissante au cours des deux premiers actes, il s’enlise ensuite. I l débouche sur une sorte de délectation morose et ratiocinante, sur l’exposé, sans cesse repris, d’un cas quasi clinique. Mais du début jusqu’à la fin, ce qui tient le public en haleine, c’est cette enquête quasi policière pour tenter de dé couvrir dans le comportement, dans le re gard, dans les intonations d’autrui, dans les silences aussi, une vérité psychologique qui sans cesse fuit. A cette quête, nous parti cipons absolument. Jusqu’à la souffrance. Aussi bien le coup de revolver qui met fin, arbitrairement peut-être, à la croissante angoisse du héros vient-il au moment même où nous allions le tirer. Claude S a rrunte, in France Observateur, I o marzo 1962. Cette pièce de Pirandello, on ne l’avait en core jamais jouée ici. Pas plus que La ra i son des autres, Le jeu des rôles et beau coup d’autres qu’on nous annonce ici ou là, Dieu merci. Le vrai danger eut été de lim iter l’œuvre de Pirandello aux quatre classiques que, de D ullin à nos jours, les metteurs en scène se refilent. Pirandello est beaucoup plus ample qu’il ne paraît après ces quarante ans de découverte, d’ex ploitation. I l n’y a pas d’innovation technique dans le théâtre de Pirandello. Il y a Pirandello, une voix, un ton, une façon d’exprimer ce que nous sentons tous; façon fo rt particu lière, en effet, grâce à quoi il peut dès maintenant s’inscrire parmi les auteurs dra matiques qui marquent bien plus qu’une génération. On ne sait comment date de 1934. C’est l’avant-dernière pièce de Pirandello. I l mar chait sur sa lancée. Ce qu’il dit là, il l’a déjà dit ailleurs, mais différemment, avec le même secret, la même retenue. L ’intéresse toujours le problème de la responsabilité humaine. Son théâtre est de rumination. Le ruminant ici c’est un homme qui a tué. Ce qui prend ici les apparences de l’an goisse et qui le mène au bord de la folie, c’est son désir de prouver que ce qui lui est arrivé, il ne sait comment, pourrait ar river aussi bien à quiconque. De cette né bulosité de la conscience naît l’épaisseur Dans cinq ans, on fêtera le centenaire de Pirandello. Non seulement il n’est pas au purgatoire des écrivains, mais son œuvre peut encore retenir jeunes compagnies et jeunes spectateurs. Dans les neuf gros vo lumes (plus de quarante pièces de son « Théâtre complet »), dont la publication vient à peine de s’achever en France, on peut encore faire de précieuses décou vertes comme cet On ne sait comment, que l’on vient de créer chez nous. Mieux: Pi randello n’a peut-être pas encore pris pour nous sa véritable taille, celle d’une sorte de génie qui connaissait aussi bien les sor celleries du théâtre que les sorcelleries de l’âme moderne et qui savait les conjuguer. On ne sait comment, son avant-dernière œuvre, date de 1934. Cinq personnages (deux couples plus un homme jeune), et l’action, d it le texte, se passe « de nos jours ». Je ne sais pourquoi le metteur en scène et le décorateur l’ont rejetée vers 1913, ce qui nous vaut deux décors, des costumes, des chapeaux ravissants de M. André Acquart, mais dans un style qui conviendrait mieux à d’Annunzio qu’à Pi randello, et dont le pittoresque s’accorde mal avec la mise en scène dépouillée de tragédie moderne, de M. Jean Tasso. En fait, la pièce s’accommoderait aussi bien des costumes de 1962, parce qu’elle se passe dans un lieu intérieur qui est la cons cience du comte Romeo Daddi. En fait, quatre sur cinq des personnages sont en quête d’une conscience qui les amè nera à la vraie vie, d’une étoile polaire « si petite, si petite qu’on la voit à peine », comme celle qui permettait aux marins de se diriger avant la boussole. Ils ne se ré veillent, et nous avec eux, qu’à l’instant ou Romeo, en avouant ou en feignant d’avouer un crime innocent, oblige Giorgio à le tuer — innocemment. Œuvre admirable et profonde, tendue dès les premiers instants à la fois par la lo gique et par la passion. Œuvre austère, bien sûr, parce qu’elle est beaucoup plus dépouillée d’action extérieure, de circons tance, d’incidents, de pittoresque et de surprises que les autres pièces de Piran dello, comme si le vieux maître, avant de mourir, avait voulu donner ici la forme la plus sobrement tragique et, dans sa der nière pièce, Les géants de la montagne, la forme la plus mythologique, de son génie. Robert Kanters, in L ’Express, I o marzo 1962. BIBLIOGRAFIA PIRANDELLIANA Abirached R. - Retour à Pirandello, in Etudes, n. 296, 1958. A lte r A. - Pirandello délivré, in Terre Piumaine, n. 5, mai 1951. Balmas E. - Le Théâtre de Pirandello, in Le Se meur, 1951-1952. Baratto M. - Le Théâtre de Pirandello, in Pré sences contemporaines. Théâtre, Paris, Nouvelles Editions Debresse (s.i.d.). Baratto M. - Réalisme et poésie au théâtre; le théâtre de Pirandello, in Conférences du Théâtre des Nations (1957-1959), Entretiens d’Arras 1958, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique (s.i.d.). 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L A P A N C H I N A UN ATTO D I E Z IO D ’ E R R IC O UN VECCHIO UN GIOVANOTTO UNA RAGAZZA UN OMETTO UN CIECO UNA PASSEGGIATRICE MITE La scena è ridotta a un albero stecchito e a una panchina. I personaggi immobili o quasi, le battute, sim ili a quelle di un monologo, si incastrano luna nell’altra seguendo un ritmo analogico. Si tratta di mostri (ma non lo sanno). Aspettano l ’apocalisse senza farne un dramma, anzi con indifferenza, per non dire che psicologicamente vi collaborano. Gente che s’è incontrata per caso, ma forse, come dice un personaggio, « vivevano insieme da sempre ». Tutto è imprevedibile in questo Atto Unico, esempio evidente di « opera aperta », la quale perciò consente interpreta zioni multiple. La Ragazza miope, rassegnata ma anche ostinata, potrebbe infatti far pen sare a una certa borghesia un po’ ottusa ma pateticamente decisa a resistere. I l Giova notto « che non riusciva a convincersi di dover morire », sembra l ’innocente vittima di un fato imperscrutabile. In quanto a Mite, può essere una forza incontrollata della natura come l'oscura e irrazionale nemesi della lunga ribellione covata dal padre. Nes suno ci può vietare una qualunque di queste spiegazioni, nemmeno l ’autore che non ha maggior voce in capitolo dello spettatore o del lettore. E ’ questo uno dei canoni del Tea tro dell’Assurdo che sempre più si afferma all’estero, e di cui Ezio d’Errico è, in Italia, l’unico autorevole se pur inascoltato profeta. ma. Giganteggia sulla scena un albero nodoso dalla corteccia biancastra, potato di recente, che alza i suoi moncherini contro il cielo di piombo. Sotto l’albero una rustica panchina. Qua e là qualche sedia di ferro semi-arrugginita, di cui una capo volta. Nel fondo una scarpata brulla, praticabile a mezzo di un viottolo serpeggiante che la scavalca. All’inizio del viottolo, un tubo di ghisa regge un cestino metallico per metà ripieno di cartastraccia. Dietro il terrapieno si presume ci sia uno spiazzo dove dei bimbi giocano, perché a tratti giunge una cantilena di girotondo. A una estremità della panchina è seduto un vec chio che sembra una statua di gesso. Il resto del sedile è occupato da un giovane con un imper meabile chiaro. Il giovane, che è sdraiato scompo stamente, con una gamba ripiegata e un braccio che penzola, dorme con la bocca semiaperta, e se un giornale, per terra, non permettesse di sup porre che egli è stato colto dal sonno mentre leg geva, potrebbe sembrare il cadavere di un assas sinato. In apertura di velario, immobilità, silenzio e la cantilena infantile. Poi dalla destra entra una ragazza con grossi occhiali da miope. Veste con eleganza un po’ goffa. Non è né brutta né bella e ha un’espressione rassegnata ma anche ostinata. La ragazza avanza piano, guardandosi intorno con l’attenzione diffidente dei miopi. In una mano ha l’ombrello, nell’altra una grossa borsa di canapa intrecciata. Si ferma incerta, poi scopre la pan china, vi si accosta e scruta il dormiente. L’esame deve essere stato favorevole, perché dopo un’oc chiata distratta alla statua del vecchio si dirige verso una sedia, la tocca, s’accorge che è bagnata. Va verso un’altra sedia e fa la stessa constata zione. Finalmente rialza quella capovolta, e dopo essersi assicurata che è asciutta, la trascina a un metro dalla panca, siede, cambia gli occhiali infor candone un altro paio che estrae dalla borsa in sieme a un libro, e si mette a leggere. La cantilena del girotondo finisce in uno scoppio di acute voci infantili. Il giovanotto, risvegliato di soprassalto, si drizza a sedere fronte al pubblico, sbadiglia, raccatta il giornale, e con l’aria imbron ciata di chi non è ancora desto del tutto, si mas saggia un braccio intorpidito. Ragazza (fra i denti) — Meno male. I l Giovanotto le lancia un’occhiata di traverso. Ragazza — Scusi sa, ma lei quando dorme è im pressionante. (Sorridendo) Naturalmente non ne ha colpa. Giovanotto — Impressionante come? Ragazza — Voglio dire che il suo modo di giacere è un po’ macabro. Giovanotto — Nessuno le impediva di voltarsi dal l’altra parte. Ragazza — E’ vero, ma i giardini sono un luogo pubblico e la sua morte apparente rientrava nel paesaggio. Non potevo rifiutarla. Il Giovanotto prende tempo a rispondere cercando le sigarette in tutte le tasche. Ragazza (rimettendosi a leggere) — Naturalmente sono più lieta per lei e per tutti che si tratti di sonno. Un sonno spiegabile con i primi tepori primaverili. Il Giovanotto che finalmente ha trovato le siga rette volge uno sguardo al cielo plumbeo. Ragazza (alzando gli occhi) — Già... il cielo non è precisamente azzurro, ma il calendario non può sbagliare. Oggi è il ventuno marzo, San Benedetto abate... col relativo proverbio sulle rondini. Giovanotto (con un sogghigno) — Lei aspetta le rondini? Ha voglia di aspettare... (Facendo il gesto di manovrare uno spruzzatore) Piff... Piff... Ragazza — Che significa? Giovanotto — Antiparassitari... Niente più mosce rini e perciò niente più rondini. EZIO D’ERRICO Ragazza — Peccato. Soprattutto per i poeti. (Lieve pausa) Ma gli scienziati inventeranno qualche altra cosa. Giovanotto (che ha acceso la sigaretta) — Le ron dini di fibra sintetica. Ragazza — Perché no. D’altronde anche i poeti de vono pagare il prezzo del progresso e della civiltà. Sarebbe troppo comodo avere tutto. Le rondini e la calcolatrice elettronica. Giovanotto — In ogni caso lei non cerca rondini... Ragazza —- No, cerco marito. Giovanotto — Ai giardini? Ragazza — Dovunque. Ho diviso la città in settori. Oggi toccava ai giardini. I l Giovanotto fuma in silenzio. Ragazza — Scandalizzato? Giovanotto — Non è la parola esatta. Ragazza — Insomma le dà un certo fastidio che una ragazza dichiari francamente di cercar marito. (Lieve pausa) A me sembra un’aspirazione onesta. Prima il diploma, poi un discreto impiego, e final mente un marito. Non che ci pensi dal mattino alla sera. Soltanto la domenica. Gli altri giorni mi basta il lavoro... che mi dà molte soddisfazioni. Giovanotto — A me no. Ragazza — Lei è celibe? Giovanotto — E me ne trovo bene. Ragazza — Non si illuda. Contrariamente a ciò che si crede, la donna può anche vivere sola, l’uomo no. L’uomo ha bisogno di qualcuno che gli spaz zoli le speranze e gli rammendi le inevitabili ma linconie. (Lieve pausa) E poi, quando nascono i figli che cosa potrebbe fare l’uomo da solo? Giovanotto — Se l'uomo resta solo i figli non nascono. Ragazza — Evidentemente, ma ciò è contro le leggi della natura e contro i precetti della religione. (Lieve pausa) Non lo dico perché ho uno zio Vescovo. I l Giovanotto visibilmente annoiato guarda nel vuoto. Ragazza —• Non supponga che mio zio sia uno di quei prelati arcigni e intransigenti. Tutt’altro. E’ un uomo di larghe vedute e mi ha lasciato libera di regolarmi secondo coscienza. Avrebbe desiderato che mi diplomassi in radiostereofonia, ma quando gli ho detto che mi mancava la vocazione, si è limitato ad allargare le braccia e ha mormorato : « Meglio una buona moglie che una cattiva radio stereofonica ». Giovanotto (dopo un silenzio) — Perché non sposa un collega d’ufficio? Ragazza —■ Perché sono tutti coniugati. I l Giovanotto fa un gesto di desolazione. Ragazza — Ma questo non importa. Di che cosa si stava parlando? Ah, dei bambini. Bene. Checché lei possa pensarne, i bambini ci vogliono; sono la poesia della vita. Di là del terrapieno scoppia un gridio nei toni di un litigio infantile dal quale emerge una voce più acuta. Voce infantile (fuori scena) — Cornuti! Bastardi! Sì, bastardi! Mite scende di corsa giù per il viottolo, voltandosi ogni tanto come per tema d'essere inseguita. Attor no a lei vola qualche sasso lanciato di dietro la scarpata. Mite (fermandosi ansante) — Bastardi! (Sputa verso gli invisibili avversari poi va a sedere sulla panca, fra il Vecchio che non si diparte dalla sua immobilità e il Giovanotto che si volta appena a guardarla). Mite, che ha la voce e gli atteggiamenti di una bimba di cinque o sei anni (ma senza mai bam boleggiare) in realtà è un'adolescente pìccola di statura ma dal corpo procace. Veste poveramente e il viso rivela che si tratta di una minorata psi chica; ma gli occhi sono belli e il sorriso quasi provocante. Ragazza (al Giovanotto) — Lei è impiegato? Giovanotto — Come? Ah, sì, naturalmente. (Guarda ancora di sfuggita Mite). Ragazza — In che ramo? Giovanotto — Bancario. Mite d’improvviso incomincia a zufolare l’Inno di Garibaldi, ma s’interrompe dopo la prima strofa come il merlo quando ha esaurito il suo repertorio. Poi si volge al Vecchio. Mite — Pa’... ho fame. Il Vecchio cava di tasca un piccolo involto, e senza parlare lo porge a Mite che lo svolge, ne estrae una pagnottella, va con un certo sussiego a gettare la carta nel cestino, poi ritorna sulla panca, si acco vaccia come una scimmietta sulla spalliera e inco mincia a masticare, non senza prima aver rivolto un sorriso al Giovanotto. Ragazza — Come le dicevo, mio zio è un eccle siastico molto moderno. Ed è anche una persona di gran cuore. Quando gli dirò che mi sposo sarà felicissimo di celebrare le mie nozze. I l Giovanotto seguita a fumare in silenzio. Ragazza — Naturalmente il matrimonio celebrato da un Vescovo diventa un po’ impegnativo. Dovrò farmi un abito con lo strascico. Uno strascico piut tosto lungo... e lo sposo in tight. (Lieve pausa). Lei magari il tight non ce l’ha? Giovanotto — E non me lo farei neanche se mi nominassero ministro. Ragazza —■La ritiene una spesa superflua? Ma un tight può sempre servire... Cerimonie, ricevimenti, congressi, simposi, riunioni mondane... Sono certa che il direttore della sua banca ha il tight. Un po’ fuori moda magari. Mite tocca la spalla del Giovanotto e quando questi si volta gli sorride. Ragazza — Comunque io ho pianificato il mio avvenire. Matrimonio con l’abito bianco e stra scico. Breve viaggio Firenze-Roma-Napoli. Sono già socia dell’Alleanza Cooperativa e avrò diritto a tre camere più i servizi, termobagno e ascensore, pa gabili a rate con mutuo venticinquennale. Desidero almeno due figli, un maschio e una femmina. Scuole pubbliche e insegnamento religioso. Ere- LA PANCHINA quenti passeggiate, qualche visita ai Musei, qual che concerto, dieci giorni in montagna d'estate... Mens sana in corpore sano... Così si tutela il patri monio biologico, si dà il proprio contributo alla formazione della classe dirigente di domani e... Mite esplode in uno sberleffo sonoro e crepitante. La Ragazza s'interrompe. Ripone nella borsa il libro e gli occhiali di lettura, inforca gli altri, si alza, si avvicina a Mite e con tutta calma le ap pioppa mio schiaffo. La deficiente lascia cadere il panino e scoppia in un pianto acuto spalancando la bocca come un forno. I l Vecchio resta impas sibile. Ragazza {al Giovanotto) — Spero di rivederla in un’occasione meno incresciosa. (Accenna un pic colo saluto col capo ed esce impettita per la destra). Uscita la Ragazza, Mite smette di piangere e sor ride al Giovanotto. Giovanotto {al Vecchio) — Mi dispiace... Il Vecchio si gira lentamente a guardare il Giova notto come se solo allora si fosse accorto della sua presenza. Poi ritorna a fissare il vuoto. Giovanotto — ... per quello che è successo. Vecchio {senza muoversi) — Non si preoccupi. Mite c’è abituata. Anche quando gioca coi bambini non fa che dare schiaffi e prenderne. Giovanotto — Le assicuro che non me lo aspettavo. Vecchio — Le reazioni umane sono spesso impre vedibili. Giovanotto — Lei è molto comprensivo. Mite, visibilmente annoiata, scende dalla panchina, risale il sentiero e giunta a mezza strada si acco vaccia coi gomiti sulle ginocchia e il viso poggiato alle palme osservando di lassù i due uomini. Giovanotto (dopo una pausa) — E’ una sua pa rente? Vecchio — E' mia figlia. Giovanotto — Ah... (Lieve pausa) Molto giovane. Vecchio — Quindici anni. Giovanotto — Quindici? {Pausa) Una... malattia? Vecchio — No... Si è fermata {picchiandosi la fron te con un dito) qui... Si è fermata a cinque anni. Mite {dal suo osservatorio grida) Ehi! {Il Giova notto si volta e la deficiente gli lancia un baciò sulla punta delle dita). Giovanotto — Si è fermata a cinque anni? Pove retta. Vecchio — Non soffre. Giovanotto — Be’, è sempre una disgrazia. Per la famiglia voglio dire. Vecchio —■Sono vedovo. Giovanotto — Ah... Ma anche per la ragazza... Vecchio — La natura è provvida. Toglie la luce ma illumina l’oscurità. Un silenzio. Giovanotto — E i medici che cosa dicono? Non hanno tentato... Vecchio — Tutto... Veleni, microbi, ormoni, anti biotici, sieri, elettricità... Tempo sprecato! Giovanotto — Lei non ha pensato di ricoverarla? Vecchio — Dove? Al Manicomio non c’è posto. Ci vorrebbero delle raccomandazioni. E poi se non ci sono io, fracassa tutto. Si ribella, grida, morde e bisogna legarla. (Lieve pausa) Non mi piace che la leghino. (Altra pausa) Con me invece sta tranquilla. Ha i suoi stracci, i suoi nastri coi quali si ma schera... Tutt’al più rubacchia piccoli oggetti che poi nasconde e dimentica. Giorni fa è scomparsa la mia pistola. Chissà dove l’ha messa... Giovanotto — Una pistola? Vecchio — Oh, un vecchio catenaccio del tempo in cui prestavo servizio. Giovanotto — Era militare? Vecchio — No, guardia notturna. Ho scelto quel l'occupazione perché soffrivo d’insonnia. (Lieve pausa) La pistola era obbligatoria come il berretto con la visiera e la bicicletta. Giovanotto — E girava tutta notte? Vecchio — Incollando talloncini alle saracinesche dei negozi. Ma avevo la giornata libera e così potevo leggere. La lettura è stata sempre la mia passione dominante. Giovanotto — Ah... E che cosa leggeva? Vecchio — Libri anarchici, opuscoli di propaganda, giornali libertari. (Lieve pausa) Sono anarchico individualista. Giovanotto — E la notte difendeva la proprietà privata. Vecchio — Attaccavo soltanto dei talloncini. Mi pagavano per quello. (Lieve pausa) Del resto sono un teorico. Naturalmente non disapprovo l’azione diretta, ma la violenza non è la mia specialità. Mi piace l’idea anarchica in senso astratto. La gente non può capire la bellezza di un’utopia... Giovanotto — Infatti lo confesso che anch’io... Vecchio — Non riesce a capire? Perché ha un cer vello. Col cervello si possono fare dei calcoli, degli affari, magari delle grandi scoperte scientifiche... Ma provi a sentir la musica col cervello. Lo stesso avviene per molte altre cose. Giovanotto — E lei pensava a quelle altre cose percorrendo la città di notte? Vecchio — Sì. Giovanotto {sorridendo) — Mi piace. {Come a se stesso) Chilometri di strade, piazze illuminate dalla luna... oppure nebbia, silenzio... Tutti dormono tran quilli perché c’è un anarchico individualista che veglia... Vecchio — E attende. Giovanotto — Che cosa? Vecchio — I bombardamenti. Infatti sono venuti. Ho visto andar giù la città a pezzi. E io attaccavo i talloncini alle macerie. {Lieve pausa) Coi bom bardamenti le case hanno mostrato la loro inte laiatura di castelli medioevali... La loro vera ani ma. {Pausa) All’alba raccontavo queste cose alla mia compagna... Giovanotto — La madre di quella ragazzina? Vecchio — Sì. L’unica donna che ho amato. Era completamente sorda, e potevo parlare con lei senza avere la necessità di discutere e l’amarezza di non essere compreso. Io parlavo e lei mi sorri deva dolcemente. Era un tempo felice. Giovanotto — Be’, ora è pensionato... riposa... Vecchio — Pensionato sì, ma non riposo perché penso. (Con un gesto orizzontale delle mani) Quan- EZIO D’ERRICO do andrò sotto terra non penserò più e allora riposerò. Finalmente. Giovanotto — Le sembrerà strano, ma io non riesco a convincermi di dover morire. Vecchio — Non è strano. E’ un trucco della na tura. Ma senza la morte, la nascita non avrebbe senso. (Lieve pausa) Anche il mondo morirà. Voglio dire che sarà distrutto. Persone molto intelligenti studiano notte e giorno a questo scopo. Io non ne vedrò il risultato. Lei forse sì. Giovanotto — Crede che non si possa far niente per impedirlo? Vecchio — Credo che non si debba impedirlo. Mite scende dal viottolo e va a sedere fra il Vec chio e il Giovanotto atteggiandosi in una posa in genuamente mondana. Giovanotto (dopo un’occhiata alla deficiente) — E’ come... come se vivesse fuori. Vecchio — Vive fuori. (Lieve pausa) Nel suo Para diso terrestre. I l Giovanotto guarda involontariamente l'albero. Mite accavalla le gambe e lentamente alza la sot tana fino agli inguini, mostrando una coscia al Giovanotto. Pacatamente il Vecchio le abbassa la veste. Giovanotto (fingendo indifferenza) — La porta spesso ai giardini? Vecchio — Tutti i giorni, quando fa bel tempo. {Pausa) E’ un posto tranquillo, poco frequentato e anche comodo. {Accennando con un gesto) Abi tiamo laggiù... {Lieve pausa) Mite si è affezionata a questa panca... Giovanotto (sorridendo) — Mite... Un bel nomemansueto, dolce... Vecchio — Sì... E' il diminutivo di Dinamite. Giovanotto — Ah... Voci gioiose di bimbi (fuori scena) — Mite... Mite... La deficiente si alza e risale correndo il viottolo fino a scomparire dietro la scarpata brulla. Giovanotto {che l’ha seguita con lo sguardo) — Va a giocare... Vecchio — Sì. {Pausa) Coi bimbi gioca. {Altra pau sa) Con gli adulti è diverso. {Un silenzio) Non si rende conto... e c’è chi ne approfitta. {Pausa) Quasi sempre uomini sposati. Giovanotto — E lei non ha sporto denunzia? Vecchio — A che serve? {Pausa) E poi bisogna raccontare tutto, citare testimoni, interpellare il medico per la visita... E’ ripugnante. {Pausa) Per mia figlia sono cose innocenti come mangiare o dormire. Dovrebbe essere così anche per gli altri. {Pausa) Certo un tempo lo era... Poi, non so quando e non so chi, e in base a quali leggi... Insomma, hanno sporcato tutto. I l Giovanotto guarda ancora l’albero coi monche rini protesi verso il cielo di piombo. Dalla sinistra entra un Ometto che fuma la pipa. E’ infagottato in un maglione logoro sul quale indossa una giacca troppo corta. I l suo corpo è gracile, il viso giallognolo e grinzoso. In capo ha una bombetta. Ometto (togliendosi cerimoniosamente il cappello) — Salute! Vecchio — Come va? Ometto — Va... {Alzando gli occhi al cielo) Quando ero giovane, alla domenica c’era sempre un po' di sole per i nullatenenti. {Siede fra il Vecchio e il Giovanotto). Vecchio — Sei stato alla C.R.AJSLI.C.? Ometto — Ieri. Vecchio —• Buone notizie? Ometto — E chi ci capisce niente? Gridano al tele fono, campanelli suonano da tutte le parti, gente arriva e se ne va sbatacchiando le porte. Un casino. Vecchio {al giovanotto) — Gli hanno promesso un buon impiego. Giovanotto — In una ditta? Vecchio — In una sigla... C.R.A.N.I.C.... ci, erre, a, enne, i, ci. Ometto — Una sigla molto importante, con filiali in tutto il mondo e capitale interamente versato... una filza di zeri... Giovanotto — E che attività dovrà esplicare in quella sigla? Ometto (con sussiego) — Vicefattorino. Con l’uni forme, perché senza uniforme non accetto. Vecchio — Io sarei meno esigente. {Al Giovanotto) Che cosa ne dice? Giovanotto — Non saprei. Dipende dalle mansioni alle quali sarà addetto. Ometto {in tono bizzoso) — Vicefattorino! Sei mesi di prova e poi in pianta stabile. Giovanotto — Va bene. Ma quali saranno i suoi incarichi? Ometto — E chi lo sa? E' un mestiere che non ho mai fatto. Giovanotto — Ma il fattorino che cosa fa? Ometto (con un sospiro di sopportazione) — Non c’è. Giovanotto —■E allora perché assumono un vice fattorino? Ometto — Per pagarlo meno. Vecchio {all'Ometto in tono conciliante) — Dopo due anni, in base al contratto sindacale, devono promuoverti fattorino. Due anni passano presto. Ometto (stringendosi nelle spalle) — Ne sono pas sati dieci. Vecchio — Be', quella era un’altra faccenda. Ometto — E' sempre la stessa faccenda. Non cam bia niente. Ma io voglio l’uniforme. I l Vecchio allarga le braccia desolato. Un silenzio. Mite riappare sul viottolo, scende sal tellando, va a prendere la sedia che occupava la Ragazza miope, la sposta avvicinandola al Giova notto e siede accavallando le gambe nel solito atteg giamento un po’ puerile da gran dama. Ometto {al Vecchio) — Come si è comportata? Vecchio — Non c’è male. Oggi s’è fissata con quel giovanotto. Ometto — Questo? Che cos’ha? Vecchio — Non lo so... l’avrà trovato simpatico. L’Ometto squadra il Giovanotto come per misu rarne il fascino. Giovanotto {un po' infastidito alzandosi) — Be’... io devo andare... LA PANCHINA Vecchio — No, per favore. Aspetti che sia ritor nata a giocare. Ometto — Se no è capace di correrle dietro e di fare una scenata. Vecchio (al Giovanotto) — Mi scusi. Giovanotto (rimettendosi a sedere) — E va bene. Ometto (in tono euforico) — Se la goda questa panchina. (Lieve pausa) Ma forse è la prima volta che ci viene... Giovanotto — Infatti. Ometto — Allora, non può apprezzare. Giovanotto — Be'... Ometto — No, no, se lo lasci dire da chi è pratico. I giardini sono le isole della città, e le panchine gli scogli. Ogni tanto arriva un nuovo naufrago. Nuovo per modo di dire, perché a lungo andare ci conosciamo tutti. Dalla destra entra un giovane alto, vestito con ele ganza provinciale. I l giovane ha i capelli ondulati lucidi di brillantina, grossi occhiali neri, e cam mina un po’ sbilanciato all’indietro tastando il ter reno con un bastone. Quando il Cieco è giunto vi cino alla panca, la deficiente per tema di buscare una bastonata schizza via e va a sedere per terra davanti al Vecchio, fronte al pubblico. I l Cieco, constatato che la sedia è vuota, siede. Mite lo osserva attentamente, poi sorride al Giovanotto come per rassicurarlo. Cieco (al Giovanotto) — Scusi... c'è una donna? Giovanotto — Come? Cieco — Le ho chiesto se qui vicino c’è una donna. Giovanotto — No. Cieco (annusando l’aria) — Mi sarò sbagliato. Fuori scena un vocio gioioso. Si ode gridare: « I l palloncino, il palloncino! ». Tutti, meno il Cieco, alzano il viso e seguono con lo sguardo qualche cosa. Probabilmente il palloncino sfuggito di mano a un bimbo. Vecchio (a Mite dandole una moneta) — Tieni... va a vedere se c’è l'uomo dei palloncini... Mite con un piccolo grido di gioia prende la mo neta, s’inerpica per il viottolo e scompare. Vecchio (alzandosi) — Ecco fatto. Ora vado a rag giungerla e usciremo dall’altro ingresso. (Al Giova notto) Mi scusi ancora. (All'Ometto) Auguri per l’uniforme. (Se ne va un po’ curvo per il fondo). Giovanotto — Arrivederla. Ometto (con un gesto vago) — Salute! (Poi si spo sta sulla panchina mettendosi dov’era il Vecchio). Ometto (al Giovanotto) — Si faccia più in qua. (Al Cieco) C’è posto anche per lei. Giovanotto (spostandosi) — Io debbo andare... Ometto — Ma dove vuol trovare una panchina più comoda? (Appoggiandosi alla spalliera e fu mando a piccole boccate) E se non verrà il sole qui, andremo da Matusalemme. Conosce la pan china di Matusalemme? Giovanotto — No. Ometto (indicando un punto lontano a destra) — Quella laggiù... C’è sempre un gatto randagio, vec chissimo. E’ un gatto rosso, guercio da un occhio e senza coda. Lo chiamano Matusalemme. (Ridac chiando soddisfatto) I gatti sono animali saggi, riflessivi ed esperti in meteorologia. Dove va un gatto, presto o tardi arriva il sole. Cieco (al Giovanotto) — Era una bambina? Giovanotto — Chi? Cieco — Quella che è andata a comperare il palloncino. Giovanotto (sbuffando) — Sì. Cieco — E’ la prima volta che mi sbaglio. Giovanotto (all’Ometto) — E prima d’essere aspi rante vicefattorino che cosa faceva? Ometto — Stavo in carcere. (Lieve pausa) Fabbri cavo canestri. Canestri senza fondo. Per dieci anni ho intrecciato canestri senza fondo. Giovanotto — Dieci anni? Ometto — Sono passati in un soffio. Giovanotto — Sempre intrecciando canestri? Ometto — Senza fondo. E’ un lavoro interessante. Lei sa come s'intreccia un cesto di vimini? Giovanotto — Molto vagamente. Ometto — Ci sono vari modi. A spina di pesce, a trecce, a maglia verticale... Ero diventato abilis simo. I miei canestri erano i migliori. (Aiutandosi coi gesti) Larghi d’imboccatura e poi rigonfi, e giù giù sempre più affusolati come i fianchi di una donna. Il Direttore era molto contento di me e mi citava come esempio. Purtroppo ho voluto strafare. E’ stato il mio torto, lo riconosco. Volevo che il canestro avesse un fondo. Ma il capoguardia, che non mi poteva soffrire, si appellò al regolamento. Un regolamento antichissimo, che non prevede il fondo nei canestri. Giovanotto — E perché? Ometto — Non so. I regolamenti non si discutono. Giovanotto — Ma a che cosa serve un canestro senza fondo? Ometto — A tener occupato il detenuto. (Lieve pausa) Il Direttore per accontentarmi inoltrò un rapporto alla Direzione Generale degli Stabilimenti di pena, facendo presente il caso di un detenuto che voleva fabbricare il fondo ai canestri. La ri sposta fu che non si poteva derogare dal regola mento. Quando il Direttore mi lesse il comunicato della Direzione Generale, il capoguardia stropic ciandosi le mani disse che era giustissimo e che io ero un sovversivo. Allora gli detti dell’imbecille. Lui mi sferrò un calcio e io gli infilai un canestro in testa. (Lieve pausa) Altri due anni. Giovanotto — Come? Ometto — Mi hanno processato e ho avuto altri due anni per insubordinazione e vie di fatto. L’av vocato invocò le attenuanti della provocazione, ma siccome ero recidivo specifico... Giovanotto — Ah perché lei già un’altra volta... Ometto — E’ una storia lunga. La prima condanna l ’ho avuta quando ero militare. Un anno di carcere per aver venduto due scatolette di carne della dotazione di guerra. A me la carne in scatola non piace e volevo comperare delle sardine. Poi, sem pre per baruffe con gli agenti di custodia, ho segui tato ad accumulare condanne, e invece di un anno ne ho fatti dieci. EZIO D’ERRICO Cieco — Scusi se m’intrometto. Lei è stato dieci anni in carcere? Ometto — Per essere precisi, nove anni, dieci mesi e quattordici giorni. Cieco — E quanti anni ha? Ometto — Adesso trentadue. Cieco — E per nove anni, dieci mesi e quattordici giorni, gli unici fianchi femminili che ha avuto sotto le mani sono stati quelli dei canestri? Ometto — Naturalmente. Che cosa ci trova di strano? Cieco — Io niente, ma... quando è uscito e si è trovato con una donna vera... Ometto — Air... be’, la prima volta è stato diffìcile... Poi ho escogitato un trucco. Mi bastava pensare a un canestro. (Ride). Voce del Vecchio (fuori scena) — Mite! Vieni qui! Mite! Dal viottolo scende a precipizio Mite che ha un palloncino rosso legato con un filo al polso. Si avvicina al Giovanotto, gli stampa un bacio sulla bocca, poi fugge mentre ancora si odono i richiami irosi del Vecchio. Cieco — Anche questa era una bambina? Giovanotto (a denti stretti) — Sì. Cieco — Mi scusi. Giovanotto (all’Ometto) — Comunque adesso è libero. Ometto — Che significa? Giovanotto — Voglio dire che può fare quello che vuole. Anche i fondi ai canestri. Ometto — Sì, infatti... Avrei voluto cercare un la voro del genere. Ma ora i canestri li fanno a mac china, in materia plastica. (Lieve pausa) Non do vrei mai parlare di queste cose. Mi rattristano. Giovanotto — Mi dispiace se involontariamente... Ometto — No, lei non c’entra. Anche da solo ci penso spesso, e la notte sogno canestri. Cieco (come fra sé) — Io sogno donne... Ometto (illuminandosi e indicando un punto lon tano a destra) — Guardi! Giovanotto (guardando) — Che c’è? Ometto (alzandosi) — Un barlume di sole sulla panchina di Matusalemme. Bisogna approfittarne. Con permesso... (Si avvia tutto proteso verso destra voltandosi