QUADERNI DEL TEATRO STABILE DI TORINO , ELETTRA DIREZIONE MITO ANTEOITORE QUADERNO 32 I QUADERNI DEL TEATRO STABILE DELLA CITTA' DI TORINO N. 32 ELETTRA DIREZIONE MITO a cura di Ettore Capriolo e Lorenzo Salveti ANTEDITORE 197 4 Stabile di Torino Proprietà letteraria - Printed in l -Verona - D.E.T.- via Concetto d i mito Mario Untersteiner "Pensiamo un istante a questo magnifico e mai più visto fenomeno, cui si dà il nome di mitologia greca! Che cosa è du11que la mitologia greca (meglio sarebbe dire "mitopea"), nel suo creativo sviluppo se non poesia? Lo so: poesia in senso proprio non esiste se non dove è raggiunta l'espressione concreta, la quale è necessariamente individuale. Ma chiniamo la fronte all'arcano mistero che volle nella creazione e nella moltiplicazione dei miti confuso l'individuale col collettivo; chiniamo la fronte all'arcano mistero, per cui l'Epopea stessa di Omero non riesce a distinguersi dalla voce di tutto il popolo, di tutti gli inconsci uomini che rivestirono di mitiche forme smaglianti il Cielo, la Terra, il Mare, diedero volti, e parole e palpiti agli inerti oggetti della Natura. Per questo è lecito affermare che in Grecia tutto il popolo fu in urt certo modo poeta; per questo io penso che la mitopea è l'espressione genuina e fondamentale del genio poetico greco". Con queste parole Augusto Rostagni (l) fa sentire tutto il fascino che il mito greco irradia dalla sua inesauribile fonte creatrice. E tanta è l'efficacia di questa energia che le poesie di tutte le età e di quasi tutti i popoli non si liberarono più delle immagini mitiche, anche se spesso, troppo spesso appaiono ridotte a puro ornamento esteriore e convenzionale dell'opera d'arte moderna. 7 Ma cosa mito? origine 8 si deve intendere Fissarne i termini con una - e ciò risulterà dalla mia identici. la dello 9 cile per l'uomo; da ciò segue che il mito non fluttua liberamente, come la fiaba, ma è legato al suo oggetto del quale esprime qualche cosa ... La concezione mitica è il primo stimolo all'impulso verso il s~pere ... In senso proprio è soltanto una forma poet~ca del com~rendere, perchè generata dall'ispiraz~one. Non s1 tratta tanto di un pensare, quanto pmttosto di un dar forma a ciò che ne è privo. L'uomo, che inventa miti, possiede riguardo al cosmo un sentimento unitario; non sta di fronte alla n.atura, ma le appartiene. Molto più di quanto oggi SI~ anche soltanto possibile, egli qui opera come m1sura delle cose, in quanto il proprio partecipare e sentire costituiscono l'unico fondamento per comprendere l'esperienza dell'intero universo".(9) Così si delinea un'intelligibilità del mondo che per la mentalità di un primitivo è del tutto soddisfacente, molto più che per l'uomo delle età colte per il quale "nasce il dubbio e lo sforzo di uscir~ dal du,bbio senza far intervenire una troppo facile funzi?~e fabulatrice".(l 0) Il mito sta, dunque, fra la rehgwne e la metafisica e perciò guarda al mondo c?n un metodo che "non si serve delle leggi del pensiero nella maniera a noi solita".(ll) Si può forse accogliere quella definizione concettuale del mito, la quale proclama che vale come "la fiss~~fone dogmatica di. un'idea che rifugge dall~ sceps1 .(12) Un mondo mtero di istituzioni grav~ta verso questo accoglie'ìte centro spirituale, dove s1 arresta perchè ogni suo momento si animi con la passione della fantasia, della bella parola o del cresto ~lastico, Il mito è, dunque, ciò che sta in mez~o fra Il problema e la soluzione; è quel filo conduttore che suscita la vita ovunque, anche_ là dove giace spenta. Per ben comprendere questo momento del mito è del tutto opportuno tener presente la definizione che ne ha data A.Brelich: "Il mito è anzitutto un racconto... che ha determinati caratteri di contenuto e di forma. Quanto al contenuto, il mito narra di eventi che presenta come svoltisi in un tempo antico, anteriore generalmente ai tempi di cui vive ancora il ricordo o di cui esiste una documentazione storica, ma soprattutto caratterizzato come diverso da quest'ultimo periodo; la diversità del tempo mitico si riflette nella diversità dei personaggi che vi agiscono, rispetto ai personaggi del tempo presente o comunque storico ... Spesso la diversità dell'evento mitico degli avvenimenti quotidiani consiste - a parte la diversità del suo tempo e dei personaggi - unicamente nel fatto che lo stesso evento, nel mito, si produce per la prima volta, mentre nella realtà quotidiana esso avviene sul modello o per imitazione di quel primo accadimento: ':.(13) Vale la pena di ricordare la definizione eh~ posteriormente ha dato del mito M. Eliade, che coincide con Brelich: "il mito racconta una storia sacra; riferisce un avvenimento che ebbe luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso degli "inizi". In altre parole, il mito raccònta come, in grazia delle imprese degli esseri soprannaturali, una realtà è venuta all'esistenza, sia che si tratti di una realtà totale, il cosmo, o soltanto di un frammento: un' isola, una specie vegetale, un atteggiamento umano un'istituzione ... "Vivere i miti implica un'esperien~ za veramente 'religiosa' ... Non si tratta di una commemorazione degli eventi mitici, ma della loro ripetizione. Le persone del mito sono rese presenti; si diventa loro contemporanei. Ciò implica che non si vive più nel tempo cronologico, ma nel Tempo primordiale, in cui l'evento ebbe luogo per la prima voi t a". (14) Queste definizioni del mito colgono un suo momento essenziale, che implica la validità universale del mito, ed è quello che. Ernest Cassirer aveva rilevato, già nel 1925: "Il vero carattere dell' essere mitico si svela per la prima volta quando si presenta come essere dell'origine. Tutto il carattere ll IO i (l) Rostagni, Classicita e spirito moderno, (2) (3) Pfister, Leipzig 1930, p. (4) W. Warde Fowler, The Religious People, London 1939, p. (5) E. Gardner, "Mythology", Encyclopaedia of Re ligio n · and Ethics, Edinburgh 1908-26, IX, 18 a. (6) Kerényi, op. ci t., p. 572. (9) Ludwing Baden bei (lO) Remo Cantoni, "La filosofia sofici, X, 2 (1941) 24. of the Griechen, scepsì e Geisteswissenschaft, 1883; Ges. ss. (11) (12) Cantoni, op.cit., p. (13) Brelich, op. cit., pp. 25-27. (15) (16) 2 3 f ogni odiosità solo in apparenza, poichè il desiderio di avere figli non era una colpa, tanto più che questo figlio, nato contro il volere degli dèi, dovrà essere il salvatore di Tebe contro la Sfinge. Quindi scoppia un contrasto tra il volere divino e l'uomo desideroso di attuare nel mondo quell'ordine (l'ordine nella polis, in questo caso), che è pur esso divino. Tuttavia il mito doveva rimanere intatto nella sua struttura basilare. Il tentativo di Laio è in contraddizione con la immutabile vicenda del mito; poichè la sua sorte si giudicava crudele e irrazionale, il corso degli eventi ormai fissato dalla tradizione e condannato come assurdo dalla ragione umana viene ora trasferito nel trascendente. E' ineliminabile, si pensa, perchè una potenza superiore lo ha voluto. Sorge così la concezione di una stirpe maledetta; che non era degna della grazia divina e che possedeva "in sè il germe della distruzione. In ciò si trova l'intenso patetico della concezione eschilea. Mentre ogni stirpe possiede nel proprio intimo il profondo desiderio di perpetuarsi, la stirpe di Laio era colta dall'istinto della propria distruzione. Edipo uccide suo padre e sposa sua madre; .questi atti li compie nell'ignoranza, ma travolto dal vento della follia compie un terzo atto, forse più terribile dei due precedenti: maledice la propria discendenza".(2) Tuttavia Tebe viene salvata ancora una volta a dispetto delle imprecazioni scagliate da Edipo contro i figli, perchè Eteocle, saggio reggitore dello stato, porterà la città alla vittoria, pur sapendo che il successo sarebbe stato pagato col prezzo della sua stessa vi t a. Il problema di dio si districa dall'oscura trama del mito, in tutta la sua gravità, perchè si contrappongono ostili la previdenza del dio di Delfi e quella degli uomini investiti da responsabilità. L'uomo 16 (e per noi soprattutto Eteocle, che conosciamo dai Sette) si .mostra esponente di un compito divino che offende la divinità. Per risolvere questo dissidio Eteocle si getta nell'abisso, mediante il sacrificio della propria persona. Ma non solo questo grande problema si solleva dalle contraddizioni del mito, perchè Eschilo attinge nel fondo primigenio di questo un altro motivo capitale: la legge della corresponsabilità fra tutt~ i membri di una stirpe come era risultato evidente dalle storie dei Labdacidi. Questo principio rappresenta una reviviscenza della religiosità mediterranea, in quanto si tratta di uno sviluppo dell'idea di mana che doveva importare il concetto del legame di sangue contro l'unità di una stirpe. In Eschilo questo principio religioso ed etico diventa qualche cosa di nuovo, perchè mette in luce un approfondimento del concetto di responsabilità: "per il legame di dipendenza delle azioni· avvenire da quella già compiuta, per lo svolgersi ineluttabile - dal primo anello di una colpa commessa - di tutta una catena di colpe, che lo stesso soggetto si troverà condannato a compiere, l'azione delittuosa, nell'atto medesimo che offende altre persone, colpisce lo stesso reo in ciò che ha di più intimo: la sua anima e il sUo destino futuro."(3) Dalla contraddittorietà dei miti Eschilo, nella sua interpretazione delle vicende dei Labdacidi, è stato ispirato verso la conoscenza approfondita di almeno due grandi problemi: quello riguardante le difficoltà riferentisi al concetto di dio e quello che portava a costruire il senso tragico e spirituale della personalità umana. Il mito dunque con la tragedia attica diventa la forza genetica delle più gravi questioni che il pensiero umano possa porsi. La fecondità del mito, veduto nella sua contraddittoria genesi, appare ancor più chiaramente nella grande evocazione delle vicende degli Atridi. 17 ! : l· 18 Clitennestra non pone il problema: sente solo un'oscura angoscia tormentatrice, che la spinge ad augurarsi una scomparsa definitiva del demone vendicatore dei delitti di sangue troppo a lungo indugiatosi nella casa degli Atridi (Ag., 1568-1576). Più che un problema, il suo è un dubbio. Di contro al suo dubbio si eleva la pubblica condanna. La legge del sangue che vuole espiato nel succedersi delle generazioni ogni delitto mediante un nuovo delitto, continua a esercitare la sua inesorabilità cieca, perchè al senso divino che essa presuppone non contrasta ancora un altro senso divino che la superi. Né ancora si è manifestato in tutta chiarezza quanto sia radicato nelle cose il dissidio di un aspetto del divino con un altro. Zeus è il dio della giustizia e il dio dell'irrazionale; perciò è ancora mistero (Ag., 160; 1481-1486 ). Bisogna liberare i termini di questo mistero nella loro chiarezza logica e perciò tragica. L'esponente di questa consapevolezza sarà Oreste, nel quale il problema della colpa perverrà a una maturazione concettuale così decisa, da rendere possibile sull'essenza di un dio una risposta meno passionale, e quindi meno imprecisa di quella del famoso inno a Zeus dell'Agamennone. Le Coefore, seconda tragedia della grande trilogia, portano alla crisi estrema il problema di dio, in quanto ne mettono in luce i termini nella loro spietata nudità dialettica. Oreste ritorna finalmente con Pilade per vendicare l'oltraggio patito dal padre, e quindi da tutta la solidale discendenza di questo. · Prima che fosse compiuto il matricidio, il grande e angoscioso problema della sua giustificazione viene affrontato con una disperata e tempestosa penetrazione di tutti gli aspetti che esso imponeva. Non sarà travagliata la volontà di Oreste, quanto piuttosto la sua conoscenza. I figli devono vendicare il padre per attuarne 20 così l'immortalità attraverso se stessi, suoi discendenti (cfr. Cho., 503-504); ma così facendo deve venir violato il sacro e mistelioso legame di un figlio con la madre. Da questo 1,uto di esigenze prorompono difficoltà insolubili che atting6no la vetta del trascendente, cosicchè Oreste, dopo molti approfondimenti del senso da riconoscere alla sua imminente azio:1e, disvela chiaramente che in essa si scatenerà un dissidio che è divino, che è anzi nel divino stesso, e perciò lo accetta: "ia violenza cozzerà contro la violenza, contro Dike Dike" (Cho., 461 ). La giustizia non è univoca, ma dal suo seno balza drammatico il owaò<: ÀO')'O<: , il ragionamento dominato da un'insolubile antitesi che, come fu giustamente notato, appare nella tragedia greca e perciò nel mito, prima ancora che nella sofistica. Ecco la grande e chiaramente formulata scoperta di Eschilo attraverso il personaggio di Oreste, nella cui vicenda viene districato da un motivo mitico un problema il cui orizzonte si sperde nell'infinito. L'insolubilità di questo dissidio si andrà disegnando sempre più netta e precisa, giacchè per attuare Dike si deve violare Dike. Oreste compirà uccidendo la madre, un'Ate biasimevole; Dike che lo guida è figlia di Zeus e anche di Erinni; è dio olimpico e, a un te·mpo, nume demonico. Perciò, dopo compiuto il matricidio, le conquiste conoscitive che avevano giustificato davanti a Oreste l'azione impostagli da Apollo svaniscono a una a una, di modo che egli, l'esecutore della vendetta, viene a trovarsi privo di una grande idea, che dia un senso al sangue dovuto versare: l'uccisione della madre può ben essere stata "non senza Dike" (Cho. l 026) e apparire quindi inserita nell'ordinamento del mondo, ma la sua visione è terrificante perchè non elimina l'assurdo. Preso dalla follia Oreste corre aJla volta di Delfi per ottenere una purificazione. 21 L'accadere alle Corifee spettatrici risulta i~ comprensibile. Ogni azione umana trascina a un bivio che non offre scelta. ' Le Eumenidi, che concludono la trilogia, offrono la soluzione desiderata? Oreste, per venir liberato da~la. macc?ia ~el matricidio, dopo essere stato a Delf1, nceve l o;dme di recarsi ad Atene, dove si farà giudicare. La, davanti al tribunale umano dell' Areòpago, Oreste d~ ve difendersi -contro le accuse delle Erinni, sostemtrici dell'antico e inesorabile diritto di sangue ~ contrastanti ad Apollo che interviene in favore d1 Oreste. Ma il contrasto tra i due mondi divini, dell~ ctoniche Erinni e dell'Olimpico Apollo, non puo venir pacificato; il pensiero di ~schilo_ è tropp? penetrante per non aver rilevato l eguaghanza de1 due diritti, che sono ineliminabili, poichè il compito dell'uno e quello dell'altro hanno la loro ragione nell'ordinamento del mondo. Tuttavia Oreste viene liberato dal peso della colpa, perchè Zeus stesso, al_ q_uale si deve. far risalire in ultima istanza la maled1Zlone sulla stirpe (Ag., 1486), interviene assolvendo Oreste con l'opera della sua grazia (Eum., 759-797 ss.) presente come egli è durante il giudizio nella figura di Atena, che dà il suo voto favorevole ad Oreste. La divinità ha voluto l'assoluzione di Oreste, perchè essa è conservatrice e creatrice; l'azione di Oreste, restauratore di un ordine infranto con l'uccisione di Agame~n~ ne aveva adempiuto al suo dovere di fronte a1 dl' divini. segni . · . Ma che il dissidio scoperto da Eschilo entro 11 divino stesso potesse venir razionalmente ri~olto, sarebbe assurdo credere. Egli ha voluto, sostlt~~n do all'antico diritto del sangue i diritti dello spmto - impersonati dall'umano tribunale dell' ~èopag? .creare una armonia tra gli opposti aspett1 del dlVlno, proprio come già nella trilogia di Prometeo, 22 allo scopo di rendere possibile la vita col trionfo fi'1ale del bene e di restituire a questa la sua dignità mediante la conoscenza obbiettiva e coraggiosa del mondo nella sua realtà tormentata dal dolore. · Il mito greco nell'interpretazione eschilea nsolleva il fondo primigenio davanti al tribunale della coscienza e della ragione, che devono giudicarlo. I grandi problemi dello spirito assurgono fino al vertice dell'assoluto, in quanto il senso profondo delle esperienze spirituali 'attuatesi nella storia pretende una valutazione. Eschilo di fronte ai contrasti elementari che stavano nel mito si sente illuminato in una passione dolorosa che investe le personalità umane. Nella tragedia di Eschilo il mito è diventato l'esponente dell'irrazionalità del mondo e delle insolubili aporie del pensiero umano. La sua opera di poeta ha posto alcuni grandi problemi, che il pensiero filosofico doveva tentar di risolvere. La forza intima che ha spinto Eschilo a scorgere con una profondità del tutto nuova i dissidi radicali del mi'to, per tentare poi di placarli, sgorga dalla sua coscienza di cittadino tutto proteso verso l'ideale di un cosmos nella polis , quando sia stato attuato un perfetto equilibrio tra le forze demoniche e la razionalità divina. Nella tragedia di Eschilo il mito è osservato dal punto di vista del cittadino: nella figura di Pelasgo, nelle Supplici; in quella di Dario, nei Persia:zi; nell'Eteocle dei Sette; in Prometeo come consigliere di Zeus e come assertore di una capacità di clemenza necessari4 per chi comanda, come. catarsi dell'atteggiamento tirannico ; in Agamennone, che . si pone il problema dei limiti entro cui deve attenersi il reggitore della polis, lasciandosi tuttavia travolgere dalla demonica passione; nelle Eumenidi, che disegnano il grande ideale di un'armonia di tutte le forze entro l'equilibrio della polis. La sintesi vivente che è la polis ha suggerito a 23 Eschilo la sintesi drammatica delle energie spirituali presenti nel mito. Ma in questa sintesi rim~~e~a un residuo che sfuggiva ad ogni possibile concll1aZ10ne. Nella vita la grazia divina può risolvere ogni dissidio, ma il pensiero non si accontenta di questa soluzione violenta: perciò esaspera ogni contrasto, e ancor più lo esaspererà dopo Eschilo, affinchè nella maggiore evidenza dei termini sia possibile finalmente una visione costruttiva del mondo. Mentre Eschilo e la tragedia in genere p o 1evano il mito nel dominio del travaglio concettuale e dialettico, Atene viveva l'ultimo suo atto di fede nel mito. Le situazioni critiche, in cui la città venne · a trovarsi durante le guerre persiane, avevano rinnovato il sentimento religioso e, quindi, la certezza nei valori del mito accolto senza sottoporlo a sottili analisi. Eroi locali (Kdt. VIII 39) o panellenici, come gli Eacidi (Hdt. VIII 64 e 83), erano st~ti ~edut~ intervenire soccorritori o vennero invocati pnma d1 un evento decisivo. Il mito diventa realtà presente, che assicura l'intervento degli eroi e degli dèi, come nell'età di cui narrava la leggenda. Agli dèi e agli eroi del mito e fra questi specialmente ad Aiace si erano rivolti gli Ellèni per ottenere la vittoria, che fu loro concessa come un giudizio divino condannante la prepotente ed ampia insolenza (u~pt<:) dei Persiani. Ma la tragedia aveva sentito quanto problematico fosse anche questo concetto che alla coscienza popolare era sembrato così semplice: Eschilo crea la tragica figura di Serse il quale, per adempiere a un destino voluto da dio, precipita in quella insolente prepotenza (ti ~P t<:) che sarà causa della catastrofe peda Persia. Sofocle dal tragico del mito precisa il volere psicologico ed etico della personalità umana. - Nella tragedia il mito risponde, oltre al problema cosmico, che è appassionatamente sentito da Eschilo, anche a quello più specificamente umano, al quale 24 rivolse_ la sua accorta attenzione Sofocle, L'interpretaziOne che questo poeta ha dato alla storia di Edipo prova da una parte la pere 1ne fecondità delle contradd,i~ioni del mito, dall'altra questo spostamento dellmteresse dal macrocosmo al microcosmo, dalla stir~e all'individuo, dal "filonomismo", che appunto nconosce l'immortalità della specie all:"~ntonomismo", che afferma l'autonomia di o~ gm smgolo. . Parte Sofocle dalla superiorità spirituale di EdiPo_, ch_e con la sua umana ragione costruisce la propna smgolare personalità. Contro l'eroe sta l'inesorabile corso delle vicende esterne, che si abbattono su di lui perchè le interpreti con sottioliezza ~i ra~ionamento, sebbene siano in opposizi~ne a ogm logica e verosimiglianza: non è immaainabile che egli abbia ucciso il padre e sposato la ~adre! Di fronte all'evidenza da lui disperatamente cercata sotto il velame dell'ingannevole esteriorità la sua persona fisica si spezza. Ma quella spirituaÌe reo-ge sempre: la responsabilità è dunque delle cose, ;;n delle persone; è, cioè, responsabilità della strana con~om!ta~1Za dei fatti. La persona di Edipo ha s;1b1to l az1_one, senza averla mai voluta, perchè non l ha ~ostrUI~a col suo spirito (cfr. Oed. Tyr., 1213). Per hberars1 dal mondo che sta al di fuori di lui e che si è rivelato così insidioso, si acceca per diventa:e pura coscienza estranea alla realtà esterna. Esan~~ando se stesso, Edipo assolve la propria umamta che ha operat_o sempre con un'intenzione pura, ma a un_ tempo nconosce che, obbiettivamente, la colpa es1ste e che gli altri gliela imputeranno necessanamente. .L'assurdo mito costringe Sofocle a porre su di u~ _plano nuovo il problema della responsabilità indlVlduale: la soluzione consiste nella scoperta della mora!