QUADERNO QUADERNI DEL TEATRO STABILE DI TORINO ~ uj ~ 23 m Q i l. -- N COMMEDIA DELL'ARTE Q • .<: 0 l z 9 . - ~ l'"r' -• _1 ' ~ .. , .. ~- _. 1 - - . , · - - - ' ~ . ~- • • t ~ _; .. (- \ - . ~-_y.J...--•'uo----,~--..."11.__.._ - z w l ~ ISABELLA COMICA GELOSA (J oQ STUDI E DOCUMENTAZIONI DOCUMENTI DEL T.S.T. 111 Q ~ Ul l c Ul 9 111 - t •t " 23 l ·,, ~---'--- -~~ l :~ : JORINO: Centro S~ndi l c.~ i 06 [~ ' '.TRQ ~·81LS 1-.JJ?II\JQ Biblioteca e Archlv~ I QUADERNI DEL TEATRO STABILE DELLA CITTA DI TORINO N. 23 Direzione Franco Enriquez/Nuccio Messina ISABELLA COMICA GELOSA 1971 a cura del Teatro Stabile di Torino U. MURSIA & C. INTRODUZIONE ALLA COMMEDIA DELL'ARTE © Copyright 1971 Teatro Stabile di Torino Proprietà letteraria - Printed in I taly 750/ AC - U. MURSIA & C. - Via Tadino, 29 - Milano ·--''""'"_..........,... __ ~ Le origini della Commedia all'improvviso 1 di Vito Pandolfi Due sono i maggiori enigmi di quella singolare manifestazione dello spirito umano che è la commedia all'improvviso: e l'uno resta legato all'altro. Come e perché verso la metà del secolo XVI si cominciò a recitare all'improvviso? Fino a qual punto la recitazione dei comici dell'arte poteva dirsi improvvisata? entro quali limiti veniva concertata antecedentemente? in qual misura attingeva a centoni precedentemente studiati? in qual modo la commedia all'improvviso si stacca dalle forme teatrali antecedenti? e perché esauritosi questo ciclo, in poco più di due secoli, il fenomeno non si è mai più ripetuto. È probabile che nelle atellane e nei mimi giullareschi vi fossero elementi di improvvisazione, ma non ne costituivano certo l'aspetto saliente, come in questo caso. È evidente che nell'attore abbiamo, in ogni tempo, la facoltà dell'improvvisazione: tuttavia solo in questa epoca storica la vediamo prendere il sopravvento e diventare suo principale strumento di espressione artistica. Il primo documento storico di una recita all'improvviso fatta da attori in maschera, è offerto dal famoso brano dei dialoghi di Massimo Troiano. 1 Da «La Commedia del Arte» a cura di V. Pandolfi - Ed. Sansoni. 9 Pochi anni dopo vengono registrate le prime testimonianze dell'attività dei « Gelosi », a cui seguono ben presto clamorose prove dell'eccelle?za e de~la celebrità dei loro componenti. Questo sviluppo s1_ebbe in un brevissimo spazio di tempo. Nel corso d1 una sola generazione - quella che poteva già as~um~r~ un ruolo artistico nel1550 e che scomparve a1 pnrl?1 del secolo seguente - si ottennero per la Commed!~ dell'Arte le sue maggiori creazioni, le sue figure pm ricche di facoltà artistiche, si raggiunse insomma una forma compiuta, e ormai storicamente definita tanto da divenire un archetipo. Nella natura delle popolazioni italiane vive una costante e istintiva disposizione al mimo, una natural~ facoltà d'imitazione parodistica della realtà. I caratten e le espressioni delle maschere costituiscono una derivazione e uno sviluppo delle feste carnevalesche, dei riti di propiziazione che in ess_e ":en~ono a. svolgersi, senza che di questi pro~ess1 v1 ~la coscienza. Indubbiamente le maschere e 1 costumi, soprattutto nello Zanni, sembrano frutto di necessità ca_rneval~ sche, appartengono a disposizioni _ritu_ali ma s1 ~b~gh~ quando si vuol estendere la denvaz1~ne al d1 la d1 questi elementi, farne il fondame?to d1 ~uesta espressione teatrale, mentre non ne e che l aspetto figurativo. . l La Commedia dell'Arte consiste sostanZla mente nella volgarizzazione, comprendendo in_ questo. anche il ricorso alla volgarità, della comm~d1~ ~rud1ta .. In effetti le trame, gli intrighi, le situaz10111 s~a comiChe che tragiche, appaiono in gran parte denvate dalla commedia erudita, ma in verità, e il ~arat.ter~ del: l'improvvisazione ne dà la certezza; le s1tuaz1?111 e gh intrighi non fornivano che pretesti, spesso d1 nessun conto nel valore dello spettacolo. A questi tre elementi, che individualmente concorrono alla nascita della Commedia dell'Arte, - l'ele- lO mento nazionale, le consuetudini e i riti carnevaleschi, la necessità di volgarizzare la commedia erudita che di per se stessa non attirava né il pubblico popolare né quello delle corti - pensiamo se ne debbano aggiungere altri due, forse di ancor maggior rilievo: a) Il pubblico ama riconoscere sulla scena fatti e personaggi che gli sono molto vicini, di cui possa godere la parodia. Di qui la necessità di presentargli i tipi più interessanti, dal punto di vista parodistico, del mondo a lui circostante: il facchino bergamasco, il mercante veneziano, il pedante bolognese, il militare straniero, il bravo nostrano. Ecco quindi la creazione dei tipi fissi e la specializzazione nei tipi fissi di ciascun attore. b) La necessità di cambiare spettacolo anche ogni sera. Il che poteva venir facilitato solo dalla recita all'improvviso dove bastava rendersi padroni di una breve trama anziché di un intero testo. Praticamente su di un tema variante si assisteva ogni sera ad esibizioni degli attori che in effetti si mantenevano pressoché dello stesso genere: si trattava ogni volta di bravure e virtuosismi ma il grande comico sapeva ogni sera improvvisare nuove variazioni mentre il mediocre appariva stereotipato. Ancora una volta l'espressione artistica è nata da un adattamento alla realtà, dalla ricerca del pubblico, dalla necessità di coltivare le sue tendenze, di suscitare il suo interesse. È probabile che i primi comici dell'arte si siano rifatti alle esperienze compiute dai giullari e dai buffoni. Forse non erano altro che tali in origine, o vi si collegavano per ascendenza familiare. Si può anche supporre che abbiano compiuto le loro prime esperienze nelle piccole recite con cui il ciarlatano accompagnava lo smercio dei suoi medicamenti. Le stesse recite gogliardiche dovettero offrire 11 spunti e caratteri (va tenuto presente che la maggior parte di questi attori era di origine borghese e piccolo borghese, aveva compiuto studi umanistici ed amava farne sfoggio, come è evidente dalle loro composizioni e da quelle scritte in loro onore). Le esigenze del pubblico e quindi della professione, come le qualità naturali dell'attore italiano, determinano il sorgere di questa nuovissima forma d'arte. Le circostanze storico-culturali tra cui si sviluppa le offrono la civiltà figurativa dei suoi spettacoli e il suo contenuto drammatico (drammatico nel senso dell'azione teatrale). Nei due secoli che precedono Goldoni l'attore italiano offre alla civiltà europea l'invenzione dell'arte teatrale, lo spirito della recitazione e della vita scemca. Fra gli elementi concreti che contraddistinguono gli spettacoli della Commedia dell'Arte va tenuto presente in modo particolare quello del linguaggio. Trattandosi di improvvisazione (se pur non si sa fino a qual punto) sembrerebbe quasi assurdo riferirsi alla espressione parlata, e questo soprattutto dopo che tutti gli appassionati e gli studiosi moderni della Commedia dell'Arte hanno finalmente visto in essa una forma teatrale svincolata dalla oppressiva schiavitù del testo. Ma sul gusto dell'epoca esercitava una particolare seduzione la diversità e il contrasto dei linguaggio. Il colore dei linguaggi prende il senso di una tipizzazione della realtà e dei caratteri psicologici in relazione alle classi e alle nazionalità. Si tratta di veri e propri gerghi, di linguaggi per la prima volta adoperati in funzione scenica, e perciò affidati all'improvvisazione. Ogni maschera ha un suo linguaggio: lo Zanni il bergamasco, Pantaleone il veneziano, il Dottore o Gratiano il bolognese (cui si mescolano citazioni latine, spesso maccheroniche), il Capitano Io spagnolo oppure il napoletano! La scoperta del linguaggio parlato compiuta dal Machiavelli e dal Ruzante viene successivamente inibita dalle circostanze storiche e ideologiche nelle quali finisce per essere vincolata e mutilata l'espressione letteraria. Ecco allora che questa forza espressiva, la forma vitale di un popolo, trova sfogo nelle manifestazioni spettacolari, nell'immaginazione di questi attori, nelle loro invenzioni di linguaggio mimetico e parlato, sbocca in esso e costruisce una immortale forma spettacolare: l'Italia del Rinascimento aveva posto le premesse per uno sviluppo teatrale che poteva avere la vastità e la profondità della produzione elisabettiana e di Shakespeare. Ne possiamo misurare le possibilità dal « Candelaio » di Giordano Bruno. Venendo soffocata la libertà d'espressione (Bruno salì sul rogo), all'invenzione delle maschere viene affidato il compito storico di esprimere la vita e la natura del nostro popolo. Teatro comico-popolare durante il Medioevo e il Rinascimento1 Durante l'intero corso del Medioevo, non si può dire che sia esistito in Italia un vero e proprio teatro comico popolare. Abbiamo in questo genere di linguaggio artistico vuoti di secoli e secoli che non si possono spiegare altro che con una stasi di questa attività, più o meno prolungata in quanto conseguenza di una situazione storica, sociale, ideologica. Alla posizione di forza della Chiesa, corrisponde l'indebolimento, e a volte addirittura la sparizione di questo genere. Alle sue condizioni di debolezza vediamo invece corrisponderne una improvvisa fioritura. Ciò non è tanto legato alla Chiesa per se stessa, quanto alla 1 Da <>, op. cit., vol. III. 16 1 t 1 1 ' provviso scompaiono dall'Italia nella seconda metà del secolo, né la loro permanenza a Parigi nella prima metà è certo senza frutti. Il « Cicalamento » di Cesare Cantù detto Buffetto testimonia ampiamente di questo trapasso, a cui poi segui - com'era fatale - lo spostarsi dell'azione drammatica delle rappresentazioni all'improvviso a Parigi, con conseguente trasformazione in francese delle parti antecedentemente parlate in toscano, e in gergo francosubalpino di quelle dialettali. La causa di questo trapasso non fu dovuta soltanto al passare di moda delle Maschere nel nostro Paese - cessò l'entusiasmo, non ne cessò mai il gusto - ma soprattutto alle migliori condizioni finanziarie offerte dalla corte francese, e ai migliori incassi forniti dal pubblico parigino. Fin dai primi comici dell'arte, ed anche presso il grande attore dell'ottocento, la più sicura risorsa finanziaria fu costituita per le nostre compagnie dalle tournées all'estero. L'esercizio della professione comica in Italia non consente quel margine che metta al riparo dall'inevitabile decadenza della vecchiaia. La commedia « ridiculosa » dei comici-autori, riflette indubbiamente da molto vicino la loro improvvisazione. Bisogna tener presente che in effetti, ogni soggetto andava in scena dalla mattina alla sera, e cioè dopo una breve riunione col direttore della compagnia che raccontava lo scenario, disponendo il seguito dei lazzi e degli incontri. Ma ogni compagnia aveva indubbiamente un suo repertorio di soggetti; ogni sera cambiava soggetto, naturalmente recitando nella stessa città; perché cambiando città o corte non c'era alcun bisogno di rinnovare il repertorio. Come fìno a qualche decennio fa ogni compagnia in Italia preparava nella famosa quaresima le quaranta commedie che poi avrebbe recitato per il triennio di sua formazione, così, per quella consuetudine alla tradizione che è caratteristico della vita teatrale, è assai probabile che le compagnie dei comici preparassero 17 . ~ un certo repertorio da ripetere poi città per città, rinfrescandosi la memoria con una prova mattutina. Nell'ambito di questa forma organica dell'attività, un soggetto di particolare successo finiva col venir recitato molte volte. Il suo protagonista e concertatore giungeva cosl a raccogliere nella sua mente una commedia che veniva sempre più a farsi premeditata; finché, sfruttando il suo successo, non si decideva a trascriverla e a stamparla, abbellendola come poteva di altre e più sorprendenti invenzioni. Altrettanto naturale il fatto che autori desiderosi di successo si appropriassero di battute e scene e invenzioni dovuti a comici, per stendere le loro « ridiculose » e suscitare con esse l'interesse che avevano suscitato le rappresentazioni all'improvviso di cui riferivano lo spirito. Naturalmente situazioni e battute venivano il più delle volte incorniciate in un ambito d'invenzione barocca frutto della fantasia « accesa » dell'autore. Il comico dell'arte era dunque un coltissimo letterato che sulla scena esibiva il suo sapere? Assai più di quanto non si sia supposto, e lo dimostra la letteratura che i comici di allora dettero copiosamente alla luce; al punto che non si dà comico veramente glorioso che almeno una volta non sia voluto apparire anche nelle vesti di raffinatissimo letterato petrarchesco a arcade. Ma è anche vero che, come si constata nelle commedie « ridiculose », questi frutti culturali - di una cultura d'altronde largamente diHusa tra il pubblico - i comici sapevano condire con un umorismo strettamente legato all'attualità, parodiare in una forma che aveva diretta presa sullo spettatore. La materia dunque per allenare la mente a una sciolta espressione improvvisa veniva tratta dalle più celebri produzioni letterarie come dagli spunti oHerti dal gusto e dagli avvenimenti dell'epoca. In ogni biblioteca, come in ogni osteria o bordello il comico 18 ..... ~~ trovava i suoi centoni. Non bastando, solerti e provvidenziali trascrittori come il Bruni adunavano prologhi in un loro scartafaccio e pubblicavano dialoghi atti alle esigenze sceniche dal titolo significativo: Fatiche comiche; Pier Maria Cecchini con I frutti delle moderne comedie e con l'inedito Discorso dell'arte comica oHriva preziosi precetti nonché ampi riferimenti storici. Carlo Cantù, detto in arte BuHetto e celebre come tale, componeva una sorta di Vita nova dei comici: il « Cicalamento in canzonette ridicolose o vero trattato di matrimonio tra BuHetto e Colombina comici » dove con gradevole alternarsi di prosa e versi, narra le vicende del suo amore per Isabella Biancolelli, travagliato, prima di giungere in un buon porto di stabile matrimonio, dagli inconvenienti del loro mestiere: i malevoli pettegolezzi dell'ambiente in cui vivono, e i continui distacchi causati dai viaggi a cui vengono sottoposti dalla loro professione, finché appartengono a due diverse compagnie. La vicenda è del tutto verosimile, costituisce un sincero diario sentimentale del comico. OHre ampio materiale in canzoni e in monologhi amorosi agli attori che debbono sostenere parti d'innamorati in chiave umoristica. Questo complesso insieme di fonti, come delinea l'evoluzione dell'arte all'improvviso della sua invenzione nel secolo XVI alla sua piena aHermazione nella vita sociale durante il secolo XVII? Anzitutto vi appare estremamente libera, almeno per buona parte del secolo. La paralisi causata dal peso della tradizione non sopravverrà che più tardi. Per ora ogni comico si costruisce la sua maschera con