ogni tanto a far cenno che si tratta davvero di un raggio di sole, finché scompare). Un silenzio. Cieco (in tono di complicità) — Ora me lo può dire... Quella che è venuta a baciarla, era una donna? Giovanotto (con un sospiro) — E va bene. Era una donna. Cieco — Giovane? Giovanotto — Giovanissima. Cieco (soddisfatto) — Non mi sono mai sbagliato. Giovanotto — Le sente al fiuto. Cieco — Le sento in tutti i modi. Giovanotto — E non può mai averle. Cieco —■ Io? Ne ho quante ne voglio. Intanto ne ho una stabile, e poi, quando capita... Giovanotto — Ah... una stabile? Cieco (sorrìdendo) — Sì, ora dorme. (Con molta serietà) Sono uscito appunto per lasciarla ripo sare. Ne ha diritto. Lavora tutta notte. Giovanotto —- Che genere di lavoro? Cieco — Lei è maggiorenne? Giovanotto — Abbastanza. Cieco — E non capisce? Giovanotto — Ah... Cieco (con un sospiro) — Ma non si vive di solo pane. Perciò fantastico, sogno... Cosa vuol farci, ognuno nasce in un certo modo. E le donne sen tono l’attrazione verso un certo tipo di maschio. Giovanotto — Capisco. (Pausa) E mentre la sta bile dorme, lei... Cieco — Le guardo il posto. Giovanotto — Quale posto? Cieco — Questa panchina. E’ molto ricercata sa? Perché non ci sono fanali per un raggio di due cento metri. Giovanotto (girando gli occhi) — E' vero... Cieco — Bisogna stare attenti alla concorrenza. E questa è l’ora più pericolosa. Verso sera inco minciano ad arrivare le donne senza posto fisso che vogliono accaparrarsi la panchina. (Con una smorfia) Donne da quattro soldi... magari vecchie che dovrebbero decidersi a smettere di lavorare. Dalla destra è apparsa la Ragazza con gli occhiali e la borsa di canapa. La Ragazza si ferma un po’ indecisa. Cieco (sussultando) — C’è una donna! Giovanotto (voltandosi) — Niente paura. La co nosco. Ragazza — Disturbo? Cieco (al Giovanotto) — Ah, è per lei? (Alzandosi) La lascio. Giovanotto — Può rimanere... Cieco — Per carità, sono un gentiluomo. (Alla Ra gazza) Si accomodi, signorina... (Al Giovanotto) Arrivederla... (Via per la sinistra tastando il ter reno col bastone). Ragazza (avanzando) — Forse arrivo male a pro posito... Giovanotto (accendendo una sigaretta) — Che dice mai... Ragazza (andando a sedere sulla panchina) —• Mi spiace aver interrotto la conversazione. (Pausa) Da quando me ne sono andata ha sempre chiacchie rato con quel cieco? Giovanotto — No, prima c’era un fabbricante di canestri. Lei sa come si intrecciano i canestri? Ragazza — No. Giovanotto ■ — E non ci tiene a saperlo... Fa male. Ci sono tante cose al mondo delle quali non ab biamo la minima idea. Poi un bel giorno, su uno scoglio... pardon, su una panchina, s’incontrano dei mostri. (Sorrìdendo) Non pensi a esseri deformi... mostro viene da mostrare. (Lieve pausa) Ho detto s’incontrano, ma forse ci viviamo assieme da sem pre, senza saperlo. Ragazza — Ma scusi... Giovanotto (come a se stesso) — Forse ognuno di noi, a modo suo, è un mostro. E non lo sa. LA PANCHINA Ragazza — Non capisco... incomincia a tìngersi dei toni rossastri del tra Giovanotto — Anch’io l’ho capito solo oggi... Ep monto e sembra un grande coperchio arroventato. pure tutto ha una sua ragion d’essere. Ogni avve Dalla sinistra appare Mite che non ha più il pal nimento, anche il più piccolo, s’ingrana come una loncino legato al polso ma si è cinta la fronte con ruota dentata con altri avvenimenti, e tutti insieme un nastro rosa e si è appuntato alle spalle due formano una macchina che a un certo punto ci lembi di tulle bianco. può afferrare e stritolare. (Lieve pausa) Seguita a Mite prende l’estremità dei lembi di tulle e li sol non capire è vero? leva sicché sembrano delle ali, poi alzando un piede Ragazza (un po' imbarazzata) — Il fatto si è che si mette in posa come se stesse per spiccare il volo. la fabbricazione dei canestri... Di lontano, forse da una delle case sparse alla pe Giovanotto — ... senza fondo. riferia del giardino, giungono dei tocchi sfocati di Ragazza — ... senza fondo sia pure... pianoforte. E’ un Notturno di Chopin. I l regista Giovanotto — Non la interessa. Va bene. Non par regolerà il dialogo interpolandolo fra i crescendo liamone più. E nemmeno la interessano i ciechi e i pianissimo, in modo che questo sottofondo mu che si fanno mantenere dalle passeggiatrici perché sicale lo renda più fantastico. sono nati in un certo modo che fa impazzire le Mite (sommessamente) — Ehi... donne, e nemmeno le scatolette di carne che man Giovanotto (alzando il capo e sorridendo) — Ehi... dano un uomo in galera per dieci anni, e neanche Mite con una breve corsa raggiunge la panchina e Mite col suo Paradiso terrestre... Non voglio insi va ad appollaiarsi sulla spalliera. stere. Giovanotto —• Si può sapere di dove vieni? Mite — Sisst... (Sorride). Ragazza (un po' impressionata) — Signore... Giovanotto — Ancora fuori? A quest’ora... Giovanotto — Parliamo allora del suo matrimonio. Abito bianco e strascico, mettiamo lungo due me Mite — Se voglio, sto fuori fino a ieri. tri, tre metri, cinque metri... Bastano cinque me I l Giovanotto non risponde. tri? Viaggio di nozze. Firenze-Roma-Napoli; casa Mite — E posso passare attraverso dove e quando. Giovanotto — E tuo padre? della Cooperativa edilizia, figli maschio e femmina eccetera. In una parola... Medioevo! (Con un gesto Mite — Zitto! Mai parlare con gli altri. per impedire alla Ragazza d’interromperlo) Non Il Giovanotto tace come se temesse di turbare il ho finito. (Sorridendo) Facciamo l’ipotesi che suo mistero di quell’essere che forse vive in un’altra dimensione. marito sia un impiegato di Banca. Per molti anni continuerà a incolonnare cifre sopportando il suo Mite — Quelli di fuori piangono. (Sorridendo) Vuoi direttore che ha il tight ma è più noioso di una stare fermo con me? Giovanotto — Fermo come? mosca cavallina. Poi diventerà direttore anche lui Mite —■Molti anni fa. e affiderà la sorveglianza della banca a un vigile notturno che può essere un anarchico individua Giovanotto (come a se stesso) — Fermo nel Pa lista. Crede che cambi qualche cosa? No... sempre radiso terrestre... (Crollando il capo) Non lo merito. Mite (agita lievemente le mani poi con un piccolo Medioevo. grido ne strìnge una e l'apre lentamente davanti Ragazza — La prego... al viso del Giovanotto) — Hai visto? Giovanotto — Ancora un istante di pazienza. I suoi figli andranno a scuola e impareranno le stesse Giovanotto — Che cosa? balordaggini che abbiamo imparato noi. Poi par Mite — Cip... Cip... tiranno per la guerra cantando, per farsi sbudel Giovanotto (sorridendo) — Vorresti che la tua lare da sconosciuti che canteranno anche loro. Lo mano diventasse un nido? zio vescovo benedirà gli uni e gli altri, fino a che Mite (si stringe nelle spalle poi prende una mano del giovane) —• Perché non mi tocchi? qualcuno si deciderà a seminare tante di quelle Giovanotto (imbarazzato ritirando la mano) — Per bombe atomiche da ridurre il mondo a una palla ché... perché non devo. di cenere, e soltanto allora il Medioevo sarà finito Mite — Chi l'ha detto? una buona volta per tutte. Ragazza (alzandosi) — Ma insomma... Giovanotto — Già... non lo so... davvero non so Giovanotto — Insomma ha ragione la guardia not chi l’ha detto. Mite (in tono svagato c triste sul ritmo del piano turna. Non bisogna cercare di impedirlo. D’altro canto cambiare non si può perché il Medioevo è forte) — Tim... Tarn... Tum... Giovanotto (lentamente guardando nel vuoto) — più forte di noi. Lavoriamo nelle sigle, dove tutti gridano e i telefoni squillano, ognuno parla una Eppure sono certo che qualcuno lo ha detto... ma lingua incomprensibile, una panchina va difesa non so chi. come un fortilizio, i fianchi di un canestro diven Mite — Fra cento anni. tano eccitanti come quelli di una donna, lei non Giovanotto — Ecco, brava... fra cento anni. ha la vocazione per farsi radiostereofonica e Ma Mite (cambiando improvvisamente tono) — Hai tusalemme si scalda al sole. mai visto i morti? Io li ho visti. La Ragazza dopo aver indietreggiato atterrita man Giovanotto — Dove? da un piccolo grido e fugge per la sinistra. Mite (con un gesto dall’alto in basso) — Scium! I l Giovanotto butta via il mozzicone di sigaretta e Giù nel cortile. (Curvandosi dalla spalliera come si prende la testa fra le mani. I l cielo di piombo se la morta fosse davanti alla panchina) Aveva il EZIO D’ERRICO corpo nudo tutto bianco e gli occhi neri, grandi... Giovanotto — Chi era? Mite —• Non so. Viveva in camicia. Cantava sem pre... (Col solito gesto) Scium... Giovanotto — Non pensare ai morti. Mite (con uno dei soliti sbalzi d’umore si toglie il nastro rosa dalla fronte e lo porge al Giovanotto) —• Tieni... Giovanotto (prendendo il nastro) — Un regalo? Mite — No. Giovanotto (sorridendo) — Un ricordo? Mite — No. Giovanotto — Allora... è per dirmi... Mite — Sì. I l Giovanotto curva il capo, lentamente piega il nastro e lo ripone in una tasca dell'impermeabile. Giovanotto (con dolcezza) — Adesso devi ritornare a casa. Mite — Perché? Giovanotto — Perché è tardi. Mite — Chi aspetti? Giovanotto — Nessuno. Mite ride incredula. Giovanotto — Ti giuro che non aspetto nessuno. Mite — Ti giuro... {Ride piano). Giovanotto — Sai che cosa significa un giura mento? E' una promessa solenne. Se non la man terrò guai a me... (Sorride). Mite — Sì. (Si volge verso destra come in ascolto). I l suono del pianoforte cessa. Mite fa un cenno come per imporre il silenzio e scende dalla pan china. Voce lontana del Vecchio (fuori scena) — Mite... Mite! Mite bacia rapidamente il Giovanotto, poi fugge verso il viottolo. Si ferma ancora un istante con un piccolo gesto infantile di saluto e scompare. Voce più vicina del Vecchio — Mite... I l Giovanotto si alza e resta proteso verso il luogo dove Mite è scomparsa. Dalla sinistra è apparsa una Passeggiatrice piut tosto anziana dal viso rugoso che il trucco rende grottesco. La donna appare preoccupata e si volta come se temesse d’essere inseguita. Passeggiatrice (andando a sedere sulla panchina) — Permette? Il Giovanotto si volta a guardare l’ultimo mostro della sua vita. Passeggiatrice (con un sorriso umile) — La di sturbo? (Poiché il Giovanotto le ha girato le spalle e si è avviato) Senta... scusi. (Il Giovanotto si ferma e si volta) Resti soltanto un minuto. (Guardando spaurita a sinistra) Potrebbe arrivare da un mo mento all’altro... (Cavando dalla borsa una siga retta) Faccia finta di darmi del fuoco... Giovanotto (porgendo l’accendino acceso) — Mi dispiace ma non ho tempo. Passeggiatrice — Grazie... Le chiedo soltanto di fermarsi un minuto. Per piacere... (Guarda ancora verso sinistra). Giovanotto — Di che cosa ha paura? Passeggiatrice (sempre guardando verso sinistra) — S'è fermata... ha visto? Si metta a sedere un momento. Giovanotto (sedendo sulla panchina) — Ma di chi sta parlando? Passeggiatrice (sempre con occhiate sospettose nel crepuscolo che si addensa) — La Carla... Crede di farmi paura... (A denti stretti) Lei e il suo sporco cieco... (Con voce lamentosa) Non sono più gio vane, va bene, ma anch’io ho diritto di mangiare... Anch’io. Anche se nessuno mi difende. Vogliono fare i prepotenti con me, ha capito? Giovanotto (con lieve fastidio tentando di alzarsi) — Senta io... Passeggiatrice (aggrappandosi al braccio del Gio vanotto) — Ancora un momento... (Seguita a guar dare verso sinistra). Alla sommità del viottolo è riapparsa Mite. Si ferma a osservare la coppia, poi scende rapida e silenziosa. Giovanotto (tentando di divincolarsi) — Non po trebbe scegliere un’altra panchina? Passeggiatrice (scattando) — E perché? C’è forse scritto Carla su questa panchina? Io ci venivo pri ma di lei! Mite ha infilato un braccio nel cestino della cartastraccia e ne ha cavato una vecchia pistola a tamburo. Si ode una detonazione. I l Giovanotto senza un lamento scivola di fianco. La Passeggiatrice balza in piedi con un grido sof focato, poi retrocede terrorizzata e fugge per la destra. Nel trambusto Mite è scomparsa velocemente al di là del terrapieno. I l morto, riverso sulla panchina, ha lo stesso atteg giamento, con una gamba piegata e un braccio penzolante, dell’inizio dell’atto. I l suono del pianoforte riprende lontano con il Notturno di Chopin. Dalla sinistra entra la Ragazza con gli occhiali da miope. Si protende verso la panchina, si avvicina e siede sulla sedia. Guarda in alto, tende una mano alle prime gocce, apre l’ombrello. Ragazza (toccando timidamente una spalla al Gio vanotto) — Ehi... Piove sa... (Con un lieve sorriso) Ora lo fa apposta... (Bamboleggiando un poco) Sa che è un bel dispettoso? (Con un sospiro) Va bene. Può darsi che il torto sia mio... Ma non creda di scoraggiarmi. (Con una punta di tristezza) Sono abituata ad aver molta pazienza... Che cosa potrei fare altrimenti? (Sorridendo) E poi ci ho ripen sato... Si può fare a meno anche dello strascico e del tight... (Lieve pausa) Quando mi conoscerà me glio, vedrà che sono una brava ragazza (Accavalla le gambe e tira un po’ su la sottana) Capisco che oggi gli uomini non si accontentano più delle sole doti morali. (Un altro colpetto alla sottana per mandarla al di sopra del ginocchio) E va bene... Se lei... se lei non andrà oltre certi limiti... ■J7erre* Copyright 1962 by Ezio D'Errico L A P R IM A M O N D IA L E D E L L A N U O V A O PER A POSTUM A D I EUGENE O’N E IL L A L TE A TR O D R A M M A T IC O D I STOCCOLMA 111 oc 1 2 ui W ¡5 Iti J W < S ? _ 1 h < .Iti OC 0 B y g g a l l t h ò g r e b o i n a v O n E d g i g a r u g e n e ’ N e i l l Premiar 9 uovember 1962 Nella foto grande in alto: Inga Tidblad, una delle maggiori attrici scandinave, come Deborah Harford, con Jarl Kulle nella parte di Simon. Nelle due foto piccole sopra il titolo in lingua svedese Karl Ragnar, diret tore del Teatro e l’insegna del Teatro stesso. Nella foto a destra Inga Tidblad, la cui trasformazione del personaggio è continua perché l’azione si svolge dal 1832 al 1841, nel Massachusetts. Nelle tre foto in alto: I vari personaggi e gli attori (da sinistra a destra): Jarl Kulle, Gunnel Brostrom, gli stessi in mezzo, poi lo stesso attore con la protagonista Inga Tidblad. Prime due foto in mezzo: Altri due atteggiamenti nella continua trasforma zione della Tidblad. Terza foto in mezzo: Henrik Scliildt e Tord Stai, nelle parti di Joel e di Nicholas. Piccola foto in basso: Jarl Kulle e Gunnel Brostrom. B y g g (M o re a v d ig a llt h ô g r e b o n in g a r S ta t e ly M a n s io n s ) E u g e n e O ’N e ill I svensk d rà k t a v K a r l R agnar G ie ro w och Sven B a rth e l S ce nbilder: Sven F ahlstedt G K o s ty m e r: A g n e ta P a uli s e R e g i: S tig T o rs s lo w r e a t i m p c a r e s e p i ù a l t e ■ DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GIACOMO OREGLIA Personer : D e b o ra h H a rfo rd S im on, hennes son In g a T id b la d J a rl K u lle Sara, Sim ons h u s tru Joel, hans b r o r G u n n e l B ro s tro m H e n rik S c h ild t N ich o la s G adsby, a d v o k a t B e n ja m in T e n ard , b a n k d ire k tô r T o r d Stal O lo f S andborg E’ risaputo che O’N eill provò una particolare predilezione per la Svezia, e non soltanto per un motivo sentimentale, perché patria di Strindberg, un autore che contribuì grande mente e decisamente alla sua formazione, o in quanto l ’Accademia gli conferì il Premio Nobel, onore da lu i ambitissimo, ma soprattutto a causa dell’estremo interesse con il quale in questo Paese le sue opere vennero rappresen tate e accolte dal pubblico. Ricordiamo che i l « Kungliga Dramatiska Teatern » (Reale Teatro Drammatico di Stoc colma) aveva già programmato, talvolta in prime europee, nove drammi di O’Neill: da Anna Christie, 1923 (regìa di Karl Hedberg) a Strange Interlude, 1928 (regìa di Per Lindberg), Mourning becomes Electra, 1933 (regìa di Olof Molander), Desire under the Elms, 1933 (regìa di A lf Sjòberg), Days without end, 1935 (regìa di A lf Sjòberg), Ah, Wilderness!, 1935 (regìa di Rune Carlsten), A ll God’s Childs Got Wings, 1945 (regìa di A lf Sjòberg), The Iceman Cometh, 1947 (regìa di Olof Molander), A Moon fo r the Misbegotten, 1953 (regìa di Olof Molander). Nel 1956 lo stesso Teatro di Stato ha presen tato in prima assoluta mondiale, per espressa volontà testamentaria dell’autore, Long Day’s journey into Night (Lunga giornata verso la notte), alla quale rappresentazione fecero seguito, sempre in prime mondiali, quella di A Touch of thè Poet nel 1957 e di Hughie nel 1958. Ora è giunto il turno dell’ultimo dramma ine dito, More Stately Mansions (in svedese Bygg dig allt hògre boningar) ; il titolo è ripreso da un celebre verso dell’americano Oliver Wendell Holmes, e in italiano potremmo renderlo quasi testualmente in « Crèati case sempre più alte ». Il merito di queste « prime » svedesi spetta in gran parte al direttore del Teatro Drammatico, il poeta e commediografo Karl Ragnar Gierow, da anni in assiduo contatto con la vedova dell’autore, Carlotta Monterey O’Neill, e al quale è stata affidata la cura dei copioni inediti, rinvenuti fra le carte del dram maturgo e poi depositati presso la Biblioteca dell’Università di Yale. O’Neill usava comporre i suoi drammi di getto, per poi ritornarvi anche a distanza di anni e reiteratamente, apportandovi sia laboriose modificazioni e soppressioni nei dialoghi come cambiamenti nelle disposizioni delle scene. Il dattiloscritto di More Stately Mansions, mai definitivamente rivisto dal suo autore, è so vraccarico di correzioni e annotazioni mano- scritte (vi sono pure allegati abbozzi scenogra fici) e non fu una lieve fatica per Gierow (che ha curato la versione svedese in collaborazione con Sven Barthel) il decifrarne la minuta e contorta grafia. I l dramma, nella stesura lascia ta da O’Neill, dovrebbe durare dieci ore e mezzo; Gierow, ovviamente, ha dovuto inter venire per sfoltirlo (la rappresentazione, ripar tita in otto « quadri », dura quattro ore e mezzo) ma, e di questo gli siamo ben grati, senza operare rimaneggiamenti arbitrari: il testo originale viene così ridato, sia pur am putato, senza la minima intrusione all’interno dei dialoghi o delle singole battute. More Stately Mansions venne scritto nel 1938 e appar tiene al ciclo al quale l ’autore ha dato il titolo complessivo di A tale of Possessors Dispossessed, apponendovi come motto la citazione biblica: « Che giova all’uomo possedere il mondo, se perde la sua anima? ». Il dramma è in un certo senso la continuazione di A Touch of thè Poet; tre dei personaggi di quest’opera ritornano come protagonisti in More Stately Mansions: l ’aristocratica, visio naria e sensitiva Deborah Harford, suo figlio Simon e Sara Melodys, figlia di un maggiore irlandese alcolizzato, poi divenuto albergatore. La vicenda si svolge dal 1832 al 1841 nel Massachusetts e ha inizio allorquando Simon e Sara sono ormai sposati e Deborah, divenuta vedova, nella sua struggente solitudine vor rebbe riprendersi il figlio. I motivi del dramma si sviluppano in una triplice direzione: da un lato, il superamento da parte di Simon del suo idealismo teso ad una riform a utopistica della società e suggestionato da Rousseau; dall’altro, e qui è la sostanza centrale dell’opera, l ’agi tarsi in Simon e nella madre di un amore incestuoso; infine, il dispiegarsi ineluttabile e impietoso della volontà con cui il giovane istiga la madre contro la sposa e questa contro quella. Opera, quindi, che riprende in pieno la carat teristica tematica del suo autore e dove, forse maggiormente che in a ltri drammi, si risente lo stretto legame tra O’N eill e Strindberg nella singolare intensità, esagitazione, truculenza di introspezione e nell’avvincente abilità con cui questa viene risolta teatralmente. Alcuni « quadri » appaiono alquanto svincolati dal contesto, ma risultano pur sempre di una originale validità scenica, come quello, ad esempio, dove i tre protagonisti, assisi in una sala del palazzo degli Harford, inframmettono al loro dialogo dei monologhi interiori. La regìa di Stig Torsslow si è espressa (come già quella di Bengt Ekerot per Lunga gior- nata verso la notte e Hughie, e di Olof Molander per A touch of thè Poet) con una misura e un ritm o esemplari; accortissima al continuo sovrapporsi, scontrarsi e amalgamarsi, tipico in O’Neill, di naturalismo ed espressionismo, di simbolismo ed intimismo; efficiente, poi, nell ’attutire e diluire la non essenziale declama toria verbosità di taluni passaggi, lasciando pur anche agli attori un margine di iniziativa, opportuno in un’opera di tale respiro. Si può ben dire che, salvaguardando le loro personali qualità e disposizioni d’indagine, Ekerot, Molander e Torsslow hanno saputo creare nei confronti di queste ultime opere di O’Neill un coerente ed efficace stile d’interpre tazione, ormai da conoscere e valutare coscien ziosamente agli effetti di ogni futuro allesti mento in Svezia e altrove. Inga Tidblad, una delle maggiori attrici scan dinave, già impareggiabile Mary Cavan nella Lunga giornata verso la notte, è stata una Deborah di stupenda autorità e di forte effetto, ma capace anche di cogliere le più sottili vena ture e increspature di una parte complessa ed estrosa, intessuta di grazia, ironia, conturbanti allusioni ed esaltante isterismo. Gunnel Brostròm ha impersonato assai persua sivamente Sara, la moglie irlandese corposa e plastica, dalla sensualità prim itiva e lum i nosa, dal carattere tenace ed orgoglioso con punte, a volte, di ingenua volgarità. Jarl Kulle, l ’Edmund della Lunga giornata verso la notte, oramai celebre anche in Italia per la indimenticabile prestazione in Sorriso di una notte d’estate di Bergman, ha nel tono e nella mimica sapientemente dosato fin dalle prime scene il suo progressivo mutarsi da « poeta » in spietato uomo d’affari, impostan do pure saldamente l ’evolversi febbrile e allu cinante della morbosa passione che lo sconvol ge, sfociante, come per la madre, nella follìa. Henrik Schildt, Tord Stai e Olof Sandborg, rispettivamente Joel, fratello di Simon, l ’avvo cato Nicholas Gadsby e il direttore di banca Benjamin Tenard, hanno caratterizzato egre giamente le loro modeste parti. L ’unica riserva a questo spettacolo, che onora particolarmente il teatro svedese, è la man canza nelle scene di Sven Fahlstedt (d’altron de pregevoli nel loro realistico « studio di ambiente » ) di una più decisa funzionalità nei rispetti delle varie fluttuazioni del dramma. O ttim i i costumi di Agneta Pauli. Applausi calorosi, da parte di un pubblico sempre attento, ad ogni « quadro » e al ter mine dello spettacolo. Stoccolma, dicembre 1962 Giacomo Oregrlia B R O È m S O A D W A Y P R A T T U T T O T E A T R O Undici nuovi commediografi (vengono da Off-Broadway) tutti arrabbiati. Albee è il più robusto, vibrante, sottile e cattivo della nuova leva dei commediografi americani; egli scaglia la pietra e non si nasconde. La sua nuova commedia WhoTa Afraid of Virginia Woolf è il più sottile profondo dilaniante pezzo di teatro, dopo Lunga giornata verso la notte di O'NeilL Broadway incomincia alla Bettery, quella prua di roccia di Manhattan dove i grattacieli sono alti e remoti, di natura celeste di fronte al cielo marino di Staten Island e di Brooklyn spesso percorso da tuoni e da viluppi di vento. « Broadway muove i suoi primi passi tortuosi di antico sentiero indiano » nota il viaggiatore italiano Ezio Bacino, « e quasi inav vertita passa per angusti ed obliqui imbocchi tra gli obelischi di Wall Street, quindi si protende in avanti, ricercando la sua traiettoria, in un volo di colombe e tra richiami di sirene, tra concerti di campane e carillon echeggianti dalle guglie di Trinity Church e le tombe, le croci e le lapidi muschiate dei primi pionieri ». Broadway, continua il nostro viaggiatore, agli inizi sembra non voler denunciare quale sarà l’andatura trionfale e la proiezione del suo cammino venturo, che raggiunge l’apice tra la 34"' e la 59m* Strada, al nodo di Columbus Circlfe e alle soglie di Central Park. « Là, sotto i torrenti della luce che l’avvolge di un pulvi scolo fosforescente, diventerà White Street: la via bianca palpitante, elettrica e sulfurea come una costellazione caduta sulla terra ». Ezio Bacino, con il libro America bifronte (Editore Vallecchi), ha scritto non solo un grande reportage politico-economico-coloristico dell’America del XX secolo, ma un’opera di interpretazione e di perso nale passione. Egli è un viaggiatore acuto, ansioso e giovane, a cui nulla sfugge, né la strana piega di una strada in una città come Manhattan in cui le strade sono dei perfetti coltelli ; né la caduta di una foglia in questa città senza alberi; né il senso del burlesque che pure anima, nella sua quotidiana tragicità, la vita semovente di New York. Il suo linguaggio non è pacato, ma è una pietra focaia da cui sprizzano le scintille dell’intuizione e dell’im maginazione attraverso parole spesso sonore e dense e tese che niente ti negano. E’ pacato il linguaggio di Alexis de Tocqueville, ed è pacato il linguaggio di quell’altro scopritore europeo dell’America, Jac ques Maritain, il Docteur angélique che ha appena chiuso gli occhi a Princeton, dove si era ritirato a insegnare. Il Maritain che si accostò all’America con bontà, scoprendovi un’anima che non appar tiene ancora alla rettorica. « Gli uomini e le donne d’America affrontano la sofferenza con un grande coraggio e spesso con una rassegnazione stoica. Nelle situazioni gravi, essi testimoniano di una ammire vole sopportazione. Ma essi non sono pazienti con la vita. Essi non sono, in genere, affatto pazienti con la propria vita. C’è stato un tempo in cui certa filosofia americana negava l’esistenza del male negli Stati Uniti. La guerra le ha inferto un gran colpo. In verità i giovani americani sanno che il male esiste, che la morte esiste, che il diavolo esiste ». Ezio Bacino penetra invece l’America, o una strada, con le riflessioni immaginose o estemporanee nategli in un momento, come il giambo sulle dita del poeta, guardando dal ponte, correndo sui tapis roulants delle autostrade, insaccandosi tra le membra umane della Quarantaduesima Strada. E così, un po’ infer vorato e un po’ disincantato, egli cammina per Broadway con la coscienza dell’uomo che non può mutare nulla, ma che non può nemmeno scandaliz zarsi. « Broadway — egli scrive — o la si accetta intera o la si rifiuta in blocco; non è passibile di correttivi, di attenuazioni. Essa è ancora l’incarna zione elettrizzante dei miraggi del pioniere e del l’emigrante : è un emporio, è un Luna Park, è un luogo di divertimenti ingenui e candidi e di piaceri forti. E sembra che la volgarità sia la sua forza sanguigna e il suo fascino ». Un’altra viaggiatrice europea delle ultime ore, Simone de Beauvoir, ha scritto invece di New York e di Broadway senza mai dimenticarsi. « Tra queste case che sono esistite senza di me per anni, per secoli, corrono strade, tracciate per migliaia di uo mini che non erano me, che non sono me. Ma adesso anch’io le percorro, sono proprio io che sto scen dendo per Broadway. Vado per le strade che non sono state tracciate per me, nelle quali la mia vita non ha lasciato ancora alcun segno, dove non aleg gia nessun odore del passato. Nessuno qui si cura della mia presenza, sono ancora un fantasma e sci- volo per la città senza portarvi il minimo turba mento. Ciononostante la mia vita si adatterà d’ora in poi alla linea delle vie, delle case... ». E Alain Bosquet, rivolgendosi astrattamente al po polo americano, così sentenzia : « Può darsi che un giorno vi svegliate coscienti di essere in pericolo. Al confort succederà lo smarrimento. Poiché siete incapaci di difendere il vostro Stato, potreste ster minarci premendo due o tre bottoni, e sicuri di farlo per il bene dell’umanità... o di quello che ne resterebbe. Avete forse molti difetti — e qualche solida virtù che invidiamo -— ma, in fin dei conti, siamo noi che siamo da compatire ». V i sono tante maniere per scoprire l’America o una strada dell’America — questa Broadway — e di parlare dell’America o di una strada, questa Broad way. Tuttavia niente mi ha più affascinato delle pagine sparse di un ignoto viaggiatore italiano di questa epoca, che vede però le cose attraverso il mirino stilisticamente elegante e preoccupato di un settecentista. V i immaginate un Algarotti a New York? Livio Olivieri è un mantovano che fin da ragazzo ha avuto dimestichezza con le letterature francese e tedesca e americana; ma proprio perché non può dimenticare la sua estrazione europea qui a New York si muove senza anfanare, come uno che rimane al balcone. Il balcone è Broadway, e sicco me il suo secolo è il Settecento e il mondo delle buone maniere, egli scrive di Broadway usando la penna d’oca, volendo rimanere osservatore distante e incompromesso, e parla di Broadway come se qui esistessero ancora gli indiani, e nei luoghi in cui oggi sorgono le innumerevoli botteghe di wonders vi fossero le insegne dei woodcutters olandesi. E’ per tutto questo che le sue impressioni sugge riscono altre dimensioni : la scoperta di un mondo ancora avventuroso e meno carnefice, dove la mera viglia e il sogno, anche il bianco spavento, diven tano conquiste pure. Come può arrivare a Broad way, questo Algarotti, se non con la nave? «Alla fine di agosto di un certo anno — egli scrive — arrivai per mare nella baia di New York. Era l’alba, e con la maggior parte dei passeggeri sulla tolda della nave guardavo con modesto stupore, ma molta curiosità, i grattacieli della parte bassa di Manhat tan avvolti in una foschia quasi autunnale. Per chi visita l’America, è questo il solo momento in cui egli vede le cose esattamente come se le era confi gurate nella mente. Mentre tutto cambia dal mo mento che mette piede a terra. « Passai la notte di quel giorno in uno scadente albergo di Broadway, proprio accanto a Time Squarti e, prima di andare a dormire, ebbi le prime impressioni della via bianca. Non a teatro, voglio dire, ma sui marciapiedi di questo impressionante quartiere dove le luci (solo per fare un primo esem pio) mi parvero raggelanti inchieste sull’umanità più varia. Bianchi, negri, gialli con tutte le combi nazioni intermedie acquistavano, sotto le luci, co lori inverosimili. I bianchi erano cianotici, i gialli olivigni e i negri avevano sfumature bluastre. Si sa cosa può avvenire a Broadway. Molta gente vi passa solo per raggiungere i teatri e i cinematografi famosi, ma molta altra vi si reca per stordirsi di luci, di baccano e di gente. La gente nella gente. Qui non vi sono solo grandi cinematografi, ma mol te botteghe che mostrano le cose più grottesche che si possano immaginare : maschere caricaturali, parrucche e parrucchini, souvenirs di plastica o di falso bronzo, donnine nude di gomma sintetica, cra vatte con assurde figure stampate, simili solo ai ta tuaggi dei marinai più matti e più ingenui, giacche rosse e scarpe di cow-boys, cappelli di tutte le fogge e di tutti i colori, romanzetti dalle copertine sexy, portaceneri a forma di vasi da notte, caricature per la suocera, coltelli a serramanico per i ragazzi del West Side. La goffaggine e la grossolanità sono le sicure caratteristiche del successo di Broadway per quella folla che sempre affolla i marciapiedi o che qui viene dalla provincia. Prostitute sui marcia piedi, giovani con il garofano verde all’occhiello che posano a Oscar Wilde e giovinetti dagli attil lati pantaloni addossati ai muri, che fissano sfaccia tamente il passante... ». E così di seguito. I l viaggiatore mantovano Livio Olivieri potrebbe continuare per pagine e pagine, sempre con questo tono accorto e meravigliato, an che se la sua sedia resta sul balcone. Ma ciò che da queste note risulta è che Broadway, fatta per meravigliare persino se stessa, è soprattutto Teatro. I l teatro è meraviglia, impressione, ilarità, volgarità, sorpresa, poesia, denaro, suicidio. Broadway è il più bel pezzo di teatro dell’assurdo mai realizzato prima, dentro e fuori la scena. Broadway è un quadro compiuto, la vita compiuta, la pazzia com piuta, la morte compiuta, il ded end e il ricomin ciare. Music hall e vaudeville, Sofocle e O’Neill, pigiama giapponesi, il romanticismo della ragazza di campagna, il delitto nella piccionaia oscura dello Schubert, i giovani commediografi che arrivano dal Viilage, i Vecchi commediografi che vogliono andare a respirare al Viilage. Gli inglesi, i francesi e i tedeschi vi arrivano, vi fanno un po’ di chiasso e di soldi e poi ripartono, dimenticati