~ ?el_l'intenzione, che prescinde dai risultati matenah d1 un atto, mentre dà w1 valore solo all'in25 :; vicend~), p~ò timo proposito dell'animo. Questo risultato che l'arte di Sofocle ha saputo conquistare nell'Edipo Re, viene approfondito nell'Edipo a Colono, dove l'infelice e magna11ime eroe giunge al culmine della sua spiritualità confessando le proprie colpe davanti ai vecchi di Colono, in modo che sull'orrore di questa si stenda la luce di una giustificazione dialettica e umana: ... io lo soffrii, non feci ad altri il male, s'io dovessi narrarti di mia madre, del padre mio, per cui (oh lo so bene! ) hai orrore di me, solo a vedermi! Come perverso, dimmi, io sarei d'indole, che solo offeso rintuzzai le offese? Onde, se pure avessi consapevole oprato quel che oprai, non sarei tristo. E ignaro, invece, giunsi ... dove giunsi! E loro, invece, quei che mi distrussero, essi sapevan, sì, quel che facevano. (Oed. Col., v. 266-274, trad. E. Bignone). ... io lo proclamo innanzi a tutti; quei che ucciso mi vollero, gli uccisi, ed il delitto mio fu involontario; puro son dunque, innanzi ad ogni legge. (Oed. Col., v. 546-548, trad. E. Bignone). La nuova morale più intima e capace di valu- . tare tutto l'uomo è stata imposta dal tremendo dissidio che la storia mitica conteneva in sè come germe. Il destino può imprimere in ciascuno dei personaggi sofoclei un fondamento di natura (cfr. fr. 808 Pearson) tutto particolare, ma l'impressione dei fatti che lo riguardano è lasciata in suo potere e perciò può liberamente atteggiarsi. Il destino dell'uomo dipende soprattutto da lui. La libertà interiore, sostanzialmente impotente ad agire nel mondo (Edipo ha dovuto subire le inevitabili sue 26 reagìre al destino, così da formare in tutta hberta un individuo completamente orig· 1 La f .d l h ma e. ,_orza_ 1 ~~ e c e m_uove questa vita autonoma dell t~tenonta umana si rappresenta nelle et "le . , eme ggt non scr~t~e (cfr. Ant., ss.), alle quali con queste parole st nvolge il coro nell'Edipo Re: Oh concedesse a me sempre il Destino serbare fede a Purità santissima in tutte le parole e in tutte le opere! Generate nell'etere supremo sublimi sopra ogfli morta! n;tura d'ogni ~etto degli uomini, d'ogni, opera, stanno Immote le leggi irrevocabili: l'uranio Olimpo è loro padre solo né mai le generò mortai natura ' né mai le assopirà dimen ticanz~ · ché immenso è in lor, né mai in~ecchia, il Dio! (Oed. Tyr., v. 863-872, trad. E.'.Bignone). Il mito ha dunque posto il problema dell'uo~ mo, che_ affina le proprie personalità fra l'urto dei contrasti, che vengono dominati con un atto di auda~e e folle fede, con una vera mania etica, quale pot Platone concepirà con maggior rigore filosofi~o. Elettra, nella tragedia sofoclea che da lei prende tl nome,_ proprio quando la vendetta, per la cruda morte_ dt Oreste, diventa impossibile e vana, decide tuttav!a, pur ess~ndo debole donna e sola, di agire p~rche la perfeziOne morale esige così. Le donne mtcenee si rivolgono alla Fama perchè scenda dall'oltretomba fino agli Atridi: di che sola, tradita, alla procella regge Elettra, gemendo in suo perpetuo lamento miserevole per il padre infelice, come il querulo rosignolo, e non cura la sua vita. A questa luce fulgida pront~ è per sempre a chiuder le pupille, pur di trarre vendetta delle orribili Erinni, della triste coppia adultera. 27 Degna non è del padre suo tal figlia? Nessuno di cuor nobile soffre che la sua fama sia macchiata da una vita codarda, senza gloria. E pur così tu, figlia, contro il delitto armandoti, sconsolata nei pianti la tua vita volesti per raggiunger gloria duplice, ché lode avrai d'ottima figlia e saggia. Per forza e per ricchezza sovrasti sui nemici la tua vita, di tanto quanto sei da loro oppressa, prostrata, figlia mia. Ché in vita infelicissima incedere ti vidi ardimentosa, le santissime leggi di giustizia nella fede onorando degli déi. (El., 1074-1079, trad. E. Bignone). Era stata Elettra un'originaria figlia di Helios "onorata sulla costa asiatica , e a lei appartiene anche la porta Elettra di Tebe. La saga eroica ha eroizzato una dèa come nel caso di Ifigenia e di Erigone. Noi non abbiamo da rimproverare a una dèa punitrice o a una Amazzone la sua esortazione : "su, su, colpisci un'altra volta ancora" (El., trad. E. Bignone).( 4) L'antica inesorabilità di una dèa crudele si è trasformata in un'energia d'interiore umanità, che costruisce il proprio io, ispirata dal modello i•1corruttibile di un'assoluta legge etica. Tutti i punti meno trasparenti alla logica sono da Sofocle sottoposti a una metamorfosi, che determini drammatiche situazioni e, come conseguenza, luminose conquiste umane. La tragica situazione dell'uomo sofocleo è superata dalla conquista che questi fa di una realtà ideale, per cui si pone non tanto come vero e proprio individuo, ma come "tipo": non tipo unico, ma moiteplicità di tipi nel mondo dell'umano. L' 28 uo mo si purifica in Idea. Anche in tutte le tragedie di Sofocle il mito può prendere un suo drammatico tono di fronte al · problema della polis . Già nell'Aiace questo si può avvertire attraverso il dialogo di Teucro e di Menelao, dopo il suicidio di Aiace: "l'eroe miceneo non rie ntra nell'ideale della polis e, messo sul piano della legge, ne esce per ogni lato ; ma resta il fascino di quel mondo di smisurata grandezza e c'è anche il sospetto che il problema della giustizia non sia perfet tamente solubile nella costituzione di una polis". Così questo mondo della polis sullo sfondo della tragedia di Aiace, appare vagamente insufficiente. Nell'Edipo a Colono , il cui pessimismo è alimentato dall'ombra che nel 40 l, quando fu rappresentato, proiettava ncora la catastrofe di Atene non vista, ma certo sospettata da Sofocle (mort~ nel 406), il poeta "cerca e trova conforto: trasfigura il male. Esce dalla storia: il mito docile al richiamo, offre scampo e balsamo. Nel mito Athene risorge ; più bella, più grande, più forte che mai non fosse . Il governo del divino Theseo ha più luce che quanti mai governi passarono di poi. A lato diEdipo cencioso e doglioso sorge mira.1ile l'Acropoli dell'età eroica ; sorgono gli Atheniesi del bel tempo antico : potente allora fra tutte, le città, e rispettata, e temuta: potenti, giusti, pii gli abitatori, amici a~!i _ami~, duri ai nemici, cari agli dèi. Non sussiste pm 1ato alcuno fra la legge, che comanda giustizia , e gli uomini, che operano ingiustizia : opere e leggi sono del pari irreprensibili ... Di contro alla rissa dei principi thebani e degli argivi, alle minacce imbelli, alle insidie perverse, alle lusinghe subdole, si leva la serena e ferma equanimità del principe attico ; che ha la parola leale, il braccio valido, il cuore diritto, e popolo obbediente e terra ferace" . Ma "la storia è tanto più vasta del mito, Theseo non regna in per29 petuo ... ; fuori dal teatro di Dionyso è la città travagliata e multanime, con i clamori di mille e mille fami: ma Sofocle poeta ama il teatro e chiede a Dionyso ciò che Dionyso gli sa dare: una pausa". (5) La tragedia attica di Eschilo e di Sofocle ha veduto nel mito tutto il dramma della vita spirituale contemporanea e nel mito ha individuato le forme eterne delle gra ldi esperienze del conoscere e dell'agire. Da La fisiologia del mito, Firenze, La Nuova Italia 1972, pp. 330-350. (l) Gian Battista Roggia. "Le origini della tragedia , appunti orientalistici a una nuova pubblicazione." in Aevum, 17 (1943) pp. 216-17. (2) Georges Méautis, Eschyle et la trilogie, Paris 1936, p. l 01. (3) Rodolfo Mondolfo, Problemi del pensiero antico, Bologna 1936 , p. 15. (4) Aischylos, Orestea, griechisch und deutsch von Ulrich von Wilamovitz Noellendorff. Il: Das Opfer am Grabe, Berlin 1896, p. 254. (5) A. Ferrabino, L'impero ateniese, Torino 1927, pp. 429-431, da "La fisiologia del mito", Firenze, La Nuova Italia 1972, pp. 330-350. - Mito ed eroe Erwin Rhode Cl La tragedia attica del quinto secolo, se anche l'intenzione poetica non l'avesse indirizz~ta _Per quella via, doveva diventare un capolavoro d1_ ps~co logia; il vero campo dove si svolg~van? le ~z10m da lei descritte era l'intimo animo de1 suo1 er01: . Il p o eta tragico ardisce di f~r co~a maud1 t~ prima d'allora. Quelle figure e que1 fattl del!e antlche leggende e delle antiche storie, che sf1lavano davanti ai lettori o agli uditori di tutte le opere_ pr~ cedenti soltanto come larve della loro fantas1a m tanti modi limitata e condizionata, egli fa balz~r~ ora davanti agli occhi degli spettatori in for~a VISIbile e concreta, chiari ugualmente per tutt~. Quel che appariva alla fantasia quasi una visione d1 sogno animata da lei stessa, diventa ora oggetto ~ella p~r cezione dei sensi desti, invariabile, determmat~, m~ dipendente dalla potenza dell'im~aginativa d1 ch1 guarda. Sorto così a forma pal~ab1le e tutto pervaso di vita, il mito appare ora m_ una luce affatto nuova: quello che in esso era azwne perde d ~~te resse di fronte a colui che quest'azione comp1~ o subisce e che, agendo sotto i nostri occln , ha ~~~ portanza e valore tali da non poter essere ~Sa}lntl da questo fatto solo. Nell'antic~ legge da d1venuta spettacolo scenico e sviluppa_tasl n_~l tempo ~ nello spazio, l'azione che si svolge m vam__mo_mentl occupa, anche ester~orm~nte, _il po~to pm p~ccolo: so~~ i dialoghi degh er01 e d1 tuttl gh altn per~ona,"'l quelli che devono rendere tutto lo s~olg1m~nto dell'azione. E i motivi di questa, espostl nel dJalogo contestati e combattuti , diventano più importa1;ti che la loro conseguenzl:l ultima in un'azione passionale e in un dolore mo~tale. ~ come si a~1~a vano sviluppando le facolta estet1che, lo spmto cercò di fissare le linee permanenti del carattere, che in ogni singolo caso per determi11_ati motivi ?otevano indurlo ad un'azione determmata. Cos1 ~~ piena materializzazione del mito porta alla sua pm 32 alta spiritualizzazione; gli occhi e l'intelligenza delIo spettatore si svolgono non tanto Figli avvenimenti esteriori (che, noti dali' an tic a tradizione leggendaria, erano attesi senza soverchio interesse), quanto· all'intimo significato di ciò che l'eroe fa e subisce. Era questo il compito particolare del poeta. Quello che deve avvenire nel dramma è fissato, senza ch'egli ci possa nulla, dallo svolgimento dell'antica leggenda - o, raramente, dal fatto .storico - che traccia la via alla sua opera; ma animare le singole figure c h e vi partecipano, spiegare e giustificare l'accaduto, questo spetta a lui; e per qUesto non ha donde attingere se non da se stesso. Gli fosse anche stato possibile, egli non avrebbe dovuto cercare le intime ragioni del fatto nel modo di sentire e di pensare di quei tempi ormai lontanissimi che già avevano dato vita al mito: sarebbero rimaste incomprensibili agli spettatori e la sua opera sarebbe nata morta. Ma come potrà egli spiegare in modo attendibile e giustificare coi pensieri ed i sentimenti del suo tempo, tanto diversi, tanto profondamente mutati, come potrà spiegare dei fatti nati dalle leggi ·e dall'esigenze del costume e della morale d'un'età superata ormai da lunghi secoli? S'egli non vuole svolgere una semplice storia materiale tutta d'elementi tradizionali, egli può porre uno di fronte all'altro, in una contraddizione inconciliabile, il fatto narrato dal mito e colui che l'ha commesso e che, sentendo col cuore d'un uomo moderno, se lo sente gravare sull'anima ; così egli farà sorgere un altissimo e doloroso conflitto tragico. Questa opposizione tra sentimento ed azione, che mette l'eroe, secondo Amleto, e il poeta in una situazione polemica di fronte al contenuto reale del mito, non poteva essere eretta a regola. Il poeta deve cercare di penetrare fin che gli è possibile Io spirito da cui è nata quest'aspra ed oscura leggenda dell'antichità, senza però rinnegare i pensieri e i sentimenti del 33 Il i[ Il ~ suo tempo. Egli deve riuscire a mantenere intatto il significato originario del mito accoppiandolo con lo spirito dei tempi nuovi, non a distruggerlo :na a renderlo più profondo: çleve stabilire un g~usto equilibrio tra il modo di pensare del tempo antico e quello dell'età nuova. Questo, a sua soddisfazione, riesce mol_to facilmente ad Eschilo.'' Cresciuto in Atene nel tempi che precorsero le guerre persiane , egli ha. ancora le sue radici nel terreno dell'antico modo d1 pensare tradizionale : spinto dalla forza del suo proprio pensiero e del suo sentimento , ne fa un insieme superiore; ed è il principale compito dell'ar~e, sua quello di co11fermare quanto in tal modo gh e apparso legge del mondo morale, con esempi tolti da~ miti e scelti dopo matura riflessione come soggetti dei suoi lavori scenici. Tutti i suoi pensieri sono volti all'azione e al suo significato religioso, anzi a dirittura morale : da quest'unico , altissimo punto di vista sono lumeggiati i caratteri dei personaggi, nè l'importanza della loro individualità al di fuori dell'azione che li circonda e li assorbe dev'esser tale da attrarre gli sguardi. Quando studiamo i suoi drammi ci dà egli stesso il diritto di prescindere dall'individualizzazione e aggettivazione di ciò ch'è singolo e particolare, e quindi dal vero e proprio contenuto artistico, per badare soltanto alle tdee generali che stan sotto a quelli e che possono chiamarsi l'etica e la teologia del poeta. Di sotto alla complessa venatura delle sue creazioni poetiche Eschilo fa risaltare per lo più, con linee aspre, lo scheletro della concezione etico-teologica, e fonde i portati del suo spirito con gli elementi fo _darnentali offerti dalla tr~dizione. Nelle leggende ch'egli ama di svolgere m form~ drammatica e soprattutto in quella forma della tnlogia che qui si presta in modo incomparabile alla natura d el l'argomento, trova la narrazione delle 34 r sciagure e del dolore che perseguitano varie generazioni d 'una stessa casa, dal padre al figlio ed al nipote ; e vi trova anche la fede in questo concatenarsi dei destini umani. Era antica credenza profondamente radicata più che altrove nell'Attica, che le colpe degli antenati fossero punite, qui sulla terra, nei discendenti. Ma quel che vi aggiunge Eschilo è il convincimento irreducibile che nel figlio e nel nipote del colpevole è punita anche la lor propria colpa. Dolore è castigo ; ma non colpirebbe né Edipo né il figlio di lui se Laio solo fosse colpevole e se non dovesse punirsi in essi anche la colpa loro propria. Ma il diventare colpevoli non dipende dalla loro volontà: essi non possono evitar di compiere il delitto. Ma come può un delitto essere necessario, imposto al colpevole da una potenza e una volontà superiori, e pure, come sia stato commesso per libera elezione, esser sottoposto a responsabilità ed a castigo? E' un problema la cui minacciosa gravità non sfuggì affatto al poeta. Di tra le nebbia del mito egli aveva veduto sorgersi contro il problema se la volontà dell'uomo sia libera o no , la volontà che , sviluppandosi la cultura e la vita dello spirito a forme superiori, si ritiene ad ogni modo moralmente responsabile delle sue decisioni. Cerca di cavarsela supponendo che nell'erede d'un antico delitto famigliare nasca necessariamente non solo la malvagia azione, ma anche la conscia volontà di farla . Una volta ammessa la decisione conscia, se anche necessaria, la colpa e la responsabilità del colpevole parve pienamente dimostrata. La nuvola della sventura eh e s'è levata col delitto del padre, pende anche sull'animo del figlio e del nipote; la volontà delittuosa non dipende né dal suo modo di pensare né dal suo carattere. Eteocle, il nobile, il puro, il forte Eteocle, il tipo della virilità accorta e prudente, il sostegno, il fido protettore dei suoi, nel momento decisivo soggiace al destino minaccioso: la chiara 35 l l luce del suo spirito si oscura, egli si sente perduto, sente perduto quel che v'ha di meglio in lui e si abbandona inerte alla· sua terribile risoluzione: ve l'hanno spinto "le colpe ereditate dagli avi". Soltanto così queste colpe sono pienamente scontate: ne sono garanti i posteri che per causa degli avi diventano colpevoli e che devono pagare il fio della loro propria colpa e di quella degli antenati. La divinità stessa, o uno spirito della vendetta mandato da lei, spinge al delitto chi a questo è disposto per eredità; non per un suo bisogno di vendetta, per ira o per malvagità, come credeva l'antica salda fede popolare, ma per giustizia, per "giusto inganno", perchè la misura della colpa sia piena e la divina giustizia punitiva trovi modo di soddisfarsi pienamente. Il cattivo genio della casa aiutò Clitemestra a concepire il pensiero del! 