TRE AUTORI ITALIANI ARPINO PROSPERI PRESSBURGER DOCUMENTAZIONE SUL TEATRO STABILE DI TORINO STABILE DI TORINO I QUADERNI DEL TEATRO STABILE DELLA CITTA DI TORINO N. 17 IL "SAVONAROLA" DI PROSPERI "DONNA AMATA DOLCISSIMA" DI ARPINO GIOCHI DI FANCIULLI DI PRESSBURGER DOCUMENTI STAGIONE 1969/70 li l! L\ ~ EDIZIONE TEATRO STABILE TORINO 1969 Premessa Questo quaderno - diciassettesimo della serie è suddiviso i due parti. La prima parte è dedicata alle novità italiane previste dal cartellone, vale a dire Persecuzione e morte di Girolamo Savonarola di Mario Prosperi, spettacolo presentato dallo Stabile di T orino al Festival della Biennale di Venezia; Donna amata dolcissima di Giovanni Arpino, e Giuochi di fanciulli dt Giorgio Pressburger. Quest'ultimo testo, per molti versi, può ascriversi alla sezione sperimentale del Teatro che, quest'anno, a differenza della stagione scorsa, svolge la propria attività al di fuori del cartellone in abbonamento, in quanto si è riconosciuta l'opportunità di riservare tale campo di ricerca soltanto a coloro che lo vogliano coscientemente scegliere con specifico impegno: . quindi i testi sperimentali non figurano veppure nella rosa degli spettacoli fruibili usando l'abbonamento. Si è voluto, in · tal modo, invitare il pubblico, sensibile al lavoro d'avanguardia, ad assumere esplicite e deliberate responsabilità. Incidentalmente diremo che la sezione sperimentale si arricchirà nel corso della stagione, di alcune altre voci, diverse tra di loro, ma tutte, a nostro avviso, interessanti per ben precisi motivi: ad esempio, da un lato, l'attività del Corso di Formazione dell'Attore; dall'altro, l'attività realizzata in collaborazione con la 7 scuola torinese, di cui il primo spettacolo, La città degli animali,, è già in fase di avanzata elaborazione. Di queste iniziative avremo occasione di riparlare nei prossimi Quaderni, così come dovremo riparlare di novità italiane, oltre a quelle che formano l'oggetto della prima parte di questo Quaderno. Si prevede infatti la realizzazione, nel corso dell'anno, di una quarta novità assoluta, cioè I cattedratici di Nello Sàito. Non è il caso di soffermarsi a commentare i titoli citati in quanto essi, da soli, sono in grado di dimostrare il persistenie interesse dello Stabile di Torino verso gli autori italiani (e questo sia detto al di là di tutte le polemiche che sull'argomento si sono volute scatenare, cercando di far passare, contro ogni evidenza, lo Stabile di Torino come un Teatro ostile ai drammaturghi nazionali viventi). Siamo lieti che quest'annO il nostro Teatro, dopo avere negli scorsi anni presentato nei propri cartelloni alcuni tra i nomi più illustri della letteratura italiana, da Primo Levi ad Alberto Moravia, da Massimo . Dursi a Giuseppe Dessì, da Natalia Ginzburg a Pier Paolo Pasolini... abbia potuto offrire la possibilità ad uno scrittore come Giovanni Arpino, che oltretutto è scrittore piemontese, di ritentare, e a posteriori, possiamo dirlo, con grande successo, l'esperienza delle scene. Ma siamo lieti anche di aver potuto affiancare al nome di Arpino, quello di due valenti, ma ancor giovani autori: Mario Prosperi e Giorgio Pressburger. Questo, per sottolineare che, contrariamente a quanto taluni sostengono, il Teatro non vive soltanto alle spalle delle personalità letterarie già affermate. La seconda parte del Quaderno è dedicata ad alcuni documenti sull'attività del Teatro. Lo Stabile di T orino sta attraversando . una f~se di rielaborazione delle proprie strutture e, in certa misura, anche di ripensamento della stessa idea del Teatro a gestione pubblica. Ci è sembrato pertanto opportuno rendere pubblici i punti 8 essenziali e le linee programmatiche della stagione 1969-70. Interesse analogo riveste, a nostro avviso, la documentazione sull'attività della Compagnia-Gruppo, la quale costituisce il tentativo, all'interno di un Teatro Stabile, di impostare un lavoro coerente e continuativo, sulla base di criteri comunitari che giungono sino all'adozione del metodo della regia collettiva. Infine una nota su una delle più interessanti iniziative della stagione: il decentramento. 9 l PROSPERI SAVONAROLA Il "Savonarola" di Mario Prosperi * Quando ho avuto notizia che alla rassegna teatrale di Venezia era stata _inserita nel programma un'opera su Savonarola, ho pensato a Morav1a, ad una intervista che lo scrittore aveva rilasciato ad un settimanale in cui, parlando della contestazione studentesca - non troppo tenera nepj:mre con lui - , rintacciava agli studenti di es. sere tanti piccoli Savonarola. Moravia, cioè, non faceva altro che adoperare in senso tradizionalmente polemico l'idea che molti hanno di Frate Girolamo: l'idea di una intransigenza fanatica, o molto vicina al fanatismo, che fa rabbrividire un po' tutti i benpensanti e gli ultimi illuministi aristocratici in tempi in cui risuonano ancora forti, ma più fievoli che nel recente passato, i richiami a Mao e alla rivoluzione culturale. Esiste, infatti, chi ha (* ) Mario Prosperi è nato a Roma, il 9 agosto 1940. Figlio del critico e autore Giorgio Prosperi, si è interessato al teatro già durante gli studi wi.iversitari, dando vita con altri al CUT di Roma. Autore, in collaborazione con Renzo Giovampietro, dei "Discorsi di Lisia" e del "Governo di Verre", da testi di Lisia e Cicerone, per la regia dello stesso Giovampietro; ha collaborato inoltre alla riduzione televisiva e cinematografica dell' "Odissea", per la regia di Franco Rossi. Di un suo studio su Ruzante è stata pubblicata una parte nei Quaderni del Teatro S~bt_ ~ Torino. ~~ Questo testo è stato letto dal critico Italo Moscati nel Ridotto della "Fenice" di Venezia giovedi 9 ottobre 1969, in occasione della presentazione del dramma di Prosperi al Festival della Biennale. 13 Af!ìorano, poi, domande più precise. Ad esempio, come si è espressa quella zona del dissenso ohe viene etichettata con l'aggettivo "cattolico"? Come si è tradotto in opere teatrali o cinematografiche? Tengo subito a premettere che diffido fortemente della concezione che vuole subordinare 1a ricerca artistica alle tematiche via via sui piatto dell'attualità. Ma non può colpire che, insieme ad altre sordità verso problemi e temi di grande rilievo civile, si sia rivelata una pressocché assoluta sordità verso la presenza di un dissenso volto a togliere dall'anonimato la inaudita novità - per il nostro paese - di negare l'integrismo e il neo-integrismo, e di fare del discorso religioso un'occasione più ampia. Con il suo testo, Prosperi se non copre un vuoto, giunge comunque a rompere una ~ssenz~ come fa - tanto per citare un caso - la Cavam nel cmema. Il suo Savonarola è importante, oltre che per la validità della scrittura, proprio perchè offre il modo di ~urbar: le tranquille acque di uno stagno con una provocaz10ne ngorosa, scomoda; e perché non si lascia intimidire .dall'abitudine- implicita nell'ordine tanto caro alla log1ca delle istituzioni - che invita a parlare dei fanti e a dimenticare i santi. Prosperi, com'è obbligo per un autore, non si è rifugiato passivamente nelle indicazioni ufficiali o uf!ìcializzate fornite dai documenti, ha attinto a:lle fonti e ha sviluppato una solida vi:sione innovativa che esclude le interessate appropriazioni acritiche. Non ha ceduto alla censura occulta che viene esercitata dalla cultura « maggioritaria » attraverso le équipes di consulenti e di esperti. Ha messo, da una parte, una c~esa stabilit~, pri~~nie~a di una logica che la porta a naffermare .l aut<:r1ta, s1.a pure fra molti tentennamenti e abba~dom sentl?Ientilistici in chi lo guida; dall'altra, una chiesa profeuca, spoglia, senza preoccupazioni di potere, indifesa e pronta a rispondere sulla base del rich~amo :va~gelic?. Da. una parte, c'è un piccolo mondo ~ cardinaJi. e di pretl. che riflette le contraddizioni della chiesa stabihta, la sua disponibilità a fare una politica della religione, il suo ine~abile cinismo. Vi si scopre ìl legame con le forze econom1che e la premura di mantenerlo solido, produttivo. L'arte è pensato bene di coinvolgere nella accusa di intransigenza quanto è accaduto e sta accadendo sul piano del risveglio politico e ideologico. Così, alcuni hanno potuto liquidare meglio, convinti di aver visto il senno ereditato dal passato, un movimento di dissenso non sempre facilmente analizzabile ma almeno in un punto sufficientemente chiaro: la ripulsa delle giustificazioni e degli schemi che tutelano il cossiddetto sistema, nella molteplicità delle sue istituzioni, compresa quella ecclesiastica. Troppo comodo riprendere anatemi e calcarli sugli avvenimenti nuovi. È un gioco terroristico. Mario Prosperi con « La persecuzione e la morte di Girolamo Savonarola »,l'opera che è andata in scena per la rassegna veneziana, ribalta completamente questo gioco terroristico, forse in maniera inconsapevole (mettiamo che gli premessè rappresentare la :figura del frate contro un certo tipo di interpretazione} o forse perché portato a tirare particolari · conseguenze •sul piano dell'attualizzazione da un ·interessè partecipe alle nuove prese di coscienza stimolate dal dissenso. So bene che Prosperi ha compiuto una scelta ragionata, al di là delle' suggestioni e ha cercato di vedere nel profondò i motivi di una tensione nuova senza procedere a pedinamenti. Lo ha faùo da credente, quale si professa, riuscendo a dare con il suo lavoro la testimonianza di nna contestazione non pateticamente inseguita, come accade anche a molti intellettuali del coté, diciamo così, laicista; ma penetrata con pazienza e lucidità. Forse non è male ricordare qui che il teatro e il cinema, le due forme di spettacolo in cui dovrebbe essere possibile un confronto aperto delle idee e dei fatti, non sempre hanno saputo cogliere il senso di ciò che è venuto alla luce in questi ultimissimi anni. Si può tranquillamente affermare, anzi, che il travisamento, la misti:ficazione e la falsa coscienza hanno avuto campo libero. Magari in buona fede, alcuni autori hanno dimostrato di cogliere la palla al balzo più per manifestarsi all'altezza del tempo che per ascoltare e comprendere. Un . enorme sciupìo e la prova di un difficile rapporto. Un don Milani è servito a compensare un Feydeau. 15 14 l r-· quella del bisbiglio e della repressione, ammantata di una disinvolta spregiudicatezza. n linguaggio, denso alternativamente di minacce e di lusinghe, tesse una rete insidiosa. Al centro di questo piccolo mondo è Alessandro VI, papa Borgia. La posizione che occupa lo rende, a volte, talmente sicuro di sé al punto da fargli esclamare: « Un predicatore che .accus.a il Papa fa i:l suo ufficio: nessuno dei miei predecessori ha perso la tiara per lezioni impartitegli dal pulpito. Dio ha dato ai predicatori l'edificazione delle anime, a noi il governo; e tra questi due principi, come tra il dire e il fare, ci fu sempre e ci sarà sempre una s,alutare contesa». Altre volte, Alessandro VI è ingenuamente incerto, ansioso, arriva persino a consultare un arabo per averne l'oroscopo di Frate Girolamo e, al termine della consultazione, chiede dapprima timido poi inviperito: « Savonarola è cristiano: è anche questo - l'essere o no cristiano - in dominio degli astri? ... Io voglio sapere se H Frate si piegherà al trasferimento, che noi gli intimeremo ... a causa dei suoi nemici ... capite? posso prevedere che obbedirà? o no? ». Alessandro VI, così come lo tratteggia Mario Prosperi, ha il comportamento di un uomo che esercita il potere con uno stile prettamente peternalistico e se le ombre che si affacciano e si ritirano dentro di lui sono il segno di una natura combattuta, la realtà del carattere è ferma nella difesa di uno stato di cose ritenuto immutabile. Girolamo, dall'altra parte, occupa nell'opera teatrale la funzione di incarnare la chiesa profetica. Lo si avverte fìn dalla prima comparsa. Al cardinale Remolines che lo accus.a di «proclamare nel nome di Cristo l'anarchia» e di rovesciare « Cristo dal trono ceieste degli Angeli per mescolarlo alle violenze di questa terra », risponde indirettamente rivendicando il bisogno di una verità che è profezia, e richiamando il V angelo: « Chi si oppose alla testimonianza del cieco? I sacerdoti, dice il Vangelo, i sacerdoti deHe classi dominanti d'Israele che volevano essere i soli maestri del popolo, a causa dei tributi che esigevano. Cristo era dunque avversato dai sacerdoti, calunniato come ateo e bestemmiatore, e chi professava la dottrina e i miracoli di Cristo, i sacerdoti scomunicavano e bandivano dalla Sinagoga». Questo Savonarola ricorda il titolo di un libretto di don Milani, «L'obbedienza non è più una virtù », quando dice che « Solo se il superiore ti comanda secondo la carità e il grado dei tuoi doveri, solo allora tu sei tenuto ad obbedirlo ». Non si tratta di una polemica, di una contestazione che si chiude nella richiesta di uno spazio. È una presenza effettiva che svolge una critica dinamica e radicale individuando i nodi centrali di una realtà logorata. Ed è tanto più pressante perchè l'autore la sviluppa drammaturgicamente quasi che Alessandro VI e il suo piccolo mondo, ma soprattutto il papa Borgia, ne soffrissero come di un incubo senza liberazione. Non c'è possibilità di fuga per Alessandro VI; la presenza di Savonarola lo insegue con insistenza, non gli dà tregua. Riesce persino ad essere spietata in alcuni momenti e non trova risposta adeguata ma soltanto sconcerto e imbarazzo. Lo comprova la scena in cui Savonarola dice: «No... la penitenza più dura non serve, se non ascolti Ja chiamata di Dio ... tu non sei un pubblicano a cui basta il pentimento... Tu sei sacerdote e !evita, tu fondi il sacramento della tua autorità sulla croce di Cristo e di Pietro ... Rendi al popolo di Dio questa tiara di cui facesti mercato». Alla battuta, che prosegue, papa Borgia replica balbettando: « Non s'è mai visto un Papa deporre la sua corona. La Chiesa si dissolverà, se crollerà il prestigio della gerarchia ... Ogni obbedienza verrà a mancare ... il popolo si rivolterà; e i poteri secolari ci abbandoneranno ... Tutto questo avverrà con danno della Fede ... Aiutami, Frate, a salvare ciò che è ancora salvabile ». Alessandro VI si mostra qui, come lo si definirebbe oggi, un apocalittico. Non sa uscire dalle parole prestigio, potere, obbedienza. Savonarola lo ha colpito in pieno e se lo sconcerto cede ii posto talvolta al sincero desiderio di rendersi conto, l'atteggiamento costante è di impreparazione, d'incapacità di intendere nel senso giusto. E' l'elemento - questo di un rapporto inesistente con l'approssimarsi di cose nuove - che contraddistingue il testo di Prosperi e gli consente un largo respiro. Savonarola, 17 16 L infatti, non s'accontenta - si fa per dire - di turbare i sonni e le meditazioni di .Messandro VI, pungolandolo con delle "accuse" ma porta avanti una serie di argomentazioni in positivo sulla visione che ha della chiesa e della sua funzione nel mondo. Cosl discorre di pastori poveri, senza onori, senza privilegi e compromissioni con i potenti e con gli uomini di guerra, cosl invooa l'urgenza della giustizia verso gli oppressi e respinge l'identificazione della pazienza con la virtù cristiana. Contro di lui, che raccoglie nelle sue parole tanta parte della tematica venuta alla luce in questi ultimi anni di dibattito religioso, non hanno alcun effetto le lusinghe. A Roma pensano addirittura di farlo cardinale ripescando la vecchia tecnica di ridurre al silenzio con una "promozione". Ma c'è chi intuisce - ed è specificato nell'opera - che Savonarola non vuole il potere, vuole sostituire il potere con la profezia. Dunque, il frate non può essere convinto, la scomunica non serve, meglio farlo impiccare. Il punto importante che provoca lo scatto definitivo del meccanismo repressivo riguarda la convocazione del Concilio chiesta dal Savonarola. Questi disse che Alessandro VI non era papa. Come Prosperi stesso ha chiarito, lo chiese perchè c'era vizio nella sua elezione, ottenuta con violenza e denaro; e perchè «egli non è cristiano, non crede all'esistenza di Dio ». Il concilio diventava quindi necessario per obbligare papa un simoniaco e ateo a sottomettersi a giudizio, per deporlo, eleggere il papa legittimo, approvare le norme della Riforma e affidargli l'applicazione. Tesi che urta con quella cara agli integristi, secondo i quali Alessandro è vero papa anche se combattuto tra il carisma papale e una vita di peccatore; per cui Savonarola si è sbagliato, ma in buona fede e, poichè credeva che la chiesa fosse orfana del papa non peccò ne1l'esigere il Concilio, può essere santificato. "Santo", allora, o profeta? Prosperi, ripeto, sceglie il profeta e lascia che il frate venga esaltato come "santo" da quanti hanno l'intenzione di imprigionarlo nella nicchia, esposto all'accusa di campione fanatico di una vera 18 teocrazia. Per l'autore, Savonarola è - in sostanza- un campione delle libertà repubblioane e dei diritti dei popolo contro il dispotismo dei principati e dei regimi militari, il profeta "disarmato", anticipatore della non violenza, colui che difese il diritto della libertà di coscienza contro :l'autoritarismo del papa. Nell'opera, affiora decisamente questa seconda parte dell'interpretazione di Savonarola, mentre resta in ombra l'altra. Ci poteva essere il rischio di rimanere all'interno di un ambito troppo rarticolare, cioè troppo vicino alla storia della chiesa. Lo si è evitato .attraverso il taglio dato alla figura di Frate Girolamo che diventa sin dai suoi primi interventi H portavoce di istanze religiose e civili che mettono in cdsi una situazione cristallizzata, la bollano globalmente, le preparano una tempestiva dichiarazione di morte esprimendo !',acutezza delle contraddizioni in cui queste istanze si formano. :È il serio lavoro di documentazione che sta alla base del testo ad offrire il modo di misurare il sorprendente rapporto della "profezia" savonaroliana con ciò che torna fuori e ci passa sotto gli occhi oggi nel mondo, e quindi non esclusivamente dentro la chiesa. forse, però, la figura di Savonarola soffre un po' di rigidità. Mentre le altre figure del testo sono colte - almeno quelle più chiamate in causa - in una dimensione che comporta varie sfumature, questa appare uniforme e viziata di un che di astratto. Si ha talvolta l'impressione di trovarsi di fronte ad un puro e semplice polo dialettico. Ed è forse per questa ragione che il dramma fìnisce in pratioa per essere dominato, sulla pagina, da Alessandro Vl, il quale oltre ad essere « più personaggio » proprio in senso tradizionale sembra aver ottenuto dall'autore le maggiori cure. Ii che non fa un gran danno poiché è nello stile dell'opera che il confronto tr.a i due vada avanti nel progressivo delinearsi delle rispettive caratteristiche; ma, quando si nota che il frate è fedele ad oltranza ad un suo schema subito riconoscibile, efficacia e mordente vengono notevolmente condizionati e si affievoliscono. La risorsa di Prosperi è, tuttavia, quella di non pretendere un dosaggio definito equilibrio indiscutibile anche come 19 _, toni. Comincia, anzi, con una certa morbidezza in una zona di buio che si dovrà man mano dissipare. Quindi apre e chiude tra squarci di luce su quadretti priv,ati, familiari, e tratti in cui hanno il sopravvento scontri acce~ si, violenti su questioni di fondo. La linea che l'autore segue diventa da una certa fase in poi abbastanza scoperta e fa capolino quasi per conseguenza un didascalismo che se non disturbà molto minaccia di cancellare la felicità · con la quale viene descritto l'ambiente che circonda Alessandro VI e con la quale sono svolti i primi attacchi di Girolamo in nome della profezia. Accade cosi -che la tensione tragica, - cui Prosperi mira, si allenta sebbene l'interesse non venga mai meno e l'opera · conservi pressocché intatta tptta la sua càrica. Prosperi non è un autore che specula sul documento, che vi gioca addosso tutte le sue carte. Lo usa giustamente per il fine che si propone, lo ritaglia e lo ricuce secondo criteri che non sono quelli del teatro - documento. La fantasia circola liberamente e impone i suoi diritti senza che' si possa legittimamente richiamare la verità storica per rilevare violazioni. La citazione del nome di Peter Wiss, a proposito di questa « Persecuzione e morte di Girolamo Savonarola », è fermamente respinta. Prosperi mostra di preferire altri testi, altri autori. Ha avuto presente l'« Antigone », la « Maria Stuarda », « Sarita Giovanna » di Shaw, l'« Assassinio nella cattedrale » e per-sino, la « Mandragola ». Soprattutto l'« Antigone » gli è servita, e infatti viene alla mente Tiresia e la profezia « che spezza l'intrico obbligatorio de'l1a realtà apparente, che dà nuovo senso alla vita». Se Girolamo è chiaramente Tiresia, Alessandro VI è Creonte. Nel quadro del teatro italiano contemporaneo che non esce da una grave sterilità, questa opera di un giov,ane scrittore già impegnato- in riduzione da autori greci e romani porta la concretezza di una sensibile maturazione e non si af!ida soltanto al suo contenuto per suscitare attenzione. C'è da augurarsi che la regia sappia cogliere le possibilità del testo. La sèrittura, semplice e poeticamente animata, è frutto di una consapevolezza che vorremmo trO>- vare più spesso e non si affanna a complicarsi per darsi una giustificazione in sé. La ricerca, qui, è resa al recupero di un linguaggio teatr-ale che sia motivo di una convergenza il più possibile larga. La "Persecuzione" non si nega ad un determinato pubblico per rivolgersi ad un altro,. ha ~a trasparente intenzione di farsi patrimonio di un d1batt1to senza esclusioni. Che vi sia bisogno di un teatro così, non c'è dubbio. Le difficoltà che incontra stanno a testimoniarlo. ITALO MoscATI 21 20 Intervista con l'autore del "Savonarola" - .. •{ La presentazione di un nuovo autore costituisce sen1pre motivo di imbarazzo. Imbarazzo e responsabilità; perché la sua opera in qualche modo lo precede; gli interpreti, il pubblico la configurano a proprio modo, essa vive ormai fuori di lui; ma quanto di lui si è espresso in quest'opera? Fin dove le sue intenzioni sono realizzate? Qual'è il suo grado di consapevolezza? In altre parole: qual'è la sua identità ideologica? Mario Prosperi aveva chiesto a me di fare una presentazione che illustr.asse, al di là del risultato di questa sua opera, la · sua passata attività, le sue prospettive, le sue scelte. lo ho preferito essere semplicemente il suo interlocutore, lasciando che egli liberamente parlasse di sé. Ne è risultato un colloquio che qui fedelmente