a. o > (Almanacco letterario Bompiani, 1938, p. 81). 13 ------------------------------~ l noi che non riusciamo a rappresentare con precisione gli altri e a dare agli altri un giusto senso di noP. È chiaro che si tratta di una ben piccola vittoria critica; e d'ordine razionale, il meno adatto cioè a dominare un'opera che trova la sua veridica radice in un ambito in cui è il trionfo dei meno controllabili dinamismi psichici. Abbiamo voluto scorrere quante più pagine ci è stato possibile di critici che hanno tentato di impadronirsi dell'opera: tutti usano uno schema di raziocinio nel quale essa non rimane imprigionata che molto parzialmente e per poco. I critici, o si rispondono alla voce, ripetendo, con piccole varianti, quanto gli altri avevano anticipato, oppure vengono fuori con interpretazioni del tutto opposte; il che dimostra ere nell'opera si entra e si esce per varie porte e trabocchetti. Diamo qualche esempio: per Go betti il motivo fondamentale dell'opera è l'antinomia del creare è il dissidio fra la verità e la trasfigurazione di essa cui ~oi assistiamo nell'arte\ per Luigi Tonelli, nei Sei personaggi, è .il contrasto tra la vita, che cerca irrompere, superando ogni dtga, contravvenendo a ogni legge, e l'arte che costringe limita, irrigidisce5; ' anche per Gerardo Guerrieri l'opera significa che l'arte è un'astrazione irrigidita di fronte a un'incontenibile mutevolezza umana6. Invece, all'opposto, per Angioletti, la tesi è che le pure creazioni della fantasia risultano « più vere » delle persone viventF; 3 R. SrMONI, Cronache della ribalta, Firenze, 1927. • P. GoBETTI, Opera critica, Torino 1927 . : L. . ToNELLI, Il teatro contemporaneo italiano, Milano 1936, p. 228. Dzzzonarzo delle opere, Milano, Bompiani, 1948. 7 G. B. ANGIOLETTI, Luigi Pirandello narratore e drammaturgo Torino 1958, p. 53. ' 14 e invece, per altri, i Sei personaggi dimostrano che la vita è realtà, mentre l'arte, con la sua forma uccide la realtà, e cioè uccide la vita8 • Comincia a intravedere più legittimamente nell'opera un processo ad infinitum G. A. Borgese quando spiega: Come può l'uomo travagliato dalla sua inconsistenza, trovare serenità nel ne varietur della creazione artistica? La tragicità consiste in questo: che l'arte alla sua volta si proietta nella vita, che il fantasticato diventa reale, e il fiume tumultuante della mutevolezza ingoia quell'illusione di realtà9 • Il Borgese sembra già intendere come la commedia pirandelliana possa avere il punto di dissezione in qualsiasi parte del suo corpo, e come da tale punto si possa iniziare quel qualunque discorso d'interpretazione critica che si ritenga più appropriato. Il Tilgher, anche dai Sei personaggi, trasse pretesto per la compilazione di uno dei suoi loicizzanti repertori del pirandellismo, e ciò dopo aver ridotto il « processo di coscienza » proiettato sulla scena, a quello attraverso il quale il tumulto dei fantasmi germinanti dalla fantasia dell'artista, frementi di vita ma, in un primo tempo, ancora confusi e tenebrosi, ancora parzialmente caotici e irrealizzati, aspira a comporsi in una sintesi perfetta e armoniosa10 . Si può dire che a tutt'oggi i Sei personaggi siano nascosti dal velo di un'ammirazione incapace di autodeterminarsi in chiara coscienza critica. Finora non si sono date che misure inesatte per la valutazione. Noi vorremmo indicare alcuni motivi che ci spingono a rifiutare una interpretazione troppo rigida e • A . PoMPEATI, Storia della letteratura italiana, vol. IV, Torino 1950, p. 641. 9 10 G. A. BoRGESE, Tempo di edificare, Milano 1923, p. 229. A. TILGHER, Studi sul teatro contemporaneo, Roma 1928, p. 237. 15 troppo schematicamente intellettualistica dei Sei personaggi e a cercare di individuare le ragioni di un'ambiguità di fondo, strutturale, che ci pare di scorgere nell'opera, e nella sua genesi. Ambiguità, sia ben chiaro, non nel senso di mancata chiarezza poetica; al contrario, nel senso di precipitata poesia dell'ambiguità. Per non cadere nelle astrazioni preferiamo iniziare il nostro discorso con l'analisi di qualcuna delle battute della commedia per noi più significative; continueremo poi con l'appoggio di documentarie testimonianze autobiografiche, o teorico-poetiche dello scrittore, che ci scopriranno una genesi della commedia che è prelogica alle radici. Consideriamo anzitutto una battuta del « Padre » che si trova all'inizio dell'opera: IL PADRE. Mi dispiace che ridano cosl, perché portiamo in noi, ripeto, un dramma doloroso, come lor signori possono argomentare da questa donna velata di nero. La prima ambiguità, nella commedia, è nella doppia coscienza del "personaggio": di creatura condizionata solo dalla sua natura di essere vivo, essere nella vita; e di creatura intellettuale, di fantasia, autopensantesi come tale. In quasi ogni battuta dei personaggi ritroviamo questa doppia esplicitazione che è senz'altro equivoca rispetto a un concetto tradizionale del personaggio artistico, il quale doveva essere unico, non scindibile in una doppia personalità; e tanto meno scindibile se le due personalità debbano ritrovarsi una sul piano immediato della realtà, e una su un piano intellettuale, "pensato" fra problematica estetica e fantasia. Questa battuta è utile per intendere la sospetta lingua parlata dal Padre nel corso della commedia, lo squilibrio costante, intellettualmente umoristico, come può nascere dallo specchiarsi, e dall'incrociarsi allo specchio, dell'immagine fisica, veristica, umana- 16 n:ente so~erente. (l '~ccasione umana) del personaggiO, ~on l1mmagm~ mtellettuale di esso, che per essere ~ntellettuale, e perfettamente spregiudicata. Se cerchiamo nel periodo, scopriamo una precisa corrispondenza sintattica, che è causa ed effetto di una tale dissonan~a figurativa. Il personaggio umano e quello che qm, per comodità, chiamiamo « intellettualistico », non coincidono - e non debbono coincidere - restano sempre nettamente distinti in due fuochi. diver~i: l!na tale dissociazione (che però è anche m eqmhbno poetico) coincide con la divisione sinta~tica del periodo in due parti che esprimono rispettlv~mente la zona istintiva e immediata del personaggiO e quella riflettentesi in una autocoscienza più ada~ta . Il t~amite fra le due parti è quel « come » che subito e chiaramente distingue fra i due momenti del per~o~aggio: la prima parte è costituita da un suss~gmrs1 abb~stanza fi~to ~H ~ermini che hanno significazwne emotiva (« m1 d1sp1ace », « che ridano », « un dramma doloroso » ), che sono pronunciati secondo un ritmo di proposizioni brevissime che val?ono co~,e stimolo commotivo; la second~ parte è mvece pm pacatamente illustrativa e dimostrativa (« come lor si~nori possono argomentare da questa d.onna ve~ata d1 nero » ); da notare è il rilievo raziocmante d1 « argomentare », termine che sta meravig!io~amente al punto giusto per catalizzare il doppio s1gruficat~ del « personaggio ». Nell'organizzazione delle fras~ usate dal Padre si esprime ogni volta questa doppia presenza, del carattere umano effettivamen~e ~ fisiologic~m~nte condizionato, e 'del personaggiO mtellettuahstlcamente autosufficiente e staccato .e. implicitamente ironico rispetto alla sua stessa condizwne, che diventa una sorta di "avvocato del personaggio" e di cicerone della propria avventura umana. Non diversamente la « Figliastra »: 17 E allora mi permettano: benché orfana da appena due mesi, stiano a vedere lor signori come canto e come danzo! Les chinois sont un peuple malin De Shanga1 à Pekin ... La « Figliastra » sdoppia la propria pena e la propria rabbia, esacerbandole, da u~ l.a~o, _in un tutto femminile, dispettoso e danzato es1b1z1oms~o, ~a offrendosi nello stesso tempo all'altrui attenzwne m un eloquio sintatticamente esplicativo e piano ed e~au riente. L'uso del « benché » concessivo-narratlv~, l'« appena » che smorza qualsiasi drammaticità, il « come canto e come danzo » che accentuano il senso di un invito a una attenzione da spettatori incompassionevoli, sono tutti elen:enti di gramn:atica poeticamente funzionale che c1 rendono ragwne della duplice anima del pe~sonaggio, il quale lasciando intatta la propria passione, il proprio dispetto, ne fa oggetto e offerta cosciente per un giuoco d'arte. Il filo doppio di una necessità di materia e di una ipotesi di libertà di fantasia si ritrova intrecciato in una immediata e indissociabile opposizione in ogni battuta dei "personaggi". Qui è l'alto senso romantico dell'ironia di Pirandello. Pirandello sapeva che cosa fosse l'ironia romantica. Ne L'umorismo, leggiamo: Un senso filosofico fu dato alla parola ironia in Germania. Lo dedussero Federico Schlegel e Ludovico Tieck direttamente dall'idealismo soggettivo di Fichte; ma deriva in fondo da tutto il movimento idealistico e romantico tedesco postkantiano. L'Io, sola realtà vera, spiegava Hegel, può sorridere della vana parvenza dell'univer~o: come l~ pone, yu? annullarla; può non prender sul seno le pr?pn~ creazwm. Onde l'ironia: cioè quella forza - sec?ndo 11 T1eck - c~e permette al poeta di dominare la matena ~he tratta; matena che si riduce per essa - secondo Fedenco Schlegel - a una perpetua parodia, a una farsa trascendentale11 • 11 18 PIRANDELLO, Saggi, Milano 1952, p . 19. E una « forza », di tal genere, ma oscura rimossa -?ell'incons~io, presiede alla nascita dei Sei p;rsonaggi zn cerca d autore. Nell~ c?mmedia, a~alogamente, ambiguamente sfugge~t~ e tl punto d mcontro fra lo spazio fisico, in cm s1 svolge veristicamente l'intrigo misero e patetico, lo spazio "teatrale" in cui esso si ripropone scenicamente, e. lo spazio della memoria in cui i personaggi va~mo ?gn~ momer:to a ~iattingere le ragioni del propno agne m una dtmenswne assoluta. Ricorriamo anc,he q.ui a un'ermeneutica di tipo grammaticale nell ambtto della battuta. Il mezzo che viene usato è quello di semplificate opposizioni sintattiche: è l'alternanza, n~lla. stessa frase, di un tempo verbale presente, che mdtca un avvenimento che accade 0 sta per ~ccadere. hic et nunc, e di un aggettivo' dimostrativo che mvece allontana in uno spazio di qualità diversa, pensata, la scena: Sto fremendo, signore, fremendo di viverla, quella scena; è: nella rievo~a~ione che il "personaggio" fa dell'amb.t~nte do~e ~l e svolta e si svolgerà l'azione, l'oppo- SlZlone det dtmostrativi : qua-quello : la camera ... qua. la v~trina dei mantelli ... ; e davanti la finestra, qz:el tavolino d1 mogano con la busta cilestrina delle cento hre; è l'uso dell'imperfetto alternato al presente: Ma lor signori, si dovrebbero voltare: so n quasi nuda! Non arrosszsco pzu... Ma vi assicuro ch'era molto pallido molto pallido in quel momento! ' U?'altra an:biguità riguarda la categoria temporale. Avvtene contmuamente una compenetrazione di presente passato e. futur?, in un continuum temporale, ma senza una nsoluzwne che sia immediatamente e semplicemente figurativa. Si tratta più che altro di 19 una descrizione "mentale, di una sit~a~ione tanto t?rmentosa quanto esteticamente (senstbtlmente) labtle. Le figure hanno perduto ogni stabilità temporale. Si legga la battuta famosa della « Madre » No avviene ora avviene sempre! Il mio straz!o no~ è fìnt; signore! ro' sono viva e presente, s~mpre, m ogm ' · h · · v vo e presente momento del mio straz1o, c e s1 rm~J.Ova, . .1 ? N0 : sempre. Ma quei piccini là, li ha le1 sentltl par1ar~ possono più parlare signore! Se ne stanno a_ggrappatl ~ m , ancora, per tenermi vivo e presente lo ~tr~zw: ma. essl, per sé non sono più! E questa (indica la F:gltastra), slgnoJe, se n'è fu gita è scappata via da me e s'e perduta, per uta ... Se oragio ~e la vedo qua è ancora per questo! solo per qu~ sto, sempre, sempre, per rinnovarmi s~~pre, VlVO e present , lo strazio che ho sofferto anche per leL Qui puntualmente, ogni tempo passa~o corris)onde l fut~ro è usato per dire ciò che sara; così 1 pre:ente ser~e ad indicare ciò che è stato e ch,e ~vver rà. La « Figliastra » « s'è perduta », perche st p~r derà; « i due piccini » « se ne ~tanno ag~rapp~tl » alla « Madre » perché sono mor~t, e perc~e _monranno; perché sono stati aggrappatl e perche st aggrapperanno alla « Madre ». . . . La « Madre » in effetti non strmge ness~no; l P!~cini sono per lei « quei piccini l~»; la figha non c e, è fuggita, e ne rimane lo strazw: la sua presenza attuale è e non è. Ma nella battuta della « Madre » potre?be ~n,cora apparire un residuo di sottaci~ta convenz.wnahta lodella l·ca · Potrebbe apparire questo tl "senso raztonale gbattuta: ""ecco siccome io sono un personaggto.' quanto mi capita, ecco la mia terrib~le .s~r,te d~ mate~ dolorcsa per l'eternità. L'intercambtabthta del te~pl -presente, passato e futuro- potreb~e a~ere ~u~n di una ragione individuabile. in un'estettca tdeahsttca tradizionale, essendo determmata da una non ~emp~ ralità della passione di dolor~ del_ per~onaggt~ art~ stico. Ma un tale tentativo di raztonahzzare l ambt- 20 guità temporale presente nella battuta non può apparire valido, perché, di fatto, le immagini del presente, del passato e del futuro, non si identificano nella c?mmedia pirandelliana, tutt'al più si giustappongono, nmanendo distinte. La quantità veristica della scena pirandelliana ostacola ed impedisce qualsiasi inalveamento in un'unica corrente assoluta dei motivi temporali con quelli estratemporali. Si deve dire che lo scrittore riesca, per una via nuova, a darci la raffigurazione della pluralità del tempo, nelle figure di u.n~ contemporaneità dissociata. Si pensi alla scompostzwn~ delle figure su un'unica superficie quale si trova .m .molte !ele picassiane. Nessuno vorrà negare che v1 sta raggtunta la grande arte, ma neppure si potrà negare la presenza di un artificio intellettuale di una nuova convenzione, che si combina con l'intui~ zione estetica. Analogamente riposa sull'astratto e l'intellettuale sull'artificioso, la mediazione estetica usata dai futu~ risti e dai cubisti (dallo stesso Picasso) per restituirei figurativamente l'intuizione della sintesi spaziale e temporale. C'è un punto in cui l'intuizione dell'artista non riesce a restituirei i termini sensibili di una scoperta fatta , lontano dai sensi, dagli scienziati: noi possiamo attingere la quarta dimensione einsteiniana solo attraverso un cieco corridoio di formule astratte che non è percorribile da una semplice abbreviazione estetica. La falsa, l'equivoca perennità che Pirandello attribuisce ai suoi personaggi finisce per essere - all'insaputa dell'autore - un'irridente e crudele e impietosa riduzione, al livello della gogna, dei concetti di assolutezza e di eternità che da Platone erano calati fi_no all'estetica idealistica di cui Pirandello fu espiietto seguace. L'assolutezza, attribuzione dell'opera d'arte, si era già incarnata in una componente dell'opera, nel "personaggio". Il personaggio assoluto ed eterno, in qualche modo staccato dall'opera stessa di 21 cui faceva parte, fu un mito dell'estetica romantica. Pirandello dichiarò più volte di credere, seguace del 12 De Sanctis e del Cesareo, in un tale mito ; ma, senz~ rendersene perfettamente conto, nei Sei persona~gz, egli irride, contraddittoriamente, anc?,e alla stes~a !postasi assoluta che vuol proporre del personagg1~ chiaro che un assoluto non potrebbe uscire fuon pm umiliato di quanto è nella commedia di Pirandello. Esso è intralciato ridicolizzato nell'impostazione ste~ sa della commedia. Il "personaggio" vive, è nato Vlvo, non può morire, e invece supJ?lica d~ esse.re ~osto in vita· ed è abbassato, per quantl sforz1 face1a di salvare l~ propria alta, sublime, libera dignit~, .d~l suo trovarsi costretto a difendere, contro la stup1d1ta terra terra di una sciocca compagnia di teatranti, q~e.sta sua stessa contraddittoria essenza. Che cosa potra 1m~ portare l'uscita finale? l'~p?teosi fi~ale dei personagg1 in mezzo alle luci art1fic1ah della nbalta, quand? questi hanno subito tutte le umiliazioni di una v1cenda vergognosa? C'è una catarsi, un paradiso, dopo.il purgatorio? È chiaro che Pirand.ell?, per qu~nto cl ~enga a mostrar salda la sua convmzwne teonca dell assoluto dell'arte e del "personaggio" tiene piuttosto a infliggere all'arte il p~rgatorio c~e ad at,tribuirle il paradiso. L'eterno de1 personagg1 e dell arte tend~ a farsi un guscio nel limbo. Ma tu~:o quest~ no.n e affatto così chiaro nell'opera. Non c e nulla d1 ch1aro nei Sei personaggi, tutto può essere ri~alt~to in una posizione diversa; tranne naturalmente 1l n.su_ltato, la commedia fatta intitolata Sei personaggz zn cerca d'autore. I sensi della commedia navigano nell'equivoco, ed è appunto la plurivalenza la categoria predominante di essa. ·!: " Nel saggio citato, su L'umorismo, alle l;'P· 85 e 86, Pir~ndello si richiama al De Sanctis e a G. A. Cesareo per rmforzare la propria persuasione dell'autonomia del personaggio: « Il poeta ~on ha da scegher~ nulla perché quella creatura è libera, autonoma, fuori ~el poeta rr;edesimo >~. (éesareo). Ma, come si spiegherà più oltre, pe_r Pnandello, l autonomia del personaggio sarà anche un fatto personale, dt autobiografia. 22 Ma si guardi, nei Sei personaggi, a un'altra complicazione dell'ambiguità logica, causata da un dinamico incrociarsi ~i piani di valore su uno stesso oggetto, per lo sfugg1re di una singola entità sensibili e senza !'_intervento di un processo metaforico, dar' dato al s1mbolo, dal falso al vero, da un qui a un altrove e viceversa. Meglio che altrove si può individuar~ un simile incrocio di diverse oggettivate proiezioni dello ste.sso oggetto nel monologo della « Figliastra », poco pnma della fine della commedia. (« La Figliastra » parla alla « Bambina » che annegherà fra poco n.ella vasca: « Povero amorino mio, tu guardi smarnta ... » ). L'immediato oggetto veristico, la prima percezione è, quella d~l "palcoscenico": « ... chi sa dove ti par d essere! siamo su un palcoscenico, cara! ». Ma un pal~oscenico. «.è un luogo dove si giuoca a far sul seno ». « C1 si fa la commedia ». « E noi faremo la commedia. Sul serio, sai! ». Finora il rimando avviene fra l.a « comn:edia » e il « far sul serio », fra palcoscemco e sottmtesa vita veristico-metafisica del "personaggio". Ma a~cora si rimane nel vago, occorre un oggetto ~otato di moto pendolare, capace di mutar natura, d1 passare, nel breve periodo del pendolo da u.n valo,re verist~co-i~mediato a uno oggettivo-espressivo. ~oggetto e qm « la vasca ». La vasca è da palcoscemco, finta: « Eh, finta, si sa ». Ma la « Bambina » giu~ca « in una vasca vera, bella, grande, verde, con tantl bambù che vi fanno ombra». Il senso dell'am~ig~ità (immetaforica) nasce da quel falso tratto d umone fra la presentazione della vasca finta del dato del.palcoscenico, e il nascere spontaneo dei fatto fantast1co della vasca vera, unione costituita da una frase del tutto incoerente: Ma già forse a te, bambina, piace più una vasca finta che una vera; per poterei giocare, eh? Ma no, sarà per gli altri un wocoi non per te, purtroppo, che sei vera, amorino, e che gwcht per davvero in una vasca vera ... : 23 non si tratta di un passaggio logico, ma di una semplice gratuita affermazione, di un rapporto artificioso fra i due termini da ridurre a opposte significazioni. Alla « Bambina » piace di più una vasca finta che una vera, ma il suo non è un giuoco: infatti la vasca finta è una vasca vera (così come la « Bambina » è una bambina vera e non una bambina finta, nonostante la sua artificiosa presenza su quel palcoscenico). L'inesistenza del tramite logico e metaforico risulta mimetizzata, e ulteriormente, questo, reso ambiguo, da una mozione degli affetti, dall'affettuosità del tono, dall'uso carezzevole dei diminuitivi, dall'immeditezza struggente di un discorso quale è rivolto a una bimba di quattro anni che sta per morire. All'incoerenza della trama logica corrisponde la frantumazione sintattica. L'usuale modulo drammatico pirandelliano, si spezzetta ancora di più, si cesura secondo un respiro brevissimo che richiama a sé tutte le possibili forme dell'interpunzione, con una prevalenza dei punti esclamativi e interrogativi. Mentre le virgole non sono usate se non per stringere i ripetuti complementi vocativi, e riappaiono nel loro normale distensivo uso sintattico solo alla fine della battuta, quando il discorso si farà descrittivo, memoria e rievocazione. In una tale affannata trama non c'è posto che per pochissime congiunzioni subordinanti. L'incalzare delle frasi è perciò paratattico e strutturalmente alogico, e consente con agevolezza, attraverso una immediata persuasione, sottilmente oratoria, la finzione e l'illusione. Certo questo monologo della « Figliastra », che si continua nel dispettoso amaro rimprovero rivolto al « Giovinetto », è uno dei punti più alti della commedia, anche se il più scoperto agli effetti patetici. Ma una forte continua carica emotiva percorre la molteplice disponibilità simbolica del capolavoro pirandelliano. Non sappiamo se essa per sé costituisca un 24 grande pregio, ma certo è essenziale a custodire quel grado di tensione drammatica senza cui cadrebbero nella pura astrazione le più significanti forme della grande commedia intellettuale. Il salto nell'irrazionale è già stato fatto da Pirandello quando ci ha condotti a una condizione di "disordine" temporale e spaziale, per così dire, pre-tridimensionale. Ma è per l'appunto un disordine un equivoco. Il passo fuori del tempo e dello spazio non si realizza in un'immagine nitida, che a un certo punto riesca a crearsi intorno un'integrazione logica assoluta. Tutt'altro; il salto fuori del concetto tradizionale della successione temporale e causale, non è nient'affatto definitivo. Anzi la commedia è tutta intessuta di questo continuo rimbalzo, dalla significazione simbolica al vero fisico, dalla problematica dell'arte assolutrice della fisicità a una pregnanza dei valori del sangue e dei sensi, e viceversa dalla vicenda del fatto di cronaca e da una escussione di testimonianze a difesa delle teorie del pirandellismo, a una "fissazione" idealistica, o, se si vuole, "figurale" in senso auerbachiano. Abbiamo considerato fin qui l'enuclearsi di tante contraddizioni dentro il microcosmo della singola battuta. Se apriamo ora la prospettiva sulle sequenze del dialogato, tanto più ci appariranno chiari i segni della disintegrazione di una autenticità logica. Il filo che sembra collegare il discorso di un personaggio a quello degli altri è per lo più solo apparente, o quasi puramente occasionale. Un effetto ne è spesso uno humour da nonsense tipicamente onirico, come c'è spesso nella pagina kafkiana, e che al razionalismo puritano del Croce apparve invece come il risultato di una farsa involontaria. e certo non trascendentale (come in effetto è) 13 • Quello stesso impuntarsi della 13 • << I dialoghi fra i sei personaggi e gli attori sono a tal punto privi d1 oggetto che qua e là, certamente contro l'intenzione dell'autore prendono toni degni piuttosto di una farsa che di una tragedia », Lett'eratura 25 nosciuta e le si è subito accostata! Stiano a vedere, stiano a vedere la scena! (Titubanti, il Capocomico e gli Attori, che ne erano schizzati via con un urlo di spavento, risaliranno sul palcoscenico. Ma già la scena tra la Figliastra e Madama Pace, sarà cominciata, sottovoce pianissimo ). IL CAPOCOMICO. Ebbene? h PRIMO ATTORE. Ma che dice? LA PRIMA ATTRICE. Cosl non si sente nulla! L'ATTOR GIOVANE. Forte! Forte! LA FIGLIASTRA (facendosi avanti)« Forte», già ! Che forte? Non son mica cose che si possano dir forte! Le ho potute dir forte io per la sua vergogna, (i ndicando il Padre) , che è la mia vendetta! Ma per Madama è un'altra cosa, signori: c'è la galera! IL CAPOCOMICO. Oh bella! Ah, è cosl? Ma qui bisogna che si faccia sentire . cara lei! ... dizione, quel movimento sussultorio del periodo quella mancanza di destrezza letteraria che impaccia quasi sempre il periodare pirandelliano, diventa qui, alla luce di tale humour, un tempestivo movimento caricaturale, un equivoco riso delle parole, che sono in qualche modo non coincidenti, dissonanti rispetto a un'ovvia validità semantica. Quel falso tramite, che abbiamo costatato, più sopra, nella battuta della « Figliastra », tra premessa e conseguenza, è attuale in quasi ogni momento della commedia. Le entrate individuali, i risentimenti personali, gli equivoci, il perseguimento solitario delle proprie ragioni che non si incontrano mai con quelle degli altri, e l'alternanza continua, a brevissimo periodo, delle due dimensioni opposte, del vero immediato e dell'assoluto, sulle tavole dure e sorde del palcoscenico, non coesistono, rifuggono vicendevolmente e con un movimento grottesco. Si legga, a riprova di ciò, la scena che segue l'apparire miracoloso di Madama Pace. Anche i vari interventi esplicativi ( « la natura si serve da strumento della fantasia umana ... » ), la difesa di una tesi o di un'altra (« chi ha la ventura di nascere personaggio vivo ... » ), gli innesti usuali del pirandellismo nella vita drammatica dei singoli personaggi (« e come possiamo intenderei ... »; « ciascuno di noi - veda - si crede "uno", ma non è vero: è "tanti", signore ... »), non sono in questa commedia insistiti, come sempre in Pirandello; appaiono e scompaiono senza provocare ingorghi e soste nell'opera. La teoria del relativismo pirandelliano, o quella della vita e della forma, o quella dell'uomo allo specchio, che sono state spesso, una ad una, volta a volta, le tesi, e le gabbie costruttive di intere commedie, qui si limitano a fare capolino, a rappresentare lo sfogo di un momento, senza intralciare menomamente l'instabilità e il