'uxoricidio; la divinità stes·sa esorta e costringe Oreste al matricidio, ch'egli prepara e compie con piena coscienza di ciò che fa: delitto insieme, e dovere. Chè son pienamente vive ancora nel poeta le antiche idee di vendetta del sangue; il diritto che hanno le a11ime ad avere culto e ad essere venerate, la loro esigenza d'essere vendicate se sono morte di morte violenta, l'azione ch'esse esercitano dal regno delle tenebre sulla vita e sul destino dei loro parenti più prossimi cui incombe il dovere di vendicarle, tutto ciò non rappresenta per lui una serie di credenze già superate, ma dei fatti d'una realtà tremenda. Interi drammi, come le Coefore e le Eumenidi, sarebbero un vano gioco d'ombre, se non desse loro vita e importanza la fede intatta nei diritti e nella potenza delle anime, nella realtà ed efficacia delle patrocinatrici demoniache della madre uccisa, le Erinni. Tuttavia qui l'oscuro nembo minaccioso della follia crudele finisce per diradarsi: quando dovere e delitto si sono stretti in un modo inestricabile, la divinità trova nella sua benignità una soluzione che, pure, non 36 toglie nulla al diritto. Ma tutto ciò: conflitto e pacificazione, delitto ed espiazione per mezzo del dolore che deriva da d e l itti sempre nuovi, tutto ciò avviene in questo mondo: tutte le colpe si espiano sulla terra. Nel concatenarsi di queste credenze e di queste immaginazioni "l'al di là" non è un membro indispensabile; raramente vi si posa lo sguardo del poeta .cui è assolutamente estranea ogni sorta di speculazione sull'esistenza dell'anima dopo morte e sulla vita beata nel regno degli spiriti. Solo quella parte delle fantasie escatòlogiche dei teologi che poteva servire al risveglio e al rafforzamento morale trovava partecipazione nel poeta tragico. Talvolta si accenna al giudizio che un altro Giove pronuncia nell'al di là, sulla vita terrena degli uomini; ma non sono che oscuri accenni; né è chiarito il rapporto in cui questo giudizio pronunciato nell'Ade può stare con la perequazione perfetta tra colpa e destino che Giove e la Moira applicano già qui sulla terra all'assassino e, morto lui, ai suoi discendenti. E accanto ad accenni a questo giudizio nell'Ade, che presuppongono nel morto una sensibilità viva e piena, ci sono espres-. sioni che risvegliano l'idea d'un'esistenza crepuscolare, insensibile, dell'anima nell'Ade, non diversa da quella ch'è descritta da Omero. Il poeta cui erano vi ve e presenti tutte le idee rampollate dal culto delle anime, o che si riferivano alla relazione tra le anime dei defunti e il mondo degli abitatori della terra, non ha voluto fissare a lungo lo sguardo sulla natura e le condizioni dei morti nella loro dimora nell'al di là. L'idea di moralizzare e approfondire l'antica fede popolare, idea che gli stava tanto a cuore, gli nacque tutta da questa fede stessa, e da questa nasce pure la severa e alta idea di dio che sta nello sfondo della sua concezione generale del mondo. Nella generazione d'uomini che aveva combattuto a Maratona la profonda ed aspra serietà 37 nella concezione del mondo e del destino non aveva alcun bisogno d'essere sostenuta dalle opinioni d elle sette teologiche, le quali non avevano altro scampo dalle asperità e dalle oscurità di questa realtà insufficiente, che rifugiarsi col pensiero nell'intuizione dell'al di là. Sofocle occupa una posizione essenzialmente diversa da quella del suo grande predecessore di fronte ai problemi fondamentali d'una filosofia del dramma, agli oscuri problemi che sorgono intorno alla libertà o meno della volontà, alla colpa e al destino dell'uomo. Una concezione della vita e dei suoi errori, più matma e meno rigida, gli rende meno facili le soluzioni schematiche delle difficoltà e fa sì ch'egli cerchi nuove e più complesse vie dell'intelligenza. Ogni singolo uomo, nell'impronta cara t t eristica della sua individualità, gli si stacca dallo sfondo impersonale e sovrumano delle forze e delle leggi universali; in se stesso egli trova la legge che regola le sue azioni, le ragioni dei suoi successi e della sua morte eroica. Non sono motivi egoistici quelli che spingono Elettra od Antigone a fare ciò ch'esse fanno; obbediscono ad un antico comando divino, che non fu mai scritto. Ma ad obbedire null'altro le costringe all'infuori del loro intimo impulso, d'una loro costrizione interiore: nessun altro potrebbe fare ciò che ad esse spetta di compiere, nessuno soffre i dolori che esse devono soffrire; e noi intendiamo la necessità e l'intima giustificazione di .ciò che fanno e soffrono per quello soltanto che l'azione scenica ci fa conoscere delle loro forze e dei limiti della loro individualità. Nell' Elettra le ragioni che potrebbero spiegare il diritto delle anime offese ricordando le antiche leggi universali, che imponevano di vendicare il proprio sangue, sono trascurate in modo che finisce per destar meraviglia: l'assassinio deve trovare in se stesso la sua giu- 38 Il stificazione ; è infatti, nei sentimenti e nel carattere di coloro che partecipano all'azione, attivamente o passivamente, si trova così completa che, a differenza da quel che avviene in Eschilo, nessun dubbio tormentoso deve assalire Oreste finchè sta comp i e n d o l'a zio ne, nessun rimorso lo deve assalire quand'egli ha già ucciso l'assassino i'lfame. Come già nell'antico racconto omerico, anche qui il ciclo delle sventure è chiuso dal "giusto assassinio" d'Oreste; nè sorge alcuna Erinni a chiedere anche la rovina di lui. Anche quando dolore e sventura s'aggravano sul mortale, non per sua libera e conscia elezione, ma per l'oscura forza del destino, è sempre il carattere dell'eroe quello che , come desta in noi il massimo interesse, così determina e spiega sufficientemente il corso degli avvenimenti. La stessa sventura potrebbe colpire anche altri, ma i suoi effetti interiori ed esteriori sarebbero diversi da quelli che furono per Edipo e per Aiace: soltanto caratteri tragici possono avere un destino tragico. E pure, in queste ed in altre tragedie, ciò che dà la spinta all'azione e che la dirige non è la volontà e il sentimento dell'eroe. Aiace ha compiuto l'atto che lo spinge a morire in un momento in cui il suo spirito non era libero; Edipo, Deianira vendicano su se stessi infamie che hanno commesso senza sapere quel che facessero. Nel Filottete l'interesse sta tutto nel vivace contrasto dei caratteri di Filottete, di Neottolemo, di Odisseo, ben diversi l'un o dall'altro, ma la situazione che li mette di fronte uno all'altro è sorta per un fatto che nessuna volontà o potenza umana poteva provocare o impedire. Un'oscura forza piomba l'uomo nel dolore, lo spinge ad atti di fro '1te ai quali ammutolisce il giudizio troppo precipitato sulla sua "colpa" o sul nesso tra questa e il dolore. Qui non è l'antico delitto famigliare ereditario che spinge il figlio e il nipote del colpevole a compiere azioni che quasi non pos39 l ; l l l : l' sono essere attribuite a loro. Il poeta conosce questa credenza che ha tanta efficacia nella poesia eschilea, ma per lui non è più una tradizione storica, non è un motivo attivo della sua poesia; né il caso irrazionale e il destino impersonale, arbitrario, necessario legano più pensiero e mani all'eroe: nello sfondo degli avvenim~nti, chiara o velata , traspare la conscia volontà d'un dio che , inevitabile come il destino, regola secondo i suoi fini gli atti e i destini degli uomini. La divinità va svolgendo un suo piano nel quale il singolo individuo e il suo destino non sono che semplici strumentì. Perchè si noti bene il preordinamen t o dei destini degli uomini, sono introdotte spesso nell'azione, e vi si dà molta importanza, predizioni del futuro, responsi divini di oracoli, profezie di veggenti. Se, ora, l'atroce azione d'un singolo o le sue sofferenze immeritate sono comprese nei progetti della divinità, questi progetti vanno in esecuzione, dovesse anche andarne distrutta la felicità dell'uomo, dovessero anche abbattersi su lui dolore, infamia, angoscia e morte. Il benessere del singolo non può essere preso in considerazione quando debba compiersi la volontà divina che mira ben oltre la piccola esistenza di quello. Un uomo puro, buono, semplice, senza falsità e senza colpa, come Filottete, soffre per lunghi anni ogni sorta di tormenti perchè non possa interven_ire innanzi tempo con le sue armi fatate nello svolgimento della guerra di Troia: è un martire involontario pel bene comune. Perchè Ercole si sciolga dalla vita terrena nel momento preciso fissato dalla divinità, Deianira, la più soave figura di donna che abbia calcato le scene d'Atene, deve preparare, ignara e innamorata, una terribile morte dell'amato e, insieme, anche la sua. Semplicemente perchè tale era il volere della divinità, Edipo, inconscio ed innocente, dovette uccidere il padre, prender in moglie la madre, precipita40 Il re nella miseria più profonda. Così la forte , occulta mano della divinità dirige le sorti, la volontà, l'attività dell'uomo a seconda delle sue intenzioni. Quel che v'ha di problematico nella vita umana, l'evidente sproporzione fra colpa personale e dolore che balza ogni giorno davanti gli occhi , pareva al poeta si potessero spiegare meglio con questa concezione. Egli insegna ad accogliere con rassegnazione questi decreti d'una volontà superiore ; è di quegli uomini molto pii ai quali basta d'intendere appena la volontà divina per sentirsi pervasi di reverenza, e che non hanno il bisogno di giustificare questa potente volontà dal punto di vista dei concetti umani di moralità e di bontà. La santità di questo volere divino dev'essere premessa, ma non occorre sia provata dalle indagini dell'uomo ; perfino quando la crudeltà e il freddo desiderio di vendetta della divinità riescono evidenti là dov'essa a t tende a mantenere i suoi privilegi di fronte all'uomo, il cui primo dovere è di riconoscere i limiti posti al suo potere e alla sua volontà, perfino in quei casi, come ad esempio in ciò che fa Atena nell'Aiace, la pietà di lui non è turbata nella sua venerazione per gli dèi. Ciò vale ad imprimere all'arte sofoclea e alla sua concezione della vita il loro carattere particolare, personalissimo, che non può spiegarsi razionalmente; nè può spiegarsi come la concezione e la rappresentazione della libera individualità possano esistere accanto ad un così devoto asservimento religioso dell'intelligenza. Solo raramente un grido di protesta esce dal petto di coloro che soffrono per fini che sono loro affatto estranei; per lo più lo sguardo e il giudizio non ardiscono di penetrare fino alle ragioni riposte della volontà divina: per ragioni artistiche, ma anche per riserbo religioso il poeta lascia persistere una certa oscurità. Ma la maestà del volere divino rimane sempre nello sfondo, o s'intrude, straniera e violen41 j ! ! i ta, nel destino degli uomini. Ma la vista del destino dei singoli che, coi loro dolori, servono a fini che non sono i loro, dell'umanità che vive sotto così aspra legge, che sensi di sollievo e di conforto non dovrebbe destare! Il poeta impiega tutti i mezzi di commozione della sua arte per destar la compassione degli uditori per le sofferenze immeritate, per gli errori d'un'intenzione buona ma limitata e costretta perciò a rimaner lungi dai fini proposti. "Così sei tu" si dice perfino il nemico quando vede l'eroe ·commettere errori e delitti nell'aberrazione dei sensi. Quello che qui colpisce i forti, i saggi, i buoni, senza loro colpa, può c o l p i re ugualmente ognuno. So n questi i destini dell'umanità. In versi indimenticabili s'eleva il lamento per la pochezza e i dolori della vita umana per la sua breve felicità, per la poca sicurezza del!~ sua pace; è espresso in un tono di rinuncia ch'è una caratteristica della disposizione fondamentale del poeta. Ma ne rimane un aspro sapore. Parrebbe naturale che in una concezione che rinunciava ad un qualsiasi pareggiamento tra il merito e le azioni dell'uomo e la sua sorte sulla terra si sentisse tanto più intimo il bisogno di ri'ìsaldar~ la speranza in una giustizia che tutto accomodasse nella vita futura. Ma il poeta pochi indizi ci dà d'un tal bisogno; il pensiero di ciò che p6ssa avvenire dopo la morte non ha particolare forza in lui, né diventa mai ragione determinante le azioni dei personaggi dei suoi drammi. Quando però lo sguardo cade per caso sull'ignota terra che sta di là della fossa, si presentano alla fantasia visioni poco dissimili da quelle che già s'erano presentate al pensiero dei poeti omerici. I morti scendono nell'Ade, la triste deserta terra dei morti, in cui l'anima trascina un'esistenza crepuscolare, simile ad un'ombra senza vita, ridotta ad essere poco più che nulla, un'esistenza senza gioia ma 42 anche senza dolore, in uno stato d'insensibilità cui gli sbattuti dalle tempeste della vita agognano come a desiderato porto di pace. Laggiù, sulle anime dei defunti, dominano Plutone, Persefone, tutti gli dèi dell'abisso; ma né grazia né favore vi hanno importanza alcuna: Ade esige soltanto giustizia, giustizia uguale per tutti. Neppur nell'al di là si scorda la pia venerazione per gli dèi; ma quantò al resto non si sa nulla di compenso, di pena, o di un completarsi nel regno delle anime di quella giustizia che in terra non ha potuto essere applicata in tutta la sua portata. Ma, sceso nell'Ade, il morto ha ancora qualche cosa da esigere dal mondo e da quelli che ci vivono. Alle fantasie americhe sull'al di là si ricollega strettamente il culto delle anime e tut!e le credenze nella sopravvivenza dei morti che da esso sono sorte. I parenti più prossimi devono preparare al defunto solenni esequie, prima tra le pietose cure ch'essi devono dedicare alla salute della sua anima. Due volte, nell'Aiace e nell'Antigone, l'amore e la fedeltà dei sopravvissuti devono sostenere questo diritto del morto con aspra lotta contro la violenza degli uomini; e, perfino con sacrifizio della loro vita, costoro devono mostrare che non difendono e n o n a t tu ano semplicemente una tradizione priva d'importanza. - Neppure a seppellimento compiuto il morto ha rotto ogni legame col mondo dei vivi: ancora possono rallegrarlo i doni votivi portati sulla sua tomba; ancora può arrivare laggiù, fino a lui, notizia degli avvenimenti terreni; anche, protetto dagli dèi inferi e da Dike che li assiste, - i quali tutti tengono conto dei suoi desiderii - egli può far sentire la sua azione nella vifu, come "spirito m~ligno" contro coloro che tengono poco conto dei suoi volen, o mandando sogni travagliati ai suoi nemici, o aiutando i suoi, invisibile compagno, nell'istante in cui la lotta ferve più aspra. 43 I l poeta non sa nulla d'un'eterna vita beata che dovrebbe spettare all'anima il dio che sta nell'uomo, dopo la piena liberazion'e dei legami del corpo, come non sa nulla dell'eterna dannazione degli empii. Fa menzione salta to del particolare stato di grazia in cui entra nella seconda vita dell'al di là chi s'è purificato nelle cerimonie delle dee d'Eleusi; anzi, con orgoglio patriottico, ricordavolentieri questo coronamento del culto greco per oli dèi; ma il favore delle dee concede con questo zo una "vita" privilegiata nel regno delle ombre solo ad una minoranza d'uomini pii. Uno solo è sottratto dal favore degli dèi al destino comune a tutti i mortali: Edipo, che, nel bosco sacro alle Erinni, senza morte è tolto alla vita terrena. La convinzione della realtà di questi miracolosi rapimenti operati dagli dèi era tanto profondamente radicata nell'antica fede fel poeta, che di questo fatto inconcepibile egli potè fare argomento unico di tutto un dramma; nel quale le singole scene non avevano lo scopo di preparare il rapimento, ma soltanto quello di ritardarlo e di rendere così l'attesa più viva ed ansiosa. Né per altezza di virtù Edipo giunoe all'i.mmortalità, come vi potrebbero giungere ancl~e altn, ugualmente virtuosi. Egli ci appare, sì, come uno che soffra immeritatamente, ma è indurito nella sua aspra eccitabilità, è avido di vendetta, testardo ed egoista, non affinato dalla sua sventura ma inselvatichito. Tuttavia la divinità fa di lui un eroe eterno; ma lo fa meno, forse, per dargli' una beata soddisfazione che per la salute dell'Attica, la terra dell'umanità, che l'accoglie· e lo protegge e che ne riterrà per sempre la forza benefica. Come già piacque alla divinità di involgerlo, innocente, nei delitti e nel dolore, così ora, abbattuto dalla sciaoura le piace di sollevarlo a felice destino sovruman~ se~za che ci sia da parte di lui alcun nuovo ed alto merito. Avviene in lui un miracolo divino di cui non m:z- 44 giova indagare l'intima ragione. In tutto ciò che possiamo sapere della concezione sofoclea della vita ultraterrena, non c'è nulla che si distingua dalle credenze di coloro che intendevano la vita e onoravano gli dèi nell'antica maniera tradizionale. Il grande poeta dei tragici destini umani, il profondo conoscitore degli effetti della potenza divina sull'oscura terra, no:1 volle contrapporre a questa visione l'altra, più lieta, d'un immaginario paese dove vivessero gli spiriti. E di questo si contenta; né di questi segreti egli sa più o altro che "un qualunque bravo cittadino ateniese". Nella sua lunga vita Sofocle potè diventare U'1 artista compiuto, un uomo nel vero senso della parola, senza la guida e l'aiuto del pensiero teologico o filosofico. Egli non andò a cercare la teologia nel suo nascondiglio, nel buio delle sètte appartate; al tempo della sua operosa giovinezza la filosofia non era ancora penetrata in Atene; negli anni maturi, alla sublime semplicità delle sue concezioni non potevano riuscire né utili né pericolose la sapienza o la stoltezza delle nuove generazioni, fatte tutte di pensiero. Egli passa, non tocco, in mezzo alla ressa e alle contese del mercato. Quel movimento che, dalla fine del sesto secoio, aveva radunato in Atene tutte le forze intellettuali della Grecia per un ultimo e più alto sviluppo delle loro facoltà, e che già da lungo tempo s'era fatto sentire nelle arti belle, verso la metà del quinto secolo colse anche la filosofia. Atene raccolse tra le sue mura gli ultimi rappresentanti della fisiologia ionica, o, come Anassagora, stabilitisi per lungo tempo e intenti ad imprimere profonde tracce delle loro dottrine negli animi più nobili, o fermatisi lì per poco come Diogene d'Apollonia e Ippone di Samo che, contrapponendosi alla filosofia più recente, mantenevano intatti gli antichi principii del 45 monismo e dell'ilozoismo filosofico, o come Archelao che cercava una via di mezzo fra le antiche e le nuove dottrine ioniche. Poi, Atene diventò il quartier generale dei maestri vaganti della nuovissima sapienza: i Sofisti. In nessun luogo l'audacia della discussione illimitata trovò migliore e più retta intelligenza che qui, in nessun altro luogo fu accolto con maggiore interesse il giuoco dialettico che pareva fosse fine a se stesso e che doveva invece diventare il terreno fruttifero onde stava per nascere la vera e propria filosofia ateniese. Qualunque tradizione della fede e del costume, che non fosse nata . dalla riflessione o che con questa non si potesse giustificare, era perduto tosto che - come faceva di quanto v'era di tradizionale nel mondo e nella vitail freddo sguardo di questa mirabile dialettica la privava del sosteg·,o d'una validità che abbisognasse di dimostrazione. E quando i sofisti, questi volontarii d'una nuova filosofia non ancora accettata, ebbero respinto e disperso le vecchie milizie delle dottrine filosofiche positive, a chi s'accostava loro essi diedero, si, gran quantità d'incitamenti a riflettere, ma non offrirono un punto d'appoggio in tanto variar d'opinioni. Non si potrebbe giustificare che col principio supremo della sua rinuncia a qualunque principio, il fatto che questa sofistica avesse parlato anche una sola volta in senso positivo e costruttivo e che, per esempio, avesse voluto concedere l'ausilio della sua abile eloquenza a singoli principii d'una dottrina positiva sulla natura e sulla vita dell'anima. Se Sofocle si tenne lontano da questo movimento che in Atene si fece gigante, Euripide fu attirato tutto nei suoi gorghi. Egli ha cercato di conoscere filosofi e sofisti, di persona e nei loro scritti; il suo spirito avido di verità segue per un tratto chiunque gli si offra guida alla verità e alla sapienza. Ma non è capace di tenersi a lungo in una dire46 . e ._- nell'irrequietezza e .nell'indecisione della zwn . . . · ricerca e dei tentativi egli è f1glio d_ei su~l tempt. . . Euripide è così pervaso di filosofia e dl soflstiche nulla ammette senza esame nella fe~e _e nel~:' tradizioni del suo popolo. Fin dov_'è pos~lbi~e en. l"miti dell'arte drammatica, egh esercita 111tortro l l · · d ee no a tutto ciò ch'è tradizionale una ~ntica ~u ac . senza scrupoli, in forza d~lla q_uale Sl se_nte 111CO~d~~ . natamente superiore ai suoi antenati per ~ensibi ~:t~ ed acutezza. Ma no."