riporto. NovELLI - Che significato hanno avuto per te le precedenti esperienze? Che cosa hai portato nel « Savonarola » dei tuoi primi contatti con il reatro e con il pubblico? Mi riferisco a « Lisia », al «Governo di Verre», anch'essi realizzati con Giovampietro, ~ anche a un'opera televisiva, come la tua collaborazione all'« Odissea ».? PROSPERI - Dovrei cominciare a dire che le opere di un autore non hanno tutte la ventura di essere edite; a volte le esperienze più importanti sono frutto di opere che non diventeranno mai pubbliche. Ma poiché un autore si esprime ufficialmente attraverso •le occasioni che gli offre la società, beh, queste occasioni, che tu citavi prima, mi hanno consentito di sperimentare la grandissima forza che hanno i classici. Questa è forse una confessione di tradizionalismo, ma che faccio a cuor leggero, in un'epoca in cui pare che l'orgoglio sia il massimo impegno di un autore: distruggere alle proprie spalle tutto quello che c'è stato prima e lanciarsi in vuoti siderali, con la presunzione di inventare. lo invece umilmente mi sono messo ,alle dipendenze di alcuni modelli, cercando di esprimermi attraverso esperienze che mi precedono, e di cui credo che nessun artista possa fare a meno. NoVELLI - Mi permetto di contestarti due cose : intanto l'umiltà... Non ne parliamo affatto. L'altra cosa che ti contesto è l'importanz.a che presumi abbiano avuto cose non rappresentate: ciò può valere per quello che riguarda la maturazione del tuo pensiero, ma dal punto di vista propriamente drammaturgico io non credo che esse abbiano portato un grande contributo al tuo "Savonarola", perché ciò che conta in teatro è l'esperienza e la verifica del pakoscenico. Almeno per me. PROSPERI - Mi pare che vuoi ridurre il lavoro di un autore al solo fatto drammaturgico. Probabilmente se non avessi conosciuto il teatro mi sarei espresso in un altro modo: racconti, saggi e poesie ... che ho anche scritto. Tuttavia hai ragione: il teatro è un'altra cosa, e a questo proposito devo riconoscere che è stato decisivo per me 1'incontro con. un attore, Renzo Giovampietro, che mi ha scelto per suo collaboratore in due riduzioni, da Lis1a e da Cicerone; la sua idea di un teatro-processo, forse di per sé neppure molto originale, è però alla base di molte riflessioni che mi hanno portato al Savonarola: 11 si trattava di r.appresentare il foro esterno, un tribunale: avevano un carattere oratorio; ma due cose mi sono sembrate vitali: la natura del dibattito processuale, teso a provocare il giudizio, e la presenza del pubblico nello spettacolo, con funzione appunto di giudice, di assemblea giudicante; il r.acconto dei fatti che sono oggetto del processo viene strutturato a versioni e facce contrapposte: il risultato è 24 un enigma a soluzione aperta, su cui ognuno del pubblico può giudicare. Se al foro esterno sostituisco il foro interno, cioè la coscienza, (nel caso del "Savonarola" è quella del Papa) e se riesco ,ad oggettivare il suo conflitto, allargando la coscienza del Papa indeciso alla coscienza del pubblico chiamato a giudicare, ecco che ho realizzato qualcosa di molto vicino all'antica tragedia. De Sanctis direbbe che si tratta di una "quistione ben posta", di cui non si pretende di offrire una soluzione precostituita, ma si vuole solo orientare il pubblico verso una reazione di giudizio, senza ricatti e senza buoni sentimenti obbligatori. NovELLI - Parliamo del "Savonarola". Come prima reazione, lo dico subito, mi ha sollecitato due interrogativi: il primo riguarda la posizione dell'intellettuale cristiano, il suo modo di essere dentro e fuori la cultura che lo ha formato, le sue ragioni di contestazione, l'atteggiamento da assumere nei confronti della Chiesa ufficiale. Il secondo interrogativo ... PROSPERI - Preferirei intanto rispondere al primo. lo sono un cristiano e forse un autore, ma non vorrei essere un "autore cristiano". Penso che oggi un impegno di cristiano non possa più essere un impegno che presupponga un pubblico cristiano. Bisogna sapere e lasciare aperta la porta al rifiuto del mondo moderno. Bisogna Lasciare al pubblico una assoluta libertà. Non ci si può e non ci si deve rivolgere ad un pubblico indottrinato, ad un pubblico limitato, di setta. È necessario che anche la fede più certa venga in un certo senso riproposta come un'ipotesi di per sé credibile nel contesto dell'opera. Se l'artista è capace di questa non violenza nei confronti del pubblico, di questo assoluto rispetto, non rischia più di coartarlo, di ricattarlo, e manterrà con esso il solo rapporto onesto. NovELLI - Tu ti servi di un fatto storico, di personaggi storici per alludere a un discorso che ci riguarda oggi, che ci deve riguardare oggi. Ora ti chiedo, e mi 25 chiedo: è opportuno indugiare .ancora sulla storia, nella storia, piuttosto che affrontare diciamo orizzontalmente i problemi e i tatti della nostra epoca e della nostra cultura? Capisco come tu possa essere stato affascinato dalla vita e dal pensiero di Savonarola. Tuttavia credo che la suggestione maggiore tu l'abbia trov.a ta nella tesi che da Savonarola intendevi e hai inteso proporre. PROSPERI - Rispondo in due modi: il primo è che allontanando nel tempo la vicenda e collocandola in una "epoca" definita si evitano i condizionamenti passionaJi e ideologici contemporanei: la favola acquista una maggiore autonomia, si sottrae ai giudizi partigiani. La seconda risposta invece mi porta curiosamente a contraddirmi. Il problema Savonarola non è affatto un problema esclusivamente storico, chiuso, immerso nei secoli e riproposto ·solo al fìne di un'allusione. Direi che il "Savonarola" è un problema ancora aperto nella coscienza cristiana contemporanea. Come i giudei dell'epoca di Tiberio uccisero Cristo, così gli italiani del Rinascimento uccisero Savonarola: dal popolano al Papa, dal vertice alla base la nostra società ha ucciso un profeta, forse il maggiore dei tempi moderni, certo l'ultimo che abbia sfidato per dire la verità il gretto autoritarismo del Papato temporale. Quanti profeti, dopo di lui, meno conseguenti di lui, hanno abbandonato la Chiesa, per sfuggire alla repressione e poter parlare. Inutile negarlo: tutta la cultura odierna è a-lla dipendenza di profeti non cristiani. NoVELLI - Soffermiamoci un momento sulla figura del profeta, così come l'hai delineata nel tuo lavoro. Essa risulta l'immagine di un uomo, che per il fatto di sostenere una verità si trova contro la legge, che deve scegliere tra dire la verità o obbedire alla legge, che dicendo la verità diventa un fuorilegge. La sua consistenza umana e civile lo contrappone ·automaticamente all'epoca e alla società che egli rifiuta. Che rapporto c'è allora fra il Savonarola e i profeti di oggi? 26 PROSPERI -Un profeta di oggi - anche se di minore statura del Savonarola - , ma che appassiona oggi quanto il Savonarola, è in campo cattolico Torres .. . e i profeti non cattolici sono ancora più noti e seguiti. Credo che qualcosa di Torres, della sua opposizione alla gerarchia, che non è una ostinazione orgogliosa, ma una necessità tragica, una fatalità, che lo fa approdare a scelte estremiste, questo è in fondo anticipato nell'episodio savonaroliano, soprattutto in quella che fu la "passione" di Savonarola, dal momento cioè in cui, essendo stato scom.!;lnicato, si trova consapevolmente fuori legge. NovELLI - Mi è sembrato che nel tuo testo gli altri personaggi, tutti gli altri personaggi abb1ano una costituzione psicologica specifica, siano cioè umanamente decifrabili. Savonarola invece sfugge a questa dimensione, a: questa possibile identificazione, resta un po' un'astr.azione. È vero questo o è soltanto un'impressione che si ha alla lettura? · PROSPERI - Sl, effettivamente Savonarola ha una consistenza teatrale non solo diversa ma opposta a quella degli altri personaggi. Gli altri sono definiti da una condizione storica ad essi comune che, direi, prevale in loro, sono determinati dall'ufficio che ricoprono, dalla peculiarità fisiologica, dal carattere e da tutti i condizionamenti che si sovrappongono alla persona. _ Savonarola invece sfugge a questi condizionamenti, vi sfugge per un divino privilegio, che è anche la sua condanna: il dono della profezia. lo non l'ho certo rappresentato nelLa sua vita quotidiana, ma nell'acme della predicazione e della lotta. Savonarola non si incarna in una condizione storica, non nel corpo inteso fisicamente: egli si incarna nel suo pensiero profetico, è costretto a mettere il suo corpo alle dipendenze di una missione esigentissima e tragica, che lo porterà sul rogo. Egli ha sfidato la storia in cui gli altri sono calati, ne infrange i vincoli ed è il solo, anche se fisicamente sopraffatto, che sopravvive, capace di parlarci ancora: non per caso è anche l'unico che rompe la quarta 27 parete delta "dimensione storica" rivolgendosi direttamente a noi. I suoi monologhi infatti non sono dei classici "tra sé", ma dialogo diretto con il pubblico. NovELLI - E come si risolve in pratica questa duplicità dialettica di Savonarola, il quale da una parte risponde come personaggio ad altri personaggi, e dall'altra dialoga direttamente con lo spettatore? PROSPERI - Si risolve, o almeno io ho creduto di risolverlo non metteJ!do mai Savonarola in un rapporto realistico con gli altri: infatti o appare in sogno, o nel pensiero, o nel ricordo, o viene evocato, o predica - direttamente a noi - o risponde alle domande di giudici, che potremmo essere noi. NovELLI - Un'ultima cosa: ho visto che chiudi il dramma con una identificazione della ragione con la follia . Le ultime affermazioni di Savonarola, come del resto tutto il suo pensiero sono identificati con la follia . È vero questo? PROSPERI - Senza dubbio. Mi richiamo alla frase di San Paolo, in cui dice che la fede cristiana è scandalo per i giudei e follia - così dice - per i Greci. Noi siamo i greci e la morte di croce per noi è una ragione che confina con la follia: in realtà è la ragione in una logica diversa. CLAUDIO NovELLI La locandina Il Savonarola di Mario Prosperi è stato presentato in "prima" assoluta dal Teatro Stabile di Torino la sera di giovedì 9 ottobre 1969 al Teatro Corso di Mestre, con la seguente distribuzione : Mario Prosperi PERSECUZIONE E MORTE DISAVONAROLA Regìa di Renzo Giovampietro Scene e costumi di Silvano Falleni Musiche di Roberto Goitre Alessandro VI, Papa Lucrezia, sua figlia Cesare, detto il Valentino, suo figlio Cardinale Farnese Cardinale Costa Cardinale Mendez Cardinale Remolines Von Burkardt, prete Girolamo Savonarola Alfonso Strozzi, banchiere Frate Mariano Un Arabo, astrologo Un guardiano di legna popolani di Firenze Renzo Giovampietro Tiziana Cornaglia l Gianfranco Salodini Guido Gheduzzi Giulio Oppi Franco Ferrari Armando Alzelmo Marcello Mandò Antonio Battistella Marcello T usco V al erio Ruggeri Attilio Cucari Lombardo Fornara Rosanna Noto Giancarlo Rovere Giovanna V alsania Aiuto regìa Attilio Cucari 28 29 Allestimento scenico e costumi realizzati nei laboratori del Teatro Stabile di Torino diretti da Salvatore Fortuna e Angelo Dell~ Piane. Scenografìa: Paola Bassani. Luci: Vincenzo Cafìero. DUE SOGNI DI ALESSANDRO VI Direttore di scena: Leone Ghigi. Capo macchinista: Carlo Baroni. Capo elettricista: Cesare Giuffrida. Rammentatore: Cleo Balbo. Sarta: Laura Daeder. Segretario: Piero Robba. Pubblichiamo tre scene tratte dalla seconda parte del dramma di Prosperi. Si tratta di uno dei momenti centrali dell'opera in cui Alessandro VI, vittima della sua stessa politica e del sistema nel quale agisce, che lo porta a rifiutare il rinnovamento spirituale e morale proposto dal Savonarola, paga con la morte di uno dei. propri figli il prezzo delle sue scelte. La prima scena è costituita da un coro di popolani che avverte l'avvicinarsi della tempesta. Scena XII CORO l) 2) 30 L'albero è maturo, quando i pomi cominciano a cadere. La mormorazione ha ceduto al silenzio, il sale dei motteggi si è versato nelle lacrime. Chi v.a per via non vuole essere riconosciuto, al saluto come sordo non risponèe. Chi ha a~to un figlio non lo fa battezzare ... Hanno versato l'acquasantiera in terra! In ogni uomo che muore, muore l'uomo. Non c'è vita anche perfida d'uomo che non abbia trovato rimp1anto in un uomo. 31 3) Ma le nostre lacrime fredde no ... Il bastardo del Papa no. 4) Non per lui cadono, no, le nostre lacrime fredde. La scure è caduta sul tronco, non tremeranno i rami? La folgore ha percosso la vetta, non tremer,anno le pendici? Chi portava la parola di salvezza Dio punisce di falce in casa sua ... Il cielo di Ascensione è capovolto, Tutto il gregge, senza pastore è condannato. Scena XIII (Il Papa e i Cardinali; stessa posizione) PAPA .. .Perciò noi, ammoniti dal dolore e indagata la superiore volontà di Dio, dopo attenta meditazione ed orazione, illuminati dallo Spirito Santo stabiliamo ... primo: ... per onorare la memoria innocente di mio figlio ... primo: che si proceda a dimezzare la Corte di numero. Ne siano banditi senza eccezione musici, commedianti, efebi, danzatrici ed acrobati, benché famosi... Sia negato l'accesso alle donne, nei Sacri Palazzi Apostolici, come i fondatori di ordini religiosi stabilirono nei loro Monasteri... I Vescovi, tutti i Vescovi, anche i Cardinali, risiedano di persona nella sede, di cui sono titolari, e non usurpino la rendita, abitando in questa Corte ... come tutti voi! Darà l'esempio per primo Cesare, mio figlio ... tornerà a Valenza in Spagna ... sua Sede ... e io non lo vedrò mai più in vita. Mai più ... CosTA Alessandro ... Santità. PAPA Lasciatemi... Anche tu .. . Andate via .. . Mi sento male .. . Molto male... 32 BuRKARDT Santo padre ... PAPA Va' via ... (In realtà nessuno esce; restano immobili ai loro posti) PAPA Oh, Dio ... Dio mio ... Oh .. . (Si assopisce; la luce cala; alle sue spalle appare presso l'altare, dietro il leggio, il Savonarola) (legge) « Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio' giogo e imparate da me, perché sono docile ed umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre ... Perché il mio giogo è soave e il mio peso leggero ». SAVONAROLA (Reclinato, attonito, come in sogno) Non è vero ... Il tuo giogo è grave e non dà riposo mai...! PAPA (citando a memoria, chiudendo il libro) « Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ... ». SAVONAROLA (Piagnucoloso) Eccomi, Signore: ho allontanato i miei figli ... ho rinnegato la mia vita ... PAPA SAVONAROLA No ... La penitenza più dura non serve, se non ascolti la chiamata di Dio ... Tu non sei un pubblicano, a cui basta il pentimento .. . Tu sei sacerdote e !evita, tu fondi il sacramento della tua autorità sulla croce di Cristo e di Pietro .. . Rendi al popolo di Dio questa tiara di cui facesti mercato ... Convoca un Concilio e rendila, pubblicamente .. . Tu hai cominciato a volgerti a Dio, va' fino in fondo. Da molti 3J anni e da molti Papi tuoi predecessori è stata interrotta con simonia la continuità del Magistero Apostolico. Sana tu questo adulterio ... È Dio che lo vuole; ogni altro provvedimento è finzione. PAPA (Agitandosi come nel sonno) Non s'è mai visto un Papa deporre la sua corona ... La Chiesa si dissolverà, se crollerà il prestigio della Gerarchia... Ogni obbedienza verrà a mancare... il popolo si rivolterà; e i poteri secolari ci abbandoneranno ... Tutto questo avverrà con danno della Fede ... Aiutami, Frate, a salvare ciò che è salvabile! ... SAVONAROLA Le fondamenta delLa città vecchia sono poste nella sabbia. Non fare una fatica inutile per puntellarne i muri ... perché quando il vento verrà, cadranno ... Ma affrettati a porre su saldo piede di roccia le fondamenta della città nuova. Affrettati, perché il tempo è vicino ... (Il Papa cerca di seguire con lo sguardo il Savonarola che esce; girandosi gli appare Lucrezia in abito da sposa, che gira su se stessa, lentamente come se provasse l'abito, solennemente nella sua tristezza infantile. Esce ... accanto al Papa appare in luce, vestito di nero il Valentino ... ) VALENTINO È un peso troppo grave per me solo. E una vittima in famiglia è già caduta ... innocente, che secondo il concetto cristiano vale molto di più per espiare. Dunque offritela ,a Dio, anche al mio posto, e calmate la vostra coscienza. PAPA (Ricadendo indietro) Quale demonio parla in te ancora, dopo che l'anima tua è morta? VALENTINO Voi. chiamate demonio la ragione. Se la ragione governa la v1ta, perché non ne sceglierà il termine? Il caso padre governa l'esistenza degli sciocchi. ' ' PAPA C'è un'eco in queste tue parole mostruose dell'ambizione che ho nutrito io stesso per voi, figli.. . È terribile udire queste parole ... Va' via, ti prego ... Parti, !asciami solo. VALENTINO (Non muovendosi) Chi verrà al posto mio: Savonarola? PAPA Parti, va' via, ti ho detto! VALENTINO Scena XIV (Il Papa come impaurito in sogno si ritrae sotto la coltre molto lento.) VALENTINO Ho udito che devo andare in Spagna ... PAPA (Sollevandosi poco poco sul letto) Se oapirai un giorno che cosa hai fatto, ti conceda Dio di espiare ... non solo i tuoi, ma anche i peccati che sono retaggio del nostro sangue... anche i miei... che tu possa espiarli ... 34 ~on si diventa santi per propria decisione, padre ... E la simulazione gen,era il gelo intorno a voi... e fuori diffidenza! PAPA Per la mia pace, parti! VALENTINO No ... La famiglia unita è un fulcro di potenza ... Solo non varrete più nulla ... Osate! Voi avete il temperamento: tutta l'Italia aspetta ... un principe che 1a innalzi, unita, nel nome del Vangelo! 35 PAPA ARPINO (Piagnucolando) DONNA AMATA DOLCISSIMA No! No! VALENTINO Non ascoltate i profeti disarmati, che hanno logorato la vita nelle astinenze e non hanno più sangue nelle vene, o merhate che i loro incubi divengano realtà, che le nostre ambizioni falliscano, e che l'Apocalisse si avvicini! Addio. Vi ho detto tutto. (Agitandosi) No! No, figlio! Non partire! Non !asciarmi. Aaah! ... PAPA MARIO PROSPERI 36 Coda di Moglie i' "Donna amata dolcissima" è la seconda ·opera teatrale di Giovanni Arpino,., (la prima, "L'uomo del bluff" venne presentata nella stagione 1967-68 da Tino Buazzelli ed Evi Ma/tagliati) è composta da due parti che si integrano idealmente. Così Arpino ha sinteticamente presentato questo suo testo che ha trovato in Tino Scotti e in Milly due intero preti di eccezionale bravura: l l « "Donna amata dolcissima" è una commedia imperniata su una trama che potrebbe anche apparire surrealista. Nel primo tempo il personaggio principale è un uomo, un marito, che si ritiene un delfino, anzi l'ultimo delfino rimasto al mondo . Nel secondo tempo il personaggio principale è una moglie che •crede di discendere da un'illustre casata scimmiesca ed è orgogliosissima della sua grande coda. I due tempi sono evidentemente complementari, l'identificazione dei personaggi con animali è simbolica, sì, ma anche giocata su un piano realistico, secondo i canoni poetici di ('') Giovanni Arpino ha quarantadue anni. Ha pubblicato vari romanzi, una raccolta di poesie e tre libri per ragazzi. La sua prima commedia, "L'uomo del bluff", è stata recitata nel 1968 dalla compagnia di Tino Buazzelli e Evi Maltagliati. Arpino ha collaborato ai più importanti quotidiani e periodici taliani. Tra i suoi romanzi più noti: La suora giovane (1959); Un delitto d'onore (1961); Una nuvola d'ira (1962); L'ombra delle colline (1964, Premio Strega); Un'anima persa (1966); Il buio e iD miele (1969, Premio Moretti d'oro). È stato tradotto in quindici lingue. Nelle edizioni spagnole Seix Barrai sono usciti due suoi volumi: Una nube de ira e La sombr.a de las colinas. 