movimento dinamico dell'opera. Questa poi non si svolge secondo un ordine prevedibile o previsto dall'autore: è un serpente che si morde la coda - non senza masochistico divertimento. Le cose non mutano, e il risultato di crisi delle signifìcazioni diventa più perentorio, se dall'esame sin- IL PADRE. Guardino! Guardino! LA FIGLIASTRA. Eccola! Eccola! IL PADRE (raggiante) . È lei! Lo dicevo io? Eccola qua! IL CAPOCOMICO (indignato). Ma che trucchi son questi? IL PRIMO ATTORE . Ma dove siamo, insomma? L'ATTOR GIOVANE. Di dove è comparsa quella li? L'ATTRICE GIOVANE. La tenevano in serbo! LA PRIMA ATTRICE. Questo è un giuoco di bussolotti! h PADRE (dominando le proteste). Ma scusino! Perché vogliono guastare, in nome d'una verità volgare, di fatto, questo prodigio di una realtà che nasce, evocata, attratta, formata dalla stessa scena, e che ha più diritto di viver qui, che loro; perché assai più vera di loro? Quale attrice fra loro rifarà poi Madama Pace? Ebbene: Madama Pace è quella! Mi concederanno che l'attrice che la rifarà, sarà meno vera di quella - che è lei in persona! Guardino: mia figlia l'ha ricodella nuova Italia, vol. VI, Bari 1940; dove il Croce ci dà, anche lui, una spiegazione dell'opera: i Sei personaggi sono <> (p. 366). l~ 27 26 ' ------~~----------------------------------~j~------------------------------------------~ 1- tomatologico si passa a quello più interno; se dall'inchiesta sui particolari - la singola battuta, la singola sequenza - ci si spinge alla scoperta dei valori totali dell'opera. Qui ci conviene fare appello a quattro esegeti pirandelliani, Adriano Tilgher, Mario Apollonia, Silvio D'Amico, Eugenio Levi, che, tutti e quattro, ci hanno detto che cosa significhino i Sei personaggi in cerca d'autore. Dalle loro risposte, che citiamo per necessità nella fase più sintetica, sarà facile ad ognuno costatare come l'opera sfugga "nella sua totalità", a qualunque sia pur cauto tentativo di individuazione critica; e come le singole opinioni critiche trovino di che sottrarsi l'una all'altra per una tangente il cui punto di fuga rimane incognito. Adriano Tilgher comincia il suo saggio dicendo: Nei Sei personagJ!,i in cerca d'autore vediamo in atto la dialettica stessa del formarsi della verità e dell'illusione che è lo stesso; ' e così conclude: I Sei personaggi sono il dramma della possibilità vanamente aspirante all'atto in cui è l'essere, della virtualità vanamente anelante alla definitività della forma »14. Afferma Mario Apollonia: Il dramma ha una sua vicenda di teatralità mediata a rappresentare l'insufficienza del giudizio sociale e la molteplicità delle apparenze di una sola sostanza umana: il "problema centrale" ritorna anche qui nelle più volte ripetute parole del padre; ma il suo centro è nella teatralità stessa, incapace di trasferire in via concreta le immagini dell'artets. Silvio D'Amico non accenna neppure al dramma della "teatralità" che pure è veramente importante nell'opera pirandelliana, e cerca un senso all'opera intimo e complessivo: Qui si vuole esprimere la tragedia della incomunicabilità fra uomo e uomo: della impossibilità per ciascun essere umano, di uscire dal suo io, o da quello che crede il suo io, per manifestarsi a un altro nella propria realtà. Perciò, se scoprire allo specchio la vanità della propria maschera significa non potere più vivere, la tragedia dell'uomo è tuttavia proprio questa, che per illudersi di vivere l'uomo non ha altre risorse se non d'affidarsi a codesta maschera, come gli altri (o lui stesso) l'hanno foggiata 16 . Eugenio Levi, critico certo illuminato, comincia col dire che i critici si sono sviati a cercare il senso della commedia nel dissidio fra la concezione e l'espressione, fra ciò che il poeta vorrebbe realizzare e ciò ch'egli realizza in effetto; poi anch'egli trova i significati dell'opera: un primo e più immediato senso è nell'umorizzare che vi si fa, da parte dei personaggi, del tradizionale ruolo passivo della persona; ... un secondo senso dell'opera consiste nel venire a trovarsi, i personaggi, in contrasto non più con gli attori in quanto tali, ma cogli attori in quanto uomini, dal che consegue che l'inconsistenza del vivere 1.1mano è tanto più sentita quanto più i sei personaggi gridano la loro realtà, che è realtà fantastica. ... Il terzo e ultimo, il più riposto e amaro senso dell'opera è che l'unico mezzo per noi di trasformarci d'inconclusi in conclusi, d'irreali in reali è quello di perdere la nostra umanità 17 • Come si vede, neanche Levi, sia pure sul fìlo dell'acutezza interpretativa, rinunzia a vedere una tesi che sottenderebbe l'opera, una specie di alta e amara 16 14 15 28 Op. cit., pp. 236 e 242. M. APOLLONIO, Storia del teatro italiano, vol. IV, Firenze 1950. S. D'AMICO, Storia del teatro drammatico, vol. IV, Milano 1958, p. 193. 17 E. LEVI, Il comico di carattere da Teo/rasto a Pirandello, Torino 1959; p. 166 e ss. 29 morale che Pirandello avrebbe voluto proporre nella sua favola. Una tesi di cui si possono restituire i termini secondo concetti razionali, come il critico ha fatto. Nel triplice diramarsi del giudizio del Levi (specie se lo si accompagna a quelli del Tilgher, dell'Apollonia, del D'Amico e degli altri critici citati al principio del nostro articolo) si può rilevare come un critico sufficientemente abile nel sillogizzare possa ricavare i sensi della commedia uno dall'altro, anzi uno dentro l'altro; e il rosario delle interpretazioni è anche reversibile, perché la commedia ci autorizza anche a procedere in una direzione inversa rispetto a quella del Levi: a scoprire, prima, che l'uomo, per trasformarsi d'irreale in reale, debba perdere la propria umanità, trasformarsi in persona, « maschera nuda che resta », e, dopo, che lo scrittore abbia voluto urnarizzare una tale disgraziatissima rivelazione. Ma tutti e quattro i giudizi peccano soprattutto di parzialità, circoscrivono appena un senso dell'opera, e ne lasciano fuori tutto il dinamico ritrarsi e riapparire, e contraddirsi, di parole, di valori e di simboli. È come prelevare una forma da una materia ribollente. Operazione quanto mai illegittima per un'opera che nasce in un flusso che non si propone soste e rientra in circolo in qualsiasi punto si ritenti l'innesto. I Sei personaggi sono un'opera il cui tratto caratteristico sembra il rifiuto di una delimitazione accertabile, in qualsiasi senso la si voglia determinare18 • Persuasi come rimaniamo dell'inevitabile scacco di un'ermeneutica di questo genere, per avere qualche 18 Si sono citati molti critici, se ne potrebbero citare altri forse meno autorevoli: ma che tutti unilateralmente riescono a un esito di scacco. Il punto di vista di un critico marxista, il Ferrante, è il seguente: «Vi è in questa commedia un problema, non lo schema di un paradossale agnosticismo, esso riguarda l'oggettività delle relazioni umane e la crisi di tale oggettività ». « Il senso della tesi della commedia riguarda la crisi dell 'individuo in quanto termine di relazioni sociali precarie, inadatte ad alimentare un dialogo morale, crisi che investe l'oggettività del mondo etico, delle sue norme e imprigiona l'essere umano nella debolezza, nella miseria, negli errori senza offrirgli la possibilità del riscatto», FERRANTE, Pirandello, Firenze 1958, p. 116. 30 luce sul nesso strutturale della commedia, dobbiamo allora chiederci quale possa essere stata la sua genesi. Subito si può ammettere che la genesi dei Sei personaggi sia diversa da quella di quasi tutto il resto del teatro pirandelliano; e infatti questa commedia si trova su un piano più immediato di corrispondenza con l'anima più segreta dello scrittore. Nelle altre commedie o drammi di Pirandello è sempre possibile delimitare un disegno preciso, uno sviluppo drammatico, una tesi circoscritta che si dimostra. Non vi si trova mai una simile labilità di confine fra significati e valori diversi e spesso opposti (il falso, il verosimile, il certo, il vero). Nei Sei personaggi tutto sembra essere volto a un fine di problematicità: nessuna intenzione specifica dell'autore regge in linea definitiva e i significati si rimandano l'uno all'altro come in un giuoco di specchi girevoli o si aprono l'uno dentro l'altro come le scatole di un giuoco cinese. Al critico non resta (deve essere la sua prima operazione) che assimilarsi al concetto dell'equivoco e cercarne l'origine: i Sei personaggi appaiono nutrirsi di ambiguità alle sorgenti stessi dell'ambiguità, cioè a un livello preliminale della coscienza. Ma come ha potuto quest'opera nascere come è nata? Si tratta di una delle quarantotto commedie pirandelliane. Perché essa ha una siffatta configurazione, mentre le altre sono così diversamente assimilabili e discutibili? A una simile domanda si può rispondere, ma la risposta va cercata nell'eccezionalità del procedimento dal quale l'opera è nata . Se Pirandello, di solito, ha elaborato il suo teatro in stato di veglia, questa volta si è affidato, in buona parte, al dettato diretto della visione. Meglio potrebbe dirsi: Pirandello di solito ha controllato, corretto, ridotto con maggiore sistematicità a una dimensione raziocinante, più letteraria e più intenzionalmente moralistica, più teatralmente tradizionale la sollecitazione inconscia dell'ispirazione; questa volta si è limitato veramente ad assistere, e a 31 far prevalere i valori della visione nella registrazione scenica che ne andava facendo . Una tale concessione alla propria più intima e più particolare verità (o non verità) psicologica, è stata, diciamolo subito, il maggior bene dell'opera, ché una simile pregnanza di valori nell'intuizione pirandellina non la troveremo più. Non la si trova mai quando lo scrittore crede di rimettere negli aggiustati binari di un'idea, di una tesi, di un lavoro organizzato, gli stimoli immediati della sua coscienza poetica. In questa pregnanza di valori, l'ambiguità e l'equivoco rappresentano la forza originale della commedia, il suo senso contemporaneo, il suo ritrovarsi, a pieno titolo, in una cultur~ che cercava di ripresentare l'uomo a se stesso al d1 qua di tutti gli schemi e i pregiudizi tradizionali, e quindi al di qua di un'ottimistica e troppo intelligibile autocoscienza. L'uomo occidentale (il prodotto borghese, piccolo o no, della civiltà occidentale) non riusciva ormai a vedersi in tutta sincerità, se non in un labile ed equivoco labirinto di coscienza. Uno strumento particolarmente adeguato e diretto a esprimere, in una sincerità allo stato vergine, una così grave crisi di coscienza, nasceva in seno all'esperienza psicoanalitica, era il dettato dell'inconscio, sarà presto la poesia e l'arte del surrealismo. Ma per Pirandello si trattò, almeno in quel 1921, di un molto indiretto adeguarsi alla contemporanea letteratura europea: egli si trovò a vivere l'avventura europea dentro una esperienza spiccatamente personale, legata a una sua particolare struttura psicologica. Dentro di questa, per autogenesi inconscia, i Sei personaggi riescono una summa di tutta la novità e di tutta la contemporaneità pirandelliana. È Pirandello stesso che ci dà le prime informazioni intorno al nascere dell'opera. Nella prefazione all'edizione del 1925 dei Sei personaggi, egli, dopo aver premesso che tutte le spiegazioni che sta dando, a chiarire il significato della commedia, sono a poste32 riori e non hanno molto a che fare con il nascere di essa, confessa di avere composto l'opera subendo una serie di sollecitazioni di indole involontaria e irrazionale: « inconsciamente avev[a] avuto l'impressione che [gli] bisognasse farli apparire [i Personaggi] alcuni più realizzati, artisticamente, altri meno »; « inconsciamente avev[a] trovato il modo di risolvere » la nuova prospettiva della commedia; e gli appariva, « il modo di averla ottenuta, un miracolo ». Il fatto è - egli aggiunge - che la commedia fu veramente concepita in un'illuminazione spontanea della fantasia, quando, per prodigio, tutti gli elementi dello spirito si rispon. dono e lavorano in un divino accordo. Nessun cervello umano, lavora?d~xi ~ freddo, per quanto ci si fosse travagliato, sarebbe mal rmsclto a penetrare e a poter soddisfare tutte le necessità delle sue forme. Perciò le ragioni che io dirò per chiarirne i valori non siano intese come intenzioni da me preconcette quando mi accinsi alla sua creazione e di cui ora mi assumo _la difesa, ma solo come scoperte che io stesso, poi, a mente nposata, ho potuto fare . Tutto ciò ci rende conto abbastanza esplicitamente dello stato di ricezione passiva in cui si trovava Pirandello mentre componeva l'opera. Ma vi sono altre riprove. Anzitutto una minore, ma da un punto di vista freudiano, molto sintomatica. Sappiamo tutti quanto Pirandello scrittore si compiacesse dell'uso di certe curiose e stravaganti parole che si trovano disseminate sulla sua pagina come ciotoli di un'estranea alluvione. A proposito di tale idiosincratico uso del vocabolario Giacomo Debenedetti osservava: I~ !llovitr_lento della prosa pirandelliana, ovvio, parlato e sped1t1v~, s1 arresta per la improvvisa importanza di una parola s1-?g~la, <;he sfora sul !ecitativo e s'impiglia in se stessa. (S1 ncordmo, per esemp10, nelle novelle di Una giornata, i repentini alt comandati, nel corso della lettura, da una orchestrina di calvi inteschiati, o da un incalcinare di semi perché non involpassero ecc.) ... l9_ 19 DEBENEDETTI, Saggi critici, Nuova serie, Milano 1955, p. 284. 33 Ora succede, a un certo punto, nei Sei personaggi, che Pirandello cada in un lapsus autocritico di derivazione tipicamente inconscia che contraddice comicamente al suo compiacimento letterario per quei tali termini « ripicchiati e da vocabolario» (Alvaro?0 : Dice « Il Capocomico », rivolto alla « Figliastra »: ... il suo fratellino ritorna dalla scuola e s'aggira come un'ombra per le stanze, nascondendosi dietro gli usci a meditare un proposito, in cui - com'ha detto? LA FIGLIASTRA. Si dissuga, signore, si dissuga tutto! IL CAPOCOMICO. Non ho mai sentito codesta parola! E va bene « crescendo soltanto negli occhi », è vero? LA FIGLIASTRA. Sissignore ... Che questo, alquanto esilarante, scarto del dialogo sia inconscio, è indubitabile, perché mai Pirandello, in tutta la sua carriera letteraria diede prova di risi21 piscienza nei riguardi del proprio vocabolario; anzi • Ma questo è ancora un episodio minore che può legittimamente considerarsi trascurabile. Una riprova più importante, dell'automatismo della visione, nell'opera stessa, si ritrova in due battute: una del « Padre », una, più illuminante, della « Figliastra », mentre stanno raccontando al « Capocomico » delle loro visite all'autore che non vuole dare loro quella vita artistica che desiderano: IL PADRE. Quando i personaggi son VIVI, v1v1 veramente davanti al loro autore, questo non fa altro che seguirli nelle parole, nei gesti ch'essi appunto gli propongono; e bisogna ch'egli li voglia com'essi si vogliono; e guai se non fa cosl! Quando un personaggio è nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore ... LA FIGLIASTRA (venedo avanti com e trasognata). È vero, anch'io, anch'io signore, per tentarlo, tante volte, nella malinconia di quel suo scrittoio, all'ora del crepuscolo, quand'egli, C. ALVARO, op. cit . Significativo l'elenco di << appunti per scriver bene>> che si trovano in una pagina non datata del Taccuino segreto di Pirandello, riportata da C. ALVARO in Almanacco letterario Bompiani 1938, cit. Sono 29 esempi di frasi idiomatiche strettamente toscane. 20 11 34 abbandonato su una poltrona, non sapeva risolversi a girar la chiavetta della luce e lasciava che l'ombra gl'invadesse la stanza e che quell'ombra brulicasse di noi, che andavamo a tentarlo ... Abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a un fatto biografico dello scrittore; a una sua reale consuetudine con i suoi personaggi. Consuetudine della quale abbiamo altre conferme. N el 1915 Pirandello dedicò due novelle, che sono scritte in forma di diario, ai suoi colloqui con i personaggP2 (è da sottolineare che uno di questi personaggi è la madre stessa dello scrittore che gli appare subito appena morta): E mi è avvenuto, accostandomi per la prima volta all'angolo della stanza ove già le ombre cominciavano a vivere, di trovarmene una che non mi aspettavo: ombra solo da ieri. Ma come, Mamma, tu qui? Nell'altra novella, cosl si preannuncia la inevocata presenza dei personaggi: ~-. Nell'ombra che veniva lenta e stanca dopo quei lunghissimi afosi pomeriggi estivi e m'invadeva a poco a poco la stanza ... io da alcuni giorni non mi sentivo più solo. Qualcosa brulicava in quell'ombra, in un angolo della mia stanza. Ombre nell'ombra che seguivano commiseranti la mia ansia, le mie smanie, i miei scatti, tutta la mia passione, da cui forse er~no nate o cominciavano a nascere. Mi guardavano, mi sp1avano. Mi avrebbero guardato tanto, che alla fine, per forza, mi sarei voltato verso di loro. Nell'una e nell'altra occasione è inquietante la sensazione fìsica del dialogo fra lo scrittore e il personaggio. Leggiamo anche, nel Taccuino segreto: Il bello è questo ... (il romanzo) me lo rappresentavano davanti, ma come se io non ci fossi , come se non dipendesse da me ...23 • 22 Si possono leggere in appendice all'edizione Mondadori delle Novelle per un anno, Milano 1957 e 1958, pp. 1126 e 1131. 23 Pagine del Taccuino segreto di Pirandello, raccolte da C. ALVARO in Nuova Antologia, gennaio 1934. ' 35 l~ ~ ' . .. .. .. ' - .... •" . ' E altri esempi potremmo fare di testimonianze dirette dello scrittore intorno alle sue "visioni "24 • Tolto lo sviluppo e la dilatazione letteraria della "visione" c'è da rimanere alquanto perplessi di fronte alla radice biografica di essa. Ma qui forse può soccorrerei lo Jung dei Tipi psicologici. Egli ci parla di un modo di apparire « arcaico » delle immagini, che si verifica quando « l'immagine interiore si traspone facilmente nello spazio come visione o come allucinazione auditiva, senza essere patologica »; ci dice di un « arcaico concretismo del pensare e del sentire » e di « fantasie che fanno parte degli automatismi psichici, la cui produzione presuppone che un rilevante importo di energia si sia sottratto al controllo conscio ed abbia occupato dei materiali inconsci »25 • Per i Sei personaggi sembra innegabile l'automatismo della immagine (poiché ci soccorre la testimonianza stessa di Pirandello ), e, di questa, appare, nell'opera, una pressoché immediata trascrizione, in 24 Si ricordino, per esempio, le parole dette da Pirandello durante la conferenza tenuta al pubblico di Buenos Aires: <> << Il pensiero introvertito mostra una tendenza a forzare i fatti nella forma della sua immagine o ad ignorarli del tutto per sviluppare la sua inunagine fantastica. In tal caso l'idea espressa non potrà sconfessare la sua provenienza dall'oscura immagine arcaica e conserverà un carattere mitologico che viene interpretato come "originalità"» (p. 393). <>. E aggiunge: << Quale significato universale si può trarre dal fatto che un mestierante di teatro è incapace di svolgere in sintesi uno spunto abbozzato e lasciato 11? di portare alla espressione completa personaggi nei quali la vita intera non si è espressa ancora? ». Sono le delusioni inevitabili di chi considera la commedia in chiave troppo pedantescamen te loicizzan te. 39 sione: lo choc della sua comparsa è provocato proprio dal secondo grado della sua apparizione: la prima visione è quella dei sei "Personaggi"; su questa nasce la commedia pirandelliana, mista di visione e d'artificio; poi, sul piano della commedia, e propriamente su quello del palcoscenico, scaturisce improvvisa, sconvolgente, la nuova visione. « Madama Pace» è stata richiamata, evocata, per un tramite onirico, dalla presenza degli altri "Personaggi". Pirandello stesso fu sorpreso dal disordine logico della sua commedia e cercò, nella già ricordata prefazione, di individuare alcuni fili conduttori. Ma le spiegazioni di Pirandello critico dell'opera non possono soddisfarei più di quanto ci abbiano soddisfatto le spiegazioni di altri critici. Ci interessa invece qui mettere in rilievo quelle frasi di Pirandello che ci mostrano, implicitamente, una certa qual sorpresa, a posteriori, dello scrittore, di fronte all'apparente confusione dell'opera: strumento di proprie simbologie libere e dinamicamente disponibili in molte direzioni. E proprio per questa libera, moltepli~e c.aptazion~ del reale, che è dell'anima profonda dell artlsta, che 1 Sei personaggi sono più veridicamente rivelatori di un rapporto intimo e polivalente dell'autore con l~ vita della società e della storia. In quest'opera s1 trova quel di più di verità che invano si cerca in altre opere d'arte ad essa contemporanee. Che la verità sia essa stessa ambigua e inafferrabile nelle radici; non molti ancora hanno saputo dire come Pirandello ci dice in quest'opera. (Estratto dagli Atti del Congresso I nternazional~ di Studi Pir.andelliani pubblicati dalla Casa Editrice Felice Le Monmer, Firenz~, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Isola di San Giorgio Maggiore, 2-5 ottobre 1961; 1967). nel mio lavoro la rappresentazione del dramma in cui sono involti i sei personaggi appare tumultuosa e non procede mai ordinata; non c'è sviluppo logico, non c'è concatenazione negli avvenimenti. È verissimo. Neanche a cercarlo col lumicino avrei potuto trovare un modo più disordinato, più strambo, più arbitrario e complicato... di rappresentare il dramma in cui sono involti i sei personaggi. Solo che ci pare di potere aggiungere che non solo « il dramma in cui sono involti i sei personaggi », ma anche la commedia del loro dramma abbia avuto un tutto particolare venire alla luce. Il desiderio di Pirandello di trovare un ordine nel disordine è alquanto cavilloso, e infine ingiustificato. Se i Sei personaggi sono nati visionariamente non possono ritrovarsi che sotto il segno dell'ambiguità. Non c'è espressione dell'inconscio che non abbia bivalenze o plurivalenze di significato, che non si impadronisca volta a volta di concetti logici, di oggetti materiali, di figure di persone e di cose, per farne 40 41 l '' Sei personaggi in cerca d'autore n e la nascita del teatro nuovo di Claudio Vicentini « Alla fine è scoppiata la battaglia, la più violenta forse che ricordi il teatro Valle. La lotta tra i plaudenti e i dissidenti ha toccato intensità sonore mai raggiunte. Le manifestazioni ostili di qualche testardo abitante del loggione, si rinnovarono anche sulle pubbliche vie e si protrassero a lungo, risvegliando nel silenzio della notte echi che devono aver sorpreso e spaventato non poco quelli che dormivano il loro sonno nei pressi del Teatro ». Cosi scriveva Arnaldo Frateili sull'« Idea Nazionale» dell'll maggio 1921. È la cronaca della prima dei Sei personaggi in cerca d'autore. A cinquant'anni di distanza bisogna senz'altro riconoscere che il pubblico romano del teatro V alle non si trovava poi completamente dalla parte del torto, ed aveva parecchi buoni motivi per andare fuori dai gangheri. Innanzi tutto, per più di due ore, gli era toccata in sorte una specie di rappresentazione che non si capiva bene che cosa fosse. Una commedia no di certo, e del resto il titolo stesso lo escludeva: i Sei personaggi in cerca d'autore sono « una commedia da fare ». Ma il peggio era che questa commedia poi nessuno la faceva: anzi, se qualcosa di tutto quell'affaccendarsi sul palco si poteva capire, era appunto che a teatro una commedia decente non si sarebbe potuta in ogni caso vedere, né quella, né altre, né adesso, né mai. Quindi, gonzo il pubblico che a teatro ci va, cani gli attori (e tutto sommato pure un poco imbroglioni), inevitabile buggeratura l'arte teatrale tutta, senza 42 appello . Il che è certo scortese da dirsi al pubblico che paga e che per assistere alla prima si infila inevitabilmente il vestito buono. In quanto all'autore, per quello che diceva e per quello che faceva, non poteva comunque sfuggire al sospetto di follia. Da più di dieci anni si affannava a spiegare, scrivere, teorizzare, che il teatro non poteva che essere una rabberciata porcheria, ma da almeno sei anni stendeva regolarmente commedie, ne seguiva le prove, e anzi ci si appassionava. Il fatto è che Pirandello, i suoi dubbi li aveva pure lui. Pirandello aveva tentato un'ampia messa a punto della propria teoria estetica in una serie di saggi pubblicati nel 1908. La realtà quotidiana, sosteneva Pirandello, « limita le cose, gli uomini e le loro azioni, li contraria, li deforma. Nella realtà le azioni che mettono in luce un carattere si stagliano su un fondo di contingenze senza valore, di particolari comuni. Mille ostacoli impreveduti, improvvisi, deviano le azioni, deturpano i caratteri; minute, volgari miserie spesso li sminuiscono ». L'arte, invece, prolunga l'opera incompleta e distorta della natura perfezionandola attraverso la fantasia dell'autore, « libera le cose, gli uomini e le loro azioni di queste contingenze senza valore, di questi particolari comuni, di questi volgari ostacoli o minute miserie; in un certo senso li astrae; cioè rigetta, senza neppure badarvi, tutto ciò che contraria la concezione dell'artista e aggruppa invece tutto ciò che, in accordo con essa, le dà più forza e ricchezza » (Illustratori, attori e traduttori, ora in Saggi poesie e scritti varii, Milano, 1960, p. 217). Si tratta dunque dell'istituzione di una realtà superiore, dove tutte le intenzioni degli uomini e delle cose si realizzano pienamente, esprimendo la loro natura profonda nel mondo armonico e perfetto