\ è n:ai con_tento: siccome ogni forma d'unilateralita gh pare 111naturale, non può persistere nella negativa. M~nca alla profonda à del suo spirito quella fnvolezza c~~ rende · ·, offen ones t così semplici, divertenti e, pe: di pm, qua~I 111 . si vi la sofistica e il libero ~lo co della dlstruzwn~ dialettica di tutto quanto esiste. Per part~ _sua, egli non può prender nulla alla legg~ra; e ?ercw nep~uè soddisfatto della sua sofistica. Bl~ogna che 111~~eme con questa, o dopo di lei, ascol~l- anc~ra t~tte le altre voci possibili; cison momenti 111 cm ~esl~ench'egli di riposare nella limitatezza dell antica r~e~à tradizionale. Ma non può du_rare a _lungo n_ello ~tesso pensiero: tutte le sue convmziom s~n? flss~ te per breve tempo, quasi per prov~; egli Sl lasci~ spingere qua e là, sopra un piano vaCllla~te , da og~l soffio d'eccitazione dell'animo, o d'esigenze artistiche. Id 1 Dove nessuna convinzione era ben sa ~' ~ opinioni intorno all'esistenza e alla natura dell an~ ma umana e ai rapporti di lei con le potenze dominatrici della vita e della morte non potevano e~ser le uniche ad avere una determinatezza dogmatica. Quanto il contenuto e il significato della favola ch'egli ha scelto a soggetto del suo dram.ma lo esigano, il poeta può accettare ~ ~uor ,leg_gero l~ opinioni popolari sui fini e i destlm dell amma del defunti sulla loro potenza, sulla pretesa che hm;no d'esser~ onorate dai superstiti. Nella favola dell Al47 ceste ha fatto ricorso a ttÌtto l'app1rato della fede popolare; vi si parla del dio della morte, del suo terribile ufficio e del soggiorno dei morti sotterra, come di cose reali e di figure insegnate dall'esperienza; del culto funebre che dev'essere prestato ai morti, vi si parla con efficace serietà. Tutt'un dramma, le Supplicanti, può essere nato intorno alla importanza d'un seppellimento rituale, o almeno può averla tolta a pretesto dell'azione che svolge; né mancano espressioni in cui è rilevata 'l'importanza della sepoltura e della venerazione per le tombe. I superstiti rallegrano il morto con libagioni fatte sulla sua fossa e ne guadagnano così la benevolenza e la speranza d'essere aiutati. Chè non sono solo gli eroi d'antichi tempi rapiti a un'esistenza superiore, a godersi potenza ed onori, non ad essi soltanto è concesso di far sentire la loro efficace azione dalla · tomba fin nel mondo dei vivi; anche dall'anima del padre ucciso il figlio s'aspetta aiuto e salvezza nelle distrette. E della madre uccisa traggono vendetta le tremende crea tu re generate dall'antica fede: le Erinni. Ma a questo punto si vede chiaramente che il poeta si chiude per la sua volontà nella cerchia di queste superstizioni popolari consacrate dall'antico uso, soltanto finchè essa corrisponde al carattere eh 'egli vuoi imprimere a sè e alle figure dei suoi drammi. Le Erinni gli servono ottimamente per gli effetti scenici; ma nell'Oreste dice chiaramente che queste terribili figure esistono solamente nella fantasia delle anime malate; e ormai per il poeta hanno perduto qualunque importanza quelle opinioni e quelle norme fisse, a proposito dell'assassinio che per l'obbligo alla vendetta del sangue deve produrre sempre nuovi assassinii, o delle Erinni, le terribili avvocate di coloro che, uccisi, morendo non lasciarono chi li vendicasse. Nell'età del diritto ben ordinato e dei costumi umanamente miti "quel che 48 v'ha di bestiale e di sanguinario" in questi antichi fantasmi della fede, desta il suo orrore. Non crede al diritto dell'anima ad essere vendicata; le antiche leggende che si fondano su di esso sono una mostruosità ; pare ch'egli animi della sua poesia la materia che quasi gli è imposta dalle tradizioni della scena tragica, soltanto per vendicarsene nel modo che la tratta. Così diventa dubbio il dovere che hanno i vivi di dedicare un culto alle anime dei defunti. La serietà con cui di solito è ritenuto necessario e richiesto, è turbata da considerazioni come queste : che al morto non importa certamente null~ dei ricchi doni che sono posti nella sua tomba, de1 quali si compiace soltanto la vanità dei superstiti, o che nulla interessa al morto se sia onorato o no. E infatti che interesse potrebbe averci se, com'è detto varie volte perfino nel bel mezzo dell'A/ceste, il morto non sente più né piacere né dolore? E' evidente che solo da un punto di vista molto arbitrario le visioni della fede e del culto popolare delle anime potevano avere per il poeta l'apparenza della realtà, e che di solito dovevano svanirgli dinanzi leggere come sogni. Nelle dottrine dei teologi non trova alcun compenso ; al più, un fuggevole incitamento. A dir vero, neppur questo fenomeno della vita spirituale dei suoi tempi era sfuggito alla sua attenzione; e si trovavano in lui accenni alla poesia orfica e all'ascetismo degli orfici, ch'egli attribuisce alla schiva virtù del suo lppolito; per un istante la sua fantasia è occupata dal pensiero che l'anima, decaduta da un'esistenza superiore, sia chiusa nel corpo come il morto nella bara. "Chi sa mai se la vita non sia un morire? " e se, nella morte l'anima non si desti alla sua vera vita? " Le tristi ' vedute sulla sorte degli uomini nella vita terrena, che il poeta espone così spesso, forse pareva accennassero ad un possibile conforto in un al di là promettitore di gioie maggiori; ma il poeta non ha mai 40 cer~avano più nell'?li~po ma nel "cielo" o proprio t o più importante è il fatto che l'et~re. par.tecipa nel! etere .. ~ propno m questo senso uno dei detti della natura e della vera essen~ a. d eli amma. d~lla tra.n:andatJCJ sotto il nome d'Epicarmo, il comic SICihano dotto di filosofia, promette all'uomo pid che nessun male lo attenderà nella morte, perchè il . . " soggwrnera . ' per sempre "nel cielo". suo " spmto que~t'opini~ne, divenuta molto comune nelle iscrizwnJ funebn posteriori, in Atene dev'essere divenuta popolare molto presto se in un epigramma dedicato ~allo _Stato agli Ateniesi caduti a Potidea nel 432 SI ~o.te espnmere, come generalmente ammessa, l'opmwne che le anime di quei valorosi erano state accolte ':dall'etere" , come i loro corpi dalla terra. An.che 1 concetti. fondamentali della teoria popolare mtorn~ alle a~11me potevano condurre ad un ugual concezwne: fm da antico per la fede popolar.e la psich~, ~hiamata col nome del soffio e del respno , e~a ~n·tl·m~mente affine ai venti, all'aria mossa e agh spmtl d1 questa ; e poteva nascere facil. . h . ~en t e la convmzwne c e, se avesse potuto disporre hberamen~e di. sè, .si. sa~ebbe unita a questi spiriti elementan a lei a~fm1. ~e ad altro, forse, pensa Epicarmo, quando d1ce un altra volta che nella morte, ~uando tutt? ciò ch'era .unito si separa, og;1i cosa nto;na ~ond er,a v~nuta: Il corpo alla terra, 1 anima, P ero ali alto; l amma onde concepisce l'essenziale natura come eterno movimento e che, seguendo Senofane, chiama con un nome divenuto più tardi molto comune: aria mossa , o soTfìo: rrvEvpa. Ma forse in questo nome è da vedere un accenno al fatto che anche per questo poeta l'anima umana è in intima relazione e stretta affinità con l'etere che la dovrà accogliere quando si sarà liberata dal corpo. E anche quest'opinione, come già quella popolare di cui abbiamo parlato più su, può aver indotto Euripide a dare alla teoria di Diogene ~ u ~li a rormula~ione particolare che ebbe da lui, 1 amma e partecipe della natura dell'etere; ma mol52 vita , della coscienza, del raziOCiniO. Etere. ed amma sono rampollati dallo stesso tronco. Per 1l poet~, e · non si potrà disconoscere l'mfluenza della flloquifia d' Anassimene nnnovata . d a o·wgene, l' e t e.re ~~venta una vera aria vitale, che non. s?ltant~ sostJene lo "spirito", ma è lo stesso spmto umversale: Quasi personificato , esso è chiamato col nome di Giove, la più alta forza divina; parl.and,~.ne come d'un dio personificato il poeta l~ d1ce Immortale". E lo spirito dell'uomo, essenzialmente eguale.~ al dio e allo spirito universale , appare, :econdo g~a aveva detto Diogene, come una pa~te ~~ que~t? dw e di questo intelletto universale. DI~ e .lo s?mto , e 1 pirito e l'intelletto in dio : cosi d1ce 11 poeta c~i:ramente. Dopo la morte, avvem~t~ la s.epara:ione degli elementi terrestri , lo sp!nto , .11 rrvEv!la " n vivrà" è vero, nel modo com era vissuto duno , , te l'esistenza individuale dell uomo , ma conser~a;rà coscienza imperitura" entrando nell~etere e fond·e ndosi con la vita e co~ l'intelletto, umve.rs.ale: T quanti fisiologi concepirono quest etermta d1 ci~a che v'è di universale ne~l'~om~, la q~a~e esclude l'immortalità personale dei smgol.I uomim, ~1essun? l'ha espressa con maggior determmatezza d1 costm, che tra i filosofi fu un profano. . Forse fu desiderio del poeta di mantenersi all'altezza di quell'elevata concezione panteist~ca. Tuttavia nel suo spirito largamente comFrensiVo ~ ma incapace di fermarsi a lungo sopra un 1dea,. eg~I dovette provare troppo spesso la verità de.l p~mcipio di Protagora, che ogni affen_nazione ~Ich1ama, èon uguali diritti, il suo contrano , perche potesse rimanere sempre d'una stessa opinione. Della morte e di ciò che può essere di la da quella, nessuno ha esperienza; può darsi che non sia che uno sprofo~dare nel nulla, che il morto sia completamente di53 s fa t t?; o. forse solo il grande nome la fa m d . grandi atti compiuti continuano '. . a el tali nell'ete .t, d II ad esistere Immor- Mito e realtà rm a e a razza umana? E . . ' con · se mvece SI Bruno Snell servasse ancora un resto di. .t l · · ·? VI a, ne reano SPif!ti. Nonsarebbedeside b "l Q o ol consolante l ra l e. uesto ha di · · . a :norte: che pone fine a tutte le s z~om, e. qumdi anche al dolore e al cordo !io e~sa CI do?biamo lamentare se, come avviene d~Ie. o~ dea!" ~~ed!~r~·acucoomlgi.oJl~of.ne.I corso degli anni, le gene:-:::t~~ o I 10nscono a · · una dopo l'altra Co , , VVIZZiscono, muoiono tura e mtlla d ... , Sihe or mato il corso della na1 CIO c e le sue Iegg· ' · . 1 deve spaventare. prescnvono CI d. Erwin Rohde: Psiche Bari La pagg. 555-593. ' , terza, 1970, vol. II, 54 "Lo storico narra ciò che è avvenuto, il poeta ciò che potrebbe avvenire". Questa famosa affermazione di Aristotele (Poetica, 9, 2) presuppone come già avvenuto quel distacco fra il mondo della storia e quello della poesia che si produsse infatti nel secolo V. Aristotele afferma inoltre che la poesia è più "filosofica" della storia, poichè la poesia tende all'~niversale, la storia al particolare. Anche questa idea dell'"universale" si è formata appena nel secolo V. Le affermazioni di Aristotele ci portano dunque, appunto in quanto contengono del vero, a chiederci come abbiano inteso i Greci il rapporto fra poesia e fatto reale. Facile è la risposta per quanto riguarda l'epopea omerica e, come si poteva immaginare dopo quanto si è detto, essa non corrisponde al giudizio aristotelico, perchè ciò che si esige dalla poesia epica s.eria dei primi secoli è appunto la verità; infatti, quando si vuoi fare una critica alla poesia, si dice "i poeti mentono~' Ma, siccome è il mito che forma il contenuto di questa poesia, ciò significa che al mito, fin anche nei particolari, viene dato valore di realtà. Che il dramma (al quale soprattutto si riferisce Aristotele) non sia d a giudicare alla stessa stregua, è cosa evidente poichè, già per il semplice fatto che esso è legato alle esigenze della rappresentazione, non possiamo ritenere vero quello che si rappresenta né attribuire realtà al mito che lo informa: in questo caso biso55 gnerebbe addirittura vedere nell'attore l'eroe da lui ra?presentato! Ma non costituivano forse nei primi tempi attore e personaggio una cosa sola? La tragedia greca è nata dal canto corale e abbiamo notev~li testimonianze del fatto che i primi canti corali contenevano già elementi del dramma, in quanto rendevano in forma immediata un avvenire mitico. Ma con ciò veniva a stabilirsi fra mito e raltà, fra poesia e verità, un rapporto ben diverso da _quello ,?ei po_emi omerici, rapporto che ci può a':'V'1are ali mtend1mento delle più intricate situaziom della tragedia. Possediamo una peana di Bacchilirecitato a Delo da un coro di suoi conterranei Il coro dei Cei, a una festa istituita da Teseo Bac~ chilide racconta come Teseo, mentre moveva.verso Creta con le fanciulle e i giovanetti ateniesi, avendo sulla nave att~ccato lite con Minasse, re di Creta, si f~ss_e g_e~tat~ ~n mare sottoponendosi a una specie d1 giUdiZIO diVIno per dimostrare la sua discendenza da Posidone, e ne avesse riportato una veste di por?or~ e una corona. Tèseo dopo aver vinto in Creta ~~ Mmotauro, aveva, secondo il mito, danzato al suo ntorno a ~elo la c_osiddetta danza della gru, che da a_llora _vemva eseguita solennemente ogni anno. Alla fine d1 questa poesia dice Bacchilide: "Le fanciulle (al seguito di T~seo) osannavano e i giovinetti poco dop? cantarono con melodosa voce il peana. Apollo d1 Delo, rallegra il tuo cuore alla canzone corale del coro dei Cei e concedi loro di giungere al bene, secondo la volontà degli dèi". Qui dunque il coro di Tèseo si fonde col coro de_i Cei. per i quali Bacchilide hapoetato; negli ultimi versi del canto il coro è presentato in situazione ~dentica a quella delle persone mitiche di cui narra: Il canto del coro mitico si identifica così col canto del coro presente. C'è qui, in germe, un elemento del dramma, dell'arte rappresentativa. 11 mito si trasforma in realtà attuale, fatto questo antichissi56 ?e, : mo. Ma poichè ora non si eseguisce più la danza della gru di Tèseo e la sua avventura viene invece "narrata" nel canto, la rappresentazione corale acquista un carattere epico, e di conseguenza si trasforma il suo rapporto col mito. II mito non è più un fatto che si ripeta nelle cerimo 1ie del culto, non è Tealtà che possa, nei momenti solenni, ridivenire attuale; è inteso come un fatto avvenuto una volta n el passato che viene riferito "come storia", pur mantenendo un valore particolare per la solennità alla quale è dedicato il canfo. Troviamo dunque intrecciati qui due elementi che vivono distinti l'uno dall'altro, nel racconto epico e nelle cerimonie del culto. Tuttavia, questo canto di Bacchilide non ci dà ancora un esempio genuino del rapporto del mito con la realtà della poesia corale greca, poichè esso parla di un avvenimento vissuto da Tèseo durante il suo viaggio verso Creta, cioè anteriore alla sua mitica impresa di Creta. Certamente esistevano in Delo canti corali più antichi che avevano rapporti con questa danza della gru, e che descrivevano quindi la vittoria sul Minotauro, la 1il1erazione dei giovani e delle fanciulle e il felice approdo a Delo, riferendo così il peana per via diretta ad Apollo. Questa forma primitiva di rapporto fra mito e realtà ci è conservata dall'imeneo di Saffo, che è certamente anch'esso un canto corale, che descrive le nozze di Ettore e s'identifica alla fine col carme nuziale col quale i Troiani salutano la giovane coppia. Questo mito dà luce e significato al fatto reale, e poichè il pensiero che nel presente si rinnova la solennità celebrata da Ettore, infonde un senso di sicurezza e contribuisce ad elevare il sentimento, il mito viene in quèsto modo a promuovere la realtà del presente. L'idea che il mondo sia così suddiviso in due strati, uno inferiore, e che il superiore dia senso e valore a quello inferiore, è pure retaggio della poe57 l! l! li sia epica, retaggio della poesia epica, retaggio interiore che il coro ha accolto insieme all'elemento narr~tivo, ma che ha valorizzato a suo modo. Infatti nell'epica anche il mondo di quaggiù fa parte del mito, ma sulle imprese che gli eroi compiono in terra vigila il mondo degli dèi che dirigono e determinano ogni cosa. La tragedia si componeva in origine di danza e canto corale in onore di Diòniso, eseguito da cantanti che portavano maschere animalesche e assumevano così una primitiva forma del Divino; in questo modo mondo mitico e realtà terrena diventavano una cosa sola per tutta la durata della clanza. La lirica corale e il dramma hanno dunque origini molto affini, ma si differenziano essenzialmente per il modo in cui assursero a grandi forme letterarie, vale a dire per il modo con cui accolsero i miti della poesia epica. Se, alla fine del peana di Bacchilide, il coro dei Cei viene a costituire una sola cosa con le vergini e coi giovinetti di Teseo, è questo soltanto un residuo della primitiva forma del coro che non ha più nessuna importanza per il resto della poesia; il dramma invece si basa proprio sulla trasformazione per cui il coro "rappresenta" i personaggi del mito, impersona una parte, diventa "attore". Se la lirica corale assume carattere epico a t traverso la narrazione del mito, essa acquista a questo modo la libertà di sciogliersi da situazioni rigidamente fissate. Così Bacchilide può porre al centro della sua poesia un episodio del viaggio di Tèseo e darci una leggiadra descrizione che non ha nulla a che fare coll'approdo di Delo e con la danza della gru. Della primitiva forma non rimane che la narrazione del mitico viaggio di Tèseo, ma il coro non s'identifica più coi perso 1aggi del mito, ne parla soltanto. E' la parola, no 1 più la persona, a rappresentare il fatto. Ma a differenza dell'epica questa 58 narrazione vien.e riferita al presente: tutto il grande complesso della lirica corale del secolo V te~de a dar valore · alla realtà terrena, anche quando il racconto sembra allontanarsi dai compiti ~ell.a rappre~ sentazione corale. Parlando del peana d1 Pm~aro, s1 è osservato che i miti o si riferiscono ~ luogh1 e m~ nifestazio:1i agonistiche, o ad antenati, o alla ~~tna del vincitore, oppure, più spesso ancora, stabJhsco110 raffronti con luoghi e momenti del tempo del poeta, così che il presente ne ris~lta "illuminato", e ciò non soltanto nel senso che s1 costrmscano m~ delli , paradeigmata etici, ma nel senso che la _rartlcolare situazione del festeggiato viene colta e mtesa attraverso il confronto che il poeta fa di essa col passato mitico, con qualcosa di più alt?, che ha un valore riconosciuto, così che il festeggwto e anche quelli che lo festeggiano trovano appoggio i~ un~ veneranda tradizione. Ora , dato che la realta puo venir interpretata in diversi modi , vi sono diverse possibilità di trattare i ~iti - ~I ca1:to corale. Una festa nuziale, per esemp1o , puo vemr paragonata a diverse nozze del mito, un caso di lutto alla morte di diversi eroi mitici e così via: il mito poteva quindi svolgersi in libera forma intorno alle