Jacques Lecoq Il Clown • Claudio Vicentini Il teatro di guerriglia. Lettura di un esperimento americano degli anni sessanta • Mario Serenellini Legnate firmate: burattini d'artistO: • Chiara Alpestre Sull'attività filodrammatica cattolica a Torino negli anni 1920-40 • Schedario: Tinin Mantegazza L 'Uccellino Azzurro e i ragazzi a teatro • Gian Renzo Morteo e Loredana Perissirtotto Animazione: aggettivo o sostantivo? • Gian Renzo Morteo I masnadieri di Schiller n. l anno I Agosto 1980 L. 2.500 IL CLOWN Linea teatrale, proprietà del Gruppo di Danza Contemporanea Bella Hutter e del Teatro dell'Angolo di Torino, direttore responsabile Gian Renzo Morteo, registrazione presso il Tribunale di Torino al n. 2956, direzione e redazione via Avogadro n. 4- 10121 Torino, te!. 011-530614; amministrazione e pubblicità via Industria n. 2 - l O144 Torino, te!. O11-489676-481921; stampa tipografia La Copia, via T. Tasso n. 2 - Torino. 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A poco a poco gli esercizi assunsero un carattere acrobatico e, per virtuosismo, i cavallerizzi costruirono il personaggio di colui che «non ce la fa», che cade, che cavalca al contrario e che fa ridere con la sua inettitudine: il clown (la parola clown deriva dall'inglese Clod: contadino, zotico). Così i primi furono clowns a cavallo; in seguito divennero clowns a piedi, acrobati e saltatori; con l'evoluzione del circo, che accolse la pantomima, si trasformarono in mimi; quando appresero i rudimenti della commedia, la pantomima si arricchì della parola. Il clown delle origini è diventato il Clown Bianco truccato come Pierrot, ma non è più lui il personaggio comico per eccellenza, bensì il partner che gli si è affiancato, cioè l'Augusto, comparso verso il 1870. Il fenomeno è internazionale. Le scuole più forti sono l'inglese e l'italiana: per questo i clown hanno l'accento inglese o italiano, anche se sono francesi; non diversamente le danzatrici adottano nomi russi e pettinature romantiche. Siamo tra le due guerre, quanto trionfano i Fratellini. Adesso con il termine clown indichiamo tutti i comici che si esibiscono in pista. Il vocabolo è recente, tuttavia il suo «contenuto» esiste dai tempi più remoti. Trasformista (ha cambiato nome attraverso le epoche e i paesi scoprendo un aspetto diverso ad ogni tappa del suo viaggio) questo personaggio ridicolo, di cui ci si burla, che burla se stesso, che ci fa ridere con le sue spalIate parodie di modelli rispettabili, è sempre stato presente nello spettacolo, per farci ridere e per aiutarci a vivere meglio, grazie alla sua capacità di liberare la serietà della componente angosciosa. Dai mimi dell'antichità ai buffoni dei Misteri medievali, dai comici della Commedia dell'Arte agli interpreti delle farse del Hotel de Bourgogne, dai saltimbanchi della fiera ai mimi della pantomima, dai clowns del circo ai clowns del palcoscenico sino ai clowns del cinema, tutti fanno parte del medesimo ballo. Per lo più a due a due, questi comici percorsero la storia, spalleggiandosi a vicenda. I due Zanni della Commedia dell'Arte, nati nelle Valli di Bergamo come contadini goffi, ma astuti, nel loro viaggio verso Venezia divennero Arlecchino e Brighella. La fortuna di Arlecchino dura più di due secoli: egli si evolve, si raffina e, nel XIX secolo, lo ritroviamo nella Pantomima Bianca rivale di Pierrot, suo erede nel ruolo di ingenuo. Toccherà proprio a Pierrot fornire il modello al Clown Bianco, che, a sua volta, farà coppia con l'Augusto, l'ultimo venuto. Questo duo riaffiorerà tanto in Laurei e Hardy quanto in Vladimiro e Estragone, i protagonisti dell'Aspettando Godot di Samuel Beckett; duo dominato da una irrisoria gerarchia di forza. Oggi assistiamo ad un ritorno a questi personaggi e in particolare ad un risveglio di interesse per il clown. Il clown però non è più legato al circo; egli ha abbandonato la pista per la scena o la strada. Molti giovani desiderano essere clown. È una professione di fede, una presa di posizione nei confronti della società. Essere questo personaggio al medesimo tempo emarginato e popolarissimo, affascinante per ciò che non sa fare, per le sue debolezze. Mostrare le proprie miserie, gambe magre, pancia grossa, braccia striminzite, sottolineare tutto questo con abiti ben diversi da quelli che di solito nascondono queste cose. Ebbene è l'atto di rivolta di tutte le scoliosi contro il regno del Superuomo: 2 significa accettarsi e mostrarsi per quello che si è. Molti giovani in tutti i paesi del mondo oggi vanno per le strade con un bagaglio di tre palle, una capriola e un muro invisibile per farsi guardare. Il fenomeno supera la semplice dimensione dello spet~ tacolo. Questo tipo di clown psicologico, da cui si può sviluppare una pedagogia drammatica molto utile alla libertà dell'attore, non è necessariamente un clown da spettacolo ed esso sovente resta un fenomeno privato. Il piccolo naso rosso non basta a fare un clown professionista e la rappresentazione non deve essere esibizione consolatrice. II clown deve recitare per il pubblico più che recitarsi davanti al pubblico. II clown inoltre deve far colpo. Spesso contro la logica egli mette nel disordine un certo ordine che consente di denunciare l'ordine ufficiale. Egli fa cadere il cappello, va per raccoglierlo, distrattamente gli dà un calcio e.senza farlo apposta pesta un bastone che gli salta in mano. II clown fallisce là dove ci si aspetta che riesca e riesce là dove non ce lo si aspettava. Se cerca di fare un salto mortale cade, ma lo fa se gli danno uno schiaffo. È il caso del clown Grock che riusciva a giocare con tre palle, dietro le quinte, ma visibile dal pubblico, e non riusciva più a farlo da~anti agli spettatori. Il clown prende tutto alla lettera nel senso più elementare. Quando cade la notte, egli la cerca per terra e noi ridiamo del suo lato idiota e ingenuo. Gli si dice di chinarsi e di guardarsi i piedi, egli lo fa e riceve un calcio nel sedere. Lo scherzo gli sembra divertente e vuole farlo a sua volta ad un terzo personaggio. Questi gli chiede di fargli vedere bene prima ciò che deve fare e il clown riceve un altro calcio da questo terzo personaggio già a conoscenza dello scherzo. II piccolo naso rosso e tondo, la più piccola maschera del mondo, gli illumina gli occhi di ingenuità e gli allarga il volto, privandolo di ogni difesa. Il clown non fa paura e questo Io fa amare dai bambini. Beckett lo ha arricchito di una nuova dimensione, facendogli scoprire i grandi afflati dell'esistenza. Gli Eroi tragici non sono più abbordabili e il clown, iri attesa, li sostituisce. Il silenzio nutre le parole e il mimo s'illumina del «non detto». Molti clowns moderni sono partiti dal mimo. II mimo fornisce un fondo poetico comune al linguaggi del corpo. Perdendo il proprio nome, il mimo ritrova la sua autentica dimensione in svariate direzioni drammatiche; tra le altre il clown. Ogni paese ricercando i suoi clowns-mimi partecipa alla scoperta di un linguaggio comune. I clowns sono una necessità per il nostro tempo: essi sono una parte della nostra libertà. Jacques Lecoq Novembre 19 79 IL TEATRO DI GUERRIGLIA LETTURA DI UN ESPERIMENTO AMERICANO DEGLI ANNI SESSANTA La nozione di teatro di guerriglia si è sviluppata, com'è noto, negli Stati Uniti verso la metà degli anni Sessanta, ha dominato il dibattito sul teatro politico nella seconda parte del decennio, e si è quindi dissolta senza lasciare traccia. Proprio la fortuna del termine, del resto, sembrava averne favorito un'utilizzazione tanto ampia da renderlo in breve tempo privo di significato preciso. Già nel 1969 Mare Estrin osservava sulla «Drama Review» che «qualsiasi forma di teatro politico o d'avanguardia, da Hair alla San Francisco Mime Troupe» era ormai indiscriminatamente indicata come «teatro di guerriglia». Estrin proponeva perciò di restringere l'uso del termine per indicare esclusivamente esperimenti di «teatro che finge di non essere teatro». Gli esperimenti, cioè, che egli stesso andava compiendo in quel periodo 1. II tentativo di chiarire la nozione garantendosene l'esclusiva non aveva però alcun successo. La nozione affondava infatti le sue radici in un terreno ben diverso, e viveva in riferimento ad una linea di sperimentazione teatrale che si svolgeva parallela alla particolarissima concezione dei modi di condurre l'attività politica che, 'proprio in quegli anni, veniva progressivamente adottata da segmenti sempre più ampi del movimento d'opposizione americano. Nel 1959 i guerriglieri di Fide! Castro avevano posto fine alla dittatura di Batista a Cuba. Due anni dopo la Monthly Review Press traduceva e pubblicava negli Stati Uniti il manuale di Che Guevara sulla guerra di guerriglia. L'idea di utilizzare la nozione di guerriglia illustrata da Guevara per descrivere esperimenti in campo teatrale nasce poco più tardi nell'ambiente della San Francisco Mime Troupe che, all'inizio degli anni Sessanta, è un'oscura compagnia semiprofessionale. II primo documento in cui lo spettacolo teatrale viene esplicitamente descritto come azione di «guerriglia» è un programma della compagnia steso da Milt Savage in occasione della messa in scena di Ubu Roi nel 1963. Savage attribuisce allo spettacolo i caratteri che secondo Guevara sono propri dell'azione militare dei guerriglieri. Il teatro, si legge nel programma, «è guerra di guerriglia». Ogni spettacolo è <>, Estate 1966, p. 131 . 3 ci Ila insegnato che quando il nostro commento sociale è sta/o chiaro e diretto e non confuso da/l'aartell 9 0 offuscato dalla a distanza estetica l! abbiamo avuto problemi- arresti, vessazioni, perdita di entrate . Per sopravvivere il teatro d'opposizione deve allora adottare modi operativi analoghi a quelli della guerriglia armata. Che fare allora? .. . Bisogna equipaggiarsi a fare i bagagli e trasferirsi in fretta quando si è sopraffatti dal numero. Mai impegnare il nemico frontalmente. Scegliere il terreno di battaglia: non essere costretti a impegnare il combattimento su questioni sbagliate 10 . La formazione teatrale, proprio come le bande di guerriglieri, deve costituire «Un gruppo indi- · pendente, di ventura», capace di produrre i propri spettacoli con pochissimi mezzi così da non dover dipendere in alcun modo dalle istituzioni. Trova uno spazio che si possa a[fìttare a basso prezzo per le prove e le rappresentazioni: una soffìtta, una chiesa abbandonata, o un granaio. Se ci dorme il regista, è più economico .. . Per i costumi ri,•olgiti ai negozi dell'usato - l'Esercito d~lla Salvezza aiuta il povero. Se hai bisogno di note per il programma o di nuovo materiale, trova scrittori, politici, poeti che adattino materiali per il tuo gruppo l l Ma ciò non basta. Se in questo modo il gruppo teatrale è in grado di sopravvivere, altre esigenze devono essere soddisfatte perché riesca a svolgere un'azione efficace. Un gruppo teatrale radicale deve offrire più del teatro commerciale, deve essere dotato di persone e immaginazione per compe1;sare la mancanza di massiccia pubblicità e di equipaggiamento ... Il problema è attrarre un pubblico ... e scoprire forme che sopportino il peso di una protesta 11e[fìcace11 e del confronto sociale ... l'obbligo è 'radunare un pubblico e stimolarlo ad essere provocato e confrontato, e a ritornare 12 • L'azione teatrale che, secondo Davis, si mostra più idonea a questo scopo è - di nuovo quella che riproduce gli stessi caratteri dell'azione di guerriglia armata: la mobilità e la flessibilità. Vai dove va la gente- angfJ!i di strada, aree in utilizzate, parchi. Sistema un palcoscenico portatile .. . Tutto l'equipaggiamento deve essere portatile e deve essere trasportato su un camioncino imprestato .. . La durata dello spettacolo sotto l'ora, bisogna muoversi con agilità e adattarsi con facilità agli incidenti, cani, campane, bambini. Improvvisa sugli errori. sui rumori elle capitano per coincidenza come le sirene della polizia durante una scena di inseguimento 13 • n teatro di opposizione si configura così come un vero e proprio teatro di guerriglia per due motivi. Da un lato, nei suoi modi di produzione, adotta la forma organizzativa (gruppo autonomo, mobile, indipendente, e la tecnica operativa (impiego di mezzi esigui e improvvisati) della lotta di guerriglia. Dall'altro lato sviluppa una forma di azione teatrale i cui caratteri (flessibilità, capacità di adattarsi ad ogni circostanza e di utilizzare, improvvisando, incidenti imprevisti nel corso dell'azione) sono analoghi a quelli dell'azione militare dei guerriglieri. Assumere la forma del teatro di guerriglia è tuttavia solo un mezzo , secondo Davis, perché il teatro d'opposizione possa svolgere le funzioni generali che gli competono. Queste sono, come abbiamo visto, tre: insegnare, dirigere verso il cambiamento, costituire un esempio di cambiamento. 9 lvi, p. 132. ••· lvi, p. 136. 11 lvi, pp. 133-34. 12 lvi, pp. 132-33. " lvi, p. 134. 6 7 Le prime due funzioni sembrano a prima vista rientrare nell'ambito della propaganda e riguardare prevalentemente i contenuti degli spettacoli proposti; si tratterebbe di fornire agli spettatori un «commento sociale chiaro e diretta>>, e non confuso dall '«arte>> o dalla «distanza estetica», e in questo modo «dirigere» il pubblico verso «il cambiamento». Resta però la terza funzione- costituire un esemp~o di cambiamento - che non è, neila prospettiva di Davis, meno essenziale delle altre due. E proprio nel chiarire perché alla capacità di costituire un esempio di cambiamento venga attribuita una funzione politica fondamentale che si può cogliere il significato peculiare del teatro di guerriglia americano come forma di teatro politico. II L'articolo di Davis consisteva essenzialmente nella presentazione, sòtto il termine di teatro di guerriglia e in esplicito riferimento al manuale di Guevara, delle tecniche teatrali che la San Francisco Mime Troupe sperimentava nel 1962, anno in cui aveva iniziato la rappresentazione di spettacoli «secondo i modi della commedia dell'arte» nei parchi di San Francisco. II gruppo preparava lo spettacolo muovendo da uno scenario della commedia dell'arte o da una commedia di Goldoni o di Molière. Su questo materiale, durante le prove, elaborava un 'azione scenica improvvisando. Dai risultati complessivi delle prove veniva quindi operata una seleziòne finale delle battute, dei gesti, dei movimenti, dei lazzi da utilizzare nella rappresentazione. Quando la scena veniva presentata al pubblico, il materiale selezionato costituiva il «tessuto» dell'azione teatrale .su cui si sviluppava, di nuovo, l'improvvisazione della compagnia. L 'interesse immediato della commedia dell'arte è l'improvvisazione, lo scenario, cioè, serve principalmente come base per la creazione di gags e !azzi immediati 14 . Gli spettacoli si svolgevano tanto in spazi chiusi quanto all'aperto. In quest'ultimo caso il gruppo arrivava- senza alcuna pubblicità preventiva- in un parco o in una piazza, montava il palcoscenico portatile e iniziava la rappresentazione di fronte agli spettatori occasionali. Alla fine dello spettacolo raccoglieva le eventuali offerte del pubblico. In queste circostanze l'improvvisazione assumeva due funzioni precise. Innanzi tutto in uno spazio pubblico, aperto, non predisposto per la rappresentazione teatrale, si verificano immancabilmente cospicue interferenze dell'ambiente sull'azione scenica. «Recitare all'aperto», nota Davis, «sotto gli occhi di una varietà di persone, da bambini di dieci anni per nulla intimiditi a matrone della buona società, in lotta con cani, uccelli e traffico cittadino richiede ogni grammo .dell'abilità tecnica di un attore, più una grande inventiva per l'improvvisazione» 15 . L'unico m~do di dominare le interferenze per poter proseguire nella recita è incorporarle nell'azione teatrale, trasformando gli incidenti in elementi dello spettacolo. Gli allori sono liberi di appropriarsi di qualsiasi incidente che accada nel corso della rappresentazione. Un cane allraversa il palco, delle campane suonano, un bambino comincia a camminare s,ulla scena: la regola per t'attore è «utilizzar!on ... Gli attori devono essere pronti ad incorporare l'intera atmosfera o almeno quegli elementi della situazione che sono in grado di maneggiare 16 14 Programma di «The Dowry», primo esperimento della compagnia con la commedia dell'arte. Lo spettacolo era costruito su scene delle Furberie di Scopino di Molière e di Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni. " Radica/, lndependent, Chaotic, Anarchie Theatre versus