il giorno dopo. Broadway ossia can-can ossia osso di seppia ossia nevrastenia ossia desiderio dell’impossibile ossia V ir ginia Woolf nella canzonetta della nuova commedia di Albee ossia Plauto nel nuovo musical di AlcuniAberranti-Tipi, e ossia e poi ossia... Broadway che non è niente, dopo tutto, e che è proprio tutto, dopo tutto. Sugli ossia e dopo tutto si è inaugurata anche la nuova Stagione teatrale, la quale, a questo punto dell’anno, veleggia nelle incertezze e nei colpi di scena. Delle venticinque produzioni che si sono ben radicate sul palcoscenico a tutt’oggi (in attesa che altre sopraggiungano con le prime nevi di gennaio), undici sono state scritte da nuove figure di com mediografi americani, nuovi anche per Broadway; una dozzina sono delle cerebrali ed eccitanti eserci tazioni spettacolari venute dal di là del mare (tipo Beyond thè Funge, inglese); e solo sei di esse hanno fatto affidamento sulla magicità delle melodie per richiamare il pubblico che più facilmente paga. Gli undici nuovi commediografi che vengono da Off-Broadway costituiscono un manipolo americano di nuovi arrabbiati, e i più importanti fra di essi sono Edward Albee, Jack Richardson, Frank D. Gilroy e Rick Besoyan. Albee arrivò per primo, con la sua prima commedia in tre atti dal titolo Who’s Afraid of Virginia Woolf; le commedie degli altri tre sono state fissate per la fine della metà stagione. Il bilancio dei nuovi nomi (alcuni dei quali finora hanno lavorato per la TV o per il cinema) è questo : Bernard Evslin, John Haase, Neil Jansen, Sumner Arthur Long, Eiaine May (attrice di night clubs), Sidney Michaels, Elick Moli, Herman Raucher, Jack Sher, Leslie Weiner, James Lipton e Sol Berkowitz. Tra i veterani di Broadway ci sono invece S. N. Behrman, Garson Kanin, Dorè Schary, S. L. Perelman fe Irving Berlin con Howard Lindsay e Russel Crouse. Dei vecchi e dei giovani le mie modeste finanze mi hanno consentito di andare a vedere solo due commedie : quella di Kanin e quella di Albee. Per Kanin non ci sono scuse. Come on Strong è vera mente una piccola disgustosa commediola rosa per i malati sessuali e per le donne all’età della meno pausa. Van Johnson, in questa commedia, è un attore-fotografo alla ricerca di se stesso; un se stesso però sempre in mutande ora in un appar tamento di New York, ora in un appartamento di Hollywood e di nuovo in una stanza d’albergo di New York; ed è un attore che non crede affatto nella parte che recita né in quella recitata dalla sua partner, Carroll Baker, che recita la parte di un’attrice di Broadway che, per arrivare, ricorre al vecchio trucco, senza passione e senza convin zione, di passare da un letto all’altro, da un amante a un marito e poi di nuovo a un amante. Tutto vecchio e risaputo. Ma Kanin manca di ca nini come autore, e non ci sarà da meravigliarsi se un bel giorno la commedia chiudesse nonostante il richiamo Van Johnson e Carroll Baker, la quale, essendo ormai una Baby Doli invecchiata, oltre a un culetto basso laminato di oro sembra non possa offrire altro. I l caso Albee è differente. I suoi tre atti non solo confermano le promesse, ma stabiliscono Albee come il più robusto, vibrante, sottile e cattivo della nuova leva di commediografi americani. Probabil mente in Italia egli non è amato, come rivela un’acida nota di Gigi Lunari apparsa sul numero 307 di Dramma. Anch’io sono acido, molte volte, e perciò non rimprovero a Lunari la sua acidità. L ’interpretazione che Lunari fa degli atti unici di Albee è accettabile perché personale. A me Albee piace però, ed anche questo apprezzamento è per sonale e quindi fallibile all’occhio obbiettivo; per ché mi irrita, mi rinnova una mai placata rabbia interiore, perché Albee non crede nella bontà e io nemmeno, perché non si commuove (beato lui, mentre io mi commuovo), e soprattutto perché non vuol salvare nessuno. Lunari dice che Albee è presuntuoso, e dunque gli è antipatico per questo. Neanche io amo i pre suntuosi; ma Albee, più che presunzione, mi pare abbia la coscienza di ciò che egli è e di ciò che egli fa. Una differenza importante, questa, che mette in luce la sua produzione anziché adom brarla. E dopo tutto questa presunzione potrebbe benissimo essere chiamata con un altro nome : coraggio. Coraggio poiché Albee non ha scritto facili commedie o piacevoli commedie. Sono fe roci attacchi alla letargia della società americana, e sono la negazione che tutto sia facile e piacevole e confortevole proprio in quel letargo mentale e fisico in cui questa società ama trincerarsi. Feroci attacchi e odio, anche. E offesa. Albee è uno che scaglia la pietra e non si nasconde. Ma il risul tato non è mai solo polemico. Ecco perché egli si salva. Non è mai solo negazione. Egli non ha sim patia per la donna americana, e non ha simpatia per la debolezza dell’uomo americano. Non ha pietà di loro, e non li risparmia. Egli è selvaggio e spi ritoso. Il risultato che egli si propone è quasi sempre raggiunto : tensione da parte del pubblico, e amarezza per la colpevolezza umana. Questi suoi tre atti, Who’s Afraid of Virginia Woolf è la miglior cosa di tutta Broadway in questa stagione; e Who’s Afraid of Virginia Woolf è il più sottile e profondo e dilaniante pfezzo di teatro che io abbia mai visto dopo Long Day’s Journey luto Night di O’Neill. Si svolge nel campus di una università del New England. Quattro personaggi : il professore di storia e sua moglie (figlia del Rettore Magnifico), e il professore di biologia e sua moglie. Dopo una festa di domenica sera che si è protratta fin dopo le due di mattina, Martha e George ritornano nella loro casa situata nel campus, continuando a fare giochi, scherzetti, canzonette. E nel riso questa coppia, che si è unita venti anni prima, si addenta, e si denuncia : George ha fatto carriera sposando la figlia del principale, ma è un fallito; e Martha è pure una fallita, poiché ha tolto al marito ogni energia per dominarla e quindi salvare se stessa come donna. Dopo le dute di notte arrivano Nick e Honey, ospiti, nuovi dell’ambiente, giovani, di screti e rispettosi. Ma dopo alcuni bicchieri di whisky i quattro si trovano sulla stessa barca di odio, confessandosi, denudandosi, e alla fine della commedia ad essi non resterà niente, nemmeno la finzione del giorno dopo che è la finzione del gioco e dei saluti e dell’apparente armonia. Questa commedia non ha intrecci o intrighi o sfondi. E’ dialogo di parole, nemmeno di idee. E tuttavia, basata sul niente, ha una forza oscura e urlante dentro di sé. E’ curioso, tuttavia, come il pubblico ha reagito a questa commedia di Albee. A parte l’inevitabile separazione in partiti di idee e di sentimenti, essere decisamente contro la commedia o decisamente favorevoli ad essa (e ciò accade quando un lavoro letterario o teatrale suscita veramente interesse, e in Italia siamo ancora in molti a ricordare le pole miche di pubblico suscitate dalle commedie di Piran dello), il pubblico più svariato o indifferenziato ha tentato, e tenta di collaborare con la critica dei quotidiani all’interpretazione intima della comme dia. A distanza di circa un mese dall’apertura di Who’s Afraid of Virginia Woolf i giornali ancora riportano e pubblicano lettere di lettori concernenti la commedia di Albee. Ma recentemente queste lettere si sono fatte speculative. Eccone alcune, apparse sul numero domenicale del « New York Times », 2 dicembre 1962. « Ero a un ricevimento l’altra sera, quando un si gnore improvvisamente disse : —• Non è meravi glioso? Tutte le coppie sposate che ora cantano la canzoncina Chi ha paura di Virginia Woolf vanno a casa e agiscono te recitano alla stessa maniera degli attori di quella commedia, e presto uomini e donne vivranno come coppie di omosessuali. « E qui, istantaneamente, mi resi conto di qual è la chiave della commedia; tessa non riguarda i rap porti tra uomo e donna, essa riguarda l’omosessua lità maschile. L ’autore ha trasfigurato i vizi, gli abbrutimenti te la gratuita distruzione della gente di cui parla per farli diventare i vizi e gli abbruti menti e le distruzioni di tutta la gente. Il suo talento gli ha consentito di non fermarsi su queste prerogative, ma esse restano, e dopo la meditazione esse emergono e restano così invalicabili. Non riten go che questo argomento possa essere discusso sui giornali, ma quale vergogna però notare ancora una volta che l’omosessualità ha pervaso te distorto la visione del nostro teatro ». E un’altra : « Dopo aver visto la corrosiva e appassionata com media di Edward Albee ho letto tutte le critiche che mi è stato possibile leggere, ma nessuna mi ha dato la risposta al perché, alla fine della commedia, Martha abbia ora paura di Virginia Woolf, nel mentre che la canzoncina le viene cantata dallo storico simbolico, suo marito. La critica è stata superficiale. Quando ci sarà qualcuno che final mente riconoscerà che questo dramma è l’apocalisse della cristianità e della scienza dopo venti secoli, con un che di gracile e grazioso sorgente dal suo intimo? ». E un’altra : « Considerando l’abilità del signor Albee nel ben costruire le frasi e far uso di simboli, non si po trebbe azzardare che il Giorgio e la Martha della sua commedia siano, in effetti, George e Martha Washington, il padre e la madre di tutti noi? ». Giose Rimandi! New York, dicembre 1962 L a r e a ltà s u lla s c e n a M L’Istituto di Scienza del Teatro di Budapest, in ac cordo col Centro ungherese dellTstituto Internazionale del Teatro e con la Società Autori, ha pubblicato una relazione sul «Teatro Ungherese nel 1961 ». Non si tratta di una esposizione di cifre; anzi queste sono assenti per l’evidente ragione che il Teatro Unghe rese è inquadrato dalle leggi in vigore ed esplica il suo compito culturale e di diletto insieme, su schemi stabiliti. Ma è però interessante conoscere sia pure in termini ufficiali, opere ed autori. La relazione vale, appunto, per ciò che viene riferito ed a nostra volta riferiamo. Nel corso del 1961, è apparsa in Ungheria una rac colta di saggi di Ferenc Hont, direttore dell’Istituto delle Scienze del Teatro. I l titolo dell’opera La realtà sulla scena, è di per sé programmatico. L ’au tore, dedicatosi prima ancora del ’45 allo studio delle possibilità di sviluppo del teatro operaio, nel tentativo di rovesciare le barriere della vecchia com media borghese e di rinnovare l’arte drammatica in senso popolare, rifiuta recisamente ogni poetica che non sia quella del realismo. I l fatto non avrebbe grande rilievo se non sapessimo, come si sa, che nei paesi socialisti il Teatro dipende direttamente dallo Stato. Essendo tenuti autori, attori, registi, alla più stretta osservanza ideologica, la scena adempie assai spesso a una funzione che non le è propria: si pre sta cioè a intenti didascalici, propagandistici, cele brativi. I l graduale ritorno ad una maggiore libertà della cultura, incoercibile conseguenza della « destaliniz zazione », è cosa recente e si svolge, a singhiozzo, nello stato-guida, con manifestazioni talvolta per sino curiose. Mentre in Occidente si discute di Disordine, di Casualità, di Probabilità in arte, mentre nuove singolari forme di espressione come la scultura cinetica non stupiscono più nemmeno i benpensanti, ad Oriente i sacri retorici canoni del realismo mantengono gran parte del loro prestigio. Queste considerazioni trovano riscontro nel teatro di prosa ungherese. Conviene innanzi tutto rilevare come il teatro sia tuttora in Ungheria un fenomeno sociale di imponenti proporzioni. I l numero delle recite, il numero degli spettatori, a Budapest come in provincia, è altissimo. Si va a teatro, si va ancora volentieri a teatro. Bisogna però distinguere e stabi lire se la scena di prosa è una forza viva, se ha qualcosa da dire, o se invece lo Stato non se ne serve come di uno strumento, di un mezzo ulteriore di propaganda. Esaminiamo le tre novità ungheresi che hanno avuto maggiore successo a Budapest nel 1961 : Fuoco all’alba di Jòzsef Darvas mandato in scena il 10 febbraio al Teatro N azionale; L ’Undi cesimo Comandamento di Lajos Mesterhàzi, alle stito il 24 febbraio al Théâtre de la Gaîté; Paradiso perduto di Imre Sarkadi in scena dal 26 maggio al Teatro Madàch. In Fuoco all’alba il protagonista, Jòzsef Bònis, con tadino diventato funzionario del partito comunista, ritorna al suo villaggio per organizzarvi la coopera tiva agricola. E’ aiutato nel suo lavoro da quei contadini e da quei giovani intellettuali che hanno capito come la cooperativa rappresenti per loro il cammino dell’avvenire. Ma la decisione spetta al di lui fratello, Lajos Bònis; costui, divenuto piccolo proprietario a prezzo di sforzi sovrumani, è molto attaccato alla sua terra. I l conflitto tra fratelli che pure nutrono profondo affetto l’uno per l’altro, non può restare problema personale ma viene a trovarsi al centro dell’opinione pubblica del vil laggio, i cui abitanti decidono di seguire Lajos Bònis, che finge di cedere alle opinioni del fratello, ma in realtà non approva l’esproprio, considerandolo un sopruso, cui vuole opporre la distruzione. Mentre l’intero villaggio è in festa per il trionfo dell’idea cooperativa, Lajos dà fuoco al suo podere. Jòzsef, sentendosi corresponsabile e ritenendo insolubile il suo compito, abbandona il villaggio. Solo allora Lajos, alla luce dell’incendio appiccato da lui mede simo, scopre la meschinità della sua antica conce zione di vita, e intraprende di persona, questa volta di buon grado, il cammino della cooperativa. I l contesto di L ’Undicesimo Comandamento non è meno schematico. Uno scrittore celebre scopre, a contatto con una coppia di coniugi sul punto di divorziare per colpa della moglie dopo venti anni di unione, che il suo stesso « ménage » si è incrinato: tra la sua compagna e un amico comune sta per nascere un amore. Lo scrittore prende coscienza di avere lui stesso ucciso con la propria indolenza l’affetto della moglie e le offre la libertà di lasciarlo; la donna considerando il mutamento e la nuova consapevolezza del marito, decide di restare presso di lui per esserne di nuovo l’autentica compagna. I l protagonista, ad ogni svolta degli avvenimenti, avanza solo sulla scena in veste di narratore-relatore, per rendere conto al pubblico di pensieri e senti menti dei personaggi. Paradiso perduto di Imre Sarkadi ha pure un pre ciso assunto morale: è la vicenda di un giovane medico che ha talento, denaro, speranze per l’avve nire, e persino l’automobile. Ma il rapido successo ha bruciato in lui la fede e la gioia del lavoro per sostituirvi un nichilismo cinico. I l medico commette un tragico errore: procede a una pratica illecita sulla sua amante che ne muore. Gli restano due giorni prima di essere arrestato. I l dramma è la storia di questi due giorni. I l medico si reca dal padre che vive in campagna e vicino a quest’uomo laborioso e pieno di fede nella vita riscopre la parte più vera di sé; nel contempo si innamora di una giovane donna; il sentimento che nasce tra i due è così profondo che si suppone ella avrà la forza di aspettarlo durante i lunghi anni di carcere. Queste tre novità teatrali hanno molti aspetti in comune: sono lavori a tesi; si vuole sempre mo strare o dimostrare qualche cosa: la nobiltà del l’ideale collettivo di lavoro che infrange la cecità del singolo individuo e le antiche barriere del l’egoismo; il rispetto dovuto alla condizione della donna quale vera e libera compagna nella vita; il superamento dell’aridità e del cinismo attraverso l’amore e la ritrovata fede nel lavoro e negli uomini. In tutti e tre i casi non si evita neppure la conven zionalità del lieto fine: è ben vero che il giovane medico di Paradiso perduto finirà, giusta punizione, in carcere; ma dopo aver ritrovato la speranza e la retta via. La distinzione tra bene e male è dunque netta, arcaica: se vi sono accenni a valori negativi è perché dietro a questi ne spuntano fuori impetuo samente altri: positivi, lampanti, ben saldi. Ma è teatro realista, questo, ci si potrebbe chiedere. A vecchi schemi, situazioni, intreccio, del teatro borghese, pare non si sia fatto altro che sovrapporre una precisa retorica: si avverte un certo disagio come di fronte a tutta una serie di oleografie un po’ edulcorate. *** I l Teatro straniero andato in scena in Ungheria durante il 1961 certo presenta una maggiore va rietà di temi: si va dal teatro classico —- Lope de Vega, Shakespeare, Goldoni, Schiller, Goethe -— a Bernard Shaw. Le scelte operate tra gli autori moderni e contemporanei rivelano tuttavia una chiara impostazione. E’ data preferenza a opere che abbiano un consistente « engagement », sono predi letti gli scrittori che pongono problemi di fondo: Brecht con II cerchio di gesso nel Caucaso e La re sistibile ascesa di Arturo U i; Gorkij, il poeta dei diseredati, con I Bassifondi, Igor Boulichtov e gli altri, Vassia Jeleznova; Sartre con La sgualdrina timorata, dramma antirazzista, oltre al resto ambien tato nel Sud degli Stati Uniti. Ha sollevato pure notevole interesse la presenta zione de II Crogiuolo di Arthur Miller al Teatro Nazionale. La regìa di Endre Marton ha messo l’accento sul significato collettivo della lotta facendo risaltare attraverso le vicende di ciascun personag gio il dramma dell’intera comunità. Sono stati anche allestiti lavori di autori sovietici: Gli Aristocratici di Pagodine, e al Teatro Ratona Jòzsef di Kecskemét II Quarto di Costantin Simonov, in cui si spiega come su « l’altro continente » un uomo di buona volontà possa a tal punto avvi lirsi per amore del benessere, lassismo e compro messi, da lasciar mettere a fuoco la propria casa. La rappresentazione al Teatro Nazionale di Miskolc del dramma di Alexis Arbousov Storia d’un amore ha destato critiche svariate nella stampa ufficiale perché la regìa, troppo intimista, ha trascurato di mettere in rilievo con sufficiente fermezza l’argo mento sociale. D i Karel Gapek, il drammaturgo e romanziere ceco che tra i primi preconizzò le risultanze di una eccessiva iecnicizzazione immaginando un ipotetico mondo n venire in cui gli uomini, robotizzati, sareb bero idonei soltanto al lavoro, è stato presentato Il morbo bianco, dramma contro la dittatura, scritto nel 1937, poco avanti la morte, mentre nascevano in Europa le prima avvisaglie di guerra. La critica ungherese, pur accusando lo scrittore di incomprensione del ruolo storico delle masse e anche di inconcretezza in quel suo credere alle pos sibilità di resistenza dell’uomo singolo, dà atto a Gapek di sincero coraggio nella sua franca opposi zione al fascismo, nel mentre altri autori borghesi ad essi si mescolavano o tacevano. Del teatro di Tennessee Williams, inedito in Unghe ria, si è rappresentato a Budapest La discesa di Orfeo, perché, ha scritto la critica, in quest’opera, oltre l’aperta condanna della discriminazione raz ziale e dello sciovinismo, si intravvede una possi bilità di riscatto per l’uomo, al contrario di quanto non avviene nei drammi successivi, più apertamente pessimisti, di questo Autore. Antonio fipremian M E G L IO M ORTO Il divorzio e l’atteggiamento della chiesa anglicana in proposito sono l’argomento di una commedia polemica di sir Alan Herbert presentata al Rich mond Theatre. Herbert è un anziano scrittore, gior nalista, drammaturgo, le cui idee sono assai note al pubblico inglese. Il nuovo dramma, Better Ded (Meglio morto), è tratto da un suo romanzo, Made for man, che ha avuto un certo numero di lettori. E’ soprattutto in discussione l’atteggiamento angli cano, cioè la proibizione ufficiale a una persona divorziata di risposarsi, anche se nella causa del divorzio era la « parte innocente », cioè la vittima. Nella miglior tradizione dei polemisti teatrali, da Ibsen a G. B. Shaw, Sir Alan Herbert ha le sue idee e le afferma con energia : ma dà modo anche alla parte avversa di esporre le sue opinioni attra verso i suoi personaggi. A un certo punto, infatti, la protagonista, che è una celebre attrice, Marion Marne, e che si suppone abbia anche avuto una onorificenza reale per meriti artistici, divorzia dal marito confessando di averlo tradito. I l marito è dunque superstite di un matrimonio naufragato, ma è innocente; e vorrebbe risposarsi. Poiché la chiesa glielo impedisce, e la nuova fidanzata richie de un matrimonio religioso, l’attrice, ancora piena d’affetto amichevole per il marito, va dall’arcive scovo di Canterbury per intercedere a suo favore. E’ a questo punto che nella polemica sentiamo, molto autorevolmente, suonare « l’altra campana ». Benché le idee siano chiare, il loro svolgimento è confuso, complesso e poco efficace. L ’opera, dopo avere sfiorato la tragedia, torna alla commedia, ed è ineguale. Nonostante gli sforzi dell’autore, di Joy Andrews (l’attrice), di Charles Simon (l’arcivescovo), e degli altri attori, il nuovo lavoro lascia il tempo che trova, sia nel panorama teatrale che in quello della polemica divorzista. a. p. C O N P R O B L E M A C E N T R A L E E S E N Z A « Annali del Teatro Italiano »: i l tito lo è imponente; la pubblicazione (agosto 1921) mediocre. I l primo volume, sulle quattrocento pagine, in due colonne di corpo cinque, da far perdere g li occhi, come si dice, incomincia con un sussulto: « Dante e i l teatro » e term ina con una malinconia: « L ’arte m uta ». I l sussulto: perché Dante? ci si domanda, e subito risponde nella presentazione i l direttore, prendendo spunto da Sem Benelli, per la sua opera la Gena delle beffe la cui a ttu a lità in questa Stagione Teatrale ha trovato materia di scandalo e dato un dispiacere a Maner Lualdi, gari baldino di tu tte le iniziative, ma spericolato. Invece, i veri teatran ti non furono m ai ta li senza i tram poli dei passi brevissimi e stentati dell’accortezza e della pru denza. Senza voler rifare la storia di quel clamoroso successo che fu L a cena delle beffe, e la scìa che ne seguì in tu tto i l mondo per dieci anni almeno, senza sosta al clamore, non è diffìcile accorgersi che le sgraziate cadenze di quell’opera non sono versi e che i l dramma, pur fregiandosi dell’etichetta di poema, non ha nulla a che fare con la poesia, anche se ta l genere di componimento trova nella mediocrità del pubblico la sua risoluzione. Ma questo è altro discorso. L ’« Annuario » cita Dante a questo proposito: « che unico maestro in fa tto di poesia drammatica era stato per Benelli, Dante; che la bella flu id ità dei versi della Cena ha per causa unica e sola la ispirazione felice del poeta; ma che ad illu strarla certo g li dovette giovare la fam i lia rità col divino poeta ». Scrive questo Mario Ferrigni, che si chiamava Coccoluto, critico drammatico ed autore, cui fu affidata la direzione degli « Annali », vissuto fino al 1943. Più noto al vasto pubblico era suo padre, come Yorick, anch’egli critico ed anche « storico del teatro ». Si legge nella sua biografia come qualche volta firmasse i suoi articoli « Y o rick figlio di Yorick », ma suo padre, nonno di Mario, era estraneo a tale inven zione. Y orick fu versatile ed estroso e, pur avendo lasciato una copiosa produzione di livello medio, lo si ricorda soprattutto « per non aver compreso l ’arte innovatrice della Desclée e della Duse ». In fa tti, la prim a ridicolizzò sulla faccenda di Fanfan suo amante, i l barone Fran cesco de Renzis, capitano dell’esercito sardo, deputato poi ambasciatore, autore di eleganti proverbi e di commedie un po’ a ll’Augier e un po’ alla Paolo Ferrari; la seconda, Eleonora Duse, cui non perdonò mai le pose estetizzanti, confondendo gli atteggiamenti della donna dannunziana per amore, con l ’attrice tu tta teatro fino al punto che non le riuscì più di sdoppiarsi e rimase così dentro e fuori, soltanto teatro. Se la Duse si trascinò per quarant’anni l ’appellativo di « pososa », lo' dovette a Yorick. I l prim o volume degli « Annali », va dal 1901 al 1920, ma per la nostra cronaca la consultazione u tile incomincia a pag. 155, con l ’anno 1914 che è quello di inizio della prim a guerra mondiale. L ’Ita lia v i prese parte più tardi, ma i l Paese era già sul piede di guerra. L ’elencazione è sempre uguale: g li autori e le loro opere; le Com pagnie ed i componenti di esse; necrologio, critica. Ma c’è un’« avvertenza » per la quale si ritiene opportuno interrompere la « cronistoria ». Eccola: « D a ll’agosto 1914 l ’Europa è sconvolta dalla guerra atrocissima: l ’Ita lia , neutrale ma vigile, si arma in silenzio. La v ita conserva apparentemente i l suo ritm o normale: i te a tri sono frequentati come per i l passato, ma il pubblico inquieto sembra cercare negli spetta coli teatrali i l conforto di una distrazione dal pensiero del flagello. Le compagnie drammatiche incominciano a disfarsi lentamente; al principio del 1915 la necessità che l ’Ita lia partecipasse alla guerra si manifesta sempre più imperiosa, tu tta v ia il pubblico dei te a tri sembra non pensarci. Nel febbraio 1915 scadeva i l “ triennio ” e le Compagnie si ricomponevano con qualche lacuna e con molte inquietudini: al tempo stesso i l repertorio francese si assottigliava e lo spirito del pubblico, da ta l momento, va volgendosi sempre più verso il repertorio nazionale. La cronistoria apparirà dal 1915 al 1919 assai singolare: g li avvenimenti storici v i si ripercuotono in strani e pericolosi riflessi. Concorrono a rendere agitata l ’esistenza del teatro fa tti d’ordine diverso: la crescente affluenza e la trasformazione del pubblico, la riduzione notevolissima del repertorio straniero, i l sorgere di nuove opere italiane, caratteri stiche ed originali, la morte di numerosi a rtisti, le conseguenti trasformazioni di Compagnie, e poi le più varie e complesse questioni economiche che sconvolgono le aziende più solide ». Ne abbiamo un documento autografo. Dna lettera inedita di Ermete N ovelli — uno dei più grandi a tto ri ed autorevoli capocomici (in proprio come era uso in quel tempo) — di fronte alla modifica del contratto per caso d i forza maggiore (guerra, epidemia, flagello, ecc.). La lettera di N ovelli fu donata a Olga G iannini Novelli, vedova del l ’attore, dalla vedova di Polese: è scritta a m atita molle su carta a mano con la grafìa alta ed ampia di chi vede poco; come N ovelli a quel tempo, in fa tti. La signora Olga ne fece dono a Ridenti, insieme ad altro materiale in suo possesso. I l fondo archivio « A rte Dram matica - Agenzia Polese » fu venduto e disperso. M o lti documenti im por ta n ti dell’Ottocento teatrale italiano (l’Agenzia era stata creata da Ic ilio Polese Santernecchi, nel 1871) sono a ll’Arsenal di Parigi, lasciati in eredità da Louis Jouvet che l i aveva comperati in Ita lia . La lettera di N ovelli a Polese, risponde alla interrogazione del direttore dell’«A rte Dram matica » e proprietario dell’Agenzia annessa, che domanda ai capocomici come si comporteranno « di fronte ai co n tra tti »: se manterranno, cioè, g li impegni con gli s c rittu ra ti e con g li impresari, oppure invocheranno il caso di forza maggiore: « Mio caro Enrico, sul guaio patriottico — guaio teatrale intendiamoci — che ci pende sul capo in questi giorni, la guerra, tu vuoi che alla tua “ A rte Dram matica ” non manchi i l parere del vecchio amico? Eccotelo franco e netto: la guerra guerreg giata dà d iritto al capocomico di dichiarare i l caso fo rtu ito che sospende la paga — credi che non cerco di modernizzare il mio dire di capocomico “ dei bei tem pi! ” — ma nel caso presente è un d iritto che non si può p iù invocare come si usava. La guerra del passato poteva durare due o tre mesi estivi al più, ma ora?! Una guerra come quella alla quale sta per avventurarsi animosamente l ’Ita lia , quanto potrà durare? Ecco i l quesito che bisogna subito definire, e che io definisco con lo scioglimento dei contratti, o sociali o pagati regolari. Libertà di azione per tu tti. Si salvi chi può e come meglio crederà opportuno cominciando dal capocomico. Come si può equa mente dire ad uno scritturato o ad un socio: lei da domani non ha più d iritto allo stipendio, ma rimane vincolato meco, come dice i l nostro contratto, fino alla fine della guerra che potrà durare sette, otto, nove mesi e forse un anno!!!... A quell’epoca lei riprenderà la di lei paga e i suoi obblighi di mio scritturato! Ma quel disgraziato, con o senza famiglia, come farà a vivere? Bisognerà pure che s’ingegni a procurarsene i mezzi che potrebbero condurlo ad accettare un impegno di... tanto!! I n questo frattem po la guerra cessa e i l capocomico lo richiama al suo dovere: come potrà one stamente adempiere ai suoi doveri? Arlecchino servo di due padroni! Con la santa libertà tu tto si accomoda e con soddisfazione di tu tti. Questo è i l mio parere ispirato come sempre alla equità e bontà del mio mestiere. Tuo sempre Ermete N ovelli ». Ecco chiarite le parole di Mario Ferrigni « le più varie e complesse questioni econo miche che sconvolgono le aziende più salde ». Ferrigni scrive ancora: « la morte di m o lti a rtis ti » e dopo aver elencato g li scomparsi, l i commemora quali « a ttric i ed a tto ri t u t t i questi che passarono sul palcoscenico italiano, senza lasciare grande fama; modesti interpreti, oggi già quasi dim enticati ». Non t u t t i modesti, diremmo, se i l prim o agosto di quell’anno morì Teresina Mariani, che Simoni ricorda bravissima, pur seppellendola con un giudizio non sappiamo se più gelido o accorato: « l'attrice che i l 'pubblico applaudì sempre ma non predilesse mai ». Non aveva to rto Simoni e basterebbe, a riprova, che per il pubblico questa attrice fu soltanto la « M ariani » e per i più vicin i « Teresina M ariani »; non mai soltanto « Teresina », come era d’uso, nell’acceso entusiasmo del pubblico plau dente di allora, che creava i suoi id o li e li idolatrava, mantenendone accesa l ’am mi razione per tu tta la vita. Era i l tempo che si staccavano i cavalli dalle carrozze. D etto tu tto . G li a tto ri venivano vezzeggiati con d im in u tiv i fam iliari, ed abbiamo così avuto la Tina o la Dina, la Lyda e la Emma, la Irm a, la Vera; ancora più « gelido ed accorato » i l pubblico lo fu per la Pezzana, che si chiamava Giacinta solo per sé. Era morto anche Ciarli, rompendo i l prim o nodo di quella Compagnia che sembrava nata famosa, con la presenza di Giuseppe Sichel, uno dei maggiori a tto ri dalla comi cità funerea ed irresistibile, che la Compagnia formò ed avviò, lasciandola poi svelta mente ai suoi soci, sempre intento a ricostruire nuovi nuclei. Era abilissimo ed in fa lli bile nell’a w ia re sul giusto binario le nuove forze della scena di prosa. A l fianco di Sichel si elencavano la Galli, Guasti, Bracci, Ciarli. Quest’ultim o era entrato in Com pagnia nel 1907 e la sera del 24 maggio 1914 al Teatro F iorentini di Napoli durante i l secondo atto della Dama di chez M axim di Feydeau, fu colto da malore. Ebbe i l tempo di dire che g li dispiaceva di morire (57 anni), ma che era fiero di essere « caduto » in scena. G li a tto ri si consideravano eroi e le tavole del palcoscenico era i l loro campo di battaglia: non invano Molière era nel loro cuore. Bicorderemo che nello stesso anno oltre agli a tto ri ricordati e non pochi m inori, il teatro italiano fu privato del suo critico più illustre, Alessandro D ’Ancona, come del non meno autorevole critico drammatico Giovanni Pozza, m olto ascoltato per ventisette anni, dalle colonne del « Corriere della Sera ». E scompariva Enrico Annibaie B u tti, commediografo e romanziere, ideale discepolo di Ibsen, la cui opera esprime le tendenze della cultura italiana « fin de siècle » che supera la concezione positivistica per volgersi a nuove forme d i spiritualismo. In un prim o periodo B u tti scrisse alcuni romanzi psicologici, ma poi si volse al teatro, portando sulla scena i problemi m orali del tempo con opere di interesse sempre positivo, giungendo infine con accesa fantasia a quel Castello del sogno che è « soprat tu tto opera di teatro » nel giudizio di Simoni. B u tti fu trascurato in v ita almeno quanto Bertolazzi, ma a quest’ultim o si è largamente riparato; B u tti fu un uomo triste e sulla sua opera pesa la lapide che portò sulle spalle in vita: milanesissimo, fu milanesemente chiamato « el pover B u tti ». Scrive Simoni: « I l castello del sogno, opera che lo scrittore dilesse su tu tte le proprie e ritenne il più im portante ed alto segno del suo ingegno ». F u rappresentato da Alfredo De Sanctis, al teatro Carignano d i Torino il 17 