situazioni più varie. Ben diversa era la condizione del dramma. Quando il ricco mondo dei miti, quale era stato foggiato dalle numerose poesie epich~ e. recentemente dalla lirica, traboccò nella traged1a, li legame fra mito e realtà venne a spezzarsi. La tragedia attica era legata ad una sola situazione rituale: quella del culto di Diòniso; e il fatto che, al contrario della lirica essa tenesse fermo alla rappresentazione attraver~o le persone del coro , cioè allo svolgersi del mi t o nell'azione drammatica, le impediva di conservare nella narrazione degli avvenimenti mitici una qualunque sia pur libera relazione fra il mito e la realtà del presente. Il senso religioso dell'azione 59 drammatica andava perduto quando gli esecutori si volgevano ad altre sfere del culto o del mito e non erano più esseri al servizio del Diòniso. Questo passaggio incontrò anche delle opposizioni per il fatto che ora la tragedia "non aveva più nulla a che fare con Diòniso", ma nei drammi di Eschilo il trapasso è totalmente avvenuto né esiste più in essi traccia dei legami che l'azione aveva in altri tempi col culto di Diòniso; persino il dramma satiresco, nel quale il coro dei Sileni usava ancora il tra ves t imento richiesto dal mito, è, nello svolgimento dell'azione, completamente libero. Con ciò non si ritorna però a un a rappresentazione epica del mito. Il dramma non può seguire semplicemente la realtà, perchè deve trasformare il fatto secondo le esigenze del teatro; deve suddividere l'azione in singole scene, e poichè la scena greca non conosce sipario, esse devono svolgersi possibilmente in un solo luogo e possibilmente in tempo continuato; l'azione deve venir sviluppata nel dialogo e anzi in un dialogo di tre attori al massimo, poichè il trageda attico non ne ha di più a disposizione; il tempo limitato di cui il lavoro dispone, esige una composizione serrata e una limitazione all'essenziale. Se dunque il dramma si libera dalle esigenze della "realtà", si lega tanto più tenacemente a quello che potremmo chiamare il suo materiale di costruzione, cioè alle norme della rappresentazione, alle leggi artistiche. Il compito d'intendere la realtà passa ora alla prosa scientifica, che sorge contemporaneamente alla tragedia. E anzi quando si fanno riflessioni critiche sulla tragedia (cosa che avviene naturalmente solo alla fine del secolo V), non sirichiede più che il dramma dica il vero, che sia una copia della realtà; ma, al contrario, ]"'illusione" viene considerata un mezzo necessario al drammaturgo ed è ritenuto un errore l'attenersi troppo da 60 vicino alla vita reale. Come il dramma si trasformi in "rappresentaione" come cioè da una parte si liberi dalla ~'realtà"' delle cose rappresentate e dall'altra dalla forma imposta dal culto, lo dimostra l'evoluzi?ne del dramma satiresco, che attraverso il coro de1 satiri manteneva ancora una certa relazione col culto di Diòniso. Da poco tempo conosciamo, e soltanto in parte, due drammi satireschi di Eschil?, ~entr~ prima ci erano noti soltant? due esemplan p1_u tardi di questo genere drammatlco. Uno dl_que~t_l_dram mi satireschi, gli lsthmiastai, presenta 1 satm m una situazione grottesca, mentre si allenano per prendere parte ai giochi istmici. Essi si son resi infedeli a Diòniso e sono entrati al servizio di Posidone, e al santuario dell'istmico Posidone appendono le loro maschere in offerta votiva. Il loro padre, Sileno, cerca inutilmente con rimproveri e minacce di dchiamarli all'antico dovere. Ma la gara si fa sul serio ed essi vergognosamente falliscono. Quando qualcuno (si tratta forse del dio maririo Palemone, che ha rapporto con la fondazione dei giochi istmici) mostra loro la .lancia (possiamo per lo meno immagii1are che si tratti di una lancia, dato che questa scena è molto frammentaria) con la quale devono cominciare il pentatlo, essi non vogliono più sapern e d e l m o n d o agonistico. E la scena finale del dramma doveva rappresentare probabilmente il loro ritorno al culto di Diòniso. Se questa ricostruzione del dramma è esatta, il lavoro doveva dunque, attraverso il trionfo del dionisiaco, riport~re alle forme del culto di Diòniso; ma la vera v1ta drammatica è data al dramma dal fatto che i satiri venoono trasferiti in un ambiente a loro estraneo:. o nelle gare istmiche. I miti di Diòniso erano quas1 esauriti, e non potevano più fornire materia ai drammi satireschi; i satiri furono quindi semplicemente trasformati in altri miti, coi quali essi, in ori61 gin e, non avevano nulla a eh ., . ancora maggior evidenza d l~' fare. Cw nsulta con se~ di Eschilo recentement~ altro dra~m~ satirekoz, ossia i Pescatorz· E t scoperto, I Dzktyoul· sso ratta del ·t d. D.anae ha avuto un figlio d c· mi o I Danae: CIÒ ripudiata dal pad a wv~, Pe.rseo, ed è perglioletto in una casa ~~'lec:e ha n~chmso lei e il fiin mare. L'azione s'· .. bno che e stata poi gettata 111IZia con ]' t . due pescatori che aettan l en rata m scena di suppone quindi la bprese;z a ~~te nell'orchestra (ciò suolo nell'orchestra m d ~ I un avvallamento del · e esima) L e tanto greve, ch'essi q . a pesca c11e fanno rete e chiamano . t : o~ possono trarre a riva la · . am o. SI avanza Il · satm e aiutati da e . . a ora Il coro dei · ss1 1 pescator· · . . nva una grande cassa nell I n.escono a tirare a mente e il piccolo Pe a duale s~ trovano la dortys, si allontana per t:~~o. ~o de! pescatori, Dikincaricati di sorvegl· are amto e i satiri vengono . Iare nel fratt . fraghi. Ma Sileno I.l p d d . ~mpo I due nau' a re e1 sat1 · ,. s t antaneamente d 1· D n, s mnamora id. anae e le prop D anae, disperata e colma di sd one . I sposarla. che l'ha messa in que t . . egno, mvoca Zeus · . s a Situazione e m· . ,. piccarsi se sarà lasciata . b , . macc~a d ImMa di ciò Sileno non s·m alia di quel "mostro". scrive al piccolo Perseo\ p~~occupa molto; egli deno insieme nei bosch .. D a wta VIta che COPdurran. . , I. anae eali pe....., d , m ve n t a con te n t a d. , b ll:.a, e v essere . l aver trovat . f' manto, lei che ha dovut . o m me un così bel come vedova sul m o VIvere per tanto tempo . , are e per d· · · · . , cassa. Il coro si prepara ali I pm nnchmsa in una naie, che non ci e' a· t a partenza ma la scena fi . bmn a doveva r CaCCiata dei satirJ· e d. S 'l ' appresentare la . 1 Ienoel'ac compagnamento d I Danae in città V d. una favola che no. l e I~mo che Eschilo si vale di ., n 1a mente a eh f · . . con Dwniso. Ma al d . e are COl satm e ·1J coro dei satiri IJ1 ramma sat1res . co era necessario · mamera un po ' t .f .. . a b Ile, e di arande eff. . . ar l ICJOsa, ma . b IcacJa scemca E l .l , se 11 o fa entrare 111 scena i sa tiri val d. . 62 , en OSI del fatto che i pescato- ri non possono tirare da soli la rete a terra e chiamano aiuto; pretesto del quale si varrà anche più tardi il dramma satiresco per giustificare la presenza dei satiri. Il poeta deve trasformare il mito per adattarsi alle leggi teatrali. Com'era naturale, ciò contribuì largamente alla libera trasformazione degli antichi miti e, poichè in Atene si rappresentavano ogni anno almeno tre, se non addirittura sei, nuovi drammi satireschi, così vennero accolti sempre nuovi miti in questa libera azione scenica. E lo stesso può dirsi per la tragedia, che doveva anzi presentare un numero tre volte maggiore di opere; ma poichè essa aveva eliminato il coro dei satiri, qui l'azione era del tutto indipendente dal culto di Diòniso. Consideriamo ancora una volta il valore che hanno mito e realtà per la poesia greca dei primi secoli, e cerchiamo attraverso questi esempi di determinare con maggior precisione le differenze fra i diversi generi di poesia. L'epica .racconta il mito, attribuisce ancora ad esso valore di realtà e costruisce per così dire in due strati, quello terreno e quello divino , di modo che le vicende che si svolgono nel mondo ultraterreno vengono a determhare il senso e il valore di quelle terrene. A un più attento esame si rivelano altri due strati della realtà che servono anch'essi a spiegare l'evento mitico-terreno: e cioè gli esempi tratti dall'antichità che apprendiamo dal racconto degli eroi e che guidano l'uomo alla conoscenza dell'io, e in secondo luogo le similitudini omeriche, in cui immagini tratte dalla realtà del presente vengono usate per illustrare le vicende dell'azione epica. I paragoni mitici c'innalzano i'l un mondo che sta in mezzo fra quello degli dèi e quello degli eroi di cui narra l'epopea, mentre le similitudini trasportano nel mondo dell'epica un frammento della realtà presente al poeta. Questi "strati intermedi" , dati dai paragoni mitici e dalle 63 si.mil.itudini, costituiscono i primi gradi delle deduzr.~m an~logiche di cui il metodo empirico si servirà pm tardi. . . Alle origini della lirica corale e del dramma a??I~~o l~ ~anza sacra, per la quale il mondo degli der. s..rdent~;,rca con la realtà terrena del presente. Qur realt~ suona in senso completamente diverso dalla re alta della narrazione epica: non si tratta di un fatto vero o falso che sia avvenuto una volta c~ e ,ruò e~se:e "narrato"; l'avvenimento mitico "ri~ vrve .nell aziOne drammatica. Per attori e per spetta.t?n questa rappresentazione "è" l'avvenimento 11_11tlco, e tuttavia in certo senso non lo è, in quanto SI sa che !'~roe viene ~r~ "rappresentato" da questo o da quell attore. Qur e ancor più difficile che nel caso del racconto epico stabilire che cosa sia veramente l~ r~altà miti ca. E', come noi diremmo da un p.unto ?r vista moderno, un avvenimento "sio-nificativo", Ii cui significato può sempre di nuov~ esser reso attuale, e che, per dirla con le parole di Aristotel:, ~on si limita .s?ltanto ai ·particolare, ma tende ali umversale. La lmca corale più matura comprende d~nque l'~lemento narrativo proprio dell'epica, ma SI appoggia ancora saldamente alla relazione fra presen:e e passato mitico: la realtà del presente viene cos~ a e?sere "illuminata" dal racconto del mito e ac~ms~a 111 q~esto modo un significato profondo; ma Ii mi~o puo svolgere questa funzione soltanto quando sra, come nell'epica, considerato ancora con:e " rea l e " , anc l1e se assume sempre più il carattere dr u~a particolare realtà superiore. Il dramma invece, hbe.ratosi dai legami del culto, viene a sciogliersi da ogm rapporto con la realtà del presente; e nello stesso tempo toglie al mito il carattere di realtà trasformandosi in azione scenica. Manca così aÌ dra~11_1a quella suddivisione in strati propria d ell epica e della poesia corale; ogni rapporto sia con la realtà storica che con quella dal presente 64 sembra sciolto, e il mito diventa un mondo a sè che esiste soltanto nell'azione drammatica. Questo libero svolgimento dell'azione esisteva naturalmente già prim~ nelle favole e nelle storielle. e neppure il dramma satiresco va esente dalla sua 111fluenza. Ma qual'è la situazione del dramma serio? Se nei confronti della tragedia ci si chiede: è vero quello che qui si rappresenta? Non si potrà rispondere che.: no. E' pura menzogna, allora? No: neppure! Il cnterio della verità e della menzogna, che si poteva usare per l'epica, non serve più allo scopo. Si rivela qui un nuovo rapporto con la realtà. Anche nell'arte plastica ateniese si trasforma in quest'epoca. il rapporto dell'opera d'arte con la realtà. B. Schwert~ zer ha osservato che nelle iscrizioni dei monumenti dei primi secoli, la statua viene identificata addirittura con la persona ch'essa rappresenta: l'immagine è la persona rappresentata. Sulla statua sta scritto per esempio così: "Io sono Char~s, sigr:ore di Te~ chiussa". Soltanto in Atene trovramo 111 queste Iscrizioni: "Io sono l'immagine, il monumento funebre o la lapide del tal dei tali". Nell'Attica, dunque, l'opera artistica non s'ide .tifica con la perso_na che rappresenta. Ciò significa che qui l'arte plastica viene considerata come un campo particolare e a sè: l'arte non è la realtà , si distacca da essa. L'arte imita la realtà, la rappresenta soltanto, ne rivela il "sio-nificato", e diviene perciò una nuova particolare ;ealtà. Come per la tragedia, così per l'arte in genere, è appunto questo distacco dalla realt~ che allarga la cerchia degli oggetti rappresentati, rende possibile una trattazione più libera del soggetto e permette all'arte di svilupparsi liberamente. Naturalmente, come nell'arte plastica, così nella tragedia lungo sarà il cammino verso l'invenzione libera poichè, lo ripetiamo, se anche l'arte di carattere serio non presenta più la "realtà", tuttavia essa non "mènte" e, se anche i miti della tragedia diventano 65 sempre più intricati, tuttavia !"'azione scenica" conserva in un primo tempo ancora molto dell'antica "verità", mantiene cioè con la realtà un rapporto diverso che la favola o la commedia; e non ci si potrebbe altrimenti spiegare perchè l'arte si sia occupata tanto seriamente dei suoi compiti, se non appunto perché si tratta della realtà. in un certo senso è proprio quest'atto d'indipendenza che porta tanto la tragedia quanto l'arte plastica alla "realtà"; e infatti di questa svolta decisiva clcll'arte si apre una via diretta verso il realismo tanto nella letteratura quanto nella plastica e nella pittura . Si presenta qui dunque un concetto della realtà totalmente nuovo, che non è tanfo facile intendere. Quale imbarazzo per noi che non possiamo più semplicemente usare i concetti di "vero" e di "reale" per l'arte, e che, per indicare il rapporto dell'opera artistica con la realtà, dobbiamo ricorrere a un concetto così vago c incerto come questo , per esempio: l'arte deve "conformarsi" alla realtù. Si dovrà allora intendere la realtà come qualcosa che può esser rappresentato soltanto nel dramma? La tragedia si è occupata molto meno che la poesia primitiva delle vicende rappresentate, vere o false che fossero , mentre si è occupata a fondo dcgli uomini, che appaiono ora sotto un aspetto del tutto diverso da quello di prima. Per comprendere .. meglio la nuova concezione dell'uomo, la nuova forma in cui viene rappresentato nella tragedia, giova, più che il confronto con la lirica corale. quello con la lirica individuale greca dei primi secoli. nella quale l'uomo parla eli sè, a quello stesso modo che nella tragedia i personaggi esprimo no i loro sentimenti, il loro pensiero e la loro volontà. Un fortunato caso ci ha conservato uno dei primi drammi di Eschilo: si tratta proprio di un caso, perchè il lavoro ci è stato tramandato attraverso un solo manoscritto; per secoli questa tragedia esi- 66 stette i·l un'unico esemplare. Essa dat_a dall'ultin:o decennio del secolo V, è stata probabilmente s_cnt~ ta una quindicina di anni prima della battagli~ d1 Salamina: appartiene quindi al periodo preclassico~ all'èra arcaica. E' formata ancora princi~aln:~n.te d1 canti corali e ha perciò, per larghi tratti, pm Il ca: rattere di una ca1;tata che di un dramma. Il coro e costituito dalle figlie di Danao; esse ~eng?no, :~1 padre, dall'Egitto in Argo , per sfu~gue m cugmi, figli di Egitto, che le vogliono costnngere a n~zze. RifU!~iatesi con una nave in Grecia , sperano d1 trovar protezione in Argo, patria della loro ante~1at~ lo che amata da Zeus e perseguitata dalla gclosw d~ Era, h'a generato in Egitto il figli~ di Zeus, d_a ct~I discendono i fratelli Danao ed Egitto come mpotJ. -le Denaidi e gli Egizi come pronipoti. Il coro d_ellc Da n a i d i si presenta supplicando con angosc_IOsa preghiera Zeus affinchè dia _loro quella protezione che spetta allo stra:1iero indifeso , e lamentosamente narrano la loro storia. . Si presenta il re di Argo, Pelasgo_, e _chiede quale sia il loro desiderio: quan~o esse gl_I_ch_Ied_o!10 protezione, egli comprende sub1t~ eh: _ciO Sig~1Ifi~a per la sua città la guerra contro gh Eg!Z!: ma n~usa~ re protezione alle supplici vo_rrebbe d_Ire ath_rarsi l'ira di Zeus. Nella loro angoscia le fancmlle mmacciano addirittura di togliersi la vita davanti all'altare se il re non lo protegge, e questa sarebbe una terribile macchia d'infamia sulla città. Deciso a pre~1der le parti delle fanciulle imploranti, il re entra 111 città per presentare il caso al popolo. Dop? una preghiera del coro, Pelasgo rit~rna e annuncta che tutti i cittadini hanno deciso eli concedere la protezione. . . . . l cori eli questa tragedia sono p1e111 eli .po~oc; (p!Jobos) eli angoscia, ma non_è questa una c~ratte~ ristica particolare della tragecl Ia, una delle p n me cl~ Eschilo; chè per quanto poco sia giunto a noi 67 dell'opera del precursore di Fschilo. Frinico, quel poco ci permette tuttavia di osservare che anch'egli assegnava alle lamentazioni una- parte molto importante nelle sue tragedie. E tanto Eschilo che Frinico hanno cercato d'intensificare il tono della passione, per mezzo di cori femminili e di un ambiente orientale. Il senso d'impotenza è il motivo predominante della primitiva lirica personale; essa ha portato i primi lirici a parlare della loro vita interiore dell'anima, della profondità dei loro sentimenti. coro della tragedia intensifica questo senso di debolezza e d'impotenza. E ben più acuto risuona qui il canto, poichè in Frinico e in Eschilo non si tratta soltanto di speranze deluse, di dolore e di rinuncia m a ad dirittura della vita. Questa intensificazion~ del sentimento deriva naturalmente dal fatto che le situazioni disperate che si presentano nel dramma non sono accessibili alla lirica, poichè i lirici parlano dell'angoscia della loro propria vita. ma quando questa s'intensifichi al punto che ne vada della vita stessa, non si pensa più a scrivere poesie. E nel dramma la rappresentazione della paura c dell'angoscia è molto più intensa di quanto non possa essere nell'epica. Poichè nel dramma l'uomo si presenta a noi in forma immediata, col suo dolore vissuto. L'arte può così nel dramma assumere un cara t t ere di maggiore serietà. All'angoscia del coro non giova neppure il pensiero che confortava il poeta lirico arcaico nel suo dolore: che l'eterna vicenda della vita umana porti con sè ora dolore e ora gioia. Quando la vita stessa è minacciata, non ha più senso la speranza che un giorno la sorte possa cambiare. Così il senso della presenza della morte che ci è dato anche dai lirici, si fa nel dramma più reale che nella lirica, in quanto determinate forme della vita si possono rappresentare come esperienze dell'uomo soltanto quando ci si allontani rì 68 dalla realtà. Ma il sentimento d'angoscia del cor? non si distingue dal senso d'impotenza del poeta hrico soltanto per l'intensità; Eschilo ci dà qui qualc;osa di nuovo rispetto a Frinico. Le Danaidi sono deboli fanciulle; i figli di Egitto minacciano il loro diritto con brutale violenz;. E così questo coro suscita un sentimento che ~ qualcosa di più della pietà eh~ pote~ano desta:e 1 cori di Frinico, più di quella sunpatJa e parte~J?a zione spirituale e sentimentale che il poeta _Imco suscitava. Il fatto che il diritto venga offeso e cosa che colpisce l'ascoltatore in misura ben diversa che un dolore o una disgrazia. Qui si verifica una cosa che non può essere permessa, che si deve eliminare se si vuo_I mantenere sald~ ]a fede nell'ordine del mondo: e qualcosa eh; Cl spinge all'azione. Anche ~ues_to d?lore porta !.uomo a meditare sulla sua vita mtenore e a considerarne le profondità, a ritrovare in essa qualc?sa eh~ va al di là del puramente individuale; ma qu1 non SI tratta soltanto di scoprire o di riconoscere . ~uesto mondo spirituale: il valore spirituale che qm mcontriamo cioè il diritto , esige l'azione. Q'u est'azione ha luogo nelle Hiketides (Le SUP_plici) di Eschilo, ed è appunto ciò a f_ar assurgere 11 lavoro della cantata lirica alla tragedta. Quand_o le Danaidi minacciano di uccidersi e spingono cos1 Pelasgo ad aiutar! e, il re dice: od TOt {3al'ldaç <.ppovr{ooç ?WTf/PlO~ È<: {3ul'lov f.lOÌ\Etv f.lr}O . a:yav 4;VWJ.1ÉVOV OtKr}V KOÀV!lf3T/Ti/ poç OEOOpKÒ<: OJ.lf.lU Conviene ora con profondo pensiero cercar salvezza, come nel profondo il nuotatore sce11de con occhio chiaro, senza incertezza. 