immaginazione creatrice - questo soprattutto nei servi - a suo esclusivo piacimento, cioè riferendosi a ciò che delle sue facoltà il pubblico può apprezzare. Non solo i caratteri sono liberi, ma anche i dialetti si muovono al di fuori di ogni norma (si tratta spesso di parodia dei dialetti): in una commedia dello Sca19 la troviamo uno Scaramuccia che parla in lingua, così come in una commedia del Verucci troviamo un Pulcinella che parla fiorentino, sia pure per finzione. Ogni comico tende ancora a inventare la _sua Maschera. I tipi ormai fissi - Pantalone e Graziano - vengono lasciati piutto~to al margine o~pure assunti. n_e~ ruolo di padri-nobili appunto perche non suscett1b1h di variazioni. In realtà non vi sono regola o genere che valgano, come abbiamo visto. Di molte maschere non si conserva una documentazione sicura: esse rimangono indeterminate nelle loro caratteristiche, non si staccano dal nome dell'attore che le inventò. Fra di esse abbiamo appunto Scaramuccia, a diverse riprese presente nelle commedie ridiculose e nelle cronache che narrano dei grandi trionfi di Tiberio Fiorilli (con ogni probabilità il secondogenito di Silvio Fiorillo) a Parigi, dove ebbe la ventura di far da maestro a Molière. Oppure Mezzettino, reso celebre dall'avventuroso Angelo Costantini, e protagonista di molte fra le scene e le commedie raccolte da Evaristo Gherardi. O ancora Buffetto e Beltrame, di cui abbiamo già conosciuto gli interpreti. In verità ogni attore di un certo peso scenico, in quest'epoca, inventa una sua Maschera a cui attribuisce un nome fantasioso, il dialetto nel quale gli è più agevole esprimersi, le particolarità virtuosistiche che gli sono proprie. Soltanto alla fine del secolo verranno a fissarsi anche i nomi e le qualità delle Maschere, cosi che l'interpretazione possa affrontare, per quanto all'improvviso, uno schema già prestabilito, non molto dissimile da quello abituale nel personaggio della commedia premeditata. L'improvvisazione nella Commedia deii'Arte1 di Mario Apollonia L'improvvisazione è una « costante » nell'arte dell'attore; qui è necessario valutaria negli attori dell'Arte: primo, perché toccò a loro l'elaborazione pratica di una dottrina dell'attore; secondo, perché appena scoperta la validità e diciamo pure l'autonomia della loro arte sfrenati come avventurieri, capovolsero in assoluto la loro presenza nell'evento teatrale, e fecero della Commedia dell'Arte una commedia di attori, respingendo a limiti il più possibile estremi, e quasi vanificando, le altre componenti dell'evento, cioè il poeta ed il coro; terzo, perché non solo non è possibile senza una nozione adeguata dell'improvvisazione degli attori una conoscenza adeguata dell'Arte, ma addirittura è impossibile una conoscenza storica del teatro d'Occidente. Per tutta l'età barocca sono Il a imporre la loro presenza a tutti i teatranti, a tutti gli autori, anche, direi, ai drammaturghi più restii ad ammetterli, più propensi ad una trasvalutazione morale e religiosa del fatto teatrale. Illustrare questi tre punti significa ripercorrere buona parte della storia della Commedia dell'Arte. Proprio chi ha incominciato a capir qualcosa di teatro organizzando come storico un fenomeno che sembrava sufficiente al delicato diletto di una erudizione condiscendente, capovolge ora il metodo, e anziché 1 20 f: Da un articolo di Mario Apollonia. 21 F' servire alla storia si serve della storia. E se ne serve per definire il punto centrale della Commedia dell'Arte: l'improvvisazione e l'intervento dell'attore, intervento che si verifica nella cerchia di una improvvisazione forse difficilmente avvertibile, ma senza forse costante. Gli italiani restarono per più tempo i soli che fossero in grado di valutare quel processo dell'improvvisazione. Il fenomeno della improvvisazione fu meno attentamente osservato e valutato di altri fenomeni pertinenti all'Arte; il fatto mimico e coreutico, il gesto e la danza, furono meglio compresi, come di lettura più facile, del fatto verbale. Certo qui non si dice che l'improvvisazione sia solo un processo di intervento su un testo verbale; che anzi, l'attore interviene con tutto se stesso, parola ed abito e gesto, ben visibili e udibili al di fuori e dentro con la propria interezza di persona. Il rapporto (necessario) dei comici dell'Arte con la figura del Giullare nel Medioevo induce spesso a dimenticare che il fatto fondamentale della invenzione teatrale dell'età barocca è proprio l'autonomo definirsi dell'attore a paragone di qualsiasi testo: anzi accade che in quel teatro i poeti, sollecitati dalle immense prospettive che si aprivano a tale particolarissima applicazione della umanistica scoperta dell'impegno totale della persona, risposero con illimiti prodigiose invenzioni di poesia, con i testi drammatici più alati e grandi: il che costringeva gli attori a un paragone che indirettamente confermava la dignità riproposta proposta dai Comici italiani. La verità è che il giullare è diverso dall'attore cinquecentesco: questo fa parte per se stesso e chiede alla poesia la coscienza intuitiva dell'universale, con i mezzi che sono a sua disposizione, il giullare, invece, si collocava subordinatamente, in un ordinamento chiuso, e chiedeva che a tempo e luogo dato (qualche volta in piazza, durante le feste e i mercati, più spesso in corte o ai banchetti) gli si permettesse di esercitare la sua arte, 22 e lì si esibiva con una tecnica chiusa anch'essa cioè esperta di un repertorio, e capace di una limitat~ agibilità. L'attore medievale ha un patrimonio retorico cui attingere ed è un tecnico che tanto più può quanto più sa e con più sottile industria si esercita. A poco a poco, nell'impulso del Cristianesimo che raccomanda di decidere dell'anima a paragone dell'universo, gli artisti vanno disimpegnandosi dalla sudditanza della tecnica, e primi i poeti, ultimi i comici, si dichiarano autonomi, validi alla coincidenza di libertà e di verità. Sia ben chiaro, per formulare un processo storico, che anche il tecnicismo giullaresco, come il loro formar casta chiusa, era un principio di libertà in quanto per lo meno si sottraevano all'arbitrio di chi li voleva schiavi e fissavano una cerchia dove sentirsi padroni; e che nessuna moderna libertà d'invenzione può fare a meno di proporzionarsi a un repertorio di formule, sia pur ridotto come tante volte nei contemporanei, ai minimi termini. Gli attori acquistano dunque autonomia, diventano artisti, nel significato moderno della parola, dì pure poeti della mimica, e più o meno consapevoli di quel che valgono: più o meno, perché sono sempre pronti a barattare la libertà della loro invenzione p~etic~ con la grandigia del servizio prestato al pubblico m quanto despota o ai potenti. I due aspetti premi?enti. di questo mancamento sono i pettegolezzi che nempwn le cronache delle corti. I duchi di Ferrara, di Mantova, di Modena, e il re di Francia, scambiano fitti carteggi per condurre a buon fìne le irrequiete vicende dei comici. Dei pettegolezzi, purtroppo, non possiamo non occuparci: primo perché il più delle notizie sui comici dell'arte, a prescindere da qualche atto notarile, ci vengono dagli archivi di corte, adunati, col gusto tutto pubblicistico della cronaca spesso scandalosa, perché i comici sempre si prestano a recitare anche fuor di scena e a far mito di sé, dopo aver fatto mimo; secondo, perché ci aiu- 23 tana a constatare come questi « poeti » fosser pronti a rinunziare alla loro dignità e alla loro libertà, col pretesto e col vantaggio del mecenatismo e delle occasioni pratiche, quindi a recedere dalla novità della loro responsabilità universale per adattarsi a quella sistemazione pratica e tecnica che toccava ai giullari e ai buffoni. Più imponente e importante l'altro fatto, cioè il primato teatrale dell'attore, affermato adesso e non più perduto, nel « teatro di prosa ». I comici dell'Arte sono abbastanza incerti fra la soluzione prosastica e la soluzione prosodica; ma, senza il loro violento e assurdo esclusivismo il nuovo linguaggio teatrale non si sarebbe neppur potuto definirsi: si sarebbe rimasti all'idea dell'attore come puro tecnico o come puro dicitore adibito ad un oratorio drammatico. Nel far questo seguirono la sorte di tante e tante altre forme della civiltà italiana: si accademizzarono, per salvare in qualche modo le loro prerogative dall'assalto di una concezione e di una prassi troppo austera, troppo alta, troppo libera: vollero mantenere i vantaggi della libertà, senza pagarne lo scotto. E l'accademia dell'Arte, perché di accademia si trattò, fosse pur la più aperta e pronta ad ogni passo a capovolgere l'accademismo dell'improvvisazione nella verità dell'invenzione, seguitò due secoli a sperimentare i vecchi moduli usciti dalla cristallizzazione della commedia italiana del Cinquecento. Lo storico, dopo essersi spostato verso il polo della libertà quando osserva il mutamento radicale introdotto da questo teatro dell'Arte, cioè degli attori, si sposta verso il polo dell'abitudine, cioè della pratica e della necessità, quando li osserva per due secoli indulgere ad una stilizzazione sempre ritornante su se medesima, e ad una condizione accademica delle loro forme espressive. Qui facciamo capo a questa fondamentale peculiarità dell'improvvisazione; e purché si tenga presente che la Commedia dell'Arte è, in quanto è improvvisa, possiamo e dobbiamo percor24 rerla tutta quanta e osservarne gli aspetti. Ma se non si opera questo preliminare processo di riduzione all'improvvisazione di ogni altro elemento, la Commedia dell'Arte corre il pericolo di diventare, il pretesto mitologico per esaltare, nella maschera di una realtà più celebrata che conosciuta, qualcosa che non le appartiene, sostanzialmente ed esclusivamente. Fra gli apologeti dell'Arte puoi annoverare gli zelatori del teatro come circo e dello spettacolo come acrobazia: ed è evidente che se gli attori dell'Arte non esitavano a servirsi delle tradizionali attitudini coreutiche e acrobatiche quando occorresse, non cessavano di essere attori dell'Arte se recitavano in gesti propri del mimo anzi che del ballerino e del funambolo, né il Truffaldino Sacco credeva di derogare quando, vecchio, si contentava del minuetto, invece che dei salti mortali. E chi pensa all'Arte come a spettacolo di « teatro teatrale », dovrebbe esser più cauto considerando che i comici dell'Arte subordinano a sé il teatro come ogni altra cosa, come la Città e come la Corte, o dite il gran teatro del mondo, fanciullescamente persuasi che tocchi loro, e solo a loro, il prodigio della rivelazione artistica : altro è fare un assoluto del teatro, altro fare un assoluto dell'attore. E se dell'Arte si procura una nozione adeguatamente storica, allora quel mondo chiuso s'apre con innumerevoli finestre sul mondo libero, e i librettisti, i « poeti » via via raccolgono negli scenari drammi d'ogni origine. Premessa un'attenzione costante da una parte al repertorio, dall'altra alla possibile, non già necessaria, variazione interpretativa, anche una nozione criticamente valida dall'irrepetibile commedia dell'Arte è possibile. Purché, ripetiamo, si consideri l'improvvisazione come una costante della forma teatrica, che nell'Arte si esercita piuttosto su dati di repertorio che sopra una indicazione scritta. Né c'è bisogno, per far questo di negare una totale intelligenza testuale a tutte le altre forme di tutte le altre 25 arti, che anch'esse si valgono di una notazione parziale e provvisoria. Una affermazione rigoristica del carattere di improvvisazione può ben condurre alla negazione. Quando il Sanesi concludeva il VI capitolo, dedicato all'Arte, nella sua opera sulla Commedia con una desolata e indispettita rinuncia a ricostruire « la vita ormai spenta e l'ormai inafferrabile spirito della multiforme rappresentazione improvvisa» (p. 109), escludeva dal novero dei documenti le commedie scritte di evidente derivazione dall'Arte. Ma fra letteratura e teatro c'è sempre stata frattura, in Italia, anche se le epoche più ricche della teatralità italiana seppero, senza pur dirlo, conciliarli. Il metodo erudito, nella scuola italiana, giunge quasi sempre a conclusioni positive, anche quando muove da fondamenti teorici malfermi; e il Sanesi, quando afferma che i comici « non sempre e non tutto improvvisavano », e che « la loro abilità si riduceva, assai spesso, a scegliere, li per lì, e a trarre prontamente fuori dalla loro memoria quello dei suddetti pezzi che meglio convenisse alla situazione e che potesse con maggior naturalezza inserirsi nel dialogo» (p. 100), stabilisce dei dati di fatto che possono e devono essere collocati in una giustificazione complessa e unitaria dell'Arte; la cui valutazione impone una nuova teoria e una nuova storia del fatto teatrale. Basterà capovolgere la tesi in quella correlata dei comici che recitano premeditatamente, e dire che « non sempre e non tutto recitano premeditatamente », ci si accorge che la differenza fra i comici dell'arte e i comici dell'oratorio non è sostanziale. Non si trattava di testi illustri; ma un testo illustre, definito in sé come valore poetico, quindi legato ad una esperienza individuale; impediva l'assimilazione linguistica e la cristallizzazione necessaria all'attore: mentre un testo mediocre se messo su quella stessa strada, ripete e genericizza quello che nella primordiale invenzione estetica è affidato all'individuazione 26 poetica, ed ha valore solo in lei. Si trattava di testi retorici, e non direi già per pompa di erudizione, o per annobilire culturalisticamente la disprezzata schiatta dei teatranti, ma perché nella concidenza di reminiscenza e di improvvisazione il modulo della variazione retorica si applica nello stesso modo all'arte oratoria come all'arte scenica. L'attore che intonava un soliloquio non sapeva, ma lo sappiamo noi, che il bagaglio di tutto il suo mestiere si accordava benissimo all'intenzione di tale concettismo: a cominciare dalla consapevolezza di parlar per concetti, che è l'unica distinzione possibile fra il connaturato metaforizzare d'ogni parlante e lo stile barocco: il divario fra la natura e la meraviglia. Quando amplificava, nel porgere, obbediva ad un costume che ripeteva nel gesto fastoso l'intenzione della fastosa parola. Quando si panneggiava nell'abito di corte, ripeteva quella stessa amplificazione, indossava quella veste oratoria che sembrava pertinente alla eccezionalità del caso. E la scena, se appena v'erano i denari necessari, ripeteva con i suoi archi, le sue volute, i suoi capricci la finzione di quell'evadere dalla realtà. Tutto ciò era non tanto improvvisato quanto ritrovato a tutt'agio. Si potrebbe pensare anche che l'incontro dei due mondi in apparenza tanto distanti della buffoneria artigiana e della cultura accademica, non solo era possibile, ma necessario. Ogni