lnstitutiona/, University, Litt/e, Commercia/, Ford and Stock Th ea tres, «Studies on the Left>>, Primavera 1964, p. 131. " R. Davis Street Scenes Stealers, «Ramparts», Ottobre 1965 , p. 53. In secondo luogo, il pubblico di cui il gruppo disponeva era occasionale, costituito da passanti che non si trovavano certo sul posto con l'intenzione di assistere ad uno spettacolo. Raccogliere intorno al gruppo di attori questo tipo di pubblico non era difficile. Gli stessi preparativi per la rappresentazione, come il montaggio del palco, rendevano i passanti curiosi. Ma trattenere passanti occasionali ad assistere allo spettacolo per più di un'ora costituiva un problema assai più arduo 17 . II modo migliore, come tutti i venditori ambulanti sanno, è coinvolgere almeno verbalmente Io spettatore nell'azione. Lo scambio di battute con il pubblico, il riferimento diretto a questo o a quello spettatore. l'allusione agli argomenti del giorno, diventano indispensabili, e devono naturalmente essere in buona parte improvvisati. Portato senza preavviso in un luogo pubblico e sviluppato attraverso l'improvvisazione degli attori che dovevano essere in grado di integrare ogni «incidente» dell'azione, lo spettacolo della Mime Troupe assumeva come proprio cardine l'interscambio diretto tra azione degli attori e situazione quotidiana. Gli attori intervenivano infatti in una situazione quotidiana- mezzogiorno in piazza quando gli impiegati escono dagli uffici, pomeriggio al parco tra bambini.; sfaccendati- e ne costituivano subito un elemento nuovo, che la modificava, concentrando l'attenzione dei presenti sui preparativi per Io spettacolo. Non appena gli attori cominciavano a recitare una scena della commedia, gli elementi della situazione quotidiana~ rumori, cani, campane, bambini - interferivano a loro volta sull'azione teatrale, non potevano essere ignorati e dovevano essere incorporati nell'azione. Dal palco gli attori si riferivano quindi a elementi reali dell'ambiente intorno a loro, assegnando a questo e a quello nuovi significati e funzioni in rapporto all'azione scenica, e quindi intervenendo- di nuovo- a modificare la situazione quotidiana in cui Io spettacolo si svolgeva. L'intera operazione condotta dalla San Francisco Mime Troupe delineava un modello di teatro che- in quegli anni- appariva radicalmente diverso da quello convenzionale. Le produzioni della compagnia erano estremamente economiche, non richiedevano l'uso di sale istituzionalmente predisposte ad accogliere una rappresentazione teatrale, erano adattabili a diverse situazioni della vita quotidiana, potevano essere trasportate ovunque fosse possibile raccogliere spettatori occasionali, ed erano in grado di radunare e trattenere il pubblico attraverso Io stesso sviluppo dell'azione scenica. Si trattava quindi di un teatro che poteva apparire assolutamente libero da ogni pressione commerciale e da qualsiasi preoccupazione di assicurarsi la benevolenza delle istituzioni. Ma, soprattutto, si trattava di spettacoli offerti gratuitamente. La rappresentazione sembrava quindi perdere i suoi caratteri di prodotto commerciale riservato ad un pubblico che «la compra» pagando il biglietto, e si poneva invece come una realizzazione liberamente offerta, di cui chiunque poteva disporre. Inizialmente gli spettacoli della M ime Troupe apparivano privi di qualsiasi connotazione esplicitamente politica. II gruppo era infatti esclusivamente interessato alla sperimentazione teatrale, e solo in nome delle esigenze della sperimentazione era giunto a sviluppare un modello di teatro che, anche nei modi di produzione, era radicalmente diverso da quello convenzionale. Ma la scelta anticonvenzionale del gruppo rivelava progressivamente un preciso carattere politico. Presentare spettacoli nei parchi, gratuitamente, fuori dai canali istituzionali che il sistema prevede per la produzione e la fruizione teatrale assumeva inevitabilmente il valore di una testimonianza contro il sistema. Arthur Holden, membro del gruppo dal 1962, ricorda come nelle prime produzioni di spettacoli all'aperto «non vi fosse alcun elemento politico, eccetto la natura politica della decisione di andar fuori e recitare nei parchi gratuitamente ... La scelta che avevamo fatto del luogo in cui andare a recitare determinò il nostro sviluppo politico» u Non diversa è la testimonianza di Davis: 17 18 Cfr. R. Davis, Radica/ ... Theatres, p. 29 . Intervista personale, New York, 1974. 9 8 R(fìutando il teatro borghese, il piccolo teatro, il teatro regionale e la vecchia sinistra comunista ci elevammo dal torpore degli anni Cinquanta. Senza l'impaccio di un partito, di un programma o di una teoria praticammo la .fuga dalla depressione boghese. Inevitabilmente fummo trascinati verso una cultura alternativa o una cultura parallela alla potente classe media 19 . Mentre il contenuto degli spettacoli continuava a rimanere privo di qualsiasi riferimento all'attualità politica, il gruppo cominciava a percepire in modo sempre più chiaro che la decisione di produrre teatro fuori dai canali convenzionali assumeva capacità e significati politici. Nel 1964 la San Francisco Mime Troupe metteva in scena Tartuffe di Molière. La produzione non conteneva alcun messaggio politico espiicito ed immediato. «Eravamo consapevoli», afferma infatti Holden, «che la commedia aveva un carattere politico ed aveva avuto ripercussioni politiche in Francia nel XVII secolo. Ma non eravamo consapevoli delle possibilità di applicare il messaggio politico dell'opera al nostro tempo. Ciò non era affatto la nostra preoccupazione immediata. Lo divenne solo gradualmente» 20 Nel programma dello spettacolo tuttavia si legge: La San Francisco M ime Troupe ha recitato e provocato nella Bay A rea e in tutta la Ca/(fornia per cinque anni. l/nostro scopo è intrattenere, ma anche provocare .. . La domanda ormai non è più uda quale parte staten, ma «fino a quando accelleremo il ruolo delta vittima?11 21 • Ciò significa che la provocazione, la capacità di porre al pubblico domande perentorie sul ruolo della vittima e del carnefice, l'identificazione della propria posizione con quella della vittima, non poteva risiedere - agli occhi della compagnia - che nel modo «diverso» in cui lo spettacolo era prodetto e presentato. Proprio nello stesso anno, nel 1964, il clima politico della zona in cui la San Francisco Mime Troupe opera diventava rovente. Nell'autunno, infatti, scoppiava la rivolta stud<;!ntesca a Berkeley. È a questo punto che la stessa struttura degli spettacoli presentati dal gruppo promuoveva la progressiva politicizzazione dei contenuti. In uno spettacolo costruito sull'interscambio tra azione teatrale e situazione quotidiana in cui si svolge la rappresentazione, la febbre politica che percorreva l'ambiente non poteva non penetrare lo spettacolo fino a coinvolgerne direttamente anche i contenuti. Di fronte a un pubblico sempre più politicizzato, mentre le idee della New Left stanno conquistando la popolazione studentesca, le battute che l'attore scambia dal palcoscenico con gli spettatori non possono ignorare l'attività politica. Così il materiale che viene interpolato per improvvisazione durante lo spettacolo tra le righe del testo prestabilito diventa politico in modo sempre più massiccio, finché nel 1965 si arriva alla produzione di A Minstrel Show, «interamente scritto e concepito come una commedia esplicitamente politica nel più stretto senso» 22 • Ma se la politicizzazion~ dei contenuti, l'esigenza di discutere i problemi di attualità in modo diretto, senza perifrasi, diventa un elemento sempre più importante della produzione della compagnia, il carattere politico fondamentale dello spettacolo continua a risiedere nella sua capacità di offrire un'autentica testimonianza del rifiuto del sistema da parte del gruppo, e un esempio pratico di come si possa operare e produrre al di fuori dei canali istituzionali. L'efficacia politica dello spettacolo resta innanzi tutto affidata all'autenticità della testimonianza. L'opera, secondo Davis, può conseguire un effetto politico solo in quanto le battute, il tipo d'azione 19 20 21 22 The San Francisco Mime Troupe: The Firs/ Ten Years , p. 28. Intervista personale Programma di Tartuffe, 1964. A. Holden , intervista personale. presentata sul palcoscenico, ~a forma organizzativa della compagnia, i modi della produzione e della presentazione dello spettacolo- insomma tutti gli elementi del processo pro~utttvo , dalla c~ncezto~_e_ alla rappresentazione- costituiscono l'espressione della posizione reale, det convmctmentt autentiCI del gruppo nei confronti del sistema. La compagnia di guerriglia, come gruppo, deve costituire un esempio di calllbiamento. La .forma;:ione del gruppo- i suoi rapporti di cooperazione e la sua identità organizzativa- devono avere una nwralità al proprio centro._L 'entità organizzata ordinariamente non ha moralità. Questa deve essere la differenza in un mare di violenza disordinata e selvaggia . Non ci deve essere distinzione tra comporta23 ~~~nto pubblico e privato. Fai in pubblico quello che fai in privato, o smelli di farlo in pril'Gto · Qualsiasi eleménto che possa gettare dubbi sull'autenticità della testimonianza compromette irreparabilmente l'effetto politico della produzione. Ed è proprio per questo che il modo in cui l'opera . viene prodotta e resa accessibile al pubblico assume· un 'importanza fondamentale. Pagare tre dollari per entrare in un teatro è come comprare un paracadute quando si va in aeroplano. È come una valvola di sicurezza predisposta, perché sai che, giù in fondo, qualsiasi cosa si dica sul palcoscenico, il proprietario ne sta cavando un pro_fìtto, gli attori una buona paga, e il regist~ ~~~re ... cosicché, giù in fondo, quelle· persone tengono per la stessa cosa per cui tieni anche tu- c10e ti pro_fìtto 24_ II modello di teatro politico che emerge dagli esperimenti della San Francisco M ime Troupe possiede, quindi tre aspetti ~aratteristici. L_a dimensione politica dell'attività teatrale del gruppo si sviluppa dall'adozione di un sistema produttivo estraneo ai canali istituzionali. L'adozione di un sistema produttivo estraneo ai canali. istituzionali assume significato politico in quanto si pone come testimonianza della posizione politica e morale del gruppo. L'efficacia politica del teatro è riconosciuta nella sua capacità di costituire una testimonianza autentica e totale: appare perciò compromessa sia quando la posizione rivoluzionaria del gruppo non riesce a manifestarsi in modi operativi idonei ad esprimerla pienamente, sia quando l'adozione di modi operativi rivoluzionari non corrisponde alle reali convmzioni del gruppo. In questa prospettiva, lo spettacolo è un'arma politicamente efficace non tanto per il messaggio esplicito del testo o per le tecniche teatrali che esibisce, quanto per la sua capacità di costituire una testimonianza dell'atteggiamento del gruppo nei confronti del sistema. Ma questa particolare concezione del teatro politico non era un'invenzione causale di Davis e della sua compagnia. S'inseriva nell'ampia sperimentazione di nuove tecniche di intervento politico condotta in quegli anni dalla nuova opposizione americana. III 11 modello teatrale elaborato dalla San Francisco M ime Troupe, mentre trova la propria dimensione politica nel suo carattere di testimonianza assume, come abbiamo visto, aspetti analoghi a quell'i della lotta di guerriglia teorizzata da Guevara: autonomia operativa del gruppo fondata sulla capactta di agire disponendo di mezzi esigui, e sviluppo di una forma d'azione mobile e flessibile, capace di 2l R. Davis Guerrilla Theatre, p. 131 . · " Afferm~ione di Peter Cohon, membro della San Francisco M ime Troupe, in un'intervista del 1967 pubblicata da L Wolf, Voices o( the Lave Generation, Boston, Little Brown, 1972, p. 117. l IO Il adattarsi ad ogni circostanza e di sfruttare qualsiasi imprevisto. Per questo Davis poteva presentare il proprio modello di teatro come «teatro di guerriglia». In quegli stessi anni il manuale di Che Guevara e la nozione di guerra di guerriglia venivano a costituire il punto di riferimento per l'attività politica svolta da buona parte dei militanti della New Left. La New Left americana- com'è noto- si forma e si sviluppa nella prima metà degli anni Sessanta attraverso il coinvolgimento sempre più ampio di giovani e studenti nell'attività politica di opposizione. All'inizio, le azioni che aggregano gruppi e talvolta masse di studenti in imponenti operazioni di protesta sono di carattere specificamente antisegregazionista e pacifista. Si collocano nella tradizione dei due movimenti- quello dei diritti civili e quello antimilitarista non violento- che avevano rappresentato le uniche forme di dissenso nel panorama politico americano degli anni Cinquanta. Dalla lotta contro la segregazione razziale e l'organizzazione militare; l'attività politica degli studenti si allarga progressivamente fino ad includere la protesta contro diversi aspetti della società americana. La celebre «Dichiarazione di Port Huron» che viene approvata alla convenzione degli Students fora Democratic Society del 1962 -ed è generalmente considerata come il primo manifesto della New Left- esprime la radicale opposizione degli studenti all'organizzazione sociale e politica americana. Dopo aver criticato i caratteri razzisti, militaristi e imperialisti dell'assetto sociale americano, la dichiarazione sottolinea la totale sfiducia degli studenti negli strumenti istituzionali che il sistema politico mette a disposizione del cittadino per esprimere il suo dissenso e condurre un'azione trasformatrice 25_ Nella diffidenza verso i canali e gli strumenti politici istituzionali, i militanti della New Left tendono a privilegiare come modello di intervento politico la forma dell'«azione diretta non violenta» che negli anni Cinquanta era stata adottata con alterna fortuna dai pacifisti e dagli antisegregazionisti 26 1 punti di riferimento fondamentali assunti dalla New Left nell'adozione e nello sviluppo di queste tecniche sono due: le argomentazioni teoriche contenute nel saggio sulla Disobbedienza ·civile scritto da Thoreau nel 1849 e i successi ottenuti da Martin Luther King nel guidare il celebre boicottaggio della comunità nera contro gli autobus segregati di Montgomery, in Alabama, nel 1956. Nel saggio di Thoreau emergono tre considerazioni fondamentali intorno all'azione politica:. Innanzi tutto, secondo Thoreau , dissentire solo «nelle proprie opinioni» da una situazione che la propria coscienza ritiene gravemente ingiusta è vile e inefficace: il cittadino deve intervenire direttamente con la propria azione. In secondo luogo, utilizzare gli strumenti- voto, petizioni- che il sistema politico mette a disposizione del cittadino non è sufficiente quando questi si rivelano inefficaci a porre fine ad una situazione che la nostra coscienza condanna. Infine, il cittadino deve sempre e comunque rifiutare ogni genere di complicità ad un'azione dello stato che la sua coscienza condanna: deve perciò commettere «disobbedienza civile» e violare la legge che gli ·impone di farsi strumento di ingiustizia, accet. tando il castigo previsto (multa, prigione, e via dicendo). Il cittadino dovrà rifiutarsi di pagare le tasse che lo stato utilizza per la guerra, di prestare servizio militare, di obbedire alle norme che favoriscono il mantenimento della schiavitù . Se tutti gli uomini giusti commettessero «disobbedienza civile» rifiutandosi di obbedire alle leggi ingiuste si compirebbe una «rivoluzione pacifica» 27 Nella concezione di Thoreau l'esercizio dell'attività politica non è un dovere quotidiano. Intervenire politicamente diventa un 'esigenza a cui non ci si può sottrarre solo quando lo stato ci ordina con " Cfr. Massimo Teodori , La nuova sinistra americana, Milano , Feltrinelli, 1970, pp. 220-222. Su queste azio ni vedi Lawrence S. Wittner, Rebe/s against War. Th e American Peace Movement: 1941-1960, New York , Columbia University Press, 196 9; Staughton Lynd , Non Violence in America. A DocumentGJy History , Indianapolis, Bobbs and Merrill, 1969; Howard 27 H.D . Thoreau , Walden and aCivi/ Disobedien cen, New York, New American Library, 1960, p. 231. 26 le sue leggi di cooperare all'esecuzione di un atto che riteniamo iniquo. In questo caso la nostra coscienza morale ci impone di rifiutare ogni forma di cooperazione e quindi di disobbedire alla legge. Questa disobbedienza costituisce già un intervento politico in quanto rappresenta un impedimento..