69 l E Pelasgo si mette a riflettere. II coro accompagna la sua meditazione coi versi: r.f!POVTLOOV K aL' "(EVOÙ EVOE{3ir; rr p6~Evor:;, rravo L'K WC: Rifletti! Sii a noi secqndo il giusto diritto protettore! ' ! t f , che. come colpi di martello. gl'inculcano il pensiero ch'egli deve decidersi . Dopo aver così riflettuto , il re scende verso la città per lasciare la decisione al popolo. Per quanto la scena non abbia valore immediato per l'azione , Eschilo l'ha tuttavia nobilitata con tutti i mezzi dell'alto stile. e questo contrasto fra la solennitù ampollosa e le proporzioni modeste dell'azione, potrebbe dare alla scena u·a lieve sfumatura di comicità (ci vien quasi da pensare a certe scene del teatro delle marionette), se non ci si rendesse conto della novità e dell'importanza del fatto che qui si presenta, per la storia dello spirito greco, anzi dello spirito europeo. Mai nella poesia dei primi secoli l'uomo lotta tanto per giungere a una ~ecisione , va così "a fondo'l col pensiero prima d1 pre !iettivamente, e quand egh nfensce con 77 fedeltà questi eventi divini, le vicende terrene acquistano ricchezza di senso per l'ascoltatore che come il poeta, attribuisce realtà e valore al mond~ degli dèi. E poichè agli eroi il divino, il significativo, il meraviglioso, si presenta in forma univoca e semplice, così quello che l'uomo ha di nobile e di gentile può manifestarsi con reazioni immediate nell'azione e nella parola. L'uomo può trovare ancora rifugio in un mondo che non conosce il dubbio, che gli parla COil voce chiara e a cui egli risponde allo stesso modo, e il divino, che trascende l'umano soltanto in quanto è superiore ad esso ha esistenza certa e stabile, indipendentemente 'dal pensiero umano. In Eschilo questo mondo degli Dèi è già più dubbio; nell'Orestiade due divinità propongono il loro volere a Oreste: Apollo che ordina il matricidio e le Eumenidi che puniscono il matricida. E in mezzo a questa duplice esigenza del d_ivino,s~a l'uomo solitario, e non trova altro appoggiO che m se stesso. E se Atena, alla fine delle Eumenidi porta la conciliazione, come tutto ciò è orami lontano dalla semplice naturalezza del mondo omerico! Per Eschilo, Zeus è ancora il vigile protettore della giustizia, ma si stacca già dalla realtà immediata del mondo. Non è più il dio che cruida gli avvenimenti con l'azione e con la parola ~a è già quasi un ideale, è già prossimo a identificarsi con l'immagine della giustizia. L'uomo, abbandonato cosi alle sue sole forze trova in Eschilo ancora un saldo appoggio nell~ giustizia, ma già lo sentiamo onerato di un peso che potrà farsi troppo greve: può accadere che il terren?. gli sfugga sotto i piedi. Da lontananze sempre pm vaste parla il dio; l'uomo comincia a riflettere criticamente sul Divino e quanto più si affida alle p~oprie forze, tanto più solo rimane. Già le figure d1 Sofocle sono più solitarie di quelle di Eschilo Edipo, Antigone, Aiace sono visti come "uomini di 78 azione". Anch'essi agiscono s~condo. precise idee onali ma in questo caso, m cosciente contrapers ' ' ' l' sto col mondo che li circonda. E cosi azwne conduce alla rovina. . 1 personaggi di Euripide_ poi _si :ciolg?~o ulteriormente dagli antichi legami, polche Eunpi~~ cerca di cogliere con sempre maggior cl:iarezza CIO che dal tempo di Eschilo in poi era ~o · siderat~ ~om~ I.a rea lt a, dell'uomo e della sua azwne: . .la spmtuahta, h . r· dea il motivo dell'azione. Tutto CIO c e m epoca a te;iore era onorato attraverso l'im~agine ?ell~ luce come un valore universalm~nte nconoscm~o. la gloria raggiante, l'azione lumm?sa, I_a ~plend~d~ rappresentazione delle figure degh erOI, _Im?alhdlsce sempre più di fronte alle nuove qu~stiom: ,Quale impulso li spinse all'azione? Era gmsto Cl? ~he · fecero? E questo splendore divino impalhd1sce essi E .. d h un tanto più rapidamente in quanto unpl e a senso esasperato del divario che passa fra sostanza e apparenza. . . . f 1 p rimi a stabilire questa _d1~t~n~10ne. ~a sonza e apparenza erano stati 1 lmc1 arca1~1, che st a r ' poravevano riconosciuto ai valori spl_nt~a l un l~ tanza maggiore che a quelli es~er:or~; ma e;sl _non avevano ancor riferito questa distmzwne ~ll azwne umana e ai suoi moventi. Anche i filos?fi avevano posto una distinzione fra essere e appanr~, .~ ave~~~ no con ciò creato un nuovo concet~~ di realta che non si riferiva al mondo dello s?H.Ito e d~~ senso del valore, in ogni divenire, al d1 la della p_ur_a apparenza", l'elemento ~:senzi_a~e e durat~ro , s1 nvelava in tratti sempre pm declSl un_a ~ealta astratta dal sensibile, una realtà non perceplbile, ma soltanto pensabile. Già in Eschilo l'idea dell'essere è legata a qu~lla della giustizia, l'apparenza app~rtie_ne all_a ~zy?rzs. Così, nei Sette contro Tebe, i vamtos1 nem1c1 d1 Te~ be fanno pompa di insegne superbe, mentre colm o :1 o o o 79 ;.he re~ta~ente pensa vuoi "essere" piuttosto che _ap_panre ." Al tempo di Euripide questo contrasto SI nflette m vari modi nella critica della conoscenza, del mit~ e della morale. Esso affiora dappertutto nel pensiero di Euripide; si può rilevare persino nella sua concezione di quella che, nel senso più comune della parola, noi chiamiamo realtà. II fatto che Euripide non apprezzi molto il val~re materiale delle cose, che la ricchezza non conti m_ente per lui, non è ancora nulla di nuovo: aià dagh a~ti~?,i lirici erano stati deprezzati questi ,';valori estenon . Anche il gusto del fasto e del colore, che si era mantenuto così vivo fin nei più tardi tempi arcaiCI, scompare del tutto in Euripide. Se erano car~tt.eris~ici di_ E~chil~ i vestiti sfarzosi, così per Eunp1de ~ c~nc1 d~ c~:tl personaggi. La semplice vita d1 ogm giorno e pm vera per lui del fasto solenne. Se n t i a m o in questa concezione oltre all'influenz~ d'idee ~il?sofico-empiriche, a~che quella di nuove 1dee soc1ah, ma in fondo anch'esse ci dimostrano ~he_ nell'Atene del secolo V si sta spegnendo la co~~mzwne che il Divino si riveli attraverso la magmflce~za del mondo delle apparenze; esse ci dicono c_~e 1 problemi del retto agire diventano sempre PlU determinanti nella ricerca intorno alla realtà dotata di vero valore. Inoltre: in Eschilo anche le cose possono pre_nder parte all'azione come pe~ ~sempio, nell'Agamennone la vecchi~ scur~ ?m1c1d~ o Il tappeto che il re calpesta al suo ritorno m patna. Noi diremmo che questi oggetti costituiscon? d~i simboli, ed è sotto questo nome che determmatl oggetti significativi sono introdotti anche nel dramma moderno. Ma per Eschilo non esiste anc~ra q~est~ categoria di oggetti di valore derivato; ~~ l~~ ess1 hanno un valore immediato e sono quas1 VIVI. E di fronte al nuovo senso della realtà eh~ sta nascendo in quest'epoca, ciò doveva apparire mnaturale, fare effetto di magia: gli oggetti sono 80 cose morte, agire può soltanto l'uomo. Influsso ancor più duraturo hanno queste nuove conquiste della conoscenza sull'interpretazione e la rappresentazione dell'agire umano. Quanto più si tende a considerare lo spirito umano co~e. la vera realtà vivente, tanto più ricca appare la v1ta dell'anima, e dal momento che la realtà dell'esistenza umana viene a trovarsi sempre più nel campo spirituale, il dramma mett_e _sei~~re n:aggior impegno nel rintracciare i motivi ~p.mtuall. Quanto vasto sia il campo aperto da Eunp1de con le sue tragedie è cosa ben nota. L'uomo, liberatosi dal viluppo delle forze divino-terrene, diventa fonte di effett~ e di azioni, si lascia guidare soltanto dalle su,e passiOni e dalla conoscenza: tutto il resto non e che vanità e apparenza. Ma chi oserà penetrare nell'essenza umana? Chi oserà sondare il proprio io fi~o ~l fondo? La conoscenza dell'uomo e del propno 10 diventa ora il compito della riflessione, come compito dell'indagine era la conoscenza della na~ura . . La realtà non è più semplicemente qualcosa d1 dato. Il suo vero valore non si presenta più in forma immediata attraverso le vicende terrene, e il significato del mondo delle apparenze non si rivela più d~ rettamente all'uomo: ciò significa appunto che 1l mito sta morendo. Le figure mitiche non si presentano più agli occhi del poeta nella loro realtà vi_va, con le loro qualità caratteristiche, con le loro Imprese di riconosciuto valore; cosicchè Euripide crede suo compito cercare in loro un valore che le renda di nuovo fededegne. Per lui questa non è trasformazione arbitraria del mito; egli crede anzi di tornare alla vera essenza di queste figure, approfondendone i motivi spirituali e psicologici. · Egli svolge conseguentemente ciò ~he Es~hilo aveva iniziato: la realtà che il dramma n cerca e nel mondo dello spirito, e per far risaltare questa spiritualità, egli deve a sua volta ridurre le vicende a for81 me stilizzate c pure: egli crea così situazioni esasperate. dove tutto è teso verso un'azione decisiva, ma si sforza eli farle apparire naturali per mezzo eli un ambiente più vici•1o alla realtà e eli motivazioni psicologiche. La necessità eli rappresentare l'essenza dell'azione porta anche Euripide al gioco scenico, cioè a una realtà artistica che non è la realtà della vita. Anzi, a questa nuova forma di tragedia , che pur sembra più vicina alla realtà, la realtà della vita offre meno materia che non a Frinico e a Eschilo. I tentativi di una tragedia storica furono presto abbanrlo'1ati dai Greci, dato che il mito si prestava più facilmente che la storia a una interpretazione dello spirito umano e quindi al gioco scenico . E perciò il mito anche quando non fu più considerato realtà, rimase per loro il mondo della realtà artistica. E' nella tragedia che il mito ha perduto ogni rapporto con situazioni determinate. concrete. Esso non serve più , come nella lirica arcaica, alla rappresentazione di fatti della vita umana fissati nel tempo e nel luogo , quali vittorie, nozze, feste culturali. ma alla rappresentazione di fatti universali. E' evidente che così l'interesse della tragedia si sposta verso la filosofia, e non è lontano il momento in cui la problematica dell'azione umana di cui si occupa la tragedia si trasformerà in un problema di conoscenza, e Socrate pretenderà di risolverla attraverso la conoscenza del bene. Ma così la realtà viene concepita in senso totalmente astratto, e cioè come concetto teologico. Quello strato della realtà che celava in sè il significato delle cose sta di fronte alla realtà che questo significato accoglieva, nello stesso rapporto in cui l'universale sta al particolare. Euripirle è ancora lontano da questo momento , egli è poeta e non filosofo, egli vede la realtà in figure vive, non in concetti ; ma è attraverso le sue tragedie che possiamo comprendere perchè Aristotele 82 , iù filosofica rlella storia. afferma che la poesia e 11 BRUNO SNELL:La eu l tura gr e~·a e .le origini del pensiero europeo, Torino, Emaudl 1952, pp. 123- 147. 83 ~-----:___~, ~ Oreste, Elettra, Amleto Jan Kott Edipo è un uomo al qual h ucciso suo pad e anno detto che ha . re e sposato sua madre D conto d1 un passato eh , 1.1 · eve render addosso come quello d7 l~n al~~~· ~n~~e si gli casca ter gettare una manci . . n Igone, per pofratello deve . l tta di. terra sul cadavere del glie cio~ un a VIO are e leggi della città-stato. SceOreste pe"'resto dc~e la l~gge punisce con la morte. ' ven 1care 11 padr d . madre e l'amante di l . e, eve uccidere la eI. Quasi tu t te le grandi t a d. raccontate in due o tr f _ra,e Ie possono essere prattutto dell 't ~ r~sL_Son~,anzituttoeso nel senso '. ~ SI uazwm; Situazwni esattamente Situazionelr~ ~~ ~upeps~:tpoartolal;i:ne us_ata in teatro. ' ra eioe e Il mond t l eroe e altri personaggi· · Es1s . t e sempre al o, tra La traaedia di Ed. . . . presen e. cesso tutt~ Ed' .dipo Imz~a quando è già sue· Ipo eve arnvare a . . : l ~ l 1 ~~~~~-~~a:e~s{~t~;a;e~~~t~~~n ~e~i~~~o~~~r~h~ a!lora d,ecisione di seppellire il fra t tJl~on~IniZI~ con la s~a 0 se una scelta. La tragedia d. ~ · ssa h~ d.avant1 a suo arrivo a M' L I reste commCia con il Icene. o attende l' d . proprio com ito· il d . " _a emp1mento del "suo" d rtt p N· ehtto. altnu" che diventerà il sente e lh o. ella tragedia la situazione è al prero eh~ ~~iàa s~~t;a;~:~~s~~e k~ ?e~~rmidna e un futura t t ere dell'eroe· . : m Ipen ente dal cadall'esterno E' la .'t gh. VIene data, per così dire, . S! uazwne che definisce la t 84 rng~ l't l1 dia, non il personaggio di Antigone di Edipo o di Oreste. E' anche indipendente dal dialogo, che si limita soltanto a informarcene. La situazione precede la tragedia; ogni tragedia sembra soltanto essere nna delle sue attuazioni drammatiche. Le situazioni tragiche sono in un certo senso definitive e esemplari. E' possibile ridurle a un numero limitato e definito di schemi che possiamo chiamare strutture o modelli di base. Le tragedie scritte sono attuazioni differenti di questi modelli. Non si può capire un mito attraverso l'analisi linguistica dei documenti storici; non si può interpretarlo a livello di fonemi, morfemi, o anche di nnità semantiche superiori. Esiste al di fuori di esse, o meglio al di sopra, come la tragedia esiste al di fuo ri o al di sopra del dialogo. "Una tragedia greca senza parole", osserva giustamente Kitto, "Se ciò fosse possibile, sarebbe egualmente tragica, perchè il significato è·insito nella stessa struttura". I miti hanno un tempo storico e un tempo metastorico; un tempo che li ha visti nascere e una loro validità universale fuori del tempo. Sono intellegibili anche trasposti , da una lingua all'altra, da una civiltà all'altra, da un sistema religioso all'altro. Anche una situazione tragica ha un suo doppio tempo: il suo tempo storico e la sua validità universale. L'analisi strutturale ha una sua disciplina: comporta dei limiti all'interpretazione e una rinuncia ad assunti metafisici preliminari. E' un tentativo di costruire il modello e di definire le variabili. "Tutto queHo che deve essere sarà". Quasi tutti i teorici della tragedia hanno usato parole come "fato", "destino", "sorte". Hanno parlato della "necessità" come di un fattore costante della tragedia. E' indubbio che in quasi tutte le tragedie greche, come in quelle di Shakespeare o di Racine, il futuro, o più semplicemente lo scioglimento dell'azione, è sempre in un certo senso preannun85 ciato. o direttam.ente, con i ca'lti del coro, gli augu- ~' gli oracoli e 1 sogni profetici, o indirettamente I~postando il conflitto in modo tale da permetter~ CI d.1 pr~vederne la soluzione. II futuro incombe s~_gii eroi della tragedia, che ne sono CO''Sapevoli PIU che gli eroi di altre forme drammatiche. Intendo chiamare questa predizione del futuro una "previsione" che è un concetto neutro. I n~eteorolog1 prevedono il sole o la pioggia, il libecCIO o la _tramontana. Una previsione è una congettura: puo avverarsi o non avverarsi. Predice co•1~ un certo grado di probabilità che si può calcolare. Può a.vere un v~lore, tra "zero" e di "uno". Una previSI.one sbagliata e pur sempre una previsione. Defimamo nec~ssità una previsione con una probabilità u.guale o VIcina ad "uno". Improbabilità una previSIOne con un valore "zero" o vicino a "zero" . Nena . t. rage d Ia 1e previsioni si avverano, o non s'avverano m una maniera differente da quella che ci aspettia~ m o. . Ogni tragedia può essere considerata in tennim ?i. "insiemi": personaggi, azioni, avvertimenti. Si ~uo I~ qualunq~Ie momento scegliere in questo "inSI~me un particolare elemento, dopo di che tutti gh el.ementi rimanenti costituiscono, per usare un termme matematico, un "insieme complementare"· sono cioè "altri" rispetto a Oreste; Elettra o Arnie~ t o. ~ "Il destino" scrive G. Lukàcs in Sociologia del Dramma Moderno, "è ciò che arriva all'uomo dall'esterno". L'insieme complementare è il destino dell'eroe. La sua libertà è tale solo rispetto all'insie~~ complementare, rispetto agli "altri". E' una deCISIOne, un gesto, un'azione condotta indipendente~e.nte ~~ll'a~,ione d.e~~~ altri e per proprio conto. , LI berta ,. e . necessita esauriscono il rapporto tra l ~ro~ e lms1eme complementare. Se in una traaedia CI sono gli Dèi, essi fanno parte di questo insie- l 86 ,l me complementare. Se non ci sono.. se. la tragedial si svolge sotto un cielo vuoto, per msieme com p eentare si intendono soltanto le persone e 1 1oro ~~ti. E l'insieme complementare. non ~i .~à s~!,tanto per il protagonista della tragedw. Gli al t n non esistono solo per Amleto, Oreste o Edipo, ma per Ofelia, Clitennestra o Creante: anche per loro sono il destino drammatico. . . Ne segue la possibilità di almeqo due previ~I? ni differenti: una per l'insieme nella sua totahta, l'altra per l'eroe, i protagonisti o p~rsino l~ comparse. Le previsioni possono essere differenti o anch~ contradditorie. In fisica si fa una distinzione precia tra la predizione per l'insieme e quella per un so~ o elemento, tra quella per una serie di eventi e quella per un singolo evento .. Quando un so.lda~o geùa una bomba a mano posstamo calcolare Il diame tro del cerchio coperto dalle sue schegge, ~a 110 n p re v edere d o ve cadrà ogni. si1:gola sch.eggw. Nello stesso modo possiamo predtre Il tasso d1 m?rtalità di una regione, ma non il momento preciso della morte di unsingolo innividuo. In un microc os m o 1a predizione per una serie certa. mentre quella per un particolare elettro~e .- cioè ~e~la sua posizione o del momento in cu1 SI tr~v.e:a ~n una determinata posizione - ha una probab1hta vtcma a zero. Per dare un esempio ancora più semplice, nella roulette la probabilità che la pallina si fermi sul rosso 0 sul nero è pari al cinquanta per cento in ogni giro. Ma nella storia della rot~lette ~i Mo~t~car lo non è mai capitato che la palhna fimsse diciOtto volte consecutive sul rosso. E' tuttavia possibile calcolare la probabilità di questa serie che è e~atta~ mente pari a quella di ogni altra serie alternativa di rosso e d i nero. Immaainiamo che un giocatore punti i suoi ,soldi sul ner"'o diciassette volte di fila e che ogni vol87 li 1;1 lp l 11 ' ta la pallina finisca sul rosso . Al diciottesimo giro il giocatore punta ancora sul nero e la pallina finisce ancora sul rosso. In questo, per le leggi della probaII bilità, non c'è niente di insolito; prima o poi questa serie doveva pur uscire. Ma allora il giocatore? E' Le tragedie greche su Oreste e quell~ eli.sabetsuccesso a lui, a lui solo, a nessun altro che a lui, in . Amleto furono precedute da versJom anteuna breve serie di diciotto giri. E' stato il primo cui tJane su . · d. Aaamennosia mai capitato a Montecarlo. All'apparenza è per. . dello stesso intreccw. La stona l "' fettamente giustificato se protesta contro la catti- nonClitennestra, Egisto e Oreste è citata da on:ero ~:Ìl'Odissea; la saga da:l ese di Sa~·O Gram.maticus veria del fato. d ll'inizio del Xlll secolo è la pnma verswne coSe non è un matematico sarà molto difficile e · t a della storia di Amleto. Il raffronto tra convincerlo che si sono contemporaneamente reanOSClU < . . · · lizzate tre predizioni differenti. La prima che dop o uesti due testi è significatlv? ; cambt~no l noml~ q l "l ppo dell'azione e ah elementi fonclamen diciassette rossi uscirà di nuovo il rosso; la seconda ma o sv1 u . ':" che uscirà una serie calcolabile di diciotto rossi; la tali del dramma sono iclenttcl. Nell'Odissea Agamennone, parte.ndo _per la terza e l'ultima che lui stesso, giocando a Montecar. Trol·a lascia a Micene la moghe Chtennelo, punterà diciotto volte sul nero perdendo diciotauer ra dl "' 11' T to volte. Quest'ultima predizione avrà ovviamente ~tra. Egisto, suo nipote e vassallo, torn_a da esi l? e una probabilità minima. La "cattiveria del fato" .. 