società ha i suoi attori, e quella dell'età barocca, che si riconosceva sul fondamento di una cultura accademica, aveva gli attori dell'Arte. Accontentiamoci di sottolineare questa, fra le altre circostanze che andiamo segnalando, che ci aiutano a comprendere il processo dell'improvvisazione e a riproporlo, stavolta, non al termine della ricostruzione dell'Arte, ma al suo principio: che ci possiamo render conto del repertorio dell'Arte con sufficiente esattezza d'informazione, e che le variazioni dei singoli attori possono esser documentate via 27 via che in una documentazione crltlca riusciamo ad avvicinare le classi contigue del repertorio comune e della variazione personale. Altri paragrafi dell'Arte escono illuminati da questa precisazione, ricondotta come è alla dichiarata circostanza che ogni interpretazione teatrale, quindi l'arte stessa dell'attore, si basa su un processo di improvvisazione . E imponente paragrafo, anzi capitolo, è il « lazzo ». Non per nulla la storia del termine è chiara, al solito, più che qualunque accurata illustrazione; il primo passo a capire fu quando si ricondusse « lazzi » a « l'azioni », derivando il termine (e questo sarebbe addirittura assurdo, se non si verificasse sempre nell'Arte, dico nell'Arte in atto e nell'Arte ripercorsa con una preoccupazione di intelligenza storica) da una grafia abbreviativa « lazzi » per « l'azzioni ». Lazzi sono « i ace », in dialetto lombardo, che vale gesti, smorfie, buffonerie, quanto era antitetico a quel tranquillo decoro, a quella calma sostenutezza del costume del Medioevo umanistico, erede della contemplativa e dominatrice calma dei bizantini « superbi » e dei romani. Ma, l'intenzione di considerare il lazzo come un frammento, comico, ripropone l'eterno rapporto dell'Arte che per essere o parere libera deve riferirsi ad una concezione unitaria fondamentalmente seria della vita. Il frammento comico, il lazzo, anche se così invadente da occupare tutti quanti i tre atti della commedia, era considerato momentaneo sia alle intrinseche necessità attive della scena, sia a quel tema che era scelto per introdurre il carnevalesco giuoco del ridicolo. Si sa, e non solo per questa via, che la decadenza del comico, come la stessa decadenza del meraviglioso, va di pari passo con l'abbandono di una rigorosa regolamentazione del costume. Un ultimo rapporto è impossibile omettere, anche nel seguito di brevi note. L'improvvisazione dell'Arte va di pari passo con l'improvvisazione nelle altre arti 28 dell'età barocca; e soprattutto letteratura e musica. Della musica non diremo; l'« impromptu» ha una tale varietà di modulazioni e una tanto ricca storia che basterebbe, se esplorato in ogni direzione, a stabilire meglio di ogni altra circostanza l'intelligenza storica e formale dei rapporti che uniscono l'età barocca al Romanticismo. Dell'improvvisazione letteraria la rispondenza fondamentale con l'Arte è questa: che si fondava sul centonare; e che era resa possibile, al pari dell'arte dei comici, dall'esistenza di un repertorio capace di essere ripresentato alla voce con uno sforzo psichicamente così avvertibile da simulare la partecipazione dell'essere, mentre era soltanto una faticosissima concentrazione, che poteva minacciar la salute dello stesso, dotatissimo, giovinetto Metastasio. Ne risultano due precisazioni che non vogliamo sian trascurate. L'una è di natura storica, e aiuta a comprendere la cultura d'Italia nella comune civiltà d'Europa: ch'ebbe appunto la funzione di un repertorio di forme, richiamate in vita con una agevolezza talvolta dolorosa ma nella sua stessa intensità piacevole, e il compito di custodire e di riproporre con immediatezza unica, quasi che la poetica fosse diventata un costume, come era in buona parte, il patrimonio delle forme eccellenti. L'altra è di natura psicologica ed estetica: il valore del comico dell'Arte poteva essere valutato e fino a un certo punto graduato dal fatto mnemonico del suo più o meno esteso possesso del repertorio; e il novizio diligente, come nelle scuole, era quello che sapeva di più, che apprendeva meglio il repertorio, che sapeva disciplinare con un esercizio assiduo il suo corpo ad eseguire questa o quella movenza, acrobatica che fosse o mimica; ma solo fino a un certo punto: al di là, ma anche al di qua di quel punto, esisteva e subito si rivelava, meglio che non si riveli oggi, la disposizione nativa dell'ingegno, il talento, una qualità che per essere, come sempre si disse, « inconfondibile » resta misteriosa: 29 fa capo infatti alla personalità, dunque all'anima. E il talento, la singolarità, la « divinità » virtuosa, come si disse allora, del commediante era valutabile dalla sua particolare incidenza nel repertorio, dal modo del suo ripercorrerlo e riviverlo, dall'intensità del suo incontro. Dalla intensità, diciamo pure cominciando: perché dato il fatto mnemonico e la necessità di richiamare alla memoria il repertorio nell'attualità non automatica, ma psicologica, della recitazione improvvisa, un metodo sicuro per graduare quel giudizio di valore sul commediante era di misurare l'intensità psicologica del suo intervento: di tanto egli « rapiva » (si diceva proprio così) gli spettatori fuor di se stessi di quanto penetrava lui nella formula affettagli dal repertorio. Ma fissata questa intensità che nel commediante, come in genere in ogni improvvisatore, era un fatto psichico e nello spettatore diventava un fatto emotivo, restava aperta quella più profonda partecipazione, sempre possibile, ma in quel teatro « chiuso » non necessaria, che era la reviviscenza attraverso la forma estetica innovata e perciò rivelata da capo . Qui la sorte e la grandezza dell'attore dell'Arte erano e sono le stesse che dell'attore della commedia premeditata. Ma l'attore dell'Arte aveva sempre con sé, e apertissimamente denunciato, un limite che l'attore premeditato non possedeva e non possiede: la maschera. Egli era una volta per tutte uscito dalla cotidianeità dei rapporti triti, non doveva percorrere ogni volta e da capo l'itinerario fra la pratica e la poetica, era per sempre diventato da se stesso diverso, Arlecchino o Brighella, Orazio o Lelio, Pantaleone o il Dottore, Isabella o Lavinia, Franceschina o il Capitano. Se era poeta doveva oltrepassare il dato immobile del suo tipo, metter la sua « persona » a confronto con la sua « maschera ». Se era soltanto artista poteva artigianamente interesse l'ennesima ripetizione intorno al tema dato e connaturato. 30 TESTIMONIANZE DI LAVORO ' NOTA SU GROTOWSKI 1 di Jerzy Grotowski da « Per un teatro povero » .. . le nostre regìe intendono essere ricerche dettagliate sul rapporto pubblico-attore. Noi riteniamo in effetti che la tecnica scenica e personale dell'attore sia il nucleo dell'arte teatrale . GROTOWSKI - l GROTOWSKI ... Il teatro può esistere senza testo? Sì. La storia del teatro ce lo conferma: nell'evoluzione dell'arte teatrale, il testo è stato uno degli ultimi elementi ad essere introdotto. GROTOWSKI ... L'attore è un uomo che, lavorando in pubblico con il suo corpo, lo dà pubblicamente. Se questo corpo si limita a mostrare ciò che è - cosa alla portata di chiunque - esso non sarà allora un docile strumento per compiere un atto spirituale. Se esso sarà sfruttato per denaro e per guadagnare il favore del pubblico allora l'arte dell'attore confinerà con la prostituzione. 1 IL DOTTOR GRATIANO - da «Isabella comica gelosa» (rivolgendosi ad Isabella Canali - poi Isabella Andreini) Histrionum ars, e dico Arte giovincelletto, consistit in dando delectationem aliis in dictis vel in factis. Ne deriva che la persona che dee recitare bisogna che sia intendente! Perché questo nostro comico esercizio consiste e nello intendere e nel farsi intendere. Lo intendere è nobil parte dell'intelletto, e il farsi intendere è eccellenza della lingua, della voce, e del gesto . IL MAGNIFICO Onde s'è necessarissimo saver come se gesticula, come se porta la voce, e come s'adopera la lengua .. . FRANCATRIPPA Cominciamo ad esaminare il gesto, si, si, si. Che comincia, il gesto, a notificare quello che poi la lingua ha da pronunciare. FRANCESCHINA ... Perché sl come il concetto si imprime avanti nell'animo prima che si scuopra nella lingua, cosl il gesto, puro affetto dell'animo, dee precedere alla lingua nella espressione di esso . « Per un teatro povero » - Ed. Bulzoni. 32 33 ~· i li il 1: l i GROTOWSKI ... qui l'attore che scopre se stesso ed offre ciò che vi è di più intimo in lui, deve essere in grado di manifestare anche i più impercettibili impulsi psichici: deve poter esternare, grazie al suono e al movimento, quegli impulsi che oscillano fra la sfera del sogno e quella della realtà. Deve poter costruire un suo proprio linguaggio psichico-analitico di suoni e di gesti così come un grande poeta crea un suo proprio linguaggio di parole. GROTOWSKI Consideriamo il problema del suono: la duttilità dell'apparato respiratorio e vocale dell'attore deve essere immensamente più sviluppata di quella dell'uomo di strada perché deve poter eseguire qualsiasi riflesso sonoro così rapidamente che il pensiero, che gli toglierebbe ogni spontaneità, non abbia il tempo di soffermarcisi. GROTOWSKI L'attore deve essere in grado di risolvere tutti i problemi del suo corpo che gli è possibile intendere. Deve sapere come dirigere l'aria verso quelle parti del corpo che possono creare un suono ed amplificarlo. Il fattore determinante di questo processo è costituito dalla tecnica di penetrazione psichica dell'attore. Egli deve imparare a far uso del suo corpo come di un bisturi che gli serva per auto-sezionarsi. È necessario ricorrere a un linguaggio metaforico, e dire che in questo processo l'elemento determinante è la umiltà, una predisposizione spirituale: non voler fare una data cosa, ma rinunziare a non farla. Ogni spettacolo deve essere come uno specchio in cui è possibile guardarsi, vedervi riflesse le nostre idee e le nostre tradizioni e non soltanto una descrizione di ciò che in passato pensavano e sentivano altri uomini. 34 IL MAGNIFICO Onde udendo la lingua pronunciar cielo, dee l'occhio il cielo mirare in quello istante che la lingua vuoi dare principio a pronunciarlo ... Dai Zanin, ataca, dai fa ghe veder .... (uno Zanni esegue una o due esemplificazioni per Isabella, che osserva affascina t a) Ecco, hatu vedu il gesto aver fatto lo effetto, che agevole scuopre l' affeto de lo animo! IL MAGNIFICO E se la lingua non può ben pronunciare per difetto naturale o accidentale, colui che ben a tempo gesticula, di questo magnifico affetto rende capace ogni ascoltante. IL MAGNIFICO E voi che fate professione di parlar in pubblico ricordatevi che il concetto senza il gesto è appunto un corpo senza lo spirito. Avvertendo che non si faccia come certi comicaroli che ho visto e che vedo molte volte ... Che se girano gli occhi paiono spiritati (lo Zanni propone una nuova esemplificazione) Che se muovono il piede paiono ballerini (II esemplificazione) Se muovono le braccia barbagianni che volano (III esemplificazione) Certi caminano il palco con un passo che pare che i scapa (IV esemplificazione) Altri pò i se strassina che pare che vegna da longa via (V esemplificazione) Si ricordasero tuti che ... LA SCENA SE FIGURA UNA PIAZZA! .35 l' Improvvisazione ed essenza di C. Marowitz 1 Facemmo parecchie improvvisazioni convenzionali (cioè costruite su azioni e riducibili a battute) ma il lavoro più utile derivò dalle variazioni e dagli ampliamenti del sistema d'approccio del Metodo. Per esempio: dopo aver recitato una scena, si chiedeva all'attore di dividere l'improvvisazione in tre unità e di dare un titolo di una riga a ogni unità . Una volta fatto questo e convenuto all'unanimità che le righetitolo erano appropriate alla situazione appena recitata, la scena veniva ripetuta di nuovo in modo completo, ma gli attori dovevano usare come dialogo, solamente le tre brevi righe-titolo. Poi all'attore veniva chiesto di scegliere una parola di ogni riga-titolo e si recitava la scena per la terza volta usando come dialogo esclusivamente i suoni che componevano queste parole. Allora (e solo allora) l'attore poteva scegliere un suono che descriveva accuratamente la qualità essenziale della scena, e la si recitava per l'ultima volta, usando variazioni di quel suono. Il recitare con i suoni comportava invariabilmente un uso non naturalistico dei movimenti, ed era affascinante vedere, una volta che la situazione era stata riportata ai suoi impulsi base, come il movimento esprimeva graficamente le intenzioni recondite della scena. 1 Da << Ribellione e rassegnazione >> di C. Marowitz - Ed. De Donato. 37 Esempio di una scena A vuol rompere un legame di lunga data con la sua amichetta, B. Egli ora si rende conto di non amarla e che sarebbe una follia sposarla . B, nonostante questo, si attacca disperatamente ad A e non può sopportare l'idea di perderlo; cerca con tutte le sue forze di continuare la relazione . Scena della rottura in termini di righe-titolo: prima versione RAGAZZO : l Voglio rompere questa relazione. 2 Voglio essere il più gentile possibile. 