del43 l'opera d'arte. Ma quando l'opera è stata concepita e scritta dall'autore, questa perfetta creazione è compiuta, e non si può perciò tradurla in un'altra lingua, illustrarla graficamente, o rappresentarla su un palcoscenico: « illustratori, attori e traduttori si trovano difatti, a ben considerare, nella medesima condizione. Tutti e tre hanno davanti a sé un'opera d'arte già espressa, cioè già concepita ed eseguita da altri, che l'uno deve tradurre in un'altra arte; il secondo, in azione materiale; il terzo in un'altra lingua » (ivi, p. 217). In questa prospettiva i motivi che impediscono la rappresentazione teatrale sono essenzialmente tre. Innanzi tutto nessuna interpretazione può essere fedele, e l'opera rivissuta dall'attore sarà sempre diversa dalla creazione dell'autore; « benché non nata nell'attore spontaneamente, ma suscitata nello spirito di lui dall'espressione del poeta, quest'immagine- scriveva Pirandello - può essere mai la stessa? Può non modificarsi passando da uno spirito ad un altro? Non sarà più la stessa. Sarà magari un'immagine approssimativa, più o meno somigliante, ma la stessa, no» (ivi, p. 216). In secondo luogo la creazione è una. Se l'opera è perfetta, ricreandola non si può che guastarla: l'esecuzione riesce a realizzare l'opera solo se questa è originariamente incompiuta o mancata. « Può avvenire non di rado che noi, man mano leggendo, ripensiamo meglio ciò che l'autore ha espresso male o non ha espresso affatto, che ritroviamo in un libro quel che in fondo non c'è: che realizziamo in noi, insomma, ciò che l'autore non è riuscito a realizzare. È lo stesso caso del comico che, nella rappresentazione teatrale migliora e non guasta, accresce e non diminuisce il dramma che gli è stato affidato. Ma in questo caso il merito è dell'autore, e il dramma è cattivo » (ivi, p. 221). Dunque se l'attore prende il dramma come un canovaccio e vi infonde la vita sulla scena potremo 44 avere « l'originale a teatro », come appunto avveniva ai tempi della commedia dell'arte. Ma non avremo anche in questo caso arte autentica, perché « la libera creazione » che muove solo da uno schema di canovaccio « sarebbe sempre triviale » perché è un'opera d'improvvisazione « in cui non può avere luogo quello scarto di particolari ovii, comuni, quella semplificazione e concentrazione ideale, caratteristica d'ogni opera d'arte superiore » (ivi, p. 224 ). Infine, la rappresentazione scenica urta in difficoltà materiali insuperabili, come la figura dell'attore che non può mai essere perfettamente appropriata al personaggio, impossibilità di ricreare i luoghi immaginati, di svincolarsi dallo spazio scenico che è prestabilito, e via dicendo. Sicché, in conclusione, l'attore « fa proprio il contrario di ciò che ha fatto il poeta. Rende, cioè, più materiale e tuttavia men vero il personaggio creato dal poeta, gli toglie tanto, cioè, di quella veriù ideale, superiore, quanto più gli dà di quella realtà materiale, comune; e lo fa men vero anche perché lo traduce nella materialità fittizia e convenzionale della scena. L'attore insomma dà una consistenza artefatta; in un ambiente posticcio, illusorio, a persone e ad azioni che hanno già avuto un'espressione di vita superiore alle contingenze materiali e che vivono già nell'idealità essenziale, caratteristica della poesia, cioè in una realtà superiore» (ivi, p. 218). Può ovviamente essere arte un'opera scritta in forma drammatica, ma ciò che resta senza speranza è la sua rappresentazione a teatro : « io so n nemico non dell'arte drammatica », scrive Pirandello in Teatro siciliano? nel 1909, «ma di quel mondo posticcio e convenzionale del palcoscenico, in cui l'opera d'arte drammatica è purtroppo destinata a perdere tanto della sua verità ideale e superiore, quanto più acquista di realtà materiale, a un tempo, e fittizia » (Teatro siciliano?, nel volume del Saggi, cit., p. 1165). Si può cosl almeno capire perché Pirandello, negli 45 anni successivi al saggio sul teatro, lavorasse intensa- dove persone e cose trovano la loro completa realizmente alla stesura di « opere drammatiche»: (Pen- zazione nell'organismo armonico dell'opera, al riparo saci, Giacomino.'; Il berretto a sonagli; La giara; Al- dagli incidenti e dalle dilacerazioni della realtà quotil'uscita; Così è, se vi pare, e via dicendo). Queste, diana, non si può evitare il sospetto che da questo per la loro stessa struttura di opere centrate esclusi- eterno ed immobile iperuranio artistico tiri un certo vamente sulle battute dei personaggi che agiscono di- gelo, e che per l'appunto l'arte, posta in questa luce, rettamente, senza nessun ingombro di descrizioni e sia quanto di più estraneo si possa immaginare dalla pause narrative esposte dall'autore, gli erano infatti realtà drammatica e straziante della nostra vita. Per del tutto congeniali, e costituivano proprio la forma quanto si sforzi di dibattere ed incarnare i nostri proideale di « racconto » che si intravvede già nelle sue blemi, l'artista finirà poi sempre con il metterli « in novelle fin dai primi anni del Novecento. Resta, anzi, bello », e l'opera, nella sua perfezione, sarà in una del tutto giustificata la soddisfazione che Pirandello certa misura un falso della realtà. Era il problema esplicitamente affrontato nel sagtrova nello scrivere commedie, soddisfazione che trapela dalle lettere inviate in quel periodo al figlio Ste- gio sull'Umorismo che Pirandello aveva pubblicato nel 1908. La separazione tra la perfezione dell'arte e fano e alla figlia Lietta. Ciò che invece Pirandello non riuscirebbe ancora a la drammaticità della vita quotidiana - vi affermava spiegare, è l'imbarazzante passione che va via via sem- Pirandello - è superata dall'arte dell'umorista, perpre più avvertendo per il tanto esecrato mondo del ché questi non evade dagli aspetti critici e contradditpalcoscenico. Non si limita a consegnare le proprie tori della realtà . « Nella realtà vera le azioni che met« opere drammatiche » alle compagnie di giro, stoica- tono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo mente rassegnato all'inevitabile scempio che ne faran- di vicende ordinarie, di particolari comuni. Ebbene, no (e che deve consentire per sostenere le sue preca- gli scrittori, in genere, non se n'avvalgono, o poco se rie condizioni economiche), ma si interessa anzi, atti- ne curano, come se queste vicende, questi particolari, vamente alle prove, stende note di regia, ritocca per- non abbiano alcun valore e siano inutili e trascurabili. fino i copioni accogliendo i suggerimenti degli attori, Ne fa tesoro invece l'umorista . L'oro, in natura, non e, diventato membro della « Commissione Permanen- si trova frammisto alla terra? Ebbene, gli scrittori orte per le Arti Musicale e Drammatica » impianta pro- dinariamente buttano via la terra e presentano l'oro getti per l'organizzazione e il finanziamento del tea- in zecchini nuovi, ben colato, ben fuso, ben pesato e tro in Italia . con la loro marca e il loro stemma bene impressi . Ma l'umorista sa che le vicende ordinarie, i particolari Il fatto è che Pirandello, contro ogni apparenza, e comuni, la materialità della vita insomma, così varia e senza rendersene ancora bene conto lui stesso, non complessa, contraddicono poi aspramente quelle semsta affatto vendendo l'anima a quel vero e proprio plificazioni ideali, costringono ad azioni, ispirano pendiavolo che per lui è il teatro, quanto piuttosto va sieri e sentimenti contrari a tutta quella logica armointravvedendo, nel mondo del palcoscenico, la rispo- niosa dei fatti e dei caratteri concepiti dagli scrittori sta ad una propria esigenza artistica impellente che ordinari. E l'impreveduto che è nella vita? E l'abisso lo rode fin dai suoi primi lavori. che è nelle anime? Di qui, nell'umorismo, tutta quella Concepita l'opera d'arte come un mondo perfetto ricerca dei particolari più intimi e minuti, che pos46 47 sono anche parer volgari e triviali se si raffrontano con le sintesi idealizzatrici dell'arte in genere ». (L'umorismo, in Saggi, cit., p. 134 ). L'umorista riuscirebbe così ad esprimere - attraverso un particolare processo creativo - la criticità della vita nella perfezione dell'opera, che a sua volta si presenta proprio come i casi degli uomini, contraddittoria ed imprevedibile, « scomposta, interrotta, intramezzata da continue digressioni » (ivi, p. 133 ). Tralasciando qui la discussione sulla teoria dell'umorismo, resta comunque il fatto che sul mondo del palcoscenico si riproponeva proprio quella stessa esigenza: trovare il punto di contatto tra l'arte (come opera perfetta immaginata dall'autore) e la realtà concreta del mondo quotidiano (quale è appunto il mondo dello spettacolo con le sue esigenze pratiche e i suoi elementi materiali: persone e problemi finanziari, spazio fisico, quinte, costumi). Agli occhi di Pirandello la tradizione teatrale suggeriva due soluzioni. La prima era quella da secoli consueta: un autore mette a punto le sue fantasie in un'opera perfetta che narra una vicenda in forma dialogata (la commedia, appunto) e gli attori, successivamente, la recitano parola per parola sul palcoscenico cercando di« materializzarla » di fronte agli spettatori. Ma ovviamente non potranno mai giungere alla perfezione dell'opera immaginata dall'autore, e tutto si ridurrà a una parodia grossolana della vicenda scritta nel copione. Molto meglio sarebbe !asciarla lì, e il pubblico la gusterebbe di più leggendola direttamente, tranquillo a casa. La seconda è la soluzione della commedia dell'arte, che parte, per così dire, dal basso. Sono gli attori che con i loro mezzi scenici cercano di raccontare, recitandola, una vicenda, muovendo soltanto dal canovaccio, e improvvisando in larga parte movimenti e battute. Ma anche qui il tentativo di raccontare in : 48 modo conveniente la storia abbozzata nel canovaccio fallisce, perché l'improvvisazione non permette il lavoro di limatura e di correzione, e l'opera recitata sul palcoscenico sarà sempre una « storiaccia » abborracciata di fronte alla perfezione a cui potrebbe giungere se fosse stesa compiutamente per scritto. In questi modi, dunque, il teatro resta un divertimento inferiore. Ed è appunto questo il primo e più semplice messaggio contenuto nei Sei personaggi che sono un vero e proprio violentissimo pamphlet contro il teatro che rappresenta le commedie. Immaginiamo infatti sei personaggi, pensa Pirandello, appena concepiti da un autore, che tentino di realizzarsi in una vicenda direttamente sulle tavole del palcoscenico attraverso i buoni uffici di una compagnia di attori, e vediamo perché non ci possono riuscire. Prima di tutto, siccome manca un'opera concepita preliminarmente, in cui siano stati fissati modi, situazioni e battute con assoluta precisione, la vicenda crollerà nel caos, e sarà impossibile capire chi siano e che cosa diavolo sia capitato a queste sei brave persone. E non per niente, mentre nei primi due atti, soprattutto attraverso i monologhi del Padre si riesce a capire abbastanza quale siano state le vicende di famiglia, il finale è completamente caotico e si riesce soltanto ad intuire un vago macello di bambini suicidi e annegamenti nella vasca del giardino. I sei personaggi creature dell'arte- e la loro storia, dal loro ingresso sul palco fino alla conclusione, lasceranno il pubblico in sala e la stessa compagnia degli attori sempre più perplessi, turbati, esterreffatti: il procedere della rappresentazione corrisponde esattamente all'aumentare della confusione. Ma, incalza Pirandello, le cose andrebbero solo un pachino meglio se l'opera scritta ci fosse stata. La vicenda sarebbe forse diventata comprensibile nei suoi tratti più esteriori, ma sarebbe stata intimamente tradita dalla recitazione e dalla messa in scena. Gli attori Il l' 1: l i l' Il Il· 49 l non corrispondono ai personaggi, e quando il capocomico vorrà distribuire le parti, il personaggio della Figliastra che deve essere interpretato dalla prima attrice interverrà: «Come come? Io, quella lì? ... Non so, non ... non m'assomiglia per nulla! ». Il personaggio del Padre, a sua volta, solleverà dei dubbi sull'attore che gli è destinato! « Eh, dico, la rappresentazione che farà - anche forzandosi col trucco a somigliarmi... - dico, con quella statura ... difficilmente potrà essere una rappresentazione di me, com'io realmente sono. Sarà piuttosto - a parte la fìgura - sarà piuttosto com'egli interpreterà ch'io sia, com'egli mi sentirà - e non com'io dentro di me mi sento». (Sei personaggi in cerca d'autore, nel primo volume delle Maschere nude, Milano, 1958, pp. 103-105). Inoltre le scene non possono corrispondere ai luoghi, e il capocomico ribatterà esasperato alle critiche della Figliastra, « non pretenderà che le si edifichi qua; tal quale, quel retrobottega che lei conosce, di Madama Pace! » (ivi, p. 105). Infìne le convenzioni teatrali non permetteranno il libero dispiegarsi dell'azione. Se, ad esempio, le richieste scabrose, nella realtà, sono fatte « sottovoce », in teatro devono essere dichiarate chiare e ad alta voce. « Forte, già replica esasperata il personaggio della Figliastra Che forte? Non sono mica cose che si possano dir forte! Le ho potute dir forte io per la sua vergogna (indicherà il padre), che è la mia vendetta! Ma per Madama è un'altra cosa, signori: c'è la galera! » E il capocomico «Ho bella! Ah, è così? Ma qui bisogna che si facciano sentire, cara lei! Non sentiamo nemmeno noi, sul palcoscenico! Figurarsi quando ci sarà il pubblico in teatro! Bisogna far la scena! » (i vi, p. l 08 ). In questa luce i Sei personaggi in cerca d'autore vogliono appunto essere la denuncia del mondo teatrale che, come rappresentazione di storie per il divertimento del pubblico è sempre guittesco, dozzinale e 50 sbracato e non può avere nessun significato ed esito artistico. Appunto il personaggio del Padre, cominciando a capire che cosa è il mondo del palcoscenico, constaterà amaramente nel secondo atto: « Ora forse indovino anche perché il nostro autore, che ci vide vivi così, non volle poi comparci per la scena. » (p. 104 ). Ma mentre Pirandello espone impietosamente le sue critiche a ogni possibile azione teatrale - mostrando tutta l'impotenza del palcoscenico - indica poi di fatto proprio nei Sei personaggi le condizioni per' poterle ~uperare, aprendo la via alla nascita di un teatro nuovo, radicalmente diverso. Ogni volta che i Sei personaggi in cerca d'autore sono rappresentati, infatti, il palcoscenico non è costretto ad imitare attraverso l'illusione delle scene un altro luogo immaginato dall'autore, né gli attori devono imitare le vicende di altre persone: l'azione è già stata concepita da Pirandello in un teatro, e la maggior parte dei personaggi della commedia sono attori. Analogamente il tempo in cui tutta la vicenda si svolge è esattamente quello che trascorre sotto gli occhi degli spettatori: non una giornata, un mese o due anni, ma proprio quell'ora o due - minuto per minuto - che dura la rappresentazione. Si realizzerà perciò una sorta di identità di luogo, di azione e di tempo tra l'opera concepita, e la realtà della rappresentazione a cui assiste il pubblico. Questa perciò tenderà inesorabilmente a trasformarsi da rappresentazione o racconto di una vicenda a fatto vero e proprio che si celebra sotto gli occhi degli spettatori. In secondo luogo Pirandello non esita a inserire clamorosamente nei Sei personaggi in cerca d'autore momenti di recitazione a soggetto. « Dalla porta del palcoscenico - è l'inizio della commedia - cominceranno a venire gli Attori della Compagnia, uomini e donne, prima uno, poi un altro, poi due insieme, 51 a piacere. Entreranno, saluteranno il Direttore di scena e si saluteranno tra loro augurandosi il buon giorno. Alcuni si avvieranno ai loro camerini; altri, fra cui il Suggeritore che avrà il copione arrotolato sotto il braccio, si fermeranno sul palcoscenico in attesa del Direttore per cominciar la prova, e intanto, o seduti a crocchio, o in piedi, scambieranno tra loro qualche parola; e chi accenderà una sigaretta, chi si lamenterà della parte che gli è stata assegnata, chi leggerà forte ai suoi compagni qualche notizia di un giornaletto teatrale. Sarà bene che tanto le Attrici quanto gli Attori siano vestiti d'abiti piuttosto chiari e gai, e che questa prima scena a soggetto abbia, nella sua naturalezza, molta vivacità» (ivi, p. 7). È ovvio che la recitazione a soggetto, a questo punto e in questo modo, assume un significato completamente diverso dall'improvvisazione della commedia dell'arte. Non si tratta di raccontare alla bell'e meglio una storia con soluzioni di repertorio e trovate estemporanee; ma si chiede agli attori di essere quello che sono e fare quello che fanno sempre nella realtà della loro vita: entrare in teatro preparandosi a recitare. E ciò allo scopo di rompere il confine tra spettacolo teatrale e realtà della vita quotidiana, sicché scompaia il punto preciso in cui cessa la realtà e comincia la finzione (l'alzarsi del sipario), e l'azione scenica si dia come naturale prolungamento della realtà immediata. E in questa direzione viene cercato un coinvolgimento nuovo del pubblico (ampiamente sviluppato poi da Pirandello in Ciascuno a suo modo e in Questa sera si recita a soggetto) che deve essere disposto a uno spettacolo non preparato, e con questa sua disposizione contribuisce all'identificazione del fatto scenico con quello reale: « Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato il sipario, e il palcoscenico com'è di giorno, senza quinte né scena, quasi al buio e vuoto, perché abbiano fin da principio 52 l'impressione di uno spettacolo non preparato » (ivi, p. 71). Infine deve risultare clamorosamente che nei Sei personaggi in cerca d'autore non si racconta nessuna storia, non si vuole narrare alcuna vicenda. È il celeberrimo grido della Figliastra, nel primo atto: « Qui non si narra, qui non si narra! » (ivi, p. 87). Lo spettatore che cerchi la storia, attaccandosi disperatamente ai brandelli di racconto che qua e là la lasciano trasparire resterà inesorabilmente deluso: la storia non si narra, perché non è affatto l'aspetto importante di tutta l'operazione che si svolge sul palco. Non vicenda da raccontare, quindi, mediante gli strumenti scenici, ma fatto che deve accadere, identificando una serie di elementi predisposti con l'evento che si svolge concretamente dinnanzi (e insieme) al pubblico. Il risultato a cui si mira è la perfetta incarnazione dei due momenti, in modo che sia assolutamente impossibile separare quanto è stato predisposto per l'accadimento del fatto teatrale, e il fatto stesso concreto e reale che si svolge nella sala. Lo proclamano le ultime battute della commedia: LA PRIMA ATTRICE. È morto! Povero ragazzo! È morto! Oh che cosa! IL PRIMO ATTORE. Ma che morto! Finzione! finzione! Non ci creda! ALTRI ATTORI DA DESTRA. Finzione? Realtà! realtà! È morto! ALTRI ATTORI DA SINISTRA. No! Finzione! Finzione! IL PADRE. Ma che finzione! Realtà, realtà, signori, realtà! (i vi, p. 13 7 ). Questi, insomma, sono gli elementi che costituiscono la portata rivoluzionaria dei Sei personaggi: dissoluzione della storia « da raccontare »; identità di tempo luogo e azione che tende ad escludere la « rappresentazione » per suscitare un « avvenimento »; di53 sponibilità della recitazione ad accogliere l'immediatezza e la concreta realtà dell'avvenimento aprendosi, quando è opportuno, alla spontaneità dell'improvvisazione; coinvolgimento sempre più radicale del pubblico a cui viene chiesta la rinuncia ad assistere passivamente ad una narrazione per contribuire sempre più profondamente all'accadere di un avvenimento. Se Pirandello negli ultimi quindici anni della sua vita continua a svolgere le proprie proposte teatrali, raggiungendo risultati sempre più complessi e approfonditi (Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto, I giganti della montagna), sono proprio le indicazioni dei Sei personaggi in cerca d'autore che restano il cardine del teatro strettamente contemporaneo. Questo, almeno nelle sue realizzazioni significative, lascia ad altri mezzi di diffusione più economici il compito di divertire raccontando delle belle storie ad un pubblico che sta a guardare, e cerca l'identificazione dell'azione scenica con il fatto concreto. Ciò in due direzioni. La prima è l'esperimento che si può definire molto genericamente « surrealista », dove si tenta di coinvolgere attori e pubblico in un'esperienza comune « privilegiata » e « autentica » radicalmente diversa dalla nostra vita consueta che è distorta e alienata. E il teatro assumerà allora il valore di un rito che vuole scavare e recuperare il nostro fondo autentico e originario (secondo i suggerimenti, ad esempio, di Artaud). La seconda è il teatro più schiettamente « politico », il quale continuerà magari a raccontare storie a titolo esemplificativo e didascalico (come avviene, ad esempio, in tutto il teatro brechtiano) ma soltanto perché la storia diventa un elemento di una azione teatrale più vasta che prevede l'intervento attivo del pubblico - coinvolto nel suo problema politico - a livello minimo in un dibattito verbale, a livello massimo nell'opera concreta della rivoluzione. Pubblico, insomma, che viene anche qui coinvolto perché rinunci ad assistere passivamente ad una nar- 54 razione, per contribuire sempre più profondamente all'accadere di un avvenimento che da teatrale si prolunga direttamente in politico. Non di rado, del resto, le due vie del teatro « surrealistico » e « politico » si congiungono, come nelle rappresentazioni del Living theatre. In ogni modo il perno della proposta pirandelliana resta la disponibilità reciproca degli attori - come di tutti gli operatori teatrali - e del pubblico, per la realizzazione di uno spettacolo che sia un accadimento concreto e significativo, tanto da scuotere e « illuminare » criticamente la nostra vita consueta. Il che esige ovviamente un teatro radicato profondamente nella comunità in cui si sviluppa, che nasca già aperto ai mutamenti che di volta in volta richiede la situazione, e che fallirà inesorabilmente, come azione teatrale, ogni volta che abbia anche solo lontanamente l'aspetto di un prodotto d'importazione, fatto dai tecnici, e « bello da guardare ». Solo questo tipo di teatro post-pirandelliano è ora in grado di giustificarsi dopo la nascita del cinema e della televisione, che si sono assunti volentieri, nella maggioranza dei casi, i compiti del teatro digestivo. Non si capirebbe altrimenti perché si debba riunire fisicamente pubblico e attori per narrare delle storie che il cinema di consumo e la televisione possono raccontare assai meglio, con ben altri mezzi illusionistici. Ed è probabilmente per questo che anche i cascami del teatro vecchio, pervicacemente riproposti anche oggi al pubblico che va a teatro per assistere al racconto di una storia divertente, tentano di giustificarsi cercando di suscitare almeno « il dibattito » dopo la rappresentazione. Altrimenti, degli attori in carne ed ossa e della comunità presente del pubblico, che cosa diavolo potremmo farcene? Pirandello, almeno in questo caso, non avrebbe dubbi. Si tratta solo di un imbroglio. Quello, appunto, che i Sei personaggi continuano a denunciare. 