1Paclronisce ciel trono e della regma. Alla ~me ~e~~ auerra Agamennone ritorna e viene assassmaqui non è altro che lo scontro tra due differenti set eia"'Eaisto e dalla sua guardia ciel co.rpo . Passano rie di probabilità, una che riguarda il meccanismo e il giocatore, l'altra il mondo e l'eroe tragico. s~tte an"'ni. Torna dall'esilio il figli? dl Agame~mo~ Facciamo un altro esempio. Se c'è una guerra ne Oreste, e uccide Egisto. 9uale sta la sorte cl l Ch. e se nella guerra muore della gente, qualcuno deve \ teJ~nestra non è chiaro, ma Il banchetto funeb.re SI pur essere l'ultimo a morire. Noi in genere considecelebra sia per Egisto che per lei: "Oreste glonos~ . riamo particolarmente tragica la morte dell'ultimo ammazzò l'assassino del padre ... E cio p? ave~ ? ~mmazzato, cena funebre celebrò co~ gh,ArgJVI, soldato. Ora la predizione della guerra contempla la morte del primo soldato come dell'ultimo. Ma per er la madre odiosa e per l'imbelle E.glsto. (Odzsil singolo soldato la predizione di essere l'ultimo a ;ea, libro III, 306 segg. Tr~duzione dl Rosa Ca_Jzec~ morire ha una probabilitàinfinitesimale di verificarchi Onesti, Torino , Einaudt 1963). Qua~1do pol Me si. Di qui la tragicità del caso dell'ultumo a morire, nelao ritorna con la flotta e con il b_ottmo r~ccolto a Troia, a Micene si ristabilisce l'ordme e la ncchezcome se con lui il fato fosse stato particolarmente za. Nessuno obietta all'impresa d; Or.este. On:ero la cattivo. Ancora una volta si sono scontrate due se"dl.VJ·na" e Nestore nell Odzssea la Cita co. . rie differenti di probabilità: quella riferita alla guerd e f 1msce · ·t 1 me esempio a T e\emaco ,. soll~citandolo ~ lml ~r ~ ra e quella riferita a un individuo con un nome e un in modo che " ci sia chi tl lodi ancora fra l tar~l n~ cognome. E ' una situazione tragica e insieme poti". (Odissea, libro III, 200). Oreste eredlta 11 un'opposizione tragica. l 88 trono. 89 Nella saga danese il coraggioso vichingo Horwendil uccide il re di Norvegia e sposa la fidia del re di Danimarca che gli dà un figlio. Amletl;. Horwe n d i l viene poi proditoriamente assassinato dal f~atello Fengo che ne sposa la vedova e s'impadronisce del trono. Il giovane principe Amleth va in esilio. Poi Fengo dà ordine di ucciderlo. Ma Amleth sfugge alla mo '·te. ritorna e uccide Fengo. Diventa re e per qualche tempo si ristabiliscono in Danimarca l'ordine e la ricchezza. Quale sia stata la sorte della madre di Amleth, Geruth, il cronista danese non lo elice. la ignora come Omero ignora la sorte di Clitennestra. C!itennestra divenne per la prima volta un personaggiO drammatico tra il VII e il VI secolo a.C. nelle liriche collegate all'oracolo di Delfi. In esse partecipa all'assassinio di Agamennone. o è lei stessa a ucciderlo. e viene a sua volta ammazzata da Oreste. Il quale Oreste non è più solo: compare accanto a .!:Ii la sorella Elettra. Egli diventa dunque un matncida e come tale deve essere punito. Esistono v~rsioni diverse di queste Orestee, ma in ognuna appaiono le Erinni. Oreste viene difeso da Apollo e perseguitato dalle Furie. Ne sarà tormentato fino alla fine dei suoi giorni o finirù purificato. Ma non regnerù mai a Miccne. Nella versione delfica deii'Orestea viene abbozzata per la prima volta un'opposizione tragica. Prima c'era soltanto una sequenza indiscussa e ininterrotta di vendette familiari. Oreste ere d it ava il trono e la storia finiva lì. D'ora in avanti le storie sono due: quella della vendetta per la morte di un padre e quella della responsabilità. La situazione di Oreste diventa centrale e assume un 'importanza determinante. L'epica e la lirica ha'lno soltanto un tempo: il passato. Sono una storia raccontata, una storia che è già avvenuta. La tragedia comincia con la divisio- 90 ne deii'Orestea in due tempi: ciò che è stato e ciò che è. Oreste arriva a Micene all'Alba e uccide Clitennestra e Egisto al tramonto dello stesso giorno. La roulette gira costantemente: ha un passato, un presente e un futuro . La tragedia è al presente. Ogni opera drammatica esiste al presente , ma la tragedia in più rievoca il passato e predice il futuro. E' un presente sospeso tra u ., passato definito e un futuro definito. L'Orestea di Eschilo è una trilogia (Agamennone. Le coefore, Le Eumenidi) e ha quindi tre presenti: la situazione di Clitennestra prima dell'uccisione di Agamennone, la situazione di Agamennone prima del compimento della vendetta, la situazione dello stesso Oreste dopo questo atto. Ogni parte della trilogia predice la successiva. Le Erinni tormentano Oreste per l'assassinio della madre. Ne Ile Coefore è lui solo a vederle. Ma non sono prodotti dalla sua immaginazione. "Non vani fantasmi mi straziaqo: le rabide cagne di mia madre sono queste: le vedo! " (trad. di Manara Valgimigli). Nelle Eumenidi sono fisicamente presenti sulla scena e puzzano di sangue. In Sofocle c'è soltanto un presente, quello in cui vivono Oreste c Elettra. c h c rimarranno sempre in questo presente come due cadaveri. Le Furie non servono. Non c'è continuazione. Alla fine c!eli'Elcttra di Euripide le Erinni sono sostituite dai Dioscuri. Castore e Pollucc, che appaiono in un ca 1 estro. E raccontano ai matricicli terroJizzati che sono stati vittime eli un errore: Zeus non voleva che il delitto venisse commesso. E' stato tutto uno sbaglio e un malinteso sin dall'inizio. Gli dèi prendono in giro gli uomini. La guerra di Troia non era necessaria, perchè Elena non ha mai messo piede a Troia: gli dèi l'avevano portata in Egitto ad aspettare il ritorno di Menelao. Ifigenia, la figlia maggiore eli Agamennone. non è stata sacrificata a Artemide: all'ultimo momento 91 - - - - -- - - - - - - - - - - -- - - - - - -- -- - - - - - -- - - - - - - - - - -......;;;;;;;;;;;;;;;::,;;:::;;;:;;:::==---------~·-----~---------·---------. gli dèi l 'hanno salvata e l'hanno portata via. L'Orestea viene così investita d'ironia e privata di mistero. La predizione tuttavia si realizza: Oreste ha ucciso e, secondo la profezia dei Dioscuri , sarà tormentato dalle Furie fin quando il Consiglio cl eli' Areopago. come in Eschilo, lo monderà da ogni colpa. Predizione significa informazione. Abbiamo dunque , come sempre, un trasmittente, un ricevente e un messaggio comunicato. Solo che in questa tragedia la situazione è eccezionale: il ricevitore agisce in buona fecle, il messaggio comunicato è vero, ma il trasmittente si rivela falso. "E' stato un demone nelle forme clel dio che mi ha parlato?" (trad. di Carlo Diano) dice Oreste in un improvviso accesso di dubbio. In ogni caso Apollo non aveva il diritto di spingere i figli eli Agamennone a un nuovo delitto. Nell'epilogo Castore dichiara autorevolmente dal suo canestro: "E' su Febo che faccio ricadere la colpa di quest'opera di sangue." E' un esempio di divina ironia tradotta nel linguaggio della teoria delle comunicazioni. Nel trattamento di Shakespeare tutte le predizioni vengono realizzate, ma per la prima volta Oreste-Amleto muore. Il ciclo clelia vendetta si è c h i uso. Come Menelao nell' Oriisseà, Forte braccio arriva a Elsinore e vede i cadaveri. Ma il suo arrivo significa che nella Mi cene danese verranno rista biliti l'ordine e la giustizia? Questo non lo sappiamo. Per il momento, comunque, asteniamoci da qualsiasi interpretazione. Dobbiamo prima estrapolare gli elemen ti che restano invariati nelle diverse versioni clell'Orestea, vale a dire la sua struttura di base. C'è la catena dei tre morti: Agamennone. Ciit e nnestra e Egisto, ai quali corrispondono il vecchio Amleto, Gertrude e Claudio. In Sh akespeare la morte di Gertrude è casuale, forse un suicidio, ma 92 la natura della sua morte non modifica la struttura. La situazione di base dell'uomo è che deve morire. Il tipo di morte non cambia la natura essenziale dell'esistenza umana: in ultima analisi, non è importante. Ciò che conta è che dobbiamo morire, non la maniera in cui moriremo. E' tuttavia importante l'ordine in cui avvengono le morti. In Eschilo viene ucciso prima Egisto, poi Clitennestra: in Sofocle prima C!itennestra, poi Egisto; in Euripide, prima Egisto, poi Clitennestra: in Shakespeare muore prima Gertrude. poi Claudio. L'assassinio di un usurpatore chiude il ciclo della vendetta familiare; ma l'uccisione clelia madre, come seconda vittima, alla fine della tragedia assume una particolare crudeltà. L'assassinio di Egisto chiude le tragedie dominate dal motivo della vende t t a; l'assassinio cl i Cii tennestra bolla Oreste di m a t ricicla. In questo modello di tragedia ci sono due conflitti e due temi. Un altro elemento della struttura è la divisione tra ciò che è stato e ciò che è. L'azione drammatica delle Coefore. delle due Elettre e di Amleto inizia con il ritorno di Oreste-Amleto, ciò che è stato è la storia della famiglia e la catena dei delitti che si sono succedu ti attraverso le generazioni, la storia dei re che uccidono e che vengono uccisi. In Eschilo la storia comincia con gli Dèi e con i loro discendenti umani. E' una teodicea che diventa storia, iniziando con il delitto di Tantalo e chiudendosi con la convocazione del!' Areopago. Il passato è una predizione dell'intero insieme e del destino drammatico di Oreste. Ma nella situazione di Oreste è insita un;altl"a predizione, quella della responsabilità e del castigo. Essa è al presente ed è quindi una situazione eli scelta: uccidere o non uccidere. Uccidere è la predizione dell'insieme. Tutto il resto, tutti i rapporti tra Oreste-Amleto e il mondo, tra Oreste-Amleto e gli altri è modificabile. 93 A differenza del Partenone, Micene non era eli m armo bi a neo. Il palazzo reale della maledetta schiatta di Atreo era fatto di enormi blocchi di pietra rossa e grigia e sorgeva in cima a una montagna oggi brulla: non ci sono né alberi, né cespugli, ma solo ciuffi d'erba gialla bruciata dal sole. Anche nelle prime ore del mattino le pietre fumano come forni roventi. L'aria è soffocante. La tomba eli Agamennone è in basso. parecchie centinaia eli gradini nella montagna. E' una camera sormontata da una grande cupola a cono. Le voci riverberano dalle pareti e ritornano con echi molteplici. Vi si entra come nella notte. l n tutte queste tragedie è presente il padre. Oreste sacrifica una ciocca eli capelli sulla tomba di Agamennone. Clitennestra ha paura della tomba. In Euripide Egisto la odia e la prende a sassate. In Eschilo è presente , in forma di tumulo, sulla scena. Se destino è "ciò che arriva dall'esterno" , in Eschilo. come in Shakespeare, il primo posto dell'insieme complementare è occupato dal padre. In Amleto è addirittura un personaggio che interviene due volte nell'azione. "O terra, riportami su il padre a dirigere la battaglia! " (Le Coefore). Anche il più antico degli Amleti vuoi passare al padre il fardello delle responsabilità. In termini drammatici il destino è una pressione esercitata sull'eroe. Nelle Coefore il coro incita Oreste ed Elettra sin dalla prima scena: CORO - E contro i colpevoli dell'uccisione. .. ricordati, ricordati ... ELETTRA - Che debbo dire? Istruiscimi, io non so, guidami. CORO- Che contro costoro qualcuno venga, o dio mortale. ELETTRA - Giudice dico , o giustiziere? CORO - Ah, di/lo senz 'ambagi: uno che ricamhi morte con morte. 94 Gli eroi esistono sempre al presente. ma in Eschilo il coro incorpora tutti i tre tempi: passato. presente e futuro. E' la memoria del passato presente sulla scena: una memoria che evoca costantemente tutti gli anelli della catena del delitto e predice la ripetizione del ciclo della vendetta. In Sofocle e in Euripide lo compongono le amiche di Elettra e le donne di Micene: in Eschilo le troiane prigioniere. Il loro odio per Clitennestra e Egisto ha una motivazione drammatica: ricordano infatti la distruzione eli Troia che è il loro passato . Quella della casa eli Atreo sarà la loro vittoria. I n Eschilo il coro è un a t t ore cl ella tragedia: nelle due Elettre sarù soltanto un testimone e un commentatore. In Sofocle ha ancora paura del tiranno: sono contadine spaventate e quasi reali. In Euripide è più lirico. l suoi ca 1 ti. come quelli eli Brec ht. si pongono a un altro livello. fuori dell'azione. Nella tragedia il passato deve essere presente. Il 11raesens di Oreste dura dall'alba al crepuscolo: con Clitennestra. ha soltanto un incontro. nella sce- . na in cui uccide . La funzione del coro viene assunta da un :1 uovo personaggio.Non 0 È l~tt.ra che tH:' sarù la presenza viva sulla scena. Oreste è colui ci-le uccide. L'Elettra di Sofocle è quella che ricorda e non può uccidere. ELETTRA: A miche, mi vergogno se vi sembrano esagerate le mie lamentc!e. perdonatemi. La realtà mi ci obbliga. Una donlUI che ha un minimo di dignità di .fi·onte alle disgrazie della casa 11atema. non si co1111JOrterebbe come me") Disgrazie che vedo crescere ogni giorno e ogni notte non accennano mai a diminuire. Con quella che mi !w messa al mondo , con mia madre, ·l 'odio si inas1Jrisce sem1Jrc' {Ji!Ì; llli tOCCa COahitare nel tJalaz zo CO/l 95 gli assassini di mio padre; e mi danno ordini, e dipende da loro persino il mio sostentamento. E poi, secondo voi, che giornate passo quando vedo Egisto installato sul trono di mio padre, e mi accorgo che indossa le sue vesti e che offre libagioni presso il focolare dove l'ha ucciso? E, l'oltraggio peggiore, dorme al posto di mio padre, con quella miserabile di mia madre, se posso chiamare madre una che va a letto con lui. (Trad. di Umberto Albini) Elettra è figlia di re, privata di tutti i privilegi della sua nascita e della sua condizione. In Sofocle è costretta a rimanere zitella. In Euripide l'hanno privata della posizione sociale che le spetta, l'hanno obbligata a sposare un uomo che le è inferiore, l'hanno insomma alienata nell'accezione letterale, fisica del termine. E' stata messa in una situazione obbligata, costretta com 'è alla scelta fondamentale tra l'accettazione totale e il rifiuto total e : accettare cioè la propria sorte o rifiutarla; accettare un mondo in cui sua madra ha ammazzato suo padre o respingere questo mondo con tutte le conseguenze che una tale decisione comporta. Nella discussione di Elettra con la sorella Crisotemide, come in quella di A1tigone con la sorella " Ismene, vengono alla luce tutte le grandi opposizioni: la fedeltà ai morti e la fede! tà ai vivi , la rivolta contro l'autorità e l'obbedienza ai potenti, la rinuncia e il compromesso . Si chiede a Elettra di dimenticare , ma lei è quella che ricorda. La sua memoria è la presenza del passato e la predizione della vendetta. Non è solo che Elettra inciti Oreste alla vendetta: è la sua situazione che fornisce il movente psicologico al gesto. Oreste deve uccidere. L'azione drammatica di ogni commedia chiede di rimandare 96 il momento dell'uccisione: l'introduzione del personaggio di Elettra crea la necessaria suspense. Si può definire con esattezza il punto in cui nell'Amleto di Shakespeare inizia l'azione di Oreste. E' alla fine della I scena del V atto, quando Amleto salta nella tomba di Ofelia. Elettra è "apparentemente viva", Oreste "apparentemente morto" . Anche Amleto è apparentemente morto: il suo balzo nella tomba di Ofelia, come la discesa di Laerte nella stessa tomba, non sono soltanto una situazione teatrale, ma il segno teatrale di una morte apparente e il preannuncio di una morte reale. A partire da quella scena, Shakespeare mantiene l'unità di tempo e di luogo. La previsione si avvera. Ciò accadrà presente tutta la corte, che, come un coro greco, assume la funzione del testimone. Si avvererà in U'1 modo solenne, con tutto il cerimoniale di corte, con il rituale di un duello e la liturgia di un funerale , con squilli di trombe e rullii di tamburi. Il cadavere di Amleto sarà portato via, quelli di Claudio e Gertrude rimarranno in scena come in una tragedia greca. La costruzione drammatica di Amleto si basa, alla greca, sul principio del ritardamento. Secondo le interpretazioni classiche, sono le esitazioni di Amleto che creano la suspense drammatica ; egli è troppo debole per assumersi il peso dell'azione. Ma queste interpretazioni paiono insufficienti. Le "esitazioni" di Amleto derivano non dal suo carattere ma dalla sua situazione. Dalla fine della I scena del V atto Amleto è nella situazione di Oreste, dopo essere stato nei primi quattro atti nella situazione di Elettra: privato dei propri diritti, soggetto all'assassino di suo padre, minacciato, come lei, di esilio o di morte. In Sofocle: " Se non la finisci con i tuoi piagnistei, sono cteciso a spedirti in un posto dove non arriva la luce del sole". Le somiglianze non sono soltanto al livello e97 sterno dell'azione. La sostanza psicologica di entrambe le Elettre - Sofocle e Euripide- è il conflitto tra figlia e madre;. il rifiuto di accettare una madre che è stata complice di un delitto e ha tradito il padre. Il dramma di Amleto nasce da un analogo rapporto con la madre. A Amleto, come a Elettra, la madre chiede di dimenticare; ma Amleto, come Elettra, è tutto memoria ostinata. L'Elettra di Sofocle si lamenta della madre con il coro: "Perchè questa donna, civilissima in apparenza, mi schernisce brutalmente quando si rivolge a me? 'Odiosa, mostro, avrai perduto il padre solo tu! Non c'è nessun altro in lutto?' ". Lo stesso in Shakespeare: GERTRUDE:_Mio buon Amleto, liberati di quel tuo colore di notte e guarda con occhio amico il re di Danimarca. Non cercare sempre con le palpebre abbassate il tuo nobile padre nella polvere. E' sorte comune, lo sai: tutti quelli che vivono devono morire, passando attraverso la natura dell'eternità. AMLETO: Sì, signora, è sorte comune. ( .. ). CLA UD/0: ... E' un 'offesa al cielo, è un 'of ·fesa al morto, è un 'offesa alla natura. E . per la ragione è del tuo assurdo, quando per essa è tema abituale la morte dei padri ..