39 l 'l quel "grottesco" che appare in teatro verso i primi del Novecento. L'uomo-delfino e la moglie-con-la-coda condizionano la vicenda dei personaggi di contorno, obbligandoli a reazioni ed azioni di volta in volta ridicole, amare, sorridenti e malinconiche. Il marito-delfino e la moglie-scimmia si comportano come persone qualsiasi, e la loro eccezionalità costituisce solo un modo di guardare la vita, che viene osservata non grazie a un binocolo ma bensì attraverso un microscopio. Non un teatro dell'assurdo, dunque, ma elementi favolosi inseriti nel quadro della vita e della rappresentazione quotidiana ». sospiro, una risatina, ma sempre pacifiCi, non isterici. Le mani lavorano con grande e antica abilità) . La commedia di Arpino per il momento è ancora inedita e siamo lieti di pubblicare un ampio stralcio dell'inizio della seconda parte: "Coda di moglie" (ricordiamo che il titolo della prima parte è: "Il marito-pesce"). LUI LUI (Entra, guarda lei, poi i due letti, rimane impietrito, infine posa cappello e giornale. LEI seguita il suo lavoro, si scambiano brevi occhiate senza una parola. Finalmente LUI si appoggia al tavolo) Insomma, è successo. LEI (Quasi distratta) Sì? Cosa, caro? (Accennando ai due lettini paralleli con un moto del capo) Quello. Anzi: quelli. LEI (Placida) Povero caro. LUI (Elementi d'una stanza qualsiasi, molto vecchia. Due letti gemelli, un tavolinetto, vari specchi, incorniciati e no. Cinque o sei altalene pendono dall'alto, alcune con corde infiorettate, con nastri e nappe, altre logore. Una poltrona a dondolo. Un trapezio, chiaramente non più usato da tempo. LEI, per tutto l'atto, quando si sposta, dà con noncuranza piccoli tocchi a altalene, poltrona a dondolo, trapezio, facendoli oscillare. Quando siede su una delle altalene o passa da un'•altalena all'altra, 'non accentua il movimento del corpo, che deve ondeggiare ma pochissimo, come obbedendo a un esercizio che è divene tato ormai abitudine ridotta ai minimi termini. Gli specchi rimandano le immagini di questa sua patetica giostra). LEI (sola in scen-a, lavora a maglia coi ferri. Siede sUl un'a delle altalene, canticchia, a metà del canto ha un breve squittio, un sospiro, un altro squittio, proprio come un animaletto, o scoiattolo o gatto o scimmia. Veste in manie1·a incredibilmente antiquata. Carica di monili, scialli più o meno scombinati tra loro. Ancora uno squittìo, un 40 (Remissivo ma addolorato) lo, lo so, hai ragione, però avresti potuto aspettare ancora qualche giorno. Tanta fretta per ... per... (ha un gesto sconsolato). LEI Aspettare, aspettare, sempre aspettare. Era una cosa da fiarsi, vero? Eri d'accordo, no? LUI (Ann'Uisce, guarda ancora i due lettini} Beh non parliamone più. Chi ti ha aiutata? Il portiere? LEI (Facendo eco) Il portiere, già. (Tutte e due annuiscono in silenzio) LUI E io adesso dove dormirò? Destra o sinistra? LEI Destra. LUI (Ha un moto come per dire qualcosa, poi si frena, rassegnato, cercando di dominare il nervosismo -delle mani) Benissimo. Cosa fatta, capo ha. 41 LEI Già. Però ... (pausa} Lui Dimmi dimmi. Parla. LEI Ecco: c'è qualcosa di orribilmente piacevole nel dividere un letto matrimoniale. Come se si tornasse ragazzi. LUI Ah. Così. Hai prov,ato questo? LEI Provato provato .. . M'è sembrato di provare, ecco ... Appena sembrato. Purtroppo non siamo ragazzi. LUI Già. Però, insomma, ti è successo. LEI Un pachino. Lui (Scattando ma con un fondo di dolcezza) E perché io devo stare a destra? Non dirmi che... LEI (Pacifica) La coda. LUI Beh? Che centra 1a coda, poverina. LEI (Paziente) Insomma, io dormo sul lato s1mstro, vero? E vogliamo guardarci in faccia, visto che ormai dormiremo separati? Non posso voltarti la coda, svento1artela sotto il naso. Non sarebbe gentile. LUI (Preoccupato) Perché? Non ho sempre amato la tua coda, io? LEI Ma sì, ma sì. Però meglio guardarci in faccia, se 42 Cl si sveglia di notte, o al mattino o prima di addormentarsi. Giusto? LUI (Allarga stancamente le braccia) Sarà giusto. Però lo dici come se io, per la tua coda ... LEI (Affettuosamente) Ma no, lo so benissimo che hai voluto bene alla mia coda quanto me. Però non è bello sventolartela davanti in letti separati. LUI (Contritissimo) Ma che cos'è: una punizione? Ti ho forse offesa? Io ... LEI (Dolcemente) Ma no, caro, no. Siamo vecchi. Solo questo: vecchi. Rispettiamoci, allora. Non facciamo più confusione. Non abb1amo più l'età. Lui (Scattando ma patetico) Io. Io che per la tua coda mi sono sempre comportato come ... LEI Sei stato meraviglioso. LUI Io che ... LEI Meraviglioso. Sempre. Tutti lo sanno. Quante volte le mie amiche me l'hanno detto. Sono sempre stata una moglie invidiata. Lo so e me ne vanto. Ma oggi, a]a nostra età, ci vuole decenza. LUI (Allibito) Perché? Quando mai siamo indecenti. LEI (Paziente) E non arrabbiarti. Senti, tanto vale dirtelo: anche per la coda, è finita. LUI (Allarmato) cosa? 43 LEI Sta calmo. Non ti offendere. È finita, dico. Basta. Non voglio più obbligarti a spazzolarla, frizionarla, eccetera. LUI (Stupefatto) Non vuoi più ... LEI (Si alza, piccoli tocchi ad altalene, al trapezio, alla poltrona a dondolo mentre parla e toma a sedersi) Ma sl. Ci sono istituti apposta, con specialisti. E non costano neppure troppo. Due volte ,al mese andrò in uno di questi istituti, cosiddetti di bellezza (sospiro) e a buon prezzo mi farò lavare e rimettere in ordine. Non voglio più che tu sia obbligato a queste operazioni. Non è giusto, non è normale. LUI (Annich ilito) Non è normale! LEI E non che non lo è. Caro, cerca di capirmi. Non siamo più quelli di un tempo, quando tu per amore mi inseguivi di liana in liana (accenna al trapezio, alle altalene più in alto) e io fuggivo ridendo e ti lasciavo avvicinare e fuggivo ancora. Ormai: il pudore. Questa cosa che hai a quindici anni, il pudore, e poi magari lo perdi, ma ti ritorna .addosso a una certa età. Se si è gente civile, beninteso. Niente che ti ripiombi addosso come il pudore. E io ce l'ho, questo ... pudore. Non posso più permettere che tu mi insegua per spazzolarmi, frizionarmi, lisciarmi... LUI LUI Non vuoi .. . LEI Cosa può ancora desiderare una donna come me? Una donna che ha avuto tutto, tranquillità amore protezione fedeltà tenerezz.a? Te lo voglio dire: desidero che tu conservi un ricordo perfetto. Non mi piace discutere con te mentre mi spazzoli la coda, sentirti dire che qua e là la pelliccia cambia colore, che forse è colpa delle spazzole e altre tristi gentili bugie. No. Questo no. Devi potermi ricordare come ero. Credimi: è la soluzione migliore. LUI (Pensieroso, triste) Che giornata. Prima i letti. Tu che dividi il nostro letto. Ti fai aiutare dal portiere. Adesso ormai lo sapranno in tutta la casa. E in più anche la coda. Come se io ... (scattando) Ma cosa sono diventato? Un essere inutile? LEI (Affettuosissima) Inutile tu? Oh, amor mio. LUI Inutile inutile. Privato di tutto! LEI Cerca di ragionare. È per il nostro bene, perché ognuno dei due possa conservare solo meravigliosi ricordi dell'altro, tu di me e io di te. A un certo punto, non si può più mischiare troppo le abitudini quotidiane. LUI (Sempre stupefatto, addolorato) Ma se è sempre stata una delle cose più .. . (risentito) E al1ora io mi farò la barba di nascosto! LEI (annuendo) Lo trovo comprensibile. Lo so, lo so. È stata. Ma adesso non è più. Conosco benissimo la condizione mia e della mia coda. Ci sono questi istituti, con dei professionisti, pagati! , che si occupano di simili faccende . Come per le unghie, i piedi. Insomma, non voglio. LUI 44 LEI Non girerò più in pigiama e ciabatte! LEI (come sopra) È un'idea. 45 E fin dove arriveremo? Fino a darci di nuovo del "lei"? Non capisci che razza di strada stiamo imboccando? LEI (dolce ) Ma perché te la prendi tanto~ I let~i: un~ .c?~a giusta, normale. La coda: una questtone di sens1b1hta? di femminilità costretta a difendersi per colpa degh anni. È tutto qui. Non esagerare, ,amor mio. Lui (Annuisce, si torce le mani, muove qua~che pass,o) E v~ bene, va bene. Subire, sempre subire. Stccome l ~omo e forte siccome è il padrone in casa sua, cosa puo fare? Subi;e, arrendersi, rassegnarsi! Vita natural dunante! LEI Buono, buono ... Lur (Seguitando a tormentarsi ) E invece no. Dev'esserci s~ato qualcosa. Qualcos~ che ti ha dis~ur~ata. ,Forse le ulume volte, pettinandott, spazzolandot1, t1 ,avro fatto male, tu non hai avuto il coraggio di lamentarti, però ... LEI Ma perché ti tormenti, adesso. No, caro, no. Lo so anch'io che non troverò mai più una mano come la tua. Così gentile, così tenera. Lur (Accasciato) Tutta una vita .. . e adesso: la fine. LEI Non la fine. La decenza. Lui È la stessa cosa. LEI Anche mia madre, quando ... Lui (Scattando via via che le parolè gli escono di bocca) Ah, lo sapevo! Tua madre! Quella gorilla di tua madre! Doveva pur entrarci in qualche modo! 46 LEI (Stupefatta poi subito offesa) Cosa? Come? Non ti permetto, sai? Per tua norma e regola mia madre ~ra una Babbuina purissima, mai avuto niente a che spartlre con i gorilla! E sua nonna era un'amadriade! Lur (Calmandosi ) Va bene. Mi scuso. Però le vostre abitudini di famiglia ... LEI (più calma) Tu non puoi capire. Sei venuto dalla. campagna. Oh, conosco i tuoi meriti. Ti sei fatto dal mente. Hai imparato tutto da solo come nessun altro al mondo. Però il tuo fondo di rozzezza ... Lur Rozzezza? Ah, sarebbe rozzezza La mia. Avanti. Continua. LEI (Si alza, si muove, S,ventola una mano, dà _un· tocco al trapezio, sceglie un'altra altalena dove sedersz) Oh, basta, caro, nessun litigio per navore. Lur Hai detto rozzezl'la s'i o no? Il mio fondo di campagna? Avanti. Perché smetti? Non s'interrompono i discorsi ~ metà! Anche questa è una buona educazione. Dovrestl averlo imparato da tua madre, la babbuina. LEI (Calma, con una punta di gelo) Sì? Grazie della lezione. Lui (Già svuotato) Ma sì. Basta. Cosa sto a discutere. Tutto sta crollando e io ... L EI (Do ndolandosi) Niente crolla. Non perdere il senso delle proporzioni. Lur (Umile, gentile) Ma, dico ... Ecco ... Neppure più una 47 volta, eh? Una volta sola ... Non posso perdere l'abitudine di colpo ... LEI • Vedi? Era un'abitudine, ormai. LUI (Umilmente) Non farmi dire cose sbagliate .. . Una volta, quando vorrai tu ... E poi: con tutte le spazzole che abbiamo in casa, con tutte le lezioni ... La spazzola nuova che t'ho regalata a Natale ... Ti piaceva tanto.. . Mai più? non dirmi mai più! Dimmi almeno: forse. LEI (Scuote la testa, intenerita) E va bene: forse . LUI Forse ... domani? LEI Perché domani? LUI Dicevo così, per sapere, sperare. LEI Sii buono, non insistere. Non farmi vergognate. Pensi sempre solo a te stesso. Non credi che soffra anch'io? LUI Ma allora perché! Perché! LEI (Sospirando, negando) Perché è giusto. :È la vecchiaia con in più il progresso: niente di peggio. Cerca di capire. Basta basta: gli istituti. Sono i luoghi adatti. Per loro la bellezza è eterna, non si discute, e meno bellezza c'è, più va inventata e nafforzata. Là dentro nessuna donna prova umiliazioni. LUI (Tetro) Come se in quei maledetti posti potessero avere più Tiguardi di me. LEI Buono, buono. Adesso non farmi soffrire. LUI (Riacquistando ardire) Come se là dentro potessero curarti e frizionarti meglio di me. Te ne accorgerai! Mercenari, ecco cosa sono. Nient'altro. E se ti diranno una parola gentile, se ti rivolgeranno un complimento, se fingeranno di ammirare la tua coda, sarà solo perché li paghi! LEI Buono, buono. LUI (Disperato, ma con violenza) Ecco cos'hai ottenuto: di umiliarmi, f.armi sentire un vecchio inutile, rimbambito. LEI (Dolce, stupita) Tu? Tu che potresti avere le migliori compagnie? LUI (Interdetto) Cosa? LEI Ma sl. Sempre mi sono stupita per la tua fedeltà. Onorata e felice ma anche stupita. Tu, con i tuoi modi, le · tue attenzioni mille donne più giovani e allegre avresti potuto trovarti. Lui Ma cosa dici ... LEI Ma certo. E non avrei mai potuto ribellarrni, mai... LUI Le donne non mi sono mai interessate. Lo sai benissimo. LEI ...(seguitando) ... E se oggi volessi anche levarti qualche capriccio, io capirei, chiuderei gli occhi, io ... LUI (Scandalizzato) Per carità! LEI (Dolcemente) Non essere così rigido. 49 48 ... LUI Nessun'altr.a, dopo di te. LEI Caro. LUI Nessuna come te. LEI Caro. LUI Impossibile. LEI (Dondolandosi beata) Lo so. Per via della coda. Nessun'altra donna ce l'ha. Almeno come la mia. Però, ora che s1amo invecchiati, che il meglio di noi è passato ... LUI (Aiutandola moderatamente a dondolare) Potremmo .chiudere gli occhi, fingere ... LEI Non è possibile. E gli specchi? LUI Ah già .. . Maledizione ... LUI (Funereo) La pudicizia. Che orrore. LEI Certo. Ma anche che strana novità. LUI Novità? E quale novità puoi trovare in questa maledetta pudiciz1a? LEI Segreti, immaginazione, sogni, delizie inconfessabili, 111"monie interiori ... Lui Era cosl bello quando con la spazzola di seta cinese ... GIOVANNI ARPINO LEI Vedi? Non sarebbe mai più come una volta, quando volavo di albero in albero, e tu, poverino, mi inseguivi, balzando come un leone ... LUI Leopardo. LEI Ma si capisce, che stupida: leopardo! LUI E se adesso .. . LEI No no no. Meglio la pudicizia, ormai. 50 51 Se fossi spettatore della mia commedia... Dopo la rappresentazione della sua commedia e l'uscita delle critiche, Arpino, molto spiritosamente, ha accettato l'invito del Direttore de "La Stampa" di commentare dd spettatore il suo spettacolo. L'articolo è apparso sul quotidiano torinese il 19 ottobre 1969. Arpino ci ha cortesf!<; mente autorizzati a riprodurre il suo scritto che ci sembra la migliore illustrazione sia del testo che dello spettacolo. Cerco di provare un mio particolarissimo amore per il teatro, e sono per obbedirgli {oltreché per essere aiutato a resistere due ore finalmente senza fumare) sono andato a una rappresentazione di Donna amata dolcissima, commedia dell'Arpino. È questi un autore di cui ricordo alcune pagine narrative, ma con un mio intimo affanno di memoria. Potrei persino dire di conoscerlo, seppur vagamente, anche se non partecipo a certa sua irrequietudine o vitalismo pressoché ingiustificato. Mi ha vinto l'amore per il teatro, dunque, e il desiderio di rinchiudermi in una saletta antica, godermi la finzione scenica. Perché tutto questo è il teatro per me: essere posto in una favolosa distanza dall'azione e dalla parola che si muovono laggiù, oltre il filo delle luci, e !asciarmi catturare più o meno docilmente, da qualcosa che annulli i miei fastidi quotidiani oppure me li rappresenti in forma di fiaba e non solo imprigionati dalla ipattanza teorica propria dei letter,ati. 53 Donna amata dolcissima è un "grottesco", e va bene: il teatro è di per sé un genere grottesco. Confesso che malgrado la differenza iniziale l'opera non mi è dispiaciuta, anche se in determinati momenti ho pensato che forse un altro autore, un altro regista, un'altra compagnia avrebbero potuto rappresentarla calcando su toni diversi, magari pigiando il pedale della satira per ottenere effetti più mordenti. Questa versione, invece, ha cercato di darsi un ritmo, talora giocando su allestimenti persino preziosi, talora smorzando una certa cattiveria che nell'Arpino c'è sempre e che forse lui stesso si affatica a mascherare. * Credo che l'Arpino, se proprio debbo osare una critica, non abbia spinto a fondo il tema dell'intima lacerazione dei personaggi. La sua allegoria dell'uomo-delfino e della donna-scimmia vuole roteare entro una sfera garbata e rinuncia (non so se di proposito o inconsapevolmente) all'aggressione vera e propria. Quindi graffia, ma non accoltella, non affonda il bisturi. Fa sorridere, ma non sghignazzare, come in teatro ormai sarebbe indispensabile, dati i tempi. L'Arpino ha sempre mostrato debolezza e predilezione per l'opera conclusa, per la "storia" raccontata o sceneggiata che si esaurisce in sé stessa. Lui medesimo ha più volte dichiarato di ritenersi un artigiano, certo volendo sottintendere le qualità e le cure e l'amore per gli strumenti che l'artigiano mette nel suo lavoro. Una modestia di cui si dovrebbe diffidare, se è lecito, perché un artista a volte perdona e dimentica il suo critico, mentre l'artigiano, com'è noto, non sempre è ben disposto verso clienti, committenti, curiosi di passaggio. L'artista ha due guance, e sa offrirle all'offesa, l'artigiano ha una guancia sola. Prima di azzardarmi in altre supposizioni critiche, ho voluto dare un salutino al regista dello spettacolo, il Crivelli, intellettuale di buona lega e noto, nell'ambiente 54 del teatro, non solo per le sue doti ma per una qualità pressoché unica: non dice mai bugie. Al termine della rappresentazione mi sono cosi arrampicato dietro il palcoscenico, in quei labirinti di trucioli, tappeti arrotolati, sedie, legni, scalette, sgabuzzini da cui nascono, per chi ama il teatro, emozioni di nuova specie. Ho visto il Crivelli, ho potuto dare un'occhiata anche all'autore (in quel momento stava parlando con un macchinista e un pompiere), sono stato presentato alla deliziosa Milly e a Tino Scotti. Erano un pochino nervosi, si autoflagellavano senza pietà, o per una battuta mal riuscita o per un effetto di luce non perfettissimo. A un certo momento trasvolò su tutti Danilo Donati, lo sceneggiatore del Fellini Satyricon e responsabile anche lui della messinscena di questa commedia: mi parve arrabbiatissimo per il sincronismo ancora un po' difettoso di certi ami, cerchi, altalene che appaiono, scendendo e salendo, nella Donna amata. Dietro le quinte, esiste davvero un mondo a sé, dove sarte, elettricisti, attori si muovono, recitano, bevono, litigano, gargarizzano, si inseguono in un odore di polvere, tra deodoranti, colliri, lacche fissanti, parrucche, mollette, martelli, residui di spettacoli defunti, un lembo di prato finto, una fettina di balaustra, un quadretto sfondato, una poltrona sgangheratissima, resa antropomorfica come in un quadro di Savinio. Scrivendo l'ordine del giorno per l'indomani, Filippo Crivelli mi disse: «Credevo che la gente ridesse di più. Invece se ne sta raccolta, sorride, trattiene i risolini e si libera solo alla fine ». Tino Scotti ascoltava ingrugnato, rispose poi qualcosa sul difficile pubblico torinese, che ha palato fino, che forse eccede persino in attenzione ed è timido nell'espansione collettiva dei propri umori, siano positivi o contrari. E se c'è uomo che s'intende di pubblici è proprio lo Scotti, che si abituò per anni a dominare teatri riottosi. Per esempio a Bologna, dove la marea pomeridiana degli studenti, molto tempo fa, alla prima entrata del comico di turno in marsina era solita alzare un vulcanico rombo 55 di pernacchi. Il comico incapace a distrarre, e quindi tenere in pugno detta marea, era subito finito per il "giro". Ho visto l'autore crogiolarsi in questi aneddoti sollecitare Scotti a raccontarne altri, invitare Milly a' provare nuovi squittii scimmieschi. L'ho sentito dire al Crivelli: « Nessuno sa più ridere delle cose tragiche». Senza saperlo, in questo riparava dietro l'antica, sublime proposizione di Petrolini « Che tragedia da ridere - questo nostro patire; - si nasce per vivere, - si vive per morire ». Ora, la pretesa .arpiniana di far ridere la gente su cose tragiche è ardua, è rischiosa. Non vorrei deluderlo o dargli torto, ma sarà costretto a lavorare leoninamente per estrarre dal suo sacco teatrale (ammesso che ne abbia uno) i personaggi e i simboli e le allegorie adatti a rappresentare il "tragico quotidiano" e voltarlo in maschera più o meno ridicola. * Non mi sento autorizzato a riferire altro: il gergo che suona dietro le quinte d'un teatro, benché si occupi di cose serie, è violentissimo, di una brutalità infinita, intraducibile in buona lingua, e coinvolge tutti, addetti e visitatori casuali, vecchi e giovani, buoni e cattivi. Debbo onestamente riconoscere che l'Arpino consolava con supremo dominio dei nervi (sicuramente affettato) la feroce autocritica che l'intera compagnia versava nel piatto. Gente come Milly e Scotti, esperti degli abissi di ogni stor~a teatrale, allenati al varietà come a Brecht, a Goldom come a Shakespeare, non smette mai di verificarsi, di esaminarsi in mille specchi contrari. Non fu la voce dell'autore a rassicurarli, però, ma quella di un custode, regolarmente fiorito di torelli d'ottone al bavero della giacchetta: « Capisco mica tutta questa agitazione. Nessuno è scappato dopo il primo tempo. Hanno applaudito sei, sette volte. Le facce all'uscita erano soddisfatte. Non avete mai visto questo teatro prima, cari voi». 56 E spense le luci, cacciando nomi prest1g1osi e nomi oscuri alla non facile ricerca di un ristorantino ancora aperto, dove ingoiare un boccone e discutere sempre. Li ho :visti partire, subito contenti e dimentichi, come succede m quel mondo matto. Milly e Scotti e il loro autore canterellavano sottobraccio Cincillà, mordi rosicchia divora, e il regista Crivelli li seguiva con sguardo lieto, un pacco di giornali sottobraccio, il passo tranquillo di un capitano che sa in ordine e funzionante la nave. Non ho idea di dove siano finiti a quest'ora. Davanti a un piatto di acciughe in salsa verde, una pera cotta, un gelato, secondo i gusti, parleranno e parleranno ancora, è certo. Oppure pretenderanno confidenze e ricordi americani da Milly, ricordi da Scotti, che sa come partendo con dodici ballerine di fila per un "giro" in Sicilia, fino a vent'anni fa si ritornava avendone salvate solo più tre: tutte le altre rapite direttamente dalla passerella, a furor di popolo e di baroni. * In una cosa sola dò atto all'Arpino di questa commedia: al suo non voler più scrivere di teatro se non su misura, direttamente per quel determinato genere di interpreti. Se anche qui non prevarrà in lui la solita sn:ania perfezionistica artigianale (e stavolta da sarto), m1 pare che possa trovar scampo proprio seguendo questo classico itinerario: che conduce al teatro anche se condanna a essere poi sepolti fuori le mura. In caso contrario, e cioè scrivendo -nel vuoto come succede agli uomini cosiddetti di lettere e disposti solo ad obbedire agli artifici dell'invenzione a tavolino, il suo desiderio di "grottesco" rischia di esaurirsi in brevi, magari aggraziate, ma flebili operine. Concedo a lui e a me una pausa d'attesa e cioè di cred~to. Pu~ché il nostro sappia non lasciars{ travolgere dagh eccess1 dello sport; o addirittura, arrendendosi a 57 certi lati maligni, accidiosi, melanconici della sua natura, non decida consapevolmente di occultarsi per sempre in questo sport; che tra l'altro di un suo grattesco non manca. GIOVANNI ARPINO La locandina Donna amata dolcissima è stata rappresentata per la prima volta a Torino la sera di domenica 12 ottobre al Teatro Gobetti di via Rossini 8 con la seguente distribuzione: Giovanni Arpino DONNA AMATA DOLCISSIMA IL MARITO PESCE Lui Lei Uomo nero Capitano dell'esercito della salvezza Tino Scotti Milly Enrico Carabelli Edoardo Boriali CODA DI MOGLIE Lei Lui Vecchio uomo delle penne Giovane uomo delle penne Immagine di Lei giovinetta Immagine di Lui giovinetto Milly Tino Scotti Checca Rissone Enrico Carabelli Loredana Miletto Giampiero Miletto Costruzioni realizzate nel Laboratorio del Teatro Stabile di Torino diretto da Salvatore Fortuna. Scenografia: Paola Bassani. Luci: Vincenzo Cafiero. Costumi realizzati dalla Sartoria Farani di Roma. Costruzioni metalliche: Sergio Perrero, Torino. Direttore di scena: Franco Grossi. Capo macchinista: Romano Daeder. Capo elettricista: Riccardo Venturati. Rammentatrice: Giorgina Troffarelli. Sarta: Emilia Guarise. Segretario: Carlo Anedda. 59 58 Filippo Crivelli, regista dello spettacolo, ha così presentato al pubblico il proprio lavoro e quello dei suoi collaboratori: Giovanni Arpino definisce Donna amata dolcissima "grottesco in due tempi": "io amerei definirlo trasfigurazione poetica di una storia banale in duè tempi". Sarebbe un sottotitolo troppo lungo forse, ma chiarirebbe immediatamente il tipo di spettacolo che ho tentato di fare. Storia banale dunque: perché il vivere insieme di una coppia matura alla soglia del definitivo tramonto, è una storia piatta, normale, qualunque, cioè banale: i gesti consueti, le grigie giornate che si seguono l'una all'altra, le parole modeste che vengono dette formano il quadro preciso di una "vita in due". Ma in questo quadro volutamente in sotto tono, lievita una trasposizione di clima, di atmosfera, di linguaggio, e di storia: che succede allora? che i "signori" che abbiamo davanti, sul palcoscenico, che sentiamo parlare e che vediamo agire come noi, non sono uomini, sono animali. Ma sono veramente animali? Lui è davvero un delfino? O forse è soltanto un uomo, normalissimo, con tutte le debolezze degli uomini che si ritengono superiori, anzi "superuomini"? E lei è veramente una purissima figlia di babbuina? o è soltanto una donnetta piena di sè, astuta, egoista, che si rifiuta di accettare (fingendo di accettarlo serenamente) il rapido appassire della sua bellezza al tramonto? 