-.:.. sia pur minimo- alla esecuzione dell'atto iniquo da parte dello stato. Ogni cittadino che si rìfiuti ·dì prestare servizio nell'esercito indebolisce concretamente la capacità dello stato di fare la guerra. In questa prospettiva, dunque, l'unica circostanza che impone al cittadino di intervenire nella contesa politica è l'esistenza di una legge dello stato che gli ordini di farsi strumento d' iniquità. Il cittadino interviene in quanto il suo dovere morale gli impone di rifiutare obbedienza alla legge. Ma la disobbedienza alla legge costituisce già di per sé un concreto intervento diretto che ostacola l'esecuzione dell'iniquità da parte dello stato. Di qui le conclusioni implicite nello scritto di Thoreau. La sola forma di azione politica veramente indispensabile per l'uomo giusto è la disobbedienza civile, che consiste nel violare la legge ingiusta, assumendosi la piena responsabilità della violazione. La disobbedienza civile . nasce da un 'esigenza esclusivamente morale e - tramite la violazione della legge e l'accettazione della pena- si configura come una testimonianza morale che costituisce immediata me/Ile un atto d'opposizione pratica, in grado di ostacolare concretamente l'esercizio dell'azione iniqua. L'azione politica per eccellenza - la disobbedienza civile- è quindi un atto la cui efficacia risiede nella connessione di tes~ìmonìanza morale e intervento pratico. La sua efficacia dipende tanto dalla capacità della testimonianza dì imporsi sull'opinione e sulla coscienza pubblica, quanto dalla forza dell'intervento pratico nell'ostacolare concretamente l'esercizio dell'iniquità. So bene che se mille, se cento, se dieci uomini che potessi chiamare per nome - se soltanto dieci uomini onesti - se un solo uomo ONESTO, in questo stato del Massac/w setts, cessando di tenere schiavi, rompesse realmente la sua·compficità e fosse quindi rinchiuso ii1 prigione, ciò segnerebbe t'abolizione def/o schiavismo negli Stati Uniti 28 • L 'azione coerente al principio- fa percezione e t'esecuzione di ciò che è giusto- muta le cose e le relazioni; è essenzialmente rivoluzionaria ... 29 . Martin Luther King, com'è noto, sviluppa l'insegnamento di Thoreau attraverso lo studio dell'esperienza di Gandhi 30 e riesce a conseguire importanti risultati nella lotta antìsegregazìonìsta con l'uso dell'azione diretta non violenta. Oltre a Gandhi , Martin Luther Kìng è in effetti l'unica personalità che sia riuscita a riportare indiscutibili successi politici attraverso l'uso dì questa forma d'azione. L'azione diretta non violenta non sì identifica senz'altro con la disobbedienza civile teorizzata da Thoreau, in quanto non richiede necessariamente la violazione della legge 3l Ma, come la disobbedienza civile, è una forma di intervento p'olitico dettato dalla coscienza morale, la quale esige dal cittadino «un 'azione diretta» e in prima persona- con la sola esclusione della violenza fisica- per porre fine ad una situazione che la sua coscienza condanna come gravemente ingiusta. Martin Luther King aveva colto con estrema chiarezza come la peculiarità di questo tipo di azione risiedesse nel rapporto tra testimonianza morale, in grado dì imporsi sulle coscienze dei simpatizzanti, degli indifferenti e anche degli avversari, e intervento pratico. capace dì òperare concretamente per porre fine alla situazione ingiusta. Per questo, l'azione diretta non violenta costituisce uno strumento efficace solo quando è possibile eseguire un tipo d'intervento che sia neffo stesso tempo una 28 lvi , p. 230. " lvi, p. 228. 3 Cfr. Martin Luther King , Stride roward Freedom. New York . Harper and Row. 1964. pp . 7 3. 78. 79 " Martin Luther King si troverà costretto a ricorrere alla disobbedienza civile solo dopo diversi anni di attivi !il antisegregaz ionista in cui aveva ampiamente utilizzato l'azione diretta non violenta. Cfr. Martin Luther King, Why we ca n't wait. New York. Harper and Row, 1963 , P. 68. ° 12 testimonianza morale imponente e un 'interferenza pratica grave all'interno della situazione che si vuole trasformare. Gli effetti dell'azione restano limitati quando uno dei due aspetti prevale sull'altro riducendo l'intervento a semplice manifestazione delle proprie convinzioni morali o a semplice atto di disturbo. Il boicottaggio- per un intero anno- degli autobus di Montgomery da parte della comunità nera costituiva al tempo stesso un'efficace forma di pressione economica e un'imponente testimonianza della coscienza della propria dignità umana. Giunsi a percepire come ciò che stavamo realmente facendo fosse ritirare la nostra cooperazione ad un sistema perverso anziché semplicemente ritirare il nostro sostegno economico alla compagnia degli autobus 32 • Chi conduce la resistenza non violenta deve sovente esprimere la sua protesta attraverso .forme di noncooperazione e di boicottaggio, ma si rende conto che queste non sono fini in sé, sono semplicemente dei mezzi per risvegliare un senso di vergogna morale nell 'avversario 33 . La strategia di Martin Luther King consisteva nello studiare accuratamente i caratteri della situazione particolare su cui intendeva operare 3\ nell'individuare la fo!ma di azione che contenesse i due aspetti fondamentali della testimonianza e dell'intervento pratico, e quindi nel curare meticolosamente che tanto il primo quanto il secondo aspetto venissero pienamente sviluppati. La testimonianza doveva non solo essere autentica e insospettabile, ma anche ottenere la maggior risonanza possibile attraverso la stampa, la televisione e ogni altro mezzo di informazione, il cui atteggiamento veniva attentamente valutato da King nel corso dell'azione 35 . Nello stesso tempo anche la pressione pratica che l'azione era destinata ad esercitare era ~tudiata in modo che potesse sviluppare la massima efficacia. Decidemmo difìssare il,nostro programma di azione diretta per l'epoca di Pasqua, essendo ben consapevoli ·che, fatta eccezione per il periodo di Natale, è questa la più importante stagione commerciale dell'anno ... Avvertivamo che questo sarebbe stato il tempo migliore per esercitare una forte pressione sui negozianti 36 . I caratteri dell'azione diretta non violenta sono quindi questi. È un intervento diretto portato all'interno di una situazione ingiusta che si vuole trasformare. L'intervento ha due caratteri. che si potenziano a vicenda. È un'azione capace di esercitare una concreta pressione pratica per impedire il prolungamento della situazione, ed è una testimonianza morale capace di manifestare nel modo più imponente l'autenticità delle convinzioni morali di chi agisce. La pressione pratica esercitata dall'azione impedisce all'avversario di ignorare la testimonianza morale, mentre questa moltiplica l'efficacia dell'intervento pratico che di per sé sarebbe insufficiente a costringere l'avversario alla resa. L'intervento viene studiato in preciso riferimento alla situazione .particolare che si vuole trasformare. Si tratta, volta per volta, di inventare il tipo d'azione che- in quelle circostanze particolari- possa costituire la testimonianza morale più .eminente e l'intervento pratico più efficace. Bisogna quindi inventare _forme d'azione diverse per intervenire direttamente contro la segregazione dei neri sugli autobus, nei ristoranti, sulle spiagge, in chiesa, e via dicendo 37 . Esempio tipico d'azione diretta sono i sii-in nelle tavole calde segregate. Alcuni bianchi insieme 32 Stride toward Freedum , p. 32. " lvi, p. 84. 34 Cfr. Why we can't wait, p. 50. " lvi , pp. 30, 63. 36 lvi , p. 80. 37 Per le diverse forme di azione diretta vedi M. Oppenheimer e M. Lakey, A Manua/.for Direct Action, Chicago, Quadrangle, 1965. lJ ad alcuni neri si siedono al banco e rifiutano di lasciare il loro posto finché anche i neri non sono serviti. L'intervento consiste n~ll'affermare nel modo più clamoroso e immediato possibile all'interno della situazione particolare la propria coscienza dei diritti dei neri, impedendo praticamente, nell_o stesso tempo, lo svolgimento di un'attività iniqua: il servizio di ristorante riservato ai soli bianchi . E un tipo d'azione appositamente studiato per intervenire contro la segregazione nelle tavole calde, e ovviamente inapplicabile in altre situazioni 38 . Sull'esempio dei movimenti dei diritti civili, l'azione diretta non violenta diventa la forma di intervento prevalentemente utilizzato dagli studenti tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta. In un primo tempo gli studenti si affidano ad azioni dirette che utilizzano quasi esclusivamente l'aspetto «dimostrativo» dell 'intervento. Successivamente, dalle lotte compiute dal movimento antisegregazionista, emerge la chiara percezione che l'azione diretta è destinata all'insuccesso quando non è capace di esercitare anche una forte pressione pratica 39 Gli studenti si orientano così verso azioni dirette che possiedono un 'efficacia pratica immediata. Tipica, in questa direzione, l'invenzione degli shop in per dimostrare contro i supermercati di San Francisco che seguivano una politica di discriminazione razziale nelle assunzioni. Gli studenti entrano nei supermercati, riempiono i carrelli di mercanzia, li scaricano alla cassa e se ne vanno. Dopo dieci giorni di shop i11 i supermercati sono costretti a cedere di fronte al caos che compromette le vendite. Pochi giorni dopo , gli studenti riescono a spezzare la politica di discriminazione razziale nelle assunzioni di personale degli alberghi bloccando per tre giorni con duemila dimostranti l'entrata dello Sheraton Hotel di San Francisco 40 . 11 passaggio dall'~zione diretta che privilegia il carattere dimostrativo a quella che esprime un'immediata capacità pratica di ostacolare il proseguimento della situazione «iniqua>> si verifica, del resto, oella prima fase dell~ rivolta dell 'U niversità di Berkeley- nell'autunno del 1966- che doveva diventare il modello per la lotta studentesca negli anni immediatamente successivi. Dai picchetti dimostrativi che espongono cartelli contro l'amministrazione dell'università e dai cortei attraverso il campus si passa ad interventi che conseguono un immediato effetto pratico di «disturbo», iniziando all'improvviso, sorprendendo l'avversario e ostacolando lo svolgimento «regolare» dell'attività: il sit-in di trentadue ore da parte di migliaia di studenti intorno ad un'automobile della polizia per impedire l'arresto di un attivista, l'occupazione della Sproul Plaza per bloccare i lavori dell'amministrazione universitaria, e via dicendo 41 . L'attività politica degli studenti e le tattiche che questi adottano cominciano- molto prestoad essere paragonate alla guerra di guerriglia dei ribelli cubani 42 • Dal punto di vista del movimento studentesco era del resto possibile reinterpretare i principi di Che Guevara attraverso l'insegnamento di Thoreau e l'esperienza di Martin Luther King per adattarli alla situazione politica degli Stati Uniti. Da un lato, come già la dichiarazione di Port Huron rivela, i militanti della New Left erano convinti dell'inutilità di mantenere l'intervento politico nelle forme previste e codificate dal sistema. I canali politici istituzionali non si erano certo mostrati sufficienti per condurre un'azione che ponesse effi" Per la storia di quest'azione vedi M. Wolff, Lunch at Five and Ten. Thc Greensboro sit -ins, New York, Stay and Day. 1970 . " Cfr. il Report q( tile Nationa/ Advisory Commission on Ci vi/ Dcsorders (Kerner Report). New York . Bantam Books. 196 8. pp. 230-231. 40 I. Unger. The Mol'emelll, New York . Dodd, Mead and Company, 1974, p. 45 . " Cfr. S. M. Lipset e S.S. W oli n. The Berkeley Student Re1•olt, New York. Doubleday. 1965. pp. l 03-169: H. Draper. Berkeley: The New Student Revo/t. New York, Grove Press. 1965 , pp. 31-100. " Già nel 1961 appare !n «Studies on the Left>>un articolo di Dale L. Johnson, On tile /deologv o( tile Campus Rcl'<>it. che paragona la ribellione nei campus all'azione dei guerriglieri cubani. Nel 1963 J. Bondurant analizza la somiglianza tra guerra e guerriglia e azione diretta non violenta in un articolo intitolato Paragucrrilla Strutegy che appare sul fascicolo di settembre del >, 19 novembre 1965. D.J. Lipton, VDC Members Fuss, Fret and Keep T11eir Coo/, «Berkeley Barb>>, 19 novembre 1965. 16 17 45 gono L'anno successivo, nell'organizzare le dimostrazioni contro la convenzione democratica di Chicago, viene accuratamene scatenata una vera e propria ridda di voci sulle folli intenzioni di alcuni dimostranti. Si parla di progetti di immettere allucinogeni nelle condutture di acqua potabile della città, di stampare false credenziali in modo che gli studenti possano infiltrarsi nelle sale della convenzione, di liberare mandrie di maiali per le strade di Chicago, di sistemare i militanti come camerieri negli alberghi e nei ristoranti per drogare i cibi e le bevande dei delegati , e via dicendo .; 6 Ciò si rivelava prezioso anche per attirare i mezzi di informazione di massa. L'attenzione che Martin Luther King dedicava ai giornali e alla televisione si trasforma in una tecnica sofisticata di manipolazione. Come dichiara Abbie Hoffman a proposito delle dimostrazioni di Chicago, «il metodo di manipolare i mass media usando la suspense per elevare la tensione è estremamente efficace» 4 7 A questo punto la capacità politica dell 'azione non viene più sollecitata dalla sua chiarezza e trasparenza, ma al contrario, proprio dalla sua ambiguità ed indecifrabilità. Lo spazio vuoto, la dichiarazione sospesa, l'enigma non risolto, è ciò che riesce a coi1 1vo/gere 48 . . In secondo luogo, se l'efficacia politica della testimonianza morale è individuata nella sua capaCita d1 rendersi spettacolare; lo spettacolo tende progressivamente ad apparire come il territorio proprio dell'attività politica. Il dimostrante interviene politicamente in quanto tea tralizza le proprie convinzioni. Lo scontro politico si configura come scontro tra due diverse teatralità- quella del dimostrante e quella del sistema- che si scontrano con la conseguente vittoria del «teatro» migliore. L'intera attività politica si risolve in teatro. Nel 1966 Jerry Rubin, che a quel t~mpo è uno degli esponenti più in vista della New Left studentesca di Berkeley, viene convocato a testimoniare di fronte al «Comitato della Camera sulle Attività Antiamericane» (House Un -American Committee - HUAC). Cominciai a pensare all'H VAC come teatro: sapevo che non avrei potuto recitare su/loro palcoscenico, perché avevano il potere ne/loro martelletto. Dovevo creare il mio proprio teatro per scarna re l'H VA c e catturare !'attenzione del paese. Ma come? Geli ai a Ron Davis della San Fra ncisco M ime Troupe l'idea di andare all'udienza indossando il cappello di un soldato della guerra di rivoluzione americana. «Perché solo il cappello?11 mi chiese Ronnie. «Perché non l'intera un([orm e?)) 49_ Con questa uniforme Rubin si presenta all'udienza. Più tardi Rubin sosterrà in un celebre capitolo di Do it 1 che «la rivoluzione è teatro nelle strade». Abbie Hoffman, del resto, aveva già scritto in Revolution .far the Hell o[ il: Noi siamo teatro nelle strade: totale e impegnato. Miriamo a coinvolgere la gente e usiamo (diversamellfe da altri movimenti chiusi nell'ideologia) qualsiasi arma (a ccessorio "teatrale) che possiamo trovare. Lo scopo non è gu adagnare il rispello, (ammira zione, !'amore di ognuno- è indurre la gente ad agire, -partecipare, positivamente o negativamente che sia 50 . A questo punto il carattere di testimonianza morale dell'azione politica appare completamente corroso. L'intervento politico consiste nel manifestare in modo teatrale, ma non si tratta più di manifestare le proprie convinzioni morali, queste- proprio per le esigenze dello spettacolo- non devono " Cfr. Jerry Rubin , Do il-' New York, Si mon and Schuster, 19 70, pp. 69-7 1. 46 Cfr. Rights in Con[licl. The Vio/ent Confrom aJion o.f Demonslrators and Poiice i111he Parks a11d Slreet.s o_{ Chicago during the Week o.f the Democralic Conl'enlioll (Walker Report), New York , Bantam Books, 196 8, p. 85. 47 Free (A. Hoffman), R evolulwn for tile H el/ o.f il, New York, Dia! Press, 196 8, p . 12 8. 48 lvi, p. 80. 49 Do i/ 1, p . 59. 