3 Non riuscirà a indurmi a cambiare idea. RAGAZZA: l Voglio mantenere il mio possesso su di lui. 2 - Voglio farlo ragionare per far sì che cambi idea. 3 - Mi rifiuto di essere ferita. Seconda versione: parole essenziali RAGAZZO: Rompere Gentile Non voglio RAGAZZA: T enerlo Ragione Rifiuto Terza versione: suoni RAGAZZO: Ey-aye-oghn RAGAZZA: Eey-zoohz (I suoni sono fluidi e liberi, semplicemente basati sulle vocali e le consonanti delle parole essenziali). Stanislavszij e Artaud Cresciuto con Stanislavsij e l'ideale della veritànascosta, fu un certo colpo per me scoprire che vi era anche una verità-superficiale, e che in alcuni contesti, quest'ultima era ancor più persuasiva della pre38 cedente. Fu ancora più difficile realizzare che l'artificio e la frode artistica completa potevano creare una verità assoluta per un uditorio e quindi, secondo le regole dogmatiche che governano la recitazione, erano legittime. La spiegazione del Metodo per quanto riguarda la verità-nascosta è valida solo se è vera la sua principale giustificazione cioè che i sentimenti provati dallo spettatore hanno la stessa intensità di quelli dell'attore. Ma sappiamo tutti che non è sempre così e che non riescono a comunicare al pubblico altro che sforzo e tensione. Ed è altrettanto vero che un attore, che è poco comunicativo, ma che compie i gesti adatti nel contesto giusto, può avere - quasi involontariamente - un enorme effetto sull'uditorio . La prova della verità per l'attore secondo il Metodo è l'autenticità dei suoi sentimenti personali. L'attore che segue il metodo di Artaud sa che il sentimento non trasformato in un'immagine comunicativa, è come una lettera appassionata senza francobollo; mentre il sentimento puro può essere sdolcinato o angoscioso, un'immagine scenica ben congegnata - un gesto, un movimento, una sequenza di azioni - è una dichiarazione in se stessa, che non ha bisogno di essere potenziata dal sentimento per essere raccolta, ma, quando ha una critica emotiva, è venti volte più efficace. Non vi è nessuna fondamentale ragione d'attrito fra un attore del Metodo ed un seguace d'Artaud; ambedue cercano coscientemente di liberare il subconscio, ma, mentre l'attore del Metodo è legato ad una motivazione razionale, l'attore secondo Artaud si rende conto che la verità artistica più alta non può essere dimostrata. Come vi sono alcuni rari fenomeni naturali che non possono essere spiegati dall'analisi scientifica, ma possono esistere, così il compito dell'attore è di far sì che essi si realizzino. L'attore secondo Artaud ha bisogno di Stanislav39 skij per poter verificare la natura dei sentimenti che egli sprigiona, altrimenti ne diventa una vittima. Persino il lodato attore-in-trance di Artaud è responsabile dello spirito che parla per la sua bocca. Una seduta in cui non viene comunicato nient'altro che l'atmosfera non ha neppure la metà del valore di quella in cui si riceve anche un messaggio forte e chiaro. Si arriva con metodo fino allo stato stesso di trance : il segreto del medium è di sapere quando bisogna azionare il meccanismo che lo provoca, in modo da elevarsi. Lo stesso avviene per l'attore - qualsiasi attore - che usa l'intelletto o l'istinto per portarsi al vero e proprio trampolino di lancio. Cambiare le marce Improvvisazione Tre attori A, B, C, hanno dei suoni-chiave (una campana per il primo, una cicala per il secondo, un gong per il terzo). Quando l'attore A sente il suo suono, inizia una scena mentre B e C, che si adattano alla scelta di A, entrano in azione il più rapidamente possibile. Dopo due o tre minuti, quando la scena sta arrivando al suo culmine, o sta rapidamente calando per la mancanza di iniziativa si sente il suono-chiave di B. B immediatamente sal~a in una situazione completamente nuova, senza alcun legame con quella precedente; A e C, vi si adattano rapidamente. Dopo un breve sviluppo, si sente il segnale di C, un'altra scena assolutamente diversa gli altri vi adattano ecc. ecc. ' Importante quanto il materiale che viene usato per la scena è il momento scelto per interromperla e cominciarne una nuova. Quasi in ogni improvvisazione vi è un momento in cui si raggiunge un culmine dopo di che si muove velocemente verso la risoluzione. Se si riesce a far scattare la nuova scena proprio in quell'attimo, l'attore deve attingere alle 40 sue risorse d'emergenza . Improvvisazioni di questo genere sono nutrite (e qualche volta distrutte) dal senso di pericolo che sprigionano. Vi è un imperativo inesplicabile per gli attori: essi devono pensare ad agire con la velocità del lampo; essi sanno che in un periodo di sette-o-dieci minuti, devono inventare fino a cinque o sei situazioni differenti, presto scoprono di non poter imbrogliare preparandosi in anticipo, perché si capisce subito quando una scelta è premeditata (come è evidente la scelta istintiva ed appropriata, che non può venire solo dalle circostanze del caso) . L'esercizio porta alla luce una qualità che gli attori in generale non si accorgono di possedere: l'abilità di associare liberamente senza preoccuparsi di un personaggio base o di una consistenza logica. Do grande importanza a questo esercizio, che rivela come attori che non avevano mai sentito parlare di surrealismo, sotto la pressione di dover cambiare marcia, sono in grado di fare le scelte surrealiste più sorprendenti; attori che proclamano di non aver nessun senso di umorismo, improvvisamente si trovavano ad attingere a inesauribili pozzi di fantasia e di assurdità che si trovavano alle soglie del loro subconscio. Sono scelte che gli attori, se avessero il tempo di preordinarle, non avrebbero mai fatto, che avrebbero attenuato o modificato, e che balzano fuori con chiarezza ed audacia sorprendenti. Ci sono attori e attori Il marchio del buon attore è il suo atteggiamento riguardo i cambiamenti. La maggior parte degli attori prende delle decisioni all'inizio delle prove, calcola la distanza più breve fra due punti e quindi procede in linea retta . Per questi individui, il periodo delle prove è una galleria con una luce a ciascuna estremità, separate da un grande intervallo di tenebre. Un altro tipo di attore possiede l'abilità di ripensare 41 a riorganizzare la sua parte durante tutto questo tempo; segue ogni traccia e si piega ad ogni cambiamento, non è scoraggiato dalle deviazioni e dalle strade secondarie; gli ci vorrà un tempo maggiore per arrivare alla metà, ma arriverà in un secondo tempo con un risultato migliore e più levigato. L'atteggiamento verso i cambiamenti quasi distingue due categorie ben diverse di attori, e nell'Inghilterra d'oggi, queste due categorie si mescolano in quasi ciascuna compagnia. È troppo sbrigativo affibbiare ad una categoria la qualifica di tradizionali e di moderni all'altra, ma vi è un granello di verità in tale distinzione, poiché gli attori che sono passati per il Royal Court, il Theatre Workshop e il fermento degli ultimi dieci anni tendono ad avere un atteggiamento più aperto di quanto non abbiano gli attori con un passato accademico, una pratica di repertorio, una formazione più vecchia. Ciascuna di queste categorie ha un linguaggio proprio. TRADIZIONALI Stabiliamo un programma Stabiliamo le inflessioni e le interpretazioni. Stabiliamo tutto il più presto possibile Recitiamo per far ridere Prendiamo decisioni definitive il più in fretta possibile Era un pubblico maldisposto Prendo ordini Sono mascherato? Posso essere udito? Non ottengo niente dal mio collega Proprio come l'abbiamo provata Andiamo avanti e smettiamo di fare gli intellettuali Più sentimento Teniamo la pausa Tutto è nel testo Io reciterò questa parte simbolicamente Io sono il cattivo 42 MODERNI Analizziamo il testo Recitiamo secondo il senso e lasciamo che le inflessioni risultino da sole Muoviamoci liberamente il più a lungo possibile Recitiamo per stabilire un contatto Le decisioni finali il più tardi possibile, sempre con la possibilità di mutarle Era un cattivo spettacolo Offro suggerimenti In questo momento, io sono importante per la commedia? Le mie intenzioni sono chiare? Non ottengo quello che mi aspettavo e quindi mi dovrò adattare Come lo richiede lo spettacolo Cerchiamo di risolvere i problemi con tutte le forze della nostra ragione Maggior chiarezza di intenzioni Molti anni di esperienzn professionale mi convincono che ... Parlare con per ottenere maggior sentimento Riempiamo la pausa Tutto è nel sotto-testo Io non posso recitare dei concetti, solo delle azioni Rifiuto di dare un giudizio morale sul mio personaggio Niente è mai lo stesso colori Esercizio Sei appena uscito dal tuo appartamento, hai chiuso la porta a chiave e messa la chiave in tasca, cammini fino all'ascensore e schiacci il bottone . Per caso, dai uno sguardo al giornale mentre aspetti che arrivi la cabina. Quando si sente un suono-chiave, la cabina arriva, le porte si aprono automaticamente e nell'ascensore scopri una persona del tutto inaspettata verso di cui provi un sentimento specifico, molto forte di un genere o di un altro (l'attore lo decide in anticipo). In quel momento, corri al cavalletto ed immediatamente esprimi questo atteggiamento con i colori. Come nell'esercizio simile in cui si usavano le lettere, il momento più delicato dell'esercizio è quello in cui l'attore si trova con lo sconosciuto e si muove per esprimere il suo atteggiamento. Se si riesce a legare organicamente uno all'altro, il risultato è chiaro e comunicabile. Se vi è un'esitazione anche di un solo secondo, il risultato è cosciente, poco naturale e semplicemente illustrativo. Un'ulteriore versione di questo esercizio, che ebbe un maggiore successo, fu il far recitare all'attore una scenetta improvvisata con lo straniero, in cui si manifestava chiaramente l'atteggiamento scelto. Quindi, avere una scena provvisoria nell'interno dell'appartamento, seguita dalla situazione dell'esercizio; altrimenti l'attore lavora quasi esclusivamente su riferimenti di tipo mentale. All'inizio i risultati pittorici erano sciatti e abbor43 raciati · alla terza o alla quarta ripetizione diventarono quasi artistici, nel senso che erano macch!e significative, impressioniste, che. r~almen_te su~genvan~ uno stato d'animo, comprens1blle agh altn membn del gruppo. L'esercizio con i c?lori fu in:piegato direttamente in ]e jet de sang d1 Artaud, m Le Paravents sotto la direzione dell'autore e, in una versione più sofisticata, in Marat-Sade. Note varie e appunti della prima versione di << Isabella n nel primo periodo di allestimento di Alessandro Giupponi PREMESSA : settembre 1971 ho creduto bene far precedere questa intestazione alla serie non organica di noterelle che seguiranno, per chiarire che esse non vogliono assolutamente apparire come « appunti di regìe », ma più semplicemente come una specie di « diario » relativo al primo periodo di allestimento di « Isabella » . Vorrei sottolineare inoltre che queste note non possono venire considerate uno strumento di « lettura » della prossima versione dello spettacolo, le cui prove devono ancora iniziare, e che, per le sue naturali caratteristiche resta, più d'ogni altro, un fatto teatrale assolutamente « aperto » e come tale modificabile di momento in momento. Penso quindi che ben oltre la metodologia dell'imposta registica, sia interessante poter avere alcuni esempi della nostra voluta « imprevedibilità » di lavoro, perecedentemente non « codificate », ed ancor più ora non « codificabile », in ogni elemento dello spettacolo, cominciando dal testo e così, via via, sino al gesto apparentemente più insignificante dell'ultima comparsa. Venezia 2 Agosto 19 71. Prima riunione con alcuni attori che interpreteranno le parti di alcuni Comici della Compagnia dei Gelosi. Abbiamo a nostra disposizione il copione del I At- 44 45 ,, i' il to. Più che di un vero e proprio copione siamo di fronte ad un grandissimo lavoro di ricerca e di originale accostamento organico di materiali autentici della Commedia dell'Arte che Enriquez ha letteralmente spulciato e poi adattato ed in parte rielaborato in oltre due anni di studio. Fino ad oggi gli attori non hanno mai avuto (come nessun altro d'altronde) la possibilità di leggere il risultato di questa enorme operazione drammaturgica e registica al contempo. Enriquez aveva sempre spiegato a viva voce, ed in modo affascinante, un suo « scenario » di questo storia di Isabella Andreini che andava via via chiarendo a lui stesso al passo col procedere delle sue ricerche. Seguendo la biografia di Isabella Andreini curata da Vito Pandolfi, la sua storia « minuta » come i più drammatici avvenimenti della vita di questa prima grande « diva » nel nostro teatro moderno, Enriquez aveva trovato (intuendo prima e riscontrando poi) più che dei semplici nessi, i gangli vitali di una indissolubile connessione tra gli avvenimenti biografici e i significati più intimi e misteriosi dei « perché » e dei « modi » della commedia all'improvviso. Tuttavia il risultato scritto, al 2 di Agosto, se era chiarissimo ed eccitantissimo per Enriquez e per me, (che vi avevamo dedicato mesi e mesi), risultò alla prima lettura comicamente imbarazzante per gli attori che per primi subirono l'impatto con i testi antichi dell'Improvviso e per di più nei dialetti originali dell'epoca. Man mano che si procedeva nella lettura dei pezzi, si osservava nei loro occhi il montare di una serie di difficoltà che arrivarono, in poche ore, in molti di loro, a una vera« disperazione ». La mentalità di preparatissimi attori moderni subiva lo choch dell'incontro con una sorprendente e forse maggiore modernità di attori di 4 secoli addietro! Venivano a mancar loro, apparentemente, gli appigli necessari a sviluppare testo, situazioni e ruolo 46 che ogni « copione teatrale » di oggi contiene e suggerisce. Ogni pezzo, ogni tirata, ogni bisticcio, ogni canzoncina o ballata, si presentava loro a se stante priva di collegamento e di sviluppo drammatico co~ i pezzi susseguenti. Le situazioni, attraverso le scarne r~ghe scritte in infernali e misteriose « lingue » antiche, non sembrano enuclearsi né teatralmente né con sufficiente chiarezza. Mancavano tra parentesi le rincuoranti indicazioni di movimenti, di ingressi, di uscite o di stati d'animo e così via, alle quali essi erano « da sempre » abituati e sulle quali si adagiavano per « sviluppare il personaggio ». Non si trattava più di « inventare su qualcosa di indicato », ma molto più semplicemente di « inventare » e basta. Enriquez li aiutava chiarendo ogni passo, ogni situazione, spiegava ogni intenzione, ogni relazione nascosta: gli occhi erano sempre più sbarrati. Per rincuorarli e rassicurarli disse che quello non era materiale da leggere a tavolino, ma lo spettacolo poteva nascere e chiarirsi a loro solo sulle tavole del palcoscenico, là dove ognuna di quelle parole era nata. Andarono tutti a Ietto ancora più sconvolti quella notte! Sirolo 3 Agosto. Avevamo da tempo previste, almeno in parte, queste difficoltà degli attori (e non solo degli attori) e avevamo cercato di premunirei facendo in modo di trovare sul luogo di prova scene, costumi ed oggetti pronti ad essere usati sin dal primo giorno. Ogni cosa però era allo stadio di un progetto avanzato, ma non ultimato o definito. C'erano cioè tutti i materiali che Enriquez aveva potuto logicamente prevedere come indispensabili, ma sapevamo tutti che essi non erano che strumenti 47 di partenza e che risolvevano in teoria solo la prima serie di difficoltà prevedibili, che lo spettacolo avrebbe presentato. Costretti, per necessità, a provare in un ambiente chiuso e tradizionale (il teatro Comunale di Sirolo), mentre Enriquez avrebbe preferito uno spazio più aperto o comunque più anonimo e disponibile (che avevamo cercato invano per giorni) decidemmo di iniziare il montaggio della « scena » di Luzzati invertendo i rapporti visivi tradizionali. Togliemmo cioè tutte le poltrone della sala, (che ci rese così un sufficiente spazio semicircolare) e vi costruimmo la « scena », e dopo aver sgombrato il palcoscenico, vi poggiammo sopra una serie di file di poltrone, ed un lungo tavolo di regìa, trasformandolo così in una specie di galleria. 