dicembre 1914, ma già nel 1910 Francesco Pastonchi ne aveva fa tto pubblica le ttura al Teatro Lirico di Milano. L ’anno comico 1915 inizia i l giorno delle Ceneri, 17 febbraio. È imminente « l ’an data in scena » della commedia di Dario Mccodemi L'ombra al Manzoni di Milano, con la Compagnia stabile ricomposta da Marco Praga e dal conte Giuseppe Visconti di Modrone, dopo che Tina di Lorenzo ed Armando Falconi avevano rinunciato a continuare l ’iniziativa che era stata presa anche da loro. Ora, al posto della Tina, eraÁIrm a Gramática, ed al suo fianco Giannina Chiantoni, Ernesto Sabbatini e Camillo Pilotto. L'ombra fu una vera battaglia, ma i l successo durò vent’anni, e chi vide Irm a Gra mática non dimenticherà mai quest’attrice che nella parte di una paralitica, innamo ratissima del m arito, che a poco a poco riesce a muovere le braccia, ed alzare le mani ed a vederle muovere riflesse in uno specchio, quelle mani non dimenticherà mai. In una lettera di questi giorni della cara signora Sisa Lopez, moglie diletta di Sabatino, ella ricorda proprio — in morte di Irm a Gramática — quella prim a rappresentazione e quelle m ani con queste parole: « Che artista e che donna superiore, la Irm a. Finché vivo la ricorderò la sera della prova generale de L'ombra, nella scena delle mani. M ccodemi il giorno prim a della prova venne a casa nostra a dire a Sabatino che voleva ritira re la commedia perché la Irm a alle prove recitava malissimo: svogliata, non tira va fu o ri la voce: sarebbe stato un disastro. Sabatino che la conosceva bene, consigliò di aspettare a decidere dopo la prova generale, alla quale Mccodemi, secondo l ’uso francese, in vitava tu tta la élite teatrale. E fu alla scena del prim o atto un suc cesso indescrivibile. La voce meravigliosa dell’Irm a, le sue m ani protese in delirio davanti allo specchio, trascinarono quel pubblico abitualmente freddo e blasé di c ritic i e di autori a scattare in piedi applaudendo a non finire. Lei, l ’Irm a, rientrata in camerino, per la grande fatica, svenne. Ebbene lo confesso: forse perché la ascoltai soltanto da vecchia, non provai per la Duse, che pure m i piacque enormemente, una emozione simile a quella provata allora ». Che anno, il 1915, per i l Teatro italiano: s’è detto de L'ombra di Mccodemi, ma il 7 aprile si recita i l Piccolo santo di Bracco. Buggeri interpreta Don Fiorenzo: « non si può desiderare un interprete più perfetto », ed in quanto a ll’opera, Senato Simoni, del quale è il giudizio sull’interprete, apre la sua critica con queste parole: « È stato uno di quei successi, grandi e completi che i l teatro concede di rado ». La sera dopo, al Manzoni, si recita I I divorzio di Marco Praga. E senza dare troppo peso al dialettale Musco, che invece ne m erita m olto nella cronistoria di quel tempo, ecco L u Paraninfo, di L u ig i Capuana, non certo inferiore opera del celebre Cavalier Pedagna dell’illustre siciliano. Musco era un attore esagitato, irresistibile, clamoroso: nel parossismo delle sue scene culm inanti, i l pubblico gridava di gioia, abbandonan dosi ad isteriche risate; la rappresentazione si interrompeva continuamente e Musco riprendeva sempre con un saltino, come fosse un a capo. Non c’è respiro, né per la critica né per il pubblico: i ferm enti della strada che trasci nano alla guerra si arrestano sulla soglia dei te a tri sempre stipati. A l Carignano di Torino, i l 18 aprile, la Compagnia F E B T (non è il m otto di Casa Savoia, ma i l Fider E rit Bobur Tuum - La fede sarà la tua forza), diretta da Ermete Novelli, con Lyda B orelli prim attrice e Leo O rlandini — il prim attore della Duse — e Bomano Calò, recitano Le nozze dei centauri di Sem Benelli, i l cui successo fu come un nuovo inno nazionale. A Milano, due giorni dopo, al Teatro Manzoni, la Stabile di cui s’è fa tto cenno, cambia spettacolo: L'ombra cede la ribalta a Se non così di Pirandello. Si ebbe una chiamata dopo il prim o atto, due dopo i l secondo, tre contrastate dopo il terzo. Per Pirandello, il cui fuoco covava sotto la cenere, era già molto. Irm a Gramática, interprete, aveva lasciato m alvolentieri la sublime scena delle mani riflesse nello specchio. Ancora a Milano, il 24 aprile, una deliziosa commedia di Sabatino Lopez: M ario e M aria che in effetti sono una persona sola: si tra tta di una giovane di ventisei anni, che possiede tu tte le grazie che una donna possa desiderare, ma si ostina a rin negarle. Grande interpretazione di Emma Gramática, sorella di Irm a, con a fianco Ugo Piperno, L u ig i Carini, Antonio Gandusio. Con questi interpreti, i l paragone con quelli di oggi è impossibile: possedevano la scuola del palcoscenico; avevano avuto g li insegnamenti dai va ri capocomici delle cui Compagnie avevano fa tto parte, ed erano consigli di un attore che non poteva essere giunto al capocomicato senza aver stabilizzato la sua notorietà e qualche volta la sua gloria. Le dimostrazioni continuano nelle strade e man mano prendono quota: la lo tta fra neutralisti ed interventisti è lunga, con un crescendo sempre più alto, ma la sera» puntualmente, i te a tri sono grem iti. La prim a ventata di patriottism o la porta Annie Y ivanti, una poetessa che Am alia G uglielm inetti, amica di Guido Gozzano, non può soffrire. La Y iv a n ti vive a Torino, come la G uglielm inetti, ma con un’austerità fortemente contrastante con la disinvolta spregiudicatezza della poetessa delle Seduzioni. Era nata a Londra, la Y iva n ti, da un esule italiano e da madre tedesca; a ventidue anni si era presentata a Giosuè Carducci per sottoporre al « maestro in grige chiome » alcuni suoi versi. U n bel coraggio. Ma prim a della poesia, fu la sua avvenenza a scuotere la severa v ita del poeta nazionale. Nacque da quella visita la grande amicizia che si ritro v a nei versi famosi: « B atto alla chiusa imposta con un ramicello di fio ri - glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie » ecc. Annie Y iva n ti, aveva già scritto The Devourers, un libro che tradotto anche in Ita lia ( I D ivoratori) le aveva dato una rinomanza d i serietà artistica altrettanto austera quanto la sua persona. Ho, la leggerezza della G uglielm inetti, proprio non la poteva toccare. La figlia dell’esule patriota italiano, infiam m ato i l cuore al prim o nostro attacco contro l ’Austria, fece rappresentare L'invasore a ll’O lim pia di Milano, i l 17 giugno, di fronte ad un pubblico straripante, che non applaudiva: combatteva. Le manifestazioni di plauso si ripetevano di scena in scena, fino al trionfo finale degno d’una salva d ’onore. L'invasore, dramma di appassionante a ttu a lità — 1915 — rovente, tumultuoso ed interessante fu recitato da Maria Melato mirabilmente, con accanto Vera Yergani, che allora portava, i l nome di Podrecca. Viene l ’estate, ma i te a tri non perdono né fervore di a ttiv ità , né spettatori, se il 17 luglio si recita I I pomo della discordia di Alfredo Testoni, con Emma Gramática e L uigi Carini; il 28 l ’attore Egisto O livieri, che della Compagnia « Gramatica-CariniPiperno » fa parte, fa recitare, partecipando egli stesso, due sue piacevoli commedie: I l dente del giudizio e I I giuoco del cuore. L ’estate intanto ha i l suo pieno con l ’agosto e per quanto caldo potesse fare, la città non era spopolata: a quel tempo non si conoscevano le vacanze collettive e la villeg giatura era privilegio di pochi. Inoltre, eravamo in guerra. I l giorno 24, al Teatro Fossati, uno scomparso teatro milanese di via Garibaldi, eccezionalmente usato per la prosa in quanto destinato abitualmente a ll’operetta, Dario Niccodemi ed il suo collaboratore Yves Mirande fanno rappresentare La piccina dalla Compagnia MelatoBetrone-Gandusio. Niccodemi era autore e traduttore insieme; anzi abitualmente era traduttore di se stesso perché le sue commedie le scriveva in francese. Maestro di dialogo, nato per dialogare, non g li veniva di getto, se non in francese. Incominciò a scrivere direttamente in italiano, con Scampolo, per certe intonazioni romanesche che sfioravano i l dialetto. A questa commedia famosa verremo presto: mancano pochi mesi alla rappresenta zione. Non stupisca quanto s’è detto di Niccodemi: quest’uomo era un vero perso naggio; popolare ed acclamato come autore, veniva considerato uno degli uom ini « internazionali » più raffinati. La sua vita , la sua casa, i gusti e le abitudini ne face vano un idolo che gli spettatori vedevano in smoking, alla ribalta, tenuto per mano dagli interpreti, al calare del sipario sulle sue applauditissime commedie, e che le folle intravvedevano a Boma, Milano, Torino, Livorno sua città natale, in una auto mobile lunghissima e squadrata, chiamata Lambda, detta « la scatola di sardine » perché la targa alta applicata di fianco alla carrozzeria aperta, la faceva rassomi gliare, appunto, a quella delle sardine sott’olio, aperta, con la chiavetta arrotolata sul fianco. La macchina di Niccodemi era bianca ed egli la guidava indossando un soprabito sportivo bianco, col bavero sempre rialzato, senza cappello. La stessa automobile, ma nera, possedeva Giacomo Puccini, al volante i l maestro stesso, sopra bito grigio con bavero sempre rialzato, senza cappello. La stessa automobile, gialla, aveva Gabriele D ’Annunzio; non passava per nessuna strada: si trova ancora al V ittoriale degli Ita lia n i. Siamo a dicembre, i l giorno 4: Teatro Filodram m atici di Milano, Compagnia Galli- Guasti-Bracci; si rappresenta Scampolo. Per dire del successo popolare di questa commedia bisogna ricordare, forse, Addio giovinezza di Camasio e O xilia, che da quattro anni continuava a scorrere sotto form a di lacrime, sulle guance delle spetta tric i. Scampolo si incanalò in quella scìa, e come la commedia d i O xilia volle concluso un certo aspetto romantico della v ita goliardica, così quella di Mccodemi stabilizzò, superandole, tu tte le monelle di importazione, i va ri dem onietti venuti dal boulevard francese; un teatro che oggi si direbbe fum ettistico. Con quel repertorio di « gamme » D ina G alli costruiva la sua popolarità. Invece Scampolo — questa la novità, soprat tu tto — era sovvertitrice: veniva dal popolo, si presentava a piedi nudi e con la cesta della biancheria stirata sotto i l braccio. Lavorava, Scampolo; le monelle che l ’avevano preceduta, appartenevano alla borghesia ed erano ricche. Scampolo parlava dell’onore, sapeva difendersi, mostrava i pugni e voleva essere rispettata. Occorreva di più? Dina G alli aveva tre n to tt’anni e recitava quella parte di ragazzina di quindici, ser vendosi egregiamente del suo fìsico che, mondo da fronzoli ingom branti o appari scenti, era quello di una piccola Tanagra, oppure di un mucchietto di ossa, come più v i piace. I l personaggio era tanto umano quanto falso, ma in quel momento la D ina nazionale aveva già pronto i l piedistallo della sua gloria: v i si installò coperta di stracci, vera figlia del popolo, di dove era venuta, dopo tu tto . E ci si sentiva a suo agio. Ed i l pubblico, agitando nella penombra delle sale farfalle bianche di tela per raccogliere le lacrime, sentiva che qualche cosa stava accadendo; in fa tti, i l mondo incominciava a cambiare. Grande m erito di Mccodemi, l ’avere, con non pochi t r a tti geniali, isolato quel personaggio dalle sue molte parentele, rendendolo « attuale » per il suo momento. Abbiamo ricordato alcune commedie rappresentate in quell’anno, attenendoci alle più significative, con « problema centrale e senza » come la gente media usava allora dividere i l repertorio. L ’allusione a Pirandello è evidente. Ma l ’elenco è ben lontano d a ll’essere completo; ciò che meraviglia, oggi, è la sconcertante fioritura, la feconda e lieta e felice invenzione scenica, la vivezza e l ’originalità di quegli autori. Sempre elencando una su dieci, troviam o nel 1915, La meteora di Domenico Tum iati; U fanciullo che cadde, di Fausto Maria M artini; La piccola, di Massimo Bontempelli; e dello stesso Santa Teresa-, Signorina, d i M no Berrini; La via chiusa, di Giovanni Cenzato; I l convegno, di L uigi Antonelli; L'idiota, di Cesare Vico Lodovici; L a fidan zata, di Silvio Zambaldi. Aggiungeremo a ll’elenco, pur senza citarle, alcune diecine di commedie di autori che pure ebbero qualche rinomanza, come Piero O ttolini, ed a ltri che a quella rinomanza aggiunsero notorietà più tardi, come Colantuoni, Adami, Serretta. I l 4 febbraio, ad Ancona e poi a Bologna al Teatro del Corso, e via via in molte altre città, i F u tu ris ti aprono le loro batterie con la Compagnia Berti-Masi al servizio della causa: nasce, cioè, il « Teatro Sintetico Futurista » quello spettacolo che ripudiava la logica formale, la verosimiglianza, la grandezza esteriore; quindi « analogico, antigrazioso » come gridava M arinetti alla ribalta, tra fischi, u rli e insulti. Undici a tti in una sola sera; autori: M arinetti, Settim elli, Corra, Chiti, Corradini, Pratella, Buzzi, Boccioni, ecc. A tto ri: t u t t i coloro che erano disposti a resistere alla cagnara; non m olti, ma ricordiamo Zoncada, De Angelis, Mateldi, M olinari. Quella che avrebbe voluto essere una esplosione di « modernità » nel senso anticonformista, si conclu deva, in definitiva, con una inimmaginabile gazzarra, con lancio di verdure sulla scena ed intervento della forza pubblica. Un anno crudele, i l 1915, per le perdite dell’arte drammatica: muore i l 13 giugno, a Milano, Alberto Giovannini, i l più giovane ed amato attore brillante, allievo predi letto di Talli, a soli trentasette anni; si spengono Oreste Calabresi, i l maggior carat terista del principio del secolo; Flavio Andò, i l più elegante e raffinato prim attore della scena italiana, il « B e ll’Apollo » per antonomasia: della commedia di Praga, con quel titolo, era stato i l prim o interprete, a Venezia, nel 1894. E l ’ultim o giorno del l ’anno aveva concluso la sua vita, a ottantasette anni, il grande Tommaso Salvim, uno dei maggiori a tto ri tragici ita lia n i dell’Ottocento. Del nuovo secolo sono già trascorsi tre lustri: una guerra disperata si combatte con eroismo e con rabbia, convinti che il mondo non ripeterà mai più una simile espe rienza. Ma quest’ultim a la si ritiene sacra e indispensabile. I l nuovo anno teatrale inizia l ’8 marzo 1916: i l 31 maggio al Teatro Argentina la Compagnia drammatica di Roma, rappresenta la commedia che un giovane autore — L u ig i Chiarelli — aveva già scritta nel 1913 e che altre Compagnie avevano rifiu tata. A lla sua opera egli aveva dato una classificazione inusitata, definendola grot tesco, ed i l tito lo La maschera e i l volto. F u un successo che immediatamente oltre passò i lim iti nazionali, perché a New Y o rk ed in tu tte le capitali europee, quel « grottesco » trovò collocamento e consensi. Evidentemente, l ’opera aveva dato l ’avvio ad uno dei m ovim enti tra i più significativi della letteratura teatrale italiana. V i parteciparono Antonelli, Cavacchioli, Alberto Casella e non pochi a ltri. Sul teatro verista e borghese si innestava una espressione scenica schematica, di evidente effi cacia polemica. I l dopoguerra italiano ed europeo trasse i suoi m o tivi ideali e m orali da quell’intuizione drammatica del Chiarelli, im perniata sulla v ita che si fa maschera e si nasconde. Per quanto Mccodemi facesse rappresentare nell’anno La nemica e I I titano e Bracco L im a n te lontano e Sabatino Lopez Sole d’ottobre e Forzano Le campane di San Lucio e non meno di altre trenta commedie, tu tte impostate e risolte secondo i canoni della tradizione, sia pure secondo estro e genialità di ognuno, il pubblico aveva capito che qualche cosa era avvenuta nel teatro e ripeteva « grottesco » come sinonimo di nuovo. La sera avanti l ’ultim o dell’almo, L u ig i Pirandello fece rappresentare da Angelo Musco, che la recitò in modo mirabile, i suoi tre a tti, Pensaci Giacomino. Precedeva di tredici giorni Liolà e con lo stesso interprete. Furono chiamate le classi 1874-75: Dario Eiccodemi e Renato Simoni partirono per i l fronte. A lcuni mesi dopo i l Comando supremo is titu ì il « Teatro del Soldato » affi dandone la direzione alla Società degli A utori. Marco Praga si assunse l ’incarico di scegliere gli attori; Renato Simoni fu mandato ad Udine a scegliere le commedie e metterle in scena. Giunse la Duse, vestita di nero con un cappello e sottogola di crespo ed una enorme borsetta a maglie d ’argento. La nuova generazione sentiva il nome della Duse per la prim a volta. Lucio Bidenti L ’E R E D IT A A D E L FE LIS Il Piccolo Teatro di Milano, prose guendo le sue ricerche sul teatro milanese di lingua o d’ambiente, ha presentato la commedia di Luigi Illica (1857-1919) L’ereditaa del Felis, una delle opere più singolari e note di questo contemporaneo del Bertolazzi. Un magnifico spettacolo, dopo Lulù, El nost Milan, L’egoista di Bertolazzi, dopo La moglie ideale di Praga. Fu rappresentata la prima volta a Milano nel 1891 come «rottura » di Sbodio e Carnaghi, valentissimi attori, al teatro massinelliano di Ferravilla. Di questa opera non esiste più il copione, ma la trascrizione di Giovanni Barretta, ulti ma «spalla » di Ferravilla (nato il 30 novembre 1884) dava pieno affida mento. Regista dello spettacolo, Virgi nio Puecher; scene di Damiani. Nella foto in alto: Mario Mariani e Valentina Cortese; la stessa è con Piero Mazzarella nella foto qui a sini stra; ed in quella qui sopra, la Cortese è con Marisa Minelli. Nella foto a destra, una scena di La bisbetica domata, lo spet tacolo che onora la Compagnia dei Quattro per eccellenza e bravura e con una regìa sor prendente di Franco Enriquez. Scene e costumi di Emanuele Luzzati: Valeria Monconi è in primo piano. Qui sotto, nei pan ni di Petruccio della Bisbetica è Glauco Mauri. La foto stampata in colore, a sinistra: Valeria Moriconi in Andorra di Max Frisch, e nella foto qui sopra, la stessa opera in una scena con Glauco Mauri. L ’IN G E N U IT À D E L T E A T R O Anche noi pensiamo che la poesia del teatro debba darci, per usare le parole di Francesco Bernardelli, « l’immagine di quello che vor remmo essere, e che non siamo ». E a questo proposito ci sono sempre apparsi esemplari certi atteggiamenti dei bambini impegnati a sfogare la loro istintiva teatralità. « Fare i grandi », imitare cioè azioni di adulti, è il gioco che preferiscono. Lo spirito d’osser vazione, l’estro dell’improvvisazione e una sor prendente sicurezza nel rendere la logica interna delle cose, sono acutizzati al massimo; la tea tralità li accende e concentra direttamente sui dati essenziali. Nel « fare i grandi » vivono una avventura completa, evidentemente non reali stica ma superbamente reale. Esprimono la loro natura più genuina. Creano azioni e imitazioni che finalmente non sono più quelle del confor mismo infantile inventato e imposto dagli adulti, e il loro io esplode vivo come un’affermazione di libertà. Questa è la grazia della teatralità, e naturalmente non vale solo per i bambini. « Facendo i grandi », inoltre, ci mostrano le nostre azioni con dei rilievi insospettati, fino a commuoverci o farci arrossire. La teatralità ha sempre anche un valore di esemplarità, e, proprio come i bambini nel gioco, aspira a « fare i grandi », cioè a creare degli esseri umani più completi di noi, più interamente forti o deboli, più felici o più sventurati, nel bene o nel male, nella storia o nel mito. La teatralità tende a « fare il grande » (notate la significativa bivalenza dell’aggettivo), non per megalomania, ma per trovare il proprio stimolo creativo. I l bambino, è ovvio, ci attri buisce un valore che certamente non abbiamo; ma se così non fosse, se vedesse soltanto le no stre paurose insufficienze, non metterebbe tanto impegno, tanto gusto, diciamo pure tanta fede nel giocare a « fare il grande ». La sua teatra lità non avrebbe lo stimolo del modello. Non si può escludere che l’opacità dell’adolescenza di oggi, il suo pallore, la scarsa teatralità del suo spirito, dipendano dall’aver perduto il mito classico della virilità. L ’impegno umano dei giovani è in gran parte un impegno di imita zione: ma adesso che il modello è così scaduto e deficitario, che gusto, che passione ci può essere a « fare il grande »? Cosa imitare, di quest’uomo avvilito e grigio, se non le doti nega tive divenute fin troppo indispensabili : l’abulia morale, il carrierismo involuto ed esasperato, l’esercizio dell’inchino, il trionfante conformi smo? Non c’è più gusto a « fare l’uomo » in una società che stagna. E certo non basta gri dare: « Maledetta palude! » per diventare un ribelle. Gli arrabbiati non ci convincono, e nem meno gli avanguardisti, perché essi non cer cano di far defluire le acque morte inventando una nuova umanità, ma anzi vivono tartufescamente ai bordi del conformismo, attaccandolo a parole con lucrosi insulti, applauditi sberleffi. Costoro vivono grazie al conformismo, si rico noscono specchiandosi in esso, e non hanno al cun interesse che scompaia perché gli scompari rebbero insieme, fatalmente, come le zanzare e i rospi quando si prosciuga lo stagno. Le cose nuove si creano con impegni di forza, non con raffinati o striduli diplomi di squallore. Gli attori greci rendevano anche fisico l’ingran dimento morale promosso dalla teatralità, cal zando i coturni. Era la scoperta d’una fantasia giovanile, e fa pensare, anche qui, alla bam bina che mette le scarpe materne, e va davanti allo specchio, e assume faccia studiata, da reci tazione, improvvisando l’orgoglioso monologo della sua accresciuta statura. La teatralità è un modo d’inventare il nostro sviluppo, la nostra crescita. Scopre re, streghe, assassini, amanti, scienziati, carnefici e vittime, ma tutti posti un palmo più su, perché non ci sarebbe nessuna tensione di crescita nel copiare semplicemente le cose così come sono. E la teatralità deve esser tensione di crescita, invenzione di futuro. I l teatro è più vivo nei popoli in sviluppo pro prio perché nel loro sangue la teatralità è come una febbre di crescita, un entusiasmo vitale doloroso e felice insieme. Quanto detto non significa che il teatro possa o debba prosperare nelle mani degli adolescenti. Per dominare la dilatazione umana promossa dalla teatralità è anzi necessaria una matura fermezza. Però bisogna che nella maturità del teatrante rimanga una zona d’acerbità vitale che vuole ancora crescere, il bisogno d’una nuo va primavera, un mandorlo che sta per fiorire. I l suo spirito, anche nei momenti più feroci dello sconforto, deve sempre avere la forza e lo stoicismo d’inalberare una girandola pronta a giocare con l’aria. Questo è anticonformismo. Sappiamo che le nostre parole possono sem brare ingenue, stupide persino, in questi tempi di furbi assicurati dalle polizze della noia e della incomunicabilità contro ogni sorpresa. Ma sap piamo anche, tra l’altro, che Montaigne chie deva semplicemente due cose all’artista: la natu ralezza e l’ingenuità: sì, proprio lui, il padre dello scetticismo, chiedeva l’ingenuità — e fu il filosofo o, meglio ancora, la filosofia di quei grandi teatranti che tutti conosciamo. Non predichiamo un culto degli eroi. Non ab biamo oleografie romantiche davanti allo scrit toio. I nostri entusiasmi sono duri, muti e senza ile chiome al vento. Ma vogliamo uscire da quella « terra di nessuno » di cui parlava anche Ridenti nel Taccuino di ottobre, e pensiamo che la teatralità possa darci una grossa spinta. Finché si rimane un po’ ingenui, un po’ bam bini — teatrali, insomma ■ — non si perdono il gusto e l’ambizione di provare a « fare i grandi », di tentare cioè un continuo ridimensionamento di noi stessi su scala maggiore. Non « de pro fundis » su ciò che siamo, ma ipotesi su ciò che potremo essere. E’ questa l’ingenuità del teatro, ed è necessaria anche al nostro futuro, perche quando un uomo o una società si accettano pei quello che sono, pongono fine al loro avvenire Luigri Garzane SI VEDE CHE PROPRIO SE LO MERITAVA A l Museo del Teatro alla Scala di Milano, il T dicembre 1962, si è inaugurata la Mostra dei cimeli di Renato Simoni, con tanta cura ed affettuoso ricordo ordinata ed allestita dal direttore del Museo stesso, Stefano Vittadini. Documenti rari, manoscritti, lettere sono rac colti in gran numero, a testimonianza di una esistenza tutta spesa per il giornalismo e per il teatro. Prima che il prefetto, dottor Spasiano, inizias se con gli altri invitati la visita della mostra, Eligio Possenti, nello sfarzoso foyer del teatro, ha commemorato Simoni, critico drammatico, commediografo, giornalista, uomo. Ne ha ricordato la sorridente giovinezza, a Verona, e la maturità, a Milano, quando oramai, critico teatrale del Corriere della Sera, aveva rag giunto il culmine della carriera. Giornalista famoso, regista teatrale di raro intuito, lette rato brillante, Renato Simoni — ha proseguito Voratore — non si atteggiava tuttavia a poten te, ma spesso ripeteva di essere soltanto un cronista scrupoloso. Egli amava il teatro, la gente di palcoscenico, il pubblico, e aveva messo al loro servizio il tempo e il talento. Amava tutta la gente di teatro — ha ricor dato Possenti — e non soltanto i vincitori, ma i vinti soprattutto. C’era in lu i una bontà in ti ma, contenuta, che pareva inesauribile. I l discorso di Eligio Possenti è stato applau dito con calore. Prima, aveva parlato breve mente il presidente del Museo della Scala, Gian Filippo Fontana. La Mostra rimarrà aperta nei mesi di dicem- Dei teatri di Milano, Vittorio Vecchi, recensisce le opere: L ’ereditaa del Felis, al Piccolo Teatro; Andorra, al Teatro di via Manzoni «Renato Simoni», con la Compagnia dei Quattro; A l lora vai da Tórpe, al Teatro Odeon, con la Compagnia Proclemer-Albertazzi ; I masteroidi, al Teatro Nuovo, con la Com pagnia Foà-Masiero; Una ghirlanda a Sant’Erasmo, al Teatro Sant’Erasmo; Una notte fuori, al Teatro Piccola Commenda. Stagione smagliante, al confronto di Roma che è a zero, purtrop po, ma altrettanto purtroppo, tranne il Piccolo Teatro che ripro pone Luigi Illica (1857-1919), si tratta di opere tutte straniere. bre e gennaio e molti attori e giovani teatranti che hanno scelto il teatro come espressio ne della loro vita, dovrebbero visitarla. Qualcuno troverebbe davvero di che meravigliarsi davanti a tante testimonianze di una vita operosa interamen te e disinteressatamente dedi cata al Teatro. E questo dicia mo perché a Milano, alla inau gurazione, mentre ci si guar dava intorno non certo nume rosi (con qualche centinaio di attori sulla « piazza », con i cri tici di tutti i quotidiani e no, brillantemente assenti, si capi sce; unica eccezione: Tino Carraro) ci hanno raccontato questo episodio: un regista già abbastanza affermato, avendo appreso come a Renato Simoni, a dieci anni dalla morte, sia stata dedicata una strada di Milano ed ancora un grande teatro tra i più importanti del la città, abbia esclamato, certo in buona fede ma altrettanto meravigliato : « Si vede che pro prio se lo meritava ». Così come si vede chiaramente che il gio vane regista, ma non giovinetto da non poter ricordare, sia del tutto all’oscuro o quasi della personalità di Simoni, né si ren da conto — e di ciò ha ragione — come si possa dedicare una strada ed un teatro ad un criti co drammatico. Infatti, egli giu dica quelli della sua generazio ne: la buona fede proprio non si può metterla in dubbio. L ’e r e d ita a d e l F e lis Al Pìccolo Teatro di Milano la Compagnia del teatro stesso ha rappresentato, Il 28 novembre 1962, la commedia in tre atti di Luigi Illica, «L'ereditaa del Felis», trascrizione di Giovanni Barrella. Regìa di Virginio Puecher. Pensava Luigi Capuana, intervenendo nella famosa, a quei tempi, questione del teatro nazionale, che da noi, dopo l’Unità, per giungere ad un teatro in lingua, che accomunasse le regioni ed i diversi dia letti e a questi sovrastasse come conquista civile, espressione lette raria, bisognasse portare a dilatazione la scena vernacola, esaurirne ogni linfa. Un modo quello, forse riteneva, di mediare la soprag giunta, e non da tutti intesa, unificazione del territorio patrio, preser vando ai ceti inferiori la possibilità di comunicare, esprimersi attra verso la scena. La decantazione, il riconoscersi tutti cittadini anche della lingua italiana, sarebbero avvenuti in un tempo successivo, dopo un travaglio mistilingue, e senza nulla sacrificare. Si sa, invece, che il teatro, dopo il Settanta, è andato avanti in Italia, per due rivoli, se non per due spaccature. I palcoscenici da dove si parlava vernacolo hanno prolungato e dissipato quel tanto di commedia dell’arte che restava, e poi avanti con nuove prove, tentativi. Il teatro, invece, che discendeva da Goldoni e che, obbligatamente, era passato per Firenze, tentò l’impossibile riacquisto. Intorno all’Ot tanta, per avvento del verismo, sembrò che la congiunzione, se non l’innesto, fosse possibile : ma il Verga della Cavalleria resta un isolato miracolo : e il teatro continuò in molti modi, diversi, contraddittori. Una immagine ce ne dà un autore di allora. Luigi Illica, che fece filologia e pirateria, frequentò il Carducci e adottò il Naviglio e, dopo aver dato versi per i coristi di molti melodrammi, scrisse in meneghino L ’ereditaa del Felis. Uomini imprevedibili questi estremi romantici, questi nuovi scapi gliati : mentre rimavano, magari sugli album dei salotti, non rinun ciavano, a loro modo, all’anima popolare : e, a teatro, parlavano vernacolo. Contraddizioni, sfaccettature di un mancato amalgama, si riverberavano in loro. L’ereditaa del Felis è del 1891 e si contrappone al teatro borghese, in lingua, per una partecipante aderenza ad un mondo di trita, palpitante umiltà. Non è solo questione d’ambiente, gli è che qui il dialetto serve per dare libertà a personaggi che altrimenti non potrebbero esprimersi; toccarne le fibrille. La catturazione della formula verista vi è sincera, persuasiva. Vive, quest’opera, di una minuscola, ma esemplare verità : e il coro che sulla scena in alcun modo appare (è un dramma di individui al fondo della società), lo si stente egualmente alitare per quella che dovè essere l’adesione del pubblico di quei tempi, per la evocazione dei mondo circostante. L ’eredità del Felis è una povera eredità (degradazioni, errori) che -------------------------------------------------------------------------------------- —109 attende alla fine della comme dia Lena, una giovane sarta che lavora in casa. In una stanza nella quale stanno come impres si i personaggi, conosciamo la Lena, il Togn, suo fratello; e il tipico seduttore da dopo veglio ne, che lo stordito amore di Lena sorprende. Il Felis, il pa dre, va per casa stranito, av vinazzato. Succede che l’amante perbene sposa una donna della sua casta, ma complice il fratello, pensa di proseguire la relazione con Lena. Moglie altolocata ed amante bi sognosa da mantenere, è nella morale con cui fu educato. Lena potrebbe corrispondere al pulito amore di un giovane, sposando lo per i calcoli e i comodi del l’amante. La spirale degeneran te è attorno la vita della ragaz za che non trova nell’ambiente e nei familiari, soccorso, com prensione. La sola ribellione pos sibile è un moto di esasperazio ne : far sapere tutto alla moglie di chi ha traviato la sua vita. Ma, quei tempi, volevano che la decadenza non avesse interruzio ne : il vecchio muore, la fami glia viene sfrattata. Non resta nulla. Poco avevano per nasci ta, un lume di coscienza era a difenderli : la società li ha of fesi, corrotti e tutto di loro vie ne disperso. Non è senza l’intento di prose guire in una deliberata direzione che il « Piccolo » ha ricuperato e rappresentato la commedia. Coefficienti di tradizione (anche questo giovane e grande teatro ne ha una!); e il proposito di proseguire nella ricerca, in un teatro di verità (e tale anche perché legato al dialetto), di un coefficiente attuale di poesia. E’ la via dichiarata che il « Picco lo » batte da anni, con una fe deltà ai principi che induce ad una sospensiva di giudizio chi, come noi, non è proprio d’av viso si possa riprendere, oggi, con testi retrodatati, quello che dedotta. E, uno dei possibili ri scontri con tale realtà, che la ruota dei decenni non serve a mutare, è Andorra. La commedia, e non perché il suo maggior personaggio in un mondo di persecuzioni, paure, ap pare un ebreo, ci sembra esem plata su episodi biblici. A rian dare per il maggior libro trove remmo i solchi ispiratori, po tremmo