-. Amleto, come Elettra non intende accettare un mondo nel quale un usurpatore e un assassino occupa il trono e il letto di suo padre. "Un atto sanguinario, sì! Quasi, mia buona madre, quanto uccidere un re e sposarne il fratello! " Le due Elettre, la tragica eroina di Sofocle ermeticamente imprigionata nel suo odio e la piccola criminale di Euripide, · nevrotica e sessualmente frustrata, si considerano figlie solo del loro padre. E le due Clitennestre lo capiscono benissimo. In Sofocle: "Tu hai 98 sempre in bocca tuo padre e nient'altro." In Euripide: "Figlia, il tuo cuore è sempre con tuo padre: Sei nata così. E' una· cosa che accade spesso. Cert1 · tengono dalla parte del padre ... " Le due Elettre, come Amleto,sono perennemente tormentate e umiliate non tanto dall'uccisione di un padre quanto dall'immagine di una madre che va a letto con un altro. Elettra di Sofocle, grida in faccia a Clitennestra: "Spiegarhi perchè ti stai . comportando nel modo 'più ignobile, perchè dormi con un criminale ... " Quella di Euripide grida la sua protesta alle donne del villaggio: '~E io ora_ ne~l~ casa di uno che lavora con le mam ... passo 1 m1e1 giorni e sento la vita che a poco a poco si sfa. Ma mia madre ha come sposo un drudo nel letto dell'assassinio." Amleto nella scena del salotto le chiede solo una cosa: "Buonanotte. Ma non andare nel letto di mio zio ... Fanne a meno questa notte." L'Elettra di Sofocle s'identifica così completamente con il padre, che per le la madre non è più madre: ''Mia madre? Di' piuttosto la mia padrona! " Amleto ripete le sue parole quasi alla lettera: "Tu sei la regina, la moglie del fratello di tuo marito· e - così non fosse - mia madre." ' Dalla situazione di rifiuto, comune a Elettra e Amleto, segue la scelta successiva, tra il suicidio e la vendetta. Anche questa scelta è obbligata, imposta, per così dire, dall'esterno. L'ordine mora~e è stato violato: bisogna ristabilirlo o congedarsi da questo mondo. E' una scelta che nei primi quattr~ atti né Elettra né Amleto osano fare. Incombe su d1 loro ma loro la evitano. Si sentono troppo deboli. "Chi vive tra i mali.altri mali commette" (Elettra di Sofocle) ricorda la famosa battuta di Amleto al termine del I atto: "Quale dannato fastidio che proprio io sia nato per rimettere tutto in ordine! " E' così essenziale, La scelta infatti concerne la consapevolezza, non l'azione. Amleto può discuter99 ne solo con se stesso; l'Elettra di Sofocle ne parla al coro, ma in realtà parla a-nche lei a se stessa. Il lamento all'annuncio della presunta morte di Oreste ricorda nel tono, nel tema e persino nello stile uno dei maggiori monologhi di Amleto: "Sono sola, orfana di madre e di fratello; e dovrò essere di nuovo una schiava nella casa di chi mi odia di più, di chi ha scannato mio padre. Che destino stupendo! No , nel palazzo non entrerò mai più ... E' una fortuna per me essere uccisa; una calamità venir risparmiata: non ho più voglia di vivere." Nei primi quattro atti Amleto è nella situazione di Elettra e ha davanti a sè le scelte che Elettra non ha fatto. Ma che accade in questo modello di tragedia allo spazio vuoto nel quale era stata Elettra? Oreste-Amleto agisce al livello della grande predizione; Elettra- ripetiamo- fornisce al suo atto un movente drammatico e psicologico. "Gli altri" per Oreste sono anzitutto e soprattutto Elettra: per Amleto anzitutto e soprattutto Ofelia. Che, come Elettra, è figlia di un padre assassinato. Ofelia è un'Elettra che è passata per la pazzia e ha scelto il suicidio. Le opposizioni- Oreste-Elettra , Amleto-Ofelia - sono soggette a modifiche pur co ·'servando gli stessi segni contrapposti. Amleto è apparentemente pazzo, Ofelia impazzisce veramente. In Eschilo e in Euripide Oreste impazzisce dopo il delitto; in Sofacie abbiamo, come dice Duvignaud, un Oreste sonnambulo che uccide come se fosse in trance. L'Amleto di Shakespeare e i suoi predecessori delle saghe nordiche fingono di essere pazzi e a volte lo sono realmente. Naturalmente la parola e il concetto di pazzia possono indicare stati e situazioni differenti. Per i greci sembra che la pazzia fosse soprattutto un segno liturgico o rituale collegato agli dèi. C'erano due tipi diversi di pazzia: uno mandato da Apollo, 100 l'altro dalle Furie. La stessa distinzione ricompare nel Medio Evo e la si può ritrovare anche nella tradizione rinascimentale: ai pazzi di Dio si contrappongono quelli posseduti dal diavolo. Ma pazzia ha a ' ~che un terzo significato. Non è solo Elettra che è pazza e vuoi essere pazza (' ' Lo so , mi rendo conto del mio stato di furore , ma nella situazione così com'è, finchè campo, non reprimerò la mia insania". (Elettra di Sofocle); E' considerata pazza anche Antigone e il Prometeo eli Eschilo a Ermes che lo ha trattato da pazzo , risponde: "Sì , se odiare i nemici è una pazzia" . Chi si ribella all'autorità, ai re, chi antepone la propria fedeltà ai morti ai propri doveri verso i vivi, chi si rifiuta di accettare il mondo, è pazzo. Pazzia dunque può significare una di queste tre cose: consacrazione, punizione, ribellione. Anche il fool è pazzo. La tragedia greca, salvo qualche eccezione in Euripide, non conosceva il personaggio del buffone tragico: fu Shakespeare a introdurlo nella tragedia. Non esiste buffone eli corte in Amleto, ma lo stesso Amleto assume davanti agli altri il ruolo del tragico fool e vede se stesso nello specchio del clown. La pazza Elettra è la sorella di Oreste, La pazza Ofelia è la sorella eli Laerte. Nel sistema speculare shakespeariano, Laerte è il riflesso, o "il doppio" di Amleto. Anche lui vendica la morte del padre ed è per mano sua che muore Amleto, trafitto da una spada avvelenata. Il rapporto tra Ofelia e Amleto è sessuale, ma nelle saghe nordiche - come ha notato per primo Gilbert Murray - l'amante di Amleto era anche la sua sorella di latte. Nei miti e nelle tragedie le coppie sono spesso legate da questo doppio rapporto, di amanti e di fratello e sorella. Per suo fratello l'Elettra di Sofocle è più di una madre, più di una tutrice, forse anche più di una sorella. "Tu non eri il prediletto di mia madre, ma il mio; non ti hanno allevato loro, ma io, io, la sola che tu chia101 massi sorella". E il suo atteggiamento nei confronti del fratello è quasi erotico: "Mi hai ucciso, fratello mio amatissimo, accoglimi almeno con te, un nulla accanto al tuo nulla; voglio stare per sempre con te, laggiù. Abbiamo condiviso tutto quando eri vivo: .-desidero, morta, giacere presso di te nella tomba." L'indicazione di un incesto mai consumato che incombe sui due personaggi è ancor più evidente in Euripide, dal primo incontro nel quale Elettra, che non ha riconosciuto Oreste, teme ingiustificatamente che lo straniero intenda violentarla, sino all'addio conclusivo, prima di separarsi per sempre da lui: "Abbracciami, avvicina il tuo cuore al mio cuore, fratello amato. La maledizione del sangue della madre ci allontana dalle case paterne". Oreste ed Elettra possono essere uniti solo nella morte comune o nel comune spargimento di sangue. Tuttavia l'ambiguità del loro rapporto sembra intenzionale. In Eschilo, nel momento decisivo, quando Oreste esita a uccidere la madre, prende la parol'a Pilade, per la prima e ~ica volta, chiedendo di colpire in nome dell'obbedienza alla volontà degli dèi. In Sofocle, quando Oreste ha un analogo momento d'esitazione, e si odono le urla di terrore di Clitennestra, è Elettra che urla, al culmine del suo delirio: "Colpiscila ancora, se puoi! " Si unisce così a Oreste con il sangue della madre, anzichè con il proprio. III Il delitto di Micene non era soltanto un affare di famiglia; la vittima era un re, un sovrano. Di conseguenza non era solo una violazione dei vincoli familiari, ma la presa del potere di un usurpatore. Nella tragedia le situazioni esemplificano sia contrapposizioni morali sia conflitti politici, nel senso letterale della polis greca, città e stato. Per questo 102 Tebe viene colpita da una pestilenza a causa · dei delitti di Edipo, e Micene è condannata dalle colpe della casa di Atreo e "c'è qualcosa di marcio nello stato di Danimarca" dopo l'assassinio del padre di Amleto. La figura del re è caratterizzata· da una doppia contraddizione. Fa parte della comunità, ma nello stesso tempo ne è al di fuori; è un uomo come gli altri ma è anche una figura sacra. I re delle tragedie greche fanno risalire agli dèi le origini della loro schiatta; i re cristiani sono gli unti del Signore. E anche quando sia stata smontata la sacralità del potere regale, resta la trascendenza della storia. I delitti compiuti a livello del trono comportano non solo una violazione dell'ordine morale ma una catastrofe per lo stato. Nelle due Elettre Egisto è un tiranno; dopo il delitto di Elsinore "la Danimarca è una prigione". Quando, nelle Coefore , Clitennestra sale di corsa le scale del palazzo dopo l'uccisione di Egisto, invoca a gran voce Jna scure. Vuole difendersi. Vuole la stessa scure che le è servita per ammazzare Agamennone. Nella trilogia di Eschilo la scure è un segno teatrale del ciclo delittuoso. . Io ho visto scuri dell'epoca della guerra dt Troia nel museo di Eraclio. Sono doppie scuri di bronzo pesante, abbastanza simili alle alabarde medioevali. Con un filo di lama di queste armi si uccide, con l'altro si viene uccisi. Clitennestra è la prima personificazione dell'unità tragica tra carnefice e vittima. Nell'Elettra di Euripide l'azione, per la prima volta non si svolge davanti al palazzo di Atreo, ma in u~ villaggio alle porte di Micene, davanti al misero tugurio del marito di Elettra. Gli eroi non sono eroici. Oreste è un vagabondo qualunque. Elettra è · stata data in moglie a un contadino perchè non possa generare dei principi. Tutte ie motivazio~i sono dirette, psicologiche, realistiche. Elettra odta 103 la madre non tanto per la morte del padre quanto per le proprie umiliazioni. Questo odio oscura tutto il resto. Clitennestra è invece molto umaha. Si lamenta delle passate infedeltà di Agamennone e accenna alle infedeltà di Egisto. Ha paura dell'amante, ma ha ancor più paura del ritorno di Oreste. Vuole soltanto vivere. Le grandi origini e l'oracolo di Delfi sono qui molto più indietro, prima dell'inizio dell'azione, fuori della tragedia vera e propria. Il "destino" di Oreste è il ruolo che gli è stato imposto. Deve uccidere perchè si chiama Oreste. Quando Elettra lo incita al delitto, rabbrividisce. Vuole soltanto farla finita al più presto. In seguito diventano due bambini spaventati. Hanno ammazzato la madre , ma non sanno bene perchè. La predizione si è avverata, ma il suo senso, la sua validità, la sua necessità vacillano ancor prima che gli ironici Dioscuri, Castore e Polluce, calino in un canestro dal tetto del palazzo. . In Shakespeare, come nella tragedia'greca, tutte le predizioni si avverano. Come quella di Eschilo e di Euripide, le sue tragedie si chiudo ~o con un ritorno alla legalità, ma la "necessità", il "destino", persino la "legalità" vengono revocate in dubbio. La predizione di Amleto è fatta dallo spettro di suo padre. La predizione dell'insieme, di tutti gli avvenimenti, è già nel racco-nto di Orazio della I scena del I atto. Il vecchio Amleto, re di Danimarca, ha ucciso il vecchio Fortebraccio, re di Norvegia, in un duello per risolvere una questione di frontiere. In seguito Claudio ha avvelenato il vecchio Amleto, ha sposato sua moglie ed è salito sul trono danese. Cosa possiamo aspettarci? Evidentemente la prognosi è un ciclo di vendette feudali che comprenderà l'uccisione di Claudio e di Gertrude per mano di Amleto. Anche il giovane Fortebraccio ha dei conti da regolare. La stessa prognosi prevede 104 ]'uccisione di Amleto per manò del figlio del vecchio re di Norvegia ucciso in duello. Il giovane Fortebraccio deve diventare re di Danimarca. E' questa la sovrastruttura dell'azione nell'Amleto di Shakespeare. In tutte queste prognosi è azzeccato solo l'ordine delle morti. Il regno del giovane Fortebraccio dovrà essere preceduto da quattro morti. Il vecchio Amleto è stato ammazzato prima che cominci l'azione. Quando il rullo dei tamburi annuncia l'arrivo di Fortebraccio ci sono tre cadaveri in scena. Le morti di Claudio e di Gertrude sono una ripetizione dell'invariata struttura della tragedia di Oreste. Ma Amleto è sin dall'inizio la storia di un ciclo di vendette e della sua conclusione. Perchè il ciclo si possa chiudere, bisogna che il giovane Fortebraccio salga sul trono danese senza spargimenti di sangue. Perchè questo possa accadere, bisogna che Amleto muoia senza essere stato ucciso da Fortebraccio. Prima eli morire egli deve vendicare il padre, ma senza macchiarsi di matriciclio o anche di un delitto consapevolmente premeditato. Qual è la scelta che deve fare? Si può dare una risposta apparentemente semplice: può uccidere o non uccidere, vendicare suo padre o andarsene da Elsinore. Nel Breviario di estetica teatrale (trad. di Renato Mertens in Scritti teatrali, Torino, Einaudi 1962) Brecht dice che Amleto non riesce ad applicare "La nuova logica appresa all'università di Wittenberg. Essa non fa che intralciarlo negli intriahi feudali ai quali è ritornato. Di fronte a una ~rassi illogica, la sua logica è del tutto priva di senso pratico. E della contraddizione fra un tale raziocinio e un'azione così diversa, egli cade tragicamente vittima." Il ragionamento di Brecht è giusto solo in parte. La vera scelta che Amleto deve. fare è un po' diversa. Può e deve scegliere tra l'Amleto che ucci105 derà e quello che non ucciderà. E' in una situazione coatta che comporta due possibilità imposte entrambe dall'esterno. Nessuna gli appare accettabile. Lo alienerebbero entrambe dalla società, o come uomo che ha ucciso o come figlio che non ha vendicato la morte del padre. L'Oreste di Euripide formula questa contraddizione tra i doveri proprio come se avesse letto Hegel: "Che dovevo fare? Opponi due ragioni a due altre." Amleto non può né accettare di scegliere, né andarsene. Non potrà mai più essere di nuovo se stesso, cioè I' Amleto di prima che non era costretto a fare una scelta impossibile. Di qui l'idea del suicidio come unica scappatoia. Nessuna delle parti che gli sono imposte è sufficientemente giustificata, nessuna è autentica. La sua libertà è iiiusoria, nel senso che si può decidere di non ammazzare, ma questo significherebbe scegliere una delle due parti. A differenza di Oreste, Amleto non accetta di scegliere. Sarà tuttavia costretto a farlo, costretto dagli "altri". "II destino è ciò che arriva dall'esterno." II "destino" che obbligherà Amleto a vendicare suo padre è uno scontro di spade, una delle quali è avvelenata. II vino avvelenato destinato ad Amleto è anche il "destino" di Gertrude. La "necessità" è una serie di fatti casuali, nella quale non esiste trascendenza. Di tutte le predizioni possibili quella che Amleto morirà e vendicherà suo padre in questo modo sembrerebbe la meno probabile. A Strattford, nell'autunno del I 965, David Warner ha recitato Amleto con la regia di Peter Hall. Quando tutto si è chiarito - quando cioè il duello è finito, Gertrude è morta e Laerte ha scoperto l'inganno di Claudio - Amleto afferra il re, Io butta per terra, gli getta in faccia il vino avvelenato e poi, lentamente, gli versa nell'orecchio il resto del veleno. Secondo questa interpretazione, uccidendo 106 Claudio esattamente nello stesso modo con cui Claudio uccise suo padre, Amleto attua la predizione in modo rituale. In Eschilo , dopo aver ucciso Clitennestra, Oreste mostra al coro la rete insanguinata che lei aveva gettato su Agamennone nel momento dell'assassinio. In Sofocle Oreste trascina Eecristo nel luogo dove è morto Agamennone ed è lì che Io ammazza. Amleto muore. Aveva preparato una trappola con la quale voleva prendere l'assassino del re. Ma è il mondo - gli "altri" - che si è rivelato la vera trappola. E ne è stato preso lui. Non poteva evitare di scegliere ; è stato intrappolato suo malgrado. NelIo spettacolo di Hall pronuncia le sue ultime parole e ride. Ride a lungo. Gli è rimasta soltanto questa terribile risata. Che è il suo rifiuto di identificarsi con la parte eli Oreste, quella che gli è stata imposta, cioè con I' Amleto che ha ucciso perchè la grande predizione prevedeva che Io avrebbe fatto. Nella versione di Shakespeare, perdono tutti. Claudio agisce sforzandosi sempre di pervenire al massimo dell'efficacia ; prima cerca di conquistare Amleto, poi di levarlo di mezzo, infine di ucciderlo. E muore. Polonio segue Io stesso schema : vuoi · sondare le intenzioni di Amleto, renderlo innocuo, magari anche dargli in moglie la figlia. Muore anche lui. Gertrude vuole evitare il cataclisma, salvare sia il marito sia il figlio. Non riesce a salvare nessuno, nemmeno se stessa. L'insieme complementare, gli "altri" "il destino che arriva dall'esterno" , la predizion~ per tutto l'insieme si rivelano più forti dei consigli più saggi e delle azioni a prima vista più efficaci. Fortebraccio rimane estraneo all'azio e. Arriva, letteralmente, per riempire un vuoto. II ritorno alla legalità non ha alcuna motivazione, gli manca persino un'apparenza di necessità. Non significa nulla. Deriva dalla logica della struttura, senza nes~ 107 suna giustificazione e senza alcun riferimento a una qualunque gerarchia di valori. "Non mi sarebbe piaciuto tanto vivere in una Danimarca governata da ~ortebraccio", dichiarò Peter Hall spiegando le sue Idee su Amleto. IV I modelli di tragedia hanno due serie di riferimenti e due tempi: il tempo storico e il tempo metastorico. Nell'Orestea di Eschilo, come in un pendio montano scoperto da un'erosione, gli studiosi hanno visto una contrapposizione d'rammatica tra le concezioni patrilinea e matrilinea dei rapporti familiari, tra la legge del taglione e quella del riscatto, tra la purificazione religiosa dell'assassino ad opera dei sacerdoti del tempio e la sua assoluzione da parte del tribunale di Atene. Il ciclo delle vendette di famiglia in Amleto rapprese,erchè rimani 179 così sconcertata da quello che ti ho esposto? " (v.769) II Pedagogo ha parlato e parlato, perchè sentiva la sua vita stessa in mano a Clitennestra: e in questo caso, se parla anche per salvare la pelle, come il pubblico sospetta e teme, l'interminabile racconto non è lungo, non è gigionesca tirata che strappa ·l'applauso per la sua perfezione formale; diventa, invece, una componente dell'azione. Molto intelligente è il morlo con cui Sofocle conserva l'entità umana rli Clitennestra, senza che il pubblico arrivi a provare della simpatia per lei. Data per sco n t a t a la tragica fine di Oreste, esistevano varie possibilità. O presentare la marlre in preda all'angoscia, affranta, o farle fingere il dolore, o · metterne in evidenza la gioia, l'esultanza. Ma se Clitennestra dimostra di avere viscere sensibili di madre, la sua imminente uccisione rischia rli apparire ingiusta. Una scena di simulazione sarebbe molto debole, di qualità deteriore, ai limiti del cattivo gusto. Una madre che si rallegri perchè il figlio è stato travolto dai propri cavalli porterebbe le stigmate del mostro. Le tre possibilità offrono, ciascuna, esiti negativi. Sofocle ha risolto molto abilmente il problema inventando le minacce di Oreste alla madre (v. 778 sgg). "Ma esule da questa terra, mi accusava nell'eccidio del padre, non cessava di minacciarmi vendette spavento se". Se il figlio le faceva paura, se costituiva un incubo per lei, è del tutto accettabile che Clitennestra manifesti una sorta di in

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I quaderni del Teatro Stabile della città di Torino. - Torino : Teatro Stabile di Torino, 1964-1975.

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