60 Ho cercato con l'apporto di Milly e Tino Scotti (due attori che tengono in sé le esperienze eccezionali e irripetibili del teatro di "varietà") e con l'aiuto di Danilo Donati (il creatore delle scene e dei costumi del "FelliniSatyricon") di segnalare tutte le possibili interpretazioni che il testo di Arpino offre e invitare cosl il pubblico alle suggestioni di uno spettacolo insolito: da un gesto del tutto normale o da una intonazione più o meno esasperata, che visti in chiave deformante potrebbero anche apparire come indicativo di una precisa condizione di vita, sino agli "incantesimi" in cui si svolge la vicenda (ambienti che suggeriscono allo spettatore l'alienazione delle case di oggi, o il mistero delle tenebre sottomarine, o la luminosità floreale di una giungla fantasiosa) per arrivare infine ai costumi che nella loro spiritosa semplicità possono tramutarsi inpercettibilmente da normali abiti a curiose fogge animalesche. Opera "aperta" allora il testo di Giovanni Arpino? Lo affermo senza incertezze. Ed appunto in questo senso ho impostato lo spettacolo: perché tutte le intenzioni, tutti i profumi, tutti gli umori di cui il testo è permeato potessero uscire liberamente, ma sempre per v!a indiretta. Perché agli interrogativi che lo spettatore si porrà, ciascuno possa rispondere con un "forse" con un "chissà", con un "ma" .. . E soprattutto perché ciascuno sorrida di questa storia di tutti i giorni: cioè si diverta. 61 GIOCHI DI FANCIULLI T Giochi di fanciulli Riproduciamo nella impaginazione originale alcune pagine del testo di Pressburger che ci pare ricco di interessi e di possibili sviluppi drammaturgici. Non meno interessante, a nostro avviso, la stessa presentazione che lo stesso Pressburger fa del suo testo. Kinderspiele cioè Giochi di bambini è il titolo di un famoso quadro di Breugel il Vecchio, raffigurante una grande piazza sormontata da due sinistri palazzi e invasa da bambini intenti a giocare vari giochi collettivi e individuali. Nel quadro non si scorgono figure di adulti, quindi l'universo dell'infanzia vi appare in sé concluso, senza origine o fine, come se l'uomo si fosse fermato, fissato a quell'età. Varie interpretazioni si sono avute in passato a proposito del contenuto dell'opera; com'è sempre ,accaduto a studiosi della pittura, esse non andavano al di là di ingenue considerazioni di tipo tecnico o banalmente idealistico o di inverosimile spiritualismo. Dopo le ricerche di Freud e degli antropologi moderni, qualche po' di luce si è avuto riguardo l'universo dell'infanzia, fino a giungere a consider.arlo un'età a sé, un'umanità separata, non più un semplice stadio della filogenesi ricapitolata dall'ontogenesi, secondo l'idea ottocentesca di Haeckel. 65 Quanto al significato del gioco, cioè di realtà .arbitrariamente stabilita, e per tutta la durata di esso sovrapposta a quella precedentemente data, appare immediata la sua estensione a qualsiasi organizzazione civile, non solo, ma anche al regno animale fino ai livelli più bassi delta scala zoologica. Considerata la società come realtà arbitraria (una rivoluzione per esempio ne può determinare la fine) vediamo come il teatro, al pari di qualsiasi altr.a espressione artistica, sia un'ulteriore sovrapposizione. Ne vediamo l'origine e la natura non sempre liberatorie, anzi, spesso repressive, i suoi aspetti rituali, ma rituali nel senso patologico, prodotti di nevrosi e depressione come la nostra civiltà stessa. Con uno spettacolo che, per facilitarsi il compito, prenda le mosse da Breugel cioè da un esempio preesistente per rappresentare se stesso nel regno del gioco, scoprendo le proprie radici, la propria arbitrarietà e nello stesso tempo l'arbitrarietà della civiltà in cui viene prodotto, si intende portare un po' di luce a proposito dell'assenza di questo nostro teatro di questa nostra civiltà. Gli ottanta giochi raffigurati nel quadro di Breugel saranno un telaio su cui costruiremo uno spettacolo di concezione spaziale molto diversa da quella del qoodro, ma mirante a suscitare, con il susseguirsi e infine con la apocalittica convivenza dei vari giochi, lo stesso senso di intollerabilità che si ha guardando l'opera breugelli,ana. Le manie, la depressione, la violenza regolata, le imitazioni, i riti dovranno essere rappresentati in modo da darci ,l'idea di essere catturati dall'universo dell'infanzia. A questo scopo gli attori porteranno la maschera. Una triplice sovrapposizione quindi: gli adulti che rappresentano i bambini che rappresentano gli adulti. Come elemento di insegnamento penso che la preparazione di questo tipo di spettacolo sarà molto utile: per fare intravedere ai futuri professionisti l'assurdità della loro futura professione cosl come ora essa viene concepita, cioè sotto il segno della repressione. o d o ~o ~ zo ~ ~ u ~ o ~ :I: u o ~ 0 a ~ o Cl '<;'o ·~ ~ o·-.-:: Cl 66 ~ ~Q.;; ·<..> ~ 'U $... 'U 'U ~ ..... ..... <..> 'U ·~ Cl Cl ~ ;::, Cl ..... 'U .....:j GIORGIO PRESSBURGER ·~ ~~ ·~ ~ ..... Cl ~ 67 \0 .o-- AcCiottolio · di sassi. Nomi magici delle varie posizioni delle dita e dei sassi tra esse compresi. È 1'introduzione nel profondo. Le bambine sono assorte. Strofe della vincitrice: « Ciocca cacata Nun cacarino Sina ca veni Lu nonnu da fora 'mprestami un pani Quantu vaju fotta ». 2 voci di bambine Grida di dolore di una partoriente, nappresentata da una bambina. 5 bambine 1 bambino (A fare le comari) Il battesimo , -...J o -...J ...... Un corteo nuziale. Canti. Per caso, per gioco probabilistico è nata un'altra coppia . A fare la sposa (l O bambine l bambino) Bendata, con un pezzo di legno tocca il volto dei suoi compagni che fanno versi strani intorno a ·lei, con voci cambiate. L'inizio della conoscenza. Un mondo popolato di mostri. Il buio. I bambini continuano. Sberlefli. La bendata intima agli altri di fermarsi. Ne esamina uno. Non lo riconosce. Continua il girotondo. « Fermi! Tu! Chi sei? ». Bambino: (con voce cambiata): «Uno». Prima in secondo piano, poi vicinissima la bambina. 2 bambini 3 bam~bin·e A Mosca cieca (Ntuppadieddu) Un neonato rappresentato da un'altra, frigna. È la nascita. Senza drammi. Viene la madre che prende il neonato e lo porta al fonte battesimale. Canti. Poi c'è il prete, il compare, la comare e il ritorno dal battesimo. Prediche. Complimenti. Dolci. È nato un altro povero. Nel distacco della rappresentazione: l'assuefazione, a veder nascere e morire, la distorta immagine delle istituzioni e il mistero dell'evento. Commiati. Silenzio. , \;l -...l N ··.,.!_ 3 secondi Pianto del neonato 3 secondi Il battesimo Signor Signor Signor Signor Signor Signor 3 secondi Il matrimonio A scarica barile o canale l o bambino (passi di corsa, salta, gemito del bambino sul cui groppone 3 secondi I soldati Re: va bene prendete la vostra piastrella. il soldato saluta. (Altri saluti del caporale, ecc. , prima che segua il nuovo lancio di piastreJle). caporalé, il soldato saluta. tenente, il soldato saluta. colonnello, il soldato saluta. generale, il soldato saluta. generalissimo, il soldato saluta. re, 8 bambini. Ai soldati (Salerno) Commenti delle comari. Lo sposo proclama i suoi diritti. La sposa dice solo sl. Chiesa. Un prete (lo stesso di prima) dichiara uniti in matrimonio. Complimenti. Si mangiano pezzetti di pane. Il caso. l -....,J VI -....,J ..j>,. il soldato saluta. Signor generale, tra ta ta ta ta ta ta ta tàm. Signor caporale, il soldato saluta. 7" Nove Andiam a la guera (Urla) (Dieci berretto per terra} GIORGIO PR.ESSBURGER Tratatatatatatatàm Aiuto! Sono morto! Tratatatatatatatàm. 5 bambini Mitragliatrice ta ta ta ta ta tàm. incrociatore. Sette La serva v,a dal prete (risa bestiali). Otto La serva rompe il goto. Sei, è saltato}. Uno, la luna. 2" bambino (c. s.) Due il bue. 3" bambino (c. s.) Tre il re. 4" bambino (c. s.) Quattro il cioccolat!to. 5" bambino Cinque il calcio in culo (gemiti, grida) 6" bambino , DOCUMENTI CARATTERISTICHE E FUNZIONI DI UN TEATRO PUBBLICO Il Teatro Stabile di Torino per la Città e per la Regione Linee programmatiche generali I criteri generali che stanno alla base della formulazione del nostro repertorio nell'ambito dell'attività per la stagione 1969-70 e, in senso più ampio, per il biennio 1969-71, fanno capo ad alcuni intendimenti specifici : l) Assunzione e specificazione della funzione sociale e re/azionale del Teatro Pubblico, mediante un allargamento progressivo dell'area di la- voro (città, cintura, provincia, regione) e mediante un'articolazione democratica dei rapporti di lavoro nell'esplicazione di questa funzione S!>ciale e culturale. Per qtJanto riguarda l'allargamento dell'area di lavoro (oltre ad intensificare l'attività regionale e cittadina già abbondantemente espansa negli ultimi anni, costituendo essa ora una caratteristica del T .S .T. ben individuabile in campo nazionale, del resto sottolineata da parecchi teatranti) la novità sostanziale è l'avvio, già felicemente iniziato, su quattro punti della città (allargabili probabilmente a sei), di una politica di de• centramento, da condurre con modi e finalità di animazione nuova, in quanto viene fornita una larga autonomia e una continuità stagionale ad ogni singolo punto toccato, in funzione di un pubblico "inedito" al teatro e ai teatranti (per questo argomento rimandiamo specificamente alla documentazione sulle prime esperienze- di lavoro). Per quanto riguarda la democratizzazione dei rapporti di lavoro, oltre ali~ possibilità di continuare a dare aiuto concreto a vari gruppi di attori nel momento in cui vari sono i registi ospitati e varie le tendenze rappresentate (la direzione collegiale permettendo naturalmente per la sua composizione questa estensione differenziata di scelte) l'altra novità sostanziale, è la costituzione di una Compagnia/Gruppo, costituita da un nucleo di attori appartenenti nel loro complesso alla generazione dei trenta-trentacinque e fornita di un'autonomia artistica oltre che di una continuità di lavoro, in modo che le loro energie possano esplicarsi senza alcuna imposizione sia di guida registica che di scelta dei testi stessi. L'attività di questa Compagnia/Gruppo peraltro viene seguita in modo cos tante organizzativamente e culturalmente dalla sezione drammaturgica del Teatro, ed essa viene indirizzandosi secondo le linee e i fini che la direzione del Teatro si propone di seguire e di esplicare nell'insieme della sua attività . (Anche sulla Compagnia/Gruppo rimandiamo alla d<>o cumÌ'mtazione sulle sue finalità generali e sulle prime esperienze di lavoro). 79 2) Caratterizzazione del repertorio e qualificazione delle sedi, nel senso che l'uno viene fuori non soltanto dal g~nere dei testi prescelti e de\ modo di rappresentarli ma anche del luogo dove gli spettacoli verranno rappresentati. La direzione si propone infatti (purtroppo trovandosi nell'imposs.ibilità concreta, data la situazione del Carignano, per il momento di avere una grande sede continuativa da abbinare alla s·e de già esistente deì Gobetti, in modo da incanalare il pubblico in specifiche s ale che non siano appunto soltanto il Gobetti), eli condurre ed incanalare il pubblico, abbonati e contemporaneamente spettatori occasionali, nei luoghi giusti, sia come conformazione architettonica, sia come clispe>sizione nella città, sia infine come qua!Ìtà eli spettacoli (l 'Alfieri, il Carignano, il Gobetti avendo già un loro pubblice>-base, il nuovo Teatro eli Corso Moncalieri, il Teatro degli Infernotti, dovendolo addirittura ricevere ancora) in modo che la "differenziazione" del pubblico costituisca una salvaguardia ed una precisazione della stessa forma eli repertorio. Ogni spettacolo, in tal caso, non viene strumentalizzato paternalisticamente, ma correttamente costruito con una sua destinazione specifica d'uso, sin dalla progettazione, per un determinato pubblico (nell'ambito naturalmente eli una classificazione elastica di questo pubblico). Così gli spettacoli della stagione verranno elaborati in tutti i loro passaggi (dai registi agli scenografi, dagli attori ai tecnici, ecc.) all'insegna di una relazionalità che fa perno in particolare sugli interpreti, e indirettamente sulla loro affinità con i registi, per gli specifici testi, in una direzione tendenzialmente "comunicativa". t:. da dire subito che questa nozione eli "relazionalità" non vuole essere l'espressione eli una impronta riduttiva o di una intrusione didascalica, quanto una indicazione, all'interno dell'operazione teatrale, aperta e sensibile non sol~ tanto nei confronti dell'esercizio di fare teatro, ma anche del modo eli vivere eli oggi (sui cui due risvolti non può non agire qualsiasi iniziativa teatrale che si proietta a lungo termine). La qualificazione delle sale 'econdo spettacoli differenziati pertanto è un primo concreto modo di ovviare all'attrito esistente tra il pubblico e lo spettacolo, e parallelamente la caratterizzazione del repertorio all'insegna della "comunicatività" è un altro modo concreto eli instaurare un rapporto non immobile tra spettatore-attore. "Italiani d'autore" e Compagnia/Gruppo al Gobetti, Teatro dialettale e per ragazzi in Corso Moncalieri, Teatro classico contemporaneo al Carignano e all'Alfieri, Teatro sperimentale agli Infernotti, Decentramento nei punti-pilota: sono le prime indicazioni eli questa ricerca di "relazionalità" strumentale nell'insieme dell'attività del Teatro Stabile, da estendere via via anche alle città della provincia e della regione che attualmente hanno un'attività teatrale continua tiva senza una specifica differenziazione o con qualche esempio marginale. 3) L'articolazione del repertorio pertanto per la prossima stàgione, nell'ambito di tale tracciato artistice>-organizzativo, prosegue e appre>fondisce alcuni temi già proposti l 'anno scorso: difesa dell'autore italiano d'oggi e della tradizione; analisi dei motivi teatrali conduttori · delle contraddizioni della borghesia; tendenza a riscontrare le forme nuove della vita teatrale; questi temi acquistano quest'anno una consistenza specifica, sulla traccia dell'esperienza e secondo le direttive sopra esposte: a) anzitutto offerta di autori italiani viventi, dall'Arpino eli Donna amata dolcissima al Prosperi eli Savonarola (cui è da aggiungersi I mafiosi eli Sciascia-Rizzotto nella produzione del Teatro Stabile eli Catania) sulla strada eli un modo italiano di fare teatro non soltanto socialmente 80 e moralmente impegnato (I mafiosi e Savonarola) ma anche eli divertimento e di satira (Donna amata dolcissima) fuori eli ogni schema malamente riduttivo del "reale". La presenza nell'Arpino e nel Prosperi di attori come Mil!y, Giovampietro, Battistella, Scotti, Rissone, e le stesse regie di Crivelli e Giovampietro, con le scene rispettivamente di Donati e di Falleni, costituiscono una , garanzia di realizzazione ed una continuità di interpretazione, proprio sulla linea sopra ricordata di comunicazione ''espressiva'·'; b) presa di posizione nei confronti della tradizione italiana, che da un lato, come per il Bruto II di Alfieri, già felicemente sperimentato l'anno scorso, sia il frutto di una ricerca "giovane" e non "paludata" per una scoperta dei classici non pedantesca ma realistica, e che dall'altro lato, per il Travet di Bersezio, rappresenti .la rivalutazione oggettiva di un capolavoro ottocentesco, trascurato ingiustamente dal repertorio del teatro di oggi, contando su un attore come Macario di autentica comunicazione, con la garanzia di un regista come Giacomo Colli e eli uno scenografo come Eugenio Guglielminetti. Questo spettacolo permetterà la celebrazione del 15()o anniversario della nascita del "creatore" del Teatro Piemontese, Giovanni Toselli e il 7()o anniversario della morte di Bersezio (il più prestigioso rappresentante del Teatro dialettale che il Piemonte ha avuto nell'Ottocento); c) a~profonclimento del tema della dialettica borghese, all'insegna del classico contemporaneo, con disponibilità eli temi e eli proposte, attorno a cui l'anno scorso ci si era variamente impegnati. Al nome di Ibsen viene sostituito quest'anno quello di Strindberg come origine della "osmosi" dei rapporti della società e della scena ano' sfociare del teatro m':'derno. Il sogno eli Strindberg è stato affidato ad un giovane regista, M1chael Meschke, con una équipe svedese (scenografo e musicista avvale~dosi anche dell'interpretazione eli Ingrid Thulin), nell'intento d; allestire uno spettacolo singolare, il più vicino possibile cioè alla tradizione interpretativa strindberghiana, nell'ambito eli un rinnovamento di codesta tradizione in Europa ed in Italia soprattutto, dove l'opera di Strindberg è stata più ambita letterariamente che resa scenicamente. Altresì all'Amica delle mogli eli Pirandello subentra il Liolà sempre eli Pirandello n_ella splendida ~d e~atta in~erpretazione che ne dà Turi Ferro, su produZIOne dello Stabile eli Catama, a testimonianza della validità non soltanto eli un testo quanto di una vitalità teatrale che nasce ali 'insegna, ancora una volta, come per la Compagnia dei Giovani, di un "affiatamento" eli artisti, lungo un filone problematico esemplare e classico ormai qual è quello pirandelliano, e però sempre fonte di sorprese e di scoperte. Il nome eli Stanislaw Witkiewicz, con La gallinella acquatica, viene proposto per la prima volta in Italia. Siamo eli fronte ad un'opera e ad un autore estremamente significativi della rivoluzione teatrale-letteraria degli anni '30, anticipando la rivoluzione di linguaggio dell'avanguardia francese degli anni '50; l'opera eli Witkiewicz rappresenta anche una testime>nianza di costume, eli comportamento dell'epoca, costituendo un valido strumento eli indagine teatrale e culturale su uno dei momenti più difficili ed esaltanti della dialettica borghese. In un contesto eli contempe>. raneità agile e viva, profonda e sottile, aperta e non dogmatica, Operetta di Gombrowitz si affianca, all'opera eli Witkiewica, di cui richiama la tematica teatrale, la linea intellettuale e morale. (t:. interessante che Operetta venga rappresentata da un gruppo di attori dello Stabile dell'Aquila per più versi vicino alla Compagnia/Gruppo del Teatro Stabile eli Torino). 81 n Nekrassov di Sartre, nell'edizione del Teatro Stabile di Trieste, si allinea come ulteriore esempio di tematica borghese, secondo la passione di parte e il rigore indiscusso çli un uomo e di un pen~at~n~ come Sartre. La Compagnia/Gruppo, infine, presentando Eh? dt. LtVI?gs_. non trascura quella forma di teatro di divertimento, sinora evttata •.ngmst~ente ed a cui da più parti ci si sta riferendo, anche da parte di auton ~ell,a generazione di oggi ; io tale linea, l'offerta della Dame de C~ez M?Xzm ~ di Feydeau della Compagnia dei Quattro, vuole porre sotto glt occhi ?egli spettatori un classico del genere. Sotto diversi angoli di interpretazione, e per più interessi, l 'uno e l'altro spettacolo muovono attorn~ ad ~ modo specifico di far teatro tecnicamente ineccepibile, per moltt aspetti da far risorgere, su nuove formule di spettacolo. 4) La politica di abbonamenti adottata dallo St~bile .fa perno sulle co?siderazioni anzidette, e tiene conto della carattenzzanone del r.epertono e della qualificazione delle sale. Essa, di conseguenza, per. l~ _Prm:t_a volta nella storia del Teatro Stabile di Torino, prevede la possibilità di scelta da parte degli spettatori tra i testi in cartellone. . . . L'attività del Teatro Stabile di Torino, per quanto nguarda il Teatro di Sperimentazione, il Corso di Formazione dell'Attore, i rapp~rti con l.e scuole, il teatro di frontiera, i rapporti culturali, la collaboraziOne con t! Teatro Piemontese sarà articolata in questo modo: Teatro di ·s perimentazione Il Teatro Sperimentale va collocato specificamente come centro di ricerca all 'ioterno del Corso di Formazione dell'Attore, usufruendo della esperienza e della qualità degli iosegnanti e degli ospiti, e interessando, attraverso il Corso di Formazione, i punti-pilota dell'attivtà del d~ce? tramento. Quest'anno il Corso è stato portato a biennale con un cnterto di scelta più allargato e con un metodo <;li lavoro più .agevole allo .scopo di farvi partecipare il maggior numero di persone e di poter seleziOnare gli idonei nel primo Corso, fermo restando il prl_n~ip~o del la':oro di gru~ po e di laboratorio per quanto riguarda le. condizto?' gener~t e lo s~olgt mento dei Corsi. In altre parole il Corso dt Formaztone dell Att~re SI pro; pone come Laboratorio del Teatro ~tabil7, si~ come .preparazione deglt specifici spettacoli, sia come forza antmatnce dt gruppi ~a formare, .attra: verso esperienze complementari di vari modi di far teatro e dt van modi di comunicazione al tempo stesso. In questo settore il Teatro Stabile di ;rorin~ p;od~rr~ Gioc~i ~i fan: ciulli, montaggio-elaborazione di un tracctato di. gt~h~ di fancmlh .tratti dalla tradizione popolare contemporanea, con gli alhevt del Corso di Formazione dell'Attore e con quegli elementi del decentramen.to eh~ sar~no disponibili e recepibili via via, mediante la presenza ammatnce di un giovane, Giorgio Pressburger, che già si è addestrato assai ono~evo!met;tte alla RAI-TV e io teatro distinguendosi soprattutto per capacttà tecmca e per qualità animatrice. Inoltre, il ·Laboratorio del Teatro ~tabile, sempre con lo stesso criterio della formazione di nuove espe:'enze, e con modalità ancora da stabilire, patrocinerà e assisterà e segutrà la stesura di uno spettacolo sperimentale, Il Bar~ne di ~unch~use"!, ~dandolo ~d uno dei più preparati animatori spenmentah, Marto Rtcct, che ha gtà avuto consensi ioternazionali, da Berlino a Monaco a Nancy a Stoccolma; Ja sua progettazione sarà concordata con lo stesso Ricci e con. i respons~ bili del decentramento. Lo spettacolo esordirà al Teatro deglt Infernotti, alla pari di Giochi di fanciulli, e si estenderà nei punti-pilota del decentramento come fatto particolare di sperimentazione. l Il giwane cinema italiano Tra le iniziative che il Laboratorio ha predisposto, segnaliamo io particolare: l) un ciclo di proiezioni di "film d'autore", scelti fra quelli del giovane cinema italiano, in accordo con l'A.I.A.C.E ., per una serie di Lunedì cinematografici, con interventi degli autori, dibattiti, discussioni, come interessamento degli abbonati, in particolare giovani, a forme di espressione sempre più complementari al di là delle tecniche, rispetto a "prodotti" o ad "azioni" io movimento. I film sono da scegliersi tra questi: Fondato: I protagonisti; Baldi: Luciano, una vita bruciata; Muzii : Come l'amore; Agosti: Il giardino delle delizie; Taviani-Orsini: I sovversivi; Samperi: Cuore di mamma; Ferreri: Dillinger è morto; Bertolucci: Partner; Bene: Nostra Signora dei Turchi; Ponzi: I visionari; Faenza: Escalation; Olmi: Un certo giorno; Cavani: Galileo; Bruno: La sua giornata di gloria. 