rileggere i nomi dei por tatori di sofferenza, dei prede stinati alla immolazione, perché il segno della salvezza indii il po polo. L ’opera riguarda il nostro tempo, ma a sovrastarla, in quel la che è la sua cronistoria, per mane una atavica idea religiosa che non si apparenta a nessuna fede, ma che pressocché tutte tocca in virtù del sacrificio che ripropone come esempio. E, que sto ci pare un nodo importante da sciogliere, non in quanto si prolunghi fino a noi (come è dolorosamente avvenuto in pas sato) la persecuzione del popolo d’Israele, ma perché ci viene indicato che nella storia dei po poli, nella varietà degli uomini, martirizzatori e martiri sempre si troveranno di fronte, in san guinante raffronto. L’opera è difficile da penetrare : sta a mez z’aria fra riferimenti, simboli e A n d o rra fatti e persone concrete. Gli Al Teatro di via Manzoni «Renato Si- abitanti di questa Andorra si moni » la Compagnia dei Quattro ha muovono sulla scena con i vin rappresentato, il 11 novembre 1962, la commedia in due tempi di Max Frisch coli di una predestinazione, in «Andorra*. Regia di Franco Enriquez. tenti a ciò che stanno a dimo Dal Diario d’antepace di Max strare. Sul paese, prima di ogni Frisch stralciamo questa citazio altra cosa, grava la vicinanza dei ne : « La mèta è una società che Neri, che minacciano, inviano non faccia dell’uomo intelligen emissari, e vogliono identificare te un estraneo, un martire, un ebrei. Come proprio è accaduto buffone; e dobbiamo essere estra nella Svizzera che è la patria di Max Frisch. E’ ebreo, Andri, il nei alla nostra società solo in quanto non è una vera società ». protagonista adottato dal mae La meditazione fu espressa ne stro del luogo? Lo si suppone gli anni che vennero subito do per la provenienza e per stim po l’ultima guerra : ma essa ha mate di abitudini che il giovane perdurato nell’animo dell’auto ritrova in sé, e che cagionano la re. Dalla forma succinta in cui guardinga sospettosità degli al venne allora formulata, è stata tri. Egli ama Barblin, figlia del ricalata nella realtà da cui fu suo tutore. Fra le tante awer- non operò ai tempi che abbia mo detto. I l teatro di via Revel lo è il nostro teatro nazionale, e certe insistenze, elusive di altri sfoci, possono esser parte di una bella sperimentazione in vitro. La commedia meritava, sì, una riesumazione, ma là dove que sta appare programmativa, di mostrativa, si trova contro la punta dei problemi che stringo no il teatro, oggi, da noi. Bella, architettata, anche se trop po attenta, insistita sul partico lare, la regìa di Virginio Puecher. Lena era Valentina Cor tese : brava, significante. Emilio Rinaldi (il Felis) ha dato corpo, autorità, al personaggio del pa dre. Gli altri erano Mario Ma riani, che rivediamo volentieri, piazzato in un teatro e in una parte importante, Luciano Albe rici, Piero Mazzarella colorito e sagace; ed Elena Borgo, Gian franco Mauri, Lia Rainer, Marisa Minelli. Faremo ancora lodi a Luciano Damiani per sc'ene e costumi? Con questo spettacolo è comin ciato il nuovo anno teatrale del « Piccolo » e il successo è stato grande, propiziatorio. sita., che per la sua condizione e questo amore incontra, c’è an che quella del Soldato. I quadri che illustrano la vicenda di Andri, che apparirà poi figlio na turale del Maestro e di una Se ñora, e perciò fratello per via di padre di Barblin, si succedono, con una morale alla fine di ognu no, che viene offerta dai vari personaggi, i quali per metà, così, si confessano e per metà si sca gionano. I l gioco delle duplicità è qui continuo : il cangiare delle apparenze rende friabile ogni ve rità. Il dubbio che è al fondo della vera natura di Andri (ebreo o no?) non tocca il paese che pa vido nella additazione di una, fa cornice alla sua presenza. I fatti che si susseguono sfuggono ad un racconto minuto, che non sa rebbe neppure illuminante. Fra i salienti citiamo l’impossibilità di Barblin di amare il proprio fra tello, il suo perdersi; e la sorte del Maestro che ha riconosciuto Andri per figlio. L ’opera si chiu de con scene che attingono alla tragedia : la minuzia, l’organiz zazione persecutoria, allinea gli abitanti tutti per una prova, un riconoscimento. E’ un umiliante esame (quello della società o so lo quello dei nazisti?), una lugu bre sfilata. A Barblin divenuta folle, restano le scarpe di Andri che è stato, si è immolato. A Barblin, che in apertura di com media, faceva linda di vernice la propria casa, come nel paese debbono esserlo tutte, e che nel la finale pazzia prosegue ad im biancare. L’opera fatica a tro vare le sue vie, sembra patire di una elaborazione stentata e mo nocorde, ma una volta che pren da corso, manifesta un disegno, ci indica una prospettiva. Che sono quelli che abbiamo detto: di una imperante sofferenza nel mondo fin che questo non muti. Intanto gli uni si sacrificano, sia no sacrificati per gli altri. Scaltra, impetuosa la regìa di Franco Enriquez. Arnaldo Nin- chi è bravo e giovane attore : ma improba per lui la parte di Andri. Valeria Moriconi è sta ta una efficace Barblin. Bravo Glauco Mauri. Da citare la Bian co ed il Ricciardini. Molti ap plausi. A llo r a v a i d a T f ir p e Al Teatro Odeon di Milano la Com pagnia Proclemer-Albertazzi ha rappre sentato, il 29 novembre 1962, la com media in tre atti di François Billetdoux «Allora vai da Tbrpe ». Regìa di Gior gio Albertazzi. Avrete letto su quest’opera e il suo autore, ciò che ha scritto Ugo Ronfani, da Parigi, nel fa scicolo scorso de « I l Dramma ». Per parte nostra aggiungiamo qualcosa e riferiamo della rap presentazione in Italia, avvenu ta, appunto, mentre la rivista andava in vendita. Un rebus avvolto in una scritta etrusca e chiuso in una scatola cinese : questa è la commedia. Da qualsiasi parte la si accosti, la si riguardi, ci si avventuri a spiegarsela, ci si trova davanti l’indecifrato. Potrebbe fame un film Antonioni tanto l’improba bile è alle viste e si affaccia l’alie nazione. E il tutto ci viene pro posto sotto il pretesto del gial lo. I l genere, in questi ultimi tempi, è stato contaminato da autori, i quali hanno scorto che sul tema della « suspense », al tri motivi possono essere immes si. Bei tempi in cui il morto era morto e, alla fine, dopo emotive giravolte, si sapeva con certezza che l’assassino era il maggiordo mo. Ma dove sono andati, ora, i maggiordomi? Si sono accodati alle piste obbligate, fatali del po liziesco, dapprima gli invertitori del tempo, i riviventi (Priestley), poi gli esistenzialisti; e, al segui to, i metafisici. Ora, nel tessuto del giallo, sono entrati pure gli estraniati. Non ne faremo colpa agli autori. La verità è che il costrutto di questo genere è una delle ultime formule sicure che il teatro ci ha proposto; e che farla propria è sagacia, naturale urgenza, di chi attraverso la sce na ha qualcosa da dire. In Ita lia si è anche anticipato : ricor diamo che in anni lontani, Ugo Betti allargò le maglie dell’in chiesta, da fatto istruttorio, ad universale, pietosa domanda. Allora vai da Tòrpe ci presenta il solito ispettore e, a dibattito con lui, nel corpo a corpo, per chiarire la natura sospetta di un suicidio, una schiera di personag gi sospesi sull’improbabile, che di sé affacciano immagine nostalgi ca : domandano a loro volta. Al fondo di ognuno c’è la crisi, l’in consistenza di ogni essere : ma egualmente c’è il bisogno di pro porsi per una vita, contendere con gli altri. Tutto questo in un giallo? Sì, tutto questo in una commedia che ha la costruzione esterna del genere, ma che è abi tata da gente in metamorfosi e che tiesse una allucinazione. Se vi dicessimo, poi, che come fina le non c’è la consegna alla giu stizia dell’assassino, ma il dedi carsi da parte di Ursula, la figu ra più femminilmente precisa, ad opere di bene, pensereste ad un arbitrio. Ebbene no, è una nuo va « catarsi » che viene aggiunta dopo l’uso, lo spiegamento del poliziesco, quasi sedatrice libe razione dopo l’inquieto affanno. A voler giudicare dalla sua fat tura, la commedia è abile fino alla provocazione : quando pro prio si pensa di poter levare il dito su una sua incongruenza, ecco che ti si rivolta in imprevi sta sortita e sorprende ogni giu dizio. Dall’opera potremmo sop pesare ingredienti, misurare li miti, ma essa è teatro e come! Giorgio Albertazzi, impegnato qui anche come regista, ha in tonato la recitazione di tutti, ma turato i climi, alla sua sottile, inquieta sensibilità. Anna Proclemer è stata attrice stupenda, accrescendo di forza vitale il per- sonaggio. Gina Sammarco ha toc cato molte gamme e sempre con ineccepibile bravura. Citiamo la Benedetti e l’Hintermann e l’Annicelli. Vivissimo successo. I m a s te p o id i Al Teatro Nuovo di Milano la Compa gnia Foà-Masiero ha rappresentato, il 20 novembre 1962, la commedia in tre atti di Marcel Aymé «I masteroldi ». Regìa di Arnoldo FoS. La commedia, a ripensarla, si presenta con un gentiie e nobile inganno : quello di significare molte più cose di quanto sulle prime non appaia. D’altra parte, dal tranello di crederla soltan to una divagazione od una gra tuita fiaba, bisognava ben guar darsi, sapendo che ne è autore Marcel Aymé, uno degli scrit tori più fortemente originali del la Francia d’oggi. Nell’opera i personaggi preser vano, pur fra l’industria dei masteroidi (degli strampalati pro dotti!) la capacità di prolungare i giochi dell’infanzia. A giocare, e in un modo anche un po’ ar dito, erano, nella prima età, Fio renza, Iolanda e Giampietro, del la dinastia industriale dei Donadieu; e Celestino e sua sorella, di più modesta estrazione. Cele stino, rimasto legato ai Donadieu, lavora nella fabbrica ed en tra n'ei casi della famiglia Donadieu. Che sono per Iolanda l’ansia di una vedovanza in pro vincia, repressa da una falsa mo rale; per Giampietro la condot ta degli affari e il cambio delle amanti, e per Fiorenza il matri monio con un ingegnere che, perché l’amore non perisca, si dilegua. Come continuano fra loro, divenuti adulti, nella vita i giochi? Con un compiacente prodigarsi a difendere l’uno la fantasticheria, il sogno dell’altro e far sì che la realtà non rompa un incanto; a tenersi per mano in un girotondo per cui pur cambiando di posto, la caròla si prolunghi. In questo mondo di visioni chi è uscito ritorna (co me è per la sorella di Celestino), e chi è sopraggiunto (l’ingegne re), pur fra dispetti, è immesso ed inseguito, anche quando fugge. Così non si interrompe il cir colo, continua l’illusione. Dovre mo dirvi adesso del personaggiofantasia che guida e fa tante parti nella commedia. Si pre senta come un burattino in una garitta, veste da soldato e tutte le volte che hanno bisogno di lui accorre. Non è che così appaia, ma così è per quella arcana ra gione per cui al preferito baloc co si attribuiscono infinite figura zioni, lo si vuole accanto quan do gli altri ci mancano. L ’infantile fiaba perpetuata da grandi, che trattano i masteroidi, vivono della provincia fran cese e debbono affrontare l’amo re e il peccato, naturalmente si snatura, assume aspetti abnor mi : non preserva l’innocenza, né tocca la corruzione. Fra qualco sa che non si è completamente abbandonato (l’infanzia) e qual cosa che non si è conquistato (la vita), questi personaggi ci si presentano straniti : tristemente bamboleggiano. Marcel Aymé ha dotato la com media di una così divertita svagatezza, giocandovi lui per pri mo, che non si avverte l’amaro che c’è al fondo. Ed è che que sti uomini e queste donne mai cresciuti, annegano nella fiaba nella quale narcisisticamente han no continuato a specchiarsi. Il finale è un colpo d’ala che pro tegge la favola e ce ne consegna la morale inservibile. Arnoldo Foà era regista e pluriattore; e per l’una e l’altra cosa gli vadano vive lodi. Milla Sannoner ci ha sorpreso per il potere lievitante della sua reci tazione. Bravi Lauretta Masie ro, Mario Chiocchio e Aldo Barberito. Molti applausi. U n a n o tte fu o ri Al Teatro «Piccola Commenda » la Compagnia formata per recitare «Una notte fuori » di Harold Pinter ha inau gurato, il 24 novembre 1962, questa nuova graziosa ed elegante piccola sa la, attrezzata tecnicamente e dotata an che di palcoscenico girevole. Regìa di Enzo Ferrieri. Pellegrini per una Milano di vecchie e nuove strade, fra edi fici in crollo e altri che sorgono vegliati da protettrici vette di gru, siamo andati a conoscere un nuovo teatro. Sulle locan dine, bene spiccante, il nome : « Piccola Commenda », che per i milanesi di età suona vecchio, se non antico; ma che per la gente giovante, che guarda stra no anche i commendatori (che qui non c’entrano per niente), già a pronunciarlo suscita arca ne curiosità. Un teatro, anche se contenuto di proporzioni, che intraprenda la vita, in questa città che, sommossa e convulsa, uno dei suoi maggiori ha tra sformato in locate notturno e che altro presto vedrà adibito a grandi magazzini, è cosa che conferma la nostra durevole fe de. Forse, fra le tante cose che stanno mutando, anche la scena si ridimensiona e trasmigra, là dove l’amore dtei fedeli sa ri crearla. Sulla soglia della « Pic cola Commenda », ad accogliere noi ed altri pellegrini, c’era En zo Ferrieri (1) « l’Enzo Ferrieri al quale noi riconoscendo i suoi meriti non abbiamo mai lesinato onori e favori, ma 'essendo venu to meno alla più elementare di gnità artistica, dobbiamo dire -— come abbiamo detto ai proprie tari del teatro — che un nuovo teatro in Italia non si inaugura con un autore straniero, poiché il nostro Paese non è una colo nia. E sia ben chiaro che qui non si vuole fare dell’ottuso ed altrettanto sciocco nazionalismo, (1) N.d.R. - Il periodo fra virgolette, che inizia con «l’Enzo Ferrieri » e termina con «naturalmente », non è di Vittorio Vecchi, ma nostro: lo abbiamo incastrato per como dità di lettura. ma insomma c’è e deve esserci quel minimo di rispetto che im pone ai padroni di casa di non parlare e far parlare turco in casa propria con gli ospiti invi tati. Aprire un teatro, oggi, è prova di coraggio e le persone che lo hanno voluto nfe hanno dimostrato, ma anche i dispia ceri sono stati immediati, per l’intransigenza di Ferrieri, da noi e da altri avvertito in anticipo, ma ugualmente deciso ad im porre la sua volontà. Fuori di posto, naturalmente ». Una notte fuori casa di Harold Pinter. Non ci travii la mala fa ma dell’autore che sarebbe uno di quegli « arrabbiati » che scompigliano l’Inghilterra d’og gi. L ’opera, al di là delle appa renze, si attaglia al gusto di Fer rieri, alla vecchia e nuova di mostrazione che egli ha sempre voluto dare del teatro. Sfide nella commedia ce ne pos sono essere di vistose, ma, a no stro avviso, la più persuasiva, è quella che il giovane Stokes in traprende verso la vita degli af fetti, delle abitudini familiari che irretiscono un giovane quale lui, appena uscito da adolescenza. Una madre non rinuncia mai a vedere nel proprio figlio il bam bino, evita di riconoscerlo uomo. La madre di Albert Stokes ha una tradizionale sapienza per trattenere presso di sé il giova ne; ne reprime ogni anelito con morbosa tenacia; anche la gal leria degli avi, favolosamente rie vocati, serve allo scopo. In que sto soffoco, in questa compres sione di rapporti, interviene l’oc casione di una uscita serale, una festicciola, per affacciare il gio vane personaggio alla vita dei suoi coetanei. Troppo diverso da loro patisce del confronto, il suo stordito imbarazzo si presta al dileggio degli altri. Mettere una ragazza esperta vicino a lui che non lo è, fare sorgere un pic colo scandalo, sembra poi, ai fa cili amici, buon pretesto per il divertimento serale. Albert tra vede, lievita in lui una ribellio ne nella quale l’oppressione ma terna e la nuova esperienza dan no scatti alterni, tramutando le sue emozioni in azioni. Alla ma dre, che ritrova a casa, il suo improvviso dissenno appare mo struoso : come risposta egli alza su di lei una sveglia, che è sim bolo delle passate obbedienze, in minaccia. Pavido della propria balbettante irruenza esce ancora, quasi a riprova della libertà con quistata, e anche per un abba glio di cose che lo chiama. Tro va una donna con la quale ba sta poco per concludere, ma in vece è ancora con lei che con tinua la sua parossistica rivolta, con parole che chiedono mag gior comprensione e tenerezza. Ritrovandosi però a portata di mano una sveglia, ripete il ge sto. Lo stolto percorso ha per Stokes una conclusione obbliga ta che lo riconduce a casa, pres so la madre, dove sono impossi bili i vecchi discorsi e stonati i nuovi. La sua sfinita, ricuperata docilità non sa dare ragione del l’accaduto, che potrebbe ripeter si. In bilico, così, tutta la sua vita avanti. La commedia vive per questi fatti e questi perso naggi, ma si amplifica per un alone di pause, per parole che, sommesse o gridate, hanno nel l’aria una loro svampita prose cuzione. Brava brava Paola Bor boni, che con Alberto Terrani, un giovane di sorprendenti qua lità, l’ha interpretata. La regìa è stata al servizio dell’opera. U n a g h ir la n d a a S a n t’E r a s m o Al Teatro Sant'Erasmo di Milano, il 6 dicembre 1962, la Compagnia del Teatro stesso, con la partecipazione di Renzo Ricci, Èva Magni, Gianni Santuccio, ha rappresentato tre atti unici di Thornton Wilder: «Infanzia »; «Fanciullezza »; «Qualcuno ad Assisi ». Regìa di Maner Lualdl. Una ghirlanda a trfe giri, che Non pensatela perfidia : è sag sono tre atti unici, armoniosa gezza; il cammino degli anni ci mente disposti a fare spettacolo fa più lievi : noi e lui. vario e al tempo stesso congiunto. Accompagniamo il Nostro per Una ghirlanda che, ci sembra, queste sue brevi, stillate para Thornton Wilder abbia compo bole. I pensieri dei bambini qua sto, raccogliendo fiori e bacche, li mai sono? Che premonizione magari caduti o tesaurizzati, da hanno essi della vita? (Ricordate anteriori opere. Si avverte che, i due giovani di Piccola città?). a disporre il disegno, la mano è Nel compenetrare il tempo, nel flebile e il braccio deve tratte l’andare fra le labili architetture nersi da più distese figurazioni. sotto le quali passiamo per il Una cautela che viene dall’età; mondo, fra le molteplici sagome una delusa, sconfortata visione di cui ogni essere si configura, del mondo, appartano questo l’Autore ci fa assistere ad una autore, che tutti amiamo, nella conversazione di pargoli, snatu memoria di sé. ratamente cresciuti e condotti in Non ci invia più poetici mes carrozzina in un giardino. Il giu saggi, Thornton Wilder : e dopo dizio che i cullati anticipano dei 10 sfaglio come deserto è restato grandi è, a voler essere natalizi, 11 teatro. Ci consola, questo sì, per lo meno impietoso. Per sé, con la provvida grazia dei suoi si pronosticano la vita. (Ricor brevi ritorni, coi significati che date i discorsi dei genitori, sem indica, subito ritraendosi. E si pre in Piccola città?) Uno è an divaga, pure, a divertire delle che tentato di non viverla... cose che, negli anni dello zenit, Questo è l’atto dell’Infanzia. si era impegnato a farci credere. Quando siamo a Fanciullezza, cresciuti sono i bambini, e fan tasticano le esequie dei genitori. La cosa non è così lugubre come a dirla : anche ciò appare un inoltrarsi, correndo a capofitto, per la vita. Si trova stravagante, da parte dei giovani, dopo quel lo che si è pensato, che babbo e mamma vivano. Il padre gui da, anzi, un irreale autobus che tutti accomuna nel trasogno e nella delusione. Le età anche qui sono mescolate, lontana la pienezza di ogni stagione. Gio vani vecchi ed intermedi si pas sano il bandolo. E vanno da un capo all’altro della spola che congiunge nascita e morte. Pure San Francesco, da quel gran santo che è, ritorna indie tro, sulle piste del proprio pas sato, in Qualcuno ad Assisi, e reincontra, in affliggente itine rario, una donna che fu com pagna alla sua giovinezza disor dinata. I l santo che tutto patì, ravvisa colei che condivise un fallace amore. Uno specchio, per lui, di turbata sofferenza. La donna, una invasata che pur l’at tendeva, non ritrova, in quel viso macero di luce, Francesco. Per lei, non più percettibile ai sensi, la sua immagine. Per Francesco, una prova : la più degradante, per chi già ha toccato il sommo della santità. Nel quieto, ombrato, recinto do ve morti e vivi stanno in comu nanza (il cimitero di Piccola città), bambini e santi hanno pe nitenze da fare. E quale mag gior penitenza è quella di ritro vare la propria vita che si vo leva, magari, disperdere; di pre vederla, prima ancora di viverla? Questo ci dice Una ghirlanda a Sant’Erasmo. Del trittico, che tale non è, ma vada ugualmente per trittico, Maner Lualdi è stato regista estroso, amoroso e divertito; avendo accortezza, questa volta, di avere come strumenti, attori di provata bravura : eccellenti. Renzo Ricci che fu già San Fran cesco per Mario Ferrigni, in que114____________________________ sto personaggio, per celeste con tagio, si perfeziona, se ciò è mai possibile per un grande attore come egli è. Èva Magni, è stata accanto a lui, in Qualcuno ad Assisi, smagliante ed accesa inter prete. Gli altri, grandi e bambini, commisti per significato e trave stimento erano Giustino Durano, Gianni Caiafa, Olga Gherardi, Adriana Innocenti, Gianni Santuccio, Lodovica Modugno, Lo redana Corradi e Maurizio Tor resan e tutti quanto mai bravi. Gli ultimi tre poi, che erano i giovanissimi e sui quali grava vano i tristi simboli di Infan zia, Fanciullezza, si son mo strati particolarmente sensibili al l’orma di mistero con cui l’au tore confonde i passi dei perso naggi che essi esprimevano. Vivissimo il successo. Vittorio Vecchi L ’u ffic ia le r e c lu ta to n e Al Teatro Stabile di Torino, la Com pagnia del teatro stesso, ha rappresen tato, Il 24 novembre 1962, la commedia di George Farquhar «L'ufficiale reclutatore » nella traduzione di Luigi Bo nino (riduzione a cura del Teatro Sta bile) Regia di Gianfranco De Boslo e Franco Parenti. Senza l’intervento di Bertolt Brecht, che nel testo di quest’ope ra appartenente agli anni della Restaurazione inglese, dimentica ta per duecento anni, volle rico noscere o gli sembrò di trovare, nel 1955, per il suo « Berliner Ensemble » un valore universale di esemplare attualità, forse non avremmo mai ascoltato la com media. Converrà notare subito che Brecht collaborò ad essa per cavarne un liberissimo adatta mento — e non ci vuole molto a capire che cosa fosse — al quale diede il nuovo titolo Pauken und Trompeten, cioè suo nare i timpani: strombettare. Ma anche se ormai vanno abituan doci che ad ogni spettacolo dob biamo trovare una lezione o quanto meno subire un ammoni mento sociale e politico, non ci lasceremo prendere alla gola dal le intenzioni polemiche e diremo quindi della commedia come ap pare alla ribalta. A nostro avviso, la rappresenta zione italiana, a 256 anni di di stanza da che l’opera fu scritta, con tutti gli sforzi fatti dai due registi per renderla in chiave po lemica, la satira e l’aggressività non passano la ribalta, e non rimane che un gradito spetta colo natalizio, con quel tantino di monotono che una ventina almeno di siparietti producono; che la marcetta d’inizio, ripeten dosi col siparietto rinnova; che la mancanza di mordente nel l’azione rende, sì, piacevole, ma come sfogliare un album colo rato. I l linguaggio in qualche momento è spregiudicato, ma rimbalza a vuoto; uno pensa che se ne poteva fare a meno, data la mancanza di essenzialità. Per di più, tutto ciò è inglese. Car lo Veneziani, un commediogra fo degli « anni venti », privo di chiave politica e mondo da pro blemi sociali, era abilissimo in tali manipolazioni, ed al suo tem po, per una deliziosa attrice —Dora Menichelli — di commedie del genere ne portò più d’una alla ribalta. Si serviva appunto del teatro inglese e francese del Settecento, per la piacevolezza dell’intrigo sempre un po’ inge nuo e la languidezza un tantino erotica dei costumi, per la sin golarità del paesaggio. Avevano tanto successo, quelle commedie, che oltre la Menichelli-Migliari, fu formata una apposita Compa gnia, la « Buffonesca » con la bravissima Adriana De Cristoforis e suo marito Nardo Leonelli, un attore emulo di Francesco Bartoli, che ci ha lasciato — do po il Rasi —• un aggiornato « Di zionario dei Comici ». A vedere Carla Gravina in candidi ed at tillati panni maschili distribuire baci violenti ed inutili a giovi nette provocanti, con la piccola mano incollata all’elsa dello spa dino, era come ritrovare la Me- nichelli e la De Cristoforis, che entrambe recitavano in gara di bravura II Visconte di Létoriènes, commedia che non aveva nulla da invidiare all’Ufficiale reclutatore. Ma adesso « dobbiamo » tener presente la cultura, intesa come proposta, ecc. Teniamoce la, visto che il programma che lo « Stabile » ha compilato per questa commedia, di « cultura » è zeppo: da collocare in biblio teca. Quindi non faremo la sto ria, ma ci atterremo ai fatti, al la cronaca. La commedia arti cola ed interseca di scena in sce na per ritrovarsi alla fine sul l’unico binario che porta alla so luzione, ed è quella di tutte le commedie del genere: l’intreccio amoroso, la giovinetta sacrificata dalla severità paterna che si rifà col suo estro, travestendosi da ometto, la damina svenevole, il cicisbeo sfortunato, il fanfarone scroccone, ecc. Secondo le inten zioni dei moderni registi De Bosio e Parenti, che hanno collaborato alla realizzazione dell’ope ra, quelle sciocchezzuole non avrebbero dovuto avere impor tanza, in quanto servono a far quadro e bisogna subirle: per essi conta il tema fondamentale: « reclutamento di soldati per la regina »: l’incetta di carne da macello, tradizionale ingordigia britannica, borghesia dalla borsa piena che non viene reclutata, al trimenti a chi andrebbero i be nefici del povero contadino ven duto? i nuovi mercati dei ban chieri ladri, usurai, ecc. Ci sia mo capiti. E’ vero, l’autore — ed è risaputo, con buona parte di denunce biografiche — volle dimostrare le turpitudini di quei reclutamenti, fino alla pavida di sonestà ed al sacrilegio, facendo travestire il sergente reclutatore da prete per meglio far abboc care all’amo della sua ipocrisia i poveri contadini. Ma in un’ope retta del genere, almeno per chi deve conoscerla alla ribalta e non riesce a scoprire e sentire subito l’« impegno », restando « inchio Giudice e Proprietario, l’uno; dato », come si dice, di fronte Brozen, l’altro. Bravissimi. L’ Uf alla mostruosità politica del so ficiale reclutatore, Piume, ha avu pruso e dell’ignominia sociale, to in Osvaldo Ruggeri la spaval non resta che la facilità dell’in da giovinezza del primo attor venzione, i travestimenti cui ri giovane secondo la tradizione dei corre il sergente, il piacere di personaggi con spada e piume. fare all’amore dell’ufficiale, ecc. Graziosa Carla Gravina; svene Insomma, l’opera si è svuotata vole quanto doveva Gianna Gio in questi 256 anni trascorsi e non chetti. Tutti gli altri assai volen è bastata la « ricostruzione » po terosi e precisi, anche se un po’ lemica a colmarla nuovamente: lenti. Evidentemente lo spetta è rimasto l’involucro, che è te colo ha bisogno di un po’ di ro nue, fragile, natalizio, come s’è daggio. Da ricordare ancora la detto. Forse la regìa non ha tro D’Eusebio, la Zatini, Rizzi, Ce vato il tono preciso ed il giusto cilia Sacchi. Della regìa a quat clima, preoccupata del « tema di tro mani s’è detto; delle scene di fondo », ma senza per questo vo Mischa Scandella si gode la sco ler trascurare il sottofondo che lastica lindura da libro inglese nella commedia è una quadri per ragazzi, con le mucche e le glia sempre attiva e danzante? anitre dipinte sui fondalini. Ma se pensiamo alla ricerca cul Qualche eleganza nei costumi di turale, all’esemplare attualità, al Eugenio Guglielminetti. ricordo di Brecht, alla satira, I l pubblico ha gradito lo spetta alla polemica, alla denuncia, e colo e l’ha cordialmente applau Lucio Ridenti chissà mai quante altre simili in dito. tenzioni, le vediamo volteggiare nell’aria, ma per terra troviamo R o m o lo quel solo divertimento cui s’è il G r a n d e fatto cenno e che ci ha fatto Al Teatro Stabile di Napoli, inaugurata ricordare II Visconte di Léto- la nuova Stagione ai «Mercadante », il rières. Questo Ufficiale recluta 16 novembre 1962, con la commedia in quattro atti di Friedrich DOrrenmatt, tore ha una parte di notevole ri «Romolo il grande ». Regìa di Ottavio lievo e comprendiamo come l’at Spadaro. tore inglese Eastecourt, al suo Romolo Augustolo era, a opi nione di Friedrich Dürrenmatt, tempo, potesse essere bravissimo, un uomo cinico e scemo. Dür come è ricordato. Ma occorre mettersi in mente di voler essere renmatt voi lo sapete, è un com bravo e recitarla da istrione, non mediografo erosivo e corrosivo essere istrione: recitare la parte il quale, dopo aver dissertato su dell’istrione. Ma affidata a Fran alcune vicende serie della vita, co Parenti, che ha evidenti pro quali il matrimonio e della morte blemi centrali e si comporta in quale il testamento, ora soprav conformità, è diventata langui viene alla storia, ed allinea un seguito di variazioni o di aforismi damente uniforme. E molle. Avrebbe dovuto invece essere uno sul crollo dell’Impero Romano scatenato della perfidia, dell’in d’Occidente, che sostiene rovina trigo, dell’ipocrisia, e di questo to dalla scemità e dal cinismo di Romolo Augustolo, ch’egli chia passo tutto ciò che volete. Due attori ci sono parsi vera ma ironicamente « Romolo il mente a posto, e sono quelli che Grande ». Noi credevamo in tut ta buona fede, e siamo certi di ad ogni spettacolo ritroviamo sempre più bravi: Giulio Oppi essere d’accordo in proposito con e Mimmo Craig. I l primo è nel i nostri lettori, che l’Impero Ro periodo più smagliante della sua mano venne schiacciato dall’El maturità; il secondo, in quello lenismo in combutta col Cristia più dotato dell’ascesa. Erano, il nesimo, il primo per avfer man mano « coltivato » e indebolito il cittadino romano, e il secondo per averlo permeato con una sorta di democrazia irresistibile, per il tra mite religioso, che non poteva non minare le basi dfell’Impero Militare romano. Ed invece ci si presenta un Imperatore sconcio perché vile, il quale si era fatto eleggere (secondo ciò che affer ma) per far pagare a Roma i suoi passati « misfatti militari », i suoi assassinii politici, la sua tirannide sulle province. Non è da escludere che la com media contenga delle raffiche polemiche contro l’Italia, che na turalmente lasciano esattamente il tempo che trovano, come la critica alla retorica italica; la epi demia delle nomine sul campo (quale la nomina del generale Oreste) puzza da un miglio la nomina al Maresciallo d’Italia del generale Messe sui campi di Tu nisi, dopo la disfatta ad opera degli inglesi. In generale, i primi dialoghi, fatti apposta per indi care il carattere di Romolo, ne intercettano il carattere nel modo che segue, specialmente nei suoi discorsi con la moglie Giulia, det ta la « Madre della Patria », che Romolo, a detta di Diirrenmatt sposò per diventare imperatore ed avere il modo di «punire Roma». Giulia — Romolo, saresti diven tato Germanofilo? Romolo — Mai più. Tengo assai di più alle mie galline! Romolo il Grande aveva infatti un ben munito pollaio nel quale alcune galline, contraddistinte da nomi illustri (Oreste, Domiziano, ed altri) fanno delle uova che l’Imperatore mangia ogni matti na, a seconda dei meriti negativi di ognuno degli uomini a cui erano intitolate le galline. Impor tante, per lui, era la disfatta da qualunque parte venisse, purché Roma cadesse nella polvere, final mente castigata delle sue enormi tà passate. Arriva, per esempio, il prefetto di cavalleria Tito Furio Mamma, il quale porta la noti zia che Pavia, accerchiata dai Germani, è caduta. Romolo lo manda a dormire, senza ascol tarlo. Giunge poi il fornitore mi litare Giacomo Rupi, capo di una ditta per la fabbricazione di cal zoni, che gli propone di associare alla sua super-ditta l’Impero in rovina ed egli sborserà i dieci milioni che Odoacre domanda per sgombrare il Nord dell’Italia. Ma chiede dell’altro, il Rupi : domanda di sposare la figlia di Romolo, fidanzata con Emiliano, prigioniero dei Germani già da tre anni. Romolo, che ha accolto con gioia l’offerta di dieci milioni, respinge nettamente la seconda offerta, e non c’è verso di farlo recedere dalla sua ferrea decisio ne. Nemmeno quando interviene Giulia, con parere favorevole, egli