50 Revolulion.for the H el/ o.f il, p. 26. trasparire in modo chiaro e inequivocabile. La dichiarazione più efficace è «il pezzo di carta bianca» 51 . L'autenticità della convinzione, inoltre, in quanto non si colloca tra le esigenze dello spettacolo, · diventa del tutto indifferente. La manifestazione riesce ad imporsi, non in quanto è una testimonianza insospettabile, ma in quanto è teatralmente irresistibile. Rubin non si oppone al Comitato di inchiesta della Camera rifiutando di rispondere alle domande e subendo le conseguenze penali del suo gesto per dimostrare pubblicamente l'autenticità delle proprie convinzioni morali che non gli permettono di diventare complice dell'iniqua attività del comitato. Mira invece a distruggere l'aura di riverenza e timore che circonda l'attività degli inquisitori imponendo loro di trattare con un teste che si presenta in costume. I termini dello sviluppo dell'azione diretta non violenta sono quindi questi. L'azione diretta originariamente consiste nel tradurre un'esigenza morale di intervento politico facendone una testimonianza. La manifestazione costituisce lo strumento che realizza il passaggio dalla mora lità alla politica. Alla fine del processo che abbiamo delineato, la manifestazione resta l'unico elemento dell'intervento. Mentre la politica si risolve in manifestazione, questa non si pone più come espressione di esigenze morali. È manifestazone senza ffJJitrmuti, teatralità pura, il cui valore risiede esclusivamente nella sua capacità di opporsi alla teatrafrtà dell'avversario, confondendolo, e in ciò consiste senza residuo l'intera attività politica. Non so mai, alle dimostrazioni quali siano <>e il pubblico si univa al canto. Disponemmo le cose in modo che un organizzatore del vero sciopero entrasse nello spazio dell 'azione scenica e si rivolgesse agli spettatori dicendo che, se credevano nello sciopero, dei picchetti erano disperatamente richiesti in questo e in quell'edificio. Lo spettacolo terminava quindi «muovendosi» per il campus dove i picchetti dovevano essere sistemati o rafforzati 58 . I Pageant Players giungono così fino alla soglia del completo inserimento del teatro di guerriglia nella situazione quotidiana e dell'impiego dell'azione teatrale come intervento pratico nella lotta. Ma nel 1968 l'ultimo passo verso la totale identificazione del teatro di guerriglia con l'azione diretta non violenta era già stato compiuto da Peter Berg e dai Diggers. Peter Berg, a cui si doveva il suggerimento di definire Guerrilla Theatre gli esperimenti della Mime Troupe, muove da questa considerazione. Lo spettacolo della compagnia nei parchi e nelle piazze si costruisce sull'interscambio tra azione teatrale e ambiente quotidiano. Ma la vita quotidiana è il territorio in cui la gente agisce secondo regole di comportamento stabilite dall'ordine sociale esistente. Lo spettacolo teatrale è invece un mondo in cui queste regole perdono ogni potere. Nell'azione teatrale, recitando, l'attore può assumere tutti i comportamenti che noli sono ammessi nella quotidianità. Il teatro costituisce perciò una zona speciale, un «santuario», dove le regole che costringono il nostro comportamento sono sospese e l'azione può realizzare qualsiasi fantasia. Nel nostro ordinamento sociale il teatro istituzionale è tenuto isolato dalla vita quotidiana. Ma quando l'azione teatrale viene portata fuori dai luoghi che le sono assegnati dalle convenzioni - le sale regolari - e interagisce con la quotidianità, le regole che fissano il nostro comportamento abituale vengono sfidate dal potere che il teatro possiede di costituire un «territorio liberato» dove ogni genere di comportamento è ammesso e qualsiasi fantasia può realizzarsi. In questa prospettiva il teatro di guerriglia è la creazione di un evento che introduce le condizioni dell'azione teatrale in una situazione quotidiana e trasforma tutti i presenti in «life-actors!! che, liberati dalle regole di comportamento imposte dall'attuale società, possono realizzare tutto ciò che la loro immaginazione creativa suggerisce. Sotto la guida di Peter Berg alcuni membri della Mime Troupe insieme ad amici e simpatizzanti cominciano ad organizzare cerimonia e rituali per le strade di San Francisco. La prima di queste cerimonie è la «full Moon Celebration of Halloween» nell'Ottobre del 1966 59 , quindi, nel dicembre dello stesso anno, «con la granitica disapprovazione di R.G. Davis» il gruppo organizza un «evento teatrale» per celebrare «la morte e la rinascita di Haight-Ashbury [il quartiere hippy ·di San Francisco] e la morte del denaro». Peter Berg e i suoi amici, che hanno assunto il nome di «Diggers», raccolgono duecento specchietti retrovisori nei cimiteri d'automobili, si procurano qualche centinaio di fischietti, candele, bastoncini di incenso, molti fiori , e preparano grandi manifesti con la parola NOW (adesso). L'azione comincia senza alcun preavviso con la distribuzione silenziosa dei manifesti ai passanti, mentre membri della San Francisco Mime Troupe camminano in due gruppi paralleli lungo i lati della strada, cantando. Nello stesso tempo sono distribuiti i fischietti e gli specchietti con cui i raggi del sole vengono proiettati dal lato luminoso al lato in ombra della strada. Ragazze vestite di larghe tuniche bianche offrono un fiore a ogni passante. Dappertutto si leva il profumo dell'incenso. L'atmosfera consueta della strada si trasforma. L'autista di un autobus comunale ferma il veicolo, esce, e comincia a danzare con una ragazza in tunica. I passeggeri scendono e si mescolano alla folla. Si radunano parecchie centinaia di persone e iniziano spontaneamente le attività più strane. Ognuno inventa il tipo di gioco o assume il genere di atteggiamento che preferisce. Le regole che determinano il nostro comportamento quotidiano svaniscono, e la zona è quindi «liberata» 60 . Dall'esperienza di queste azioni teatrali Peter Berg sviluppa la propria teoria del teatro di guerriglia che espone in un articolo anonimo del 1967 dal titolo Trip Without a Ticket. Nel nostro comportamento «normale» siamo imbottigliati come capsule in un flacone imbottito di cotone, mentre il teatro costituisce. lo «spazio» per esistere «fuori dai muri imbottiti». È quindi ne- . cessario rompere l'isolamento in cui è tenuto il teatro e portarlo nella quotidianità. Il fine dell'azione teatrale è «liberare il terreno tenuto dai guardiani, stabilire un territorio senza pareti», e «condurre il pubblico al territorio liberato per creare l({e-actors» , vale a dire gente che agisce nella vita con la stessa libertà di cui dispone l'attore sul palcoscenico. Un 'azione modello di teatro di guerriglia è descritta alla fine dell'articolo. Un evento per il principale quartiere degli affari in qualsiasi città degli Stati Uniti. ln(ìltrare il palazzo degli uffìci dell'impresa maggiore con life-actors come segretarie ninfomani, addetti alle riparazioni sbadati, .funzionari esagitati. guardiani g(~[(ì e sventati, impiegati che nascondono animali nei loro vestiti. Tenersi tranquilli.fìno alla pausa per il pranzo. Poi scatenarsi. Le segretarie sbollonano le loro camicette e premono timidi impiegati contro i muri. Gli addetti alle riparazioni lasciano cadere le macchine da scrivere e rovesciano le colonnine dell'qcqua. !.funzionari irrompono negli u[(ìci dei iiirigenti reclamando promozioni. Le guardie tirano fuori bottiglie di bibite gassate, spruzzano tutti giocondamente e intasano le porte degli ascensori. Gli impiegati tirano ftiori dai l'est i ti pesci rossi. conigli, piccioni. eccetera, gatti al guinzaglio e cani sciolti. A mezzogiorno mille esseri liberati appaiono all'estemo danzando e cantando per persuadere gli impiegati a prendersi un giorno di libertà. Dalle(ìnestre degli i!ffìci si srotolano bandiere che annunciano la liberazione. Falsi impiegati corrono fuori del palazzo, si spogliano e si butta110 nella .fontana. Gli ascensori sono carichi di incenso e scoppia ww battaglia a torte in faccia nel bar 61 . L'azione di guerriglia, in questa forma, si inserisce completamente nella situazione quotidiana e -utilizzando le capacità che secondo Berg sono proprie del teatro- opera direttamente sulla situazione trasformandola. VI Nella seconda metà degli anni Sessanta l'azione diretta non violenta e il teatro di guerriglia giungono così- ognuno per la propria strada- a definire un identico modello di intervento: l'azione che opera direttamente sulla quotidianità e la trasforma attraverso la teatralizzazione del comportamento. In questo sviluppo, tanto l'azione diretta quanto il teatro di guerriglia abbandonano i presupposti da cui erano partiti. L'azione diretta non violenta nella sua forma originaria nasce da un'esigenza morale che attraverso la testimonianza si traduce in intervento politico. La manifestazione è successivamente individuata come il termine medio che permette il passaggio dalla moralità alla politica. L'azione diretta fini- 58 M. Brown, Some Aeslhelics and Dinamics in lhe Pageanl Players Si ree/ Thea/er, in H. Lesnick , Guerri/la Slreel Thealer, p. 136. " La cerimonia è descritta sul «Berkeley Barb>> del 4 novembre 1966. 60 61 Per la descrizione di questo evento vedi E. Grogan, Ringo!el'io. Boston e Toronto, Little, Brown and Co .. 1972. p. 259. Trip willuwl a Tickel. distribuito su foglietti ciclostilati nel 1966. - 23 22 sce con il risolversi esclusivamente nella manifestazione che perde il suo carattere di testimonianza morale. La dimensione morale da cui l'azione originariamente muoveva svanisce. Il teatro di guerriglia nasce dall'esigenza di sperimentazione teatrale, riconosce la propria dimensione politica nella capacità di costituirsi come testimonianza, e configura lo spettacolo come interscambio tra azione teatrale e situazione quotidiana. Il suo esito finale è una forma di azione che opera diretta mente sulla quotidianità e ne trasforma i caratteri politici «teatralizzandola» vale a dire trasferendo alla quotidianità le caratteristiche che originariamente erano proprie del teatro. Il teatro diventa la dimensione politica della quotidianità e svanisce come ambito specifico d'operazione. Nel corso dei due processi si giunge così all'identità di teatro e politica mentre si esaurisce l'istanza da cui era nata l'azione diretta non violenta (l'esigenza morale) e quella da cui era sorto il teatro di guerriglia (la sperimentazione teatrale). È proprio a questo punto che il modello di intervento fondato sull'identità di teatro e politica si mostra inefficace . L'azione diretta diventata manifestazione senza testimonianza viene sconfitta nella lotta politica quando l'autorità ricorre esplicitamente alla violenza incarcera ndo i milita nti e sparando sui dimostranti . Rubin , qualche anno dopo , considerando le cause del fallimento del movimento, scriverà: Alla Ke111 S tate University [dove nel maggio del 1970 i militari sparano sugli studenti, uccidendone quattro] i cow -boy americani risolsero la questione con i fucili. Nella piena luce del giorno e da vanti alle telecamere ammazzarono quatro studenti bianchi. l loro fucili impartirono una lezione violenta: dimostrate, e anche voi potete morire. Anche se importanti dimostrazioni si svolsero nel paese per protestare contro !'episodio, le pallottole parlarono più forte delle parole. 1/mOJiimentofu condannato dopo i fatti di Kent S tate 62 • Bene, la nostra bambola fu calpestata e ridotta a pezzi, perdemmo la metà della compagnia e dei co stumi, e quando cercammo di salire sul palco della stampa per eseguire il nostro pezzò .fi11111110 spinti fuori' cadendo tra i poliziolli furibondi, eccetera. Scarso giudizio. Un 'impossibile mescolan za. Una situazione istrulliva 65 . Così, mentre le frange più avanzate del movimento di protesta- ricuperando canali politici tradizionali e scegliendo il terrorismo armato - abbandonano il teatro e si rimettono alla ricerca degli strumenti più adatti per operare nello specifico territorio della politica, la sperimentazione teatrale rifiuta l'identificazione di teatro e politica per ricuperare le possibilità di operare nel territorio che avverte come proprio e particolare. La posizione del teatro sperimentale dopo le esperienze degli anni Sessanta si trova riassunta in una dichiarazione resa da Chaikin nel 197 4: ... dal momento che i/ teatro riguarda la gente e le situazioni, la questione politica emerge continuamente, ilj[uocata . Ma di un suona tore di flauto no11 si dice che deve suonare solo marce o certi inni, perché si pensa che la musica sia wz altro linguaggio. E, in un certo nrodo, anche il teatro del'e m ·ere un angolo di deriva, un margine, ed essere come suonare il .flauto. Anche il teatrn del'e essere capace di costituire un genere particolare di canzone 66 Claudio Vicentini L'arma della manifestazione, priva dell'esigenza morale che impone al dimostrante di accettare anche l'estremo sacrificio della vita per portare la propria testimonianza, si rivela incapace di affrontare la violenza dello stato quando questo non si mostra intimidito dalla pubblicità. L'identificazione di politica e manifestazione mostra quindi la propria insufficienza. La New Left si spacca. Mentre molti militanti si sbandano, gli altri giungono all'implicito riconoscimento - in due direzioni diverse della specificità del territorio politico che impone il ricorso ad armi appropriate, determinte dalle caratteristiche di quello speciale ambito di attività che è la politica. Una parte del movimento opta per il terrorismo armato 63 . L'altra parte ritorna ai canali politici istituzionali partecipando alle campagne elettorali dei candidati che sembrano in qualche modo sostenere, almeno in parte, gli ideali del movimen\ to 64. Sul versante del teatro sperimentale si assiste ad una reazione analoga. Già nel 1967 Mare Estrin osservava come il tentativo di superare la distinzione tra spettacolo teàtrale e vita quotidiana potesse significare il sacrificio della capacità operativa propria del teatro. In occasione della marcia sul Pentagono Estrin prepara una breve azione teatrale in cui , proprio sotto i muri del quartier generale, si dovevano cantare parole tratte dagli opuscoli governativi sul Pentagono mentre veniva compiuta la «oscena distruzione» di una bambola che rappresentava una ragazza vietnamita. Mentre il Bread and Puppet esegue con successo il proprio spettacolo durante il raduno dei dimostranti , in condizioni di relativa tranquillità, prima che la marcia inizi , Estrin e i suoi compagni intendono portare la loro azione nel cuore della mischia, in cima alle scalinate dove gli assalitori tentano di penetrare nella base. " J . Rubin, Gmwing{up) a r Thirry-Seven, New York , Evans and Co. , 1976, p. 76. 63 È la posizione Wearherman che risulta vincente alla convenzione di Chicago dell'SDS nel 1969. l documen ti Wearherman sono stati raccolti da H. Jacobson , Wearherma n, s. I. , Ramparts Press, 1970. 64 Cfr. The Polirics r1[ Pmresr. A R eporr sub111i11ed by Jerome H. Skolnic, Direcwr [rhe Task Force on Violenr Aspecrs of Proresr 0 and Con[ronra rùm 0[ rhe Na riona/ Com111issio11 o11rhe Cau.>e a nd Prevenrion o[ Vio/ence (Skolnic Report), New York, Simon and Schuster, p. 65. 