2) Un ciclo di serate, dedicate alla giovane arte italiana, organizzate a guisa di conferenze-dibattiti-proiezioni-audizioni, imperniate sulle arti figurative , la letteratura, la poesia, l'architettura, ecc. e sulle modalità di lavoro artistico d'oggi. Saranno chiamati a collaborare gli specialisti più significativi. Una conferenza-dibattito finale sarà dedicata alla giovane arte torinese. Il prezzo indicativo delle manifestazioni cinematografiche è di Lire 300, ritenendosi che questo tipo di organizzazione vada sorretta non da un gratuito accesso, ma da una forma di pagamento, che sia testimonianza di interesse e di impegno morale. Organizzazione dello spazio teatrale In un campo più strettamente tecnico è previsto un dibattito-corso sull'organizzazione dello spazio teatrale, a cura dell'architetto Egisto Volterrani e con la collaborazione del dottor Bartolucci, riservato ai partecipanti del Corso di Formazione, agli attori della Compagnia/Gruppo, agli studenti di Architettura, agli studenti dell'Accademia di Belle Arti, nonché ai giovani artisti della città, interessati al problema. Il Corso di !Formazione dell'Attore Il Corso di Formazione dell'Attore è stato portato ad una durata biennale, nell'intento di approfondire l'esperienza già piuttosto utile e indicativa del primo Corso (alcuni degli allievi hanno già partecipato a spettacoli dello Stabile, con il Benito Cereno, FuturjRealtà e Bruto II, ed altri si apprestano ad entrare nel Savonarola, nell'AZione, nel Sogno, nella Cavalleria, con un'utilizzazione più sistematica e pertinente), sia come scelta · sia come forma di lavoro, la scelta venendo dilatata sull'età, sulla stessa preparazione, e le forme di lavoro, per il primo anno, venendo adeguate a questo nuovo ordinamento. Resta fermo peraltro il concetto di lavoro di gruppo, che si è rilevato iosostituibile per permettere a tutti ·i proseliti di rafforzarsi e di migliorarsi a vicenda, e resta altrettanto fermo il tipo di lavoro e seminario che l'anno scorso è stato assai fruttifero come coagulazione dei vari elementi di iosegnamento e come scatto di esercitazione nel senso di qualità interpretativa. Il Corso, dunque, avrà durata biennale, e comporterà: l'iosegnamento di materie specialistiche (dizione, recitazione, canto, danza, movimento, storia del teatro, animazione teatrale, ecc.); conferenze e seminari su tecniche e problemi teatrali particolari, esercitazioni e lavori di gruppo, la cui organizzazione sarà affidata per la maggior parte agli allievi. Gli allievi fruiranno anche di assistenza psicopedagogica. Le domande di ammissione, redatte sull'apposita cartolina, dovranno pervenire entro il 10 83 82 ottobre 1969 alla Direzione del Teatro Stabile, Corso di Formazione delt'Attore, via Bogino 8, Torino. Il primo anno del Corso di Formazione del!' Attore sarà articolato in due cicli, il primo dei quali avrà carattere propedeutico. Rapporti con la Scuola Da molti anni il Comitato Teatro-Scuola agisce a Torino sotto la presidenza del Provveditore agli Studi assicurando un regolare funzionamento nei rapporti tra lo Stabile e la Scuola torinese. Si tratta pertanto di un settore di attività che ha sempre dato buoni risultati e che potrà in avvenire ulteriormente essere perfezionato interessando in modo sempre più diretto, il mondo degli insegnanti da un lato e quello degli studenti dall'altro. Il fatto fondamentale della prossima stagione, per quanto riguarda i rapporti Teatro-Scuola sarà costituito dall'allestimento di uno spettacolo per gli allievi delle elementari e medie inferiori, dal titolo La città degli animali, spettacolo realizzato su un canovaccio elaborato dagli allievi di una classe-pilota e che sarà realizzato in collaborazione con gli scolari stessi. Nel corso della stagione saranno, come al solito, utilizzati per rappresentazioni scolastiche, d'accordo con il Comitato Teatro-Scuola, quei testi del normale cartellone che si prestano allo scopo. :t! prevista anche la ripresa dello spettacolo Bruto II di Vittorio Alfieri, appositamente allestito per le scuole medie superiori nel corso della stagione 1968·69. Teatro di Frontiera : R'a pporti con l'Estero Il Teatro Stabile di Torino riafferma tra le sue caratteristiche fondamentali quella di essere, non esclusivamente ma anche, un teatro di frontiera. In tale spirito già lo scorso anno sono stati presi numerosi contatti con i teatri e gli ambienti teatrali dei centri più prossimi delle regioni francesi e svizzere. Si ricordano, a questo proposito, come risultati di tali contatti, alcuni spettacoli presentati nel programma dei Lunedì del Teatro Stabile (in particolare l'eccellente edizione del Fantoccio Lusitano di Weiss presentato dal Teatro del! 'Atelier di Ginevra); la partecipazione dello Stabile di Torino ai lavori del Centro Italo-Francese di Pratica Drammaturgica, che ha realizzato la primavera scorsa a Lione uno stage dedicato all'opera del Ruzante ed infine la tavola rotonda italo-franco-svizzera del 17 maggio scorso dedicata ai rapporti tra Scuola e Teatro nei tre Paesi interessati. Nel prossimo anno lo Stabile intende approfondire ed intensificare le iniziative connesse alla sua caratteristica di teatro di frontiera. Sulla linea del lavoro sin qui svolto, segnaliamo in particolare che sta per cominciare, in accordo con l'Assessorato ai Problemi della Gioventù del Comune, un primo stage torinese indetto dal Centro ltalo-Francese di Pratica Drammaturgica, dedicato al tema: L'attore in Mejerhol'd e Majakowskij . Ai lavori di tale stage, oltre ai rappresentanti dello Stabile di Torino e all'animatore del Centro ltalo-Francese di Pratica Drammaturgica, M. José Guinot, partecipano come relatori eminenti personalità italiane, francesi e svizzere tra cui, per l 'Italia, ricordiamo in particolare il professar Angelo Maria Ripellino dell'Università di Roma, il professar Giorgio Kraiski dell'Università di Catania, il professar Vittorio Strada, il professar Fausto Malcovati dell'Università di Milano, oltre a critici ed attori; l l, 84 per la Francia il professar Antoine Vitez, del Conservatorio Nazionale d'Arte Drammatica di Parigi, il professar Jean-Marie Villegier del Centro Studi Teatrali della Facoltà di Nancy, il professar François Regnault dell 'Università di Vincennes, Madame Rude, storica del teatro russo ; per la Svizzera Mademoiselle Beatrice Perregaux, professoressa all'Università di Ginevra, oltre a critici, registi ed attori francesi e svizzeri. Hanno assicurato il loro patrocinio l'Ambasciata di Francia a Roma, il Centro ltalo-Francese di Torino, l'Istituto Italiano di Grenoble e numerosi teatri tra i quali il Théatre du Huitième di Lione. All'iniziativa collaborano inoltre il Museo Nazionale del Cinema di Torino, la Cinematheque Française e la Cineteca Nazionale di Roma. Un appoggio particolare è stato fornito dall'Ambasciata russa a Roma per il reperimento dei film russi degli anni '20. Scambi Internazionali Sempre in collaborazione con il Centro ltalo-Francese di Pratica Drammaturgica, in primavera dovrebbe svolgersi ancora a Torino, un convegno-rassegna sul tema: "Il giovane Brecht" con partecipazione di compagnie italiane, francesi, svizzere e tedesche. Per quanto concerne scambi di spettacoli sono concluse o a buon punto le trattative con numerosi teatri . Possono essere considerati definitivamente assicurati gli scambi con il Teatro Nazionale di Strasburgo che porterà a Torino Horace di Corneille e Mille francs de recompense di V. Hugo, con il Teatro dell'Atelier di Ginevra e con il Teatro Popolare della Svizzera Romanda. Gli scambi di spettacoli di cui parliamo ed in particolare le "puntate" del Teatro Stabile in alcune città estere, rivestono una particolare importanza in un settore che va molto al di là dell'ambito teatrale puro e semplice. Si tratta infatti di fare qualcosa in quel settore che normalmente va sotto la definizione un po' retorica di "opera d'italianità all'estero". Nel caso specifico non si tratta tanto di un'azione pubblicitaria a livello culturale nei confronti degli strameri, quanto piuttosto, come ci è stato fatto ripetutamente e chiaramente osservare dai dirigenti dei teatri svizzeri, della necessità di assicurare un sostegno morale con una qualificata presenza italiana ai nostri emigrati. Questi ultimi assisteranno o non assisteranno agli spettacoli, ma si sentiranno comunque tonificati nell'ambito della società che li ospita, in conseguenza del prestigio acquistato in tale società da una presenza italiana. In particolare, ripetiamo, gli svizzeri che sentono il problema in modo acutissimo e che per parte loro hanno poi cercato, nell'ambito delle loro possibilità di affrontarlo, ci hanno invitati a prendere in esame la questione e a collaborare alla soluzione. Convegno Italo-Francese·Svizzero Per quanto riguarda l'allargamento delle iniziative, giova segnalare che è a buon punto la preparazione di un convegno italo-francese·svizzero di pubblici amministratori e rappresentanti di categorie interessate (teatri in primo luogo) per realizzare una regolare collaborazione culturale tra le zone di confine italo-franco-svizzere. Lo scopo essenziale di tale progetto consiste in primo luogo, oltre che nella promozione di sistematici contatti tra uomini di cultura, nella diffusione di notizie relative alle iniziative artistiche e culturali in genere e teatrali in specie, programmate sui due versanti delle Alpi, in modo da consentire a tutti coloro che nutrono interessi in particolari settori, di venire a conoscenza delle mani- 85 festazioni ed iniziative promosse nella Francia orientale, nell'Italia occidentale <: nella Svizzera francese. La vicinanza di tali regioni, consentendo spostamenti nell'ambito di uno o due giorni, permetterebbe di realizzare una forma di "turismo" più specializzato e, se è lecito dirlo, più intelligente. Lo scambio di informazioni dovrebbe ovviamente essere un primo passo verso un più sistematico e sostanziale rapporto. Da parte francese hanno già dato il loro incondizionato apporto all'iniziativa il Sindaco di Lione Monsieur Pradel, il Sotto-Prefetto della Prefettura del Rodano, M. F. Rude, il Console Generale d 'Italia a Lione, Marchese Faà di Bruno ed il Direttore dei Servizi di Informazione dell'O.R.T.F. sempre di Lione. Anche il Centro Culturale !taio-Francese appoggerà l'iniziativa. Per parte sua il Comune di Torino, che si considera in certo modo, tramite il Teatro Stabile, il promotore, ha già, tra l'altro, allo studio l'istituzione di borse di studio e l'organizzazione di week-ends nelle varie zone di confine allo scopo di contribuire concretamente ad un primo avvio dell 'iniziativa. - gestione del nuovo Teatro di corso Moncll:lieri con progr,a~~ articolato sull'attività dell'Associazione del Teatro P1e~ont~se, ~ull att1v1tà pe: ragazzi del Teatro Stabile di Torino e sul calendariO d1 rec1te ?el Travet '. - utilizzazione da parte del Teatro Stab~le di .T?rino ~egh spettacoh dell'Associazione del Teatro Piemontese per 11 serVIZiO nel! are~ della pr<;>vincia di Torino e per l'integrazione delle stagioni di spettacoli nelle var1e città del Piemonte. . La stagione del Teatro Piemontese si inaugurerà ~el nuo~o Teatr? 111 corso Moncalieri con la realizzazione delle opere di Gwvan Gwrg10 Ahone che verrà presentata sotto il titolo di Notti Astigiane. Attività cuturali Per quanto riguarda le attività culturali ci limiteremo a dire che lo Stabile il prossimo anno intende proseguire e, per quanto possibile, ampliare· ciò che ha ·fatto sinora. Una voce nuova è indubbiamente costituita dall'apporto culturale al-. l'iniziativa di decentramento e a questa, pertanto, rinviamo. Tra le altre iniziative ci limitiamo ad elencare: a) Secondo Corso di Aggiornamento Teatrale per Insegnanti Elementari (già approvato dal Provveditore agli Studi). b) Terzo ciclo di Lezioni di Storia del Teatro alla Galleria d'Arte Moderna. c) Settimana Universitaria e connesso Convegno di Docenti di Storia del Teatro. Collaborazione con il Teatro Piemontese L'Associazione del Teatro Piemontese, dopo la prima stagione sperimentale 1968-69 ha impostato il proprio programma di attività sul rapporto di collaborazione con il .Teatro Stabile. In pratica il programma di attività dell'Associazione continuerà ad appoggiarsi sulle strutture del Teatro Stabile, sia per quanto riguarda la gestione tecnica ed economica, sia per quanto riguarda la formazione ~elle compagnie e le tournées degli spettacoli. · Inoltre la sezione del teatro dialettale del Teatro Stabile lavorerà in stretta connessione con l'Associazione del Teatro Piemontese, particolarmente sui seguenti punti: - realizzazione dello spettacolo Le miserie 'd Monssù Travet di Bersezio sotto il patrocinio dell'Associazione del Teatro Piemontese, nei modi e con i dettagli che saranno deliberati dai rispettivi comitati; - realizzazione della tournée a Bruxelles e a Liegi; - inserimento nella tessera di abbonamento del Teatro Stabile di Torino di un tesserino di concessione di sconto del SrJ'/o per gli spettacoli dell'Associazione· del Teatro Piemontese;· 86 87 Repertorio della stagione 1969-1970 TEATRO CLASSICO CONTEMPORANEO August Strindberg IL SOGNO con Ingrid Thulin Regia di Michael Meschke Scene e costumi di Lennart Méierk Produzione del Teatro Stabile di Torino Stanislaw l. Witkiewicz LA GALLINELLA ACQUATICA a cura della Compagnia/Gruppo del Teatro Stabile di Torino (Cucari-D'Oflìzi-EspositoSammataro-Sonni-Sudano) Jean Paul Sartre NEKRASSOV con Giulio Bosetti Produzione del Teatro Stabile di Trieste Witold Gombrowitz OPERETTA con Gigi Proietti Regia di Antonio Calenda Produzione del Teatro Stabile dell'Aquila Henry Livings EH? a cura della l Compagnia/Gruppo del ' Teatro Stabile di Torino (Cucari-D'Oflìzi-EspositoSammataro-Sonni-Sudano) Scenografia di Enzo Sciavolino 89 Georges Feydeau LA DAME DE CHEZ MAXIM'S con Valeria Moriconi - Tino Carraro Adriana Innocenti-Renzo Montagnani presentato dalla "Compagnia dei Quattro" Regìa. di Franco Enriquez Scene e costumi di Emanuele Luzzati Musiche di Giancarlo Chiaramello Leonardo Sciascia TEATRO-SCUOLA LA CITTA DEGLI ANIMALI a cura di Gualtiero Rizzi Ideato, scritto e disegnato da bambini delle scuole elementari di Torino Produzione del Teatro Stabile di Torino TEATRO DELLA TRADIZIONE ITAUANA Vittorio Bersezio LE MISERIE 'D /M.ONSSU' TRAVET . con Erminio Macario - Eleana Ghione Regìa di Giacomo Colli Scene di Eugenio Guglielrninetti Costumi di Felicita Gabetti Produzione del Teatro Stabile di Torino Vittorio Alfieri BRUTO Il Regìa di Gualtiero Rizzi Scene e costumi di Giulio Paolini Con la Compagnia/Gruppo del Teatro Stabile di Torino Luigi Pirandello LIOLA con Turi Ferro e Ave Ninchi Regìa di Turi Ferro Produzione del Teatro Stabile di Catania TEATRO ITALIANO D'AUTORE Giovanni Arpino DONNA AMATA DOLCISSIMA con Milly - Tino Scotti e Checco Rissone Regìa di Filippo Crivelli Scene e costumi di Danilo Donati Musiche di Fiorenzo Carpi Produzione del Teatro Stabile di Torino Mario Prosperi I MAFIOSI (da Rizzotto) con Turi Ferro Regia di Fulvio Tolusso Produzione del Teatro Stabile di Catania TEATRO SPERIMENTALE GIOCHI DI FANCIULLI a cura di Giorgìo Pressburger con gli allievi del Corso di Formazione dell'Attore Produzione del Teatro Stabile di Torino PER LA STAGIONE 1970-71 SONO PREVISTI: Puntila e il suo servo Matti Rosso di San Secondo Lazzarina tra i coltelli Bertolt Brecht Fiori rossi al Martinetto Valda Fusi-Davide Lajolo II Teatro Piemontese aprirà la stagìcr ne in collaborazione con il Teatro Stabile di Torino presentando: NOTTI ASTIGIANE a cura di Gualtiero Rizzi dall' "Opera piacevole" di G. G. Allione con Gipo Farassino SAVONAROLA con Renzo Giovampietro e Antonio Battistella Regìa di Renzo Giovampietro Scene e costumi di Silvano Falleni Musiche di Roberto Goitre Produzione del Teatro Stabile di Torino 90 91 La formazione della Compagnia/ Gruppo a) Finalità e Strumentalità Si è parlato l'anno scorso della formazione di gruppi autonomi, in convegni e in riunioni di critici, di registi, di autori, di attori soprattutto, come di una delle risorse non a livello ufficiale per un diverso teatro italiano; e difatti nelr'ultima stagione abbiamo avuto già alcuni esempi di questi gruppi autonomi, operanti in varie ragioni a livello comunitario o sociale, con esiti più o meno fortunati, più o meno felici , ma certamente costituenti un'esperienza da valutare non soltanto dal punto di vista estetico ma anche da quello sociologico, per lo spirito comunitario stesso dei partecipanti e per il pubblico dichiaratamente popolare cui ci si rivolgeva e per la confezione stessa degli spettacoli esplicitamente non di consumo intellettuale né di puro divertimento. La Compagnia/Gruppo del Teatro Stabile di Torino nasce non tanto dall'esperienza di questi gruppi comunitari e sociali, in quanto la sua attività è inserita organicamente nell'attività dello Stabile stesso e quindi operante secondo le direttive culturali e organizzative dell'Ente pubblico, quanto invece dalla prospettiva di una sempre più viva e aperta democratizzazione dello Stabile stesso nei confronti degli attori e dei tecnici, e dalla esigenza di una valorizzazione del lavoro stesso degli attori e dei tecnici come collettività professionale e come nucleo operativo in grado di offrire spettacoli autonomamente e liberamente al di fuori o dell'imposizione direzionale o dall'imposizione registica di scelte del repertorio e di conformazione del prodotto. Se è vero infatti che oggi si intende il i lavoro teatrale sempre più come un'operazione di gruppo e soprattutto come un organismo vivente, bisogna anzitutto che coloro che vi partecipano e vi collaborano siano il più possibile affini per educazione e per spirito, per volontà e per animazione; e pertanto gli attori ed i tecnici che si sono costituiti promotori della Compagnia/ Gruppo hanno esperimentato questa loro affinità nel corso dell 'attività della stagione scorsa all'interno del Teatro Stabile, per cui il loro predisporsi oggi ad un 'attività di gruppo è già caratterizzato e favorito dal lavorare e dallo stare assieme da quasi un anno, avendo per di più il vantaggio di una preparazione psicologica e ambientale che senz'altro è stata aiutata dalla condizione stessa di lavoro all'interno dell'organismo pubblico nella sua conduzione collegiale direttiva. La Compagnia/ Gruppo del resto nasce dopo una lunga serie di colloqui e di incontri con la direzione del Teatro Stabile, ed altresl dopo un'altret- 93 tanto lunga serie di ricerche di lavoro e eli programma; la sua maturazione è dunque avvenuta lentamente e per successivi approcci, su una duplice linea direttiva : quella di una concordanza ideale e pratica con quanto il Teatro Stabile eli ·Torino intende perseguire quale sua politica, dal decentramento alla sperimentazione, dal! 'attività popolare a quella eli prestigio, con una finalità eli pubblico "differenziato" da raggiungere "clifferenziatamente" e però con un'unità di fondo di rafforzamento e eli rinseguimento del pubblico di oggi e di quello eli domani; quello poi di una caratterizzazione immediata del lavoro di gruppo, nell'ambito eli una generazione, di trentenni prevalentemente, che non rifiuta il mandato critico del regista per semplice opposizione ad una mente direttiva dello spettacolo, bensi lo rifiuta per non trovarsi continuamente eli fronte ad una sovrapposizione mentale nel corso sia della preparazione che della cond uzione dello spettacolo, considerandolo un impaccio tanto più grave quanto più imposto provvisoriamente ad una tantum; e che nello stesso tempo si addestra nella lettura di testi e nella discussione di personaggi contando anzitutto sulle proprie forze e sulle proprie qualità, oltre che su quanto ciascuno ha fatto e su quel che ha immagazzinato, nell'ambito di un tracciato culturale-scenico-animatore che porti alla formazione di una serie eli spettacoli adeguati al luogo e alla destinazione, che tengano cioè conto della conformazione sociologica della destinazione loro per cui la forma stessa dello spettacolo ne sia condizionata. Una Compagnia/Gruppo infatti che nasca autonoma e libera nell'ambito di un organismo pubblico, non può "estetizzare" il suo lavoro, nemmeno può farselo "strumentalizzare", sotto pena eli vedersi "formalizzare" tutto quanto verrà facendo o di vederselo "portar via" in quel che di genuino e nuovo esso rappresenta. In altri termini il lavoro della Compagnia/ Gruppo rimane e vuole essere disponibile per una politica culturale teatrale che anzitutto non comporti soltanto la produzione eli spettacoli ma anche la promozione eli attività animatrice, e che in secondo luogo sia eli confronti e eli stimolo nei riguardi dei gruppi similari sorti o in via di creazione, in particolare appartenenti alla stessa generazione, e che infine si regoli artisticamente su una direzione "contemporanea" a ventaglio, in modo da saggiare vari aspetti e momenti di lavoro drammatur!;ico e scenico, per una "apertura" consapevole e aperta . La Compagnia/Gruppo in un primo momento si era orientata dal punto eli vista del repertorio sulla drammaturgia italiana, scegliendo autori come Aretino-Gozzi-Verga-Rosso di San Secondo, che costituissero un nucleo eli azione a livello di testi e eli interpretazione tesa a clisvelare una "tradizione" non valutata a sufficienza ed a stabilire al tempo stesso un modulo eli recitazione rinnovabile all'interno eli uno sviluppo drammaturgico "ripreso" per vari motivi, non soltanto estetici ma anche sociologici. Questo lavoro per altro avrebbe comportato una preparazione drammaturgica e una selezione scenica a lungo respiro, ed avrebbe comunque impegnato il gruppo in una direzione troppo univoca, perché potesse essere affrontato nel corso eli questa stagione, e corredato da una sperirnentazione necessaria al buon esito sia di critica che eli pubblico dell'operazione. La ricerca della Compagnia/Gruppo allora, fermo restando il Verga eli Cavalleria rusticana e I'Augellin Belverde del Gozzi, il primo come testo eli approccio, in particolare in vista della politica eli decentramento, il secondo come testo eli fine stagione, quale compendio dell'esperienza di un anno, in vista eli una rappresentazione estiva, si è concentrata su alcuni aspetti della drammaturgia contemporanea, inediti o non considerati sinora, fermando la sua scelta su Un'ora di amore eli Topo! testimonianza sentimentale ed ironica, piuttosto elegante e precisa, della crisi cecoslovacca dei nostri giorni su Eh? di Livings, quale testo eli apprendistato di gruppo, trattandosi eli un lavoro estremamente comunicativo e oggettivamente brillante, e La Gallinella acquatica eli Witkiewicz quale testo eli laboratorio di gruppo, trattandosi eli un lavoro estremamente aperto e inventivo sulla linea di un 'avanguardia storica da ripescare e da rinsaldare. A questi due testi si dovrebbe aggiungere un terzo, eli italiano, ancora da definire, sia come offerta eli un testo già scritto sia come materiale drammaturgico da comporre. . Qui si vuole sottolineare che lo studio dei testi avviene collettivamente, ed altresi avviene collettivamente la scelta delle persone incaricate dell'ambientazione, come altrettanto collettivamente avviene l'inserzione di altri attori nel gruppo come partecipazione, in modo che l'operazione scenica proceda sin dall'inizio per correlazione eli giudizi e per accumulazione eli elementi; ed il tutto viene confrontato poi con la Direzione del Teatro, alla quale l'operazione stessa rimane costantemente collegata, dal momento del suo presentarsi e del suo svilupparsi coerentemente ed organicamente, tanto più che ad ogni opera viene di comune accordo affiancato uno specialista del settore drammaturgico, che segue l'impostazione del lavoro e la correda del necessario apporto culturale e dei necessari elementi informativi. Naturalmente una Compagnia/Gruppo nel momento del suo nascere conta soprattutto sulle qualità originarie eli ciascuno degli attori, l'affinità dovendo essere sperimentata in concreto in spettacolo, anzi eli prova in prova. Quindi non è legittimo anticipare alcune prospettive o alcun esito per questo lavoro della Compagnia/Gruppo salvo confrontare per il momento la validità di questo o quell'attore, per quel che sinora ha fatto, ed in particolare nel! 