se ne dà per inteso. E Rupi è bellamente congedato. Seguono altri episodi, tutti co struiti alla luce del carattere del l’Imperatore che respinge ogni accomodamento, e vuole la scon fitta, quando l’Imperatore roma no d’Oriente, il quale chiede asilo poiché la suocera si è messa d’ac cordo col nemico per cacciarlo via. Ed anche egli ha il ricevi mento che Romolo è ormai abi tuato a riservare a tutti. D’un tratto, Romolo scopre i suoi cortigiani, fra i quali alcuni mi nistri nascosti in camera sua, sot to i letti e negli armadi. Sono con giurati e vogliono ucciderlo. Ma risuona il grido : « I Germani ! » e tutti fuggono. Arriva Odoacre, col quale il colloquio di Romolo è oltremodo amichevole, tanto vero che Odoacre gli assegna una pensione ed accetta il nuovo trono solo perché Romolo lo prega. Ma egli era venuto per riconoscere l’alleanza di Romolo col nemico per perdere la guerra, e lasciargli l’Impero. « Eccomi un pensionato » dice l’ex Im peratore. E’ quasi vergognoso, ma è così. E si rassegna. La commedia è quella che pre cede. Ciò che ne penso è detto in principio. Mario Scaccia, a mio avviso, ha recitato benissimo, ma avrebbe dovuto dare maggiore sviluppo al grottesco della com media, ciò che la Paul (Giulia) ha fatto più di lui. Bene Anna bella Gerliani nella parte di Rea la figlia di Romolo. Armando Bandini nella parte di Zenone Isaurico; Orazio Orlando in quel la di Emiliano, ma anch’egli mi è parso un po’ troppo patetico; Carlo Lombardi in quella di Mares, primo Maresciallo delPImpero; Cesare Polacco nel ruolo di Tullio Rotondo, Ministro del l’Interno; Italo Alfaro molto a posto in quella di Spurio Tito Mamma; Alberto Carloni e Ro mano Bernardi in quelle di Achil le e Piramo, due attori che han no recitato benissimo; Mauro Carbonoli nella parte dell’anti quario Apollione; Sandro Merli in quella di Cesare Rupi; Gian carlo Boniglia che era il maestro di declamazione Filace; Gianni Mantese che era Odoacre ; Gianni Spataro che era Teodorico, ni pote di Odoacre e Gino Maringola, Claudio Perone, Gino Ca stello, Bruno Cirino, Rodolfo Ventriglia. Salvo il difetto di un leggero patetismo, la regìa di Ottavio Spadaro è stata ottima. Buone le scene di Lorenzo Ghiglia; la mu sica di Mario Porracci; pittore schi e suggestivi i costumi di Titus Wosseberg. Successo vivis simo; applausi a scena aperta ai più indovinati aforismi di Ro molo il Grande e numerose chia mate dopo ciascuno dei quattro atti. T a r a n t e lla c o n u n p ie d e s o lo Al Teatro Stabile di Napoli, la Compa gnia del Teatro stesso ha rappresentato al «Mercadante », il 6 dicembre 1962, un solo atto della commedia in tre atti di Gigi Lunari. «Tarantella con un piede solo». Regìa di Andrea Camilleri. La rappresentazione è stata sospesa dopo il primo atto per intervento delle Autorità e proteste del pubblico per quanto l'autore faceva avvenire sulla scena. Leggere il Taccuino. Tarantella con un piede solo, novità assoluta, è stata data (in parte) allo « Stabile ». E’ di Gigi Lunari, un giovane autore mila nese che ha voluto, a quel che pare, affilare una sua certa po lemica contro Napoli, cercando poi, con un finale che sapeva di appiccicaticcio, di salvare al meno ciò che aveva insinuato contro la polizia, guadagnata, a suo dire, dalle corruzioni di una « maitresse » di casa di tolleranza sloggiata da una casa chiusa a seguito della Legge Merlin e di un vecchio ladro, Don Antonio, entrambi alloggiati sul davanti di un alberguccio napoletano a dirigere le proprie floride quanto indegne industrie. Dico subito che alla commedia non manca certa mano felice nel dosare le apparizioni di costoro, sicché non si può negare all’au tore una tal quale possibilità, ove lo avesse voluto, ad ambientare altrove il suo lavoro, che sa rebbe stato, ad esempio, più con gruo a Milano che a Napoli, dove la malavita non è così ri gidamente organizzata. I l nucleo centrale della commedia, poi, è un po’ ripugnante: si tratta di due poveri sposini che arrivano dalla provincia in viaggio di noz ze, e un capoccia della « mala », dopo molti giri di parole, invita lo sposo a lasciargli la sposa per la prima notte, una specie di « jus primae noctis » criminale, dietro compenso di mezzo milio ne che poi naturalmente non gli dà, lasciandolo a meditare sulle proprie corna e sulla propria inalienabile miseria. Ma, a giustificare il giudizio piut tosto severo espresso nella pre sente recensione, narriamo con ordine, in modo che il pubblico dei lettori, e possibilmente quel lo di coloro che hanno assistito al primo atto, si convinca che qui non si fa del malinteso cam panilismo, ma che si adotta una linea di difesa della propria cit tà scelta quale esempio di un Paese in balia di se stesso e delle sue male sorti. La commedia si apre con una tarantella breve, ma intensa, dan zata da Elena Sedlak. Segue im mediatamente la riunione delle meretrici davanti all’albergo, do ve si tiene una specie di ban chetto al quale partecipano al cuni funzionari di polizia, ospiti di un noto ladro del quartiere, Don Antonio detto Luky Strike. Madame Odette dirige il suo mercimonio con aria da auten tica padrona (ha offerto già la colazione alla polizia), e Don An tonio sguinzaglia i propri ladrun coli alla pesca miracolosa per le strade del rione. Tutto sotto gli occhi della « squadra » la quale gozzoviglia e non « si accorge » di nulla. Arrivano i due sposini, e qui si verifica un errore che ascriverei più alla regìa che al l’autore: costoro (il maritino e la mogliettina) ci sono presentati in un quadretto patetico, sicché tut to quanto loro capiterà anche es sendo condannabilissimo da par te loro, è scontato pateticamente, sicché i due ispirano pena e di sprezzo, in modo da pesare non poco sullo spirito della comme dia. Sono porci, ma sono indi cibilmente poveri e sfruttati: la tentazione del malvivente è — essa —- condotta molto bene, sic ché i due annuiscono e non an nuiscono, sicché i due poveretti ci capitano quasi senza volerlo. La sposa se ne va nell’albergo, e fra l’altro non la segue nes suno, sicché non si sa nemmeno con chi consumi il mercimonio. Dopo molte macchiette e cose affini, una scena piena è data dalla denuncia della truffa alla Pubblica Sicurezza, e il « pater no » consiglio dell’Ispettore allo sposino: non ci pensate più; met teteci una pietra sopra; è inci tamento alla prostituzione ; an dreste in galera voi per il primo. E i due se ne vanno mogi mogi dopo le sataniche pieghe delle loro « fauste nozze ». Alla fine appare un tronfio commissario di Polizia il quale dice che quei poliziotti non erano poliziotti, ma banditi travestiti da agenti e da funzionari, e quindi la Polizia è scagionata. Come si vede, la commedia non è un modello di arte teatrale. Si cantano due o tre canzoni napo letane da Jimmy Fontana, non napoletano, al ritmo dell’orche stra diretta dal maestro Angelo Fiorentini. L’interpretazione mi è parsa buo na: Madame Odette era Dolores Palumbo, la quale ha recitato secondo la sua arte suggestiva e pittoresca; Enzo Tureo, attore di rara efficacia, ha interpretato la sua parte con la precisione che gli conosciamo da anni; Carlo Croccolo è stato il melanconico sposo, pallido, aggrondato, ecc.; Paola Piccinato la sua donnetta ingannata; Alberto Carloni era il vecchio cameriere dell’albergo, lodevolissimo; Alberto Amato, Gianni Spataro, Rodolfo Ventriglia, Rino Castrilli, i clienti del bar; Bianca Maria Varriale, T it ti Tomaino, Elena Sedlak erano le « donne » di Madame Odette (l’ultima addetta alle danze di scena); Carlo Lombardi era il commissario (che è venuto a de clamare un poema per accusare i colpevoli) ; Gianni Mantesi era l’ispettore di polizia; Gino Maringola un altro « brigadiere in fluente ». lESrnesto Orassi Il m a tr im o n io p e r c o n c o rs o Al Teatro Stabile di Firenze, il 3 di cembre 1962, la Compagnia del Teatro stesso ha ripreso una delle opere di menticate di Carlo Goldoni: «Il matri monio per concorso ». Regia di Tatiana Paviova. I l Piccolo Teatro Stabile della Città di Firenze, presieduto da Aldo Ciardi e diretto da Umberto Benedetto, ha inaugurato il terzo anno della sua attività nella sede di via dell’Oriuolo. Amiamo mettere subito l’accento sulla coraggiosa e intelligente scelta del testo d’avvio: una gol- doniana in procinto di compiere duecenfanni e che non riappa riva più sulle scene da parecchi decenni, forse da oltre un secolo, negletta dai comici e variamente discussa e valutata dagli studiosi e dai critici, qual è II matri monio per concorso. Carlo Goldoni la compose in tut ta fretta nell’estate del 1763, quando già s’era sistemato a Pa rigi da poco più di un anno e stava elaborando II ventaglio. Lo spunto lo trasse da un suo canovaccio di commedia all’im provviso, Les deux italiennes, buttato giù per il teatro parigino che l’aveva scritturato: robetta di poco conto a paragone dei capolavori Todaro, Rusteghi, Ba ruffe chiozzotte ( e mettiamoci pure Una delle ultime sere di carnevale) scritti e rappresen tati poco prima della sua par tenza da Venezia. Egli teneva moltissimo a conservare — mal grado la lontananza — i suoi rapporti col lustrissimo Vendramìn e col teatro di San Luca: era fermamente convinto che nella sua Venezia, o tosto o tardi, sa rebbe ritornato, e non voleva perdere i contatti con quel pub blico che, sia pure con sporadiche amarezze, gli aveva dato tante soddisfazioni e la gloria. Eccolo, dunque, in quell’estate 1763, impegnato a giocar grosso su due scacchiere. A II matri monio per concorso non diede evidentemente alcun peso, prova ne sia che non ne fece menzione nelle sue Memorie. Al momento, però, una certa importanza deve avergliela data se si affrettò a dare notizia della spedizione del copione a Venezia, al segretario dell’ambasciata di Parigi Giovan ni Fontana, con una curiosa epi stola in versi. Il matrimonio per concorso andò in scena al San Luca in quello stesso autunno. Un certo succes so probabilmente lo ottenne. E’ curioso rilevare come gli stu- diosi del teatro goldoniano, ita liani e stranieri, abbiano portato sulla commedia giudizi assai di scordi. Addirittura spregiata da certuni, fu molto lodata da altri. Né mancarono i ricorrenti acco stamenti a Marivaux (Les jeux d’amour et du hasard). In certo senso, coi suoi « colpi di teatro » (come il Goldoni defini sce il fitto gioco degli equivoci basati su travestimenti, gaffes e artificiose situazioni tirate fino al limite di rottura), Il matrimo nio per concorso può anche ve nir definito una pochade ante lettera, senza pruderies. L ’intreccio è basato sulla trovata degli avvisi economici, anzi degli annunci matrimoniali già in voga, soprattutto sui giornali inglesi, oltre due secoli or sono. Se non altro, si può dire che il genio co mico del Goldoni intuì felicemen te l’efficacia teatrale della trova ta che, in seguito, doveva essere molto sfruttata da commediogra fi e umoristi d’ogni estrazione. Chi, nella commedia in parola, fa l’avviso matrimoniale (per concorso) su un foglietto parigi no, è il mercante italiano Lan dolfo desideroso d’accasare con venientemente, e con la promes sa di una discreta dote, la propria figlia Lisetta. Landolfo ha preso alloggio, nella Ville Lumière, in una locanda gestita dal giovane Filippo, pure lui italiano. Lan dolfo è un certo tipo che ha fatto i quattrini non si sa come. Dalla condizione di domestico, in Spa gna, del mercante Anseimo (altro italiano ), egli è risalito a quella di borghese benestante. Lisetta è poco soddisfatta dell’annuncio matrimoniale fatto da suo padre; infatti, ha molto in simpatia il locandiere compatriota il quale, manco a dirlo, s’è onestamente invaghito di lei a prima vista e vorrebbe sposarla. Ed ecco capitare nella locanda « dell’Aquila » anche VAnseimo di cui sopra, reduce dalla Spa- gna dove i suoi affari sono andati maluccio, e anche lui con una figliola da maritare: Doralice. L’incontro fra l’impoverito An seimo e il suo arricchito ex dipen dente Landolfo non è dei più cordiali, ma non succede niente d’allarmante. Va da sé che Goldoni ha riversato tutte le sue simpatie su Anseimo, e con una voglia matta di farne uno dei suoi prediletti e virtuosi Lantaloni. S’è accontentato di renderlo interprete delle proprie nostalgie veneziane (« De Venezia lontan domila mija / No passa zorno che no me vegna in mente... »). Infatti, il personaggio non si la scia sfuggire le occasioni per de plorare che il non più imperioso zecchino veneziano valga appena la metà del supponente luigi francese, e che le tariffe dei fiacher (fiacres) parigini siano supe riori a quelle delle oneste gondole lagunari che, per pochi soldi, ti portano a spasso tutto il giorno (oggidì non si può dire altrettan to), e che infine a Larigi non si possano mangiare gli onesti quatro risi come Dio comanda, ma lamente sostituiti dalle esecrabili soupes. Breve: la commedia dà fuoco alle polveri dei suoi « colpi di teatro » con tutti gli equivoci che sprizzan fuori dall’avviso matri moniale di Landolfo. E qui entra no in scena alcuni personaggi francesi ( monsieur La Rose, monsieur Traversen, madame Fon taine, madame Piume, mademoi selle Lolotte, e servi e dame e cavalieri) che alimentano i qui prò quo, gli scambi di persona. Scende in lizza pure un altro personaggio italiano, il giovane mercante Roberto. Filippo, pur di arrivare a impalmare Lisetta, si traveste addirittura da colon nello tedesco, il trucibaldo Trichtrach. C’è bisogno di aggiungere che /’imbroglio si conclude come volevasi dimostrare, e che cioè lo scornato e grognante Landolfo deve acconsentire al matrimonio di Filippo e Lisetta, e che Doralice s’accaserà felice col non me no felice Roberto? Ciò che Tatiana Pavlova ha fatto per rendere attraente, vivace, brillantissima la negletta comme dia, è indescrivibile. Perfin trop po. Ha creato un prologo riecheggiante il fatuo ambiente della comédie italienne a Parigi, ha affidato la mansione di butta fuori alle due mimeggiantì ma schere Pantalone e Brighella, ha conferito una funzionalità gar batissima alla colonna sonora echeggiante musiche di Paisiello e Cimarosa, ha suggerito a Ma rio Mariotti bozzetti e figurini deliziosamente rococò, ha soprat tutto impresso alla recitazione de gli attori un avvincente ritmo da allegro vivaldiano con pennellate di venezianità per Pandolfo ( Gui do Verdiani) e Lisetta (Marina Dolfin). Infine, in locandina, ha risfoderato gli ormai desueti « ruoli » della commedia sette centesca: il padre nobile (Ansei mo), ¿'ingenua (Doralice), la pri ma attrice amorosa (Lisetta), ¿’amoroso comico (Roberto), il brillante lepido (La Rose), la Il d ia v o lo e donna provocante (Mme Fontai ne), la parte odiosa ovvero tiran no (Traversen), e via dicendo, lnsomma, una regìa da manuale, che se ha messo a dura prova la resistenza degli attori, ha in com penso dato vita ad uno spettacolo grazioso, indimenticabile. Tutti gli attori vanno elogiati vivamen te: dall’impegnatissima e briosis sima Marina Dolfin (goldoniana d’elezione, vorremmo dir di raz za), al validissimo Verdiani che ha impersonato un Pandolfo sin golare e pieno di mordente, dal cantattore Alfredo Bianchini (ben collaudato dalle Morbinose del la Compagnia dei Giovani) di un lezio e di una brillantezza diver tenti, alla sempre brava Renata Negri, alla cinguettante Vanna Spagnoli, al franco e suasivo Nino Dal Fabbro, a Leo Gavero, a Gino Susini, a Nicoletta Rizzi, a Giovanna Sanetti, a Vanna Ricci, a Graziano Giusti, al Mirannalti, al Sauro, al Mar telli, ecc. I l successo è stato caldo, affettuo so, vibrante, e ha premiato la meritoria fatica della Pavlova e dei suoi comici. Alberto Bertolini il b u o n D io Al Teatro Stabile di Genova, l'8 dicembre 1962, la Compagnia del Teatro stesso ha rappresentato il dramma in tre atti e undici quadri di Jean-Paul Sartre «Il diavolo e il buon Dio», nella nuova traduzione di Giacomo Debenedetti. Regia di Luigi Squarzina. Uno psichiatra americano — ci ossessionato da un dubbio terri informa Francis Jeanson nel suo bile : di qui il suo carattere in libro dedicato a Sartre e al quieto, irresoluto, e il suo stra l’opera sartriana — dopo due bismo, autopunizione che un fan anni di « investigazioni psicana ciullo si è “ inconsciamente ” in litiche » ha raggiunto queste con flitta perché cosciente di avere clusioni : « Sartre appartiene al agito male; di qui ancora un la schiera dei grandi traumatiz certo esibizionismo, rivelatore di zati; egli ha avuto la sfortuna una tendenza all’omosessualità; di assistere, a un anno o due, di qui infine il masochismo che a una scena tanto più contur conduce Sartre a votarsi all’in bante quanto più incomprensi successo di tutti i suoi atti ». bile (l’atto sessuale tra suo pa Conclusione generale (sempre se dre e sua madre) e ne è rimasto condo lo psichiatra americano) : definitivamente scosso, nonché « Sartre è un uomo normale, lu- cido e sano, che scrive opere morbose per liberarsi (inconscia mente) da una visione allucinata della sua infanzia... Se Sartre non “ si liberasse ” scrivendo, è certo che non diverrebbe pazzo, ma è lecito supporre che corre rebbe il pericolo ». Francis Jeanson non aderisce al le conclusioni del medico ame ricano e le definisce « sconcer tanti sciocchezze » ; ma queste conclusioni ci sono ritornate in mente dopo di avere ascoltato I l diavolo e il buon Dio. La lettura del testo integrale non è sufficientemente rivelatrice — co me sempre accade per l’opera teatrale — della qualità di un testo : i personaggi debbono « fa re carne », per intenderne l’in tima essenza; debbono cioè sa lire sul palcoscenico, spesso con il duro e pesante passo del con dannato a morte che sale sul palco dell’esecuzione. I l diavolo e il buon Dio è una condanna dalla prima all’ultima scena. La lucida freddezza nel negare l’esistenza di Dio e la condanna d’ogni via di salvezza che agli uomini può essere of ferta, ci hanno fatto aderire alle conclusioni cliniche dell’america no : il « grande trauma » è dav vero alle radici dell’opera lette raria e teatrale di Sartre. Nella vita fisica, Sartre può essere « normale », ma il suo sdoppia mento avviene quando il « fu ragazzo » si scatena in cerca del la « liberazione » che la pagina bianca o la scena vuota gli pos sono offrire. Questo Diavolo e buon Dio che arriva alle nostre scene con oltre dieci anni di ritardo (fu rappresentato a Parigi nel 1951 con la regìa di Louis Jouvet), aggredisce lo spettatore con la stessa sconcertante potenza e con la stessa assurda paurosa violen za con cui l’assassino inconscio, il « posseduto », il grande mala to, insomma, scivola nella notte in cerca di una vittima, l’azzan na alle spalle e la finisce. Satana e Dio sono ancora e sempre di fronte l’uno all’altro. Ma in Goetz, soldato di ven tura tedesco preso a prestito da Goethe, immerso nelle lotte reli giose e nelle sanguinose rivolte dei contadini contro i padroni, il Bene e il Male entrano a con flitto con una violenza senza pari. Goetz è il Male personificato; egli è addirittura il genio del Male, e per la forza del suo compiaciuto cinismo nell’opera re secondo te direttive di ogni forza malefica, e per la ricerca d’ogni settore umano entro cui seminare l’odio, la bestiale vio lenza d’ogni atto e di ogni pen siero umani. Sul suo cammino vandalico, Go'etz incontra un religioso, Hein rich. Il soldato sta assediando con i suoi uomini la città di Worms; la morte, la fame, la pestilenza stanno per diventare le sole padrone della situazione, dentro e fuori le mura della cit tà. NtelPinterno dei conventi, i soldati della religione stanno per cadere sotto l’assalto della folla di affamati. L ’Arcivescovo vuole salvare i suoi uomini di fede, e consegna ad Heinrich la chiave di una porta segreta aperta nelle mura di Worms : da essa le sol datesche di Goetz possono en trare liberamente, massacrare il popolo, ma liberare — in cam bio — i religiosi. Se il varco infame non Verrà aperto, saran no i religiosi a subire l’oltraggio del popolo imbestialito. Heinrich è posto di fronte a un dilemma tremendo. Una lotta ben più du ra di quella che si combatte al di qua e al di là delle mura di Worms s’accende nel cuore, nel la mente, nella stessa carne di Heinrich; poi l’obbedienza all’or dine dell’Arcivescovo s’accampa su ogni altra ragione. Heinrich incontra Goetz, per l’in famante mercato. Ma subito il relitrioso riconosce nel soldato la più completa incarnazione del Male. Non ci si può fidare di un essere che di umano ha solo le sembianze; non si può affidare la chiave della città allo stesso Satana : ogni azione — anche e soprattutto quella del tradimen to —• sarebbe possibile. Allora, sottilmente, quasi aggrappandosi ad una tavola di salvezza fragi lissima che un naufrago si trovi improvvisamente a portata di mano, il religioso si affida ad un gioco disperato : perché non ab bandonare l’alta quota del Male, di cui Goetz è padrone assoluto, e trasferire la stessa potenza, la stessa carica di volontà, lo stesso febbrile ardore, al servizio del Bene? Il trapasso è possibile, la storia degli uomini non manca di esempi. Per Goetz, la proposta di Heinrich ha il valore aspro di una sfida. L ’acc'etta. Metterà un saio sull’armatura, distribuirà ai poveri le sue sostanze e ai contadini le terre conquistate in guerra di rapina, fonderà un or dine di uomini avversi alla vio lenza. Ma il Male non si tra sforma così facilmente nel Bene. Ogni atto, ogni parola di Goetz o non saranno creduti, o saranno fraintesi : la bontà non è improv visazione, non è semplificazione astratta. La bontà nasce dal cuo re, dalla penitenza, da una com pleta e lunga prefazione ch’è re gola di vita, ch’è virtù dello spirito. Goetz verrà abbandonato da tut ti, gli si formerà il gelido silen zio attorno. Sconfitto, si vendi cherà uccidendo colui ch’egli re puta il colpevole della sua di sfatta : Heinrich. E in lui s’ac camperà un solo dominante pen siero : è soltanto l’uomo il co struttore e il giudice degli umani destini. Dio non esiste, proclama con bestiale cecità Goetz; esiste solo l’uomo, e uomo tra uomini, Goetz vuole tornare. Pronuncerà un suo tremendo verdetto : riem- pirò di paura il mondo, poiché non so compiere altra missione; resterò solo, con l’immenso cielo vuoto sulla mia testa, perché nes sun’altra certezza v’è per l’uma nità. Restiamo nei termini e nei limiti teatrali del testo di Sartre; ten tarne la discussione, dopo quan to di Sartre s’è detto e scritto, non è affare nostro. L ’opera di Sartre sfugge all’esame dell’uomo di teatro. Per quanto la dialet tica sartriana sia forte, risoluta, inquietante quant’altra mai, in quest’opera così densa di signi ficati s’avverte l’errore — cre diamo — di non essere riuscito a creare il personaggio. E forse per eccesso : per aver voluto crearlo troppo e troppo grande. Ci toccherebbe assai più il dram ma del suo antagonista, Heinrich, se non ci convincessimo facil mente che Heinrich è una co moda « spalla » di Goetz, troppo disposta al gioco di servire il personaggio-chiave. Dal testo gremito di personaggi e composto da una lunga serie di scene, Luigi Squarzina ha tratto un grosso e impegnato « spettacolo » : forse lo spettacolo di maggior mole che mai il Tea tro Stabile di Genova abbia rea lizzato fino ad oggi. Ogni accor gimento tecnico è stato posto in atto : cambiamenti a vista, lu ci, costumi stupendi (opera di Gianni Polidori) e una recitazio ne singola e collettiva mirabile. Una grande prova di Alberto Lionello, sulla carta e per tem peramento così lontano dalla parte, eppure perfettamente ade rente alla complessa, spaventosa figura di Goetz; e bravissimo Carlo D’Angelo che al tormento di Heinrich ha offerto una pro fondità espressiva di altissima fattura; e magnifico il Battistella, chiuso nella recitazione pacata e allusiva d'el suo Nasty. Ricor dabili la Mannoni, la Morlacchi, l’Antonutti, e il Giangrande (un piccolo capolavoro di truccatura, il suo lebbroso), il Pagni, il Bardellini, il De Virgiliis, il Cap puccio. Il pubblico ha accolto con molti applausi lo spettacolo. Enrico {tassano Il diavolo e il buon Dio, nella nuova traduzione di Giacomo Debenedetti sarà pubblicata nel prossimo fascicolo di “ Il Dramma” . K a tin a P a x in o u Nel quadro delle manifestazioni, an che culturali. Indette dal Comune di Milano, al Teatro Piccola Scala, II 9 dicembre 1962, la grande attrice tragica greca, del Teatro Nazionale di Atene, ha dato un «recital » e forse sarebbe più giusto dire, un saggio interpretativo delle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide. Questa famosa attrice greca del Teatro Nazionale di Atene ha intrattenuto il pubblico accorso ad ascoltarla, innanzitutto con un discorso, in francese, sul dram ma attico e i tentativi moderni di m'essa in scena. Ella ha av vertito che la regìa moderna del dramma ellenico deve ispirarsi più allo spirito della tragedia che alla lettera pur non trascuran done l’importanza; deve in altre parole essere idealistica ed este tica; non lasciarsi trascinare dalla maestosità ma tentare di uma nizzarla il meglio possibile senza privarla dell’afflato istillato dai grandi tragici ellenici. L ’interessante discorso è stato in terrotto da un incidente curio so : un professore di greco, sma nioso di sentire la lingua greca, si mostrò intollerante della lin gua francese dell’attrice e distur bò il silenzio del pubblico, pro vocando una vivace reazione, conchiusa con la sua espulsione dalla sala. Tornata subito la quie te, Ratina Paxinou terminò il suo studio sul modo moderno di rappresentare le tragedie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, e poi iniziò i suoi magnifici saggi interpretativi. Ricordiamo d’averla vista, ascol tata ed elogiata sette anni or sono nell’incanto del Teatro Ver de, all’isola San Giorgio, a Ve nezia in occasione del X IV Festi val internazionale della prosa e precisamente in Ecuba di Euri pide che è una delle più tre mende tragedie dell’antichità. Due ore di strazi e di orrori, della cui abbondanza si deve es ser reso conto anche l’autore se riprese il tema con minor acca nimento nelle Troadi, meno in tricata, più semplice e con mag gior ala di poesia. Si sa che Euripide era più drammaturgo che poeta tragico e che, avver tendo i tempi nuovi, non s’in cantava dinanzi ai miti che ave vano ispirato Eschilo e Sofocle. Ratina Paxinou è stata, in quella sera, potente. Con la sua voce di contralto, con la sua intensità sapientemente graduata, la digni tà della persona e le mutevoli e suggestive espressioni del volto e dei toni di voce e aveva susci tato l’entusiasmo del pubblico nonostante l’ostacolo della lingua. Anche questa volta l’attrice si è imposta con l’arte sua. Le qua lità riscontrate a Venezia sono state confermate e riaffermate. Studiosa della lingua greca anti ca e delle remote tonalità ella è padrona del linguaggio nelle sue articolazioni e sa trasfondere il « pathos » dei singoli momenti, esprimendo la sincerità della pas sione con una maestria di vibra zioni, di modulazioni, di musica lità vigilata dal proposito di es sere sempre umana e di non la sciarsi trascinare dalla eloquenza di certi brani dei testi. Nelle im plorazioni, disperazioni e lamenti di Ecuba, nelle invettive e nelle desolazioni di Elettra; come nel prologo delle Fenicie di Euripide è stata applauditissima. Una bel la serata di teatro e di cultura. Elisio Possenti t e a t r o in t v I l dramma di Bernanos I dia loghi delle Carmelitane era stato già allestito per la televisione, con ottimi risultati, da Tatiana Pavlova, nel 1956. Emma Gra mática, nella parte della Priora del Carmelo, aveva dato una delle sue interpretazioni più in tense e la sua tragica agonia aveva ritrovato gli accenti più violenti ed aspri. L’opera di Bernanos è stata scrit ta tra il 1947 e il 1948 e, come è noto, non per il teatro ma per costituire la parte dialogica di un film la cui sceneggiatura, ope ra di Padre Bruckberger, era stata, a sua volta, ricavata dalla novella di Gertrude von Le Fort. Il film realizzato molti anni dopo dallo stesso Padre Bruckberger con il titolo originale L’ultima al patibolo deluse non poco, inzep pato di azioni così lontane dalla grandezza spirituale di quei « dia loghi » e così inutilmente minu zioso a spiegare, su un piano di facile polemica, quella forza poetica cui Bernanos mirava nel la rappresentazione di una vita monastica che si apriva alle con fidenze e al dolore mostrando, oltre la forza, la debolezza estre ma di queste creature semplici e inquiete. Il regista Orazio Costa nell’allestire, in due trasmissioni, l’ope ra di Bernanos non si è dimen ticato né della sua mirabile regìa teatrale, realizzata dieci anni fa al Piccolo Teatro di Roma, né della edizione cinematografica meno rigorosa ed incapace di co gliere, attorno al dramma uma no, l’intimo dolore di un sacri ficio, senza disperdersi nel rac conto esteriore. L ’edizione tele visiva ha assunto così molte vol te un carattere cinematografico che, anche se non arbitrario, fi niva col disperdere molta parte della suggestione del dramma. Tuttavia, l’estrema precisione, la meticolosa cura posta dal regi sta nel ricostruire un ambiente e nel condurre gli attori, hanno dato grande dignità alle due tra smissioni. L’insistente ripetersi dei primi piani ha fatto quasi da commento alle parole di Bernanos, ha creato una suggestione efficace in un clima sempre in tenso. Evi Maltagliati è stata la Priora del Carmelo : ha dato ri lievo a quella acre personalità, chiusa in un dignitoso riserbo e che, nell’affrontare la morte, non riesce ad imporsi gli accenti di obbedienza alla Regola. Ilaria Occhini è stata Bianca de la Force : ma la sua gentilezza non è stata pari alla bravura : la sua recitazione è apparsa sfuocata e poco sentita. Ave Ninchi, come già in teatro, è stata assai brava, piena di umiltà e di vigore, nella parte di Madre Maria, la nuova Priora. Di Guglielmo Zorzi è stata tra smessa una commedia semplice dal titolo M i sono sposato. E’ un’opera da consueto repertorio, facile, divertente per quel tanto che basta per farci trascorrere due ore liete con personaggi sim patici, anche se convenzionali. Il solito scapolo sposato è il ber saglio della affettuosa ironia di Zorzi che, nel tratteggiare carat teri scontrosi ma buoni, ha mano facile e sicuro mestiere. Zorzi ha saputo disegnare, nella seconda parte soprattutto, un ritratto pa cato di vita familiare con quei brevi tocchi, a lui ben ricono sciuti, di quieto intimismo. Ma rio Landi ha diretto con decoro; Franco Mezzera, Eliana Trouchè ed un gruppo di altri attori poco conosciuti hanno discretamente recitato. Di Mary Ghas'e (l’autrice fortu nata di Harvey) la T V ha tra smesso I l palazzo della strega, una commedia delicatamente sur reale o meglio, come tutto il teatro di questa scrittrice ame ricana, leggermente favolistica. Purtroppo le favole piacciono solo ai bambini in questi tempi difficili, soprattutto le favole dal la morale facile e conformista. Gilberto Tofano ha diretto con chiarezza ed impegno teatrale. Gli attori — Paola Borboni, De lizia Pezzinga, Walter Festari ■ — hanno recitato con cura. Sotto processo di Elmer Rice è qualcosa di più di un giallo. Ric co di ricordi ad incastro, è stato diretto da Anton Giulio Majano proprio come un film, abbondan do in passaggi improvvisi e in ripetizioni di tempi e di azioni. Otello Toso, Adriano Micantoni, Armando Francioli, Ilaria Occhini, Alberto Lupo e Ileana Ghione, sono stati gli interpreti. Grande interesse per la ottima interpretazione di Emma Gramatica ha avuto All’ombra degli ottanta di Clemence Dañe. E’ il ritratto di una ex grande attrice inglese, i suoi scatti e i suoi im provvisi contrasti con la figlia, i suoi dolori. La più grande attrice vivente, dovrebbe essere più spes so chiamata alla Televisione e dovrebbe poter dispiegare la sua grande arte attraverso testi — classici o contemporanei — di più importante evidenza. Del teatro sovietico alcuni mesi or sono fu presentata Alla ri cerca della felicità di Victor Rozov, un autore che ha con tribuito a quel « disgelo » della scena teatrale, da molte parti auspicato. In questo mese è stata rappresentata di questo autore un’altra commedia Buona for tuna, che ha il merito di inserire l’intimismo, caro alla scena rus sa, nel vivo di una realtà quo tidiana. La regìa di Morandi ha cercato, soprattutto, di mettere a fuoco una ambientazione precisa e di muovere gli attori (i giovani del la compagnia de « I nuovi » che qui appare un po’ meglio pre disposta) con sufficiente chiarezza. Edoardo Brano G R ID A R IO H Massimo Binazzi e Silvano Ambrogi, un milione di diritti d'au tore, a scatola chiusa. Ogni tanto un po’ di aritmetica non guasta. Chi potrebbe pensare che un gio vane autore ed un autore scono sciuto, solo per essere stati pre scelti e « messi in cartellone » dal Piccolo Teatro di Milano, hanno già in tasca un milione di diritti d’autore, a qualche mese di di stanza dalla rappresentazione del le loro opere? Ecco i conti: Il Pic colo Teatro della Città di Milano ha aperto sabato 20 ottobre 1962 i propri abbonamenti alla stagio ne 1962/63. A tutto lunedì 3 di cembre e a sei giorni dall’inaugu razione della stagione, avvenuta mercoledì 28 novembre con L’ereditaa del Felis di Luigi litica, la biglietteria del Piccolo Teatro ha superato i 10.000 abbonamenti ven duti. Poiché la vendita continua e poiché la stagione è appena ini ziata, il Piccolo Teatro presume che tale cifra abbia da essere net tamente superata. L’anno scorso gli abbonamenti al Piccolo Teatro furono 13.850. Quest’anno si prevede una legge ra flessione degli stessi legata però a due importantissimi fattori: a) Gli abbonamenti sono per 5 spettacoli e non per 4 come l ’anno scorso e in questi 5 spettacoli sono comprese due novità assolute italiane. b) Mentre negli ultimi due anni il Piccolo Teatro, per agevolare il pubblico, permise un utilizzo dei tagliandi piuttosto libero da parte degli abbonati, quest’anno i 5 tagliandi di abbonamento corri spondono esattamente ai 5 spetta coli in cartellone, ragion per cui, se è vero che vi potrà essere una piccola flessione nel numero tota le degli abbonamenti, è anche vero che essi saranno veramente tali e cioè impegneranno gli ab bonati a vedere tutti e 5 gli spet tacoli. Ciò significa, in altri termini, dopo Foto in alto ed a sinistra: scene di L’ufficiale reclutatore di George Farquhar al Teatro Stabile di Torino; re gìa di De Bosio e Parenti; scene di Mischa Scandella. costumi di Guglielminetti. Principali interpreti: Parenti, Oppi, Ruggieri, Gianna Giachetti, Carla Gravina, Mimmo Craig. Qui sopra: scena di Romolo il grande di Durrenmatt, al Teatro Stabile di Napoli; attori: Scaccia e Orlando. Nelle due foto a destra, Paola Borboni e Alberto Terrani, in Una notte fuori di Pinter, al Teatro Piccola Commenda di Milano. I L M A T R IM O N IO PER CONCORSO I L D IA V O L O E I L B U O N D IO d i S A R T R E L’opera di Sartre viene rappresentata per la prima volta in Italia a quasi undici anni di distanza dalla prima rappresentazione a Parigi, che è del 1951 per la regìa di Louis Jouvet. Si tratta di un testo scabroso e talvolta anche ingrato, mia di alto pensiero, certo il più complesso fra i drammi del filosofo dramma turgo parigino. Un’opera che merita comunque di essere conosciuta, ed averla portata alla ribalta è impegno per lo «Stabile» di Genova. Vi sono «im pegni » talvolta crudeli, ma un teatro sovvenzionato, se vuole stare al suo compito e mantenere i suoi propositi, deve rispettarli. Noi abbiamo pubblicato in altra parte del fascicolo la cronaca di Enrico Bassano su questa opera, rispet tando come sempre le opinioni dei nostri collabora tori, che sono — ovviamente —personali. Ma dissen tiamo dal suo giudizio, troppo deciso sul piano confessionale, mentre l’opera di un filosofo (che fa anche del teatro) come Sartre, deve poter stare sul suo piedestallo, se cosi tutto il mondo l’ha accettata. D’altronde, il lettore potrà giudicare da sé, leggendo Il diavolo e il buon Dio, nella nuova traduzione di Giacomo Debenedetti, nel prossimo fascicolo. Nella foto piccola, in alto, Alberto Lionello e Carlo D’Angelo, rispettivamente nelle parti di Goetz e Heinrich, due eccezionali personaggi, due magnifi che interpretazioni dei singoli attori. Il Teatro Stabile di Genova, ha dato, forse, il suo più imponente spettacolo. Regìa di Luigi Squarzina; scene e costumi di Polidori. Nella fotografia grande a sinistra una scena d’insieme. Con la commedia II matrimo nio per concorso di Goldoni il Teatro Stabile di Firenze, ch< ha per regista Tatiana Pavlova ha inaugurato con grande rilie vo la nuova Stagione teatrale L’illustra maestra ha messo ii scena la commedia stupenda mente, ottenendo quel successe che non le poteva mancare Renata Negri (nella foto ac canto) è stata bravissima e coi lei Guido Verdiani e Gint Susini. jatstw aso* oc»maiotw»» • - ,!' ita»«6» IL D R A M M A Copertine dei fascicoli di IL DRAMMA p u b b lica ti nel 1962 305 niANSÒ•Kj’i.