55 Dentro il << linguaggio » pirandelliano di Piero Raffa l - La crisi del naturalismo « Dal punto di vista del linguaggio l'opera teatrale di Pirandello si colloca nel punto di crisi del naturalismo, cioè di incrinatura e di rottura dei suoi assiomi fondamentali. Com'è noto, si tratta di una crisi che investe i processi storici e gli atteggiamenti culturali, ma in questa sede non mi occuperò, se non incidentalmente, di questo aspetto del fenomeno. Col termine « naturalismo » intendo un tipo di linguaggio artistico, che ha avuto corso praticamente, se non esclusivamente, almeno dal Rinascimento fino alla fine del secolo scorso e, come sopravvivenza, fino al nostro. È il linguaggio di Machiavelli e di Ruzzante, di Molière e di Racine, di Shakespeare e di Lope, di Goldoni e Marivaux, di Becque, Hauptmann e Cecov. Ciò che lo caratterizza in quanto sistema di segni sono essenzialmente due principi: a) il principio della mimesi, in ossequio al quale la rappresentazione artistica viene intesa come riproduzione estetica di persone, oggetti, luoghi ed eventi della realtà fenomenica, sì che fra detti enti nella realtà e il loro equivalente sulla scena non viene presupposta nessuna sostanziale differenza, salvo appunto la dimensione estetica, che peraltro ne lascia intatto il significato. In questo teatro un muro è un muro, un avvocato è un avvocato, una luce che si spegne è un fatto causato da qualche persona che ha girato l'interruttore oppure dal calare della notte; b) la modalità oggettiva 56 della. rappresentazione, secondo la quale i significati che tl drammaturgo intende comunicare allo spettatore sono affidati esclusivamente all'azione intesa come svolgimento di eventi rappresentati in modo puramente oggettivo, escluso pertanto che l'autore interferisca in maniera diretta o per il tramite di qualche personaggio di comodo (coro o personaggio-pedina) con un discorso che si inserisce nell'azione. È noto che nel naturalismo questi due assiomi operano di conserva, tanto che anziché naturalismo potrebbe chia~~rsi an~he, come in realtà è stato chiamato, oggettlvlsmo. E noto inoltre che nel caso specifìco di Pirandello codesto linguaggio viene designato con una denominazione precisa in uso presso la storiografia artistica e che io adotterò d'ora innanzi: "verismo" ». Il · Oggettivismo-soggettivismo ~< P!emessa l'equivalenza verismo-oggettivismo, si puo d1re senz'altro che la crisi del linguaggio verista è caratterizzata in generale dall'emergere di un principio semiotico soggettivista. Questo principio si è manifestato nel nostro secolo lungo direzioni molteplici e talvolta anche notevolmente diverse, che qui non è il caso di ricordare. Per stabilire quale precisa fisionomia si debba attribuire al linguaggio di Pirandello nell'ambito della crisi menzionata, basteranno pochi cenni preliminari con riferimento agli assiomi già descritti: a) il principio soggettivista rifiuta la mimesi come criterio necessario della rappresentazione e pertanto abbandona il presupposto dell'equivalenza di significato fra mondo reale e teatro. Un muro e un avvocato non sono necessariamente un muro e un avvocato, ma possono essere un simbolo o suggerire uno stato d'animo. Una luce che si spegne può avere un significato che non ha nulla a che vedere con i congegni dell'impianto elettrico o coi processi astronomici; b) la modalità oggettiva di svolgimento del- 57 l'azione non è più ritenuta necessaria, ma può essere compenetrata dagli interventi "soggettivi" dell'autore oppure del tutto soppressa. Vedrò di stabilire, attraverso esemplificazioni sommarie, ma (spero) essenziali, se e quali di questi principi siano operanti nel linguaggio pirandelliano e quale concreta funzione vi assumano. » noto saggio sull'umorismo, cui accennerò pm avanti - una rara trasparenza e lucidità nei confronti delle intenzioni creative dell'autore, che non hanno bisogno di commento. Sia chiaro intanto che l'eterogeneità dei livelli, della quale sto parlando, non vuoi designare necessariamente un difetto di costruzione artistica, ma vuoi essere semplicemente - almeno per il momento - una categoria descrittiva . » 111 - Compenetrazione dei due livelli « Non pretendo di scoprire niente di nuovo dicendo che il linguaggio di Pirandello presenta una struttura composita, precisamente una struttura articolata attraverso l'incastro o compenetrazione di due livelli di natura eterogenea. Essi sono: I) un livello di tipo verista, possiamo dire una tranche de vie organizzata secondo i principi testé descritti; II) un livello di tipo "soggettivo" nel senso chiarito, ma di natura discorsiva. Li chiamerò convenzionalmente livello verista e livello filosofico. Lo stesso Pirandello era ben consapevole di questa caratteristica del suo linguaggio, avendola per così dire teorizzata e difesa nei suoi saggi critici. Una prima volta, molto tempo innanzi di diventare drammaturgo, allorché fece la critica della poetica narrativa verista (Soggettivismo e oggettivismo nell'arte narrativa, 1908) e successivamente, allorché per difendersi dalle obiezioni dei critici e del pubblico fu costretto a giustificare esplicitamente la sua poetica teatrale (prefazione a Sei personaggi, 1924 ). In quest'ultima occasione egli scrisse che esistono due tipi di autori: gli uni, che si limitano a rappresentare le cose per il semplice gusto di rappresentarle e gli altri, che le investono al tempo stesso di un significato universale. Questi ultimi sarebbero gli autori « filosofici », ai quali Pirandello dichiarava di appartenere. Giuste o sbagliate che siano queste affermazioni in sede teoretica, non v'è dubbio che esse posseggono - come sotto un altro aspetto il 58 IV - Il verismo dei '' Sei personaggi , « Resta da vedere se il livello di rappresentazione cui appartiene la vicenda dei sei personaggi, di Sciampognetta e le altre ricordate sia effettivamente di natura. ~e:ista oppure se per effetto dell'emergente soggettlvlta del hvello filosofico esso non risulti per caso trasformato ed assegnato ad un ruolo di natura diversa. Il punto di vista qui sostenuto - cioè che si tratti nella sostanza di un procedimento rappresentativo di tipo verista - urta in certa misura contro le note dichiarazioni di Pirandello . Egli infatti difese i diritti della « fantasia » con riferimento esplicito ai Sei personaggi (prefaz. cit.). Mi limito a prendere in esame quest'opera e dò per scontato l'esame delle altre, che sotto questo aspetto appaiono meno dubbie e problematiche. Sia chiaro, peraltro, che la "fantasia" cui mi riferisco riguarda la modalità di rappresentazione, non già la creatività artistica, che qui non viene chiamata in causa. Questi sei personaggi sarebbero dunque personaggi che l'autore si è rifiutato di realizzare. Realtà puramente fantastiche, che vivono nel limbo dell'intuizione e alle quali viene negata la possibilità di avere un ubi consistam sulla pagina e sulle tavole del palcoscenico. Ma se ci domandiamo come risultano rappresentati, non è difficile constatare che essi non hanno proprio niente di "fantastico", ma ubbidiscono nella so- 59 stanza ai canoni del più ortodosso verismo. Sono infatti un vero e proprio frammento di vita, che salendo per la scaletta della platea giunge sul palcoscenico a. turbare e sconvolgere la routine d'una compagnia d1 teatro. Fra quel palcoscenico veristicamente disadorno, come sono disadorni nella realtà i palcoscenici durante le prove, e i sei personaggi non esiste nessuna sostanziale differenza di rappresentazione. Ma soprattutto la loro asserita candidatura all'« eternità », la loro ambizione di pretendere la condizione di arte (ossia forma fissata per l'eterno secondo la teoria pirandelliana) non è altro, per l~ verità, che un fenomeno di patologia verista. Essi sono dei "fissati" ne~ s~nso psicologico del termine. Sono persone la cm e~Is,tenza ha subìt~ il trauma d'un evento tragico che SI e fissato ossess1vamente nella loro memoria e che li spinge a recitarlo perennemente, a rivivere un momento del passato come se fosse un eterno presente. » verista? Se si tiene presente la natura dei personaggi testé descritta, si deve rispondere di no. Madama Pace compare perché è "presente" alla memoria ossessa dei cinque personaggi grazie ad un vincolo naturalistico, psicologico, anzi psicopatologico. Proviamo a supporre che Pirandello avesse avuto a disposizione i mezzi del cinema. Ogni pellicola confezionata secondo i canoni del più piatto verismo fa uso normalmente di simili flashbacks . Certo, il punto di vista dello spettatore muta idealmente di luogo: dalla platea si trasferisce nella memoria dei personaggi; ciò nondimeno la rappresentazione continua ad essere "oggettiva" nel senso precisato. Madama Pace agisce esattamente come gli altri cinque personaggi, dai quali è inseparabile, almeno fino a quando non venga sanato il loro trauma. L'impiego del racconto retrospettivo non è sufficiente per determinare un vero mutamento nella natura del linguaggio. Basterà un semplice gioco di luci p~r far capire che si tratta di una presenza memoratlva. » V · La VI . La dialettica finzione-realtà cc filosofia » dei cc Sei personaggi •• « 9uesto è il loro reale piano di rappresentazione e solo m seconda istanza il livello filosofico-eterogeneo ne trae l'illazione di significati aggiunti, che non tutti - come ripeto - lo spettatore pare tenuto ad avvertire necessariamente alla percezione dell'opera. Si pensi in proposito che Pirandello aveva stabilito che i "personaggi" portassero la maschera, onde evidenziare scenicamente la loro qualità "fantastica". La prova del budino ossia la pratica del palcoscenico ha fatto tosto giustizia di questa pretesa inconsistente. . La si~uazione non cambia se consideriamo l'appariZIOne di Madama Pace, un episodio che sembrerebbe mandare all'aria ogni interpretazione verista. Sostiene Pirandello che questa apparizione fa mutare bruscamente il piano di rappresentazione. Ciò è vero; ma comporta tale mutamento l'abbandono della modalità 60 « Altre trovate tecniche del teatro pirandelliano, benché dichiaratamente intese a rivoluzionare il linguaggio verista, si rivelano egualmente estrinseche .e velleitarie. Si pensi, per esempio, a quella di trasfenre l'azione nel foyer del teatro (Stasera si recita a soggetto). Qualcuno ha parlato, a proposito della rappresentazione consentanea del palcoscenico e della platea all'interno dello spettacolo (Ciascuno a suo modo), di un'applicazione del principio futurista della simultaneità. Alla prova dei fatti questa simultaneità risulta appunto un'inutile tranche de vie, se non proprio un trompe l'reil, a dispetto delle ~tenzioni d~l l'autore di simboleggiare il rapporto d1 arte e v1ta o il principio dell'arte come « specchio della vita » (la finzione Morello-Rocca funge da provocazione della realtà Morello-Nuti). 61 Consideriamo infine la dialettica di finzione-realtà (o forma-vita) che percorre, si può dire, tutto il teatro di Pirandello a guisa di un leitmotiv tematico e poetico. Prima di essere un significato o un tema artistico questa dialettica è un processo di natura nell'accezione verista del termine. Fra la pazzia vera e la pazzia simulata di Enrico IV esiste soltanto un passaggio fisio-psicologico. E nel finale, fra la simulazione e la sua improvvisa soluzione (ferimento del barone Belcredi) intercorre soltanto un accesso di naturale passione. Perfettamente veristi sono infine i processi che giustificano il trauma e l'ossessione da cui sono colpiti i personaggi pirandelliani. All'origine dell'enigmatico dramma della famiglia Ponza [Così è (se vi pare)] sta un banale terremoto. La causa della follia di Enrico IV è una caduta da cavallo, non importa se casuale o provocata. E mi fermo qui per non diventare inutilmente noioso. » VII - L'evoluzione soggettivista « In conclusione, è lecito affermare che nel linguaggio pirandelliano l'evoluzione soggettivista del XX secolo è avvenuta solo fino a un certo punto e che da ciò dipende il suo peculiare carattere composito o bilivellare. In altre parole l'emergenza del principio soggettivista occupa in questo linguaggio soltanto un livello e lascia intatto l'altro, che continua ad essere regolato dal vecchio principio della mimesi verista. I due livelli per così dire si giustappongono o incastrano o compenetrano, restando strutturalmente eterogenei. A differenza di altri linguaggi coevi il nuovo principio soggettivo non investe in Pirandello l'intera struttura semiotica ossia non si estende, trasformandolo, allivello verista, ma si limita a intersecarlo mediante un livello emergente di natura riflessiva. L'innovazione che rende sconvolgente l'arte pirandelliana rispetto al verismo non risiede dunque decisivamente nella novi- 62 tà strutturale del linguaggio, che - come ripeto ha operato un'evidente lacerazione nel corpo "oggettivo" del verismo senza peraltro spingerla fino alle conseguenze più radicali e conservando nel proprio seno, a guisa di residuo operante pur entro la nuova struttura, alcuni assiomi del linguaggio precedente. La novità consiste invece nella sostituzione del materiale descrittivo, nella sua evidenza volutamente problemadca e nel suo pathos conturbante, nonché nella natura provocatoria della "filosofia" che l'autore vi giustappone. Lo scandalo o, quanto meno, quello che apparve uno scandalo (o un gratuito divertimento cerebrale e decadente, a seconda dei giudizi) al pubblico dell'epoca dipende insomma prima di tutto dal contenuto semantico delle tranches de vie immesse nelle opere e da ciò che i personaggi-filosofi ne dicono commentandole. Non v'è dubbio che in alcuni casi la novità e l'urgenza del materiale descrittivo giunge quasi a dissolvere l'impianto del linguaggio verista. Si verifica allora che l'allucinato e parossistico scavo introflessivo del personaggio produce luoghi semiotici, che possono dirsi veramente espressionisti. Si pensi al già ricordato Diego Cinci, che evoca se stesso nell'atto di osservare ossessivamente i movimenti di un insetto, dimentico della madre che gli sta morendo accanto. Sono indubitabili tracce e probabili influenze di espressionismo, tanto più probabili se si mettono in relazione con l'evidente freudismo del tema di Ciascuno a suo modo. Ma si tratta appunto di tracce e di momenti, che non infirmano la compattezza dell'insieme, soprattutto nelle opere maggiori. Tutt'al più si potrebbe dire in generale che esiste nel linguaggio di Pirandello una potenziale tendenza verso l'espressionismo, che si realizza solo parzialmente. Il che non toglie nulla, ovviamente, all'originalità di questo linguaggio. Da questo primo risultato si potrebbe partire, fra l'altro, per cercare di stabilire se, ed eventualmente in 63 quale senso particolare, il teatro di Pirandello possa essere collocato nel novero delle avanguardie teatrali europee. Per far questo sarebbe necessario definire con sufficiente precisione il concetto di avanguardia: ciò che esula dal mio scopo presente. Debbo invece portare ora l'indagine nel cuore del funzionamento semantico delle strutture del linguaggio, considerandole sotto l'aspetto specifico di segno. Il problema può essere formulato così: ricordato che l'eterogeneità dei livelli semiotici s'intende per il momento come fenomeno puramente descrittivo, non già come difetto di costruzione artistica, quale sarà precisamente il modo appropriato di percezione e quindi di interpretazione? In termini di struttura oggettiva quale sarà l'assioma semantico che governa la struttura nella sua globalità: quello oggettivo-verista oppure quello soggettivo-filosofico? Quale dei due livelli semantici, corrispondenti ai livelli rappresentativi descritti, dovrà avere la prevalenza: quello verista o quello filosofico? Su quali significati si dovrà far cadere l'accento interpretativo: sui significati inerenti alle vicende della famiglia Ponza oppure ai filosofemi del signor Laudisi, che le commenta? È noto che la regia teatrale dei testi pirandelliani non ha potuto evitare questo dilemma. » VIli · Una duplice lettura scenica « La prima interpretazione (I) [una lettura globale dei due livelli attraverso il centro focale (sezionale) del livello filosofico] sarebbe la più prossima alle intenzioni del drammaturgo, seppure non del tutto conforme et pour cause. Essa accoglierebbe il messaggio "filosofico", ma senza prender per buone le pretese di "universalità" ed "eternità", con le quali la teoria idealista suole accompagnarlo (vedi la prefaz. a Sei personaggi), infischiandosi praticamente del contesto semiotico-culturale nel quale soltanto esso ha 64 senso concreto e deve essere compreso. Brevemente posso schematizzare, per pura comodità, tale contesto nel modo seguente: l) parlante (autore); 2) veicolo segnico (le opere); 3) referente (ciò di cui le opere parlano); 4) significat o (ciò che le opere dicono); 5) interprete (il pubblico al quale l'autore parla attraverso le opere). È quasi superfluo avvertire che: 3a) in linea di principio il referente non coincide necessariamente con le cose rappresentate; 5a) non è l'autore in quanto persona fisica o "spirituale" che parla al pubblico, bensì le opere in quanto segni intersoggettivi. La cosa essenziale da rilevare è che, nel caso in ipotesi, referente e interprete coincidono. In altre parole il discorso "filosofico" di Pirandello ha per oggett~ lo stesso pubblico al quale si rivolge: de te fabula narratur. Questa intenzione obiettiva de~ p~r lante si deduce riconoscendo alla tranche de v1e, m quanto nesso di referente e di significato, la funzione di condizionamento del discorso "filosofico", intrinseca alla sua funzione propriamente estetica, senza la quale il livello filosofico sarebb.e privo d~ senso artistico. Letto globalmente col hvello verlsta, questo discorso "filosofico" acquista un preciso significato drammatico che in sé non possiederebbe. Ma per questo medesimo fatto esso attinge un'integrazione di senso che - in quanto mero discorso filosofico - gli sarebbe estranea. Questo nesso risulta più evidente nei personaggi introflessi come Enrico IV e, in parte Diego Cinci, dato che essi - com~ ho .già os~e.rva to - ragionano evocando con v1ve 1mmagm1 la loro esperienza vissuta e pertanto esibiscono, per così dire, la loro natura drammatica. Ciò non vuol dire che i personaggi dell'altro tipo, i puri raisonneurs non posseggano natura drammatica e siano meri 'manichini prodotti dal lavoro secco dell'intelletto discorsivo. Ho già osservato (e spiegherò meglio più avanti) che Laudisi è caratterizzato da un at65 teggiamento polemico e sarcastico nei confronti degli altri personaggi piccolo-borghesi, che si diverte a stuzzicare e scandalizzare. Egli non è dunque fuori del dramma, ma ne costituisce un termine necessario, appassionatamente partecipe e coinvolto, seppur in modo diverso dagli altri, tanto che senza di lui la dialettica drammaturgica non potrebbe sussistere. Le persone e gli eventi rappresentati-intenzionati (ho mostrato a suo luogo che nel linguaggio verista rappresentazione e referente coincidono) sul palcoscenico corrispondono dunque contestualmente alle persone che stanno sedute in platea e alla loro condizione. In tal caso si può dire che pubblico reale e pubblico ideale (intenzionato) coincidono. L'interpretazione del discorso dovrebbe allora consistere nella presa di coscienza da parte di questo pubblico della propria situazione di crisi. La verità che non è una, ma sono molte; la straziante impossibilità di uscire dalla propria situazione esistenziale e di stabilire un dialogo autentico con gli altri; il senso provvisorio, sfuggente e ingannevole dell'esistenza e della personalità; la sua incapacità di darsi un ubi consistam sicuro e affidabile: tutto questo significa allora il crollo dei valori tradizionali, il venir meno delle certezze di un tempo, il disgregarsi della storica universalità che aveva reso possibile la convivenza felice di una cultura, di cui quel pubblico è portatore ed erede, e l'implicito preannuncio di nuovi criteri dl valore senza peraltro riuscire a identificarli positivamente come tali. Questa interpretazione appare oggi ovvia e comprensibile per la ragione che il tempo si è incaricato di rendere scontata e, entro certi limiti, inattuale la situazione storico-culturale che la rendeva possibile circa quarant'anni fa. È vero che nemmeno oggi la coscienza collettiva ha operato quell'identificazione ad onta del fatto che i segni di una nuova civiltà vadano palesandosi e concretandosi in modo vieppiù 66 esplicito: per questo nutro forti dubbi che l'arte di Pirandello sia stata veramente compresa in tutte le più riposte implicazioni di significato. Tuttavia noi abbiamo superato la fase dello choc, dell'urto e della provocazione, perché nella crisi siamo ormai dentro fino al collo e in un certo senso l'accettiamo come una situazione di fatto. È noto però che, allorché la situazione oggi inattuale esisteva e avrebbe dovuto - secondo i significati intenzionati dall'autore attraverso le opere - offrire all'arte pirandelliana la garanzia della più intensa efficacia, il messaggio non fu accolto o, meglio, fu ricevuto (prova almeno che Pirandello aveva colpito nel segno), ma senza il coraggio o la capacità di interpretarlo per quello che diceva. A quel pubblico (è chiaro che questa interpretazione vuol essere ipotetico-sincronica, cioè fermata idealmente agli anni '20) si richiedeva un atto di sincera intelligenza, si richiedeva di analizzare lucidamente lo choc provocato dal messaggio nella sua coscienza. Invece esso preferl sublimarlo in divagazioni e pretesti. Il suo modo di reagire fu un ipocrita parlat d'altro: non è arte, è un sistema filosofico, è cerebrale, è disumano, è l'espressione dell'universaleeterno ecc. Questo atteggiamento fu talmente "naturale" che coinvolse anche coloro che avrebbero potuto trovare buone ragioni per sentirsi estranei a quell'ipocrisia: per esempio Gramsci (è più cultura che arte, introduce la dialettica). Solo in piccola parte diverso fu il caso di P. Gobetti. » IX • Il << sentimento del contrario ,, « L'altra interpretazione (II), cioè la lettura attraverso il livello verista, sarebbe conforme alla poetica pirandelliana dell'umorismo (L'umorismo, 1908), ma fino a un certo punto. Essa accoglierebbe senza riserve, dato il puntuale riscontro che la lettura delle opere consente, l'ipotesi di un atteggiamento misto 67 di critica e di pietà, di satira e di umana commiserazione, da parte dell'autore nei confronti dei personaggi rappresentati: è quello che Pirandello chiama il « sentimento del contrario ». Senonché tale ipotesi sarebbe integrata da un punto di vista sociologico-marxista, ciò che non è certo conforme agli intendimenti di Pirandello. Avverto che il termine "sociologico" viene qui usato con un significato diverso da quello che la teoria estetica del marxismo ci ha tramandato ( « rispecchiamento » ). Questo significato è comportamentistico, non gnoseologistico. In conformità a questa impostazione il teatro di Pirandello dovrebbe allora essere considerato, non già come un rispecchiamento gnoseologico della realtà sociale piccolo-borghese rappresentata, ma come espressione di un comportamento sociale, precisamente come il comportamento dell'autore in quanto partecipe e critico della condizione piccolo-borghese. Questo punto di vista si può giustificare rilevando, da un lato, come l'atteggiamento di Pirandello metta a nudo la grettezza e l'aridità, il disagio e la solitudine morale, la mitomania melodrammatica e il masochismo dei suoi personaggi e, dall'altro, come egli si comporti tuttavia come uno di loro, come la sua critica si muova all'interno della loro stessa condizione e come ne condivida, sia pure su un piano diverso che dirò fra poco, l'angustia e il patetico tormento. Sotto questo profilo la sua pietà sarebbe anche autopietà, consapevole o no. Valga per tutti l'esempio significativo del Così è (se vi pare). Ho già detto che Laudisi è un personaggio-pedina, un coro che parla per conto di Pirandello. Ebbene, si pensi alla voluttà quasi sadica con la quale questo personaggio si diverte a épater !es petits bourgeois (sulla scena e in platea). A differenza di loro, lui ha capito , lui sa come stanno le cose. Non si scandalizza più del fatto che non sia possibile conoscere la verità, ma al contrario se la gode un mondo nel contemplare 68 lo sgomento e lo scandalo che invade i suoi am1c1, candidamente ottusi, sentimentali e mitomani. L'articolazione drammaturgica della commedia attraverso colpi di scena che procedono in progressivo crescendo fino alla conclusiva e deludente scena madre con l'apparizione della « verità », velata di nero ed enigmatica come la Sibilla, offre una conferma evidente di questo atteggiamento. E tuttavia la voluttà "filosofica" di Laudisi-Pirandello è una spia sicura del loro complesso piccoloborghese e provinciale-italiano per giunta. Già dal punto di vista psicologico non si spiegherebbe questa voluttà senza supporre una segreta complicità coi pers?naggi derisi-compatiti. Ma, come ripeto, la spiegazwne vuoi essere sociologica e con ciò chiarisco meglio che. cosa intendo per « punto di vista sociologico-marxlsta ». Con questa espressione intendo un uso pragmatico-comportamentistico della dicotomia struttura-sovrastruttura. Cade opportuno rilevare la convergenza di questo uso metodologico di essa con l'uso diagnostico dei segni, che Morris fa rientrare nella pragmatica descrittiva. Scrive Morris: « Si può guardare a qualsiasi segno nei termini delle condizioni psicologiche, biologiche e sociologiche in cui viene impiegato. Il segno esprime ma non denota il suo interpretante ... (C. Martis, Lineamenti di una teoria dei segni, Torino, Paravia, 1954, trad. di F . RossiLandi, pp. 103-104) ». Secondo la dicotomia marxista struttura-sovrastruttura « le condizioni psicologiche e sociologiche » cui accenna Martis sono la struttura classista della società e ciò che in relazione ad essa l'interpretazione diagnostica dei segni può dirci dei comportamenti di cui essi sono espressione. L'adozione di questa ipotesi vuoi essere un tentativo al limite di giustificare una lettura globale del linguaggio pirandelliano attraverso n. livello verista, che altrimenti non mi risulta possibile. Per tentativo al limite intendo la messa in opera 69 di un'ipotesi che utilizza l'arco estremo delle possibilità, con l'intento di saggiare il loro ambito di concreta idoneità. Si deve subito rilevare che, trattandosi di un linguaggio artistico, l'uso diagnostico dei segni potrebbe essere revocato in dubbio in questo caso, adducendo l'argomentazione che tale uso, considerando l'arte a guisa di sintomo, snatura la sua proprietà di segno estetico riducendolo a segno pratico tout court. Vedremo fra poco che le cose, almeno in parte, stanno precisamente così. Questo rilievo esigerebbe una discussione circa l'impiego della dicotomia struttura-sovrastruttura nello studio dei fenomeni artistici. Ma ho detto che intendo usarla nel senso precisato, come tentativo al limite di incorporare il livello filosofico nel livello verista attraverso una lettura globale del linguaggio pirandelliano. In particolare tale dicotomia viene qui usata in funzione del concetto metodologico di coscienza alienata, che rappresenta un cardine della teoria marxista e che presuppone quale norma di giudizio (l'uomo da fare) il concetto complementare di coscienza integrata (realismo). Il marxismo parla di coscienza alienata allorché le manifestazioni sovrastrutturali (nel caso presente il linguaggio artistico) esprimono una mistificazione "ideologica" della situazione reale dell'artista e del suo contesto: in questo senso il marxismo si autodefinisce critica delle ideologie (Marx). » X • Il << livello filosofico >> come ideologia « Applicata a Pirandello, questa chiave interpretativa integrerebbe la versione del livello verista data poc'anzi (base piccolo-borghese), assumendo il livello filosofico alla stregua di un'ideologia in senso marxiano e considerando la sua eterogeneità rispetto al livello verista appunto alla stregua di una mistificazione ideologica condizionata da una situazione di 70 classe determinata. Qui non fa differenza che Laudisi sia un "filosofo" estroflesso ed Enrico IV introflesso, né che Enrico IV appartenga al ceto nobile anziché borghese, perché in questo caso essi sono segni del comportamento del piccolo-borghese Pirandello. Sotto questo profilo l'arte di Pirandello sarebbe un mezzo realismo o un realismo mistificato, perché prende coscienza della crisi senza comprenderne le ragioni reali, anzi sublimando lo choc di questa presa di coscienza in una divagazione filosofica ossia in una pseudo-universalità di tipo idealistico. La mistificazione sarebbe da spiegare collocando l'atteggiamento di Pirandello nel contesto socio-culturale dell'Italia fra le due guerre, caratterizzato dal nesso egemonico idealismo-fascismo. In tale connessione sarebbe da rilevare, anche in rapporto alla sua filosofia e teoria dell'arte, sia la concordanza (il concetto mistificato di universalità: eterna, extrastorica etc.; il primato della fantasia sulla logica e sui fatti, collimante con la "liquidazione" idealistica del positivismo) sia il dissenso (relativismo, finzionismo, pessimismo ecc. in quanto sgonfiatura implicita dell'ottimismo spiritualistico idealista e denuncia del disagio psicologico e morale del ceto piccolo-borghese in contrasto con l'ottimismo mitologico fascista, avente per piattaforma sociale di manovra detto ceto). Nel complesso un atteggiamento contraddittorio nei confronti dell'egemonia . La spiegazione del livello filosofico in relazione al livello verista della sua arte sarebbe infine da integrare tenendo conto dell'inclinazione psicologica dell'intellettuale piccolo-borghese italiano in genere a "risolvere" nella rettorica spiritualista il disagio della sua condizione esistenziale e a sublimare nei miti sovrastrutturali le inibizioni della sua coscienza sociale. In modo più specifico sarebbe da tener conto dell'inclinazione tipica del siciliano a sfogare in verbose e immaginifiche divagazioni i sentimenti compressi nella coscienza a causa delle inibizioni sociali. 