6S 66 M. Estrin , Some T!wughrs on Guerril/a Thearer, <. Questi erano i due temi principali del progetto: il disseppellimento di un vecchio Maestro- morto e chiuso in chiese e musei , dove gli rendono visita i fiorentini e i turisti americani e tedeschi - e la cartapesta, materiale fragile, economicamente grezzo, tutt'altro che prezioso , che può essere prodotto da chiunque e in pochissimo tempo». - La cartapesta contro il museo, per distruggere il museo e far risorgere l'arte: i Puppets come «sinopia» vitale e quotidiana dell'affresco? «Appunto. Occorre partire dalla caratteristica principale della cartapesta: la sua fragilità. E la fragilità è l'esatto contrario di ciò che dura, dell'eternità. A Firenze è tutto eterno: il marmo, la città, i suoi patrimoni d'arte. Usare la cartapesta mi è sembrata una proposta appropriata alle opere che esistono a Firenze». - È stato un po' come investirle con una nuova, piccola alluvione, infangarle di materiale povero per ritrovarle e renderle più nostre. «Nel nostro lavoro è infatti sottintesa una critica a un luogo comune, che riguarda l'Arte, cioè la bellezza dei materiali che· sembrano d'obbligo per l'architettura, la pittura, la scultura, specialmente la scultura. È ora di dimostrare che la non-bellezza dei materiali può essere altrettanto espressiva e «artistica»: se è creativo tradurre un blocco di marmo in scultura, può essere anche più importante che un giornale diventi cartapesta, che possa essere cambiato, possa essere «messo in musica», possa cioè essere usato». - È un discorso che acquista ancor più valore se fatto all'interno di una struttura didattica qual è un Istituto d'Arte. «> . - L'operazione che state portando avanti nel Vermont è una specie di bazar ambulante? Avete trasformato l'arte in una bancarella, in un marché aux puces, anzi in un marché aux poupées? «Si, facciamo dipinti per il bagno , sculture per il mal di denti, per quando muore il nonno ... Insomma ogni tipo di oggetto, per qualsiasi scopo: un'arte completamente immersa nel quotidiano, fuori dei rituali tradizionali ». -In Italia sta facendo qualcosa del genere, in una trasmissione umoristica, Alto gradimento , Mario Marenco, impersonando un mercante bizzarro che inventa e produce gli utensili più inattesi: una pinzetta per raddrizzare i denti ai passanti , barattoli per parassiti, colla per ciglia fragili. Ma la sua provocazione, solo radio fonica , è rivolta contro il consumismo, contro la nostra way o.f /((e in stile Ri-· nascente. La provocazione del Bread and Puppet, invece, riguarda il mercato della cultura, i suoi meccanismi, i suoi imperativi sui materiali da usare e gli scopi da raggiungere, insomma i bisogni indotti della «persuasione» estetica? «Il lavoro che stiamo facendo , in realtà, a noi sembra ormai talmente ovvio e naturale, che diventa difficile spiegarlo. Se riesci a liberarti da certe imposizioni del gusto, dai condizionamenti dell'industria dell 'arte, tutto torna ad apparire con una faccia nuova: se tu guardi senza gli occhiali azzurrati di Coppelius, ogni cosa parla il suo linguaggio, tu conosci i suoi punti deboli, la sua leggerezza. In altre parole , l'arte che facciamo noi è un'arte povera, nel senso che è un'arte non da adorare, ma da usare». - Gli studenti dell'Istituto d'Arte con cui avete lavorato hanno assorbito questa «lezione», hanno capito in quale opera di rottura verso i canoni didattic:i e estetici tradizionali sono stati coinvolti? «Hanno capito prima di tutto di essere coinvolti in una produzione reale. Hanno fatto un lavoro che in genere si può pretendere dai ritmi produttivi di una fabbrica. In un periodo di tempo brevissimo hanno realizzato un grosso progetto, cosa che probabilmente non avrebbero mai fatto in tutto il tempo della loro permanenza a scuola. Hanno potuto così constatare che l'arte è un fatto di produzione, e non soltanto di decorazione, e che, nella produzione, tutti possono essere coinvolti». -In un paio di settimane, dunque, a saperle usare, anche all 'interno di strutture scolastiche, si può imparare a guardare le cose in modo diverso e ad affrontare l'arte, il teatro, la cultura, in maniera creativa? «Dipende da te, ma io sono sicuro di sì. A Firenze, anche dopo un lavoro di soli quattordici giorn i, qualcosa è rimasto in mano a tutti. L'operazione-Masaccio per i fiorentini è stata in un certo senso molto simile al rapporto che io ho con gli altri nell'insegnamento: tu pulisci il pennello per un anno, poi mescoli le tinte, poi puoi dipingere qualcosa sul retro, poi finalmente puoi dipingere l'ala sinistra di un angelo: l'anno dopo, quando tornano, potranno dipingere le labbra dei Santi. Imparare significa collaborare, partecipare, svolgere un'azione cosciente all'interno di una produzione collettiva. dove la tua partecipazione cresce quanto più vi sei coinvolto. Trovo che l'arte in sé, oggi, è generalmente superflua. O scopriamo che essa è un'autentica necessità o dobbiamo rinunciarvi. Avevamo chiamato il nostro teatro Bread and Puppet (pane e burattini), proprio perché sentivamo che esso dovrebbe essere fondamentalmente essenziale come il pane. L'arte, come il pane, è buona quando ha un senso per il pubblico». Mario Serenellilri Nancy, dicembre 19 79 29 SULL'ATTIVITÀ FILODRAMMATICA CATTOLICA A TORINO NEGLI ANNI 1920-40 •• l ) l. DIFFICILE RAPPORTO CON LA TRADIZIONE - NUOVE ESIGENZE - Intorno al 1920 la cultura cattolica si impegna a rendere operativo il proprio inserimento nella vita politica e culturale italiana. Attraverso un notevole sforzo di rinnovamento, il mondo cattolico tenta di far fronte alla cultura liberale socialista e di riassorbire coloro che, negli anni dell'astensionismo, si erano pericolosamente allontanati dalla parrocchia e dall'oratorio. In questo progetto assumono notevole importanza le diverse attività ricreative e culturali organizzate dalla struttura oratoriana ~ parrocchiale e tra queste, in modo particolare, le filodrammatiche. Per almeno tre ragioni fondamentali, tra il 1920 e il 1940, l'attività filodrammatica cattolica assume un ruolo di particolare rilevanza: l) diviene uno dei luoghi di organizzazione del consenso in cui il cattolico risponde alla cultura laica esi confronta con l'ideologia fascista; 2) è fenomeno che crea gusto teatrale ed è spia dell'altra faccia del teatro, quella che non partecipa ufficialmente alla vita culturale; 3) si presenta come modello primario di distribuzione capillare sul territorio di un'attività artistica decentrata. II teatro educativo cattolico, anche quando stia vivendo una fase profondamente innovativa, non può non confrontarsi con la propria ricchissima tradizione cultUrale. Nel XIX secolo, assumendo come centro della propria azione l'oratorio, la chies>, nata nel 1900 circa come proposta di letture morali, intese come semplici stimoli per la creatività giovanile, da contrapporre alla letteratura laica, assume caratteri di sempre più pesante erudizione. 30 31 Anche se non in modo rigidamente schematico, si delineano due correnti di pensiero che percorrono interamente il teatro filodrammatico cattolico del XX secolo. Da un lato si possono riconoscere le posizioni di coloro che affrontano il teatro in modo problematico, analizzandone ampiamente i fini entrando in contatto con le istanze del teatro ufficiale contemporaneo, ponendo integralmente in disc~ssione i modi operativi del mondo culturale oratoriano; dall'altro si possono notare le posizioni di ricezione passiva della tradizione e di sostanziale accondiscendenza nei confronti della cultura ufficiale. Negli anni Venti-Quaranta, la produzione di testi si presenta molto eterogenea, frutto di posizioni assai distanti fra loro, che emergono, nelle loro linee fondamentali , dal dibattito in atto fra le riviste specializzate 4 . Elemento unificante è soltanto il rifiuto di un repertorio consunto, risalente ancora al XIX secolo, di impostazione tardo-romantica e tuttavia molto rappresentato dalle compagnie filo" drammatiche di ogni regione. 3. LA PRODUZIONE Particolarmente complesso è il problema del reperimento delle fonti. Il teatro filodrammatico è infatti fenomeno che, per sua natura, non ha lasciato tracce nella cultura ufficiale e si è costruito canali autonomi di trasmissione. Inoltre, è preferibile, quando sia possibile , reperire il materiale nei luoghi stessi in cui era studiato e trasmesso, in modo da ritrovarne inalterata l'organizzazione originaria. A questo proposito si è rivelata importante la scoperta di una settantina di opere nell'archivio nel teatrino del Collegio di Valsalice, attivo, sebbene con alcune interruzioni, in tutto il periodo preso in esame. Si sono potuti pertanto analizzare testi che, per la loro specificità, non sono reperibili in altri luoghi e che mostrano i segni di un'ampia utilizzazione 8 Gran parte della produzione teatrale trova spazio nelle riviste, che riservano ad un dramma le pagine centrali di ogni fascicolo . Le opere rimanenti sono edite da quelle case editrici che si reggono su istituti assistenziali (Figli di Maria Immacolata a Brescia, Scuola Salesiana del Libro a Roma, Artigianelli a Torino e a Pavia, Tipografia Im~pacolata Concezione a Modena, Edizioni del Ricreatorio Bagnacavallo a Ravenna) oppure, più frequentemente , da case editrici di gestione clericale (Libreria Salesiana di Roma, Libreria Cattolica Arcivescovile di Torino, Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, Unione Missionaria del Clero di Roma). Più autonome, anche se in qualche misura sempre legate all'attività educativa, sono le case editrici: Majocchi di Milano, Viano e SEI di Torino, Galla di Vicenza, Ancora di Pavia. Tale produzione è raramente organizzata in collane che lascino intravvedere un 'opera di programmazione culturale. Unica eccezione sono alcuni drammi di argomento missionario, pubblicati nella collana «Bibbliotechina Missionaria». Per quanto riguarda l'organizzazione della produzione, assume particolare importanza l'istituzione di concorsi indetti con notevole frequenza, su temi specifici, con l'obiettivo di stimolare gli autori a produrre in una precisa direzione. L'argomento che maggiormente ispira i bandi di concorso è q~ello dell'opera missionaria. 2. GLI AUTORI Le biografie dei principali autori 5 permettono di riconoscere almeno tre gruppi distinti, la cui produzione risponde ad esigenze diverse. L'avanguardia è costituita da un gruppo molto attivo di giornalisti, per i quali l'impegno ideologico-politico è d'importanza primaria 6 , ma la cui elaborazione si consuma nei dibattiti interni, confinati nelle riviste specializzate. Ad una precisa esigenza di intervento pedagogico rispondono invece coloro che, ponendosi il problema della propria funzione all'interno della struttura oratoriana (sacerdoti, insegnanti, scrittori, musicisti), producono testi il cui fine è esclusivamente quello di raccogliere il maggiore consenso intorno al teatro educativo. Questi autori offrono opere facilmente fruibili, meno raffinate di quelle prodotte dal gruppo degli ideologi, ma spesso stilisticamente più sciolte, forse perché non gravate da tesi troppo schematiche. Una tensione inferiore sottende infine l'opera di autori (commercialisti, medici, etc.) i quali, pur esercitando professioni che non rientrano nel campo delle attività pedagogico-politiche, scrivono per il teatro cattolico in una dimensione di puro divertimento letterario. La produzione risente nel complesso di un'impostazione superata, mentre le proposte di rinnovamento stilistico e linguistico sono presenti soltanto in pochissimi testi esplicitamente provocatori 7• • Ci sembra utile tracciare un sintetico quadro delle pubblicazioni di cui disponeva il mondo filodrammatico cattolico dal 1920 al I94G·. Intorno agli anni '20, nacquero le riviste <> e <>che ebbero scarso successo e breve vtta. Molto più importanti. per il loro tentativo di introdurre nel mondo filodrammatico problematiche nuove, fino ad allora completamente ignorate, furono le riviste fondate da Carlo Trabucco: <> a Milano nel 1922, <> a Torino nel 1928. In seguito nacquero altre riviste, con pretese culturali maggiOn, nspetto le precedenti; la pnma fu fondatà nel 19 31 da Saveri Fino a M ilano e s'intitolò «l quaderni del teatro cristiano>>, la seconda, <>, nacque a Ftrenze nel 1934, per iniziativa di Carlo Trabucco. La prima rappresentava un tentativo di apertura rispe~to al dibattito teatral_e europeo. La seconda, tentava di uscire dal ristretto ambito del teatro unisessuale, pubblicando opere dt auto n cattohct per ti teatro promiscuo. Nel 1935 nacque a Torino la rivista «Boccascena>> diretta da Consolato Remen , che assunse un carattere maggiormente religioso, trattando soprattutto problemi morali. . . s Per le vicende biografiche di G. Ellero, A. Micheletti, A. Burlando, A. Marescalchi, C. Trabucco, E. Basan, S. Fmo, A. Massina, E. Julitta, L. Corazzin, E. Anselmetti, U. Gel metti, G. Caselli, G.M. Macchi, E. Sclarandis, C. Repossi, cfr. C. Alpestre, L'allivitàfìlodrammatica callolica a Torino dal 1920 al 1940, Torino, Tesi di Laurea; A.A. 1977-78 .. Tra costoro molti accedono a cariche pubbliche di notevole importanza acquistando qumdt un reale peso pohttco. ' Esemplare in questo senso è il testo di S. Lanfranchi (pseudonimo di C. Trabucco) Il mondo ... sempre cosi'. Milano, Controcorrente, febb. 1922. 4. DUE OPERE DI CARATTERE MISSIONARIO J Dal punto di vista dei contenuti si rivelano molto interessanti due opere premiate in un concorso indetto dall'Unione Missionaria del Clero. La vicenda della prima, Il gigante incatenato, di Carlo Trabucco 9 si svolge in Congo, in un villaggio che è governato in modo assai autoritario da un colonialista. Un sacerdote italiano, giuntovi per caso. viene ucciso da un indigeno, che interpreta come un attacco nei confronti del suo capo una violenta discussione tra i due. Dopo la morte del sacerdote, il colonialista si rende conto che è necessario, così come sosteneva il sacerdot~, impartire un'educazione religiosa agli indigeni, affinché imparino a distinguere il bene dal male. La scena viene così descritta: «Interno di un bungalow nel cuore del Congo. Arredi: una sedia a sdraio, una di vimini, un tavolino basso con pipe tipo quelle usate dai.fumatori di oppio, dalle.fìnestre in lontananza numerose palme. Varie acce/le, un gong, i costumi sono del tipo coloniale, stiva/ani, cinturone, e/C.!!. 8 9 Alcune censure o modificazioni apportate al testo dal «Capocom iCO>>sono in molti casi molto significative. Ad esempio nel testo di G. E llero !/libro del prc!(essore, Torino, 1926 (l 0 ediz. 1908) un personaggio che per la propria cultura, viene ritenuto importante, rifiuta che un vecchio compaesano gli si rivolga in terza persona: <>(p. 22). La battuta viene censutata in relazione alla politica fascista del «VOi>>. C. Trabucco, Il gigante incatenato, Roma, s. d. 32 33 In quest'opera l'autore sostiene la tesi della necessità di accompagnare la colonizzazione, mai messa in discussion.e, con l'educazione cattolica degli indigeni. Il sacerdote non solo ribatte violentemente le tesi del colonialista 10 sostenendo che l'indigeno può acquisire dignità umana soltanto tramite la conversione al cattolicesimo, ma amplia notevolmente i confini del proprio discorso, polemizzando con il colonialismo inglese. Gli inglesi vengono accusati di trarre profitto «dal sudore degli schiavi e dallo strazio di quei negri, le cui carni furono pasti dei cani importati da Cuba per il loro sterminio» 11 e soprattutto di aver diffuso il «protestantesimo in Africa» 12 . Nell'altra opera, Stirpe crociata, di G. Caselli 13 , l'obiettivo è quello di attribuire alla figura del missionario le medesime caratteristiche di quella del guerriero. Si sostiene cioè che la battaglia in difesa del cristianesimo vale quanto quella combattuta in difesa della patria. Il protagonista è un giovane di nobile famiglia, il quale vorrebbe diventare missionario, seguendo le orme di uno zio paterno, la cui eroica morte per mano dei bolscevichi viene ampiamente descritta nel secondo atto. Il nonno si oppone, in quanto preferirebbe che egli intraprendesse la carriera militare. Quando gli giungerà la notizia dell'eroica morte del figlio, rasserenatosi, lascerà partire il nipote. L'opera prevede una scena esotica soltanto nel secondo atto (per il resto il dramma si svolge in un castello del Canavese): «Una camera della missione cattolica fabbricata con tavole di legno. Attraverso una feritoia si vede lampeggiare la battaglia. A !tarino con croc(fìsso e santi. Tavoli e suppellettili cinesi!!. 5. IL ·CRISTIANESIMO EROICO- LE VITE DEI SANTI Una concezione «eroica» del cristianesimo emerge anche dai drammi che narrano episodi della vita dei santi. In questo ambito, molto interessanti sono soprattutto le due opere di Amilcare Marescalchi, La vittoria di Don Bosco 1\ Don Boscojànciullo 15 , e l'opera di R. Uguccioni, Attorno a un santo 16 Nella prima Don Bosco viene avvertito in sogno dagli angeli della sua missione di educatore dei ragazzi. La sua vocazione sarà però ~stacolata da un individuo (incarnazione del male) che, prima lo alletta con interessanti proposte di lavoro e poi gli ruba i soldi risparmiati per andare in seminario. Il dramma termina con un quadro allegorico celebrante la grandezza del santo. Nella seconda Don Bosco si trova a dover affrontare il fratello che gli vuole impedire di seguire la propria vocazione; egli enuncia quindi, in termini concreti, quello che intende realizzare. Inoltre, vengono presentate alcune scene in cui il protagonista gioca con i ragazzi di Castelnuovo n Nel finale Gesù lo stimolerà a procedere nel suo intento. In questo modo l'autore tende ad evidenziare da una parte il coraggio di Don Bosco nel superare le difficoltà che incontra sul suo cammino, dall'altra riesce ad inserire nel dramma molte dichiarazioni programmatiche. In questo senso, molto interessante è la descrizione del quadro finale de La vittoria di Don Bosco: w· «Il negro è un essere inferiore, il quale non conosce che la ragione della frusta e della morte>>, C. Trabucco, op. cit., p. 50. " Id., p. 13. 12 << Il dottor Livingstone, che con il suo Vangelo apocrifo sotto il braccio conquistò mezza Africa a S.M. britannica...>>, Id., p. 16. 