‘ ■APIIILE10*12 ROMANO GAZZERA *■■ .. . AlftK500' IL D R A M 307 M A MARIO DONIZETTI 304 DOMENICO CANTATORE 306 AUGI SASSU 33ANNO-».308-M A0G 10J9S3 ■>-'■** IL D R A M 308 M UK500 A GIANFILIPPO USELLINI 38-ABM O-S309-tfEEO XO1063 - -»•—1-IKESOlTl IL D R A M M A 311-12 M A IL D R A M *— "“• M 400 A 38*AM M O•».Sta•OTTO»**IM S 313 " “aEs® >j M A - > . 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Maestro, noi crediamo abbiano chiamato De Lullo, appunto perché quei soldati finissero di tremare, dopo tanto tempo. Altrimenti sa rebbe bastato Forzano. ■ Non è riuscito neppure il mini stro? Alla fine di ottobre, come riportammo, il ministro Folchi, ebbe a dichiarare al Senato: «Il ■ A Giovanni Barrella la meda quadro delle attività del teatro glia d'oro di benemerenza del drammatico nazionale non potrà Comune di Milano. Prima di dire dirsi completo fino a quando non a chi non sa nulla di lui, chi è si sarà giunti alla costituzione di Barrella, esprimiamo al caro e un Teatro Stabile anche a Roma. vecchio amico la nostra commossa Non è ammissibile che la capitale solidarietà, il nostro compiacimen debba trovarsi, a questo riguardo, to, il nostro ricordo affettuoso. ancora in una posizione di inferio Gianni Barrella è il più spontaneo rità rispetto a molte altre città dei poeti milanesi dopo Carlo italiane... Poiché il problema è in Porta, il maggiore degli attori fase di avanzato studio da parte milanesi vivente. Se un disturbo del Comune, si può realmente agli occhi, che non può affaticare, sperare che entro questo esercizio non glie lo avesse proibito, sareb la questione possa essere avviata be stato, in questa Stagione, al a soluzione, sì da consentire, per Piccolo Teatro di Milano, non sol la stagione ventura, l’inizio della tanto il trascrittore dell ’Ereditaci regolare attività del Teatro Stabile del Felis di Illica, ma anche l’in di Roma: al problema del Teatro terprete. Magnifico attore, Bar- Stabile è collegato anche il rinno relia. Nato a Milano il 30 novem vamento del Teatro Argentina ». bre 1884, allievo di Ferravilla, è Per «stagione ventura » il Mini sempre rimasto legato al teatro stro intendeva Fattuale 1962-63. milanese. Il primo Bertolazzi, cioè Nella relazione di Carlo Trabucco, la riscoperta di Bertolazzi, la si sulla seduta della Commissione deve a lui, che nel 1927 formando Consultiva del Teatro, del 26 otto la Compagnia Lombarda, con Al bre scorso, pubblicata a pag. 74 del berto Colantuoni, riprese El nost fascicolo scorso, è detto, per quan Milan, e l ’anno successivo ne con to riguarda il Teatro Stabile di tinuò le repliche con una compa Roma, che quel Comune « attende gnia propria. L’interpretazione di un gesto di generosità da parte di Barrella del Togasso, in quella un istituto di credito ». Il Sindaco commedia di Bertolazzi, ebbe da di Roma non ha, dunque, ancora Simoni i più grandi elogi. Autore trovato il mecenate? Dobbiamo in di commedie e di riviste, Gianni tendere che l’osso sia così duro, Barrella è prediletto dai milanesi come dicono appunto a Roma, da con i capelli bianchi, anche per la non poterlo spezzare neppure il sua popolare macchietta del « bru- Ministro dello Spettacolo in cari mista ». ca, che tanto lo desidera, se fin dall’ottobre scorso, se ne rese ■ I soldati del «Trovatore» non quasi garante al Senato? hanno tremato. Al maestro Riccar do Malipiero non è piaciuta la regìa ■ Non si ricostruirà più com'era. di Giorgio De Lullo, per II Tro Naturalmente si tratta del Teatro vatore di Verdi alla Scala. In una Goldoni di Venezia. Con tutte le sua nota al Corriere Lombardo sue disgrazie, questo teatro, finirà dell’8 dicembre, il maestro scrive: « Cominciamo dalla regìa, per come le novantanove di Pulcinel una volta: inquadrata in un otto la. Ora, l ’assemblea del Consiglio centesco scenario, essa si è mossa Comunale ha « approvata alla con la convenzionalità di quel unanimità, di affidare ad un pro secolo, tanto che ci siamo doman fessionista romano (?) la ricostru dati perché si sia scomodato Gior zione del Teatro Goldoni che gio De Lullo, attore e regista che non s’intende più ricostruire abbiamo tante volte ammirato com’era ». Si tratta di questo: i sulle scene di prosa. A che serve lavori di restauro del teatro sono sospesi perché il Comune vuole comperare le aree adiacenti cd allargare lo spazio del teatro. Il consigliere Proietto, nella seduta consigliare, ha detto: « Si è sba gliato nel dare il via ai lavori, ora sospesi, sulla base di un progetto che si riteneva errato. I lavori fatti sino a questo momento possono rivelarsi inutili ». Chi ha sbagliato? Noi? Chi riteneva errato il progetto? Noi? Sono stati già spesi 45 milioni. ■ il Comunale di Bologna sede provvisoria dello Stabile. In attesa di poter risolvere la non facile questione di allogare il Teatro Sta bile di Bologna, nella ricostruita sala della gloriosa Arena del Sole, al centro della Città, la Stagione 1962-63, diretta da Giorgio Guaz zetti, inizierà il 21 febbraio al « Comunale » con Brodo di pollo con l’orzo, di Arnold Wesker, regìa di Puecher; e II costo di una vita di Bruno Magnoni, regìa di Giuranna. L’ordine del cartellone non fa una grinza sul piano dell’im pegno, ma se Magnoni precedesse Wesker, lo Stabile di Bologna ini zierebbe con un gesto di simpatia e di rispetto. In questo stesso fasci colo, abbiamo ripetuto la stessa cosa a Ferrieri (si legga a questo proposito la nostra nota alla inau gurazione del Teatro Piccola Com menda, di Milano). Lo Stabile di Bologna ha fra i suoi attori Santuccio, la Aldini, Mantesi, Matteuzzi e molti giovani. Inoltre, allo scopo di interessare il pubblico e svolgere una profonda attività di conquista del tessuto cittadino, provinciale e regionale, lo Stabile svolgerà una serie di manifesta zioni preparatorie di «Invito al teatro », con la presentazione nei circoli, nelle fabbriche, nei Crai, nelle cooperative e ovunque una sala e un uditorio esistano, di un « montaggio » teatrale di Ruggero Jacobbi «Poesia e verità » su testi di Majakovski, Eluard, Lorca, Prévert, Quasimodo, Brecht, nella regìa di Gian Roberto Cavalli. Saranno organizzati due speciali convegni di studio: uno di educa tori e sociologi in collaborazione con la città di Modena sul proble ma « Teatro e scuola » e uno dei critici sul tema « Rapporti fra tea tro e pubblico ». LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile Proprietà artistica e letteraria riservata alla Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 28 1 manoscritti, le fotografie ed i disegni non ri chiesti, non si restituiscono por nessuno ragion* I N D I C E G E N E R A L E DELLA MATERIA CONTENUTA IN “ IL DRAMMA” NUOVA SERIE DAL N. 315 GENNAIO - DICEMBRE 1962 AUTORI TRADUTTORI PRESENTATORI AUTO RI 304 gennaio 305 febbraio 306 • marzo IL MURO DI SILENZIO, tragedia moderna in tre atti di Paolo Messina. Present. di Lucio Ridenti, I LUPI, commedia in tre atti di Silvio Giovaninetti. Present. di Lucio Ridenti: Tempo di lupi. IL MONDO D'ACQUA, due tempi di Aldo Nicolaj. Present. di Aldo Nicolaj. GATTA BIANCA AL GREENWICH, un atto di Mario Fratti. 307 ■ LA CELESTINA, tragicommedia di Fernando de Rojas; libera traduzione aprile e riduzione di Carlo Terron. Present. di Carlo Terron: Difesa d’ufficio per reato di correità. 308 - LE MAMME, un atto di Carlo Terron. maggio DOVE SIAMO, un atto di Ezio d’Errico. Present. di Lucio Ridenti. LA FACCIA DEL MOSTRO, un atto di Edoardo Anton. IL CANALE DI BLAUMILCH, un atto di Ephraim Kishon; vers. it. di Elio Piattelli. Present. di Giorgio Romano. UN PIANOFORTE LUNGO IL FIUME, monologo di Anton Gaetano Parodi. 309 - L'UOMO CHE ANDRA' IN AMERICA, due tempi di Dino Buzzati. Appunti giugno di regia di Giacomo Colli. 310 - LA GABBIA VUOTA, processo in tre udienze di Nicola Manzari. luglio IL SIGNOR LEONIDA E LA REAZIONE, un atto di Jon Luca Caragiale; vers. it di Fernando Ghilardi. 311-312 - IL RE DAGLI OCCHI DI CONCHIGLIA, tre atti di Luigi Sarzano. ag.-sett. Present. di Vittorio Buttafava. L'EQUIPAGGIO DELLA ZATTERA, due tempi di Alfredo Balducci. Pre sent. di Gigi Lunari. UNA CORDA PER IL FIGLIO DI ABELE, due tempi di Anton Gaetano Parodi. Present. di Ruggero Jacobbi. 313 - DIARIO DI UNA DONNA, tre atti ad Alfio Valdamini. ottobre UN MONDO MAI VISTO, radiodramma di Giuseppe Lanza. L'ORA DI RELIGIONE, un atto di Lorenza Mazzetti. 314 - QUALCOSA, COMUNQUE, dramma in tre atti di Dario G. Martini. NOVEMBRE 315 - IL MISTERO DEL GAUDIO, DEL DOLORE E DELLA GLORIA, su temi dicembre medioevali di Giuseppe Valentini. Present. di Gino Damerini: Filologia e poesia di una «sacra rappresentazione ». LA COLONNA INFAME, dramma in due parti di Dino Buzzati. LA PANCHINA, un atto di Ezio d’Errico. E SAGGI DI V A R IA Pag. Albee Edward - Lunari....................... 307 Allievi del Teatro d'Arte: Mejerchol'd e Vachtangov - Ghilardi....................... 309 Berrinl Nino - Bernardelli.................... 313 Billetdoux François - Ronfani................ 314 Campagna Comica 1921-22 (La) - Ridenti . . 313 Caragiale (Jon Luca) - Cinquant'anni dalla morte - Ghilardi............................. 310 Che cos'è il gusto teatrale? - Bernardelli 315 Colombotto Rosso e II pozzo della solitudine - Cariuccio.................................... 313 Cossa Pietro (Un inedito di) - M. Flocco 314 Craig (Gordon) ha novantanni - Béccolo . 310 Cronache fra due guerre: con problema centrale e senza - Ridenti............. 315 Dalla Commedia dell'Arte all'Arte rappre sentativa e all'improvviso - Mango . . . 306 D'Annunzio e II teatro (Il centenario di) - Damerini.................................... 311-312 D'Errico o del virtuosismo - Doglio . . . . 305 Diavolo < Il teatro (II) - Mango............. 308 128 60 57 94 55 69 51 28 91 9 88 97 78 77 45 65 LETTER ATU R A D R A M M A T IC A Pag. Donizetti (Mario) espressionista platonico Lepore ....................................... Errore del teatro proletario (L') - Calendoli Essenza dell'arte teatrale cinese - Tso Lin Estrema destra ed estrema sinistra a Broad way - Rimanelli............................. Gazzera (Romano) e la fantasia d'Oriente Bernardi....................................... Ghelderode (Michel de)....................... Giovaninetti (Addio a Silvio) - Bassano . . Guarienti (Carlo), poeta metafisico - Ber nardi .......................................... Ingenuità del teatro (I') - Sarzano . . ■ Landi e la convivenza umana - Doglio . . Lelli Renato - Ruggi.......................... Marchese del sorbetto (II) - Simoni . . . . Messico: Il labirinto della solitudine - Ri manelli ....................................... Minervini Roberto............................. Misticismo ebraico alla ribalta (II) - Richetti.......................................... 307 308 314 309 305 307 304 311-12 315 307 311-312 315 311-312 309 314 101 61 88 65 49 90 65 118 107 53 120 29 87 92 40 Segue: AUTORI E SAGGI DI VARIA LETTERATURA DRAMMATICA Pag. Mortimer (John) e la sua opera nuova L u n a ri.................................... Non amano li teatro - Bernardelli . . Opere aperte e chiuse - D’Errico . . . Origini italiane del teatro ebraico - R chettl....................................... Orlando Raffaele - Lunari................ Pirandello (Racconto e dramma in) - Pan d o lfi............................. Pirandello (Teatro di P. in Francia) . . Piscator, Il politico - Ghilardi............. Possenti (Eligio): cinquantanni di teatro Ridenti.................................... Righi (Federico) e la sua «figuratività » Dardi....................................... Robecchi Brivio Erminio - Ruggì. . . . Salsa Carlo................................ Salvatore Ada - Ridenti................ ! Sassu (Presenza di Allgi S. nel teatro ita liano) - Munari.......................... Scenografi veneziani dell'Ottocento: Bagna ra e Bertoja - Damerini................ Schlemmer (La mostra di Oskar) - D’Er rico.......................................... Scritto sull'acqua - Ridenti............. ! Shakespeare tra I protestanti - Rimanelli Simoni Renato - Dieci anni dalla morte Folchi....................................... Simoni Renato - Possenti................... Simoni Renato - Commemorato a Verona Ceriotto.................................... 308 305 311-312 309 311-312 304 315 314 307 309 304 305 304 306 311-312 306 308 311-312 310 310 310 62 44 72 55 •21 38 62 45 96 86 102 78 ■02 74 105 82 73 94 6 7 75 Fase. n. I Pag. Simoni Renato - Un'estetica simoniana? . Delia Giusta................... stanislawskit (Il sistema) - Ghilardi . Storia del Circo italiano - Calendoli . . . Tairov (Il «teatro da camera » di) - Ghi lardi .................................... Teatro antipatico - Bernardelli . . Teatro Carignano di Torino (II) - Aragnó Teatro dell'assurdo (II) - D’Errico . . . . Teatro per la «Talanta » dell'Aretino (Un) - Damerini.................................... Teatro politico collettivo cinese (II) - Lu nari ............................. Teatro tragico (II) - Bernardelli Teatro uno - D’Errico.......................... Teatro Vendramin: Gli «addii » di Gustavo Modena cospiratore - Damerini . . . . Tokio: Il teatro nel Giappone d'oggi - Marinucci....................................... Uccidete il teatro col vostro denaro - Ri denti .......................................... Usellini angelico pittore di diavoli - Budigna.......................................... Utilità dei concorsi - D'Errico................ Utilità dei concorsi - Qualche cosa è cam biato - Trabucco............................. Verso un teatro completo - Sarzano . . . Wesker (Arnold) e il Centro 42 - Galvano Wilde (Oscar) il cattolico................... 314 307 306 304 313 305 309 306 310 314 314 304 305 304 308 313 313 313 314 307 7 69 72 71 59 51 38 «3 70 39 43 53 59 104 94 63 65 61 70 91 FIGURE DI A T T O R I - TECNICA DELLA RECITAZIONE - REGÌA E SCE NOGR A F IA Pag. Fase. n. I Pag. Addio a «Ciccillo * Coop - Ridenti . . . . 307 66 Jouvet (Louis): Dieci anni dalla morte - 305 86 Addio a Gigetto Cimara - Ridenti . . . 305 3 Ronfani....................................... Renassi (Un fantasma chiamato) - Bertolini 304 6 8 Olivieri Egisto Simoni....................... 3 0 6 7 6 Borboni (Paola) interprete di cinque nuovi Pandolfini T u ri.......................... ^ ’ 306 78 monologi ■Tieri............................. 309 8 5 P icasso Lamberto Bernardelli . . . . 3 1 3 9 5 Cristina Olinto.................................... 309 92 Revel Mara....................................... 310 93 Eduardo umanità senza schermi - Bertuettì 6 Sala vuota per la Duse - Bernardelli . 309 88 Gainotti Enzo.................................... 331017-312 15 20 Stoppa (Paolo) - Calendoli................... 3 0 5 4 7 Gramática Irma................................ 309 45 Tassani Riccardo - Possenti . . . 307 104 Gramática Irma dall'ugola d'oro - Ridenti 313 92 Tumiati Gualtiero - Ridenti . 310 66 Acque turbate - Betti.......................... Allora vai da Torpe - Billetdoux . ! . Altalena (L') - Martoglio....................... American Dream (The) - Albee............. Andorra - Frisch............................. Anfitrione - Plauto............................. Arlecchino servitore di due padroni - Goldoni .......................................... Bell'Apollo (II) - Praga....................... Benpensanti (I) - Pecorelli . . . . Berretto a sonagli (II) - Pirandello . . . . Bisbetica domata (La) - Shakespeare . . . Black Nativity.................................... Bruscello Poliziano (II): Toto di San Biagio Cadavere vivente (II) - Tolstoj............. Caos (II) - Pirandello.......................... Carabinieri (I) - Joppolo................... Càsina (La) - Plauto....................... Catacombe (Le) - Franca Valeri............. Celestina (La) - De Rojas................... Cena delle beffe (La) - Benelli............. Colonna infame (La) - Buzzati............. Corda per il figlio di Abele (Una) - Pa rodi .......................................... Cosi è (se vi pare) - Pirandello............. Diavolo e II buon Dio (II) - Sartre . . . . Dlvinas palabras - Val Inclan................ Draghignazza (La) - Parenti................ Eccezione e la regola (L'( - Brecht . . . . Ecuba - Euripide................................ R IB A L T A Pag. IT A L IA N A 306 315 306 310 315 311-312 305 314 308 305 311-312 313 310 311-312 313 305 306 310 311-312 314 307 313 314 309 306 315 313 308 311-312 308 309 Elettra - Sofocle................ 311-312 Enrico IV - Pirandello............. 306 Equipaggio della Zattera (L') - Balducci . 309 Equivoci di una notte (Gli) - Goldsmith . 3 05 Ereditaa del Felis (I') - mica . . . 3 15 Estro del poeta (L') - O’Neill . . . 3 13 Fanciullezza - W ilder............. 3 1 5 Faust - Goethe................ ... 313 Figlio di Pulcinella (II) - E. De Filippo ! . 314 Foresta (La) Ostrovski................... 308 Fuenteoveiuna - De Vega 313 Furfantano dell'Ovest (II) . Synge ! 305 George Dandin - Molière................ 313 Gesto (II) - Codignola................ ’ 3 7 Giara (La) - Pirandello....................... 30 05 Guerra di Troia non avrà più luogo (La) Giraudoux....................... 304 Ifigenia In Aulide - Euripide Infanzia - Wilder............................. 331115-312 Ione - Euripide.......................... 309 J. B. - Mac Leish................... 304 Jet Boeing 727 - Camoletti . . . ! . ! ! 313 Lena (La) - Ariosto....................... 3 04 Llgera (I) - Pensa.......................... 305 Lupa (La) - Verga............................. 3 06 Lupi (I) - Giovaninetti............. 304 Mandragola (La) - Machiavelli............. 309 Masteroidi (I) - Aym é................... 315 Matrimonio (II) - Gogol............. 306 Matrimonio di Figaro (II) - Beaumarchais 304 Matrimonio per concorso - Goldoni . . . 315 Medea - Euripide................... 11-312 Metamorfosi (La) - Moretti ’ 3 305 88 111 90 81 110 102 81 78 90 79 117 96 79 117 13 79 91 80 102 81 101 96 83 79 91 120 8 96 118 87 43 Fase. n. I Pag. 102 88 79 80 109 17 113 16 80 88 6 89 11 103 79 84 102 113 43 81 97 84 81 90 87 96 112 84 85 118 102 91 129 Segue: RIBALTA ITALIANA Pag. Migliori sono così (I) - P. De Filippo . . . 313 Miguel Manara - Lubicz Milosz............. 311-312 Moglie di Pilato (La) - Gallarati Scotti . . 311-312 Naives hirondelle - Dubillard................ 307 314 Negromante (II) - Ariosto................... Nessuno muore - Candoni.................... 308 Notte fuori (Una) - Pinter.................... 315 Ostaggio (Un) - Behan....................... 306 Otto donne - Thomas.......................... 313 Pìgmalione - Shaw............................. 305 Più gran ladro della città (II) - Trumbo . 304 306 Prete rosso (II) - Maffioli................... Processo a Stalin - Corti.................... 307 304 Quaderno proibito - De Cespedes . . . . Qualcuno ad Assisi - Wilder................ 315 Questa sera si recita a soggetto - Piran dello .......................................... 305 315 Recital di Katina Paxinou................... Re dagli occhi di conchiglia (II) - Sarzano 308 Ricordo di due lunedì - Miller............. 308 Risate sul patibolo - Richardson............. 305 Ritratto d'ignoto - Fabbri................... 314 98 100 101 102 86 90 112 87 97 89 88 88 103 84 113 78 122 89 87 90 85 R IB A L T A Pag. Anche le donne hanno perso la guerra Malaparte.................................... Baby Foot - Soulat............................. Bête dans la jungle (La) - James . . . . Bichon - Letraz................................ Bonne Planque (La) - André................ Boulevard Durand - Salacrou................ Ciascuno a suo modo - Pirandello . . . . Cinna - Racine................................ Contessa (La) - Druon....................... Dans la jungle des villes - Brecht . . . . David - Sinclair................................ Eternel mari (I/) - Mauclair................ Etoile devient rouge (L') - O’ Casey . . . Fil à la patte (Un) - Feydeau................ Foire d'Empoigne (La) - Anouilh . . . . Formica nel corpo (La) - Audiberti . . . Giuditta - Giraudoux.......................... Grosse valse (La) - Dhéry................... Grotte (La) - Anouilh.......................... Idée d'Elodie (L') - M. André e R. Bernstein Ivanov - Cechov ................................ Johnnie Coeur - Gary....................... Lieutenant Tenant - Gripari................ 313 314 313 314 314 304 308 314 306 314 314 314 314 306 307 307 308 304 314 304 313 314 314 314 81 62 80 62 62 98 85 62 71 59 61 61 61 70 86 87 86 98 62 99 79 60 61 62 Pag. Romolo il grande - Dtìrrenmatt . . Rosemary - Molly Kazan . . . . Saltuzza (II) - Calmo................ Santa Giovanna - Shaw............. Sei personaggi in cerca di autore Pirandello................................ Sicario senza paga - Ionesco................ Sogno di una notte di mezza estate - Sha kespeare ....................................... Sperduti nel buio - Bracco................... Storia a Irkutsk (Una) - Arbuzov............. Sua parte di storia (La) - Squarzina . . . Tarantella con un piede solo - Lunari . . Tchin-Tchin - Billetdoux....................... Traforo ovvero due nel deserto (II) - Quin avalle .......................................... Trappola per uomo solo - Thomas . . . . Tre quarti di luna - Squarzina............. Ufficiale reclutatore (L') . Farquhar . . . Uomo che andrà in America (L') - Buzzati Vado per vedove - Marotta e Randone . . 315 310 304 310 305 306 314 310 314 313 313 315 310 313 306 306 315 308 305 FRANCESE P»g. Louisiane - Aymé............................. Lulù - Wedekind................................ Mariage de Figaro - Beaumarchais . . . . Marie-Octobre.................................... Maxibules (Les) - Aymé....................... Mille francs de récompense - Hugro . . . Misanthrope - Molière....................... Mon Faust - Valéry.......................... Morte di Carnevale - Viviani................ Non si sa come - Pirandello................ Nuit a sa clarté - Fry.......................... Orchestre (L') - Anouilh....................... Ostaggio (L') - Behan.......................... Pomme, pomme, pomme - Audiberti . . . Sassi (I) - Marceau............................. Temps des cerises (Le) - Roncoroni . . . Turlututu - Achard............................. Tutto per bene - Pirandello................ Venus de Milo (La) - Deval................ Victor ou les enfants au pouvoir - Vitrac Violons parfois... (Les) - Sagan............. Visita della vecchia signora - Dürrenmatt . Voci di dentro (Le) - E. De Filippo . . . William Conrad - Boulle....................... 304 313 314 307 304 304 314 308 313 306 314 307 306 313 306 307 314 313 314 314 306 304 306 306 R IB A L T A A M E R IC A N A Pag. Aspern Papers - Redgrave ................... Augeilin Belverde (L') - Gozzi................ Bravo Giovanni - Howard Shaw............. Caretaker (The) - Pinter................... Come on Strong - Kanin....................... Five years pass (A) - Lorca................ Funny Thing Happened on the Way to the Forum (A) - Shevelove e Gelbart . . . Gideon - Chayefsky............................. 307 306 309 304 315 309 309 304 80 63 71 96 93 72 70 95 R IB A L T A Pag. Andorra - Frisch Boccone di terra (Un) - Boll................ Colonia penale (La) - Kafka................ Dodicesima notte (La) - Shakespeare . . . Elettra - Sofocle................................ Fisici (I) - Dürrenmatt....................... Geremia - Zweig............................. Giorni della Comune (I) - Brecht . . . . Grande insulto alla muraglia della città (II) - D o rsi....................................... 130 305 309 314 305 314 314 314 314 314 314 314 68 76 66 69 68 63 63 67 66 69 67 115 81 86 82 89 91 77 76 84 14 17 116 80 97 87 89 114 86 82 Gift of Time (A) - Kanin................... Man for all Season (A) - Bolt............. Moon on a rainbow shawl - John............. Night of the Iguana (The) - Williams . . Oh Dad, poor Dad, Mama's hung you in the closet and I'm feelin'so sad - Kopit . . Passage to India (A) - Rama-Rau . . . . Plays for Bleecker Street - Wilder . . . . Who's Afraid of Virginia Woolf - Albee 99 80 62 86 99 98 62 86 82 71 61 86 70 81 69 85 62 82 62 58 70 98 71 69 Pag. 307 304 307 304 307 306 306 315 79 96 80 96 81 65 66 93 TEDESCA Pag. Ifigenia a Delfo - Hauptmann . . . Metusalemme - Goll................ ... Orologio batte I'una (Ls) - Zuckmayer Pentesiiea - Von Kleist................ Preoccupazioni e il potere (Le) - Hacks Quercia e angora - Walser............. Rapporto a un'accademia - Kafka . . Risveglio di primavera - Wedekind . . Scala di Giacobbe (La) - Schonberg . Va dunque da Tdrpe - Billetdoux . . Wotan scatenato (II) - Toller . . . . 314 314 305 314 314 314 314 314 314 314 314 64 65 68 63 68 67 68 65 66 68 65 T A C C U IN O Fase. n. Brfsa par critlcher.......................... Caro progetto su un piede solo . . . . I «confronti odiosi » di Maner Lualdi Legge e censura teatro di paura . . . Un sindaco parla di teatro................ Fuga dal teatro ............................. Pag. 304 305 306 307 308 309 Fase. n. I Pag. Le spine ....................................... «Un consiglio a Menotti » e uno a Mon tanelii....................................... Terra di nessuno del teatro di prosa Fine delle compagnie di giro . . . . Giovani su un piede solo................ 310 311-312 313 314 315 3 3 3 5 1 B IB L IO T E C A Arte della Duse (L') - Boglione . . . . Brecht B ertolt............................. Brecht (Bertolt) e il suo teatro - Willet . Comici goldoniani (I) - Ferrante . . . . Commedie del Cinquecento................ Copeau (Jacques): I Vieux Colombier - I Copiaus - Cologni.......................... Gesto (II) - Codignola.......................... Guardiano e altri drammi (II) - Pinter . . Opera da tre soldi (L') - Brecht . . . . Plauto - a cura di Rostagni................ Risorgimento italiano nel teatro e nel ci nema ( I I ) .................................... Sartre Jean Paul - Teatro................... Fase. n. Pag. 309 306 309 306 309 314 304 310 310 304 308 309 91 94 90 95 91 95 106 94 95 108 99 90 V A R IE Spettacoli fiorentini del Quattrocento - Molln a rl.......................................... Storia del teatro giapponese - Lorenzoni . Teatro comico di Dario Fo................... Teatro di Carlo Terron....................... Teatro in Polonia - Trezzlni................ Teatro nella tradizione Mediterranea (II) DI Mino....................................... Teatro siciliano................................ Teatro universale dalle origini a Shake speare (II) - Fiocco....................... Tredici radiodrammi europei................ Trilogia (La) - Wesker....................... D ’ IT A L IA Fase. n. Pag. 310 314 309 314 314 314 309 311-312 304 310 95 95 92 94 96 96 89 121 106 94 E FUO RI Pag. Abolita la censura teatrale? - Ciampi . . Alla resa dei conti della Stagione 1961-62, premi ed amarezza - Trabucco . . . . Berlino ovest-est: due festival al di là del muro - Rendi................................ Budapest: la realtà sulla scena - Epremian Censura: Qualcuno non deve aver capito bene.......................................... Come si svolgerà la Stagione 1962-63 in ci fre ufficiali - Trabucco................... Convegno non tutto di studi (Un) - Trabucco Da Goldoni a Eduardo il nostro teatro è dialettale? .................................... Dal tendone al carrozzone - Trabucco . . Dedicato a Renato Simoni il Teatro di Via Manzoni a Milano - Possenti............. Festival di Prosa della Biennale di Venezia - Damerini.................................... Giornata mondiale del Teatro (La) - Bruno Gloriosi ottant'anni della S.I.A.E. (I) - Fiocco Inchiesta testi teatrali - Damerini, Mauri, Rietmann, Pardieri, Alessi, Levi, Sarzano, Gotta, Ghilardi, Pinelli, B. Mosca, Frattini, M a rtin i.......................... Inchiesta testi teatrali - Talarico, Lodovici, Perrini, Messina, Sonnier, Ferrieri . . Israele - Romano............................. Londra: Laurence Olivier dirigerà il Teatro Nazionale - Lunari.......................... Londra: Meglio morto....................... Milione di sterline per il «Teatro Nazio nale * Inglese ( U n ) ....................... New York: Libertà e sussidi a Broadway Rimanelli.................................... New York: Il teatro dell'assurdo a Broad way - Rimanelli............................. New York: Le due facce di Broadway Rimanelli.................................... New York: Estrema destra ed estrema si nistra a Broadway - Rimanelli . . . . New York: La stagione teatrale 1962-63 a Broadway - Rimanelli................... New York: Progetti di teatro ideale - Smith New York: Notiziario di Broadway - Rima nelli .................................... 