4 Agosto. L'idea di Luzzati per la scenografia di Isabella teneva conto di due esigenze fondamentali: il particolarissimo tipo di spettacolo, e il particolarissimo luogo di spettacolo dove avremmo debuttato (il Teatro Olimpico di Vicenza). Per questo motivo ho fin'ora riportato tra virgolette la parola « scena »: più propriamente si tratta di una meravigliosa macchina teatrale che ci riserverà sicuramente ancora un'infinità di eccitanti sorprese e di possibili invenzioni. Quelle che ci sembravano difficoltà di montaggio in un luogo non adatto, divennero subito per Enriquez, per Luzzati e per tutti noi, uno stimolo continuo alla soluzione dei problemi inventando nuove possibilità. Le situazioni generali dello spettacolo si venivano chiarendo, ed ogni soluzione sgorgava poi in una seconda che ciascun attore poteva utilizzare per sé e per il proprio personaggio. Di questo ci accorgem- 48 mo subito quel pomeriggio quando gli attori ebbero il primo incontro con la « macchina » di Luzzati. Non era ancora che al cinquanta per cento quello che poi sarebbe diventata per noi nel corso delle prove: cioè tutto. 5 Agosto. Con la prova « in piedi » del 4 notte si era definitivamente chiarito a tutti cosa intendeva Enriquez per « ritmo» di prove. Non certo il gravoso numero di ore di lavoro o la fatica fisica eccessiva (tutto ciò era ... normale), ma lo snervante stimolo interno che doveva portare ciascun attore a regolare la ricerca della propria fantasia e la capacità d'improvvisazione su un piano organico a quello degli altri e in un risultato generale di spettacolo che avesse i requisiti della chiarezza e della immediatezza. Dovevamo tutti, chi più chi meno, in un mese cambiare gran parte della nostra mentalità. Enriquez, che aveva previsto tutto ciò, funziona i primi giorni soprattutto da « elettrochoch »: le crisi nervose furono numerose, ma dopo pochissimi giorni diedero i loro primi frutti. Fin dalla seconda o terza sera gli attori che interpretavano i ruoli dei Comici Gelosi, nelle pause o a cena cominciavano a parlare ciascuno in un suo stentato dialetto. 6 Agosto. Enriquez occupa le pochissime ore libere del mattino a « scrivere il suo scenario », io lo aiuto a metterlo in ordine. Stiamo ultimando la seconda parte che presenta tra le varie difficoltà, una che pare insuperabile. Il secondo atto si sviluppa, anche nello svolgersi della trama, su due diversi piani di racconto, di interpretazione e di situazioni drammatiche. I comici sono in 49 carcere (la macchina che da carro era diventata teatrino nel primo atto, ora da teatrino diventa carcere restando sempre però nella sua dichiarata « identità >; di macchina). Isabella vaga tutta la notte, passando un doloroso calvario di esperienze, cercando di convincere il Duca Guglielmo, poi il figlio di lui e poi un Cardinale fratello del Duca, a concedere la grazia ai suoi colleghi condannati alla forca. Non si tratta di un semplice alternarsi di scene: una sul carcere e una sotto e così via. Si tratta di trovare gli strumenti espressivi giusti per capovolgere quasi le situazioni. I comici, costretti a passare la loro ultima notte recitando e divertendo gli aguzzini, hanno accenti di grande verità, mentre Isabella, nel cercare di convincere i potenti a concedere la grazia, forza se stessa in espressioni e in situazioni « recitate ». Cercando di seguire questa strada si cozzava con la stridente differenza che passava tra il dialetto ed il linguaggio dei Comici che recitavano nelle scene del carcere ed il linguaggio, diciamo di « prosa », delle scene dialogate di Isabella col Duca e con gli altri. Questo problema lo risolvemmo negli ultimi giorni; intanto lavoravamo anche cercando tra i materiali dell'epoca nella speranza di trovare pezzi che, pur non essendo della Commedia dell'Arte, ci potessero risolvere le scene « dialogate ». Le nostre giornate d lavoro presero quasi subito l'aspetto dell'Improvviso ... Nessun altro spettacolo potrà mai essere provato in modo così intenso e al contempo in modo apparentemente così disorganico, ma invece così organico alla ricerca che quel tipo di lavoro non solo permetteva, ma richiedeva. Arrivammo a provare contemporaneamente anche in quattro posti diversi, in quattro gruppi diversi, pezzi di spettacolo diversi. Apparentemente sembra50 va che ciascun gruppo lavorasse alla cieca e solo su di una propria particolare situazione drammatica, in realtà non era affatto così, anzi era esattamente il contrario. 7 Agosto. Il lavoro della mattina che potremmo chiamare « sui testi » o meglio « attorno ai testi » una volta che a Enriquez sembrava di aver trovato una strada che avrebbe potuto portare alla soluzione di uno dei nodi (ed inoltre nel corso del lavoro del pomeriggio e della notte se ne presentavano sempre dei nuovi!) veniva da lui spiegato e discusso non solo con tutti noi collaboratori, ma con gli stessi attori interessati e con i tecnici che, in funzione delle scelte che si sarebbero intraprese, avrebbero « arricchito » la macchina di nuove ingegnose disponibilità. Ogni suggerimento di un fatto « letterario » (un brano, il dialogo tratto da uno scenario, il testo di una canzone diviso in battute e così via) si tramutava, nel giro di poche ore, in genuino fatto teatrale, in azione, in movimento, in musica e così via . Si verificava così, come conseguenza diretta, logica e naturale, che nel pomeriggio un gruppo poteva lavorare col maestro Chiaramello e col suo assistente ad una nuova musica, mentre Marisce Flach e Angelo Corti, in un'altra sala e con altri attori elaboravano situazioni mimiche e di movimento che si agganciavano alla musica che si stava provando dall'altra parte, mentre Luzzati con i suoi assistenti dotava la macchina di un « trucco » o di una soluzione che rendesse possibile lo svilupparsi scenico di quanto si stava provando. La sera, in prova collettiva, Enriquez fondeva, amalgamava, cambiava e reinventava, dalle varie proposte, un unicum di situazione drammatica che, se anche era totalmente diverso da ciascun risultato del51 le « prove pomeridiane », ne teneva presente il tipo di ricerca o l'impostazione di lavoro. L'atteggiamento di Enriquez che ho definito da « elettrochoch » era cioè una continua provocazione all'elaborazione individuale, all'invenzione personale su una strada che lui aveva da tempo ben chiara. L'attore che, nei primi giorni, poteva aver avuto la sensazione di sentirsi abbandonato e non « guidato » dal regista, trovava ora in se stesso, in un lavoro continuo di ricerca, i più adeguati strumenti espressivi ad una situazione che l'analogo lavoro dei colleghi e di tutti noi gli andava chiarendo e che lui stesso con le sue « invenzioni » suggeriva e chiariva a sua volta a noi. In questo modo mi fu possibile, ad esempio, lavorare, di mattina con Gianni Cavina, alla « riscrittura » del suo « Testamento del Dottor Graziano » tagliando, posponendo rime, riscrivendone altre· ~ poi provare con lui a sbozzare tutto il corpo del ~o nologo, che poi (certo solo nelle sue linee generali) andò bene ad Enriquez, nella misura in cui si inserì organicamente con gli altri « pezzi » recitati da altri attori nella scena III del carcere. Non fu un caso che questo pezzo (che non ci portò via più di due soli giorni di lavoro) fu poco modificato da Enriquez, né noi fummo particolarmente bravi nell'allestirlo: avevamo semplicemente e naturalmente seguito una logica di spettacolo, una metodologia « d'invenzione » che Enriquez andava chiarendo a tutti fin da prima del primo giorno di prove. Casi come quello che ho citato, per conoscenza diretta, ce ne furono moltissimi. 8 Agosto-18 Agosto. I dieci giorni centrali delle prove si svilupparono su questi piani di lavoro. Cavina parlava in bolognese antico anche quando 52 andava dal tabaccaio a comprare le sigarette, e per le stradine del paese si sentivano spesso cori di « Comici dell'Arte» che cantavano e recitavano ormai non solo su ritmi collettivi armonici, ma su esatti ritmi individuali anche senza bisogno dell'accompagnamento delle musiche di Chiaramello. 20 Agosto. Sulla base di questo tipo di lavoro e di maturazione (con la macchina di Luzzati che continuava a rispondere sempre più e sempre meglio a tutti gli stimoli e che, ormai « guidata » da 5 o 6 tecnici contemporaneamente, viveva di vita sua e faceva a sua volta « vivere » tutte le situazioni che vi si svolgevano sopra o attorno) fu possibile a Enriquez inventare l'inizio dello spettacolo in meno di due giorni di lavoro (massacrante però!). Quell'inizio di spettacolo che nell'edizione di Vicenza era l'ingresso e il gran prologo dei Comici dell'Arte (e che forse nella prosssima edizione di Torino non lo sarà più) e che sugli antichi testi originali raccolti da Pandolfi era la Canzone del Carnevale e non era che una bella filastrocca di 3 pagine, diventò una « storia » che si raccontava visivamente da sé in quasi un quarto d'ora di spettacolo fatto di musica, di canti, di balli, di battute, di lazzi, di circa venticinque persone che, assieme in palcoscenico, mentre ci « davano » una pirotecnica e fastosa presentazione del mondo della Commedia dell'Arte, non rinunciavano, ciascuno per proprio conto, ad una presentazione rigorosa e prefetta sia del proprio personaggio che della propria « maschera ». 21-22-23 Agosto. In quei giorni si erano costruite le maschere non solo, ovviamente su ciascun personaggio, ma su ciascun attore. Pensavamo, in un primo momento, di 53 essere in ritardo con i tempi di assuefazione necessari ad ogni attore per far « vivere » la propria maschera. Anche qui i fatti ci smentirono subito. Il lavoro di Enriquez aveva portato tutti, direi quasi inconsciamente, ad una esigenza, ad un bisogno della maschera. Il risultato fu incredibile ed entusiasmante: la maschera era già nata col nascere del personaggio che ogni attore interpretava. Sul palcoscenico, nelle prove generali (se così si può dire) al chiuso, si presentò una forma, un definito sistema di segni visivi, mimici e gestuali che, se era da un lato il risultato del lavoro cui ho accennato, era dall'altro la base per un nuovo lavoro di sviluppo, di nuovo inventare che permetteva, volendo, anche l'allestimento di un altro spettacolo totalmente nuovo. Avevamo probabilmente definito in noi stessi alcuni procedimenti spettacolari della Commedia dell' Arte, nei quali si potevano immettere « contenuti » sempre diversi, che imponevano comunque le regole del gioco. 24-25 Agosto. La strada seguita da Enriquez, l'unico ad averlo sempre « intuito », si dimostrava giusta proprio nel lavoro e nel suo risultato sul palcoscenico. Le unità comiche fondamentali su cui egli aveva composto il suo gioco scenico, si rivelavano esatte, un giorno dopo. All'aperto, su di un enorme palco, davanti ad una platea di oltre 2.000 persone (tutta Sirolo e centinaia di villeggianti), senza effetti di luce, con moltissimi particolari tecnici non finiti o ultimati, lo spettacolo si snodò con una chiarezza incredibile e con una partecipazione di pubblico entusiasmante. Era una prova generale, aperta al pubblico, che ci fece scoprire... un « mondo »: lo spetta54 colo, che alcuni di noi temevano discontinuo per la sua natura, reggeva addirittura le interruzioni del regista, manteneva i suoi ritmi, anzi andava in crescendo. Enriquez ebbe ragione anche su un altro punto: alcuni (ed io tra quelli, e faccio qui pubblica ammenda) sostenevano che la prima parte dello spettacolo, tanta era la mole ed il numero delle situazioni, poteva durare anche 2 ore e mezza. Enriquez sosteneva (solo lui) un tempo di durata sull'ora e mezza. Il primo atto durò un'ora e trentaquattro minuti! Enriquez sorridendo e dopo avermi dato un dolorosissimo pizzico: «Dovrò stringere un po' ». Lo svolgimento delle diverse « frasi » dello spettacolo e dei diversi temi risultarono - nel loro insieme - avere in qualche modo un carattere comune nello stesso momento in cui parevano rifiutarsi a una classificazione capace di riunirle in categorie omogenee coerentemente collegate fra di loro. La contraddittorietà di questa impressione corrisponde (come aveva sostenuto Enriquez) alla contraddittorietà in cui si cade quando si cerca di definire (come spesso si è cercato di fare ipostatizzando un personaggio ideale slegato dai suoi interpreti-attori) il « carattere » della Commedia dell'Arte, quel qualcosa che permette di ricondurre azioni diverse e non di rado fra loro contrastanti all'unità di uno stesso tipo scenico. 27 Agosto. La compagnia parte per Vicenza, dove tra 8 giorni debutterà nell'Olimpico del Palladio. È una storia tutta da appuntare, ma è una storia di difficoltà tecniche: l'invenzione ormai avvenuta, le reggerà tutte. Lo spettacolo comincia la sua vita, ogni sera nuove e diversa e noi, dentro di essi, ci sentiamo liberi d'inventare e siamo ora anche capaci di farlo. 55 -~ ~ l ISABELLA COMICA GELOSA ! r l l l l l l l i Teatro Stabile Torino Stagione 1971/1972 DoNATELLO FALCHI Vito Pandolfi/Franco Enriquez ISABELLA COMICA GELOSA Regia di Franco Enriquez Elementi scenici e costumi di Emanuele Luzzati Musiche di Giancarlo Chiaramello Mimo e improvvisazione a cura di ~ Marise Flach e Angelo Corti Adriano Valerini da Verona (2° Zanni) ARMANDO SPADARO Carlo Franceschini (3° Zanni) DINo DESIATA Lutio Fedeli da Padova ( 4° Zanni) GIANNI SALVO Giovanni Polesin (Pedrolino) MARISA MONTAGNANA Lucilla Malloni (Ricciolina) PINA CEI Silvia Roncagli (Franceschina) AuRORA CANCIAN Marisa Paoli LucA ALBERTI Un comico DANIELE STRANO Loovico delle Haste CARLO BARONI Paolo Canali, padre di Isabella Gentiluomini, Guardie Popolani Regista assistente Alessandro Giupponi Allestimento realizzato nei laboratori del Teatro Stabile di Torino con la collaborazione di: per i costumi: Sartoria Pia Rame - per le scene: Ditta Arianese per le luci: Vincenzo Cafiero. Assistente alle scene e ai costumi Santuzza Calì Distribuzione Isabella Direzione scenica e attrezzeria: Franco Grossi e Antonino Leto Capo macchinista: Romano Daeder - Capo elettricista e fonico: Riccardo Venturati - Sarta: Addaide Zaccaria - Segretario: Guido Sordi. I GONZAGA FRANCO ALPESTRE FRANCO FERRARONE MARCO BENERCK ERNEsTo MARIA Rossi RUBINO RUBINI Gumo MAICO MA URI ZIO MANETTI Duca Guglielmo Vincenzo, suo figlio Cardinale Alojsio Capitano Una guardia Un confessore Boia COMPAGNIA DEI GELOSI ENRICO D'AMATO Francesco Andreini CARLO BAGNO Giulio Pasquati (Il Magnifico) GIANNI CAVINA Lodovico da Bologna (Dottor Graziano) DoNATO CASTELLANETA Gabriele Panzanini (Francatrippa) ALESSANDRO EsPOSITO Simone da Bologna (lo Zanni) 58 : l l l Aiuto regista Ernesto Maria Rossi VALERIA MORI CONI l l Nel 1589 è registrata in Firenze, per le nozze di Ferdinando de' Medici con Cristina di Lorena, la prima rappresentazione dello xenario di Flaminio Scala intitolato «La Pazzia ' d'Isabella». Fu uno dei numerosi e travolgenti successi di Isabella Andreini; suo « pezzo di bravura » fu la recitazione della scena della pazzia dell'Atto Terzo, che assurse ben presto ad esempio massimo precorritore di tutte le scene di pazzia che seguirono nella storia del teatro occidentale. 