13 G. Caselli, Stirpe crociata, Roma, s.d. 14 A. Marescalchi, La vi/loria di Don Bosco, S. Benigno Canavese, 1911. " A. Marescalchi, Don Bosco fanciullo, Torino, 1928. 16 R. Uguccioni, A/torno a un Samo, Torino, 1935. 11 È il comune in cui Don Bosco visse i suoi primi anni di vita. Si trova in provincia di Asti (mutò il suo nome da Castelnuovo d'Asti in Castelnuovo Don Bosco) ed è sede di un importante istituto salesiano. !iQuadro finale: a/fondo in mezzo, su di un alto piedistallo è Don Bosco in mantellina e berretta. A Ila su~ sinistra un gio~1 ane Indio piega il ginocchio e gli bacia la mano; alla destra è unfànciullo europeo a cw Don Boscofara passare il suo braccio sulla spalla destra; il gruppo riproduce il monumento di Castelnuovo d'Asti.~ tt.orn~ al gruppo principale con venientemente disposti sono parecchi altri gruppi ;.appresentantt le prtncrpalt opere salesiane. Un giovanotto regge un piccolo stendardo con fa scritta !i Sezione artigiani!!; presso di lui disposti in bell 'ordine alcuni artigiani con gli arnesi de/mestiere. Un secondo stendardo ha la scritta !i Sezione studenti>>; unteio !IOratoriofestivo!!; un quarto re/lo da un selvaggio a cui altri piccoli selvaggi fanno corona !i Missioni estere». Indietro presso Don Bosco è un gr~nde vessillo .c~! motto !l Preghiera e lavoro». Più innanzi un gruppo di cantori con te parti in mano, POI alcwu mustct con i loro strumenti efìna!mente un gruppo di ginnasti in divisa. Di dentro in to/1/an~nza, un coro poderoso canta le glorie di Don Bosco. Tu/lo il grande quadro è dominato da luce vivisStma!!. L'ope~a di Uguccioni si articola in tre bozzetti: il primo è la cronaca del giorno dell'investitura di Don Bosco.' Il secondo narra del giorno in cui Don Bosco riesce a condurre in passeggiata i ragazzi del nformatono senza che ess~ siano ~ccompagnati dalle guardie. Ottiene così che la legge sulla soppresSione degh ordmi religiOSI 8 Sia ev1tata per i salesiani di Valdocco. Nel terzo Don Bosco, stanco per es18 In realtà la ~egge del Parlamento piemontese prevedeva soltanto la soppressione di alcuni ordini: da tale provvedimento erano qumd1 senz altro esclUSI 1 sales1anL <> A.C. Jemolo , Chiesa e Sta/11 in Italia dalla wufìcazwne a G10vwmi XXIII, Torino, 1965. 35 34 sere andato a cercare aiuti per la sua opera, chiede ad un calzolaio di iasciarlo dormire nella sua bottega. L'azione si svolge mentre Don Bosco dorme. Si assiste ad una sfilata di personaggi (nobili, bambini, popolani) che lodano entusiasticamente l'opera del santo. Il dramma nel suo complesso accosta !"opera di Don Bosco nel momento del suo massimo impegno politico e sociale. Il secondo bozzetto è, contenutisticamente, il più significativo. La figura di Don Bosco vi assume un notevole peso politico, in un crescendo che culmina colla seguente affermazione del Ministro Rattazzi: «Ma non capite che poderoso aiuto potrebbe dare allo stato w~ prete s([fatto? Voi lo potreste mandare nelle carceri e dopo poco tempo liberare i prigionieri restituendo/i alla società mutati in galantuomini, 19 chiudendo le carceri con vantaggio notevole, morale e finanziario, di qualunque governon . 6. ANTICOMUNISMO E PROPAGANDA ALLINEATA CON IL FASCISMO Un carattere più esplicitamente politico assumono alcune opere che vengono pubblicate tra il 19 30 e il 1940..· Sono testi, che accogliendo da una parte le tesi nazionalistiche del fascismo e dall'altra il tradizionale conservatorismo cattolico, si fanno portavoci di un perentorio anticomunismo. Fra le più significative si possono ricordare Arriba Espana di T. Rotellini 20 e Cara al Sol di A. Magrelli e C. Rossi 21 • Nella prima la vicenda si svolge in Spagna. Due mezzadri, padre e figlio , il primo su posizioni marxiste, il secondo cattolico, dopo il decesso della loro moglie e madre avvenuto durante la difesa di' una chiesa contro i «fossi», chiedono al padrone di inviare loro un contadino che li possa aiutare nei lavori dei campi. Il contadino non è che un prete scampato alla persecuzione dei comunisti. Essi, ritrovatolo lo condannano a morte. Il figlio del mezzadro riuscirà però a farlo fuggire, addossandosi tutta la responsabilità della fuga. L'indomani verrà crocifisso dai comunisti. La seconda si svolge durante la lotta civile in Spagna; due ragazzi, figli di nazionalisti, insieme ad altri loro coetanei, vengono fatti prigionieri dai comunisti, uno dei due si finge traditore per poter scoprire i piani del nemico. Infine, con l'arrivo dei falangisti nel campo in cui erano tenuti prigionieri i ragazzi, i comunisti si trovano costretti a fuggire. L'anticomunismo si manifesta soprattutto mediante l'artificio di far pronunziare ai comunisti alcune affermazioni programmatiche, profondamente ingenue e semplicistiche. Ad esempio nell'opera di Rotellini si tende a sottolineare la ferocia dei <>, T. Rotellini, op. cii., p. 49. Id., p. 27. 24 . In Cara al Sol, che nel sottotitolo viene definita «vicenda della gloriosa rivoluzione falangista », si notano accanto all 'esaltazione della religione e della patria 25 alcune affermazioni che tendono a sottolineare la negatività dei personaggi appartenenti all'esercito rivoluzionario comunista. Ad esempio, uno di questi viene così descritto: «diciassette anni. Prepotente, delinquente, vigliacco, in tempi normali starebbe nelle galere; sotto il regime rosso potrebbe diventare qualcuno» 26 . Nel decennio 19 30-40 la produzione del teatro filodrammatico cattolico tende ad allinearsi, come si è visto, con l'ideologia del regime fascista. Ciò appare, in modo particolarmente evidente in quei testi che assumono come tesi fondamentale la necessità di una politica colonialista italiana. Un esempio significativo di tale tendenza è l'opera di Drovetti Addis Abeba 21 : i protagonisti della vicenda sono due fratelli. Quello che viene maggiormente stimato dal padre, per la propria intelli.genza ed intraprendenza, è in realtà un figlio adottivo. Egli dimostra il proprio valore durante la conquista di Addis Abeba. Tornato in patria ed appresa la propria condizione di figlio adottivo, dichiara di voler rinunciare alla propria parte ài eredità. Il padre deciderà di spartire il proprio patrimonio in parti uguali fra i due figli , in modo tale che essi possano investire tali somme in imprese commerciali nell'Impero. In quest'opera molte sono le affermazioni che confermano la propria adesione alla politica coloniale: «L 'Italia era stanca di conlinue pro vocazioni, di continue razzie ed era tempo che pro vvedesse alla sua sicurezza e al suo prestigio' Farà lui Musso/in i quello che non hanno saputo .fare altri!>28 «Col regimefascista (. ..) volere è potere>> 29 «Quest'impresa coloniale mi entusiasma! Sento che t'avvenire è laggiù, sento che il Duce ha indovinato, ha intuito ave era la ricchezza d 'Italia e l'idea di contribuirvi, di dare il mio modesto contributo, mi accende, mi esalta!>> 30 «Ma noi siamo forti, muniti di armi potenti e modernissime» 31 . 7. RINNOVAMENTO E PROBLEMA DELL'UNISESSUALITÀ. Se la produzione, nel suo complesso, risponde in modo spesso assai schematico a pure esigenze di propaganda, occorre tuttavia sottolineare che dalle pagine delle riviste e da alcune opere (soprattutto da quelle edite dalle riviste stesse) emerge, accanto ad un sostanziale rifiuto di tale produzione, un profondo tentativo di rinnovamento. Il gruppo che sostiene, con eccezionale partecipazione, tale battaglia (Trabucco, Macchi, Fino, Basari e altri), afferma la necessità di un teatro in cui venga rappresentato l'uomo nella sua complessità e contraddittorietà, in modo tale che il finale non sia sempre e soltanto l'ovvia e scontata conclusione di una contrapposizione schematica di «buoni» e <>, ma sia il risultato di un rapporto dia- . Altrettanto significative sono alcune battute pronunciate dal capo dei guerriglieri: 20 tutto deve essere distrutto; e su queste rovine ried(fìcheremo la civillà delt'avveniren 24 Id. , p. 26 . " «lo ho offerto la mia vita a Dio, unita al sacrificio di tutti i veri spagnoli per la redenzior,e e la grandezza della nostra patria>> <>, A. Magrelli-C. Rossi, op . cit. , pp. 33-34. 26 Id., p. 4. 27 C. Drovetti, Addis Abeba, Torino, 1936. 28 Id ., p. 3. 29 lbid . l O lbid. 31 Id ., p. 5. 37 36 maggiori possibilità di controlli» offrono garanzie maggiori e più ampie possibilità di successo 33 . Ma la linea prevalente è quella rigidamente conservatrice di cui si fa portavoce, ad esempio, Tito Rotellini sulla rivista «Scene e Controscene»: uLa Chiesa ci mette giustamente in guardia e ci fa ragionevolmente temere a riguardo dei rapporti, specie teatrali, tra individui di sesso diverso . ( . .)Questo teatro maschile o femminile, è e rimarrà sempre necessario non fosse altro per i collegi, istituti, oratori(..) esso può elevarsi, come si è elevato, a nobilissima ed eletta forma d'arte ( . .) tutto il drammatizzabile è dunque racchiuso nei sentimenti, pur tanto alti dell 'amore, della niaternità, della casa? Vitrorio Aljìeri, quando ha voluto trattare il tema della patria e della libertà, ha soppresso le donne dalla scena, perché non distraessero l'animo degli spettatori con altre idealitè» 34 A queste posizioni tentano invano di contrapporsi coloro i quali, osservando il carattere di promiscuità assunto dalla vita di tutti i giorni, e la necessità di arrestare la diserzione del pubblico, propongono un radicale abbandono dell'unisessualità. Ad esempio, Carlo Trabucco ritiene il teatro promiscuo più consono alla realtà sociale e quindi maggiormente valido anche dal punto di vista dell'esito artistico-pedagogico 35 . 8. RAPPORTI CON IL TEATRO UFFICIALE E CON IL CINEMA letti co tra i personaggi, quali dovrebbero scaturire da un 'approfondite indagine della psicologia umana. Un discorso di questo genere è comunque, destinato al fallimento in quanto si scontra, oltre che con l'effettuiva chiusura del mondo filodrammatico nei confronti di qualsiasi tipo di proposta di rinnovamento, con un problema che si rivelerà insolubile. Infatti, l'impasse che il mondo filodrammatico non è in grado di superare è quello della propria unisessualità 32 • Ogni proposta dev~ infatti tener presente che le compagnie teatrali sono, per la maggior parte, composte da individui dello stesso sesso. Anche se il problema viene spesso discusso in tutte le pubblicazioni periodiche, l'unica rivista che si muoverà in senso risolutivo sarà «Proscenio», pubblicando testi che prevedono anche personaggi femminili. Essa è però destinata ad avere breve vita, in quanto non esistono compagnie che possano realmente usufruire di un tale repertorio. L'atteggiamento di coloro che esprimono la propria opinione intorno al problema è molto spesso contrario all'abolizione dell'unisessualità. Da una parte, essi assumono un'atteggiamento di censura nei confronti della donna, in vista di una possibile degenerazione morale dell'ambiente filodrammatico, dall'altra sostengono la teoria per cui il teatro filodrammatico soltanto se unisessuale, potrebbe costituire una seria e reale alternativa rispetto a quello ufficiale. In alcuni casi si ammette che il teatro promiscuo venga introdotto nelle associazioni cattoliche di carattere generale, che, per loro natura, prevedono soci di entrambi i sessi e «per la vastità del pubblico, per disponibilità di locali, per " Infatti soltanto intorno agli anni '60, le pochissime compagnie filodrammatiche sopravvissute potranno avvalersi di attrici. Coloro che partecipano al dibattito intorno al teatro educativo cattolico si rendono conto (soprattutto dal '25 in poi) del fatto che il pubblico va rapidamente diminuendo e che, nella maggior parte dei casi è costituito soltanto dai parenti degli attori. Nel tentativo di individuare quali siano i fattori che sottraggono il pubblico al teatro cattolico, si pone necessariamente il problema del rapporto con l'apparato propagandistico fascista e con il teatro e il cinema asserviti al regime. Mentre con il primo il teatro cattolico non si confronta mai in modo esplicito, sottolinea l'immoralità di fondo di teatro e cinema e li condanna, non in quanto manifestazioni di regime, ma per la loro sostanziale acattolicità. Verso il teatro «ufficiale» i cattolici assumono spesso un atteggiamento antagonistico e sostengono la necessità, come afferma ad esempio E . Lucatello in «Controcorrente», di muoversi sul terreno deli'emulazione: «La sola propaganda intesa a mettere in luce le malefatte del teatro (e del cinematografo) ... (non è sufficiente) ad allontanare il pubblico da cerie produzioni dannose, insomma l'azione negativa non basta, occorre a lato di essa un'azione positiva che dimostri esser possibile il teatro veramente educativo e morale»36' " M. Milani, //convegno nazionale dei cultori de/teatro morale- Relazione, in Scene e Controscene, giugno, 1932. " T. Rotellini, In tema di teatro promiscuo-Fermata al disco, in Scene e Controscene, maggio 1932. È ancora molto interessante la posizione assunta da R. Pasini: <<... suoi oppositori smaniano nel definire 'forma ridotta di arte' quella che rappresenta solo il lato maschile della vita, quasicché, già come fu mille volte ribadito, non esistessero nella vita contingenze esclusivamente (o quasi) maschili, quali quelle del mondo militare, affaristico , ecclesiastico, sportivo e ... scientifico! Quando e dove per chiarissimi indiscutibili ed elementari motivi che solo dei ciechi forzati nor. vedono, la donna fu e sarà necessariamente esclusa dalla filodrammatica, il teatro è costretto a mantenersi in forma unisessualc 1» R. Pasini, La morte de/teatro maschile, in Boccascena, n. 9, 1937. 35 «Eppure tutto il mondo (.. .) oggi è permeato di promiscuità - scuola, officina, ufficio, sodalizio - Più o meno egregiamente il mondo cammina diritto, che a farlo andare storto debbano proprio essere quelle du'e ore di prove in cui quei giovani debbono star vicinisul palcoscenico">> C. Trabucco, Pesca reale, in Scene e Controscene, luglio-agosto, 1932. 36 E. Lucatello, Lei/era .fiorentina , in Controcorrente, genn. 1923 . 38 39 Solitamente il discorso sul rapporto del teatro filodrammatico cattolico çon quello ufficiale è tutto interno al mondo oratoriano e solo in alcuni casi si assiste ad un tentativo di analisi più ampia e generalizzata e, nel medesimo tempo, all'intuizione che la crisi, devastante ormai il teatro educativo anche se determinata dalla scarsa capacità di evoluzione interna, è dà ricollegarsi ad un fenomeno più generale 37 . Nell'intuire che la crisi è un fenomeno più generale si stenta però ad identificare uno degli aspetti fondamentali del problema: l'importanza assunta dal cinema che, divenuto sonoro, sottrae pubblico al teatro in misura preoccupante. L'atteggiamento assunto dal mondo educativo cattòlico nei confronti dell'alternativa cinema-teatro, subisce nel giro di pochissimi anni un'evoluzione radicale. Ciò sta ad indicare come il problema sia stato in un primo tempo sottovalutato e, nella maggior parte dei casi, affrontato in modo ingenuamente moralitico. Sono significative, in questo senso, le affermazioni di T. Rotellini e A. Mariani che, a soli due anni di distanza tra loro, rappresentano le posizioni. estreme del dibattito sulla necessità e sull'opportunità di usare il cinema come principale mezzo educativo: «Oltre che da/lato artistico(. ..) da/lato educativo, il teatro è preferibile sempre al cinema, perché: ha maggior copia di produzioni morali, contribuisce alla formazione del carattere negli attori, non ha gli inconvenienti delle sale cinematografiche, non ha, come il cinema, effetti deleteri sugli organi visivi, e principalmente sul sistema nervoso dei ragazzi» 38 «l cattolici devono interessarsi con simpatia al cinematografo: aprire delle sale che siano vere sale per il. pubblico e organizzar/e rigorosamente su un piano commerciai~(..) esiste( ..) un solo mezzo per ottenere delle pellicole convenienti nelle nostre sale ed è la coesione fortemente disciplinare dei cinematografi cattolici» 39 Com'è noto, il mondo oratoriano si muoverà in questa seconda prospettiva, organizzando la propria attività quasi esclusivamente intorno al cinematografo. 