'ultima stagione e per quel che si impegna sui moduli or ora descritti a produrre organicamente d'ora in poi. I dati per il momento più indicativi comunque che possono trarsi dalla costituzione di Compagnia/ Gruppo, ed è bene ripeterlo, sono tali: dal punto di vista sociologico cioè , è quello della comparsa eli una generazione eli attori che rivendicano un loro spazio sia eli vita che eli lavoro, e la cui esigenza eli autonomia di ricerca e eli comportamento è dettata da una considerazione generale sulle non sufficientemente chiare condizioni del ricambio di generazione che riguarda registi e scenografi e tecnici e collaboratori drammaturgici a direzioni di organismi pubblici tutti quanti nei confronti del modo globale di fare teatro e di vivere nel teatro ; dal punto di vista "anim atore-organizzativo" sono quelli di una crisi del rapporto del teatro stesso nel suo insieme con la vita e con la società, per cui si comincia a pensare eli uscire dai teatri per un pubblico nuovo, ed al tempo stesso già dentro i teatri si vuole affermare una maggiore schiettezza eli rapporti tra attori e spettatori, ed ·il confronto peraltro con lo spettatore si fa sempre più difficile e scontroso, tutte le volte che si va troppo indietro o si va troppo avanti rispetto alle sue abitudini e alla sua educazione, e non si è trovato ancora il punto eli sutura, cioè eli raccordo comunicativo, o per intellettualismo o per pedagogismo o per estetismo eli proposte . Dal punto eli vista infine strettamente artistico sono quelli di un rivolgimento operativo abbastanza diffuso e oramai in via eli espansione come metodo di lavoro, che è quello di agire congiuntamente nella preparazione dello spettacolo e cioè per graduazione concentrica di apporti allo scopo di evitare un intervento critico preordinato e in ambientazione scenografica prestabilita, e in ciò pensando quindi non tanto all'eliminazione eli figure come il regista e lo scenografo, quanto all'assimilazione del loro contributo e del loro procedimento in un'esperienza la più possibile collettiva tenendo presente l'apporto costante di un drammaturgo, quale 95 94 coordinatore regolatore culturale e informatore dello svolgimento dell'esperienza, e tenendo presente l'accentuazione che la "presenza fisica" d_ell'attore ha sempre più nello spazio rappresentativo, anche per una nlassatezza registica e scenografica, imputabili ad un eccesso o di perfezione o di abitudine complementarmente, e portando quindi ad un ricambio di energie la cui collocazione ed esplicitazione non può non essere regolata dagli attori quali strumenti corporei e quindi responsabili primi delle comunicazioni con il pubblico e del modo stesso di questo comunicare, al di là dell' "ambientazione" e della "regolazione" per mandato, cioè per sovrapposizione, ed in un certo senso "all'esperienza". Questa esperienza della Compagnia/Gruppo pertanto diventa estrema- ~ mente interessante nel momento in cui si fa partecipe non soltanto del proprio lavoro, come rendimento e come mestiere ma anche si rende effettivamente conto e collabora nell 'orientamento e nell'esigenza di rinnova- 1 mento che il Teatro Stabile di Torino intende perseguire a più livelli nel corso del biennio 1969-71, alla realizzazione di una politica culturale animatrice "aperta" e "disponibile" democraticamente. t! chiaro che l'esperienza un po' generale di muoversi per "gruppi" non corrisponde soltanto a criteri di salvaguardia e di gelosia di rendimento e di mestiere, ma an- ~ che è determinato da una nascita e da uno sviluppo di criteri sociali e morali di comportamento e di relazionalità che tendono a uscire dal rendimento e dal mestiere per collegarsi, attraverso Io spettatore e gli spettacoli, alla vita, alla società, collettivamente. Una Compagnia/Gruppo non può non sentire l'asprezza e la contraddizione del vivere oggi che è poi l'asprezza e la contraddizione del vivere in teatro, e non può non regolarsi socialmente e come animatore intervenire, contro quest'asprezza e contro queste contraddizioni. l b) Note per un lavoro teatrale di gruppo Perché ha deciso di lavorare in "gruppo" scegliendo il Teatro Stabile, cioè un organismo pubblico, per tale sua e!sigenza? (D 'OFFIZI) - Io divido la domanda per mia comodità in due parti: (CUCARI) - L'esigenza di un lavoro collettivo teatrale, nasce da una duplice constatazione rafforzatasi nel corso delle differenti esperienze vissute fino ad oggi. Da una parte , I 'evidente ed inevitabile logoramento della ' tormula registica - valida e necessaria d 'altro canto negli immediati anni del dopoguerra, nel periodo della ricostruzione materiale e morale del quasi scomparso teatro italiano. Formula cioè, accentratrice, esclusiva e parziale, condizionatrice e condizionante, tutta basata su di una oggettività univoca, sovente priva di aperture verso tutti coloro - dagli attori ai tecnici - che formano l'unità della realizzazione teatrale. Ambiente ideale di lavoro per quegli attori (forse la maggioranza) troppo legati a formule e formulette interpretative, a concetti statici di "bravura", ad assurde ed anacronistiche visioni del proprio modesto ed artigianale mestiere. Di conseguenza, terreno favorevolissimo alle esibizioni personalistiche, agli sbandieramenti pseudo-culturali, alle dittature semplicistiche e incongruenti basate unicamente sull'accettazione supina dei più che sull 'effettiva supremazia intellettuale del dittatore. La seconda constatazione, pone in evidenza la necessità che prova oggi un attore appena appena cosciente di tal nome, di non sentirsi più adoperato come "mezzo", "tramite", o "strumento" ma di partecipare responsabilmente allo scopo ultimo della sua professione, di sentirsi inserito con più ampia e consapevole autorità nella creazione del fatto teatrale, di scrollarsi una buona volta di dosso la polvevre coibente dello ''scritturato". l 96 Oggi come oggi, se il Teatro - e quindi coloro i quali in ultima istanza ne giustificano ancora l'esistenza - ha bisogno di inserirsi organicamente e fruttuosamente nel contesto sociale e storico dei nostri giorni, tale imperiosa necessità deve provare anche e soprattutto l'attore. Il risultato finale, lo spettacolo (tanto per usare una tenninologia di comodo), non può più essere il risultato della visione - spesso delirante del singolo, ma l'armonica composizione delle esperienze delle critiche, delle necessità e (perché no?) degli errori di tutti coloro che collettivamente, ad esso spettacolo danno vita. Essere nel Teatro, quindi e non esservi sospinto. Prendere coscienza della propria presenza, della propria utilità, della propria eticità, dare un preciso significato al proprio artigianato, partecipare consapevolmente alla realizzazione drammatica, ad essa dare tutto l'apporto del proprio essere, senza inibizioni, senza remore, senza legami od ostacoli imposti, significa svolgere un lavoro di gruppo, significa realizzare coscientemente la propria vita. "Conoscere" cioè la propria "parte" e non farsela suggerire. Scegliere un Teatro Stabile, e cioè un organismo pubblico, per un tal tipo di chiarificazione, significa unicamente riconoscere ad esso Teatro l'importanza e la necessità della sua natura e della sua esistenza. Il rapporto è reciproco: un teatro stabile deve partecipare, ha il dovere di partecipare, più di ogni altro organismo teatrale, alla storia, alla vita- culturale, intellettiva, sociale - della sua zona di attività. Creare in un teatro stabile le condizioni per un lavoro collettivo d'attore, significa applicarle automaticamente nella zona teatrale di maggior interesse, oggi, nel contesto teatrale italiano. Quella cioè che ha da sola riconosciuto la necessità, l'esigenza di un'apertura teatrale; quella cioè in cui più proficuamente l'attore di oggi potrà riconoscere, ritrovare la validità del proprio mestiere non più co_ndizionato da pressioni esterne e non più legato a formule personalisttche. Il rapporto diretto "gruppo di lavoro" - Teatro .Stabile non può se non far compiere ai due elementi dell'insieme un ulteriore passo avanti per giustificare la propria ragion d'essere. a) perché ho deciso di lavorare in un gruppo; b) perché in un gruppo inserito in un Teatro stabile. a) La mia attività da sempre è stata legata ad un'attività di gruppo. Per una mia precisa scelta etica-ideologica-estetica. Io credo che oggi l'attore, anzi per precisare il teatrante specializzato come attore, ha maggiori possibilità di spazio in un discorso di gruppo. Esso, l'attore, non può più essere uno strumento passivo e in attesa di ricevere, ma deve inserirsi in un discorso creativo di carattere culturale-ideologico-estetico. Ed in questi ultimi dieci anni di storia teatrale mi pare che ci siano gli elementi sufficienti per poter dire che i gruppi hanno svolto il compito di creare una figura nuova dell'attore che tiene conto appunto delle possibilità creativo-fantastiche-culturali che possono esprimersi soltanto in condizioni di libertà e democraticità che sono appunto i moduli di lavoro e della vita di un gruppo. b) perché in un gruppo inserito in . un Teatro stabile . . più difficile rispondere a questa parte della domanda. Devo rifanni per questo alla mia esperienza passata. Sette-otto anni fa era il momento, a mio parere, di disinserirsi da un discorso programmato dall'egemonica formazione teatrale esistente. Era un atto coraggioso anteporre al discorso teatrale di allora un discorso che a questo si opponeva sia in senso formale, sia in senso organizzativo. È 97 Significava e ha significato poi creare le basi per una possibile evoluzione del linguaggio teatrale. (Fu certamente un errore non continuare su quella strada che per quanto mi riguarda ha avuto il suo culmine nella attività di Prima Porta che portò il nostro gruppo ad un preciso e coerente studio sfociato nelle soluzioni teatrali date al Beckett). Oggi però alla luce dei fatti teatrali italiani ritengo che ci sia da parte degli attuali gruppi una precisa corsa al potere che si rivela attraverso il velleitarismo e la non autenticità (e quando dico "non autenticità" parlo di non necessarietà ideologica) che crea confusione e dispersione di forze. Pertanto in una tale situazione ritengo l'inserimento del gruppo qui al Teatro Stabile di Torino per motivi che possono elencarsi in: l) garanzia di una forte organizzazione la quale, oggi, se non vuole essere al di fuori del tempo e della storia non può non tenere conto della formazione delle nuove leve teatrali che si sono create in questi ultimi dieci anni; nuove leve che hanno determinato la necessità di sviluppare un discorso teatrale nuovo sia nel linguaggio che nella forma. ... 2) necessità di scoprire intorno a me persone-attori che seguendo forse strade diverse dalla mia sentono però le mie stesse esigenze di carattere libera torio. Importanza perciò di un incontro sia sul piano umano che teatrale ed ideologico con persone che partendo da esperienze diverse tendono però al mio stesso fine . Quello cioè di una verifica, e di scoprirei insieme per dare, forse un'altra spinta allo sviluppo del linguaggio teatrale. (ESPOSITO) - La mia è stata una partecipazione di interesse e, forse, .d i sola curiosità. Mi pare però giusto e logico che oggi gli attori tentino di qualificarsi professionalmente in senso più vasto e preciso, e credo che possano tentare i primi passi verso un più civile e consapevole impegno. Tale necessità mi sembra sia stata sentita anche dallo Stabile di Torino, se non sbaglio il primo in Italia a tentare un'esperienza di questo genere. . E solo uno Stabile può garantire ad una iniziativa di questo genere l'appoggio morale e materiale necessario. Personalmente, abituato da sempre a lavorare con la direzione - spesso assolutistica - di un regista, sono estremamente curioso di vedere se riesco a camminare con le mie sole gambe . O, per meglio dire, a mettere a profitto di un collettivo di lavoro, questa mia aspirazione. (SAMMATARO)- L'epoca dei girovaghi in carrozzone è finita da molto tempo. E da molto tempo, altresì, è finito l'attore inteso come "esorcista", ''animale'' ''figlio di satana!'', ''saltimbanco'', ecc. Insieme all'evolversi, nel tempo, della società e delle sue componenti, anche l'attore, in quanto uomo e quindi facente parte della comunità, ha cercato di sviluppare la sua situazione sociale e intellettuale e di progredire entro l'ambiente che gli dà modo di espletare il suo lavoro: quello della cultura. Senza togliere niente alle "qualità base" che fanno l'attore e cioè istinto, comunicativa e intelligenza, un'esigenza indispensabile è venuta alla ribalta: l'organizzazione. Per potersi concentrare in un lavoro che diventa sempre più difficile qual è quello della messa in scena di spettacoli, bisogna che intorno vi sia \m altro lavoro altrettanto difficile che crei le condizioni ideali per il funzionamento del Teatro. Oggi come oggi, è un organismo come il Teatro Stabile che "può" offrire queste garanzie. (SONNI) - La decisione di lavorare nel "gruppo" nell'ambito di un Teatro Stabile, non è stata motivata da una scelta: scegliere, infatti p re- 98 suppone che vi siano alternative che nel teatro italiano in questo momento non esistono. Non vi è infatti ente o impresario che abbia il coraggio di appoggiare la nostra iniziativa: perché affrontare l'ignoto di fronte al pubblico quando è molto più semplice e facile sottoporgli il solito modo di far teatro? Lo Stabile di Torino, invece, fatto unico, credo, nella storia del teatro, positivo e incoraggiante, pur rappresentando un organismo pubblico si è assunto l'onere di appoggiare questo tipo di esperienza. Qui vorrei soltanto accennare cosa significhi per me questo lavoro di gruppo (dico solo accennare, perché non amo troppo, personalmente, le teoricizzazioni e reputo più onesto che siano alla fine i fatti stessi a parlare). Per me quest'esperienza può essere vissuta sotto diversi aspetti tutti contemporanei e legati l'un l'altro: la ricerca di un tipo di linguaggio comune veramente teatrale, di un autentico e diretto rapporto col pubblico, e soprattutto un legame di lavoro non fittizio ma profondamente onesto e teso alla realizzazione di qualcosa in cui noi crediamo: il Teatro. (SUDANO) - Per quanto mi riguarda, la necessità di lavorare in ::~P?O" ri~ale alla mi~ necessità di attore. Mi sembra quindi inutile gmstificare un modo Idi fare teatro che io insieme a pochi altri in Italia ho contribui to a ''creare''. Per quanto riguarda la decisione di agire nell'ambito di un Teatro Stabi~e ritengo che proprio in un organismo pubblico, posto che quest'ultuno offra spazio e sia sensibile al problema, sia possibile dare ad un '·'gruppo" quell'entroterra organizzativo ed economico che mancando quasi sempre nei cosiddetti gruppi "off" è la causa principale della loro asfissia e della loro dispersione. Altro vantaggio dell'azione in un organismo pubblico è quello di porre il lavoro fatto (prodotto) o quello in fase di elaborazione (esperimento) a contatto con un pubblico abbastanza vasto e "reale", buono o cattivo che sia, cosa che di solito non avviene a chi agisce sporadicamente e in circuiti che si chiudono in se stessi • Qual è il suo punto di vista sul rinnovamento dell'attore nell'ambito della situazione italiana con particolare riguardo alla generazione che supera ora i trent'anni? (CUCARI) - Il concetto di rinnovamento dell'attore - e nella fattispecie dell'attore italiano, alla luce dell 'attuale situazione teatrale nel nostro paese - aprirebbe un vastissimo discorso. Cercheremo quindi di sintetizzare i pochi concetti fondamentali che informano il programmato lavoro di gruppo. a) Rinno~amento tecnico: gli attori italiani -tranne rare eccezioni che, come al solito, confermano la regola, hanno una base tecnica individuale molto precaria, se non insufficiente. Hanno brutte voci, scarse possibilità espressive, limitata e stereotipata capacità immaginativa, appro~simative cognizioni estetiche, facile e presuntuosa abilità inteepretativa. Non esistono in Italia - l'argomento è ormai vetusto - scuole professionali capaci di dare all'attore per Io meno una visione approssimata di tutto ciò che occorre per formare tecnicamente il proprio strumento di lavoro, e cioè se stesso. b) - Rinnovamento attitudinale: troppi attori italiani, anche, purtroppo, fra i trentenni, soffrono del complesso dell 'attore. Complesso di atteggiamento, di disponibilità verso la propria professione. La più sciocca ed assurda pubblicità (televisiva, cinematografica o semplicemente commerciale basta a distoglierli dai magari buoni propositi 99 -.,• iniziali. Il teatro non è luogo di facili e comodi atteggiamenti, ma un'assoluta entità psicofisica che non permette il riposo, l 'adagiarsi nella comoda placidità dell'immediato. Nel nostro paese non esistono scuole di insegnamento professionale, è vero, ma ancor meno di perfezionamento professionale. E quale attore, dal più affermato al più sprovveduto (e senza modestia ci mettiamo alla testa di tal lunga colonna), oserebbe ammettere davanti a se stesso ed agli altri, di aver bisogno di perfezionare la sua "forma" •attuale, di compiere un passo in più per uscire dalle stereotipate formule che, con adatti accorgimenti, vengono (a volte con immeritato esito) adottate in ogni circostanza? La presenza validamente effettiva dell'attore in teatro - e intendiamo deU'attore italiano, ivi compresa la generazione dei trentenni cui fa riferimento la domanda, nei quali , al pari degli altri, ci pregiamo di nutrire la massima sfiducia - è condizionata da un suo continuo aggiornamento, dalla tormentosa e costante ricerca di un at~ualiz.zato perfezionismo . Quale attore italiano (a differenza, per esemp1o, di un concertista) è capace di esercitarsi, di perfezionare i suoi mezzi al di fuori del "ruolo", della "bella parte", della interpretazione di "protagonista", o, più semplicemente, dai limitati doveri di •·•scritturato"? 