71 Senonché questa lettura, proprio perché sociologica nel senso precisato, è una lettura estetica solo per metà, mentre per l'altra metà è piuttosto una spiegazione. In questo secondo senso l'opera di Pirandello non è stata letta in quanto segno estetico, cioè in quanto linguaggio che comunica determinati significati attraverso la percezione appropriata delle sue strutture speciali nel senso definito a suo luogo. La lettura è stata invece realizzata assumendo il livello filosofico sotto il concetto di un uso pragmatico-scientifico (diagnostico) del segno, non pertinente alla sua natura estetica. Questa lettura è ciò che in sede di metodologia critica si usa chiamare lettura estrinseca o extravagante. Essa è stata sperimentata, come ripeto, quale extrema ratio per verificare fino a che punto una lettura globale attraverso il livello verista sia legittima. Poiché al presente non vedo altra possibilità all'infuori di questa di leggere globalmente i due livelli nel modo indicato, ne debbo concludere che l'ipotesi ha funzionato negativamente ossia ha dimostrato la non idoneità di questa lettura globale. Tutt2via, a differenza dell'interpretazione precedente (I), l'interpretazione attraverso il livello verista può essere - grazie all'eterogeneità semantica dei due livelli - soltanto parziale. In tal modo la fruizione estetica non è compromessa del tutto, ma avviene in modo incompleto. Si deve allora riconoscere una parte di ragione a coloro che usano leggere il linguaggio pirandelliano veristicamente, ignorando il livello filosofico. Il loro torto è però quello di ritenere che questo tipo di lettura sia il solo legittimo. (Fra costoro occupano una posizione singolarmente tanace gli esegeti di estrazione siciliana e meridionale in genere. Non pretendo di privare i conterranei del drammaturgo di Agrigento del piacere e del privilegio di gustarsi e di fabbricarsi il "loro" Pirandello. Né sarebbe invero plausibile negare i densi succhi regionali che nutrono la sua arte, soprattutto le opere che vivono 72 essenzialmente di questi succhi [Liolà, La giara, ecc.]. Vorrei soltanto avanzare qualche dubbio circa la legittimità di una critica attenta a rilevare esclusivamente, fino a farne la quintessenza, la topografia anagrafica e l'humus piscologico-regionale dell'arte pirandelliana. Non equivale ciò a rimpicciolirne l'universalità? Vi sono ragioni di teoria estetica a consigliare questo dubbio: per esempio il rapporto fra biografia e opera, fra condizioni genetiche e significato obiettivo, anche volendo ignorare per pura ipotesi la grossa porzione di formazione culturale notoriamente "nordista" ed europea del drammaturgo. E c'è infine il dato imprescindibile, non estrinseco né mondano, della effettiva circolazione ed assimilazione internazionale del suo teatro.) » Xl - La << complicità ,, operativa « Riassumendo i risultati di questa ricerca, concluderò dicendo che, dal punto di vista strutturaleschematico, il linguaggio teatrale di Pirandello conconsente fondamentalmente due modi di lettura pertinente: I) una lettura globale attraverso il livello filosofico; II) una lettura parziale attraverso il livello verista. E poiché la verificazione di una lettura este· tica equivale alla verificazione di un giudizio di gusto, cioè ipso facto di un giudizio di valore estetico, si può dire che la validità artistica di questo linguaggio è completa solo nel primo senso (I), mentre è incompleta nel secondo (Il). L'ambiguità del linguaggio pirandelliano, già chiarita dal punto di vista della struttura rappresentativa e della funzione semantica, resta così precisata anche dal punto di vista del valore estetico. In tal modo il metodo semantico ha funzionato indirettamente, grazie alla natura organica del segno estetico, quale strumento per accertare le proprietà estetiche del linguaggio. Naturalmente resta aperta la possibilità di tentare di operare la lettura 73 globale sulla base di una scelta diversa dei si- g?i!J~~ti possibpi. Come ho già detto, questa pos- srbrhta no? m1 risulta al presente e appunto per questa ragiOne ho adottato l'estrema ratio testé illus~r~t,a. D~bbo .avvertire infine che questa non-possibrhta puo vanare di grado da opera a opera: per es~mpro, . sarà meno disperata in Così è (se vi pare) e m Enrzco IV, dove l'eterogeneità dei livelli si presenta men?, stri?ente e ~arà invece, per la ragione opposta, pm evrdente ner Sei personaggi e in altre opere di natura più composita. Ma il principio resta valido in ogni caso. » Xli · Il <~, esen:plan d~ tutto un ambiente, di una classe soctale! ns;tltantl come effetti necessari di una ferrea legtslazwne .a base fisiologica. Nulla di simile nel nostro caso; qut, i particolari riscattati con t.a?ta cura n?n s~mbrano rispondere a nessuna necessita c~usale:. 1l pnmo tratto che li contraddistingue è anz1 propno la loro gratuità. Vedremo in seguito come l'opera di. Pirandello sia costellata di momenti simili: momentl ov~ qual~ che personaggio sosta in at~onit~ contemplazw?e dt un oggetto, di un paesaggw, dt un ~esto, dt una frase che lo colpiscono senza .alcuna ragto~e apparente, per il fatto stesso che es~sto?o, ~~e, cl son.o, eh~ gli si offrono. ~on una. mi~abtle Kas.tlctta, al dt fuon di ogni posstbtle dest1?-azwne. prat~ca . È .qu~sto un connotato che ritorna m molt1 altn auton dt quella stessa cultura; non è illecito fargli corrispon.dere l'« epifania» joyciana, oppu.re .l'e_ve~to ~argmale proustiano, la madeleine, o tl tmtmmo dt un cucchiaio, che consente il ritrovamento del « temyo p~r duto »' non ne differisce sostanzialmente lo stzll poznt eliotia~o che consiste appunto nel privilegiare, nell'investire di un peso assoluto qualche attimo di ~s! stenza sottraendolo alla consunzione e alla banahta. Di si~ili estasi di fronte a momenti particolari dell' esistenza, sono piene le opere di Br~c~, . e si pu~ dire che il musiliano Uomo senza qualzta st addestn quotidianamente a raggi~n~erle. e prolung~rle qu.anto più possibile. Ma. or~at e. c~naro che et trovtamo di fronte a un cnteno eurtstlco generale: ovunque si manifesti una struttura di questo tipo, ove cioè 82 si abbia la valorizzazione di brani di vita, di oggetti e di eventi al di fuori di ogni evidente ragione economica e utilitaria, là saremo in presenza di un'opera rientrante in questa W eltanschauung : criterio a un tempo necessario e sufficiente per poter compiere tale inclusione. Ciò che dà valore a questi momenti, altrimenti privi di ogni rilevanza, è il principio vitale : la Vita intesa come « flusso continuo » che riempie di sé tutto ciò che esiste; forza impetuosa che fa saltare il vecchio quadro delle categorie causali, rendendosi capace di qualsiasi sorpresa, di qualsiasi evento impensato e imprevisto. « La vita è un flusso continuo ... che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi.. . Le forme in cui cerchiamo d'arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti.. . Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua .. . » (p. 151). Compare qui la fondamentale e ben nota dialettica tra la vita e le forme: tra n principio dell'inesauribilità dell'esistenza, e quello opposto che spinge a bloccarla in qualche profilo parziale e utilitario, a schematizzarla. Si tratta senza dubbio della struttura più rilevante di tutta questa W eltanschauung, variamente incarnata e estrinsecata da tutti gli autori che le appartengono. Qui gioverà ancora insistere sul carattere « positivo », proficuo che può essere inerente a questa struttura. Sarebbe infatti gravemente errato vedervi soltanto una rivolta di oscure e fumose aspirazioni d'ordine mistico, estetistico, « irrazionale », contro n principio ineluttabile che, per agire, ci vogliono concetti ben chiari e definiti. Intanto, tutta questa « visione del mondo » riconosce appunto tale ineluttabilità : inevitabile concettualizzare, tracciare schemi; in termini pirandelliani, inevitabile chiudersi in una « forma », accettare una parte. Ma essa vuole 83 d'altra parte fornire un vasto potenziale di riserva, tale da assicurare all'infinito il ricambio delle « forme », dei concetti, non appena questi si siano logorati e appaiano non più efficaci. Il principio vitale è appunto quello che si assume il compito di operare questo rilancio, di sottrarre l'uomo al determinismo. A questo punto, esso ci mostra il suo volto positivo, viene a far tutt'uno con la libertà, si identifica con la possibilità stessa di evadere dai concetti, dalle abitudini divenute sclerotiche e inoperanti. Sul piano strettamente psicologico, il flusso rinnovatore della vita altro non è che il sostrato di memorie, di gesti compiuti, di desideri che giacciono in noi allo stato latente: strade imboccate per un attimo, o anche soltanto immaginate, ma poi subito abbandonate per seguirne altre che ci siano apparse più allettanti, o più facili, o più opportune. Queste strade usualmente battute si sono convertite in abiti: gli abiti che ormai siamo, che portiamo in noi, con cui abbiamo contratto lunga familiarità, ma che appunto, con la loro crosta esteriore, minacciano di bloccare ogni ulteriore sviluppo. Ecco allora il provvidenziale affiorare di quelle potenzialità che tentano alla loro volta di attuarsi, e che comunque forniscono l'energia necessaria a farci uscire dalle rotaie dell'abitudine. « Non soltanto noi, quali ora siamo, viviamo in noi stessi, ma anche noi, quali fummo in altro tempo, viviamo tutt'ora e sentiamo e ragioniamo con pensieri e affetti già da un lungo oblio oscurati, cancellati, spenti nella nostra coscienza presente, ma che a un urto, a un tumulto improvviso dello spirito, possono ancora dar prova di vita, mostrando vivo in noi un altro essere insospettato ... » (p. 149). Questo motivo, dei due livelli della coscienza, che in fondo non è altro che la traduzione in termini psicologici della struttura fondamentale vista sopra, trova per ciò stesso una qualche rispondenza in ogni altro autore dello stesso clima: risponde alla teoria 84 bergsoniana delle due memorie, l'una attuale, identificata col complesso dei nostri abiti e delle nostre consuetudini; l'altra latente, profonda, dagli interventi imprevedibili; e risponde al meccanismo che consente a Proust di ritrovare il « tempo perduto »; quando appunto un piccolo inc~de~te, irrilevante se commisurato con le preoccupazwm del presente, fa invece corpo con lontane e dimenticate abitudini, tichiamandole in vita. Si potrebbe anche dire che è questo il problema dell'Inconscio, ma chi consideri la cristallina semplicità con cui questi autori danno conto di tale processo, sarà indotto a fare un'opera molto utile di demistificazione nei confronti di quel concetto, attorno a cui si può dire sia nato tutto un sottobosco di amplificazioni che danno volontieri nel disumano, come appunto se quel livello albergasse formazioni psichiche mostruose e aberranti. Quanto poi alla più seria e originaria co~c~zione freudi~na, si può obiettare che questa non e Immune dal ricadere negli schemi del determinismo: la condotta umana determinata non più da abiti di superficie, ma da abiti, se così si possono chiamare, del profondo; comunque, « determinata ». L'inconscio pirandelliano, bergsoniano, proustiano ha invece un ruolo del tutto opposto, come si è visto: vuoi garantire la libertà umana, attraverso un'opportuna sfasatura e incongruenza tra gli abiti del presente e le memorie del passato, vuoi far sì che l'uomo non si esaurisca tutto negli atti che ha imparato a fare e che sembrano ormai identificarsi con la sua stessa natura. « Positività » quindi, ripetiamo, della struttura fondamentale della Weltanschauung esaminata, nei suoi riflessi psicologici ed etici. Certo è però che tale carattere positivo scompare del tutto quando questa struttura si riveli attraverso un'opera letteraria, quando cioè più che considerarla, « disegnarla » nel suo funzionamento, prevedendone le finalità, la si debba « rappresentare », mettere tangibilmente in atto. 85 Quando il personaggio di una novella o di un dramma, davanti ai nostri occhi, va soggetto al fenomeno dell'affiorare improvviso di vecchie memorie di vecchie sue forme abbandonate, fino a veder s~onvolto l'affabile contesto delle abitudini, ebbene, una circostanza del genere non può che essere tragica, allarmante: nel momento in cui si apre davanti a noi e si agita 9-uesta crisi, non ci può esser l'agio mentale per considerare che, da un punto di vista etico di igien~ mentale.' quella rottura delle abitudini pot;ebbe nsultar uule e dar frutti positivi. Esaminar:do ~~ novelle ?i Pirandello, vedremo appunto che Il pm spesso il manifestarsi dell'io pro~ondo, delle mem?rie latenti, avviene all'improvviso, m modo affatto Impensato, senza che né il lettore n~ il personaggio che lo vive in sé possano presagirne lo scoppio. I poveri esseri che vedono a un tratto alterata la loro condotta, sconvolte le abitudini normali di cui fin là non avevano il minimo sospetto, sono i primi a stupirsene, a restarne allibiti. Non era nei loro propositi quel gesto di rivolta, quell'atto così contrario a quella che ormai credevano fosse la loro natura. Se fossero stati in grado di scegliere, avrebbero preferito starsene attaccati alle abitudini, alle convenzioni di tutti i giorni, evitare l'esperienza orribile e traumatica nel corso della quale « .. .la compagine dell'esistenza quotidiana ... ci appare priva di senso, p:iva di scopo; e quella realtà diversa ci appare ornda nella sua crudezza impossibile e misteriosa poiché tutte le nostre fittizie relazioni consuete ?J sentimenti e d'immagini si sono scisse e disgregate m essa » (p. 151 ). Ma « ... vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, di irrigidirsi in questa o quella forma di personalità» (p. 152). L'atteggiamento umoristico tocca qui il suo livello più profondo e coerente. Potremo infatti constatare che, per certi personaggi pirandel86 liani, la liberazione dalle prigioni dell'abitudine non avviene incidentalmente, né per breve tratto di tempo. Sono questi i personaggi che « hanno capito il gioco», hanno compreso che ogni forma è parziale e limitante, rispetto all'infinità di forme di cui può esser capace la Vita. Si danno allora alla pratica di una sorta di esercizio ascetico che valga a sradicarli sistematicamente da ogni possibile concezione. Violano deliberatamente le norme su cui si regge la società in cui vivono, si espongono di loro propria volontà al riso degli altri, dei « normali ». Si potrebbe quasi dire che si sottopongono a una sorta di sublime masochismo. Sono gli eroi dell'universo pirandelliano, e in genere di tutta la cultura di cui Pirandello è così cospicuo rappresentante; anticipano in qualche modo e realizzano il programma che sarà poi del musiliano Uomo senza qualità; riescono a restare a uno stato sempre fluido, perfettamente sincronizzato con lo scorrere incessante della Vita, cui va tutto il loro culto devoto. Si fanno gli ardenti seguaci dell'etica della comprensione e della compassione verso tutti gli aspetti e le forme che può assumere di volta in volta la condizione umana. (Da Renato Barilli, La barriera del naturalismo, Mursia 1964). 87 LE GRANDI << PRIME ,, DEl << SEI PERSONAGGI n La «« prima , italiana di Arnaldo Frateili (Roma, 10 maggio 1921, Teatro Valle, Compagnia Niccodemi) Può accadere a un drammaturgo di genio di provocare senza proporselo una rivoluzione teatrale, essendo nella natura del genio di imboccare inconsapevolmente cammini non battuti che portano alla scoperta di nuovi personaggi dell'arte e della scienza. Ma Luigi Pirandello, quando scrisse i Sei personaggi in cerca d'autore, sapeva benissimo quello che faceva, deciso a mandare all'aria tutte le norme estetiche e tecniche che avevano presieduto fin'allora alla nascita dell'opera di teatro, disposto ad affrontare gli spettatori per afferrargli le idee abituali e rovesciargliele come un guanto. Si mostrava sicuro di sé, quasi indifferente, qualunque fosse per essere l'esito della commedia. Ciò non toglie che, mentre si preparava a farla rappresentare, ne parlasse volentieri con gli amici, spiegandone il carattere e gli intenti polemici, quasi volesse chiarirli meglio a se stesso e insieme desiderasse saggiare l'impressione che avrebbe fatto agli altri. A tanti anni di distanza non ricordo come me ne parlò; ma ricordo che si offrì di leggermela prima che glielo chiedessi, che dopo la lettura volle sapere quello che ne pensavo, che infine rispose pazientemente e lucidamente alle mie molte domande e obiezioni. La commedia mi aveva colpito profondamente, ma non riuscivo a vederla sulla scena. Oggi tutto 91 quel che avviene nei Sei personaggi appare pacifico, chiaro, tanto normale che qualunque registucolo si sente autorizzato a mettere in scena il lavoro, salvo a non capirlo affatto e a tradirlo anche in quelle parti illustrate da precise didascalie. Ma allora, prima che la commedia si spiegasse e si giustificasse attraverso la sua prova scenica, come meravigliarsi se la prima lettura pubblica della commedia non convinse neppure alcuni degli amici e dei critici meglio disposti verso Pirandello, ai quali egli volle presentarla? Questa lettura avvenne a casa mia, una sera di cui non ricorda la data: certamente alla fine dell'inverno o agli inizi della primavera del 19 21. Pirandello abitava a Via Antonio Bosio, una traversa della Via Nomentana che allora era piuttosto fuori di mano; io invece abitavo a Via Palermo, a un passo da Via Nazionale dove abitava Silvio D'Amico, il più autorevole dei critici presenti alla riunione. C'erano anche Alberto Cecchi, Stefano Pirandello, Mario Labraca, e non so più chi altro. Saltano Stefano ed io già conoscevamo la commedia. Gli altri furono sconvolti dai Sei personaggi, e non solo dall'aggressiva originalità del lavoro, ma anche da come Pirandello lo leggeva, dalla passione che ci metteva: una passione diversa, una voce diversa per ogni personaggio. Alla fine, dopo un silenzio come quello che segue un terremoto, cominciarono le discussioni dapprima timide, domande buttate là, poi a mano a mano sempre più accalorate, finché il mio studio si riempì di voci che ricordavano quelle della sala della Borsa nel pieno delle trattazioni. In mezzo a quel discutere da energumeni, Pirandello se ne restò tranquillo e sorridente. La mattina dopo, in un album di disegni di mio figlio che a sei anni era già un pittore precoce, ne trovai uno raffigurante la scena delle lettura ch'egli aveva evidentemente osservata di dietro la tenda po92 sta a nascondere la porticina che metteva in comunicazione lo studio con la sua camera. In quel disegno infantile Pirandello, riconoscibilissimo per la barbetta a punta e un sorriso mefistofelico, appariva con in una mano il copione su cui leggeva e l'altra mano levata in un gesto minaccioso. Seduti di qua e di là si riconoscevano i suoi ascoltatori, che si stringevano il capo tra le mani in atteggiamenti da Pensatore di Rodin. Peccato che in un cambiamento di casa quel disegno sia andato perduto: oggi avrebbe un valore storico. La commedia andò in scena al Teatro V alle di Roma la sera del 1 O maggio 19 21, e io sedevo nella poltrona del critico drammatico dell'« Idea Nazionale ». Come mai se il titolare era Silvio D'Amico e io ne ero soltanto il "vice"? È che D'Amico s'era ammalato di un'improvvisa infreddatura, e aveva passato l'incarico a me concedendomi di firmare l'articolo che altrimenti, dati gli usi giornalistici, avrebbe dovuto recare in calce un anonimo "vice". Che l'indisposizione, seppure reale, fosse un po' anche diplomatica, lo riconobbe lo stesso D'Amico in un fondo di terza pagina pubblicato un paio d'anni prima della sua scomparsa nel « Tempo » di cui era critico drammatico dopo esserlo stato della « Tribuna» dopo la fine dell'« Idea Nazionale». Galantuomo e sempre pronto ad assumere la responsabilità delle proprie azioni, l'indimenticabile Silvio confessò in quell'articolo di essere rimasto nei primi tempi alquanto perplesso di fronte a un'opera come i Sei personaggi il cui radicalismo artistico dovette avere ai suoi occhi aspetti anarchici; e, se non espresse il suo "mea culpa" proprio con queste parole, non mancò però di ricordare che alla sera della "prima" non era andato, preferendo di mandare me che della riforma pirandelliana ero un fautore convinto. Di questa "prima" molto è stato detto e scritto in pubblicazioni di carattere ormai storico, sulla fede 93 di testimonianze dirette che col trascorrere del tempo si sono fatte sempre più .rare;. s~n~a co~ta.re che, nella memoria stessa dei testzmonz, z rzcordz dz quella serata si sono venuti affievolendo ed alterando fino a diventare leggenda piuttosto che storia. Io stesso, che pure partecipai alla serata con la n:ente e col cuore trovandomi dopo la rappresentazwne tra coloro ~he continuarono la battaglia nella via, se d?vessi oggi dire come veramente andarono le cose z:z teatro tra plaudenti e fischianti, più che dell.a :n~a memoria dovrei fidarmi deWarticolo che scrzssz m quell'occasione, con la cronaca dell'esito n.ec~ssaria mente fedele perché apparsa a poche ore dz dzstanz~ dall'avvenimento, e quindi controllabile da quantz s'erano trovati al V alle la sera del burrascoso battesimo dei Sei personaggi in cerca d'autore. Ora poiché di quel mio lungo artic~lo ~~lla "prima" dei Sei personaggi, occupante quasz un zntera pagina di giornale, non mi consta che siano state fatte altro che alcune rapide citazioni; e d'altra parte per consultare il numero del~'« Id~a Nazionale » dell'11 maggio 1921 che lo contzene bzs~gnerebbe a~da:e a sfogliare un polveroso volume dz qualc.he ~zblzo teca, ritengo non inutile trascriverlo dal rztaglw che ne ho conservato tra i miei scartafacci. Nella raccolta di documenti che sarà il frutto del Congresso di studi pirandelliani può trovare posto anche quest'articolo, in cui il giudizio sui Sei personaggi può avere in sé scarsa importanza, ma ne ha una non trascurabile come giudizio dato a ferro caldo, nella notte stessa seguìta alla rappresentazione, prima che sui giornali s'iniziassero le polemiche sul val?re de!l'opera e che essa cominciasse il suo cammzno trwnfale sui palcoscenici del mondo. Ed ecco l'articolo: SEI PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE di Luigi Pirandello al Teatro V alle « Ma non si dia pensiero del giudizio dei critici! 