9. IL RAPPORTO CON L'ERARIO Per valutare quale fosse in questi anni a Torino la consistenza del teatro filodrammatico cattolico e, in generale, quale fosse la struttura su cui poggiava, è molto importante analizzare i rapporti intercorrenti fra quest'ultimo e l'erario. In questo modo, è possibile individuare come il fenomeno entri in rapporto con lo Stato, l'importanza che lo Stato medesimo gli attribuisce, e, attraverso l'analisi di proposte alternative provenienti da vari gruppi «interni», ricostruire la trama dei rapporti su cui si regge. Il 5 gennaio 1921, un decreto stabili:'!ce che venga applicata una tassa erariale (l O% sull'incasso lordo) aÙe rappresentazioni aventi luogo nei teatrini cattolici. Per tutelare l'interesse dei circoli, nel 1922, viene stipulato con la Società degli Autori, una convenzione a forfait da applicarsi a tutti i circoli aventi la sezione filodrammtica in efficienza. Si stabilisce, cioè, la tassa fissa di L. 15 per ogni recita. I " «l nostri filodrammatfci dicò hanno cammina!~ di pari passo col nostro teatro nazionale o quantomeno col teatro che si dà dèi nostri maggiori teat;i (...)'ora il teatro in Italia non ha camminato ma è andato indietro tanto è che il teatro in Italia ha avuto un periodo in cui pareva che stesse per mettere radici nazionali e poi si è perduto dietro a tutto quello che e Il teatro francese teatro nordico, teatro russo, e poi ancora ha finito per perdersi dietro a tutte le pazzie dei pseudo-futunstJ C..) Tutto questo ~on è arte, è mestiere(..). Il teatro nostro ha perduto il senso intimo della poesia>>, S. Fino, Convegno degli amici di Controcorrente, in Controcorrente, sett.-ott. 1922. 38 T. Rotellini, Alcune idee e quesiti sulla moralità degli spellacoli, dic. 1930. " A. Mariani, Che cosa dobbiamo imparare dal piccolo Belgio, in Scene e Controscene, sett. 1932. diritti d'autore vengono regolati mensilmente con una tassa di L. 5 40 Durante una riunione a Torino, nel 1923, si discutono vari problemi tra cui le condizioni del teatro educativo, i rapporti degli autori tra loro, con il pubblico, con le compagnie. Si viene quindi a delineare la possibilità di costituire una Società degli Autori del teatro educativo; infatti, si ritiene che per migliorare, dal punto di vista artistico e morale, il teatro cristiano, sia necessario disporre di una base finanziaria, costituita attraverso la riscossione autonoma dei diritti d'autore. Tale proposta non verrà realizzata fino al 1926, quando la S.I.A. chiede la revisione del contratto, ritenendo ormai superato quello stipulato nel 1922. Gli autori, urtati dal fatto che la convenzione venga discussa e pattuita tra gli editori cattolici e la Società Italiana degli Autori, fondano la Società Autori Cattolici (S.A.C.) affermando che: gli autori non attentano alla vita delle .filodrammatiche ma vogliono ottenere migliorie che solo mediante provvide e necessarie iniziative di un 'ente che si prenda a cuore la sorte de/teatro potranno essere conseguite!! 41 • Il . .. Per la riscossione dei diritti si varranno dell'organizzazione della S.I.A. e ne incasseranno il 70 9Q., in quanto il restante 30% sarà trattenuto a risarcimento delle spese della S.I.A. e della S. A.C. e 40 Da G.M. Vitrotto, L'auività.fìlodrammatica{ederale 1920-27- Ricordanze, Torino, 1927. " AA.VV., La Società degli Alllori Ca/lv/ici è cosliluila, in Controcorrente, marzo, 1926. 41 40 per formare una cassa sociale. Si sottolinea, ripetutamente, che gli autori hanno fondato la S. A.C. non per lucro, ma per tutelare i propri diritti, per evitare, cioè, che le somme a loro dovute, fossero incassate dagli ditori. Inoltre, in questo modo, i filodrammatici godranno, indirettamente, di una percentuale della somma da loro versata, in quanto essa andrà a costituire la cassa sociale della S.A.C., che sarà utilizzata per migliorare il teatro cattolico. L'atteggiamento della S.A.C. nei confronti della S.I.A. è sostanzialmente conciliante: << ••. Ecco il programma della S.A.C.: accompagnarsi con la Società Italiana degli Autori nel prestare e far prestare obbedienza alle leggi!i 42 . Nel gennaio del 1929 una convenzione stipulata tra l'Istitl)to Cattolico di Attività Sociali (per incarico dell'Azione Cattolica Italiana) e la S.I.A.E., stabilisce che, per il carattere esclusivamente educativo degli spettacoli, gli oratori ed i circoli parrocchiali, con una media dichiarata di incassi fino a ~200, versino i diritti erariali ed autore sotto forma di forfait e che invece, la forma a bordereaux, sta 43 mantenuta per quei circoli aventi incassi più alti . A tale fine viene redatto l'elenco dei teatrini torinesi, stabilendo a quale categoria appartenga ognuno di essi (nella I categoria sono inclusi i teatri per cui si prevede un incasso fino a L. l 00; nella II quelli per cui si prevede un incasso da L. l Ol a L. 200). NOME DEL LOCALE CATEGORIA Santa Barbara S. Bernardino Madonna del Carmine Cavoretto Santa Croce S. Donato S. Gaetano Gesù Nazzareno S. Gioachino Duomo (Natale Bonino) S. Giulia (Fides et Labor) Lingotto (Pierinci Del Piano) Madonna di Campagna (Card. Massaia) S. Maria in Piazza S. Massimo SS. Nome di Gesù (In Fide Salus) S. Pellegrino (Cor Ardens) Sacro Cuore di Gesù (Fortes in Fide) Collegio S. Giuseppe Oratorio D. Bosco (V. Cottolengo 32) Oratorio D. Bosco (V. Salerno) Oratorio D. Bosco (Monte Rosa) .Oratorio D. Bosco (San Paolo) Oratorio D. Bosco (S. Luigi) II Superiore alle L. 200 II I " O. Castellino, Socielà Aulori Callo/ici, in Controcorrente, genn. 1927 . 43 Da Controcorrente, genn. 1929. II II Superiore alle L. 200 II II Superiore alle L. 200 II Superiore alle L. 200 I II . (?) II Superiore alle L. 200 Superiore alle L. 200 Superiore alle L. 200 I I II II Oratorio D. Bosco (Martinetto) Oratorio Salesiano (femm.) (P.za Maria Ausiliatrice) Parr. SS. Sacramento (S. Stefano) Patrocinio S. Giuseppe Salesiani Crocetta (V. Caboto) Artigianelli S. Secondo Immacolata Salo_ne Cravesana - Parr. SS. Angeli II II Superiore Superiore Superiore Superiore Superiore Superiore Superiore alle alle alle alle alle alle alle L. L. L. L. L. L. L. 200 200 200 200 200 200 200 44 Tale elenco è, quindi, utile, non soltanto per ricostruire l'intera trama dei teatrini in attività negli anni '30, ma anche per rilevare l'importanza effettiva di ognuno di questi . Molto significativa è una polemica che sorge tra gli autori, riuniti nella S.A.C. e la Federazione Associazione Clero Italiano. Un giornalista dell'«Amico del Clero» (organo della F.A.C.I.) afferma l'inopportunità di pagare i diritti agli autòri cattolici, reputandoli non degni di gravare sui circoli e sugli oratori. La reazione degli autori è immediata: (( Rammentino i jìlodrammatici che ancora non lo sapessero che il :famoso diritto' che tanto li infastidisce, serve il più delle volte a completare il magro stipendio impiegatizio, se non addirittura a coprire le spese di prima necessità, quali, ad esempio, l'acquisto del pane quotidianoil 45 . La vicenda relativa alle questioni erariali è quindi assai significativa. Da una parte, infatti, il mondo filodrammatico si delinea come completamente regolato dalle leggi di mercato, uscendo dall'indeterminatezza in cui, solitamente, si trovano relegati i fenomeni di intervento artistico gratuito, dall'altra chiarisce le posizioni di coloro che vi lavorano (editori, autori, clero/filodrammatici). Gli autori e gli editori non accettano il discorso «volontarista» che proviene dal clero e si scontrano anzi molto duramente tno. loro per acquisire totalmente entrambi i profitti provenienti dalla rappresentazione dei testi pubblicati; il volontarismo sta invece alla base dell'attività del clero e dei filodrammatici 46 . Le tensioni interne al mondo filodrammatico stesso e l'incapacità di presentarsi come una valida alternativa al fascismo o, comunque, alla cultura laica, costituiscono le premesse di una profonda crisi che condurrà alla quasi totale scomparsa del teatro filodrammatico cattolico. Si assiste, infatti, negli anni immediatamente precedenti la guerra, come si è già accennato, ad una graduale emarginazione del teatro nella programmazione culturale dei circoli oratoriani, a favore di un più ampio sviluppo degli impianti cinematografici. Si ritiene, quindi, che il cinema, da una parte possa meglio svolgere la funzione di attrarre il pubblico, dall'altra ponga meno problemi di gestione. È importante notare che comunque lo spettacolo offerto dall'oratorio continua a mantenere il proprio carattere di neutralità ideologica e di scarsa validità artistica. Il mondo filodrammatico stenta a recepire la propria emarginazione, anche se alcuni autori, percependo che il teatro ufficiale riuscirà a superare la crisi e a conquistarsi un proprio ruolo autonomo, decretano con lucidità la ormai prossima morte del loro teatro. Nel tracciare un bilancio di 44 Da Scene e Controscene, dic. 1929. " A. Gandino, l / famoso dirillo, in Boccascena, n. 4, 1937 . 46 Anche se in alcuni casi, attori particolarmente bravi venivano regolarmente pagati. Un ex-filodrammatico da me intervistato (Paolo Cambursano) afferma:«. .. ad un certo punto viene da me il direttore dell'oratorio e siccome non riusciva più a fare andare avanti la compagnia aveva bisogno di me - era Don Lusiani- nel 1927. lo gli ho detto: Senta io voglio essere chiaro, io voglio tanto bene all 'oratorio ma guadagno poco( .. .) Sa, io vado a recitare (in altre compagnie) perché mi pagano, e allora non posso venire da lei, io ci rimetto 20- 15 lire; e lui mi dice che me li dà.>> 42 SCHEDARIO un'esperienza cinquantennale, E. Basari riconosce che il teatro filodrammatico è destinato a soccombere di fronte al cinema per la propria intrinseca debolezza: aBisogna avere il coraggio di ammettere che in cinquanta anni di attività letteraria abbiamo costruito ben poco e se domani ci accorgeremo che quel parroco che lesinava trenta lire di spesa all'allestimento di uno spettacolo teatrale, ne ha spese trentamila per l'impianto di una colonna sonora, dovremo dire che quel parroco ha fatto bene(. . .) temo che il giorno in cui spunteranno le ali del poeta nostra, non ci 47 saranno più teatri per rappresentar/o, ma soltanto sale per spettacolt cinematografici!/ Chiara Alpestre I documenti.fotografici riportati provengono dagli archivi delle famiglie Cambursano e Vaglini e si r(feriscono a rappresentazioni che ebbero luogo nei teatri degli Oratori Va/salice e Valdocco di Torino intorno agli anni '30. 47 E. Basari, Cinematografo e teatro, in Scene e Controscene, febbr. 19 37. L'UCCELLINO AZZURRO E I RAGAZZI A TEATRO Il rapporto tra Teatro Pubblico e Teatro-Ragazzi è stato in questi anni ricco di contraddizioni e di tentativi a mio avviso sovente sbagliati, soprattutto a causa di una pessima abitudine o di un pregiudizio che hanno condizionatb scelte e iniziative. La pessima abitudine è quella che hanno preso tal uni Stabili quando hanno creduto di doversi considerare «tutto» il teatro esistente nel loro territorio, conducendo così una politica rivolta principalmente verso il proprio interno, come dire: «il teatro lo faccio io, e se non ho tempo e capacità per farlo, non lo deve fare nessun altro». Il pregiudizio invece è quello di aver considerato il Teatro-Ragazzi un genere di sottoteatro scarsamente degno di · attenzione e cittadinanza tra le attività culturali. Io sono convinto che è anche a causa di questi presupposti se in passato si sono verificate alcune iniziative discutibili da parte del Teatro Pubblico nei confronti del Teatro per i più giovani. Ec,l ecco i fatti: in un primo tempo si sono allestiti recital di poesie o di brani a cura degli attori rimasti inutilizzati durante alcuni periodi della stagione, poi, sull'onda dei segnali di interesse e sviluppo che il movimento di Teatro-Ragazzi in ItaJia stava lanciando, qualcuno ha pensato di fare dei veri e propri «investimenti» nel settore: pensata encomiabile se non ci fosse stata in agguato la pessima abitudine: alcuni Stabili infatti si sono guardati bene dall'approfondire il fenomeno, dall'interpellare i protagonisti, dall'andare a vedere ciò che si produceva, è scattata semmai la molla del pregiudizio: «cosa volete mai che sappiano fare quei poveracci?» a Gli «investimenti» sono stati generosi e tesi a «nobilitare» il genere, con l'intervento di noti e costosi registi che, pur impegnandosi con il rigore della loro dignità professionale debbono aver considerato, sotto sotto, l'incarico poco più di un fastidioso incidente nella loro sfolgorante carriera. Questa mi pare essere la meccanica che ha portato alla produzione dell'Uccellino azzurro messo in scena da Luca Ronconi per conto ·dell'Ater. Qui non intendo parlare del risultato artistico dell'esperimento. Quello che mi interessa è l'aspetto politico e culturale della vicenda perchè riguarda tutto il Teatro-Ragazzi e sottolinea quanto sia ancora dura, lunga e faticosa la strada per la sensibilizzazione dei pubblici amministratori nei confronti di un settore così importante. La chiave, in un certo senso rivoluzionaria, del Teatro-Ragazzi dell'ultimo decennio è stata la scelta e l'organizzazione del pubblico: i ragazzi ·vanno a teatro attraverso un mediatore culturale che si chiama Scuola e gli spettacoli (il discorso però vale anche per musica, cinema e altre attività artistiche) diventano interventi sussidiari, proposte di analisi e dibattito tra docenti e alunni, ed è sulla base di queste esperienze che agli spettacoli di elevato costo d'allestimento e di gestione e la loro inevitabile occasionalità si è preferito sviluppare un «teatro povero» di seria e professionale fattura che possa essere offerto con costi relativamente bassi in modo da poterne fare uno strumento agile e frequente. Le scelte che hanno portato alla decisione di allestire lo spettacolo ronconiano «per ragazzi» non sono però nate all'improvviso, è di qualche stagione precedente La bambola abbandonata proposta da Giorgio Streheler a Milano, anche in questo caso la «potenza» ha rischiato di vanificare il lavoro fatto dai gruppi e dagli artisti impegnati a costruire quello che è diventato in questi anni un vero e proprio movimento: il rap- 44 porto fra teatro e scuola. Fortunatamente sembra che oggi ci si sia accorti degli errori e quindi parrebbe non esserci nessuna intenzione di perseverare. Il Teatro Pubblico si sta accorgendo che il Teatro-Ragazzi non ha bisogno dei grandi investimenti concentrati in un Unico allestimento. Il Teatro-Ragazzi ha sì necessità di grandi investimenti (anche e soprattutto per la sua destinazione che ne fa un servizio sociale) ma si tratta di investimenti ben distribuiti e rivolti all'incremento delle attività laboratoriali, ai seminari e all'organizzazione, all'edilizia, all'approfondimento di una ricerca che in questi anni ha trovato nuovi linguaggi, nuove tematiche, nuove forme d'allestimento , nuove forme d'organizzazione e di intervento, e che ha finito con influenzare anche il teatro per adulti. Va però anche detto che alcuni Teatri Stabili hanno percorso già da tempo strade differenti, lontane dai faraonismi e ben più attente a ciò che avveniva all'esterno delle «cattedrali», Torino e Brescia vanno citate, il loro intervento è avvenuto tramite l'impiego di persone d'indiscussa esperienza settoriale, mentre la tendenza appare quella della «stabilizzazione» del gruppo TeatroRagazzi piuttosto che quella dell'occasionalità. Sono personalmente convinto che non ci sia altra strada percorribile se non quella di una seria apertura di contatto tra chi ha fatto e fa il teatro per le scuole e i Teatri Stabili, intesi come intervento del pubblico denaro nel proprio territorio. Gli episodi della «grandiosità» debbono rimanere episodi, entrare nel bagaglio delle esperienze, e far semmai riflettere su come magari con i soldi di un allestimento si sarebbe potuto costruire un edificio teatrale o un laboratorio. Se mi soffermo a buttar giù queste note non è certo per desiderio di «mugugnm>, ma solo perché il Teatro Ragazzi è un servizio sociale e i suoi problemi vanno affrontati con impegno anche perché pur essendo molto povero non si è ancora contaminato con l'industria culturale e mantiene alcune caratteristiche che lo rendono di interesse primario. Ma quanto potrà durare, senza un serio im- 45 pegno degli Enti Locali, dello Stato, tramite i Ministeri Istruzione e Spettacolo, la resistenza agli allettamenti del consumismo? Se pensiamo che persino la Rai si è adeguata alla logica dei Mazinga e delle Disneyland, ci possiamo rendere conto di quanto stiamo rischiando. Epp_ure la strada dovrebbe essere chiarissima e basata su due punti fondamentali: l) mantenimento dell'indipendenza artistica, 2) sviluppo del rapporto del teatro con gli studenti d'ogni ciclo. Non credo che ci si debba porre la domanda se è il Teatro-Ragazzi ad essere Teatro Pubblico o se è il Teatro Pubblico che deve fare il Teatro-Ragazzi. Il Teatro-Ragazzi si sta sviluppando bene, ed è certamente un servizio di pubblica utilità assai