1111 c) Rinnovamento etico : in una sola inconfondibile direzione. Rendere l'attore perfettamente cosciente della sua utilità. Ciò significa mettersi al totale e disinteressato servizio della collettività cui è destinato il suo lavoro, comprendere il senso e la misura del proprio mestiere, vederlo in funzione non dell'interesse individuale ma di quello, più vasto e generale, dell'ambiente che riceverà il risultato della sua fatica. Levarsi di dosso i luoghi comuni delle consuetudini , delle abitudini viziate, tirare ogni giorno le somme delle proprie responsabilità, riprensentarsi davanti al proprio giudizio come se si trattasse sempre e comunque della prima, libera scelta. Sapere, comprendere, rendersi conto di occupare un posto preciso nella società contemporanea e quindi di essere responsabile verso quella società dei propri atteggiamenti e della propria coscienza. Crearsi in ogni occasione della propria vita un nuovo punto di partenza. Sapere, in una parola, coscientemente sapere che il proprio lavoro è fatto per "altri", per coloro cui è destinato, e non mai per se stessi. Noi non crediamo che l 'attore italiano ora appartenente alla generazione dei trent'anni sia differente da quelli che la hanno preceduto o che che lo seguono. Sono, semmai, gli unici attori che attualmente si trovano in condizioni di poter titubare, tentennare, avere della profonde incertezze. E per questo stesso, si trovano ad essere, che lo vogliano o no, i più disponibili. E ancora una volta ribadiamo il concetto che solo ponendosi sullo stesso piano di comunanza delle idee, di disponibilità intesa come possibilità di rimettere costantemente tutto e tutti in discussione, solo quindi amalgamando le proprie delusioni, le proprie ambiz!oni s~a gliate o giuste, i propri disinganni, le proprie piccole o g.rand1 Vittone, solo amalgamando tutto ciò in un organico lavoro collettivo , sarà possibile compiere e portare avanti quel lavoro di rinnovamento, di ricostruzione ideologica, morale, tecnica, oggi così vivacemente sentito. (D'OFFIZI) - Mi sembra in parte di aver già riposto a questa domanda. Oggi non si può non tener conto sia in bene che in male di quello che è stato il rinnovamento dell'attore nell'ambito della situazione teatrale italiana e del contributo che questo rinnovamento ha dato alla drammaturgia italiana . La generazione dei trentenni è quella che ha determinato, sì anche la confusione avanguardistica che oggi esiste, ma ha anche dato una notevole spinta alla conoscenza e allo sviluppo di un nuovo modo di f~re il te~.tro. Nel teatro italiano, dopo la generazione degli Squarzina, degli Strehler, ecc., che sono andati sulla strada segnata dalla allora situazione politica, (parlo della generazione della resistenza, con tutte le sue positive e anche negative conseguenze) la generazione degli attori, che oggi superano i trent'anni, ha dato un notevole contributo allo sviluppo di un discorso eversivo che pur tenendo conto delle esperienze trascorse, accettandole o rifiutandole, si inserisce in modo rivoluzionario nella nuova situazione storica attuale e trova una nuova formula teatrale che tiene conto dei travagli ideologici della nuova generazione. (ESPOSITO) - Attualmente, è indubbio che l'attore cerchi un nuovo tipo di recitazione, di espressione, di comunicazione. Mi sembra, però che non possa trattarsi di un autentico rinnovamento. Semmai una fase di transizione, in cui è stato sospinto anche dalle esperienze compiute da particolari gruppi, o singoli individui che maggiormente, forse, hanno sentito la necessità di dire e di realizzare qualcosa di nuovo. Purtroppo, a mio avviso, tali tentativi restano spesso circoscritti alle persone o al singolo che li avviano, non possono ancora costituire un precedente - o un termine di paragone - valido per tutti. Quanto agli attori che appartengono alla generazione al di sotto dei trent'anni, per essi il problema di un rinnovamento non si pone. Infatti mi sembra che siano attori nuovi, sotto molti punti di vista; forse da essi ci sarà da attendersi qualcosa di realmente ed autenticamente diverso. (SAMMATARO) I trent'anni, in teatro, corrispondono ai diciotto della maturità classica a scuola. Per tutti e due i casi, solo a questo punto si comincia a vedere quale può essere lo sviluppo delle proprie possibilità. Il "rinnovamento" dell'attore, quindi, specie nell'ambito del teatro italiano, lo produrranno proprio i trentenni. g il momento ideale per dare il massimo rendimento. "Prima" c'è la stabi!izzazione con tutte le sue conseguenze. (SONNI) - Mi auguro che la generazione che supera ora i trent'anni non abbia problemi di rinnovamento in quanto nasce adesso. E inoltre penso che in ogni fatto artistico, veramente, la parola "rinnovamento" sia un nonsenso: si rinnovano le mode, i contratti (per rimanere nell'ambito del lavoro), ma gli artisti, se artisti sono, vivono, maturano e rimangono sempre nuovi. Semmai, per gli attori in particolare, può avvertirsi maggiormente la necessità d 'adeguare la loro epressione teatrale al contesto storico nel quale vivono e operano. (SUDANO) - Io credo che l'avvenire dell'attore in Italia sia tutto in questo dilemma: se l'attore la smetterà di farsi considerare e di considerarsi uno "strumento" da usare ai fini di qualunque "registello" in vena di sofisticherie e quindi prenderà coscienza che il fatto teatrale comincia e finisce in lui opererà quel salto qualitativo che lo trasformerà in "operatore culturale" vero e proprio e come tale unico "creatore" in teatro. Per fare questo naturalmente bisogna che l'attore assuma su di sé tutte quelle responsabilità "culturali" "sociopolitiche" e "umane" che finora ha pigramente delegato al regista, all'autore e infine al critico. Il lavoro dei gruppi che (senza accennare all'estero) hanno scosso un 100 101 - po' il panorama teatrale in Italia ha teso in molti casi, non riuscendovi spesso, a creare, proprio per la sua dinamica, questo nuovo attore. Il problema comunque non è generazionale ma individuale anche se è stato posto da alcuni attori che si aggirano intorno alla trentina. In che modo intendelil rapporto con il pubblico, con quello abituale di "dentro" i teatri, quello non abituale di "fuori" i teatri, quello infine dei "giovani" specificatamente nell'un caso e nell'altro? ... (CUCARI) - Non crediamo di poter attribuire cosi facilmente delle etichette al pubblico. Questo, secondo noi, è una grave equivoco che condiziona, per linee rette, certe scelte e certi risultati. Non esiste un pubblico cosi differenziato. Quello che può oggi essere considerato "fuori", domani potrà entrare tranquillamente "dentro". E quelli che oggi sono i "giovani", non lo sono solo per discriminazione temporale. Il dentro o il fuori del pubblico, il giovane o il vecchio della sua caratterizzazione è dato solo dalla sua rispondenza e dal metodo con cui ad esso si avvicina il mondo del teatro. A nostro avviso esiste solo il pubblico che va a teatro - "dentro' ' o "fuori" - e quello che non ci va. Creare quindi un rapporto con il pubblico, senza discriminazione alcuna, è solo una questione di scelta di metodo. E. l'unica cosa da tener presente; l'unica distinzione possibile. Tutto il resto viene di conseguenza. E di conseguenza viene anche il metodo di avvicinarsi a questi pubblici. Metodi diversi, evidentemente, ma che dovrebbero avere, a nostro avviso, una comune caratteristica, che può cosi sommariamente sintetizzarsi: a) Non si può limitare il rapporto col pubblico, sia esso formato da raffinati intenditori, da abitudinari ottusi, o da sprovveduti allo stato puro, al solo e semplice prodotto finito. Un fatto teatrale - uno spettacolo, per intenderei - non può più essere solo fenomeno da esame finale, da giudizio a posteriori. Un fatto teatrale, al giorno d'oggi, deve essere in se stesso un fenomeno di animazione culturale. L'epoca dell" "Atto primoScena prima" è - fortunatamente- definitivamente tramontata. E. quasi quasi più importante (soprattutto per un Ente teatrale a gestione pubblica) considerare tutto ciò che avverrà prima e dopo l'evento teatrale. Il teatro va "aperto" nel senso più fisico della parola. Aperto alle sale tradizionalmente frequentate, ai moduli interpretativi degli attori, alle scelte dei repertori e alla loro realizzazione e, soprattutto, al rapporto, al contatto con il pubblico. Il mito del "mistero teatrale'·' è da distruggere nei suoi più minimi dettagli. Al pubblico di "dentro e fuori" va offerta innanzi tutto la possibilità di essere perfettamente partecipe dello spettacolo. Non saranno mai troppi gli incontri, le discussioni, i dibattiti, le polemiche, le prove con libero accesso. Il pubblico deve rendersi conto che l'attore non va considerato come una specie di essere isolato ed estraneo, ma che ciò che egli sarà in grado di presentargli, sarà dedicato unicamente a lui pubblico. Se tale pubblico avrà minimamente concorso alla creazione di tale prodotto, se cioè la sua partecipazione non sarà solo quella del supino spettatore, ma di attivo coefficiente della creazione drammatica, ecco che le sue responsabilità verranno sensibilizzate, la sua presenza non sarà solo quella dell'impaziente ed a volte maltrattato giudice (incline quindi ad una giustificata vendetta) ma di entità coscientemente partecipe. Per concludere, non vediamo altro modulo di rapporto con il pubblico, se non quello improntato alla massima sincerità, di applicazione di detto modulo. Altra separazione di un elemento già fin troppo separato dal teatro, che ci appare non del tutto giustificata. 102 (D'OFFIZI) - Rispondere a questa domanda mi mette immediatamente in una posizione politico-sociale che mi fa allargare il discorso non soltanto alle organizzazioni cultur·a li e nel caso specifico il teatro e alla s~a politica, ma ai partiti e alle organizzazioni che regolano la vita politica del paese. Oggi il pensiero sulla '·'massa" o pubblico, per me va chiarito. Io non voglio fare un discorso teatrale che tiene conto della indicazione culturale del pubblico, abituato alle formule semplicistiche della non cultura borghese. I mezzi di maggiore comunicazione oggi sono la televisione e il cinema e pertanto il pubblico abituato a questa "cultura di massa" diventa sempre meno pronto a ricevere prodotti più colti. P~rtanto il mio rapporto con il pubblico, che non divido perché non vog:IO farlo, è un rapporto alla pari. Cioè il prodotto che io voglio fornire sara sempre un prodotto colto che non mi permetterà mai di mettermi in una posizione paternalistica nei confronti del pubblico. La mia formula ~~ e~p;essione non sarà mai una formula di carattere populistico. Oggi l mdividuo non può e non deve non sapere. E. chiaro che il mio è un discorso al limite forse dettatomi dalla deludente situazione che esiste anche fra gli uomini di teatro cioè noi che abbiamo il compito di svolgere un'operazione culturale. Comunque è chiaro che per me la base del rapporto con il pubblico, cosi com~ nella d_omanda vi~ne diviso, la base è unica; non esiste per me un ~ubbhco fuon o dentro Il teatro e quello infine dei giovani. Ll, raccolgo tutti insie~e e il mio rapporto deve essere un rapporto con l uomo, un rapporto diretto che possa consentirmi di svolgere con esso un discorso umano. "Egli" deve sentire in me una persona che come lui lotta ogni giorno per affermare la propria libertà, la propria ideologia· il mio mezzo di espressione sarà diverso dal suo, ma il fine è lo stesso. 'Dobbiamo sentirei innanzi tutto uomini che tentano di costruirsi un destino nuovo. Cosa si può fare? Io non lo. so. Ma so che non è compito mio solamente stabilire un rapporto che diventerebbe univoco e paternalistico. E. per me un discorso che non può essere fatto in una sola sede, cioè quella teatrale· il discorso dell'educazione del pubblico è un discorso che si deve assolutamente vedere non da una sola angolazione ma da una collaborazione fra uomini. (ESPOSITO) - Non esiste una separazione di pubblico fra nuovo e vecchio, giov~e o meno: di dentro o di fuori. Il pubblico è sempre lo ste~so, potenzial?Jente disposto ad essere giovane pur appartenendo ad un altra .ge?eraz.IOne, oppure ;1 sentirsi vecchio ed annoiato pur facendo parte dei giovam. Que! c~e lo può caratterizzare, se=ai, è il tipo di prodotto - e le sue reaz10m ad esso - a cui viene invitato ad assistere. Ci sono dei pubblici di "dentro" che sono come quelli di "fuori" e viceversa. Quindi il tipo di rapporto fra pubblico e spettacolo, fra pubblico ed attori, lo stabilisce solo lo stesso pubblico. L'unica differenziazione che farei, è, semmai, fra pubblico abituato al teatro e quello che non l'ha mai vissuto. Ma anche qui il rapporto che si può stabilire, dipende solo dal prodotto e dalle reazioni che esso suscita. Non si può e non si deve etichettare il pubblico, ma, se=ai, aiutarlo a liberarsi da tutte le etichette possibili. (SAMMATARO) - Il pubblico "teatrale" è stato, è, e sarà sempre quello di "dentro" i teatri. Perché nel pubblico di "dentro" i teatri esistono tutte le categorie in quanto a "gusti" teatrali: tradizionalisti, qua- 103 lunquisti, borghesi, rinnovatori. Fra di loro bisogna avere la fortuna di incontrare quelli che suggeriscono nuove idee, nuovi entusiasmi. Il pubblico "di fuori" è un'incognita perché, per prima cosa, non è un "pubblico" ma "il popolo". Può darsi che per suo tramite si possano assorbire nuove emozioni e quindi restituirgliele moltiplicate. Ma può anche darsi il caso, terribile e inutile di rimanere al livello di "assistenti sociali" o "agenti sindacali". :1:. un ~apporto che non si può stabilire a priori. Per quanto riguarda i giovani, non si può fare un discorso di "dentro" o "fuori". Esistono i giovani che amano la cultura e quindi anche il teatro che ne fa parte. Gli altri saranno interessati sul piano umano e sociale, ma il teatro no~ può provvedere anche a loro. Il piede sulla Luna ce l'hanno messo degli scienziati e non degli attori! (SONNI) - Per carità non faccio distinzioni. Come attrice, per me il pubblico è uno solo. E uno solo non può che essere il rapporto attorepubblico: un dialogo chiaro e aperto che prescinda da ogni divisione classita (che esiste socialmente e politicamente) teso unicamente a coinvolgere l'uomo che è in ogni singolo spettatore. E se questo è veramente e onestamente il fine che ci si propone, ogni mezzo teatrale è valido : dalla farsa alla tragedia. Non bisogna però perdere di vista quella che è la reale disponibilità del pubblico a questo tipo di sollecitazione, dato per scontato che il pubblico italiano non è certo tra quelli teatralmente più preparati. (SUDANO) - Non credo di essere in grado di rispondere con sufficiente chiarezza a questa domanda che costituisce in fondo il problema base di chi fa .teatro e in genere di chi "crea" arte. Il problema "pubblico" è indissolubilmente legato al fatto sociale. Siamo una "società" che si riconosce tale in certi riti, miti, tradizioni, ideologie? Oppure un'accozzaglia di individui che pur partecipando a certi pseudo-riti collettivi (partite d! calcio, festival, vacanze estive, e~.~ lo. f~ per un inconscio desiderio di mascherare e annullare la propna mdiV!· dualità e senza assolutamente riconoscersi in essi? Io credo che la seconda ipotesi sia la più valida e quindi in un simile terreno il teatro non può che rivolgersi non ad un pubblico bensì ai si~ goli e in p articolar modo a coloro che vedo~o .in ~n fatto "fuori'.' delle strutture, come è oggi il teatro, una forma di nbelhone. Con un discorso molto al limite il "teatro" che non si adegua ai gusti del pubblico è l'unico teatro degno di essere fatto. Nella tradizione interpretativa italiana degli ultimi dieci anni, qual è l'orientamento, dal punto di vista tecnico e comunicativo, che il "gruppo" dovrebbe perseguire per caratterizzarsi secondo "affinità" concrete? (CUCARI) - Dato e non concesso che esista una tradizione interpretativa italiana - e ancor più dubbiosi cl sentiamo allorché tale concetto viene applicato agli ultimi dieci anni - ci sembra evidente che tale d<>ioanda appaia per lo meno prematura. La necessità di sv~lgere. ~ !avaro di gruppo è nata anche dalla constatata totale assenza di tradi710m a cui appigliarsi, teatralmente parlando, nel nostro paese. Né può vemr considerata "tradizione" teatrale quella apparsa negli ultimi dieci anni, durante i quali, al lato di una monotona e stanca abitudine professionale, i pochi e spesso inutili tentativi di rinnovamento hanno fatto fin troppo presto a lasciarsi assorbire dalle mode del malcostume teatrale nostrano. 104 Non parliamo qui, evidentemente, dei fenomeni teatrali al di fuori del nostro paese, ai quali, evidentemente, si può far riferimento unicamente come dato esemplificativo, privi come sono, per forza di cose, di reali e comparativi agganci con la nostra realtà teatrale. Se si parte quindi dall'idea - peraltro non peregrina - dell'assoluta mancanza di una tradizione interpretativa italiana, l'orientamento, "dal punto di vista tecnico e comunicativo" del gruppo sarebbe proprio quello caratterizzato da una mancanza assoluta di un orientamento qualsiasi. Ciò non sottintende la {ormulazione di un fin troppo facile e vieto paradosso, ma l'idea che un orientamento del "Gruppo" dovrebbe avere come caratteristica costante la più ampia e completa elasticità di apertura, tale cioè da permettere un immediato adattamento dei metodi di ricerca e di realizzazione a seconda delle circostanze. Ciò significherebbe il raggiungimento di un utopistico e forse inattuabile ideale di perfezione. Un orientamento più preciso, potrà forse venire dopo i primi esperimenti. Noi non intendiamo procedere con goliardica furia, pronti a spezzare e superare ogni ostacolo con tracotante baldanza. Al contrario, è nostro avviso sperimentare tutto ciò che maggiormente potrà interessare il nostro lavoro di ricerca, compiendo attualmente, per necessità di cose, una prima operazione di scelta che cercherà di eliminare innanzi tutto ogni aspetto negativo e peggiorativo della così detta tradizione teatrale, sia essa italiana o no. Una sola cosa è per ora chiara e precisa. :1:. proprio la chiarezza e la precisione. Unita ad un'estrema onestà di intenti ed alla convinzione di essere assolutamente privi di teoriche, aprioristiche difese. Un metodo, un orientamento di lavoro sapremo c<>struirlo cammin facendo. Sperimentarlo e farlo nostro, renderlo capace di realizzazioni concrete e non di sterili, dottrinarie disquisizoni, ci darà la certezza di averlo trovato. Tutto quel che ci sentiamo in grado di rispondere allo stato attuale delle cose alla domanda di cui sopra, è proprio un pieno, convinto, assoluto "no" alle tradizioni. (D'OFFIZI) - Rispondere alla quarta domanda è per me scaivalcare il tempo. Oggi il gruppo, nascendo da estrazioni diverse, non può esprimere una linea comlme. Per esprimerla deve essersi scoperto e accettato. Dopo forse un anno di lavoro collettivo, di vita in comune, di con<>scenza, potrà esprimere il suo orientamento che Io caratterizzerà. Oggi sono i punti di vista dei singoli che si svilupperanno o non sussisteranno; oggi siamo alle discussioni, alle polemiche forse lunghe che preludono però alla scoperta delle affinità che ci permetteranno di determinare l'orientamento, dal punto di vista tecnico e comunicativo, del gruppo. I miei pensieri però esistono e non possono escludere la mia estrazione teatrale, i miei primi passi Ii ho fatti discutendo della necessità del gesto, del suono e dell'utilizzazione dello spaiio che si sviluppavano come una moderna geometria nei discorsi fatti su Beckett. Era però un discorso che nasceva da una ricerca che si rendeva allora necessaria; io oggi non rifiuto nulla della mia esperienza antica, importante perché ha dato a me la possibilità di crearmi una zona fantastica ed una predisposizione alla fantasia necessaria per l'attore. Ma allora, come oggi, io nòn avrei potuto accettare nessun discorso se non l'avessi autenticamente sentito nascere come una necessità umana da estrinsecare. Voglio dire che per me essere attore significa soprattutto riuscire a dare all'atte che compio un significato umano che va al di là dei metodi, degli schemi, degli s tili. 105 (ESPOSITO) - La tradizione interpretativa italiana non esiste. L'ultima è rimasta alla Commedia deU'Arte, ed essa è troppo lontano da noi, nel tempo e nella conoscenza, per costituire per noi, attualmente, un termine di paragone. P. noto che gli italiani - a differenza di altri popoli europei, per esempio i tedeschi - non sanno quasi nulla della Commedia dell'Arte. Essa non si è tramandata fra noi, né come tradizione né come eredità cultu!-ale. Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito semmai ad abitudini recitative, legate a questo o a quell'attore, a questa o quella Compagnia (vedi i Giovani, ad esempio) ma questo non basta a costituire una tradizione. Ma tutto ciò, per un gruppo che voglia perseguire un ideale di "affinità concrete", non costituisce un handicap, semmai un vantaggio. Infatti l'assenza di tradizioni permette di non avere nessun punto di riferimento. E meglio non averne nessuno che uno del tutto negativo. Non possono entrare già nel mito della tradizione gli esperimenti ed i tentativi di cui alla risposta n. 2. Quindi, ben venga l'assenza di tradizioni. C'è tutto da inventare e costruire, se tutto andrà per il meglio, e un orientamento sia tecnico che comunicativo, potrà cominciare a delinearsi - forse - f:ra altri dieci anni. (SAMMATARO) - • L'orientamento base che il gruppo dovrebbe perseguire per caratterizzarsi secondo affinità concrete • , dovrebbe essere quello di non tenere in alcun conto la "tradizione interpretativa italiana". Questo, se esistesse una "tradizione interpretativa italiana". È universalmente risaputo che la tradizione interpretativa è suggerita da "teatro tradizionale". Cosa che in Italia non esiste. L'interpretazione italiana non ha mai avuto una causa e una conseguenza. P. risultata sempre frutto di "virtuosismi personali". L'unica "tradizione", che tutto il mondo ci invidia, è l 'istinto, il temperamento, l'eccletticità. Il "Gruppo" cercherà di usare questi mezzi, evitando le dispersioni, per creare, minuto per minuto, un suo stile. O meglio: una sua regola. (SONNI) - Una tradizione interpretativa italiana non esiste perché dalla Commedia dell'Arte, unica eccezione che non ha avuto seguito, si è giunti ai giorni nostri con un bagaglio teatrale unicamente rappresentato da quelli che ieri si chiamavano ·"mattatori" e oggi "divi". Quindi il gruppo nasce vergine, e l'unico orientamento possibile è quello della ricerca e della riscoperta del vero Teatro. E sarà appunto questo suo tipo di discorso che lo caratterizzerà naturalmente strettamente in funzione a quelle che sono le nostre comuni finalità. (SUDANO) - Non so se esista una tradizione interpretativa italiana e tantomeno negli ultimi dieci anni. Sono esistite delle singole personalità geniali e niente di più. Io credo comunque che l'unica direttiva che un "Gruppo" possa prendere è la propria esperienza di lavoro. Il metodo iniziale è quello dell'esclusione. Di solito si sa cosa non fare all'inizio; il cosa/fare e come nasce dal rifiuto di una serie di fatti sociali, estetici, umani . Prima di tutto dunque bisogna essere d'accordo sui no. Ne deriva all'inizio del lavoro una sorta di impotenza espressiva di tutti i componenti del gruppo) che bisogna superare magari anche sbagliando e contraddicendosi. A questo punto il primo che dirà una cosa nuova o compirà un gesto sconosciuto porrà la prima base di lavoro e gli altri verranno dietro a valanga. 106 L'importante è non barare mai ed essere in grado di discutere criticamente su cosa e come si sta operando. ~~ cre~o .c~e. i "m7todi" e le "tecniche" autentiche nascano cosi. ':ne 1 -~'~'· I mod1 e le eventuali derivazioni significherebbe aver compmto g1a Il lavoro. c) Un invito all'Autore italiano La cfompagnia/Gruppo del Teatro Stabile nel presentare il suo primo an~o . I !-~varo, comp:endente Cavalleria Rusticana di 1 Giovanni Ver a Eh. ~ L1vmgs, La galltnella acquarica di Witkievicz quali primi sa ·geti espenenza scenica comune, ha lasciato di pro oslto fu . .ggi mento gli autori contemporanei italiani sia pe:C:hé no o; per d1.1 motrov~~o tt:a i testi sinora Ietti ed offerti 'quello che corri~p~n;~~e ~p';~: no e nsorse n~tura~ ed artisti<:he del Gruppo e quindi di non poter nemmen~ garantire al! autore un'Interpretazione corretta e unitaria sia perch~ SI propone, sulla scorta delle sue prime esperienze di l;voro c?llettivo: e ~econ_do quanto gli stessi autori-spettatori avranno modo di sm~erars1, d1 attirare concretamente l'interesse di quanr · scnveranno di teatro ul . I scnvono o co t"t t" d G s piano concreto della conoscenza delle qualità 1 1 s u !Ve e. ruppo stesso oltre che di quelle artistiche da definirsi di spettacolo m spettacolo. l~ ~t~e parole la Co~~agnia/Gruppo avendo dinanzi a sé alcuni mes~ di n~rca comune, ntiene di poter utilmente rinviare Ja ro amnella fiducia che questo ~osfa es. . rammaturg~camente frequentando il Gruppo stesso e c~n ~ Gruppo discutendo. il materiale di base. In questo senso la ComP. ~~/Grupl?o sarebbe lieta di poter stimolare in particolare le ener~Ie r ~ auton o asp1ra:'ti tali ~ella città e della Regione, avendo come na. '~u~·a collaboraz!~ne pr~c1sa e~ organica, secondo quanto si viene 0 I!gic PIC~do da PIU parti, senza venire mai a capo del problema. ompa~Ia/~ru~p~ m tale senso senza farsi illusioni e soprattutto ~~:za dare Illus10n~ SI augura di poter mettere in scena alla fine della s·1 ~~ne. un test~ di autore contemporaneo la cui opera non sorga e non e !"'sca fuo:' del palcoscenico, ma si concretizzi e si manifesti du::i~~rail. Iavo~o .