94 Ma lasci che dicano! », esclama il « capocomico » quando il « personaggio padr~ » .si preoccup.a d~lla deformazione che la sua realta di personaggw v1vo e definito subirà nella rappresentazione che ne darà un attore della compagnia; e vorrebbe che di questo si tenesse conto. In una commedia, sia pure ancora « da fare », in cui l'autore è anche il vero protagonista assente ma sempre presente, egli è un po' responsabile di quello che dicono le persone nate dalla sua fantasia. Ma non vorremo male a Luigi Pirandello per questa sua apparente indifferenza per il giudizio dei critici. Tanto più che, in questo suo ultimo lavoro, ha cominciato egli stesso col fare opera di critico. Questi Sei personaggi in cerca d'autore sono soprattutto una vasta e sintetica critica del teatro: la più viva e convincente perché non espressa sotto forma di discussioni e di ragionamenti, ma portata praticamente sulla scena, dove si assiste al processo di formazione del dramma come avviene nella mente di un autore, al tentativo di svilupparlo secondo le sue intime esigenze adattandolo insieme alle necessità d'una rappresentazione teatrale, all'urto dell'opera della fantasia contro la sua realizzazione scenica. E tutto questo reso naturalmente con una tecnica assolutamente insolita, insofferente di qualunque legame tradizionale, che conduce l'azione del tutto fuori dalle vie battute finora, in un'atmosfera non mai respirata. Di fronte a un'opera così complessa, la critica frettolosa d'una prima rappresentazione si arresta esitante, sentendo la difficoltà di racchiudere un giudizio anche sommario su elementi tanto diversi nel breve spazio concesso a un articolo di giornale ... » « Tutto il teatro pirandelliano, nel suo contenuto di umanità e di ideologia, sembra riassumersi e chiarirsi in quest'ultimo lavoro che è il più significativo della sua arte. I suoi personaggi qui gridano la loro realtà appassionata, e sembrano implicitamente ribellarsi al- 95 l'accusa di essere dei fantocci paradossali; il dramma afferma il suo svolgimento necessario contro coloro che lo giudicavano una costruzione di ingegnosa ma fredda cerebralità; l'opera d'arte spiega le deformazioni prodotte dalla tecnica teatrale e dalla recitazione degli attori, attraverso le quali essa è giunta al pubblico. Ma questa « commedia da fare » non ha affatto un carattere polemico o accademico. Il conflitto del mondo della fantasia con quello della realtà scenica, il tormento della creazione e il suo processo di sviluppo - che nei Sei personaggi in cerca d'autore sono resi scenicamente e fatti vita - non sono particolari del solo teatro pirandelliano, ma di tutto il teatro. Sotto questo punto di vista la nuova commedia ha un contenuto universale, il cui valore ed interesse è accresciuto dal fatto d'essere riuscito il Pirandello a fare opera di teatro, studiando e quasi negando il teatro stesso. Un'opera di teatro eccezionale, che sta assolutamente a sé, che non è suscettibile di ulteriori sviluppi in quanto, pur essendo del tutto nuova come concezione e come tecnica, non può dare certo origine a un genere di teatro che, come questo, dia un calcio così deciso a tutte le consuetudini teatrali. Per sostenere una situazione come quella che ha sostenuto mirabilmente il Pirandello, senza divisione di scene e di atti, con un'azione drammatica appena accennata, con tocchi rapidi e profondi che sembrano mettere dei brividi in un'atmosfera cristallina di ideologie qualche volta freddamente speculative, qualche altra piene di umanità, ci voleva una rara perizia tecnica e molto ingegno, soprattutto un ingegno commosso. Se la maggior parte del pubblico è riuscita ieri sera ad "ambientarsi" con relativa facilità in una così eccezionale vicenda teatrale, e a seguire gli intenti dell'autore, chiari assai spesso, ma mai trasparenti per la loro stessa elevata natura, è perché l'ingegno dello scrittore, nel rendere 96 scenicamente il tormento della creazione, era commosso. Ed è riuscito a comunicare questa sua commozione agli spettatori. Il successo del primo atto è stato pieno, e ha procurato cinque chiamate agli interpreti. L'autore, chiamato insistentemente non si è presentato perché non era in teatro. Il secondo atto s'è chiuso con applausi entusiastici all'autore e agli interpreti, che hanno dovuto presentarsi più di dieci volte alla ribalta. Qualche isolata disapprovazione non ha fatto che rinfocolare il calore dei plaudenti. Il terzo atto è stato anche ascoltato, senza nessuna reazione, fino all'ultima battuta. Alla fine è scoppiata la battaglia, la più violenta forse che ricordi il Valle. La lotta tra i plaudenti e i dissidenti ha toccato intensità sonore mai raggiunte. Venti minuti dopo la fine dello spettacolo buona parte del pubblico era ancora in teatro a discutere ad alta voce, chiamando tra grandi applausi l'autore che dovette presentarsi un infinito numero di volte, mentre i più fieri avversari della commedia urlavano in coro il loro sdegno. Anche dal gruppo, però, di questi avversari abbiamo sentito partire un grido spontaneo di « Un applauso per gli attori! ». Quel che ha fatto Dario Niccodemi e la sua compagnia per mettere in scena questo lavoro pirandelliano, che presentava difficoltà di esecuzione quasi insormontabili, è non solo artisticamente perfetto, ma commovente per lo slancio con cui quest'opera paziente di costruzione d'un così perfetto spettacolo è stata compiuta. È impossibile fare gli elogi dei singoli attori, perché bisognerebbe nominare tutta la compagnia che ieri sera era tutta in scena. Diremo solo che Vera Vergani, Almirante, il Magliari, hanno superato le loro possibilità che erano molte. Dario Niccodemi, dopo il secondo atto, fu chiamato al proscenio insieme con l'autore, al quale egli aveva prestato un'opera così intelligente e fraterna. 97 Le dimostrazioni dei plaudenti a Luigi Pirandello, e le manifestazioni ostili di qualche testardo abitante del "loggione", si rinnovarono anche sulla pubblica via e si protrassero a lungo, risvegliando nel silenzio della notte echi che devono aver sorpreso e spaventato non poco quelli che dormivano il loro sonno meritato nei pressi del Teatro Valle. La commedia questa sera si replica. Segue la mia firma. Inutile dire che, rileggendo dopo quarant'anni questa mia lunga cronaca teatrale (si dedicava allora a una "prima" di teatro uno spazio che ora è inconcepibile), se da una parte vi ho trovato grossolanità della forma e ingenuità dell'espressione che mi hanno fatto arrossire, dall'altra ho provato la soddisfazione d'aver capito fin dalla prima rappresentazione dei Sei personaggi che si trattava d'un'opera di valore universale, e di averne dato un giudizio che ancora potrei sottoscrivere. Ma questi son fatti personali. Ciò che conta, ai fini della storia del teatro pirandelliano, è la cronaca dello spettacolo che taglia corto alla leggenda di contrasti che avrebbero impedito di ascoltare la commedia fino alla fine. Nella mia cronaca è detto che anche « il terzo atto è stato ascoltato senza nessuna reazione fino all'ultima battuta ». La battaglia scoppiò dopo, a rappresentazione conclusa, e durò a lungo prima nel teatro e poi nella via, come ricordano quelli che si trovarono con me a difendere Pirandello contro coloro che volevano poco meno che lapidarlo. » (Arnaldo Frateili, in Atti del Congresso internazionale di studi pirandelliani, Le Monnier 1961, 1967). 98 La (( prima » francese di André Frank (Parigi: 10 aprile 1923, Théàtre des Champs-Elysées, regia Georges Pitoeff) « Pirandello immagina che sei personaggi d'una commedia ideata e non portata a termine prendano corpo e si presentino al Direttore di un teatro, e lo preghino di scrivere la commedia di cui essi sono gli eroi. Essi sono abbandonati dal loro autore, vivi e senza vita; il loro destino è di vivere eternamente il loro dramma; il loro desiderio, incarnarsi in un'opera completata, scritta. Questa è la trama della commedia.» « La natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, più alta, la sua opera di creazione », dice il Padre. Questi sei personaggi sono la creazione di questa immaginazione umana. E il conflitto prorompe dall'incontro di questa creazione precisiamo: dei sei personaggi - con gli uomini, creature della Natura. Evidentemente, per noi, noi siamo gli esseri reali, mentre essi non sono che la finzione. Ma siamo noi che intendiamo le cose a questo modo. Per i personaggi è il contrario: essi sono immutabili, eterni nella loro realtà impalpabile, mentre gli uomini si toccano e non respirano che una realtà destinata a un cangiamento perpetuo: una realtà fugace e passeggera, una « illusione di realtà nella vuota commedia dell'esistenza». Chi è più reale? Chi è reale? L'uomo o la sua creazione? Shakespeare o Amleto? Dio ha creato Shakespeare; Shakespeare ha creato Amleto; ebbene, la realtà dell'esistenza di Shakespeare non esiste più, la realtà di quella d'Amleto è eterna. Ed ecco il conflitto. « A questa idea dominante dell'opera di Pirandello si aggiungono moltiplicandosi, piccole e grandi fonti di idee, sentimenti di grottesco, riso e lacrime, che 99 raggruppano in una struttura filosofica i diversi aspetti dell'esistenza umana sulla terra e dell'aspirazione umana a perpetuare la vita attraverso la forza creatrice dell'elemento divino eterno che resiste alla morte del corpo e la prolunga nel tempo. Shakespeare vivrà eterno in Amleto. » Il lavoro di Georges Pitoeff per i « Sei personaggi » appare come l'esempio stesso del suo modo di concepire la messa in opera drammatica. Nel1922, Georges Pitoeff fu preso da una grande passione per la commedia che Benjamin Crémieux aveva appena tradotta, una passione tenace, duratura, « minuziosa ». Non fa che parlare di Pirandello; fa parte dei suoi progetti Jacques Hébertot che, ben presto, asseconda la sua fede. Le sue idee prendono forma, si armonizzano con le possibilità materiali che offre il suo palcoscenico. Scrive a Pirandello, che non conosce; si stabilisce una fitta corrispondenza: Pirandello non è d'accordo con Pitoeff su parecchi punti; naturalmente Pitoeff pensa che Pirandello sia in errore, che intenda meno esattamente di lui la propria commedia. Infatti Pitoeff, si sa, pensa che un autore non sia mai capace di comprendere il punto di vista teatrale. Se Pirandello non si trovasse di là dalle Alpi gli improvviserebbe racconti tali sulla sua commedia da stupirlo. I rapporti Pitoeff-autori fanno pensare al dialogo vero o inventato che si dice sia intercorso tra Ravel e Toscanini dopo un'esecuzione, diretta dal maestro italiano, del celebre « Bolero ». Avete diretto troppo veloce. - Vi sbagliate! - Ma io sono Maurice Ravel! Pirandello, continuando a non essere d'accordo col suo regista e sapendo che la commedia è messa in prova, decide di venire a Parigi. Ecco la sua venuta raccontata da Georges Pitoeff: « Eravamo in pieno lavoro e M. Jacques Hébertot, 100 allora direttore della Comédie des Champs Elysées, per colpa delle nostre divergenze artistiche viveva momenti di terrore sulla sorte dello spettacolo. Infine con molta diplomazia, invita il maestro italiano a u~a prova, pregandolo di mantenere l'incognito. Almeno avrebbe potuto farsi una sua propria opinione sul regista. E noi vedemmo - o meglio non vedemmo un autore assistere alla nascita formale della propria commedia come un intruso, dall'angolo più buio della platea. Bisogna .averlo c_on~sciuto per im~ag~narsi il supplizio che gh venne mfhtto quel pomer1gg10. Solo più tardi ho potuto io stesso comprendere ;o slancio che lo spinse letteralmente verso 11 proscemo terminata la prova. Ma me lo vedrò sempre, le mani tese, a dirmi che non altrimenti aveva concepito la sua opera. È stata senza dubbio una delle emozioni più belle della mia carriera e della mia vita. » La messa in scena del 1923 poteva sembrare semplicissima: il dramma si svolgeva completamente .su un palcoscenico sgombro, secondo quanto appanva dal programma: « Il sipario si alza sul palcoscenico vuoto, nudo, immerso nella semioscurità, senza scene ... » L'assenza di tutti gli elementi che non fossero umani, doveva ingrandire, accrescere, in un certo senso rendere infinita l'importanza dei Personaggi. Con una estrema raffinatezza, le luci, le entrate ed uscite degli attori davano ad ogni atto atmosfera, scena e, se si può dire, l'arredavano. Una fotografia dell'epoca testimonia la grande trovata di Georges Pitoeff: l'arrivo dei Sei Personaggi, scaturiti dal mistero stesso della creazione. Al fondo del palcoscenico, alla Comédie, un montacarichi serviva di comunicazione tra il sottopalco e la scena e, attraverso questo ascensore improvvisato, lividi in una luce verde, il padre, la madre, tutta la famiglia 101 - .- ___...... . --- -. ~ .. . . _____,_~--- . --·· in lutto, sorgevano, ombre divenute corpi, dal profondo dell'inesistenza drammatica. L'effetto, così semplice e nello stesso tempo misterioso, rischiò di fallire la sera della prova generale. L'ascensore si era fermato a mezza strada. Ci si può immaginare l'angoscia dei suoi occupanti: Georges, Lumilla, appena ripresasi dal suo incidente (di macchina) e Marie Kalff. Scrisse Antoine: « Lo spettacolo si svolge sul palcoscenico vuoto, senza sipario, a contatto immediato con la platea, e tuttavia è calibrato tanto esattamente che nemmeno un attimo ci è stato possibile sfuggire a questa specie di allucinazione cerebrale collettiva. » (da « Georges Pitoeff », di André Frank collection «Le théatre & les jours ». L'Arche éditeur Paris, 1938). La « prima ,, tedesca di Oscar Bi.idel {Berlino, 30 dicembre 1924, Komodie, regia Max Reinhardt) Già noto a Berlino per una messinscena di Così è (se vi pare) al Theater in der Koniggrazter Strasse la stagione precedente, Pirandello fu veramente rivelato al pubblico berlinese il 30 dicembre 1924 con la messinscena di Reinhardt dei Sei personaggi che ebbe un successo enorme. La «commedia da fare » fu data prima alla Komodie, il nuovo teatro che Reinhardt si era fatto costruire dal noto architetto teatrale Oskar Kaufmann, nell'ovest di Berlino, con balconate che si affacciavano sul palcoscenico facilitando così la « partecipazione » del pubblico, l'unione fra palcoscenico e sala- parola d'or102 dine già lanciata nei diversi manifesti futuristi- che poi doveva trovare, nel 1927, la sua espressione più schietta nel Totaltheater progettato da Walter Gropius per Piscator. Con 131 repliche i Sei personaggi occuparono uno dei primi posti nel repertorio di Reinhardt. Max Pallenberg recitò la parte del Capocomico, la più importante tra quelle sostenute fino allora. La critica gli rese omaggio tanto per la realizzazione completa delle sue capacità esteriori quanto per quella della gamma dei suoi sentimenti e delle sue forze interiori capace di eccezionali sfumature. Unendo ad una tecnica versatilissima e sicura l'anima più pura ed un sentimento nobilissimo, egli si fece interprete di un Capocomico allo stesso tempo irritabile e impassibile, nervoso e insensibile, dapprima passivo per poi subitamente scattare, dare in escandescenze e dirigere energicamente la prova sul palcoscenico. La critica parlò d'una perfetta recitazione d'insieme, tale da stupire anche nella Berlino di allora. Ma si dovette ammettere che il genio di Pallenberg fosse unico e impareggiabile in confronto a talenti eccellenti come la Hoflich e il Giilstorff. Memorabilissima la grande scena del secondo atto dove la Figliastra (Franziska Kinz, un'attrice molto brava) s'incontra col Padre nel salotto di Madama Pace: la Kinz aveva recitato la sua parte con un partito preso naturalistico, seguita dalla piccola e simpatica Kanitz (la Prima Attrice), che ne dava un abbozzo piuttosto schematico e teatrale. Ma poi interveniva Pallenberg, il Capocomico, per fare vedere alla sua attrice come si doveva recitare quella parte. Reinhardt e Pallenberg puntarono in questa scena a un understatement che è rimasto uno dei grandi esempi dello Stil der Stille, come lo definirà più tardi Max Brod. Pallenberg recitava con le spalle al pubblico, ma quella sua schiena - che prima si stringeva contraendosi, poi barcollava in un rilassarsi di103 sperato, accompagnato da un linguaggio sordo, tremante ed esangue - quella sua schiena era tremenda! In un attimo e con mezzi limitatissimi Pallenberg aveva evocato, comunicato il nucleo di una situazione, suggerendo con un gesto molto più di quel che le attrici erano state capaci di dare con la loro recita. Non sembrò convenzione né teatrale né naturalistica; per la critica quel gesto di Pallenberg era espressione pura: l'avverarsi di un destino fatale condensato in un gesto, in poche parole. Ma attraverso questo gesto piano e questa modulazione quasi sotterranea del dialogo sgorgava un'abbondanza di vita e di sfumature drammatiche. Fu il più grande trionfo di una drammatica pura che poi, come disse allora Julius Bab, non era nient'altro che verità d'anima divenuta trasparente. Tutta la parte del Capocomico fu recitata dal Pallenberg con perfetta maestria: verso la fine della « commedia da fare » quel Capocomico dapprima così sicuro sentì brividi di spavento davanti alla realtà spettrale dei personaggi che ripudiavano la sua messinscena teatrale. E quell'energico e allo stesso tempo nervoso uomo di teatro alla fine diventò sempre più calmo, parlò a voce sempre più bassa e, oppresso, guardò un mondo raccapricciante di spettri che oltrepassava i limiti e il senso della sua esistenza. Parte della critica tedesca, in questa interpretazione del Pallenberg, giunse perfino a vedere una pienezza artistica che andava al di là dell'umorismo pirandelliano. La critica lodò anche la recitazione di Max Giilstorff (il Padre), di Franziska Kinz (la Figliastra) e di Lucie Hoflich (la Madre). Secondo Julius Bab, la nervosità leggiadra e il suo lasciarsi andare alla deriva inerme, con i quali il comico Giilstorff era solito entusiasmare il pubblico, nei Sei personaggi si traducevano in un'atmosfera spettrale che rasentava il sinistro. La sua mimica mobilissima, i subitanei abbassamenti di voce che molte volte ebbero un sue104 cesso comico, nel Padre dei Sei personaggi erano utilizzati e rafforzati, erano inquietanti e conturbanti, essendo il suo forte la stilizzazione di grande rilievo. Quanto alla Kinz, la critica vide in lei una delle speranze della futura generazione. La messinscena fu tale che più d'un critico le anteposte al testo. R[udolpf] P[echel] della Deutsche Rundschau, giunse a chiamare Reinhardt il poeta della serata. Il Pechel riconobbe alla « commedia da fare » profondità di pensiero e concezione grandiosa ma sostenne, rifacendosi anche alla prefazione piran~ delliana ai Sei personaggi, che lo stesso autore non avev~ vi~to le possi~ilit~ del suo soggetto, e finì per definue Il dramma Il gmoco romantico di un a-romantico. Fu Reinhardt, secondo il Pechel, a intuire e a rendere, con la sua messinscena, quell'atmosfera d'incubo che scosse il pubblico; un'atmosfera spettrale, oscil~ante tra il reale e l'irreale, ove venivano a muoversi parvenze umane provenienti da un altro mond~ e d~ve ~a realtà investiva ora i personaggi ora. ~h attor1. D1 questo mondo fantasmagorico l'apparlzwne della tremenda figura di Madama Pace (Margarete Kupfer) non fu che una conseguenza naturale. Friedrich Diisel, critico del Kunstwart - che a proposito di Così è (se vi pare), realizzata a Berlino la stagione precedente, aveva parlato di una semplice curiosità psicopatica - trovò che Pirandello si era avviato sulla cresta stretta e pericolosa « tra realtà e romanticismo, tra veglia e sogno, tra realtà e mistica ». Riscontrò nei Sei personaggi una certa affinità con le commedie letterarie dei romantici tedeschi e con il Griiner Kakadu dello Schnitzler ma ammise che il dramma pirandelliano andava più a fondo. Al di là dei bisticci tra apparenza e verità e ~el ~scuglio di tragico e di comico vide aprirsi onzzontt sulla problematicità dell'esistenza umana che lo Spieltrieb dei romantici aveva trascurate perché gli 105 era mancata la sonda inesorabile della psicologia. Nel dramma pirandelliano è presente un più in~:s~ e. un più acuto impulso verso una conosce~a p~u mt1~a del senso della vita. D'altro canto d Diisel v1de troppo « giuoco » nei Sei personaggi, e anche la tragedia ambigua dei personaggi stessi gli sembrò non abbastanza plastica, chiara e commovente. Ma concluse che nessun dramma contemporaneo poteva scuotere il pubblico quanto quello pirandellian? dove, con altri mezzi, veniva espresso qualcosa d1 quella sublime armonia del mondo allo stesso tempo tragico e comico che faceva l'ultima grandezza dello Shakespeare. . . Di importanza primaria per la fortuna di Puandello in Germania fu la visita della Compagnia del Teatro d'Arte sotto la direzione di Pirandello a Berlino e, successivamente, in altre città della Germania nell'ottobre e nel novembre del 1925. La tourné~ ampliò la notorietà dell'autore italiano e sopr.attutto mostrò ai registi, ai critici, e pure al pubbhco tedeschi come Pirandello stesso concepisse, immaginasse i suoi drammi, e come intendeva che dovessero essere interpretati sulla scena. A Berlino, per tre serate consecutive, fu messo a disposizione della compagnia lo Staatstheater. Sul programma berlinese del Teatro d'Arte, figuravano nelIl piacere dell'onestà, e Pirandello, prima e ~opo le l'ordine, Sei personaggi in cerca d' autor~, Enrzco l:', singole recite, comparve sul palcoscemco per d~e qualche parola d'introduzione e di commento. È Interessante notare che la critica berlinese trovò che tutte le messinscene del regista Pirandello non rispondevano affatto alle concezioni del drammaturgo Pirandello. Partendo dal presupposto che ultima conseguenza dei Sei personaggi è una dichiarazione di fallime~to dell'arte drammatica davanti alla realtà della v1ta stessa, la loro rappresentazione avrebbe dovuto pun- 106 tare sul tragico di una tale realtà, a contrasto con la farsa dell'imitazione drammatica, come appunto aveva fatto Reinhardt, in un giuoco immaginario di ombre, irrealtà più reale della realtà stessa, sottolineando la tragicità della condizione umana, attraverso lo scontro tra illusione e realtà. Al contrario la messinscena italiana sembrò sottolineare piuttosto il carattere puro di giuoco, quasi volesse indurre il pubblico a non prendere le cose troppo solennemente e mostrare che, dopo tutto, quel che avveniva sul palcoscenico era nient'altro che teatro. La recitazione, i movimenti e la tecnica delle luci degli italiani furono giudicate troppo elementari per le profondità psicologiche del testo. Si ammise soltanto che Pirandello aveva impresso al dramma un ritmo serrato e preciso, estremamente efficace. Si trovò strano che Pirandello non avesse usato nessun espediente scenografico (come per esempio lo scuro fondale usato da Reinhardt) per creare un'aura di mistero e che i suoi personaggi invece d'essere fantasmi di se stessi possedevano una « carnalità » che ne avrebbe ridotto l'effetto. (Oscar Biidel, Pirandello sulla scena tedesca, Quaderni Piccolo Teatro Milano, n. l, 1961). 107 l cc Sei personaggi,, secondo Tyrone Guthrie di Ettore Capriolo Tyrone Guthrie (1900-1971), il più importante regista teatrale inglese prima dell'avvento di Brook, il diretto responsabile della fama europea di cui godette l'Old Vie negli anni trenta e quaranta, ha più volte inscenato il capolavoro pirandelliano, l'ultima al Phoenix Theatre di New York nella stagione 1955-56. Ecco la sua opinione sul dramma e sullo spettacolo espressa nel volume autobiografico A Life in the Theatre (Londra, Hamish Hamilton 1960). « Sei personaggi è sempre stata una delle commedie da me preferite. Mi era servita anni fa per aprire una stagione a Cambridge, avevo ripreso la stessa messinscena a Londra un anno o due dopo e l'avevo diretta per la terza volta a Liverpool durante la guerra. A me la sua fìlosofìa non pare molto profonda, ma Pirandello riesce a dire qualcosa sulla natura della realtà in termini teatrali splendidamente vivi. Invece di parlare dei vari gradi di realtà, li incarna in personaggi a colori accesi che tengono conferenze al pubblico e agli altri personaggi e traducono queste conferenze in azione. Ne avevo preparato una versione che i direttori del Phoenix erano disposti a presentare, ma erano già in avanzata trattativa per inscenare un'altra traduzione della commedia, fatta da un attore di nome Michael Wager. La questione venne risolta con un compromesso amichevole: W ager e io avremmo amalgamato le nostre due versioni, io avrei fatto la regia e Wager avrebbe interpretato la parte del Figlio. La distribuzione non era del tutto soddisfacente, 108 soprattutto per la mia lit:?itata conoscenza degli attori disponibili, ma anche, m1 parve, per un mancato rapprochement t:a ~~ .e _il cast in_ un pri~o tempo, e poi tra me e 1 cnt1c1, m fatto d1 atteggiamento. Non voglio assolutamente dire che io avessi ragione e gli attori e i critici torto. Sarebbe il colmo dell'arroganza. E poi non era questione di ragione o torto; solo di due modi diversi di vedere una commedia. Non voglio neanche insinuare che la critica sia stata ingiusta o sfavorevole: non lo fu affatto. Né che ci furono dissensi tra me e gli attori: i nostri rapporti non potevano essere più cordiali. C'era una differenza più sottile e più interessante del mero disaccordo. Quasi tutti i membri più giovani del cast, compreso Michael Wager, erano ardenti seguaci del Metodo. Vedevano nella commedia un documento psicologico e, con quel preconcetto dottrinario che, secondo me è l'errore base del Metodo, pensavano che tutte le commedie serie possono acquistare vita solo con una recitazione « realistica ». Cercavano qualcosa che chiamavano verità. Si sforzavano di trovare nei personaggi un rapporto con qualche loro esperienza personale, ma erano pochi quelli che all'espressione di se stessi aggiungevano una sufficiente padronanza del palcoscenico o un'adeguata tecnica vocale. Io consideravo la commedia un tour de force disinvolto e precipuamente teatrale, un gioco di prestigio con la metafisica al posto delle palle da biliardo o delle carte da gioco. Aveva solo un rapporto lontano con la vita reale; si preoccupava pochissimo della verità, qualunque cosa s'intenda con questo termine; e doveva essere recitata non con profondità di sentimento e dolorose immersioni nell'inconscio, ma con un'esibizione di virtuosismo istrionico, più brillante che profondo. Li disturbava quella che consideravano la mia leggerezza, la superficialità della mia concezione e la mia 109 insistenza a fare le cose perché erano efficaci e non perché erano necessariamente vere. A me disturbava quella che consideravo la loro pesantezza, la loro riluttanza a capire che ciò che è serio può anche essere divertente e viceversa, e quella mancanza d'attrezzatura tecnica che impediva loro di dare un'espressione magari superficiale ma teatralmente efficace a emozioni o idee che personalmente « non sentivano ». Il risultato non fu poi disastroso. Non era pirotecnico come sarebbe piaciuto a me, né vero come sarebbe piaciuto a loro . I critici, per quel che potei capirne, e credo anche il pubblico, avrebbero preferito un accostamento più solenne. È la moda attuale: le cose serie devono essere molto serie mentre uno scherzo è uno scherzo. Trattare un argomento serio con frivolezza, o fare uno scherzo con connotazioni serie o addirittura patetiche, è di cattivo gusto. » Il documento è interessante anche come riflessione su una certa maniera d'intendere il teatro, trionfante in quegli anni, dalla quale non ci siamo ancora del tutto liberati. Come esempio delle reazioni negative suscitate dallo spettacolo, proprio nel senso indicato da Guthrie, ecco una recensione di Eric Bentley, pubblicata originariamente sul New Republic e raccolta nel volume What Is Theatre? (Boston, Beacon Press, 1956): « Pirandello ha descritto due volte dei registi con le tendenze di Guthrie (se non con il suo talento) ed è ironico che proprio a Guthrie sia toccato portarne uno sulla scena, il capocomico di Sei personaggi. Apparentemente ciò permette a Guthrie di vendicarsi, perché il suo spettacolo capovolge la tesi principale di Pirandello e dimostra che capocomico e attori sono più reali dei personaggi di uno scrittore. Ma in Pirandello c'è sempre l'ironia all'interno dell'ironia, e alla fine della serata ciò che egli ha da dire sui capocomici risulta abbondantemente dimostrato: puramente e semplicemente che essi s'intromettono tra il pubblico e l'esperienza che l'autore voleva comunicare. 