59 l! Giorn;tta XXXVIII; La pazzia di lsabella1 117 La Paz,z..ia d'Ifabdfa ATTO TERZO·. ~rntiD ("'\T/ mlmrdofì di Flam.cbc fotta f.rlfc lufingbc l'balibia condotto f/Mnin, ~ caf.t,c poi a!Jaltatolocoll anni per raidcrlo; lfllf che/i rli"[piacc non baucrli pnf1Ì1to lcu.,r la tdta,r/Jèrtd'rgli il capi di tutti ,i tr.tditori,& auucdcrfì com' cr,ì Ùcn·cicca à ci-edere alle p.i ro/e d',!iw,cbe b.wetut,c uo/w.-r tr.tr!ir colci,clfc li b.weua data fil libcrtJ,I'hnnorc,lc riccbcz.z.c,e fc f/cjj".J:itlqucl/a l!jcriolil1.t .~ritf.flldo,cbe llauio fi jiin.~lic le {n[ce delle feritt"; F/r.milt.[rtbitiJ corre dentro co1t T( ice. Ora fio di IMucr [t-orfo grttn pericolo, e cbc [c f'l1111i1 ba 1trjJc pott•to tiar aiuto .1 Fl.tm. cb'rsli ui rimatlcti4 morto: & injianc s'auo·~~t Jel grrue error commc!Jo nd uo/cr pcn[.tr fol/J d',rMwulon.rr !ftb.in f[tlcllo 'l'alt tal. arri1111 domamfa.d'Iftrb.dicrndo cl/.111011 r!Jcre Ùl Cll{<~,in qli cl/o Gratiano con molti albarelli per 1mdicar Flauio,dicc à 1'a11t.bm1er durnto v1111 grnn f.rtic4à _ (aluarfì da lilla pazza: po(dice t/]cr 11tcl/.t TIIYctT) che già condufse Oratio [t1o figlio d'.Aigirri;'Pnntfc ncm.1rauiglin, Orr.tio riman fl11pido,Gritt.tlttr4 in cafa Flamin. Orario fi parte per tro11ar Ifi.~/iat-'lltc'lltrc,c/Jc ill!rtlic t' frrjiiJ pmhc d lui d~ /',mimo rf1 j:m~r[., l"VII ji1i f•~n·ti mirabili. 'l'al/t~!. thiaiiM Franuf.fuora,1'.:/llt,,~li ordina,dc ro11 Bur,lf, vadaà trouar 1/~b. erbe con J'ai11to d alt.-r· pcrjònc la pr,ç!ino,c t.~zatala conducbino à cafa: poi uà coli Grat. per ilrr.dll:fr,mr.r. 'Burat .riman.~ono,ill qMilo Ifabt/14 'Vefli t aia paz.za,fì pone m mc':( o di 'il l: r.:!. c di Frane. dicendo 110~ Jcr loro dire c~jc di.p·ami1Jima ,,nrortawza. cj]i ji fn m.tllO ad •'}col t.~rr,& d/.1 com:r.ri,t Jir~: Io mi" ricordo J',mno noli me lo rhortlo,tiJ• ·11'~-lrpicm/o f•ofr cl'accordo l'Ila 'l'ilt!atli,çh.t Spt~,~llol.rtwl l'n.: ,1:,•1gliard.1 di Smrtin 1!4 'l'm ma,pcr lt: qli al cojit poi,le lr.J:'.~ l{ C, i Jtl~ctbCI"Olli)C fil po/cnt.• jÌ litffil OliO abrmiO,IIQ/1 potendo L'O/li poi·l> di Flaminio Scala - Ve. 1611. 61 ç.·· ni;:,r~ i parwti di F/awo, rrwoche l• ttenghino.; lw.:r di af• Ft.:m.e coJiU Grut.è '"' grandiflililo medico d~ fegreti,in ijUt/lo '1'.2nt.U. d.f"pn.uo,cb~ 1m1 trou~tlfabdl:~, 1'edrol. t!ioetràf~ di .uoltr burlo 'l'.J•;: ..:.'ijii.J.'c dia, cl;~ Flauio è morto p~r h ferir<, cbe li derre ![ab. e cb~ !.J giufliti:~ /., f:~ra morir~ infreme cot~ Ora:io:1'.:nt.fi difptTtl, Ted.p:~r,g•ndo ji parte, 'Pant.rimtJ.n~,in 'jHe/Jo Or.1tio ti''F<'r.Jto,ci;c r.orJ puÒ trouar lj~tbcll::,'Par.t.li dice rJ{,, e/ter dilunt4 t.: p.:-z-z.. per b.:ucrlo ucdutc entrare in ct:f.: Flam,efeco abbrt~.ccùztlli rn:: cbt ll'è di peggio, dicendoli come Fi:~uio è morto,ecbe lagiufliti.z "JINol piJ!Jiar If.:b.e lui,Oratio fi dif}cra,in quello Frante{. grid.mdo,corrcu,correte,fe uoicte ucder la p.:-z-za: egli conduce 1111 ti uù per /Jud.t.· Capit411o di ~·o!cr' llmmazz..r' iJUe/l'Oratio prima che pajfi 11 .5f.fil411D, ;,, .Arlecc. 'illt~ l'dro/. Ifabell.z d~ p.:-z-z.:,diceal Capit.di conofcerlo,lo fa/uta, e dice d'hauerlo ,,_ du:o frd le 4S .im:~gini celeflt, che ballaua il C4ntrrio con la l11na u.efiit::.di urrec,~~ alrre co[t tutte dio Jpropofito, poi col fuo bafione b41on~ il (-p::. ;:j.Arlecchino,,quabjifggono, c> d la dietro [tgllill!lldol.i. T~:nt~l. d.fFcr.Jto,dubìt411do, cbeOratio per ladì[per.1tÌoiiC non s'-pcdJ~t,. in ~ue/1~ 9ratit:IIO CQn liTI alberelln,dtntrodel 'jNttle t un fegreto com pofi o conlie/leb~ro,col q.ualc dire uoler fanar Ijabella ÙJ un fi•bito,rs hauerio pr• M~to più, e più uolre ne!lo jjlfliale fie paz'Zid Mi/ane,in quel/o I~bdla arrù;;; pi.zn piano, t ji pone in mezo d 'Pantal.& a Gratiano,dicen- Or.:tio '!'etlrol. B1aatt. Frcuc. Capir. dc,chc flicno .ebeti, ecbe non facciauo rumore, perebe Cjtoue liNtJl firatwtare,eSaturno "PUoi tirar 'VRa coresgia: pQi jeg•!itando aJJri f[ro;ofrti dom4nda11o loro [c batlrebbono ucduto Orario fola contrA 'Iofe.u;.J tutt.:,in q~Jlo arri:,~,dicent!o fo.n qud aliìmtt mia: & ella rifpor.rlentlo dice,llnimll focor.t!o .Arijlorele è f?irito,cbe fi dtjfonde per /e botte del mofcatello di ..._"][ontt fi.::fconc;(;J' cbe per ciò fù ueduto l'wrco b,dcno [4r 11/J [trMiti.tlc all'lfo/.z d'I ngbiltnra,cbe 11on~teu.1 pifci4rc1foggtllngttJ dollftrc ccje aJlo f? ropofito,iu quei/o .turti .~r•dar.do, ptglia la pa-zza,piglùt./4 ptrzztt, e qiÙ tutti li foao addois:;,la pigl.i~no,clalcgano:Gr4t.fiibito piglia il fuo fegrcto, col. qx.;Jc gLi tmge tutti i fcntitncllli,e dopo/i [4 bere un liquore qNat c,~!; t m; c i11 n'ampollina; ikbe fotto, tllttd poco,. poco fi rifenre,, Ifabella ton;:: ir. sè. R.jtoTIJ.tt.t fnggia, "'PtdeOratio,al qt<.zle ricorda quanto b:: r~:ro ptr lni con breue giro di parole' /am~ntandoji, che l'babbi• tr.:dita,e per llitr11 domu: tsto ~egreto provato più volte nel manicomio d1 M1lano e con quello d1ce di poter guarire Isabella illlmed!atamen te Isabella: arriva pian, piano. Si mette tra Pant,alone e Graliano dic~ndo loro di stare calmi e non far rumore per~he Gwve vuo -~tarnutue. ~ Saturno vuoi fare una correggia: poi contmuando con altn spropositi domanda se avessero visto Oratio solo contro tutta la Toscana, Oratio· arriva dicendo, son qua anima mia: ella risponde dicenJ'l' anima sec~ndo Aristotele è spirito che si diffonde per le botte e mosc~ tello di Montefiascone. Che perciò fu visto l'arcC!baleno far~ un servi: tiale all'Isola d'Inghilterra che non poteva p!sc!are, e aggmnge altn spropositi Pedrolino : Tutti gridano piglia la pazza e le sono ~dd osso, Burattino: ]a pigliano e la legano. Gratiano prende 1! suo segreto con il quale le unge i sentimenti e dopo le fa. bere un . , Capitano : liquore che tiene in una ampollma : dopo d1 che ella a poco a poco rinsavisce. . . Isabella: Torna in sè. Ritornata saggi~ vede, O~atlo qufe bbcodd~ quanto ha fatto per lui, lamentandosi che l abbia tra Jta e h~ d an o nata per un'altra donna. Oratio confessa il suo errore e le c l~ e p~r dono, dicendole di valeria sposare. Allora Isabella felice dimentica ogni cosa e accetta di sposarlo. Pantalone Sl rallegra d] Flavio: col braccio al collo vede Isabella che. gli . chiede perd?no. Ella Flaminia: gli dice che Oratio l'ha sposata. FlaviO SI l allegra lÌ· per~o~~ Ricciolina : e cosl Orario sposa Isabella! Flav1o Flammd1~, ~e ro ma . rad' d ceschina, Burattino Ricciolina e fìmsce la Camme 1a Isabella . e11 a pazzia l 63 Partenza di Carnevale 1 di Camillo Conti 2 Poi che vedo hormai v1cmo Apprestarsi il tempo, e l'hora Di voltar il mio camino Doue soglio far dimora, Il partir tanto mi accora Che mi sento già morire, Carneual si vuoi partire. Ma perché partir bisogna Senza far il bel humore, Me ne vò con gran vergogna, E ti resto seruitore, Dunque ogn'vn senza rumore Venga via, chi voi venire, Tutti andiam verso Cuccagna A goder nel nostro regno Doue ogn'hor si beue, e mangia Senza hauer denari, o pegno, O' far mai altro disegno Di calzar, né di vestire, Venghin tutti primamente Quei, che solo a mascherarsi 1 Carneual &c. Carneual &c. 1 PARTENZA l DI CARNEVALE l Nella quale multa tutte le Mascare, e l molti altri personaggi a douer l partirsi seco alla volta de l Cuccagna. l Con vn Sonetto di Burattino a tutti li altri l Zanni, che vanno con esso. l Opera ridicolosa di Camillo Conti da Panico. l [silografia: due cacciatori si incontrano in un bosco; un cane in corsa] 1 In Ronciglione. M. DC. XV. l Con licenza de' Superiori. l Opuscolo di 8 pp. n.n.; seng. A2; sesto mm. 92 X 140. Tutto il testo riportato, in tondo. Biblioteca Vaticana: Capponi V, 684/63. 2 Da <>, op. cit. 83 vissuto, ma i veneziani o i bolognesi che, senza aver mai visto Bergamo e le sue valli, ne dileggiano il linguaggio sulla base di ciò che ascoltavano dalla bocca dei facchini bergamaschi messi in burla nelle loro città per carnevale. Da facchino a servo personale il passo fu breve: già nel 1548 nella commedia di Vincenzo Fenice« La primavera » vediamo un « Gioanne servidor bergamasco» chiamato nel corso della commedia Zoanne o Zane. Il carattere si presenta finora abbastanza uniforme: pigro, dagli appettiti smodati (e in verità più dedito ai piaceri della t avola che a quelli del letto), insolente, rozzo e al tempo stesso furbo. Non si è ancora operata la distinzione tra primo e secondo Zanni, tra lo scemotto e il furbastro (quantunque nelle compagnie (cominciando da quella dei Gelosi, dove a Simone Basilea si affianca Gabriele Panzanini come Francatrippa e secondo Zanni) si ricorra sempre a due Zanni. L'uno probabilmente faceva « da spalla » all'altro. Il linguaggio alterna espressioni senza ritegno ad altre schiettamente liriche e non disdegna i riferimenti mitologici, allora assai popolari e comprensibili. L'Emilia, il Veneto, ed in più Mantova, sembrano costituire i centri principali per l'attività di questi attori e per la pubblicazione delle stampe popolari che più o meno direttamente li riguardano. Ma ben presto il raggio d'azione si allarga in tutta Europa. Il Magnifico1 Il Magnifico, poi Pantalone, deve dirsi creazione popolare, non in senso vago e indeterminato, ma in quanto elaborazioni di singoli artisti popolari, che 1 Da <>, op . cit. 86 Gli innamoratf 2 Da «La Commedia dell'Arte», op. cit. 87 che ella aveva composte: allora esse sembravano la condizione indispensabile al fiorire del sentimento d'amore. Il suo virtuosismo consisteva nell'operare d'intelletto sulla passione, così da renderla più densa d'interesse; così da renderne vitali gli sviluppi e le naturali soluzioni. Compagnie comiche del secolo XVI' Cronologia VARIE A Padova, Maphio, detto Zanini da Padova, e compagni, formano società. 1565 A Roma Tarasso vicentino; Scevola senese; Pantalone e Saldino. 1565-'66 - A Ferrara « Zanni » con una compagnia propna. 1567 - A Mantova, oltre alla compagnia « governata e diretta dal comico Graziano », le due compagnie della Flaminia e della Vincenza Armani. 1567 - A Genova, Guglielmo Perillo napoletano, un Angelo Michele da Bologna, e un Marcantonio Veneto, « societatem insimul recitandi comedias ». 157 3 - Milano: « virtuosi Comici Intronati » chiede licenza per « le sue solite Comedie », come già nei « prossimi passati anni ». 1575 - Napoli. Mario de Thomase « alias Lepido » senese, Iacopo Antonio de Ferrarijs napoletano, Alfonso Cortese pure napoletano, Giulio Cesare Farina milanese e Francesco Vitiani lucchese « compagnia per fare et recitare comedie in questa città ... et lochi qualesivogliano del mondo ». 1565-'68 - A Vienna un Andrea Krompp, anche Andrea Welsch, ossia Andrea «l'Italiano». 1545 1 88 Da << La commedia dell'Arte », op. cit. 89 ------------------~~~-·~. \ 1567 A Strasburgo il veneziano, Sperindi, con Alessandro di Polonia . 1569 Iacopo da Venezia con altri ad Augsburg. 15 68-'7 4 - Un « T abarino » o « T aborino » a Linz o alla corte imperiale di Vienna. In quegli anni presso quella città o presso quella Corte, un Flaminio,un « Julo Comediante », un « Francischo ysabella Camediannte » e un « Antonio Soldino Fiorentino ». 1577-'78 - Londra. Compagnia di un « Drousiano », certamente Drusiano Martinelli. 1572 - Francia. Soldino fiorentino con undici compagni « comédien à la suite de Sa Majesté ». 1572 - Francia. La Compagnia di Anton Maria Veneziano. 1578-'79 - Presso il Re di Navarra le compagnie di Marc'Antonio Scotinelli, di Massimiliano Milanino e di Paolo da Padova . 1582 A Madrid alcuni « Italianos »; Massimiliano Milimino (certamente Milanino) « representante » che morì ucciso. 1583 Parigi. All'Hotel de Bourgogne compagnia diretta da Battista Lazzaro . 1584 Siviglia. Stefanello (Bottarga ? ) a capo di una compagnia recita per il Corpus Domini l'« auto sacramentai» «Las llaves de San Pedro ». 1574 1574 1574 1575 1575 1576 1576 1577 COMPAGNIA DEI GELOSI 1586 1587 1588 1589 1568 - Milano. 1571 A Parigi in casa del duca di Nevers alla presenza del Re Carlo IX ; poi a Nogent-leRoi nel Castello dei De Brezé, dinnanzi al re e alla regina e a Caterina de' Medici . 1572 - Marzo . Milano . 1572 - Autunno. Genova. 1573 - Estate. Probabilmente a Ferrara. 90 1578 1579 1579 1579 1579 1579 1579 1580 1581 1581 1582 1583 1584 1585 1589 Inverno. A Venezia . - Primavera ed estate. Milano. Venezia in onore del Re Enrico III . - Primavera. Milano . - Fine dell'anno . Firenze. - Carnevale. Ferrara. - Novembre . Probabilmente a Firenze. 25 gennaio . A Blois, dove si trovava il Re Re Enrico III fino alla fine d'aprile. Dal maggio all'ottobre, avversati dal Parlamento, ma protetti dal re, molte rappresentatazioni a Parigi. - Probabilmente a Firenze. Primi di gennaio. Venezia. - Febbraio. Ferrara, probabilmente. - Primavera. A Mantova dove furono sfrattati il 5 maggio per ordine ducale . Giugno . Milano . Luglio e agosto . Genova. Novembre. Ferrara. - Da maggio a settembre. Milano . - Carnevale. Venezia. - Estate. Milano . - Luglio. Mantova. Primavera . Venezia . - Primavera. Genova e Savona. Fine dell 'anno e principio del 1586 . Bologna. - Probabilmente Mantova, Milano e Torino . - Luglio. Venezia. - Mantova e Milano. Maggio . Firenze, recita della Pazzia d'Isabella in occasione delle nozze del Granduca Ferdinando de' Medici con la principessa Cristina di Lorena . - Autunno e inverno. A Mantova e probabilmente a Milano . 91 1590 - Ottobre e novembre. Milano, probabilmente anche a Mantova . 1591 - Novembre. Firenze. 1594 - Firenze. 1596 - Genova e forse anche Bologna. 1603 - Estate, Alla corte di Enrico IV per parecchi mesi a Fontainebleau ed a Parigi. 1604 - 11 giugno . Nel viaggio di ritorno in Italia si ammalò e morì di parto Isabella Andreini. Il marito Francesco, abbandona l'arte COmlca. mana ... ; Lutio Fedeli, Padovano ... ; Giov. Battista Trobetti, Veniziano ... ; Ora ti o de' Nobili, Fiorentino ... ; Giuseppe Scarpetta, Veniziano ... ; Carlo Vegi, Piacentino ... ; Bernardino Lombardi, Bolognese ... ; Emilio Baldovini, Parmegiano ... ; Girolamo Salimbeni, Fiorentino .. . ; Giulio Vigianti, Napolitano ». Nel 1589 Gabriele Panzanini (Francatrippe), e Pedrolino e, nel 1596, Virginia Malloni o Maloni. Nel 1594 il quattordicenne Domenico Bruni. Nel 1577 Battista Amorevoli da Treviso (per il ruolo di Franceschina) . Nel 1603 Giovan Paolo Fabri e Giovanni Polesini, ossia Pedrolino. i Componenti: l t Dalle « Bravure del Capitano Spavento » elenco dei componenti la Compagnia, ma non si sa a quale epoca: « Lodovico da Bologna faceva da Gratiano; Giulio Pasquati da Padova che faceva da Pantalone; Simone da Bologna che faceva da Zanne; Gabriella da Bologna che faceva da Francatrippe; Oratio Padovano che faceva di innamorato; Adriano Valerini da Verona che faceva l'istesso; Girolamo Salumbeni da Fiorenza che faceva da vecchio Fiorentino detto Zanobio, e da Piombino; la signora Isabella Andreini Padovana, che faceva la prima Donna Innamorata; la Signora Prudentia Veronese che faceva la seconda Donna; la Signora Silvia Roncagli Bergamasca che faceva da Franceschina; e un certo Francesco' Andreini Marito della detta Signora Isabella che rappresentava la parte d'un Capitano superbo, e vantatore, che se bene mi ricordo dal nome mio si faceva chiamare il Capitano Spavento da Vall'Inferna » . Nel 1590 elenco in documento pubblicato da A. Paglicci Brozzi, Il teatro a Milano nel secolo XVII, Milano, Ricordi, 1891. «La Signora Vittoria Piissimi, Veniziana ... ; la Signora Nora, Fiorentina ... ; la Signora Aurelia, Ro92 COMPAGNIA DI ZAN GANASSA (Alberto Naseli) Parigi. 