304 310 314 315 309 314 307 306 304 313 313 307 310 78 61 63 94 87 74 98 92 80 96 5 49 68 304 305 307 313 311-312 315 307 304 306 307 309 311-312 313 313 43 70 83 83 97 96 89 93 60 77 65 93 85 86 Pag. New York: Broadway è soprattutto teatro - Rimanelli................................. Olanda il teatro come da noi (In) - Lunari Palazzo D u rini................................ Palcoscenico esagonale di Olivier (II) Parigi: Alti e bassi di una Stagione tea trale - Sonnier .......................... Parigi: La guerra della Comèdie Française non è fin ita ................................ Parigi: Opulenza esteriore - Ronfani . Piccolo Teatro di Milano al Teatro delle Nazioni (II) ................................ Premio Riccione ha sedici anni (II) - Ruggi Premio Simoni per la fedeltà al Teatro di Prosa - Bassano............................. Prologo alla riunione definitiva sulle nuove norme per la scena di prosa . . . . Si vede proprio che se lo meritava . . . Spoleto: Il «Festival dei due mondi » dopo cinque anni è ancora garibaldino - Ca lendoli ....................................... Spoleto: Festival dei due mondi - Bertolini Stabilizzazione del teatro italiano - Ridenti Stoccolma: Prima mondiale di O' Neill Oreglia Strelher il premio di regia al Teatro delle Nazioni (A) - Sonnier....................... Teatri Stabili di Firenze e Bologna (I) Vecchi....................................... Teatro e premi a Lentini................... Teatro in TV - Bruno.......................... > > > > > t. » Chiusano................... > Bruno .......................... > » > » Teatro mobile non riuscito a Gassman, rea lizzato a Praga (II) - Karco............. Teatro per Firenze (Un) - Vecchi . . . . Teatro rumeno è il più vivo dei teatri del l'Europa orientale (II) - Lunari . . . . Zurigo: «I fisici » di DOrrenmatt - Chiusano 315 309 307 310 307 307 313 309 313 310 311-312 315 91 73 94 74 85 87 77 77 67 78 4 103 309 310 309 315 310 314 308 304 305 306 309 310 310 311-312 313 314 315 307 304 307 307 83 79 78 89 73 82 96 100 92 93 93 83 84 122 99 86 122 92 83 63 88 131 ATTORI NELLE CO M M ED IE CHE H A N N O IN T E R P R E T A T O (Riproduzione fotografica o disegno) Abraham............. Kinneret Kinneret . Adam Laura . . . La sua parte di storia Aldinl Edmonda . . Ecuba ................ Almagor Gila . . . Kinneret Kinneret . Alzelmo Armando . Ricordo di due lunedì Andave Jacqueline . La goccia di miele . Andreoli Annabella . Il muro di silenzio . Auclair Michel . . Anche le donne han no perso la guerra Aumont Jean-Pierre Bagno Carlo . . . H Saltuzza............. La sua parte di storia Bareket I ............. Gli abiti del re . . . Beauvilliers Georges Dans la jungle des villes................ Beauvoir Matilde Beilin Olga . . . . A Man for all Season Bellon Loleh . . . La bête dans la jungle Bonnet Constance Bequer Enrique . . El color de nuestra p i e l ................ Bertonov Joshua . . Genesi................ Besozzi Nino . . . Congedo ............. Gli equivoci di una notte................ Blech Hans Chri stian ................ Physìker............. Borboni Paola . . . Il muro di silenzio . Una notte fuori Bosetti Giulio . . . Pigmalione . . . . Sicario senza paga . Box Trial............. A passage to India . Brosset Claude . . Dans la jungle des villes................ Brostròm Gunnel . . Creati case sempre più alte............. Buazzellì Tino . . . Ricordo di due lunedì Buchman Nahum Genesi................ Caiati Ferdinando Cajafa Gianni . . . Il matrimonio . . . Calindri Ernesto . . I lu p i................ Carli Laura . . . . Carlini Paolo . . . Sogno di una notte di mezza estate . . . Casagrande Wilma . Sperduti nel buio . . Cassoli Alfonso . . Sperduti nel buio . . Cataneo Carlo . . . Una corda per il fi glio di Abele . . . Catullo Lucia . . . L’uomo che andrà in America............. Cavalieri Gino . . . Il Saltuzza . . . . Il furfantello del l’Ovest ............. Cei Pina Don Perlimplin . . L’equipaggio della zat tera ................ » » Coco James . . . . A passage to India . Corbellini Giuliana . Congedo ............. Cooper Gladys. . . A passage to India . Corona Antonio . . Los Desarraigados Cortese Valentina . L’ereditaa del Felis . Cotta Elena . . . . Sogno di una notte di mezza estate . . . Craig Mimmo . . . L’ufficiale reclutatore Cundari Vito . . . Il matrimonio . . Daems Marie . . . Pomme, pomme, pomme................... D'Amore Anna Maria Pigmalione . . . . D'Angelo Carlo . . La moglie di Pilato Il diavolo e il buon Dio................... Davis-lnwig Noel . . A passage to India . D'Ayala Mario . . . Pigmalione . . . . De Bustamante Ser gio ................ Caccia all’uomo . . De Kermadec Michel Dans la jungle des villes................ Dekker Albert . . . A Man for all Season De Taranto Vito . . li matrimonio . . . 132 307 313 309 307 308 311-312 304 313 307 304 313 307 314 307 304 313 307 311-312 313 304 305 307 304 304 315 305 314 306 314 315 308 313 308 306 304 305 314 310 314 314 311-312 308 309 304 305 304 309 311-312 306 304 306 311-312 315 310 315 306 Pa*93 9 42 93 91 85 10 77 93 89 9 93 53 93 92 78 93 86 87 91 83 95 9 11 123 84 71 68 53 88 91 87 93 85 91 9 71 87 72 72 8 93 7 89 85 90 41 7 68 91 68 86 105 86 123 85 313 305 311-312 78 84 104 315 306 305 311-312 314 304 306 124 68 84 85 53 92 85 Paff. De Teffé Antonio De Toma Vincenzo Dettori Giancarlo Dolfin Marina . Drews Berta Edmonds Louis Fabbri Marisa . Faggioni Piero Fanfani Ottavio Faure Renée Fazio Mario . . Ferrati Sarah . Fiore Maria . . Fuscagni Nino . Galvan Bianca . Gassman Vittorio Santa Giovanna L’eccezione e la re g o la ............. Santa Giovanna . Il matrimonio . . I fisici ............. A passage to India II furfantello del l’Ovest . . . . Il muro di silenzio L’eccezione e la re gola . . . . L’uomo che andrà in America............. La Celestina . . . . La Celestina . . . . Il muro di silenzio . L’uomo che andrà in America............. Questa sera si recita a soggetto . . . . » » Gaudin Daniel . . . Lieutenant Tenant . Giachetti Gianna . . L’ufficiale reclutatore Giacobbe Gabriella . Ricordo di due lunedì Giehse Therese . . Physiker............. Giovampietro Renzo J. B...................... La Celestina . . . La foresta............. Glori Enrico . Gonzales Mario Gar Los signos del zodiaco cía . . . . A Man for all Season Goodner Carol Gramática Irma Pigmalione . . . . Gravina Carla . La sua parte di storia L’ufficiale reclutatore Graziani Sergio . . L’uomo che andrà in America . . . . Gritzenko Nicolai Il cadavere vivente Gutierrez Alucia . E1 color de nuestra piel . . . . Guzzinati Margherita Il furfantello del l’Ovest . . . . Herlin Jacques . . Sicario senza paga Herlitzka Roberto Una corda per il fi glio di Abele . . Hintermann Carlo . Santa Giovanna . Invernel Jacques Isnenghi Gualtiero . Pigmalione . . . Jaffrey Saeed . . . A passage to India Jambrina Francisco E1 color de nuestra piel . . . . Jotta Elio . . . . I lupi . . . . Jouvet Louis . . . Kammer Klaus . . Rapporto a un’acca demia ............. Andorra............. Knuth Gustav . . . Physiker............. Kulle Jarl . . . . Créati case sempre più alte............. Lambroni Antonietta Pigmalione . . . . Larroquette Jean . Lulù................... Leuvrais Jean . . . La bête dans la jungle Lingen Theo . . . Physiker............. Lionello Alberto . . Il matrimonio di Fi garo ................ Il bell*Apollo . • . Il diavolo e il buon Dio................... Lonza Pilar . . . . Los signos del zodiaco Lucène Marianne . Tutto per bene . . Luzzi Franco . . . Congedo............. Maltagliati Evi . Congedo ............. . Il matrimonio di Fi Mannoni Paola garo ................ Maranzana Mario . Santa Giovanna . . Marchand Corinne . Anche le donne han no perso la guerra 310 308 310 306 314 306 305 304 308 307 309 306 307 306 307 304 309 305 307 314 315 308 307 304 306 307 308 311-312 304 309 305 313 315 309 313 311-312 305 314 311-312 310 307 305 306 311-312 304 305 305 314 314 307 315 305 313 313 307 304 314 315 311-312 313 304 304 304 310 313 86 91 87 85 54 68 85 10 91 93 7 86 7 86 7 10 84 93 53 123 91 95 89 86 7 92 86 92 44 84 9 123 6 19 86 85 71 8 87 93 84 68 86 91 9 86 54 54 95 87 84 77 78 95 91 71 124 86 77 91 91 91 86 77 Segue: ATTORI NELLE COMMEDIE CHE HANNO INTERPRETATO Pag. Marchese Bob . . Marchesini Emilio Marcucci Egisto . Marasca Mario . . La sua parte di storia . Santa Giovanna . . . Il re dagli occhi di conchiglia . . . . . Pigmalione . . '. . L’uomo che andrà in America............. Mariani Mario . . L’ereditaa del Felis . Mauri Gianfranco L’eccezione e la re gola ................ Mauri Glauco . . . La calzolaia meravi gliosa ................ La bisbetica domata Andorra............. Maury Jacques . . Lìeutenant Tenant . Maxakova . . . . Il cadavere vivente . Mazzarella Piero . . L’ereditaa del Felis . Mazzoni Marisa . . Il furfantello del l’Ovest ............. Meachan Anne . . A passage to India . Merli Adalberto . . Il muro di silenzio . Merlini Elsa . . . Gli equivoci di una notte................ La foresta . . . . Millo Achille . . . Sperduti nel buio Minelli Marisa . . . L’ereditaa del Felis . Mirannalti Rinaldo . Il matrimonio . . . Miserocchi Anna . . Sogno di una notte di mezza estate . . . Mistral Nati . . . Divinas Palabras . . Mohyeddin Zia . . A passage to India . Montagnani Renzo . I lu p i................ Montemurri Davide . La foresta . . . . Monterò Germaine . Monteverdi Germana I lupi . . . . . . Montini Luigi . . . L’equipaggio della Zattera............. Moriconi Valeria . . La calzolaia meravi gliosa ................ Sogno di una notte di mezza estate . . . La bisbetica domata Andorra............. Morlacchl Lucilla H matrimonio di Fi garo ................ II bell’Apollo . . . Mos Berta . . . . La goccia di miele . Musy Gianni . . . Il furfantello del l’Ovest ............. Nardi Corrado . . . Ricordo di due lunedì Navarro Carlos . . Los Desarraigados . Negri Renata . . . Il matrimonio . . . La Draghignazza . . Il matrimonio per concorso . . . . Nlnchi Carlo . . . I lu p i................ Santa Giovanna . . Nona Micheline . . Lieutenant Tenant . Oppi Giulio . . . . J. B..................... La Celestina . . . . La sua parte di storia L’ufficiale reclutatore Orlando Orazio . . Romolo il grande . . Ortiz Gloria Leticia Caccia all’uomo . . Pani Corrado . . . Ione................... Sogno di una notte di mezza estate . . . Paone Valerie . . . A passage to India . Parenti Franco . . J. B..................... La Celestina . . . . » La sua parte di storia L’ufficiale reclutatore Paturel Dominique . Pomme, pomme, pomme ................ Pavese Nino . . . Pigmalione . . . . Pavlova Tatiana . . Il matrimonio . . . Paxinou Katina . . Perego Didi . . . La Celestina . . . . 313 310 311-312 305 309 315 308 304 315 315 314 313 315 305 306 304 305 308 314 315 306 310 313 306 305 308 307 304 305 309 308 304 310 315 315 304 314 311-312 3C5 308 311-312 306 308 9 86 6 84 7 105 91 90 106 106 53 19 105 85 68 10 83 92 72 105 85 87 19 68 10 92 93 91 9 41 94 90 87 106 106 91 71 85 85 91 86 85 92 315 305 310 314 304 307 313 315 315 311-312 309 310 306 304 306 307 313 315 313 305 306 315 306 307 306 307 124 10 87 53 89 7 9 123 123 85 43 86 68 89 86 7 9 123 78 84 85 124 85 93 86 7 Pleasence Donald Popesco Elvira Portman Eric . . Proclemer Anna . Quadflieg Will Rama Luciano . . Renn Katharina . Ricci Renzo . . . Richard Pierre Rich Claude . . Ridoni Reída . . The Caretaker . . . La Contessa . . . . A passage to India . Santa Giovanna . . F a u s t................ La Draghignazza . . Va donc chez Tòrpe Sperduti nel buio Dans la jungle des villes................ Victor, ou les enfants au pouvoir . . . . Congedo ............. L’equipaggio della Zattera............. Rimoldi Adriano H matrimonio . . . Riva Isabella . La Celestina . . . . Rizzi Gualtiero J. B...................... La sua parte di storia Rollin Georges Tutto per bene . . . Romanonl Lucia Sperduti nel buio Ronconi Luca . Sogno di una notte di mezza estate . . . Rovina Anna . Kinneret Kinneret . Rudenski . . . Gli abiti del re . . Ruggieri Osvaldo L’ufficiale reclutatore Sabani Franco . Il matrimonio . . . Sacchi Cecilia . La Celestina . . . . Sammarco Gina Il Saltuzza . . . . Il furfantello del l’Ovest ............. Scaccia Mario . Don Perlimplin . . . Romolo il grande . . Schellon Erleh I fisici . . Schieske A. I fisici . . Schiidt Henrik . Créati case sempre più alte ............. Scofield Paul . A Man for all Season Severini Leonardo L’uomo che andrà in America . . . Show Robert . The Caretaker . Simovich Rada II furfantello de l’Ovest . . Soler! Varo . . Pigmalione Spagnoli Vanna Il matrimonio Spina Maria Grazia Sogno di una notte di mezza estate . Spira Françoise Lulù............. Stai Tord . . . Créati case sempr più alte . . Stekel L. . . I fisici . . . Susini Gino . . II matrimonio pe concorso Taeger Uta . . Victor, ou les enfant au pouvoir Tarascio Enzo . L’equipaggio dell Zattera . Terrani Alberto . Il muro di silenzio Una notte fuori . La Celestina . . . Theobald Heidelmar i e ................ Andorra . . . Tidblad Inga . . . Créati case sempre più alte . . . Tilena Elena Pigmalione . . L’uomo che andrà in America . . . . Tinoco Dolores Los Desarraigados Tosti Maria Teresa Il Saltuzza . . . Il furfantello del l’Ovest . . . Valderi Xenia . . I lupi . . . . > Ventriglia Rodolfo L’uomo che andrà in America . . . Verdiani Guido . B matrimonio per concorso . . . Viliers Reine . . Dans la jungle des villes............. Yoseph Ben . . Kinneret Kinneret Zareschi Elena Ecuba ............. Zuccolini Luciano . La foresta Fase. n. I Pag. 306 308 306 310 313 308 314 314 314 314 304 309 306 307 304 313 313 314 310 307 307 315 306 307 304 305 304 315 314 314 315 304 309 306 305 305 306 310 313 315 314 315 314 309 311-312 304 315 307 314 315 305 309 311-312 304 305 304 305 309 315 314 307 309 308 67 77 68 86 19 92 53 72 53 53 91 41 85 7 89 9 77 72 87 93 93 123 85 8 89 85 90 126 54 54 SS 92 6 67 85 84 85 86 77 88 54 124 53 41 7 10 123 7 54 87 84 6 86 89 85 91 9 7 124 53 93 42 92 133 A U T O R I (Riproduzione fotografica o disegno) Fase. n. Aretino Pietro . . . Audiberti Jacques . Balducci Alfredo . . Barbarani Berto . . Billetdoux François . Bracco Roberto . . Buzzati Dino . . . Cocteau Jean . . . Cossa Pietro . . . Druon Maurice . . Dürrenmatt Frie drich ................ 306 313 311-312 310 314 314 308 309 307 307 314 308 307 Fase. n. Pag. 43 77 7 16 53 72 93 8 48 93 11 78 94 Garcia Lorca Fede rico . . . . Ghelderode (Miche d e ) ............. Giovaninetti Silvio Gorostiza Celestino Martini Darlo G. . Messina Paolo . . Nicola) Aldo . . Novo Salvator . . Pandolfi Vito . . Parodi Anton Gae tano . . . . Pirandello Luigi Possenti Eligio . 304 307 305 311-312 314 304 306 311-312 308 311-312 315 307 310 Fase. n. Pag. 90 90 9 85 71 12 5 85 93 8 77 96 6 Ridenti Lucio . Rimane»! Giose Sarzano Luigi . Savo Nina . . Simoni Renato . Terrón Carlo . Vaidarnlni Alfio Wilde Oscar . . Pag. 310 311-312 30t 311-312 306 310 310 310 307 310 308 313 307 6 85 93 6 67 5 16 85 8 6 94 20 91 Fase. n. Pag. 311-312 311-312 304 315 311-312 306 305 313 314 308 311-312 308 315 304 310 314 311-312 310 314 313 313 315 308 309 314 314 103 104 10 123 86 68 84 78 54 93 6 91 123 89 87 71 86 87 72 SCENE (Riproduzione fotografica o disegno) Fase. n. I Pag. Abiti del re (Gli) . . Anche le donne han no perso la guerra Andorra............. Bell'Apollo (II) . . . Bête dans la jungle Biblioteca domata (La)................ Caccia all'uomo . . Cadavere vivente (II) Calzolaia meraviglio sa (La)............. Caretaker (The) . . Casa in buone condi zioni (Una) . . . Cecilia................ Celestina (La) . . . Colonna infame (La) Color de nuestra piel (E l)................ Congedo ............. Contessa (La) . . ■ Corda per il figlio di Abele (Una) . . . Créati case sempre più alte . . . . Crogiuolo (II) . . . Dans la jungle des vllles................ Desarraigados (Los) Diavolo e 11 buon Dio (II)............. 307 313 314 315 314 313 315 311-312 313 304 306 313 314 306 307 315 311-312 304 308 309 311-312 315 311-312 314 311-312 315 RE G IS T I, Fase. n. Bourselller Antoine Colli Giacomo . . . Craig Gordon . . . 134 314 308 310 93 77 54 106 71 78 106 85 19 90 67 87 11 86 7 35 86 90 80 41 8 87 86 53 86 124 Dlvinas Palabras . . Don Parlimplin . Draghlgnazza (La) Eccezione e la re gola (L') . . Ecuba . . . . Equipaggio della Zat tera (L') . . Equivoci di una not te (Gli) . . . Ereditaa del Fells ( L ') ............. Faust . . . . Fisici (I) . . . Foresta (La) . . Fuenteovejuna . Furfa ntel I o del l'Ovest (II) . Genesi . . . . Ione............. J. B. Klnneret Kinneret Lieutenant Tenant L u lù ............. Lupi (I) . . . . Man for all Season ( A ) ............. Matrimonio (II) , Matrimonio di Figa ro (II) . . . Matrimonio per con corso (II) . . Fase. n. Pag. 313 313 304 308 308 309 309 311-312 305 315 313 307 314 308 313 305 313 309 304 307 314 313 304 305 304 306 304 315 10 19 90 92 91 42 41 7 83 105 19 94 54 92 10 85 87 42 89 93 53 77 90 9 92 85 91 124 Miguel Manara Moglie di Pllato (La Muro di silenzio (Il Notte fuori (Una) Orologiaio di Cordo va (L'J . . . . Pasage to India (A Plgmalione . . Pomme, pomme pomme . . . Rapporto a un'acca demla . . . Re dagli occhi d conchiglia (II) Ricordo di due lu ned)............. Romolo il grande Saltuzza (II) . . . Santa Giovanna . Sicario senza paga Slgnos del zodiaco (Los) . . . . Sogno di una notte di mezza estate . Sperduti nel buio . Sua parte di stori (La) . . . . Tutto per bene Ufficiale reclutatore (L') . . . . Uomo che andrà America (L'J . Va donc chez Tôrp Victor, ou les en fants au pouvoir 77 123 93 6 53 53 IM P R E S A R I, ecc. (Riproduzione fotografica o disegno) Fase. n. Pag. 53 93 88 D'Alessandro Enrico Della Giusta Tullia . Horwltz Kurt . . . 304 310 307 Pag. Pag. 12 6 94 Poli Giovanni Ragnar Karl Rojas Xavier 306 315 311-312 67 87 85 I L T E A T R O N U O V O D I M I L A N O “ Un grande Teatro si giudica d a ll’aristocrazia degli spettacoli” HANNO DATO FAMA AL TEATRO NUOVO, CHE NE HA TRATTO IL PIÙ ALTO ONORE, FRA I TANTISSIMI, I TANTI Ruggero Ruggeri, Irma ed Emma Gramática, Ermete Zacconi, Gualtiero Tumiati, Memo Benassi, Annibaie Betrone, Antonio Gandusio, Renato Cialente, Elsa Merlini, Luigi Cimara, Evi Maltagliati, Dina Galli, Maria Melato, Annibaie e Carlo Ninchi, Sergio Tòfano, Eduardo-Titina-Peppino De Filippo, Vittorio De Sica, Vittorio Gassman, Sarah Ferrati, Andreina Pagnani, Gino Cervi, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Paola Borboni, Gilberto Govi, Franca Valeri, Vittorio Caprioli, Enrico Viarisio, Renzo Ricci, Eva Magni, Anna Magnani, Ernesto Calindri, Laura Adani, Arnoldo Foà... e-cZ cm c& ta. Louis Jouvet, Jean Vilar, Gérard Philipe, Jean-Louis Barrault, Madeleine Renaud, Edwige Feuillère, Comédie Française, Old Vie, Théâtre Hébertot... i Direttori: K ir ill Kondrascin, Paul Strauss, Guido Cantelli, Vittorio Gui, Hermann Scherchen, Arturo Honegger, Leonard Bernstein, Alfredo Casella, Igor Markevitch, Paul Klecky, Herbert Albert, Giorgio Federico Ghedini, Carlo Zecchi, Carl Schuricht, Gianandrea Gavazzeni, Sergiu Celibidache, Otto Klemperer, Bernardino Molinari, Mario Rossi, Carlo Maria Giulini, Clemens Krauss, Goffredo Petrassi, Nino Sanzogno, Ilde brando Pizzetti, Rafael Kubelik, Paul Hindemith, Fernando Previtali • I Solisti: Yehudi Menuhin, Arturo Benedetti Michelangeli, Robert Casadesus, Francis Poulenc, Vasa Prihoda, Nikita Magaloff, Wilhelm Backhaus, Alfred Cortot, Edwin Fischer, Walter Gieseking, Ricardo Odnoposoff, Adolf Busch, Gioconda De Vito, duo Gorini-Lorenzi, Arthur Grumiaux, Arrigo Pelliccia, Jascha Heifetz, Bronislaw Gimpel... e- eznc&t-tz- i Balletti del Marchese di Cuevas, Roland Petit-Zizì Jeanmaire, il Circo di Pekino, Katherine Dunham, Josephine Baker, Maurice Chevalier, Harry Belafonte, Yves Montand... Totò, Rascel, Dapporto, Walter Chiari, Alberto Sordi, Wanda Osiris, Delia Scala, Ma cario, Billi-Riva, Tognazzi, Nino Taranto... E IS T VIA M O LIS E , 11 - R O M A L’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, con sede centrale in Roma - Via Molise, 11 - ba iniziato nel febbraio 1952 la pubblicazione di un proprio bollettino in lingua francese dal titolo: Echanges Inter nationaux dans le domaine du théâtre, allo scopo di favorire la conoscenza all’estero della produzione teatrale italiana. Dal gennaio 1953 il Bollettino stesso, per rispondere alle esigenze della sua crescente diffusione, è stato redatto anche in lingua inglese. A partire dal IV numero dell’anno 1953 è pubblicato in unico fascicolo bilingue, francese e inglese, dal titolo: ItaUan Theatre Review - Revue du Théâtre Italien. Sono stati sinora pubblicati i testi de II calzolaio di Messina di Alessandro De Stefani, La sei giorni di Ezio D’Errico, Lo scandalo Fregonard di Umberto Morucchio, L ’ippocampo di Sergio Pugliese, Oli ultimi cinque minuti di Aldo De Benedetti, Nora seconda di Cesare Giulio Viola, ...Ovvero il com mendatore di Mario Federici, La scala di Bosso di San Secondo, Isa dove vaif ovvero L ’incrinatura di Cesare Vico Lodovici, I l principe A ir di Giuseppe Luongo, Giancarlo, il ragazzo maturo di Luigi Bonelli, Puccettino e l’orco e Gavino Baracca e la zucca di Mario Pompei (questi ultimi quattro com presi in un fascicolo speciale di Natale dedicato al Teatro dei ragazzi), La fiaba di Namù di Angelo Rognoni, Nostra Bea di Massimo Bontempelli, I cugini stranieri di Turi Vasile, Buon viaggio, Paolo! di Gaspare Cataldo, To, el Rey di Bruno Cicognani, Le voci di dentro di Eduardo De Filippo, I l diavolo Peter di Salvato Cappelli, Lettere d’amore di Gherardo Gherardi, La torre sul pollaio di Vittorio Cal vino, Bella di Cesare Meano, I coccodrilli di Guido Rocca, Teresina di Aldo Nicolaj, Io sono la figlia del re di Fabrizio Sarazani, Sulle strade di notte di Renato Lelli, Bonne brutte di Achille Saitta, I trom boni di Federico Zardi, La giustizia di Giuseppe Dessi, Lavinia fra i dannati di Carlo Terron, Anima nera di Giuseppe Patroni Griffi, Le ragazze bruciate verdi di Gian Paolo Callegali, La congiura di Giorgio Prosperi, Bertoldo a Corte di Massimo Dursi, Lastrico d’inferno di Paolo Levi, Sacco e Vanzetti di Mino Roli e Luciano Vincenzoni, I turchi se la giocamo a primiera di Alflo Berretta, Besìderio del sabato sera di Luigi Candoni. Ogni fascicolo comprende, oltre al testo di ima commedia, sintesi e fotografie delle opere presentate in Italia nel corso della stagione, ed un vasto notiziario teatrale. L ’Ente Italiano per gli Scambi Teatrali, qui a son siège à Rome - Via Molise 11 - a commencé en février 1932 la publication d’un Bulletin en langue française dont le titre était: Echanges Internationaux dans le domaine du théâtre, afin de favoriser la connaissance à l’étranger de la production théâtrale italienne. Le Bulletin a été publié également en langue anglaise, à partir du mois de janvier 1953, pour répondre aux exigences de sa croissante diffusion. Enfin il a été édité, à partir du quatrième numéro de l année 1953, en unique brochure bilingue anglaise et française dont le titre est: Italian Theatre Review - Revue du Théâtre Italien. Cette revue a publié, jusqu’à présent, les textes complets des pièces suivantes: Le savetier de Messine de Alessandro Be Stefani, Les six jours de Ezio B ’Errico, Le scandale Fregonard de Umberto Moruc chio, L ’Hippocampe de Sergio Pugliese, Les dernières cinq minutes de Aldo Be Benedetti, La seconde Nora de Cesare Giulio Viola, Le Patron de Mario Federici, L ’Escalier de Piermaria Rosso di San Se condo, La Fêlure de Cesare Vico Lodovici, Le prince Air de Giuseppe Luongo, Gian Carlo, l ’enfant déjà mûr de Luigi Bonelli, Puccettino et l ’Ogre et Gavino Barocca et la Courge de Mario Pompei (ces dernières publiées dans le numéro spécial de Noël consacré a/u théâtre pour les enfants), La, féerie de Namù de Angelo Rognoni, Notre déesse de Massimo Bontempelli, Les Cousins étrangers de Turi Vasile, Bon voyage, Paolo de Gaspare Cataldo, Yo, el Rey de Bruno Cicognani, Les voix intérieures de Eduardo Be Filippo, Le diable Peter de Salvato Cappelli, Lettres d’amour de Gherardo Gherardi, La tour sur le pulailler de Vittorio Calvino, Bella de Cesare Meano, Les Crocodiles de Guido Rocca, Teresina de Aldo Nicolaj, Je suis la fille du roi de Fabrizio Sarazani, Sur les routes la nuit de Renato Lelli, Femmes laides de Achille Saitta, Les trombones de Federico Zardi, La justice de Giuseppe Bessx, Lavinia parmi les damnés de Carlo Terron, Une âme noire de Giuseppe Patroni Griffi, Jeunes égarées de Gian Paolo Collegati, La conjuration de Giorgio Prosperi, Bertold à la Cour de Massimo Bursi, Climat d’enfer de Paolo Levi, Sacco et Vanzetti de Mino Roli et Luciano Vincenzoni, Les Turcs la jouent aux dés de Alfio Berretta, Le désir du samedi soir de Luigi Candoni. Chaque numéro comprend, outre le texte complet d'une pièce italienne, des synthèses et des photographies des pièces représentées en Italie au cours de la saison théâtrale et des nouvelles théâtrales détaillées. VAM N M dW ( O M r te N lA ia Q V A T tR O m BRANCO & M ( & 2 fK iC W tiv o z c u z z J ti con ARNALDO NINCHI e MICHELE RICCARDINI / 9 £ £ - ' / 9 6 \3 REPERTORIO: LA B IS B E T IC A D O M A T A di WILLIAM SHAKESPEARE (trad. di Franco Enriquez) ANDORRA di MAX FRISCH (trad, di Enrico Filippini) novità per l’Italia N IE N T E P E R A M O R E di ORESTE DEL BUONO novità assoluta dedicata a VALERIA MORICONI e alla COMPAGNIA DEI QUATTRO LA COMPAGNIA: PIERANTONIO BARBIERI. DONATO CASTELLANETA - ARTURO CORSO - ENRICO D’AMATO ISABELLA DEL BIANCO - CARLO ENRICI - MARIO MARESCA . GLAUCO MAURI . VALERIA MORICONI . ARNALDO NINCHI . LAURA FANTI . MARCO PARODI . ANNA RODOLFI MICHELE RICCARDINI - ARMANDO SPADARO . GIANNI TONOLLI - M. ADELAIDE ZACCARIA Scene e costumi: Musiche: Aiuto-regista: Direttore di scena: Capo macchinista: Addetto-stampa: Amministratore: EMANUELE LUZZATI - M. CHICCA GAMBARO GINO NEGRI ENRICO D’AMATO Assistente alla regia: PIERANTONIO BARBIERI NEVIO GENOVESI Aiuto d. pale.: PAOLO SANDRI GUIDO ROMANO FRANCO GIANNONI Luci: GIGETTO CAPPELLINI Regista e Direttore della Compagnia: GASTONE PACINI i l sabato alle ore 17 verranno rappresentate opere in un atto degli autori teatrali più indicativi e interessanti della moderna drammaturgia a 600 - 400 e 200 lire. E. IONESCO: Giacomo o della sottomissione GHELDERODE: Escurial S. BECKETT: Atto senza parole - L’ultimo nastro TEATRO I L T E A T R S A N T ’ E R A S M O D I M IL A N O O D M ANER E L L E N O V I T À LU ALD I NELLA IV STAGIONE (1962 - 63) L’ UNICO COMPLESSO TEATRALE ITALIANO IMPEGNATO, CON DUE COMPAGNIE, 52 ATTORI, NELLA VALORIZZAZIONE DEL REPERTORIO NAZIONALE: 1 ° SPETTACOLO 10 ottobre 1962 (Teatro LIRICO) SPETTACOLO 23 ottobre (Sant’Erasmo) P rim a de L A CENA D ELLE BEFFE Celebrazione Nazionale Benelliana P rim a della novità assoluta d i D ino Buzzati LA CO LO NN A Al 1° dicembre IN F A M E CENA D E LLE BEFFE In 18 città LA COLONNA INFAME 56 repliche 44 repliche Al Sant’Erasmo SPETTACOLO (Dicembre) UNA G H IR L A N D A A S A N T ’E R A S M O d i T hornton W ilder (Prima rappresentaxione in Europa) con EVA MAGNI - RENZO RICCI . GIANNI SANTUCC10 Regia: MANER LUALDI SPETTACOLO (Gennaio) N A R C IS I E MAMME d i Carlo Terron (Prima rappresentazione assoluta) con LINA VOLONGIII - LIA ZOPPELU - MAURIZIO ARENA Regia di EDMO FENOGUO T E A T R O S T A B IL E D E L L A C IT T A D I F IR E N Z E VIA DELL'ORIUOLO, 33 ■ TEL. 287.455 Presidente ALDO GIARDI Direttore artistico UMBERTO BENEDETTO Regista stabile TATIANA PAVLOVA dal 3 dicembre IL M ATR IM O N IO PER CONCORSO di CARLO GOLDONI (nel secondo centenario della prima rappresentazione) dal 29 dicembre LE V IS IO N I DI SIMONE M ACH AR D di BERTOLT BRECHT (novità per l’Italia) da] 25 gennaio II- T E A T R O C O M IC O IT A L IA N O A TAVOLA NON SI PARLA D’AMORE Gianni Bonagura -Rosolino Bua - Vittoria Campagna - Alba Cardilli - Ida Carrara - Giuseppe Caruso - Eugenio Colombo - Elio D i Vincenzo - Sergio Fantoni - Turi Ferro - Fernanda Lelio - Mario Lodolini - Giuseppe Lo Presti - Franca Manetti Riccardo Mangano - Fioretta Mari - Anna Miserocchi - Renato Montalbano - Tuccio Musumeci - Ave Ninchi - Piero N uti - Irene Poujol - Maria Tolu - Elio Zamuto Regie di : UMBERTO BENEDETTO - ANDREA CAMILLERI - GIUSEPPE DI MARTINO - FAELE COSIMO FRICELLI - RENATO PINCIROLI Scene e costumi di : FRANCESCO CONTRAFATTO - SEBASTIANO MILLUZZO - GINO MORICI ONORATO - MISCHA SCANDELLA Musiche di scena di i ANGELO MUSCO - DORA MUSUMECI MARIO GIUSTI VITTORIO CONTI PRESENTA AL TEATRO DELLE MUSE IN ROMA IL SESTO anno d i a t t iv it à consecutiva d e lla compagnia ita lia n a d i prosa F R A N C A D O M IN IC I - M A R IO S IL E T T I con IR E N E A L O IS I - M A N L IO G U A R D A R ASSI - FA N N Y W A L T E R M AESTO SI - G LAU CO O N O R ATO M A R C H IÒ - FRANCO RESSEL n e lle s e g u e n ti n o v ità a s s o lu te it a lia n e : I L A V E D O V A N E R A tre atti di ELISA PEZZANI dal 12 ottobre al 18 novembre 1962 recite 37 H T R O P P E D O N N E tre atti di ALESSANDRO DE STEFANI attualmente rappresentata m I C IN E M A T O G R A F A R I due tempi di FABRIZIO SARAZANI A IV I L R A G A Z Z O D E L P IA N O tre atti di MINO ROLI e MICHELE BARBATO /¿z R O M A D I S O P R A tó i B . o ò c r t o L A P IC C O L A F O N T E B ra c c o T Q f C A P IT A L E v I N D E L L E O A L P I S E S T R IE R E B A R D O N E C C H IA C L A V IE R E SAUZE D ’O U L X - S P O R T IN IA CESANA C H IO M O N T E PR AG ELATO ALA DI STU R A SALM E U S S E G L IO LO C AN A PR ALI O ULX - BEAU LAR D G R O SCAVALLO G IA V E N O - “ L ’A Q U IL A ” 4 FUNIVIE - 17 SEGGIOVIE - 50 SKILIFT - 1 SLITTOVIA. PISTE D I PATTINAGGIO, CAMPI D I HOCKEY E D I CURLING, TRAMPO LIN I SALTO, PISCINE ALL’APERTO CON ACQUA RISCALDATA. jj A l b e r g h i e P e n s i o n i d i t u t t e le c a t e g o r i e . Agenzie d i Viaggio, E n ti P ro v in c ia li p e r i l Turism o, fia t Ente P rovinciale p e r i l T urism o * Torino. — t & S S U t i —------- ( L A /y - / / 'c c y ¿ a R . S / ) / , LAR U S V I P R E S E N T IA M O V I C S U U N IL A VICUÑA: ruminante dell’America meridionale ; specie di lama che vive al di sopra dei 4000 mt. (lama vicunha). La lana di viciina è di colore rosso-ocraceo caratteristico ; è molto soffice al tatto, ed è formata da fibre regolari e fini. Al Perù, Cile, Bolivia, Argentina, la lana di viciina è usata insieme a quella di alpaca e guanaco per fabbricare le stoffe che servono a fare i vestiti caratte ristici degli indigeni, cioè i «ponchos» e le «cheripas». in Europa questa lana arriva di rado. Come tutte le stoffe di gran pregio la « Viciina » in tutte le tinte, si trova da LARUS, assieme al meglio della produzione d’oltre Manica che LARUS importa in tagli originali e la cui vendita è riservata esclusivamente ai suoi negozi. VIA MANZONI 43 - GALLERIA VITTORIO EMANUELE 15 - CORSO VITTORIO EMANUELE 5 Ì S B la fo d e r a c h e d à u n o s tile a l l ’a b i t o B e m b e rg s .p .a . M ila n o marchio registrato ELSA MERLINI T A B A C C O I ) H A I ? A l i Un accento di vitalità e di freschezza pone la vostra perso na al centro dell’attenzione, dà risalto alla vostra personalità. TABACCO D’HARAR la classica Colonia-Profumo di gusto europeo, che assume differenti tonalità a seconda della per sona che la usa, sarà il vostro segreto. COLONIA-PROFUMO; BRILLANTINA, SAPONE DA TOELETTA, CREMA PER RADERSI, TALCO AL TABACCO D’HARAR ■ P ÎU Ï I, " 1^. 111.Trf.

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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