{nterpretativo, in una ricerca collettiva ed efficace nella m cm I. testo non soltanto sia valido ma anche corrisponda alle conoscenze tecruche ed alle aspirazioni intellettuali d 1 G t e ruppo stesso. Questo sarebb di . . /G e no evo1e ruuto alla formazione artistica della Compagnia. r;-'PP~. la qu~e non ambisce in alcun modo di isolarsi sotto il pnYil~gi? di. c~tegon.a •. b_en~ì espandersi e concretarsi attraverso gli auton, ' p1tton, 1 musicisti, 1 collaboratori letterari, eccetera. ::,'o~;ll!i::::oa':iore conte~poraneo, Attilio Cucari Alessandro Esposito Anna D'Offizi Piero Sammataro Maria Teresa Sonni Rino Sudano 107 a) A proposito di "Cavalleria Rusticana" e della sua realizzazione scenica. Oggi, la scelta di Cavalleria Rusticana - opera considerata a torto come appartenente al filone "bozzettisticd" di Giovanni Verga - ha le sue precise ragioni nella ricerca, a volte assillante, di una radice autenticamente autoctona, in cui si ritrovino modi, gesti, stili che crediamo ancora appartenerci. Avvicinarsi ad una rilettura dell'opera teatrale verghiana - e nella fattispecie a "Cavalleria" - produce la medesima impressione che ricavammo dalla visione di certo cinema brasiliano o giapponese, cosi vicino, nella sostanza, nella tradizione, nel sapore, all'essenza intima di un popolo. Quindi, il tentativo di recupero di un testo che conserva - quasi in vitro - tradizioni e modi sociali che riconosciamo comuni a gran parte della società italiana, ancor oggi, pur con le dovute differenze di clima, di storia, di miti, di biologia. Un'operazione di recupero paragonabile, sotto certi aspetti, a quella che viene sovente compiuta sull'unica tradizione teatrale italiana ancora viva e presente : quella del melodramma. Partendo da questo punto di vista e sgombrato il campo da ogni sospetto di archeologica riesumazione, il problema essenziale che si fa immediatamente avanti nella realizzazione scenica di "Cavalleria Rusticana", è quello posto dalle "apparenze" del dialogo realista, tutto teso a far nascere un ambiente. Da esso, si tratta di svellere la sostanza "rituale" di una comunità (archetipale), in una delle sue manifestazioni tipo; sostanza quindi. che è ben lontana dalle annotazioni folkloriche o populiste fin troppo facilmente attribuite ad un testo come "Cavalleria", a cui la trasposizione lirica di Mascagni non ha certamente giovato per la sua esatta collocazione nel già ristretto ed esiguo scaffale della biblioteca tradizionale del teatro italiano. si è accennato al rito che informa la struttura e l'essenza del dramma verghiano: infatti, quella di "Cavalleria", è una vita intesa come rituale, come repressione, come codice comune alla società italiana; un rito che viene officiato dai suoi protagonisti, i cui sentimenti e le cui azioni vengono continuamente condizionati dalle regole, .dai modi , dalle norme che il rito stesso impone. Accettata l'idea del rito come punto di partenza per la realizzazione scenica di "Cavalleria", è evidente e logica la nascita di un parallelo con la tragedia greca. Nulla è, infatti, più paragonabile a un rito della tragedia greca, con la fondamentale differenza che mentre quest'ultima è la rappresentazione di un rito sociale, con miti ed ideologie comuni, intensamente vissuti da tutta la comunità sociale a cui esssa si rivolgeva, quello che condiziona l'azione drammatica di "Cavalleria" è un rito negativo, che non purifica, ma opprime, che non salva, ma condanna inesorabilmente. Fra la struttura della tragedia greca e quella di "Cavalleria", identifichiamo, quindi, non una similitudine di costruzione, ma una identità di espressione: espressione di una comunità in questa, di un mito comunitario intimamente vissuto da tutto un popolo, in quella. Il punto di partenza realizzativo di "Cavalleria", è indicato nel momento - subito dato - in cui due miti, due tabù tribali, vengono infranti: la verginità e l'integrità 1dell'onore del capo famiglia. Poiché il rituale sociale di "Cavalleria" non è un rituale liberatorio, ma oppressivo, subìto e non vissuto, i due colpevoli diretti, coloro che hanno infranto le regole comunitarie - Turiddu e Lola - pagheranno l'uno con la vita, l'altra con la sottintesa esclusione dalla comunità. A tale rito purificatore - di cui Santuzza è il motore primo, la molla provocazionale - partecipa l'intero gruppo sociale, in funzione di "Coro". 108 La scoperta del rito. di "Cavalleria", è agevolata dall'analisi del linguaggio verghiano. Linguaggio che sembra tendere ad una semplice ambientazione con personaggi a tutto tondo. Ad una più accurata analisi, quello che si rivela come il primo, serio ostacolo per la creazione di una dimensione rituale del testo, si trasforma in un veicolo di eccellente comunicazione drammatica. Infatti proprio perché, anche linguisticamente, i personaggi subiscono una sorta di processo, di avanzamento subìto e non "vissuto". si trasformano in esseri privi di autentico rilievo, ma intagliati a "calor bianco" su di uno sfondo costruito e per niente realistico. Quello quindi che a prima vista può sembrare un ostacolo, diventa invece, se distanziato criticamente (almeno in fase di allestimento registico), un mezzo efficace e forse unico per sottolineare l'esteriorità intesa come modo non totale di vivere le proprie espressioni linguistiche - e quindi l'assuefazione tradizionale dei personaggi, intorno a certe matrici culturali non esperite ma subìte. Il linguaggio verghiano di "Cavalleria'', viene poi trasportato, da una forma di sintassi dialettale, in un italiano che non' si accompagna al gesto del dialetto, ma lascia l'intenzione del gesto quale a~verrebbe nella realtà, svincolato da una logica che, nel dialetto, non è forzosamente, quella della "lingua". Non una trasposizione dialettale, quindi, ma una sorta - affascinante - di dialettismo. Il modo di parlare dei personaggi evoca l'appartenenza ad un mondo repressivo con codici e regole tribali che danno l'illusione della realtà - ed essi la vivono come tale - mentre si tratta invece di una meta-realtà. Dolore, amore, sesso,- se è lecito parlarne- hanno diritto a vivere solo se schematizzati, rappresentati, e quindi repressi: da qui l'equivoco del lettore o dello spettatore medio di una maggiore forza e genuinità dei sentimenti a scapito della pressante ideologia del mito. La rappresentazione è sempre più "vera", o lo sembra, della vita. E l'ideologia del mito conduce ad una fine che non è mai trascendente, una sorta di fato umano, dettato da regole umane, in cui impera urr'assoluta mancanza di possibilità di ribellione o - addirittura - il desiderio radicato di non} mai ribellarsi alle regole. Il divenire del rito a cui sopra ,si accennava, avviene attraverso quattro fasi diverse, che formano poi l'insieme della realizzazione drammatica : Prima zona: In essa si entra immediatamente, senza il filtro del prologo o dell'antefatto. La comunità (priva di aggettivi, per maggior scarnificata chiarezza) V:ive il suo giorno di festa. Una festa, Pasqua, da paragonare alle feste dionisiache. Ma è una festività intesa non in senso liberatorio, cioè non caratterizzata dalla partecipazione spontanea e vissuta dell'intera comunità, ma vista nella sua essenza costrittrice, appartenente cioè anch'essa alle regole del rito, contrappuntata dal suono delle campane al quale non si può assolutamente sfuggire. La partecipazione spontanea della comunità ad un avvenimento festoso, implica una naturale atmosfera di gaiezza ed allegria: non è questo il caso, poiché immediatamente Santuzza giunge, con la sua tragedia personale, ad integrare il tono generale che perde quindi automaticamente - e per forza di contrasto - ogni bénché minimo singulto di autentica festività. Non si tratta però di un contrasto, fin troppo squalificato, fra l'atmosfera festosa esterna, e la manifestazione di un dolore interno. Si tratta invece del perfetto inserimento del dolore di un singolo - Santuzza - in un'atmosfera che sotto un'apparenza gioiosa contiene in 109 sé gli elementi putrescenti del Trionfo sulla Morte. t!. una festa cristiana, e come tale, non può essere rivissuta, ma accettata, subita. Seconda zona: t!. quella che potremo definire "dei grandi dialoghi", degli incontri - già decisivi - dei personaggi: Turiddu, Santuzza, Lola, Alfio. Secondo un'aggettivazione critica, tali incontri segnano lo staccarsi, la separazione degli esemplari-tipo dal gruppo matrice. I quattro personaggi vengono a rappresentare le loro "private" emozioni delineandosi come esempi e non come eccezioni, della comunità: sempre ed ancora presente fisicamente e mentalmente . Dalla massa si forma un grumo che, nella sua ulteriore separazione, raggiunge il diapason drammatico. Terza zona: Il personaggio motore (Santuzza) hai compiuto sino in fondo il suo iter drammatico, affidando al personaggio Alfio il compiersi del rito, l'atto finale, il sacrificio Jiberatorio. Lo spargimento di sangue, che dovrà ricomporre lo schema comunitario in cui Santuzza potrà rientrare ma dal quale 'verrà esclusa Lola - è preceduto da una battuta di arresto - la bevuta, l'incontro con Nunzia - in cui i due colpevoli (Turiddu e Lola) si sentono circondati dalla fatalità che è implicita nella mancanza di una soluzione, di una scelta, differente da quella che il rito esige. Quarta zona: Molto circoscritta, limitata all'annuncio dell'avvenuta espiazione. Il rito è compiuto, la liberazione dell'attesa è raggiunta. Un 'attesa drammatica, non vissuta ma distaccata, subìta e - in definitiva - solo "curiosa". Il dolore rappresentato pubblicamente agli altri, prima ancora di essere intimamente provato conclude matematicamente le regole del rito. La locandina 11 Teatro Stabile di Torìno ha presentato la Cavalleria Rusticana ne~ l'allestimenla della Compagnia-Gruppo, per la pruna volta, ad Acqu:, in . piazza Bollente , la sera di mercoledì 10 settembre, con la seguen e distribuziorre : CAVALLERIA RUSTICANA di Gidvanni Verga a cura della Compagnia/Gruppo del T.S.T . ( Cucari-D'Offizi-Esposito-Sammataro-Sonni-Sudano) e) Note alla scenogra{ia di Cavalleria Rusticana. Volendo dare di Giovanni Verga una lettura scenografica non "convenzionale", al di là delle solite banalità folkloristiche, è necessario creare un'ambiente non convenzionale. Intendiamoci: non "convenzionale" non significa affatto travisare Verga. Al contrario credo proprio che il vero Verga non sia assolutamente quello a cui siamo abituati da una pigra quanto mistificante convenzionalità : per cui in scena bisogna mettere "assolutamente" fichidindia ... frasche varie, ecc. e magari l'Etna che fuma ... Il Verga agisce sì, in un ambiente dove allignano frasche e fichidindia ma è come se tutto ciò non esistesse, perché è altro che lo interessa. Lo interessa scolpire in breve una situazione vissuta da uomini semplici visti come archetipi che vivono una vita quotidianamente tragica: il senso del vivere pubblico, di una vita che va vissuta, appunto, sull'aia, in piazza, sul sacrato; di più il senso della morte e della tragedia che accompagna ogni siciliano. Ma tutto ciò non come mera trascrizione "verista" o "realista", ma come osservazione pungente e satura di critica che si carica di amarezza nella consapevolezza che il fatto di sangue, che la tragedia deve compiersi, che la regola è la morte. L'impianto scenografico di "Cavalleria Rusticana", mi sembra sia evidente, non descrive e non racconta un ambiente, ma determina spazi, segna linee e forme . E, spero, contribuisca a formare con l'attore una "figurazione" totale fino ad arrivare ad una architettura scenica del gesto e dell'azione . ENZO SciAVOUNO 110 personaggi e interpreti: Turiddu Macca Compare Alfio di Licodiano Gnà Lo~ a, sua moglie Santuzza Gnà Nunzia, madre di Turiddu Zio Brasi Comare Camilla , sua moglie Zia Filomena Compare Peppi Un paesano Piero Sammataro Lino Sudano Maria Teresa Sonni Anna D'Otfizi Anna Goel Attilio Cucari Rosanna Noto Giovanna Fiscella Dario Anghilante Aldo Turco hanno collaborato: per le scene: Enzo Sciavolino per i costumi : Angelo Dell'< Piane allestimento: costruzioni: Salvatore Fortuna - luci: VinceEzo Cafiero . direzione scenica: Franco Grossi - elettricista: Riccar~o VenturaIl macchinisti: Carlo Baroni e Romano Daeder- segretano : Carlo Anedda 111 _ _j Decentramento Nell'intento di rinnovare lo spirito ed i caratteri del rapporto teatrale e di ampliare il pubblico, raggiungendo quelle fasce di popolazione che sinora sono rimaste praticamente estranee all'attività del teatro di prosa, lo Stabile di Torino ha iniziato, ed intende sviluppare nel corso della stagione, una specifica e sistematica azione di "decentramento" nei quartieri periferici della città. Data l'impossibilità di affrontare in blocco e contemporaneamente l'intero problema, si è deciso di concentrare per il momento l'iniziativa su quattro quartieri della perife-ria urbana, scelti per la loro importanza e la loro rappresentatività della situazione (Falchera, Mirafìori-Sud, Vallette, Corso Taranto). Il carattere fondamentale dell'iniziativa consiste, otre che nell'esportazione in quartiere degli spettacoli prodotti dallo Stabile, in una sistematica formazione di gruppi periferici in grado di essere interlocutori critici del Teatro, gestori dell'iniziativa, ed eventualmente produttori di spettacoli realizzati con la collaborazione di tecnici del Teatro, mediante i quali esprimere la problematica autentica e gli interessi genuini del pubblico popolare. In altre parole il Teatro Stabile tenta per la prima volta in Italia, di accostare al Teatro un pubblico non soltanto come consumatore di spettacoli preesistenti, ma anche e soprattutto come coproduttore, a diversi livelli, di nuovi spettacoli. Pertanto "l'iniziativa decentramento" se da un lato tende ad ampliare il pubblico, dall'atro mira a rinnovare il teatro. Prima parte A partire dai primi di giugno 1969, periodo che può essere indicato come inizio del programma di decentramento, sono stati presi contatti, nel corso di numerose riunioni ed assemblee, con quattro quartieri della periferia di Torino: Mirafìori-Sud, la Falchera, Le Vallette, Corso Taranto. · A tutte le riunioni e assemblee indette in questo periodo nei suddetti luoghi, sono state indicate le ragioni che hanno indotto il Teatro Stabile ad iniziare l'opera di decentramento e illustrati i criteri secondo i quali !"iniziativa può essere realizzata . Per parte sua il Teatro ha proposto un ventaglio di cinque diverse direzioni di lavoro tali da consentire l'avvio dell'iniziativa e un sondaggio delle tendenze e dèlle preferenze degli abitanti di ogru singolo quartiere. Questi cinque settori di lavoro sono: l) uno o più spettacoli ricavati dal cartellone di abbonamento del Teatro Stabile (compresi gli spettacoli della Compagnia Gruppo); 113 2) uno spettacolo realizzato yer gli allievi delle scuole medie superiori; 3) uno spettacolo per i p1ù piccoli possibilmente realizzato con la collaborazione degli stessi scolari; 4) una serie di proiezione di film e di spettacoli-recitals; 5) uno o più spettacoli prodotti nei quartieri stessi e con la collaborazione degli abitanti del quartiere, eventualmente realizzati sia dalla S_cuola di '!"eatro d~! ~eatro Stabile, sia da un gruppo ristretto appoSitam~nte mcancatJ d1 svolgere questo tipo di attività nei quattro quart1en . Sono emerse durante ques te riunioni e assemblee alcune costanti significative: · a) interesse per l'iniziativa accompagnato da una diffidenza motivata _d a _preceden:i progetti e programmi non realizzati da parte di orgamsm1 pubbhc1 e pnvati, sia del quartiere stesso che al di fuori del medesimo ; b). afferma_zione di un interesse per il Teatro che coinvolge direttamente 1! pubbhco affrontandone i problemi reali la sua cultura di base i modi espressivi ad esso propri. Parallelamente a tale interesse si riscontrata una diffusa avversione verso le forme tradizionali del teatro sentite dal pubblico del quartiere come espressioni culturali di una società ad esso estranea; c) è emersa inoltre una chiara indicazione per un teatro preminent~mente educativo e formativo sul piano sociale e politico oltre che artiStiCO. Rltemamo di poter dedurre dalle varie dichiarazioni fatte nel corso delle assemblee, che il pubblico popolare assegna alla cultura una funzion~ formativa nella misura in cui essa è in grado di aiutare la popolaziOne a prendere coscienza dei propri problemi e a risolverli. Per _tale m~tivo il ~ipetuto rifiuto dei classici registrato negli interv7nt1 è da n~tenders1, allo stato attuale delle cose , come l'espressione d1 una premmente esigenza di presa di contatto con la situazione attuale; d) gli ostacoli economici e geografici non sono da considerarsi determinanti agli effetti dell'assenza di questo pubblico dal teatro; e) tutte le assemblee e le riunioni di quartiere hanno dimostrato una profonda diffidenza verso ogni forma di decentramento teatrale che potess_e assumere in qualche modo un carattere "coloniale": pura e semphce esportazione, cioè di spettacoli dal centro cittadino attività saltuaria, teatralità fine a se stessa non articolata con altr~ attività c';llturali sociali e civili che la condizionino sostanzialmente. Si rileva, d1 ~onseguenza, una precisa richiesta di strutture stabili di quartiere real1zzate con la collaborazione degli abitanti del quartiere stesso ed a g_ruppi t:atrali disposti a vivere per JunglJi periodi di vita del quartiere (ev1dente adesione maggioritaria ai punti quarto e quinto delle direzioni di lavoro proposte dal Teatro Stabile); . f) ~ conferma della coerenza e giustezza di questi atteggiamenti s1 è venficata un'Immediata disponibilità da parte di gruppi di abitanti del_ quartiere rappres~ntativi dei vari orientamenti ideologici della popoJa_zJOne (non numerosi, ma ampiamente sufficienti per tale scopo) a dare VJta a gru~pi_ di _lavoro! e comitati di coordinamento per tutto quanto occ~rre al~ m!ZiatJv~ del decentramento e già disposti, sul piano della gestiOne rmsta, con 11 Teatro Stabile per il lavoro di quartiere. è Seconda parte Sulla base delle risultanze emerse dalle varie assemblee tenute, si possono trarre le seguenti indicazioni sul piano operativo: 114 1) i dati registrati nella prima parte di questa relazione consenton" di rilevare in primo luogo che esistono reali possibilità di creare strutture autonome di quartiere in grado di funzionare attivamente, e in forma continuativa regolare, nello spazio di un biennio .: 2) sul piano pratico non si può non rilevare che sarebbe una pericolosa illusione quella di puntare su vistosi e clamorosi risultati immediati, che risulterebbero puramente epidermici, senza alcuna incidenza sulle strutture civili e culturali di quella grande parte della cittadinanza che attraverso questa iniziativa si vuole penetrare e vitalizzare. Va, a questo proposito, sottolineato che perché l'iniziativa acquisti una reale consistenza, questa prima fase del lavoro punti direttamente sulla creazione di gruppi operativi di quartiere in grado di gestire autonomamente (anche se in stretta collaborazione con il Teatro Stabile) le sedi teatrali decentrate. In questo senso i comitati testè costituiti possono essere considerati come la migliore (forse l'unica) cinghia di trasmissione tra il Teatro Stabile di Torino e il nuovo pubblico popolare che si vuole affrontare; 3) si è rivelata sostanzialmente indispensabile all'iniziativa del decentramento l'immissione di uno o più gruppi in grado di trascorrere periodi sufficientemente lunglJi nei quartieri realizzando un lavoro di contatto in profondità con la popolazione del quartiere. Condizione questa che ci pare assolutamente necessaria per affrontare proprio quella parte dell'iniziativa di decentramento (un teatro nuoyo che rifletta l'adesione assolutamente unanime ed entusiasta di tutti i partecipanti indiscriminatamente alle riunioni che si sono tenute. Ci pare ugualmente evidente la imprescindibile necessità di formare un gruppo stabile del Teatro Stabile di Torino che sia esclusivamente incaricato di dare forma a questo nuovo tipo di teatro, affrontando immediatamente un preciso discorso con i gruppi già formati nei quartieri stessi. Tale gruppo dovrà, a nostro avviso, costituire una precisa voce di bilancio all'interno del preventivo di spesa per l'iniziativa di decentramento; 4) nei quattro quartieri già; toccati, sono già state indicate in maniera precisa le strutture primarie dei locali in questi tre ordini: a) una sala per le riunioni dei gruppi e dei comitati (generalmente già fissata nel Centro Sociale e da questo già messa gratuitamente a disposizione); b) una sala prove dove i gruppi che si dedicano al lavoro di quartiere possano realizzare i loro spettacoli, provare in pubblico, tenere contatti continuativi di lavoro con quella parte del pubblico di quartiere che intende partecipare alle loro messe in scena o comunque al loro lavoro di indagine e di ricerca; c) una sala peii gli spettacoli veri e propri (anche questa, come le prime dtJe già indicata in linea di massima e anch'essa gratuita come le altre due; 5) in questo documento si parla di teatro solo dal punto di vista organizzativo e sociologico e non da quello artistico e creativo. Il lavoro artistico e dranJmaturgico potrà nascere sulle premesse che l 'iniziativa di decentramento riuscirà a concretizzare e solo su questo. Data la novità che il Teatro Stabile sta gettando è lecito pensare che il tipo di teatro che ne risulterà avrà delle caratteristiche di novità direttamente risultanti dal nuovo contesto sociale e culturale di cui esso sarà l'espressione. t; questo, · ci pare, l'aspetto forse piu stimolante del contributo che il Teatro Stabile di Torino , verrà a dare con l'iniziativa del docentramento ad un concreto rinnovamento del teatro italiano. Torino, agosto 1969 115 INDICE Indice Premessa r 7 PROSPERI - SAVONAROLA Il "SavonaJtola" di Mario Prosperi , Intervista con l'autore del "Savonarola" La locandina dello spettacolo Due sogni di Alessandro VI 13 23 29 31 ARPINO - OONNA AMATA DOLCISSIMA Coda di moglie • Se fossi spettatore della mia commedia... La locandina dello spettacolo 39 53 59 GIOCHI DI FANCIULLI 65 DOCUMENTI Il Teatro Stabile di Torìno per la città e per la Regione 79 REPERTORIO DELLA STAGIONE 1969-1970 89 LA FORMAZIONE DELLA COMPAGNIA/ GRUPPO La locandina dello spettacolo 111 DECENTRAMENTO 113 93 l 11111 mr Tipografia Teatrale Torinese (TI.PO.)

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I quaderni del Teatro Stabile della città di Torino. - Torino : Teatro Stabile di Torino, 1964-1975.

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