1571 1572 - A Parigi fino ai primi mesi del 1574. 1574 - A Madrid dove probabilmente prese dimora stabile e da dove si recava nelle altre città di Spagna. 1579 - A Madrid fino al 1584. l Componenti: f Nel 1581 Vincenzo Botanelli (Curzio) Cesare de Novile o de Nobile o semplicemente Nobile, Giovan Pietro Pasquarelo o Pasquarello (Pasquarello suo nome d'arte o cognome ?), Scipione Graselli, Giulio Villanti o Vigliante, Giacomo Portalupi e Carlo Masi. COMPAGNIA DEI CONFIDENTI t 1574 1575 1579 1580 1580 - Cremona, Pavia e Milano. - Giugno. Milano. - Agosto, Probabilmente a Massa. Primavera. Mantova. - Ferrara e Bologna e, alla fine di dicembre, Venezia. 93 ~· --··---------------------------------------------- ~ --------~-------------------------------------- 1581 1581 1582 1582 1583 1584 1585 1586 1587 1588 1589 1599 1612 1615 1616 1617 1618 1619 1620 1639 - Carnevale. Venezia. Primavera. Mantova e Bologna. - Bologna. - Estate. Genova. - Aprile. Una parte della compagnia recitava a Mantova con il nome di Confidenti, mentre un'altra parte, Susa con gli Uniti, e a Genova. - Carnevale e primavera. I Confidenti autonomi a Torino e Milano. In Francia. - In Francia . - Aprile. Genova. - In Spagna sotto la guida dei fratelli Martinelli. In Spagna. Settembre. Parma e poi Genova. Carnevale. Ferrara. o '13 - Sotto la protezione di Don Giovanni de' Medici. - Milano e Bologna. - Lucca e Firenze. - Bologna. - Ferrara, Mantova, Venezia, Genova, Lucca e Firenze. - Mirandola. - Venezia. Milano. Da Milano m Francia, invitati da Re Luigi XIII. Componenti: In diverse epoche: Giovanni Battista Vannini da Rimini, « Zanni » (157 4 ); Vittoria Piissimi direttrice dal1579 al1581; Pedrolino (1581); Diana Ponti e Battista Trombetta (1582); Battista Amorevoli da Treviso (1584 ); il napoletano Fabrizio de Fornaris (1594); Tristano e Drusiano Martinelli (1587 e 1588); Angela Salomoni; Angela Martinelli; Isabella Andreini (15 8 9). 94 Da lettera di Don Giovanni Medici il 21 Marzo 1620: Flaminio Scala, direttore; Marc'Antonio Romagnesi (Pantalone); Francesco Gabrielli (Scapino); Francesco An tonazzoni (Ortensio); Domenico Bruni (Fulvio); Marcello di Secchi (Aurelio); Ottavio Onorati (Mezzettino); Niccolò Barbieri (Beltrame); Battistina Austoni, sua moglie (Valeria); Marina Dorotea Antonazzoni (Lavinia); Maria Malloni (Celia); e Nespola, Spinetta, Claudione. COMPAGNIA DI PEDROLINO 1576 - « gran parte della invernata in Firenze et di poi in Pisa, et doppo certe settimane » « essersene andata a Luccha ». 1580 - Probabilmente a Ferrara. COMPAGNIA DEGLI UNITI O COMPAGNIA DEL SERENISSIMO DUCA DI MANTOVA 1578 - Primi di Febbraio. Ferrara. 1580 Bergamo. Recitarono insieme ai Gelosi. 1581 Estate. Genova. 1583 Genova, forse a Mantova e Bologna. Fusi coi Confidenti si chiamarono compagnia degli Un iti Confidenti. 1584 - Ferrara, Reggio Emilia, Mantova . 1591 - Mantova . 1592 - Firenze. 1593 - Ottobre. Genova. 1594 - Ottobre. Milano. 1594 Dicembre. Firenze. 1595 - Milano. 1596 - Milano. 1599 - Due volte a Genova . 1601 - Mantova, Milano, Pavia. 1604 - Firenze. 1613 Milano. 95 1614 - Genova. 1640 - Firenze . Componenti: Nel 1584: Pedrolino, Bertolino, Magnifico, Gratiano, Lutio, Capitan Cardane, Flaminio, Battista da Treviso, Franceschina, la signora Giulia, Brolo, Isabella, Gio. Donato, Grillo . Nel 1593: Vittoria Piissimi, Francesco Pilastro detto Leandro, Andrea Zenari detto Graciano, Giovanni Pelesino, el Capitan Cardane, Giovanni Balestri, Gio . Paolo Fabri, Girolamo Salimbeni detto Piombino, Gabrello Panzanini detto Francatrippe. Nel 1594: Arlecchino, quasi certamente Drusiano Martinelli; Franceschina probabilmente il trevisano Battista degli Amorevoli; Fortunio; Silvio Fiorillo; Angelica, Angelica moglie di Drusiano Martinelli; Virginia e Lucilla, Virginia e Lucilla Maloni; Ottavio ed Emilia non si sa chi fossero. Nel 1583 direttore Bernardino Lombardi. Nel 161 O direttore Pedrolino? Nel 1614 Jacopo Braga Ferrarese (Pantalone); Domenico de' Negri ferrarese (Curzio); Silvio Fiorillo napolitano (Capitan Mattamoros); Giovan Battista Fiorillo suo figliuolo (Scaramuzza); Andrea F raiacomi bolognese (Trivellino); Ippolito Mondeni mirandolese (Cortellazzo); Andrea Mangini genoese (Adriano); Miche! Zanardi ferrarese (Graziano); Ottavio Bernardini romano (Franceschina); e Giovan Paolo Fabri di Cividal del Friuli (Flaminio). 1593 1594 1595 1596 1597 1599 - Mantova. Forse a Ferrara. Cremona e Milano. Mantova e poi Bologna. Maggio. Genova. Agosto . Verona . Componenti : In diversi periodi : Diana Ponti, Cesare de' Nobili (1586) ; Giambattista Lazzarone e Tristano Martinelli ( 1595); Giuseppe Sarpetta ( 1596 ); Flaminio Scala nel1597 direttore; Andreazzo (1590) che fa da Dottor Graziano . N.B. - Per queste cronologie si è fatto riferimento prevalentemente alle ricerche di Ireneo Sanesi, La Commedia , Voli. 2, II ed . COMPAGNIA DEI DESIOSI 1581 1585 1586 1588 1590 96 - Pisa. Montaigne nel suo Voyage en Italie . - Mantova . - Genova. Roma. - Roma. 97 l l'i li Compagnie comiche dei secoli XVII e XVIII 1! Cronologia ·, « ACCESI » 1590 - In questo anno era sicuramente attiva. Forse anche prima. 1590 - Brescia. 1597 - Tre mesi a Genova. 1599 - Carnevale, a Mantova poi a Bologna. 1600 - A Mantova, poi in Francia, desiderati da Enrico IV, molto raccomandati da Vincenzo Gonzaga (dopo una sosta a Torino, giunsero a Lione e recitarono varie volte dinnanzi al Re). Ebbero parte notevole nei festeggiamenti per le nozze di Enrico con Maria de' Medici (l 7 dicembre 1600). 1601 - Da gennaio a ottobre. Parigi, sempre al seguito della Corte. 1601 - Dicembre. A Torino, dopo essere tornati a Roma. Dal 1602 al 1606 scarse notizie: Federico Zuccaro, nel suo « Passaggio per l'Italia » ricorda una compagnia (che sembra essere gli « Accesi ») recitante a: 1605 - Dicembre, Mantova. 1606 - Febbraio, Torino. (La compagnia era « guidata dal Cap. Rinoceronte et Fritellino, con lor Darne meravigliose, la Flavia, la Flaminia e la Rizzolina, con Arlichino et altri » ). 99 L 1 1606 - Fusi con la Compagnia dei «Fedeli» : Milano. 1607-8 - Da soli in Francia, invitati da Enrico IV. 1607 - A Torino, trattenuti dal duca di Savoia. 1608 - Febbraio a Parigi (recite all'Hotel de Bourbon a~la presenza del Re e della Corte, poi pubbliche a pagamento; quindi all'Hotel de Bourgogne). 1608 - Ottobre e novembre di nuovo in Italia di nuovo fusi con i « Fedeli » coi quali ;ecitano nel : 1609 - Agosto, a Torino . Poi nuovamente soli : 1610 Milano. 1612 - Modena, Verona, Padova. 1613 e 14 - Vienna e Linz. 1615 - Firenze. 1616 e 18 - Napoli . 1617 - Novara e forse Milano . 1620 - Piacenza. 1621 - Mantova . 1622 - Venezia. 1623 - Firenze. 1628 - Parma. Quando la Compagnia andò per la prima volta in Francia, ne facevano parte Drusiano Martinelli la rr:oglie Angelica, il fratello Tristano (Arlecchi~o ); Pter Maria Cecchini (Frittellino), Flaminio Scala (Flavio), e una « Signora Diana» che è ormai storicamente ritenuta Diana Ponti (per quanto nel 1601 essa si designava « comica Desiosa » ). Il Baschet ed altri ritengono che Direttore della Compagnia degli Accesi fosse Drusiano Martinelli, ma alcuni (per es. il Sanesi) pensano che fosse Pier Maria Cecchini il quale godeva di molta autorità. Fra i Comici del 1605: il Cap. Rinoceronte (Girolamo Garavini) e Arlecchino (forse Tristano Martinelli, o lo stesso Drusiano ). Ignote, le donne mera100 vigliose Flavia e Rizzolina, come l?ure un Pa?~al~ne, un Capitano Spagnuolo e un Graziano. Flammla e la moglie del Cecchini. Quando tornò in Francia nel 1608 ne facevano parte, oltre al Cecchini, Battistina Austoni, Girolamo Salimbeni (Piombino), Aniello di Mauro (Cola), e un Cintio, uno Stefanello, un Pantalone . Nel 1620 oltre a una « Olivetta » vi si trovano anche un « Aurelio » e un « Truffaldino » anonimi . Con gli « Accesi » era sicuramente Silvio Fiorillo. « FEDELI » 1601 - La costitUisce G .B. Andreini (Lelio) poco prima della morte della madre Isabella ed allo scioglimento della Compagnia dei « Gelosi ». Agì sotto l'autorità ed al servizio del Duca di Mantova. Più volte si unì e si divise dalla compagnia degli « Accesi » causa le discordie fra l' Andreini ed il Cecchini. 1610 - Venezia e Genova. 1611 - Mantova e Bologna. 1612 - Ferrara, Milano e Firenze. 1613 (agosto) - T orino (per desiderio del Duca di Savoia) . 1613 (settembre) al 1614 (luglio) - In Francia, a Lione prima e poi a Louvre, Hotel de Bourgogne, Fontainebleau, Sant-Germain (desiderati e chiamati dalla Regina Maria de' Medici che non aveva potuto avere gli« Accesi » per dissidi interni della compagnia). 1616 - Mirandola (Modena) e Venezia. 1617 - Mantova. 1619 - Venezia (in varie riprese), Brescia e Verona. 1620 - Milano. 1620 (autunno)- Di nuovo in partenza per la Francia con lunga sosta a Torino . A Chambery si ammalò e morì l'attore Leandro; fecero 101 varie soste lungo il viaggio ed arrivarono il 12 gennaio 1621. 1621 al 1622 (marzo) - In Francia (però « Arlecchino » aveva abbandonato Parigi prima degli altri e di nascosto, per non dover cedere alle preghiere di rimanere). 1622 (verso la fine) al 1623 (Pasqua - Di nuovo tutti in Francia. 1623 (novembre) al 1625 (circa la metà) - Ancora in Francia. 1626 - Brescia e Cremona. 1627 - Venezia. 1627 (verso la fine) e 1628 - A Praga e Vienna presso l'Imperatore Ferdinando II. 1629 al 1632 - Mancano notizie. 1633 - Verona, Vicenza e Venezia. 1634 - Mantova. Per il periodo che segue si hanno incerte notizie: la compagnia non era più bene affiatata e non si sa l' Andreini fosse nelle città che seguono, solo o con gli altri. I suoi rapporti col Duca di Mantova si erano molto raffredda ti e sembra che fra il 16 3 7 ed il 1640 riuscisse a liberarsi completamente da tale servitù. 1634 - Bologna. 1638 - Pavia. 1639 - Bologna. 1641 - Perugia(?). 1642 - Bologna. 1643 al 1647 - In Francia, ad intervalli. 1652 - Ultimo anno in cui si hanno notizie della compagnia. A Milano si rappresenta un dramma dello stesso Andreini (La Maddalena lasciva e penitente). La Compagnia risultò formata, inizialmente, dallo stesso Giovan Battista Andreini (Lelio), direttore; 102 la sua prima moglie Virginia Ramponi (Florinda); dopo il 1628 la seconda moglie Virginia Rotati (Lidia). Nel 1609 ne fanno parte Girolamo Garavini (Cap. Rinoceronte); Giovanni Pellesini (Pedrolino); Federigo Ricci (Pantalone); Benedetto Ricci (secondo Innamorato); Aniello di Mauro (Cola); Bartolomeo Bongiovanni (Graziano); G. B. Zecca (Cassandra); la di lui moglie Livia (Franceschina); Urania Liberati (seconda innamorata). Dopo due mesi (nel periodo in cui erano uniti agli « Accesi ») ne facevano parte sicuramente: il Garavini (Messer Hieronimo); il Ricci (Messer Federico); Carlo Vegi ( ? ) (Messer Carlo); il Di Mauro (Messer Aniello); il Bongiovanni (Messer Bartolomeo); un ignoto (Cintio); Jacopo Antonio Fidenzi (è incerto). Nel 1612 erano sicuramente ancora in compagnia: il Garavini, il Ricci, il Bongiovanni, il Pellesini, uniti a Tristano Martinelli (Arlecchino), ed una incerta Nicolina. Nel 1620-22 vi si trovano (sempre con l'Andreini e moglie) il Martinelil, il Garavini, i due Ricci, la Rotati; e Lorenzo Nettuni (Fichetto), Urania Liberati (Bernetta), Giovanni Rivani (parte sconosciuta). Nel 1621 vi si trova anche un anonimo (Aurelio). Nel 1624-25 a Parigi, forse nuovamente Jacopo Antonio Fidenzi (Cintio). Verso la fine dell'attività della Compagnia, ne fece parte la giovane Eularia Coris che entusiasmò i milanesi nel citato lavoro dell'Andreini. In epoca incerta vi si trova pure Brigida Bianchi (un'altra Aurelia); Giovan Paolo Fabri (Flaminio); Domenico Bruni (Fulvio); Diana Ponti (Lavinia); Nicolò Zecca (Bertolino); Maria Antonazzoni (Franceschina ? ); Silvia Roncagli (Ricciolina ? ). FRANCESCO CALDERONI Francesco Calderoni (Silvio), direttore con la moglie Agata (Flaminia) è aspramente criticato dal Ric103 coboni per essere stato in Germania ed a Vienna, al servizio degli Imperatori teutoni. 1664 - Bergamo (dove il secondo Zanni influì molto sull'insuccesso). 1687 Venezia (con grande successo: sembra che fosse quindi chiamata da Massimiliano Eman, di Baviera). 1687 (seconda metà) all'attobre del 1691 - A Monaco, con alcuni mutamenti (è noto, per es., che Vittorio D'Orsi alla fine del 1689 tornò in Italia al servizio del Duca di Mantova). 1692 - Napoli. 1693 - Livorno. 1697-98 - Bruxelles. 1699 - Vienna. 1702 - Augsburg. 1703 - Vienna. Della Compagnia, oltre ai due Calderoni, facevano parte : Bernardo Bonifaci e la moglie Angela; Francesco Balltti e la moglie Giovanna; Vittorio D'Orsi e la moglie Teresa; Domenico Orsatti; Domenico Bononcini; Ambrogio Broglia. Nell'ottobre 1691 Vittorio D'Orsi tornò in Italia (da Monaco) per poi riunirsi alla compagnia quando rientrò in Patria. In un anno incerto entrò in Compagnia Pietro Cotta che cercò di riformarne un poco i sistemi: purificare cioè le espressioni troppo licenziose ed equivoche, e scegliere lavori più degni. 1754-55 - Portogallo. 1759 - Bologna. 1762 - Reggio Emilia e Mantova. 1764 - Milano. 1765 - Innsbruck. 1766 - Bologna. 1769 - Modena . 1771 - Manto, Verona. 1772 - Milano, Bergamo. 1776 - Mantova . 1777 - Milano . 1786 - Genova (il Sacchi, ottantenne, non si sa con chi). Nel 1761, oltre al Sacchi, in Compagnia: Cesare D'Arbes, Agostino Fiorilli (Tartaglia), Atanagio Zannoni (Brighella); Andriana o Adriana Sacchi Zannoni (servetta vivacissima). Nel 1769 si arricchì di: Chiara Simonetti, Angela Sacchi, Maddalena Ricci, Teresa Zannoni, Petronio Zannerini, Luigi Benedetti, Domenico Menghini, Giovanni Vitalba, Francesco Bartoli, G . B. Patti. Nel1771 entrò a farvi parte Teodora Bartoli Ricci. Nel 1775 se ne andò il D'Arbes. Poco dopo il 1780, forse per l'età avanzata del Sacchi e per le sue stramberie, la Compagnia cominciò a perdere i suoi elementi. Il Sacchi morl nel1788 mentre viaggiava per mare (Genova-Marsiglia). ANTONIO SACCHI GIROLAMO MEDEBACH La compagnia di Antonio Sacchi (Truffaldino) è spesso, contemporaneamente al Medebach, e al intervalli, a Venezia (S. Samuele, S. Angelo, S. Salvatore). 1742 al 1745 - In Russia (solo metà della Compagnia). 1753 - Milano, Genova. 1739 104 Il Medebach è a Venezia con la Compagnia di Gasparo Raffi. 1747 - Torna a Venezia con la propria Compagnia, ma poiché la stagione non è continuativa, in alcuni periodi dell'anno si sposta, cosi che lo si trova: 1748 - Mantova e Modena . 