110 Prima di creare il regista alla Guthrie di Questa sera si recita a soggetto, Pirandello era stato a Berlino: e all'elogio per i « miracoli » di Reinhardt e Piscator aveva aggiunto (in un'intervista giornalistica) l'osservazione che, nonostante tutto, l'opera dei nuovi registi poteva essere .« un d~lit.to commesso contro lo spirito di una cr~a~wne ar.us:lca . » Coloro. ~he vanno ai Sei personaggz d1 Guthne 111 uno stato d1mnocenza primitiva si godranno abbastanza giustamente uno « spettacolo meraviglio~o », ~a. chi sa che pu~ significare il senso trag1co d1 Pnandello ~ .fatto d1 amarezza e di bellezza, per non parlare d1 mtrospezione, deve sentirsi derubato del contenuto essenziale della commedia. Era giusto distogliere l'attenzione del nostro pubblico dal mero filosofare e far risaltare l'umorismo del copione; ma Guthrie ha fatto risaltare molto umorismo che non è nel copione, a spese di una tragedia straziante. » ci? È una delle domande base della discussione sul teatro contemporaneo, continuamente riproposta all'apparire di ogni regista dalla personalità prorompente e di ogni spettacolo comunque non conforme all'idea che di un testo, meglio se consacrato dal tempo, ci si è fatta. Cosa deve essere la messinscena di un classico? L'utile veicolo per trasmettere a un pubblico la parola di un poeta (tutte le. p. maiuscole)? O no11 piuttosto, e almeno altrettanto legzttzmamente, zl punto di partenza per un discorso che 4alle s~e origini.let.terarie può anche prescindere e che chzede dt essere gzudtcato anzitutto e soprattutto per come appare sulla scena? Le risposte possono essere differenti, le domande continuano a porsi. I brani di Guthrie e di Bentley sono un contributo. non solo a un episodio della storia della fortuna scemca dt Pirandello ma un'annotazione significante su questa tormentata questione. E poi, non è uno stato di «innocenza primitiva » la condizione ideale dello spettatore? 111 Introduzione alla '' farsa » pirandelliana (interrompendo sdeg~ata): Ma che ~iuoco! Non siamo mica bambini! Qui s1 ree1ta sul seno. Il padre: Non dico di no. E intendo, infatti, il giuoco della loro arte che deve dare appunto - come dice il signore u~a perfetta illusione di realtà. Il capocomico. Ecco appunto! Il padre: Ora,, se lei.pe.nsa che ~oi ~ome ~oi non abbiamo altra realta fuon dt questa tllustone (zndicherà sommariamente gli altri cinque personaggi). (materiali di lavoro raccolti da Giuseppe Bartolucci e Gualtiero Rizzi per la realizzazione della « Lezione di storia del teatro contemporaneo»: «La farsa pirandelliana » con Anna D'Offizi, Piera Cravignani, Rino Sudano e gli allievi del Corso di Formazione dell'Attore) «l! personaggio che sa di essere nato artisticamente vivo, pretende a gran voce una vit.a ~:arte; è una. specie. di. dram_matizzata tautolo gia. Nulla dt ptu assurdo dt una Stmtle. omrica pretesa, ma che è il prete.sto necessario per la contmuazione del sogno (G. G., op. ett. pag. 599 ). » l . L'immagine visionaria choc della sua comparsa è provocato proprio dal secondo « Se i sei personaggi sono nati visionariamente non possono ritrovarsi che sotto il segno dell'ambiguità. » (Gaspare Giudice, L'ambiguità dei sei personaggi, Atti del Convegno internazionale di Studi pirandelliani, Fondazione « Cini » Venezia, 1961, Le Monnier, 1967, vol. II, pagg. 400-1). Visionaria è l'entrata dei Sei, la loro ansia di agire, la loro volontà di ripetizione. Pirandello l'ha organizzata mentalmente e scenicamente come un'unica immagine rotta da cesure (incontri con i « comici », scontro con la loro mentalità: incontri-scontro peraltro che per essi sono soltanto una digressione dell'azione; e questa azione è ripetitiva ed è concepita come immagine, in quanto è già avvenuta realmente e si è « bloccata » in loro mentalmente, con una necessità di riviverla interiormente appunto a livello di recupero di immagine. L'immagine visionaria non impedisce peraltro al giovinetto di uccidersi materialmente, e quindi di sconvolgere la visione e di spezzare l'immagine, con un brivido, rigurgito di realtà che afferra i « comici » e gli spettatori, e li fa uscire dalla discussione illusione-realtà abbastanza accademica (cioè pirandelliana di maniera): « La prima attrice 112 «E Madama Pace è quasi un supplemento di visione: lo grado della sua apparizione: la prima visio~e è. quella. dei "Sei personaggi"; su rues~a ~asce l~ comm~dza pzrandellzana, mista di visione e dz artzficzo; poz, sul pzano della commedia, e propriamente su quello del f~lcoscenico, scaturisc~ improvvisa, sconvolgente, la nuova vzszone. ~~dama Pace e stata richiamata, evocata, per un tramzte onmco, dalla presenza degli altri personaggi ». Il . L'ambiguità come satira L'ambiguità dei « Sei personaggi»: «Nel mio lavoro la rappresentazione del dramma in cui sono involti i sei personaggi appare tumultuosa, e non procede mai ordinata; non c'è sviluppo logico, non c'è concatenazione negli avvenimenti. È verissimo. Neanche a cercarlo con illumicino avrei potuto trovare un mode più disordinato, più strambo, più arbitrario e complicato ... di rappresentare il dramma in cui sono involti i sei personaggi. » (Luigi Pirandello, Prefazione ai Sei personaggi, Mondadori 1951, pagg. 17-18). Lasciamo stare le giustificazioni dell'autore, a posteriori, e sotto la suggestione delle reazioni: la sua pretesa dell'universale, come scrittore di « natura più propriamente filosofica »; la sua problematicità dell'atroce inderogabile fissità della forma (dei sei perso113 naggi): « il conflitto immanente tra il movimento vitale e la forma è condizione inesorabile non solo dell'ordine spirituale, ma anche di quello naturale. La vita che s'è fissata, per essere, nella nostra forma corporale, a poco a poco uccide la sua forma » (pref., op. cit., pag. 16). Teniamo invece fede alla discreta satira dei procedimenti romantici in un dramma « di continuo interrotto, sviato, contraddetto»: anzitutto come demistificazione di un comportamento e di un modo di pensare al tempo stesso, che è quello della tradizione letteraria e drammaturgica borghese; con personaggi appunto « ambigui » in quanto sdoppiantisi, nel senso che agiscono e si vedono agire, parlano e si sentono parlare; con una sottile morbosa dialettica, per la quale appunto diventano oggettivamente ridicoli nel momento stesso del loro sprofondarsi spiritualmente; e nel senso anche che hanno terrore e volontà di realtà, per un lato applicandosi alla memoria prodigiosamente e automaticamente alla ricerca dei fatti accaduti e ora risognati, per l'altro lato tormentandosi dell'impossibilità di raggiungere, almeno attraverso il teatro, quei fatti, quella vita, quella realtà, con una ironia di fondo per questo stesso tormento loro. «Ne viene un flusso continuo temporale-spaziale dove dav· vero è impossibile bloccare un luogo, fissare una durata, ad un personaggio, alle sue parole, alle sue azioni, con una dissociazione di precisione di particolari e di indefinitezza di insieme, con una giustapposizione altresì di idee sentimenti reazioni emozioni: «Tutta la commedia è intessuta di questo continuo rimbalzo, dalla significazione simbolica al vero fisico, dalla problematica dell'arte assolutrice della fisicità a una pregnanza dei valori del sangue e dei sensi, e viceversa dalla vicenda del fatto di cronaca e da una escursione di testimonianze, a difesa delle teorie del pirandellismo, a una «fissazione» idealistica, o se si vuole, «figurale», in senso auberchiano (G.G., op. cit. pag. 388) ». 114 111 - L'ipocrisia della '' rappresentazione " L'ipocrisia dei Sei personaggi: sia degli attori che dei personaggi; già gli attori hanno qualcosa di funebre, di sorpassato, di marginale, che li fa parlare leggermente a vuoto, un po' come fantasmi un po' come macchinette, del loro lavoro d'arte e delle stanche abitudini; e questa parola più volte ripetuta e proclamata acquista un sapore di divertimento alle loro spalle, di ammonimento a non riporvi troppa fiducia, di persuasione a non farcela più culturalmente né umanamente a presentarsi come strumenti artistici appunto. Dall'ironia del non pensare ai critici al grottesco della paura della censura, con un vano difendersi sproloquiante del capocomicco in termini di mestiere, di convenienza, di tradizione, salvo il buon naso teatralizzante di ricavare qualcosa di buono, di diverso, da quella situazione, da quel contrasto con i « sei », ed il suo deludersi sciocco per una giornata perduta, alla fine: « Andate! Andate! Che volete più fare adesso? Troppo tardi per ripigliare la prova. A questa sera! » dopo che ha avuto una apprensione: « S'è ferito? s'è ferito davvero? »: dopo che il Giovinetto si è tirato un colpo di rivoltella: finzione, realtà, è morto davvero. Il capocomico comunque è costretto a fronteggiare i « sei », il padre, la figliastra soprattutto, anche se sta al loro giuoco inconsciamente, e ne dipende in tutto, dal momento del loro sorgere, senza peraltro costituire un elemento dialettico vero, e quindi favorendo una finzione di comportamento più che assumerla e farsene portatore; ma gli « attori », maschi e femmine, sono arresi a se stessi, avvolti dalle loro preoccupazioni, senza un pizzico di distanziamento, senza un attimo di ironia, e fan davvero da comparse funebri, degradate, incolori, insignificanti. Simili dati di sottomissione e di degradazione naturali non artifìciose, del capocomico e degli attori ai « sei personag115 ' . • .~ . . . . ..., l j.J ·~'t ....,.....,;... ' ..•• . ~ '- .... ~ ~ .• gi » permettono allora a questi ultimi di sfoggiare la loro ipocrisia intellettuale, cioè di svolgere la loro funzione demistificante sia a livello di rivendicazione di realtà, come qualcosa di più significativo e schietto dell'arte, sia a livello di suggestione di comportamento, di chi ha veramente vissuto e sa conservare (meglio inseguire) la propria autenticità. Schietto ed autentico peraltro che i « sei » ipocritamente appunto perseguono (ed è questa la straordinaria vitalità pirandelliana: la mescolanza suscitatrice di elementi veristici su un tracciato dirompente) al di dentro di un « fatto » crudamente e stupidamente borghese, reso come una filigrana colorata e appetitosa, la cui trama però è completamente distrutta ed evanescente. Ed è come se i nostri « personaggi » navigassero sott'acqua (per e dentro quella loro visione da rinnovare concretamente) mostrando la loro convenzionalità e la loro banalità dentro discorsi ed atteggiamenti irrazionali, anarchici, fluidi, su quell'ansia falsamente liberatrice di verità e di vita. Così non è il loro filosofare a salvarli, né è il loro confrontarsi con il teatro a redimerli, ricondotti ognora alla pigrizia ed alla inettitudine della loro essenza sociale, della loro appartenenza ad una specifica classe sociale. E non li salva e non li redime quel loro doloroso ed astratto constatarsi in un « presente grigio e opprimente, che spinge l'individuo a ripiegarsi in se stesso, a isolarsi da una società che rifiuta, a dubitare di tutto » (Mario Baratto Per una storia del teatro di Pirandello, op. cit., pa~. 293 ). La loro vita serve a spiegare quel « momento » per giustificarsi di esistere: il loro « a~ ti-dramma » non può consistere, prima e dopo la npetizione di una « scena » decisiva, che nell'esposizione affannosa delle proprie ragioni, nel tentativo di sopraffare gli altri, nell'ane~ito ~d un m~n?logo che imponga agli altri il silen~10. S1. fa. espl.lclto ~n ~~avo paradosso, che è una lez1one s1gmficat1va: l md1v1duo 116 ha bisogno degli altri per esistere solo, per distruggerli. (Mario Baratto, op. cit., pag. 299). IV . La vitalità contemporanea Gli attori della compagnia sono quelli stessi di oggi: sorpresi dal proprio mestiere e dalla propria finalità; per un verso attaccati alle abitudini delle loro parti, all'importanza della loro tecnica, alla fiducia nel loro strumento-destino d'arte; per l'altro verso sono in mano alle forme di comunicazione, ossia in mano alla macchina organizzativo-tecnico-artistica, che li corrompe e li devia, li diminuisce e li riduce, sia come personalità che come mediatori (nei confronti del pubblico soprattutto). Qui, in una prova « negativa » non hanno più reazione, vi vengono stanchi, con svogliatezza, benché la « situazione » li voglia puliti, nitidi, asettici, come è l'atmosfera e l'ambiente della « prova » appunto, senza pubblico e ancora da « fissare », con abiti quotidiani, un po' più in là della lettura, un po' meno della presa di memoria; e quindi con « falsa » disinvoltura, e con un sottinteso disdegno per l'operazione, in un'aria di raccogliticcio e di fastidio, per nulla confortate dalla loro pretesa bravura e dalla loro sospetta superiorità (di qui una certa sbavatura ed una certa imprecisione della loro interpretazione, come se stessero sempre attendendo di finire e di uscire, un po' nervosi, un po' negletti, ed insomma disattenti). I « sei » personaggi altresì non ce la fanno ad uscire « universalmente » dal fatto di cronaca, che diventa predominante ed ossessivo, soggiogati al tempo stesso dall'ipocrisia-ambiguità in cui un certo pirandellismo di tradizione li ha disposti e conformati; così svariano sulle disquisizioni filosoficheggianti e teatralizzanti con finta eleganza e con disinvoltura aperta, come se ripetessero interpretazioni degli anni trenta117 quaranta (ma ad orecchio, e per imitazione, senza crederci troppo, tanto per accontentare il regista « colto » e dare ~< spiritualità » alla trascrizione scenica) (ma anche timbrano il fatto di « cronaca » per mostrare che il mestiere ce l'hanno e che è sprecato per la occasione, semmai, con una latente disposizione a far centro e ad attirare su di sé l'attenzione dei milioni di spettatori, lo stesso « regista » volendo il successo, e quindi incidere sullo spettatore « realisticamente » ). Gli uni e gli altri (compreso il capocomico che fa da tramite, ed è un po' la parte migliore degli attori, per questo egli li tiranneggia, sia pure amandoli in segreto, rappresentando la « carne » delle sue testimonianze e della sua stessa attività) rispecchiano concretamente, sia attraverso la loro presenza fìsica (il modo con cui sono vestiti da tutti i giorni, senza trucco, senza « copertura ») sia attraverso la loro resa interpretativa (di imitazione abbiamo visto e per una finalità « degradata »: la televisione: ed al tempo stesso « entusiasmante » corruttivamente) rispecchiano dunque una società, la nostra (dal trenta ad oggi la condizione non è cambiata in alcun modo, almeno dal punto di vista borghese, e semmai si è travestita soltanto, mimetizzata, dietro la « tecnologia » mentre allora si affidava alla « spiritualità » ). «In quanto critica del dramma, i suoi Sei personaggi m cerca d'autore non sono un'opera drammatica, bensì epica ... « La tematica si divide in due strati: il primo drammatico (il passato dei sei personaggi), ma che nessuna forma è più in grado di riprodurre. Allora subentra il secondo strato, epico nella sua posizione rispetto al primo: l'apparizione dei sei personaggi davanti alla compagnia che prova e il tentativo di dar vita al loro dramma. Essi narrano e recitano da sé il loro destino; il Capocomico e la sua compagnia rappresentano il pubblico. Ma l'abolizione dell'elemento drammatico non è portata fino in fondo, poiché nell'azione epica che fa da cornice, e che si serve anch'essa della forma drammatica non è messo in questione ciò che nell'azione vera e propria è affatto problematico: l'attualità intersoggettiva. 118 L'idea del teatro epico si realizzerebbe appieno solo se la situazione narrativa non fosse più !ematica, e neppure dialogico-scenica. Ma finché così non è, rimane sempre la tentazione di giungere a una soluzione pseudodrammatica. Nei Sei personaggi i due piani !ematici, la cui dissociazione è il principio formale dell'opera, vengono - alla fine - a coincidere; il colpo uccide il ragazzo sia nel passato raccontato dei sez personaggi, che nel presente scenico degli attori che provano; e il sipario, che - secondo le norme del teatro epico - era già levato all'inizio per confondere la realtà della prova teatrale con quella degli spettatori, finisce per calare davvero» (Peter Szondi, Il dramma impossibile, [?irandello] Torino, Einaudi, 1962, pagg. 110-111). «La loro contemporaneità è allucinante e precisa, intatta e sorprendente: così la loro proposta non è fine a se stessa, non si traduce in un'estetizzazione od in una moralizzazione della realtà di oggi, ma in un'offerta di contraddizione del vivere e del pensare in termini di riscontro sociale e collettivo. Qui sembra risiedere lo iato più profondo che ditacera la nostra civiltà. Ma supponiamo che questa utopia si fosse avverata: che - contrariamente a ciò che avviene nel teat~o di Pirandello la relatività del vero non fosse più motzv:J dt scandalo e dz sgomento; che la provvisorietà e mutevolezza incessante dell'esistenza non fosse più cagione di disinganno, di amarezza e di disperazione; che l'impossibilità degli individui di convenire in esperienze e giudizi comuni non fosse più considerata una tragedia sociale; e che, per contro, tutte queste cose fossero diventate serene certezze di vita quotidiana, garanzie di mutua comprensione, tolleranza e rispetto e perciò di coesione sociale e culturale. Allora è probabile che i significati possibili del teatro di ?irandello svanirebbero, che le sue tragedie dell'età tardo-borghese diventerebbero incomprensibili, e tutt'al più oggetto di "mero" gust_o~ cioè scheletri estetici, relitti archeologici, larve znafferrabzlt del passato remoto, oggetti da museo imma,ginario. È, precisamente il fatto che l'utopia rimane tuttora un utop~a, czo che rende oggi questo teatro più che mai attuale, czoe nostro, sostanza vivente del nostro stato culturale e addirittura ovvio, scontato, spontaneo, perché nutre inti: mament~ la nostra soggettività. Attuale perché inversamente proporzzonale allo stato di cose immaginato Mors tua vita ~ea. Se si. vuole poi stabilire con maggiore approssimazione tl punto dt tale attualità direi che si colloca a metà strada fra le due interpretazioni "inattuali" che ho illustrato prima: l'una per ecce~so di passato, l'altra per eccesso di futuro. Fra questz due orzzzonti si trova infatti il nostro presente. 119 Siamo troppo immersi e stabilizzati nella crisi perché ci sia possibile avvertire ancora lo choc del suo annuncio e d'altra parte ne siamo ancora troppo condizionati, volenti o no, perché ci sia possibile sentirla come passato tout court (Piero Raffa, Criteri per la lettura di Pirandello, Atti, op. cit., pagg. 467-68 e poi, Avanguardia e realismo, Rizzoli, 1967). » V.. La macchina e la solitudine Una società in preda agli altri, in profonda cnst tecnica ed umana, politica e religiosa, con una saturazione dello « spirituale » ed una manipolazione del « politico », che è indice di un annullamento della fiducia (sia pure disperata) negli altri appunto, oltre che una precisa coscienza del « negativo » in cui viviamo e operiamo. Dalla rappresentazione vengono fuori brandelli peraltro di straordinaria vitalità e di singolarissima angoscia, in mezzo ad un'ironia tragica coltivata proprio da tutte quelle disattenzioni ed imitazioni d'epoca: brandelli di discussione culturale viziati da una tradizione e tuttavia proponentisi di nuovo con innocente crudeltà, elementi di vita che sai provenire da condizioni mentali « fissate » e che peraltn acquistano energia straordinaria per il loro volgersi al passato e prospettarsi nel futuro violentemente. «Tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita non può produrre oramai altro che stupidità. Stupidità, affannose e grottesche. Che uomini, che intrecci, che passioni, che vita, in un tempo come questo? La follia, il delitto o la stupidità. Vita da cinemagrafo.' (Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in Romanzi, pag. 1245); "Ma come prendere sul serio un lavoro, che altro scopo non ha, se non d'ingannare - non se stessi - ma gli altri? E ingannare, mettendo su le più stupide finzioni, a cui la macchina è incaricata di dare la realtà meravigliosa? Ne viene fuori, per forza, e senza possibilità d'inganno, un ibrido giuoco. I brida, perché in esso la stupidità della finzione tanto più si scopre e avventa, in quanto si vede attuata appunto col mezzo che meno si presta all'inganno: la riproduzione fotografica. Si dovrebbe capire, che il fantastico non può acquistare realtà, se non per mezzo dell'arte, e che quella realtà, che può dargli 120 una macchina, lo uccide, per il solo fatto che gli è data da una macchina, cioè con un mezzo che ne scopre e dimostra la finzione per il fatto stesso che lo dà e presenta come reale. Ma se è meccanismo, come può essere vita, come può essere arte?" (ivi, pagg. 1151-1152); «(gli attori) si sentono come in esilio. In esilio non soltanto dal palcoscenico, ma anche quasi da se stessi. Perché la loro azione, l'azione viva del loro corpo vivo, là, sulla tela dei cinematografari, non c'è più: c'è la loro immagine soltanto, colta in un momento, in un'espressione, che guizza e scompare .. . Si sentono schiavi anch'essi di questa macchinetta stridula, che, pare sul treppiedi a gambe rientranti un grosso ragno in agguato, un ragno che succhia e assorbe la loro realtà viva per renderla parvenza evanescente, momentanea, giuoco d'illusione meccanica davanti al pubblico» (ivi, pagg. 1161-1162) . VI . Spontaneità e organizzazione letterario-interpretativa Si può articolare un discorso pirandelliano sulla tecnica: ossia sulla riproducibilità del testo letterario e sulla deformazione che l'attore ne darebbe comunque? Cioè egli parla di testo letterario come schema di esecuzione, con il successivo intervento dell'attore disponibile all'improvvisazione (come è traccia evident~ nei « Sei personaggi », sia che l'autore dia varie indicazioni di improvvisazione agli attori, sia che drammaticamente esponga a questi ultimi la negatività del loro lavoro rispetto alla vita ed all'arte al tempo stesso). Si conosce l'avversione-simpatia che ha animato Pirandello, via via trasformatosi da letterato a teatrante, con una tranquilla contaminazione di letterato-drammaturgo, che senz'altro gli ha favorito il discorso teatrale privandolo della sua deformazione letteraria; e si sa anche la sua non disponibilità all'immagine cinematografica, in quanto materiale bruto, quotidiano, non risolventesi mai in organizzazione artistica, e su cui gli attori stessi perdono sostanza e originalità, impressi sventatamente e occasionalmente nella pellicola. Ma la traducibilità del testo e dell'attore in orga- 121 nismo drammaturgico-scenico non gli si risolve mai fortunatamente in semplice adorazione della letteratura dialogata e della tecnica interpretativa, e come sempre in lui gli si rivolta all'interno del discorso, del dialogo, dell'azione, con una rivendicazione costante dell'elemento di vita contro l'accrescimento puramente organizzativo del materiale culturale. L'organismo artistico risale dalla sua morte soltanto nell'ambito di un'opera non finita, di un dialogo non costruttivo, di personaggi non risolti, di azione continuamente interrotta, per cui la sua traducibilità si avvicina di parecchio alla spontaneità vitale ed all'improvvisazione liberatrice, nonostante l'apparente massiccia convenzionalità e organizzazione del materiale letterario e della sua configurazione tradizionale. Così un altro elemento di ambiguità si aggiunge agli altri già passati in rassegna: lo schema di esecuzione del testo letterario venendo ordito subdolamente su materiali letterari oggettivamente precomposti, la deformazione dell'attore tecnicizzato riabilitandosi in comportamenti genuini e reali quanto meno previsti e indirizzati. Allora non si capisce quanto « falso » giuoco interpretativo sia stato introdotto nelle sue opere da una tradizione italiana « intelligente » per forzosità di comportamento e per finalità riduttiva, e quanto « giuoco » critico altrettanto falso sia stato rivolto all'opera pirandelliana nel suo insieme come sottovalutazione della sua energia e della sua esplosività non soltanto a livello individualistico. L'attore così si è precipitato, quello italiano, sul « caso » Pirandello, come su un momento di privilegio della parola, non afferrandone lo scompenso, mentre l'intellettuale vi ha voluto scorgere soltanto una maldestra forma di comunicazione psicologica con un'accentuazione filosofeggiante, fuori dai problemi culturali e reali del suo tempo (in verità attori e intellettuali vivevano il fascismo alla pari di Pirandello, con una strana impurità di fondo: lo stesso Pirandello pagando copiosa122 mente il suo tributo, proprio come manipolazione interna del suo lavoro teatrale). «Il dramma scritto arretra a schema per l'esecuzione e la creazione è affidata all'attore, secondo il procedimento della commedia dell'arte. Questa creazione però non può mai riuscire in arte autentica. "Se non vogliamo una traduzione più o meno fedele, ma l'originale, veramente a teatro, ecco la commedia dell'arte: uno schema embrionale, e la libera creazione dell'attore. Sarebbe sempre, come fu, triviale, perché opera d'improvvisazione, in cui non può aver luogo quello scarto di particolari ovvi, comuni, quella semplificazione e concentrazione ideale, caratteristica di ogni opera d'arte superiore". Infine è impossibile eseguire convenientemente l'opera nello spettacolo teatrale perché si urta in difficoltà materiali insuperabili, come la figura dell'attore che difficilmente conviene al personaggio. Mentre l'arte libera cose e persone dalle contingenze senza valore e rigetta "tutto ciò che contraria la concezione dell'artista", l'attore: "fa proprio il contrario di ciò che ha fatto il poeta. Rende, cioè, più reale e tuttavia men vero il personaggio creato dal poeta, gli toglie tanto, cioè, di quella verità ideale, superiore, quanto più gli dà di quella materiale, comune; e lo fa men vero anche perché lo traduce nella materialità fittizia e convenzionale della scena. L'attore insomma dà una consistenza artefatta, in un ambiente posticcio, illusorio, a persone e ad azioni che hanno già avuto una espressione di vita superiore alle contingenze materiali e che vivono già nell'idealità essenziale caratteristica della poesia, cioè in una realtà superiore" (Claudio Vicentini, L'estetica di Pirandello, Mursia, 1970, pag. 117). » «C'è un'affinità tra ciò che ho chiamato la teatralità shawiana, specialmente come emerge nelle ultime commedie, e le forme teatrali più profonde, più consistenti e più obiettive di Pirandello. Shaw come artista di teatro sembra aver avvertito qualcosa che Pirandello realizzò: la restaurazione dell'antica magia delle "due assi e una passione", apertamente collocate nello splendore delle luci del palcoscenico e sotto gli occhi del pubblico. I n tutti e due i teatri il dato umano è colto mentre razionalizza là, in quel "vuoto" luminono! Ma .Pirandello, avendo la serietà dell'artista, presenta la sua terrzficante versione farsesca con una finalità ed in un'int~gra [orma teatrale; mentre nel caso complesso di Shaw l'artzsta e sempre contrariato dall'ospite da salotto o scacciato, come romantzco dall'ottimista Fabiano o dal moralmente adeguato uomo di buona volontà. È quindi Pirandello che si 123 deve studiare al fine di vedere come l'idea contemporanea di un teatro (come sostenuto dai più perfetti maestri) risollevò dal diciannovesimo secolo il Realismo e il Romanticismo includendo e trascendendo quei generi proprio come la farsa solitaria del razionalizzare di Shaw. I Sei personaggi è un adeguato esempio dell'arte di Pirandello: il suo lavoro più famoso e il suo primo indescrivibile successo. » (Francis Fergusson, Idea di un teatro, Guanda, pag. 214) Questo « Quaderno » dedicato ai « Sei personaggi in cerca di autore » di Luigi Pirandello è stato redatto a cura di Giuseppe Bartolucci e Gualtiero Rizzi. 124 Documenti del T. S. T. nella stagione 1971-72 ' ............... --···· ·-'~. - L'esperienza di drammatizzazione , nell'ambito di nuovi accordi con gli AsQues~ a~o, zione del Comune (Prof.ssa Viziale) e sessoratt a~1 I.stru(D p· h' 1.) il rapporto teatro-scuola d ll Provmcta r tcc ton ' . di _e a ovendo diffusamente attraverso vari momlentt ll st _sta m~ di partecipazione: l'animazione teatra ed ne e aztone d 0 1. rienze (e non ogma- ~f~a~:n~~r~t. ddf:e~i ~ a ~~n::f:enti ele~~ntdi. dininbte0r1~ · e La necesstta l u . 1b pretazione e dl co1. a oraztot?- · d lla quantità di 1alett~n? di inforemaazllt~nfu~~[~~;o~1~u:ale che ne deriva. von m corso · 1 · espe· Un bollettino pertanto che accompagm_ . e vane . rienze e che produca informazioni per gli msegnant n: uò che rafforzare il rapporto tra_ ~eatro e scuo a, h PT t Stabile e organismi sco1asttct: un rapporto c lie ea ro d soltanto a · vogliamo continuativo e omogeneo non_ di cono· vello di drammatizzazione, ma andchl_e' a hve~odi dell'at· scenza del teatro e delle sue mo a tt.a, e qut~ . tività artistica in tutti i suoi momentl produtt1Vl. . Franco Enrzquet. Nuccìo Messina Il lavoro di drammatizzazione (dopo il Corso per insegnanti dell'anno scorso) quest'anno si è diramato nelle scuole. La linea che il gruppo di lavoro (Loredana Perissinetto e Franco Sanfilippo con il coordinamento di Giuseppe Bartolucci e Gualtiero Rizzi) persegue, è quella di una valorizzazione della creatività del bambino; tale valorizzazione assume il bambino come protagonista dell'azione di drammatizzazione. Gli strumenti adoperati sono il lavoro di gruppo da una parte come espressione collettiva; e vari materiali espressivi (disegno, uso della voce, del gesto, movimento, nozioni biopsichiche ecc.) dall'altra parte come forma di partecipazione. La drammatizzazione, infatti, può essere definita una « tecnica » di espressione, in cui però confluiscono molti altri mezzi o tecniche (pittura, musica, canto, invenzione, scrittura, esercizi psicofisici, costruzione di burattini, pupazzi, uso della cinepresa, della fotografia, ecc.) che tende al recupero e allo sviluppo della capacità creativa e immaginativa del bambino, in cui è innata, tra l'altro, una capacità di espressione drammatica (teatrale). La drammatizzazione non tende solo a questo recupero o sviluppo della creatività infantile, ma vuole porsi anche come strumento, in senso più strettamente scolastico, che stimoli l'osservazione, la riflessione, l'analisi verso quelle che sono considerate « materie »: la storia, la geografia, l'insiemistica, le osservazioni scientifiche, la lingua italiana, ecc. Il lavoro di drammatizzazione in tal modo acquista un ruolo pedagogico globale in quanto tende ad occupare l'intiero spazio della creatività del bambino (cioè non 127 . . - • - :· - '~ '1- • • : _, • soltanto espressivo ma anche sociale); e l'insegnante viene messo in condizione di agire per drammatizzazione continuamente e omogeneamente su un gruppo di bambini (cioè per la durata dell'anno scolastico e con gli stessi elementi). Si tratta quindi non di imporre animatori teatrali dall'esterno (i quali possono mediare la drammatizzazione con le loro conoscenze e la loro esperienza) ma di far sorgere animatori all'interno della scuola come elementi vivi di una sperimentazione educativa globale come già si è detto. Cosl il bambino attraverso l'animatore di drammatizzazione si incontrerà e scontrerà con gli adulti: famiglia, società: partendo dal luogo e dalle esperienze della scuola, per impulso collettivo e per espansione creativa. Questo agire per drammatizzazione ha un suo riscontro teatrale ben preciso: in quanto rivendica una partecipazione collettiva e in quanto non sfocia in un « prodotto »; e come tale ha una sua importanza drammaturgica come vanno dimostrando le varie esperienze che a più livelli e in diverse città si stanno facendo . • _,..,_., ~ lonne, dal 14 febbraio a fine .1 dalle 18 alle 20 (trisettz'ma l aprz e 1_972, con orario , na mente· zl l d' led t e venerdì) e sarà guidat d l · une t, mercoredana Perissinotto _ Frane 0 ~ ftl'gruppo di lavoro Lozione di Giuseppe Bartoluc . aGn zlppo con_ la coordina. cz e ua tzero Rzzz · Il corso sz svolgerà princi alm z. di comunicazione di tecnich/ di ~;te attr~ver~o lezioni teatro dei ragazzi allo scopo di al:mmatzzz~z~one e di all'esercitazione collettiva e d . enar~ glz znsegnanti ad usare la drammat. . t prepararlz concretamente zzzaztone nell'ambito del prop . rto lavaro. Per ragioni tecnico-organizzative d ' . tario sarà preferibilmente scelt .e t rendzmento uniÈ obbligatoria la /requen _o un znsegnant~ per scuola. Le domande vanno z'nd. ~a, sono ammesst uditori. . zrzzzate al T eat b Bogzno 8, entro il 1o febbr . L' ~o . t a z e, vza sarà limitata a un numeroaz~. P-~· ammz~szone al corso 1 bordinata all'esito di un col! ~ dl~mentz e quindi su. ?quzo ez candidati alla finalità del Corso Il Coll . . oquzo sz terrà a m t' f bb . tl Teatro Stabile di T orino (T ~ a e . razo presso Colonne, con inizio alle ore /adtrlo ob~ttz, Sala delle e mattzno) · . . . La ta ssa d t zscrzzzone re ala ' . . convocazioni per l'esame 0 ll me'!tare e dz L. 500; le lettera. oquzo avverranno tramite s ·z . f Il Corso di drammatizzazione per insegnanti TEATRO STABILE TORINO PROVVEDITORATO AGLI STUDI DELLA PROVINCIA DI TORINO A proseguimento dell'iniziativa della stagione 1970-71 il Teatro Stabile di T orino organizza un secondo Corso di drammatizzazione per Insegnanti di scuola elementare e media. Il Corso avrà luogo al Teatro Gobetti, Sala delle Co- 128 129 - '• - -- · ~-~--· ·- - ..... ~ • •• • • • • • • :_, -"""""~ .. - · . ·'.,. • • • Il lavoro nelle Scuole elementari e medie inferiori Scuola elementare « Gabrio Casati n Classe formata da 28 bambini, mista. Animatore teatrale: Loredana Perissinotto. Due insegnanti di ruolo (scuola a tempo pieno), entrambe provenienti dal precedente « Seminario di drammatizzazione » del Teatro Stabile. Spazi sufficientemente agibili. Materiali adeguati già in dotazione. Lavoro già cominciato ed ideato nelle sue tappe essenziali. Premessa: Le quotidiane « azioni teatrali » che nella suddetta classe si svolgono, hanno per presupposto le seguenti finalità: a) aprire un capitolo nuovo sulla psicologia del bambino e sulle sue possibilità di espressione b) entrare in diretto contatto, dal nostro mondo di adulti, nel mondo cosl pieno di bellezza dei bambini c) aiutare il bambino ad esprimere sempre il suo pensiero, onde individuarne anche eventuali drammi o nevrosi latenti o già in atto d) recuperare la fantasia del bambino, che un tipo di società oppressiva e disarmonica nonché meccanica, ha disseccata in modo brutale e) creare attorno al bambino gli spazi e le condizioni necessarie per vederlo sempre muoversi felice (la felicità del bambino deve essere la ragion prima del· l'adulto) dandogli autonomia e fiducia f) in ultima analisi, aiutare il bambino a spogliarsi di una « cultura » unilaterale, basata sul nozionismo, per ricucirsi addosso una cultura alternativa, attraverso la quale riesca a conoscere maggiormente se stesso, il suo ambiente, nel quale deve ogni giorno effettuare delle scelte ben precise. • ......4_ Brevi cenni al lavoro quotidiano d' d . . z rammatzzzazzone Si riporta un elenco di possibilità trad 'bT . l tante « azioni teatrali ». uct 1 l m a tret1 ) esercizi psicofisici · 2) dizione 3) recitazione 4) canti liberi 5) ricerca di musiche adatte per poesie già scritte da bambini 6) musica e ritmo 7) a~tività ~sp~essiv~ di ogni tipo 8) ncerca dt stmboh con i qualt' com . . untcare un tema c~mu_ne oggetto di dtscussione e suscettibile di ve mre m~erpretato teatralmente 9) d?st~uzwne di d~urattini, marionette, con materiale .l ncupero, e l grandezza variabile 10) ncerca gestuale - analisi mimica volto . 11) animazion d' . . e gestt corpo . . e l oggetti qualsiasi del nostro ambiente d1 espenenza 12) g.iochi ?rammatici che coinvolgono l'int 11 trvo der bambini ero co et13) r~cupe~o ~ei dialetti d'Italia e del fol l d 11 ne regwm c ore e e va14) momenti drammatici veri e propri. . tanea ed irripetibil d' . . . creazrone spon15) creazione di fiabe ~t ~ srtuazr~:mi sentite e vissute . l' . , one, poesre, quale punto d'avVI? pe~ ~spr~ssrone drammatica o punto di arrivo (smtesr) dt azwni teatrali già avvenute. Br~~~J;:c~a t:~;~a i; f:~;~~ ~- Cdarmelo >~ att~vità di com- z rammatzzzazzone annuale d l S varo in una città ind t . l' nuto a ud a cercar 1asituazionr· dr' . l us na rzzata, che si trova a vivere vro enza » · quest · b · racconto. La realizzazio~ . .?' m, reve, d succo del i burattini (enormi d' e dr cw sara p~rt~ta avanti con stessi, i quali in ' I ~pugna, maneggiati dai bambini protagonisti di qu~snta plnmo m~m)ento sono stati i veri T . oro stona . re sono 1 momenti di 1 1 « Storia dr' C avaro per a realizzazione della arme lo»: « Carmelo è un contadino ve 130 131 I) creazione spontanea, interpretata dai bambini in uno spazio libero e privo di sovrastrutture, di avventure (fissata con il registratore) II) costruzione dei burattini (schemi, scelta materiale, ecc.) III) sintesi scritta della storia vera e propria, con rielaborazione dei dialoghi registrati. Alla fine della storia, si studieranno le condizioni più felici per realizzarla compiutamente, e in un filo unitario. Franco Sanfilippo (lavoro di animazione) Scuole interessate: S. RITA: « S. Marino» (succursale Scuola Elementare « G. Mazzini » ), n. 2 classi, una seconda e una terza: miste. MIRAFIORI SUD Scuola elementare « Salvemini », n. 2 classi, una seconda, una terza di doposcuola: miste. Situazione: S. RITA Ambiente economicamente medio - classi abbastanza socializzate - aggressività contenuta, ma irrequietezza repressa. Situazione: MIRAFIORI SUD Ambiente carente, parecchio carente di affettività. Classi estremamente problematiche, situazioni singole molto impegnative. bambini. l primi stimoli hanno trovato buon terreno. Ci si orienta verso la pittura, racconto, prosa. MIRAFIORI SUD L'estrema instabilità degli elementi (parlo della seconda classe) non permette azioni con molti bambini. Cia~cuno ~i essi decide un dialog? ove egli sia protagomsta. C1ascuno non sopporta gh altri come protagonis_ti ~si ve~ifi~ano disturbi continui, rifiuti, ecc.). Qui, qumd1, commcw col gruppetto più ribelle. Con loro riesco ~d otte?ere ~a~oghi ~Ila pari. Li esalto nei loro « prodottl », pnma t1m1de pltture, e li calmo cosi. L'esercizio psicofisico è, all'inizio, schernito e visto con diffidenza. Poi, con gruppi di pochi bambini, inizia a funzionare. Nella terza (più socializzazione, qualche elemento disperso dal punto di vista creativo), esiste una iniziazione all'improvvisazione. Lavoro quindi diverso. Dalla situazione di base cerco di ottenere coi miei interventi sviluppi nella qualità e lo sblocco dalle situazioni banali o iterate. È chiaro che tutta la mia azione di animazione tende a restituire equilibrio e a liberare la « creatività » che è qualità primaria di ogni bambino. Scuola elementare '' Re Umberto l ,, (classe V diretta dallo stesso animatore). Situazione: classe da me diretta per cinque anni. Quindi, omogenea, sensibilizzata dal metodo dell'animazione teatrale, socializzata. Lavoro Primi schemi di lavoro S. RfTA: (vale per la seconda e per la terza) L'affettività difetta non per quantità ma per qualità. Si ha l'impressione che i bambini siano stan~hi e a~oia ti. La novità li accende immediatamente. P1ccole mvenzioni catalizzano immediatamente (o quasi) l'attenzione. È possibile fare esercizi psicofisici con gruppi di 25-30 132 . È lo sviluppo, quello attuale, conseguente all'esperienza de La città degli animali, prodotto d'animazione già ampiamente verificato (rappresentazioni in varie scuole - partecipazione al Festival Internazionale del Teatr? per Ragazz~ di Berlino [11/20 giugno 1971] - FeStlVal lnternazwnale del Teatro per Ragazzi di Venezia 20/30 sett. 1971), in gran parte strutturato e lavorato con la stretta collaborazione del Teatro Stabile di Torino. 133 Si lavora ad una nuova storia : P.S.P.G . (Poco Spazio per Giocare). visate. I costumi vengono fatti lì per lì con carta, tessuti ed altri materiali di recupero. Nota Scuola •• C. Battisti Da un tipo di espressione diretta (attraverso l'uso istintivo del simbolo) qual'era La città degli animali, si è passato ad una fase di presa di coscienza dei problemi a livello razionale ed alla successiva versione di alcuni di questi dati in simboli creativi (per necessità espressiva e per la vivificazione del materiale attraverso il gioco delle invenzioni). Siamo, a tutt 'oggi, in fase di trascrizione del « pezzo registrato ». Contemporaneamente, lavoriamo usufruendo quasi quotidianamente del beneficio degli esercizi psicofisici, e praticando, sempre con maggiore efficacia, l'esercizio d'improvvisazione (in parte libera, in parte su temi assegnati). !rene Toscano. Classe I, 14 alunni. Inizio il lavoro di drammatizzazione con esercizi di respirazione, quindi vocalizzi; le prime drammatizzazioni sono stimolate da una traccia; dialoghi, scene e costumi sono fatti dai bambini. in un secondo tempo la drammatizzazione partirà dall'osservazione di cartelloni murali, cartoline, fotografie; infine in un terzo tempo la drammatizzazione avverrà da sola. Scuola elementare statale •• Peppinella ,, (frazione di Druento) Milena Palazzo . Pluriclasse. Otto alunni più un'uditrice, distribuiti nelle classi I, II, III e V. Ho iniziato il corso di preparazione alla drammatizzazione per inserire i tre alunni nuovi che non hanno mai avuto esperienze del genere. La preparazione consiste in esercizi psicofì.sici e fonicovocali. I ragazzi spontaneamente drammatizzano con burattini (realizzati con cartucce). Dopo la proiezione di film i ragazzi ricostruiscono scene per loro non chiare. Scuola del Fioccardo Laura Colombo . Ho 15 alunni, 10 di classe I e 5 di II classe. Due scolari di prima si interessano raramente alla drammatizzazione dei compagni. Ogni mattina anche per mezz'ora fingono gran partite di pugilato con formidabili colpi a vuoto e terribili cadute, poi, scaricati, lavorano meglio. Nella scuola ci sono altre due insegnanti. Sovente lavoriamo tutti insieme. Abbiamo riunito tutti gli alunni per drammatizzare fiabe tradizionali e improv134 n Scuola per spastici (Via Valgioie, 10) Giuseppe Ciaccio. Alunni 6. Già l'anno scorso ho iniziato un lavoro di drammatizzazione su due binari: esercizi psicofisici di preparazione-allenamento, drammatizzazione vera e propria di fatti di cronaca e di fatti storici. Creazioni libere su spunti di vita o di racconti e poesie. Il tutto viene elaborato spontaneamente dagli alunni (sia creativamente che organizzativamente). Quest'hanno ho allargato il gruppo con altre due bambine di una IV elementare, con il proposito di investire tutta questa seconda classe. Scuola •• Cavour ,, di Cascine Vica Stefania Boccignone. Alunni 25 (mista). L'assoluta mancanza di spazio per qualsiasi tipo di movimento e il limitato materiale a disposizione mi hanno permesso sinora di provare con gli alunni esercizi psicofìsici in aula, perciò limitatissimi, giochi drammatici, drammatizzazioni di racconti o di eventi. Vorrei poter approfondire con loro esperienze drammaturgiche vere e proprie. Scuola « Gozzi , Si/vana Botticelli. Classe II, 23 alunni, 12 maschi e 11 femmine. Abbiamo sinora eseguito esercizi psicofì.sici, gioco libero, gioco drammatico e qualche drammatizzazione proposta dagli alunni (per esempio reinterpreta135 ..... ' , • •1.. · · · - - - zione di programmi TV per ragazzi). È sorta anche l'esigenza di una storia e stanno nascendo « La vera storia di cowboy e indiani» e «Un uomo nello spazio». Scuola '' S. Michele » Enza Leopizzi. Classe IV mista, alunni 42. Sin dai primi giorni di scuola gli alunni hanno inventato storie vere in corso di drammatizzazione: « La statua che si muove » e « L'idraulico Brogio ». Si vorrebbe coinvolgere duecento alunni (l'intiera scuola) su un argomento da scegliere: la pace, l'Europa unita, il terzo mondo - su sollecitazione dei ragazzi. Scuola elementare '' Giannelli ,, Angelo Calà. Classe IV, 30 alunni. Esercizi psicofisici. Lavoro di drammatizzazione da disegni e testi liberi. Drammatizzazione dall'osservazione del bambino sull'ambiente (famiglia-scuola-quartiere-città) che lo circonda e che entra in relazione con lui. Scuola '' S. Quasimodo ,, (Le Vallette) l) drammatizzazione spontanea; Il) riflessione e sintesi scritta, azione; III) ricostruzione scritta dei dialoghi. Progetto: emigrazione in Germania. Reazione alla lingua straniera e adattamento alla vita degli altri. Lavoro estemporaneo: creazioni con burattini-dita su soggetti vari e nati occasionalrnente. Espressione mimica di gruppo per chiarire sentimenti, particolari situazioni, emozioni. Scuola media di Balangero Luciana Tullo . Difficoltà di spazio: non si dispone di un'aula di educazione artistica; non si può usufruire della palestra. L'aula che occupiamo è piccola. Abbiamo cominciato una serie di drammatizzazioni spontanee che veniamo elaborando collettivamente attraverso vari esercizi. Scuola elementare '' Cairoli n Pinuccia Passarin. Ambiente plastico e psicologico: molto disponibile. Ambiente psicologico : classe prima, ragazzi figli di analfabeti per lo più disoccupati e invalidi. Il servizio assistenza è già oberato ma la scuola è dotata di sussidi didattici fondamentali . Alfredo D'Aloisio. Classe III B, 21 alunni. Si stanno riprendendo alcuni terni emersi nella ricerca fatta lo scorso anno scolastico (drammatizzazione: « La mia .. . la tua ... la sua ... » ). L'interesse della classe è verso una chiave espressiva che recuperi il «fantastico» (uso di coloriluci-costumi-pupazzi-musiche-diaposi tive). Scuola media di S. Mauro Mirella Vitali. Conosco ancora troppo poco i miei alunni per poterli giudicare individualmente. Non sono abituati a lavorare in gruppo e ogni mio tentativo è naufragato perché non riescono ad organizzarsi e soprattutto a collaborare fra di loro. Stiamo lavorando attorno all'argomento « La pubblicità » come spunto di riferimento. Scuola elementare '' Casati ,, Francesca Cazzotto . Classe V. Lavoro base: un emigrato del Sud capita a Torino: avventure e disavventure. 136 137 APPRENDISTATO - BIBLIOGRAFIA 1 Tonino Conte - Emanuele Luzzati Incontro con il teatro 1) W ALTER BENJAMIN, Programma per un teatro proletario per bambini, Quaderni Piacentini, n. 39, 1969. 2) « Sipario », Teatro dei ragazzi, numero doppio, giugno 1970. 3) ]AcoB L. MaRENO, Scuola e città, 11 novembre 1964. 4) Il lavoro teatrale nella scuola, Quaderni di Cooperazione educativa n. 5-6, 1970. 5) BRUNO CIARI, Nuove tecniche didattiche, Editori Riuniti. 6) GIORGIO GENOVESI, Gioco e metodologia nella scuola per l'infanzia, Parma, Edizione universitaria, Casanova. 7) MARIA SIGNORELLI, Giocare al teatro, Armando Armando, Roma 1964. 8) MICHEL SMALL, Il gioco drammatico, Armando Armando, Roma, 1967. MAJOULT, Le ;eu dramatique et l'enfant, Presse l'lle de France, Paris 1954. lO) J. HUIZINGA, Homo ludens, Saggiatore. 11) H. READ, Educare con l'arte, Edizioni di Comunità. 12) ]EAN PIAGET, La rappresentazione del mondo del fanciullo, Boringhieri. 9) ]EAN << italiano Un teatrino, due carabinieri, tre Pulcinella e uno spazzino di Tonino Conte ed Emanuele Luzzati è l'azione teatrale che il Teatro Stabile condurrà nelle scuole per i bambini dai sei ai dodici anni come momento informativo dell'esperienza teatrale tradizionale e come strumento di comunicazione aperta. L'azione teatrale si avvale anzitutto di un gusto della «filastrocca» popolareggiante proprio al Luzzati (squisito compositore di immagini per bambini) e poi di una precisa referenza dal gesto interpretativo italiano (quello della Commedia dell'Arte di cui in Isabella, di Enriquez e Pandolfì, si sono avuti esempi significativi). Il teatrino diventa allora l'occasione di un discorso: quello cioè di un « luogo » dove si manifesta l'azione per se stessa ad opera di un gruppetto di professionisti, e quello anche di un'opera che viene costruendosi per esemplificazioni di un modo italiano di interpretare la realtà. Ma questo discorso non rimane chiuso e non è obbligato, in quanto gli autori e gli attori tendono a far saltare il « luogo » continuamente e la stessa « opera », in modo che gli spettatori possano intervenire e discutere i materiali adoperati e il « modo » dell'interpretazione. In tal modo l'azione deve essere pedagogica nel senso di mostrare momenti di lavoro e deve anche essere drammaturgica nel senso di far partecipare alla stesura di questo lavoro i bambini (sia pure per mediazione). Lo spettacolo è stato presentato nella sede di alcune aziende e al Teatro Gobetti dal 4 all'8 gennaio e nelle scu_ole elementari di Torino e della Provincia dal 10 gennazo, per un lungo giro. Per proposte e richieste di programmazione rivolgersi alla Segreteria del Teatro Stabile via Bogino 8, telef. 539.707. ' 138 n 139 ' ,,....,, ...... - · . l . - - Alessandro Giupponi L'Iliade come grande <

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I quaderni del Teatro Stabile della città di Torino. - Torino : Teatro Stabile di Torino, 1964-1975.

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