105 1749 (estate) - Mologna, Mantova e Milano. 1751 - Torino. 1752 - Bologna. 1755 - Milano. 1757 - Milano . 1762 - Modena. 1763 - Milano. 1766 - Milano, Bologna. 1770 - Modena. l 772 - Bologna. 1774 - Milano. 1779 - Bologna. 1782 - Bologna. All'inizio erano in Compagnia: la moglie Teodora; Cesare D'Arbes (Pantalone) che dopo tre anni venne sostituito dal vicentino Antonio Matteucci detto Collalto. 106 Documenti del T. S. T. IL MANIFESTO PROGRAMMATICO DELLA STAGIONE 1971-72 TEATRO E' CONOSCERE. Un modo aperto e immediato di comunicare reciprocamente in un costante confronto di idee e di emozioni. Con un chiaro rapporto dialettico, all'interno di una comunità che si specchia nei problemi e nei momenti essenziali gravi lieti drammatici - della sua storia, della sua coscienza, della sua evoluzione. TEATRO E' SAPERE, attraverso il gesto e la parola che si ripete e si rinnova ogni sera. TEATRO deve essere <> e cc sapere» PER TUTTI: questo nostro impegno ci impone l'ampiezza dei programmi e delle molteplici iniziative del nostro teatro. Classici e contemporanei - classici e non ancora sperimentazione drammaturgica, scuole, drammatizzazione, de· centramento, programmazione polivalente ed ampia su linee diverse e in diversi luoghi di spettacolo. Ma soprattutto quell'incontro quotidiano palcoscenico/platea del quale il pubblico (voi tutti) deve essere con noi protago· n i sta. ' Introduzione alla stagione lt! l! l ~ Conclusa la «primavera calda» del T.S.T. con la nomina della nuova direzione dell'Ente e con l'apertura di un dibattito pacato e civile tra il Comitato Amministrativo dell'Ente e i rappresentanti delle categorie interessate alla vita del Teatro pubblico nella nostra città, è giunto il momento di guardare con maggior fiducia all'unico rapporto possibile: quello tra il lavoro concreto e la sua stessa qualità. Alla luce di questo impegno, che dà al nostro mandato una responsabilità grave e indiscutibile, ci siamo mossi e abbiamo operato urgentemente per programmare, nel modo più ampio e ad un buon livello, in tutti i settori produttivi dell'Ente. Anzitutto, s'intende, per la formazione del cartellone, da non considerare «di riporto», ma di effettivo «repertorio»: ed ecco l'acquisizione del Macbeth di Shakespeare allestito per la stagione estiva del Teatro Romano di Verona, l'assunzione dell'accordo con l'Olimpico di Vicenza per la produzione di Isabella comica gelosa, la ripresa del Punti/a brechtiano, la conferma della nuova edizione dei Sei personaggi di Pirandello. E, accanto a questi quattro pilastri del programma, una importante novità che conferma la tradizione di ricerca drammaturgica del nostro Teatro Stabile: Vangelo secondo Borges di Domenico Porzio. Accanto alle nostre produzioni, la presenza in cartellone di tutti gli altri Teatri Stabili, dal Piccolo di Milano che esce dalla propria sede per presentarsi solo a Torino, agli Stabili di Genova, Catania, Trieste, L'Aquila e Bolzano. Il lavoro nelle scuole verrà incrementato con l'allestimento di un apposito spettacolo per gli alunni delle elementari: Pulcinella di Tonino Conte ed Emanuele Luzzati, e con l'ampliamento degli esperimenti di drammatizzazione all'interno delle scuole, in particolare con una edizione dell'Iliade di Omero. L'attività regionale, che ha raggiunto ampiezza e qualificazione impreviste con le « Giornate dei Giovani » e il ciclo di lezioni di Storia del Teatro, sarà estesa ulteriormente nel rapporto con nuove città; si conta di poter realizzare stagioni regolari in abbonamento a Vercelli, Novara, Asti, Cuneo, Tortona, Acqui, Casale, Borgosesia, Biella, Verbania, Savigliano Mondovi Ivrea e Pinerolo nonché nel capoluogo della Valle d'Aosta. Proseguirà il servizio per tutta la Provincia di Torino, servizio che ha recente- 111 l~ mente trovato il suo « diapason» nella rassegna sperimentale nazionale di Moncalieri. L'iniziativa di decentramento cittadino interesserà ancora vari Quartieri e vedrà la inaugurazione del nuovo Teatro di Mirafiori-Sud. Il rilancio del Teatro Stabile di Torino, come organismo in continua espansione e di costante operatività, trova appoggio nel coordinamento tra i due Enti dello spettacolo: Ente Regio e Teatro Stabile, promosso a livello comunale per l'unificazione tecnica dei servizi dei due Enti nella costruenda sede eli Piazza Castello, e si inquadra nella nuova più mstruttiva e struttura del Comitato dei Teatri a gestione pubblica, che con un regolamento di autodisciplina, ha riproposto il problem~ sempre attuale del potenziamento dei servizi per una estesa divulgazione della cultura teatrale sul territorio nazlonale. Si guarda al futuro con recuperato entusiasmo e con la consueta disponibilità per un lavoro massiccio e quanto più possibile produttivo. Franco Enriquez Nuccio Messina GUIDA DELLO SPETTATORE PER LA STAGIONE 1971·72 I NOSTRI SPETTACOLI Nel nuovo testo di Vito Pandolfì e Franco Enriquez Isabella comica gelosa Si narrano le divertentissime gesta e la paurosa avventura realmente yissuta dai commedianti i comici gelosi alla corte dei Gonzaga eli Mantova, dove essi ebbero la pessima idea di rappresentare la farsa dei gobbi, senza considerare che il permalosissimo duca Guglielmo aveva - poveraccio - la gobba. E lo spettacolo sortì un tal magro successo che sui comici gelosi piombarono non solo imprecazioni e disapprovazioni, ma anche una condanna a morte, da ese~uire l'indomani mediante impiccagione. La notte, m pngtone, esst corrompono il boia, recitando per lui - con quel sentor eli corda al collo - un'altra delle loro commedie. E .infatti le fu~i della forca si spezzano subito, la mattina dopo, e il popolo chtede la grazia, ma Guglielmo dice di no: al massimo. concede - per così dire - la prova d'appello . I comici gel~sz ce la mett<;>no tutta e lì, sullo stesso palco dell'esecuzione capttale, tmprovvtsano la farsa delle pulci. Ntente, neanche 9uesta pia.ce al gobbaccio Gonzaga: pollice vers?, corde nuove, st ncotnu;~cta lo stran.golamento. Ma qui salta f~on Isabella, che rectta {let donna, mtracolo per quei tempi) l-1MINT A del !asso (teatro scritto, capolavoro eli poesia non ptu le smorfie nsapute dei canovacci ridanciani e sbilenchi). E 112 avviene il miracolo. Il duca Guglielmo resta incantato eli fron te a Isabella forse addirittura intuisce che sta nascendo il teatro moderno. 'Insomma, concede la grazi~, a condizione che Isabella . . . . diventi la prim'attrice della compagrua ». Lo spettacolo è andato in scena al Teatro O~tmptco . dt Vtcenz~ il 4 settembre, in occ~sio?e della XXVI stagtone dt spettacoli classici e Lorenzo Reggtaru, sul Gzornale dz yzc~nza, così. lo ha commentato: «una gran sagra popolare, ptttoresca, ~h~a~sosa, buffa e tragica nel conten:po, proprio come .quella .pnmtttva e affascinante (per molti verst ancora poco o mal conosctuta) forma eli teatro che è la commedia dell'arte. Franco Enriquez, che pure non si è mai nascosto i pericoli cui andava incontro, ha fatto questa colossale coraggiosa opera di ricupero di un mon.do teatrale colto nel momento della sua decadenza e resurreztone. E l'eff~tto, subito, è godibiliss~o, piacevo~e; s~ ha spesso l'tmp~e~ sione di assistere ad una dt quelle reclte cmquecentesche ortglnali permeate di un'inventiva continua, instancabile, eli mac: chi~tte irripetibili. Gli attori dello Stabile di Torino sono tutti bravissimi, sono guitti interpretati con l'anima oltre che. c'?n il gesto. Applausi calorosissimi, diretti a tutti, senza disttnztone, da parte di un pubblico divertito ». . Ad Odoardo Bertani (L'Avvenire) è parso «notevole tl lavoro eli minuziosa ricerca espressiva, onde far rinascere un certo mondo senza però ridarcene connotati stereotipati. Colorita, vivace, es;rosa è la raffigurazione del mondo dei comici, e con altrettanta intelligenza ne è esposto l'altro versante, via via quella della goffaggine, dello st;narrimento, dell'it;np> (da Vito Pandolfi). Presentando anche a Torino 8 Settembre che tecnicamente si definisce « teatro-documento >>, l> alle quali la popolazione del quartiere potrà assistere. 122 Indice Pag. Introduzione alla Commedia dell'Arte Le origini della Commedia all'improvviso (V. » Pandolfi) L'improvvisazione nella Commedia dell'Arte » (M. Apollonio) . » Testimonianza di lavoro » Nota su Grotowski (J. Grotowski) . » Improvvisazione ed essenza (C. Marowitz) » Note varie e appunti (A. Giupponi) » Isabella Comica Gelosa » La pazzia di Isabella . » Partenza di Carnevale . » Le cento e quindici conclusioni . » La canzone della pulce » Lo Zanni » Il Magnifico . » Il Gratiano » Gli Innamorati » Compagnie comiche del secolo XVI . » Compagnie comiche dei secoli XVII e XVIII » Documenti del T .S.T . . 7 9 21 31 32 37 45 57 61 65 69 75 83 84 86 87 89 99 107 ' •"" ' • '• ~. ' ~~. < • 'l • ~ l Quaderni del T.S.T. Per opportune i11/ormazio11i dei lettori, diamo qui di seguito alcune indicazioni sul sommario degli ultimi numeri della collana dei Quaderni del Teatro Stabile di Torino, editi nella stagione teatrale 1971 / 1972: N. 20 - dedicato agli spettacoli Atene anno zero e Processo per magia di Francesco Della Corte. Contiene note di Francesco Della Corte, Umberto Altieri, Renzo Giovampietro, Nicola Chiaromonte, Roberto De Monticelli e Mario Raimondo. Nell'appendice sui <>, contiene il programma della Direzione e la << Guida dello spettatore » per la stagione 1970/71 e la situazione degli abbonati nella stagione 1969/70. N. 21 Finito di stampare nel 1971 per conto di U. Mursia & C. dalla Soc. Editr. Subalpina Torino dedicato allo spettacolo Il Signor Puntila e il suo s~rvo Matti di Bertolt Brecht. Contiene note sull'edizione di Zurigo, sull'edizione del Berliner Ensemble e sull'edizione di Torino con la regia di Aldo Trionfo. Saggi di Paul Rilla, Bertolt Brecht, Tino Buazzelli, Giannino Galloni, Gianrenzo Morteo, Maurice Blanchot e Roland Barthes. N. 22 - dedicato allo spettacolo Il dramma sospeso di Woyzeck di Georg Biichner, realizzato in collaborazione con il Teatro alla Scala. Contiene saggi e testimonianze di Giorgio Zampa, Georg Biichner, Hans Mayer, Gonthier-Louis Fink, Antonin Artaud, Virginio Puecher, Joseph Svoboda, e, per il W' ozzeck di Alba n Berg, di Luigi Rognoni e dello stesso Berg. In appendice, materiali di lavoro per Il gioco dell'epidemia di Ionesco. I Quaderni possono essere richiesti alla Segreteria del T.S.T. in via Bogino 8 - 10123 - Torino, in contrassegno o inviando anticipatamente la somma di L. 500 a copia. EDIZIONI MURSIA estratto dal catalogo ·- - - - -' -- .. . -- '·. '.' ,. ''"''~ .. ,. . ... . ' ... ( Teatro di tutti i tempi Una raccolta dei piu importanti e significativi testi della storia del Teatro: da quelli correntemente rappresenta/l a que/11 ancora rappresentabt!r per la loro contemporaneità poetica e teatrale. 1 - L. PIRANDELLO, Diana e la T uda - L. PIRANDELLO, L'amica delle mogli - L. PIRANDELLO, La nuova colonia - L. PIRANDELLO, Come tu mi vuoi - L. PIRANDELLO, Questa s~ra si recita a soggetto - L. PIRANDELLO, Trovarsi - L. PIRANDELLO, Quando si è qualcuno - L. PIRANDELLO, Non si sa come - L. PIRANDELLO, I giganti della montagna _ W. SHAKESPEARE, Macbeth (Traduz. di E. Chino! con testo 2 3 4 5 6 7 8 9 10 a fronte) . t· 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 Corrado Govoni Aldo Pafazz:eschi - ARMANDO BALDUINO, Corrado Alvaro - ANco MARZIO MuTTERLE, Scipio Slataper - CESARE GALIMBERTi, Dino Campana - MARCO CERRUTI, Carlo Michelstaedter . SANDRO BRIOSI, Renato Serra - BRUNO MAIER, Itala Svevo - GIORGIO DE RIENZO, Alfredo Panzini - ANTONIO TESTA, Piero ]ahier - CLAUDIO ScARPATI, Mario Luzi - MICHELE ToNDO, Salvatore Quasimodo GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, Camillo Sbarbaro MASSIMO GRILLANDI, Francesco ]ovine HENRIETTE MARTIN, Guido Gozzano FAUSTO CuRI, GIORGIO PoLLINI, SAGGI 2 - GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, Poesia e narrativa del secondo Novecento 3 4 5 - Civiltà letteraria del novecento Vuole essere un'organica enciclopedia della cultura poetica e narrativa dd nostro tempo in Italia. Articolata in tr~ sezzonl, con r PROFILT traccra una serie di ritratti dei maggiori scrittorz del nostro secolo; con 1 SAGGI affronta i problemi e le figure fondamentall della cultura letterarra moderna; con i TESTI documenta le direzioni piu vive della poesla e della prosa del Novecento. PROFILI 1 - MARIO CosTANZO, Giovanni Boine 2 - LORENZO MoNDO, Cesare Pavese 3 _ MARZIANO GuGLIELMINETTI, Clemente Rebora 4 _ EDOARDO SANGUINETI, Alberto Moravia 5 - FERRUCCIO ULIVI, Federigo Tozzi 6 • FoLco PoRTINARI, Umberto Saba 7 - STEFANO JACOMUZZI, Sergio Corazz:ini 8 - FuLVIO LoNGOBARDI, Vasco Pratolini 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 Tra liberty e crepuscolarismo Poesia e tecnica narrativa MARCO FORTI, Le proposte della poesia ':? nuove proposte - MARIO PUPPO, Il metodo e la critica di Benedetto Croce - RENATO BARILLI, La barriera del naturalismo - ADRIANO SERONI, Esperimenti critici sul Novecento letterario - ANTONIO Russi, Gli anni dell'antiali':?nazione - MICHEL DAvro, Letteratura e psicanalisi - NIKSA STIPCEVIC, Gramsci e i problemi letterari • GIAN CARLO FERRETTI, La letteratura del rifiuto - ENRICO FALQUI, Giornalismo e letteratura - MARIO PETRUCCIANI, Idoli e domand':? della poesia - lTALO VIOLA, Critica letteraria del Novecento GIUSEPPE AMOROSO, Sull'elaborazione di romanzi contemporanei GIORGIO PuLLINI, Volti e risvolti del romanzo italiano contemporaneo EDOARDO SANGUINETI, GIORGIO PETROCCHI, TESTI l - ENRICO FALQUI, Capitoli LUCIANO ANCESCHI, Lirici nuovi 3 - GIGI LrviO, Teatro grottesco del Novecento 2 • Saggi di estetica e di poetica Studi sulle figure piu rappresentative della storia del pensiero estetico e sui problemi pizl dibattuti dalla cultura estetica contemporanea_ l LUCIANo ANCESCHI, 2 3 - LUIGI PAREYSON, 6 GILLO DoRFLES , stein) Progetto di una sistematica dell'arte Conversazioni di estetica LUCIANO ANCESCHI, Tre studi di estetica 4 - GIANNI VATTIMO, Poesia e ontofogia 5 - RoSARIO AssUNTO, Stagioni e ragioni nell'estetica del Settecento 7 8 - L'estetica del mito (Da Vico a Wittgen. L'estetic'l di Kant La definizione dell'arte 9 - RENATO BARILLI, Poetica e retorica 10 - FRANCEsco PISELLI, Mallarmé e l'estetica 11 . CLAUDIO VICENTINI, L'estetica di Pirandello 12 - ALBERTO CARACCIOLO, Arte e linguaggio 13 - CoRRADO MALTESE, Semiologia del messaggio oggettuale 14 - MARIO PERNIOLA, L'alienazione artistica LUIGI PAREYSON, UMBERTO Eco, l· l~ l• F l_ ~ !:, .,.12' S)è--.-1 -,.l? t:- <'i &ìf!2 of?~ ;IV o 8;6; e 'o; -'lrc/'cà '~-'tg l r. ( l ~ 1 11

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Tipologia

Collocazione/Localizzazione

I quaderni del Teatro Stabile della città di Torino. - Torino : Teatro Stabile di Torino, 1964-1975.

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