importante che va difeso nella sua autonomia, benvengano perciò i settori scuola e ragazzi nell'ambito del Teatro Pubblico, quelle da evitare sono piuttosto le «grandi occasioni uniche» che possono soltanto provocare più guasti che benefici . Tinin Mantegazza Presidente dell'Associazione Teatro-Ragazzi ASTRA-AGIS ANIMAZIONE: AGGETTIVO O SOSTANTIVO? Le origini dell'animazione sono da ricercare, a Torino, nel clima che precedette, accompagnò e seguì gli avvenimenti del '68. A più di dieci anni di distanza, il IV dipartimento del Comune di Torino (Assessorato all'Istruzione, Cultura, Sport e Gioventù) ha voluto creare l'occasione per un bilancio. L'obiettivo era quello di «offrire agli operatori scolastici e sociali l'opportunità di acquisire una approfondita e ampia documentazione su un fenomeno culturale originale e ormai radicato nella scuola ed in alcune strutture sociali». La documentazione e il dibattito che ne è seguito all'interno di un'ampia rassegna durata quattro mesi, sono stati raccolti in un libro, «Animazione e città», edito da Musolini e curato da Gian Renzo Morteo e Loredana Perissinotto. Del libro riportiamo il capitolo conclusivo. Dei molti aspetti dell'animazione torinese, uno prevale ne_ttamente sugli a(tri. È quello che abbiamo definito animazione organizzata: non soltanto il più consistente dal punto di vista quanti- . tativo, ma anche il più tipico nel quadro delle iniiiative torinesi. Ad esso faremo, quindi, riferimento specifico nelle nostre conc/usioui, anche perché i suoi problemi possono essere considerati una sintesi esasperata e pertanto particolarmente leggibile dei problemi dell 'animazione nel suo complesso. Il primo dei prob/e'!li cui ci troviamo di fronte è collegato alla duplicità della matrice dell'animazione: teatro - pedagogia . Da qui deriva: quale tipo di rapporto l'animatore può e deve stabilire con l'insegnante, cioè col mondo della· scuola? Quali sono·te sue competenze, le sue funzioni, i suoi spazi specifici di lavoro? Forse proprio per rispondere a queste domande in positivo o in negativo, per risolvere il problema o per eluderlo, in questi anni l'animazione si è progressivamente e proteiformemente moltiplicata. Abbiamo, infatti, un'animazione pedagogica, un'animazione didattica, un'animazione tera peutica, un'animazione ricreativa, espressiva, cultu.rale, ludico-motoria, assistenziale, sportiva,. sociale e via dicendo, oltre, naturalmente, . a ... quella teatrale che in un certo senso è stata il vo- !ano iniziale di tutte le altre e che, piaccia o no, continua a permear/e. Accanto a questo ventaglio di animazioni differenziate ma tutte, indipendentemente dal terreno su cui si esercitano (cultura, espressione, sport, ecc.), orientate a privilegiare il rapporto maieutico rispetto a quello magistrale (tradizionale) ~ si che oggi si può parlare, se non di un modello, almeno di un atteggiamento animatoria/e - , si è sviluppata una animazione che abbiamo definito «specialistica!!. Questa, pur senza rinunciare all'approccio animatoriale, lo ha di fatto realizzato valorizzando deliberatamente e rigorosamente le tecniche di un preciso linguaggio (musica , espressione corporea, psicomotricità, pittura, grafica, ecc) Un secondo grosso tema che può considerarsi un arrière pensée di tutto il movimento, o per lo meno di larga parte di esso, è quello collegato allo slancio ideale, spesso ingenuo ma battagliero che ha portato a mitizzare i concetti di creatività, spontaneità, originalità, autenticità, partecipazione,fantasia ... Bellissimi concetti la cui traduzione nella pratica del lavoro quotidiano si è spesso ridotta, pum·. oppo, più a formula che a reale sostanza, vuo{ per le difficoltà poste dal contesto storico, vuoi per le intrinseche difficoltà che l'obiettivo presentava a persone che, rotti vecchi schemi culturali e comportamentali, si trovavano nella condizione di dover inventare la realizzazione dei loro ideali (mestiere-modello di società) 1. La tendenza a mitizzare ha condotto a sottovalutare queste più che rispettabili difficoltà. Di qui, troppo spesso, il ripiegamento su soluzioni 1 Tra te difficoltà quelle finanziarie e quelle burocratiche messe in allo dal sistema: ad esempio vecchie leggi che non concedevano l'uso di spazi scolàstici- unici luoghi dove potersi incontrare in quartieri senza strul/ure comunitarie-. la udisinfestazionen di tali spazi dopo l'ingresso di estranei, ecc. Le qccuse di far upolitican, di manipolare le coscienze er,;no le più frequ enti Ira quelle rivolte agli animatori, in odore di zolfo più .che di santità. Non meno importanti le dif{ìco/tà di sperimentare con gli stessi nuovi significati di cultura, di concretizzare un " modellon culntrale alternativo attraverso le tecnologie della comunicazione. l/lavoro, spesso. pur sviluppandosi su /ematiche suggerite e appartenenti alla base, alla sua realtà' socio-politica. non risultava uformalmenten diverso e nuovo rispello ai parametri offerti dalla cultura borghese, perché l'interesse andava spesso nel senso di colmare il divario, appropriandosi dell 'altra cultura. Non che questa non fosse una fase necessaria ed importante, ma, di fallo, ha .frenato l'invenzione di una vera alternativa. Un esempio: l'uso del videotape come strumento per fare " la televisionen più che qualcosa d'altro inere/1/e allo spec({ìco del mezzo. In soslanza: cambiamento di contenuti ma raramente della .forma di comunicazione. Forse de/teatro si é fallo un uso più singolare, alla ricerca di una nuova drammaturgia e all'insegna del ribaltamenl/J del rapporto: da spella/ore passivo a spettatore a/livo, il fare con e non perla gente, il riscoprire spazi di spettacolo non tradizionali e agirvi per poi discutere, fare conoscenze, registrare reazioni, ecc. 47 46 facili: appunto formule, come dicevamo, e poi cecità di fronte ai peso del passato, rifiuto delle tecniche e del confronto, insofferenza per l'autodisciplina, confusione tra sciatteria e genuinità, tra espressione e comunicazione, ecc. ecc. Dello slancio ideale, cui accennavamo prima, fa parte anche e ha fatto parte soprattutto negli anni più lontani, il ruolo assegnato all'intellettuale, visto in un 'ottica di servizio sociale e di collaborazione paritetica con gli interlocutori, sia ragazzi che classi popolari e gruppi emarginati. Senza entrare nel merito della maggiore o minore sincerità di tale atteggiamento e della concreta possibilità di tradur/o nei fatti, è indubbio che sin quando esso ha informato di sé l'attività, molte contraddizioni hanno potuto essere superate o ignorate. Non dobbiamo dimenticare, a questo proposito, che l'animazione italiana ha avuto e forse, come morto ùi casa, ha ancora una dimensione di «agit-prop)), nel senso migliore del termine: dimensione che, ad esempio negli Stati Uniti era stata anni prima teorizzata e perseguita da Saul A linsky 2•· Va detto, però, clze la concezione dell'A linsky era esplicitamente e deliberatamente politico-sociale, mentre quella nostrana, se lo era, lo era all'interno di un discorso prevalentemente artistico-culturale. Quando la situazione generale, della scuola e del contesto sociale, ha spento in parte la carica ideale, le dijjìcoltà sono fatalmente apparse in tutta la loro evidenza. È a questo punto che l'aggettivo teatrale accanto alla parola animazione ha cominciato ad essere messo in dubbio: forse anche perché- motivo che si aggiunge a quelli precedentemente ricordati- gran parte d~ll'im pegno «polemiCO)) precedente si era espresso in forma teatrale. Non è difficile capire come allora progressivamente si sia scivolati verso scelte più moderate, meno compromettenti, verso obiettivi a più breve termine (ad esempio: animazione come supporto pedagogico-didattico, animazione come psicomotricità, come sport ecc). A questo punto l'animazione ha potuto essere «istituzionalizzata)), realizzando così le aspirazioni di alcuni gruppi e correnti di operatori. Bisogna, infatti, dire che i «pro e i contro)) dell'istituzionalizzazione erano stati dibattuti da tempo. I fautori vedevano in essa le garanzie di permanenza, radicamento, continuità necessarie a togliere l'anitnazione dal limbo della emargina zione culturale, a evitarle l'accusa di essere «isola felice della libera espressione)), a metter/a in condizione di ver(fìcare su larga scala metodologie, processi, risultati. L 'istituzionalizzazione, intendendo con questo la presa in carico delle attività di animazionè da parte del Comune che, fattosene promotore in prima persona, ha conseguentemente ampliato t'area potenziale del servizio all'intera città, · mentre in precedenza le iniziative avevano presentato un carattere molto più sporadico, sperimentale e, per certi aspetti volontaristico, ad opera di sing~li individui o enti 3 ; l'istituzionalizzazione, dicevamo, avvenuta nel '76 (cfr. delibra comunale del 26 ottobre) ha creato indubbiamente molti problemi nuovi. Accanto alla sicu· rezza o./ferta agli animatori (non si dimentichi il problema della disoccupazione giovanile e lo sbocco dato da una nuova professione) ha reso necessaria una serie di controlli e di strutture organizzative che, per certi. versi erano, o potevano apparire, in contrasto con lo spirito originario dell'animazione. Accanto alla innegabile conquista sociale, l'allargamento del servizio ha richiesto un ampliamento degli organici al di là delle disponibilità del mercato. A sua volta l'allargamento degli organici ha fatto nascere un 'altra sequela di problemi. Ver rebbe spontaneo pensare che fra questi, uno dei primi sia stato quello della formazione professio- ' Sau/ A/insky: 11Manue/ de f'animateur socia/11,' ed. Du Seui/, Paris 1976. . . . . . . . ' Tra questi in particolare il Teatro Stabile di Torino. Altri enti promoton sono sta/t/a Provmcw, assocwzwn1 come l M. C.E. e f'A.R.C.I. , alcune casse scolastiche di p/essi dove operavano insegnanti e direi/ori interessati alla nuova pe~agogw e alfe. nuove tecnologie educative. Per citare alcuni: la 11Casati11, dire/la da Gianni Dotino, la 11Costa11 con gli insegnanti Fwrenzo A(fìen e Daria Ridoljì, fa 11Re Umberto11 con Franco Sanjì/ippo, i circoli didallici di Beinasco e Collegno dove operava Remo Rostagno, fa scuola media di Pino Torinese, di Cascine Vica , ecc. ecc. naie, in quanto gli animatori - e su questo punto non siamo d'accordo con Saul Alinsky che scriveva che l'animatore si prepara in dieci minuti 4 - non si formano dall'oggi al domani. In realtà però ad affrontare questo problema si è giunti solo in un secondo tempo (vedi la recente istituzione dei Corsi. di aggiornamento 5), giacché da un fato l'urgenza della domanda e dall'altro /'alleggia'!"ento vagamente contestatore e spon~ taneistico di una parte dei nuovi operatori sulle prime hanno preso il sopravvento. Uno dei problemi più grossi, subito emerso, è stato quello della diversa concezione dell'anima zione determinatasi tra i nuovi grupP,i e quelli tradizionali. Questi ultimi, avendo ormai una foro sia pur piccola storia ed essendo costituiti da nuclei relativamente ristretti di persone, presentavano una coesione di progettazione e ideazione per lo più di tipo «sintetico)), cioè tendente all'intreccio di diversi linguaggi in vista di esiti prevalentemente teatrali. Nei gruppi di nuova formazione prevalevano le individualità singole e i relativi personali interessi, sicché la conseguenza fu di privilegiare una attività <> si parla già da diverso tempo, ovviamente non intendendo la pratica dell'animazione, in senso stretto (istruttivo), trasferita dagli animatori agli insegnanti, bensì la qualificazione in senso animatoria/e dell'insegnante. La vischiosità della situazione e degli equivoci ai quali abbiamo fatto cenno, trova COil(erma nella tendenza di molti animatori, o sedicenti tali, a trasformarsi in angeli custodi a vita dei ragazzi o del popolo, quasi una casta: e a non porsi il problema di assicurare una autonomia ai propri interlocutori. È la prova che troppo spesso si è preoccupato più di se stesso come.figura, che non della crescita e dell'emancipazione dei componenti la comw.1ità. L 'animazione come progetto sociale, con tutte le componenti artistiche e tecniche che contiene, non può non porsi lo scopo di consentire alla gente di camminare con le proprie gambe e di programmare gli interveÌ1ti in vista del raggiungimento di questo scopo. Ci sembra essenziale, a questo punto, che ogni operatore, attraverso un coraggioso, lucido e forse anche un po ' chirurgico esame, non solo dei propri interessi, ma anche delle proprie disposizioni e capacità, chiarisca a se stesso.qua/e sia la forma di animazione in cui può dare il meglio di sé: nell'animazione atieggiamento, quindi modo di rapportarsi alla cultura da un lato e ai bisogni della gente dall'altro; ne/t'animazione creativa, quella che privilegia la componente artistica del fenomeno. È diffìcile aiutare il prossimo se non si 50 è ancora riusciti a capire chi si è o, quanto meno, se non si è ancora riusciti a mettere in chiaro i propri problemi. È auspicabile che l'animazione atteggiamento -:> che consenta alla gente di affrontare gli eventuali problemi, soprattutto attraverso una crescita personale. forma di spontaneità, dei mille obblighi della vita quotidiana . Le bacchette magiche non esistono: oggi, ere. diamo, la situazione è matura, alla luce anche delle sc01~[ì11e subite, per riscoprire il valore della gradualità. Se è vero che per l'animazione intesa in senso stre/lo, la creatività, con tutto ciò che essa signi.fìca in pot.enzialità, resta l'obiettivo principale, è anche vero che più pacatamente ci si rende conto che per raggiunger/a occorre prima spianare il terreno e, quindi non disdegnare quello che abbiamo chiamato «sèrvizio», facendolo anzi diventare occasione di rapporto, di liberç.zione da vincoli inibitori, con la coscienza di star creando le condizioni che consentano l'espressione individuale e collettiva. Su queste premesse l'animazione teatrale tornerà ad avere il suo senso più pieno. Se non si cura la raucedine è inutile sognare il bel canto e, tanto meno, cercare di cantare e di far cantare. Ma anche gli stimoli sono importanti e per questo ci piacerebbe (terzo punto della risposta precedente) che gli animatori ritornassero a recitare tra la gente, ad esprimersi sui mercati, nei cortili, nei giardini, nei ghetti urbani. Prima o poi qualcuno si unirà a loro ... G.R .M. e L. P. I MASNADIERI di Friedrich Schiller traduzione di Vittorio Sermonti; riduzione e regia di Valeriano Gialli; scenografia di Frida Doveil e Giorgio Ferrando; costumi di Giorgio Lanza. Interpreti: Alessandro Esposito, Giorgio Lanza, Valeriano Gialli, Augusto Zeppetelli, Franco · Cardellino, Nadia Ferrero, Laura Panti, Riccardo Montanero (Compagnia Teatro U). Sono circa due secoli che nel teatro di Schiller ognuno trova ciò che vuole. Abbiamo così uno Schiller lirico ed uno retorico, uno legato alla Sturm und Drang ed uno al classicismo, uno rivoluzionario ed uno borghese, uno universale ed uno nazionalista e via di seguito. Solo il naturalismo, a quanto pare, non riuscì ad annettersi il poeta, mentre in lui si ritrovarono gli espressionisti e, somma contraddizione, tanto i nazisti quanto gli antinazisti. Anche ammettendo che durante la sua vita il drammaturgo abbia percorso una parabola pilotata dagli eventi e dalle riflessioni (è noto ad esempio che il regicidio compiuto dalla Rivoluzione francese ha temperato in parte i suoi atteggiamenti libertari), resta indubbiamente aperto il problema della vera identità schilleriana. Un personaggio che viva intensamente il suo tempo, ricevendone spinte e controspinte, che si muova sul piano della passionalità e del raziocinio, del contingente e dell'assoluto, che combatta per l'ideale senza dimenticare le convenienze può affascinare per la sua molteplicità realistica, come può sconcertare e insospettire per il suo più o meno sublime "qualunquismo". La critica un tempo unanime neJJ'ammirazione (Mazzini considerava Schiller il "poeta della Provvidenza e della speranza", mentre Verdi musicava ben tre drammi dello scrittore tedesco) oggi è divisa. Il problema è grosso e non saremo certo noi a risolverlo, tanto più che sarebbe indispensabile sceverare preliminarmente tra Schiller e il mito&:hiller: impresa pressoché disperata. Qui ci basterà dire che in un autore in cui tutti hanno preso ciò che faceva al caso loro anche il Teatro U, mettendo in scena l masnadieri, ha ritenuto di poter fare legittimamente la propria scelta. Il nostro tempo ci pilota e condiziona forse più di quanto non ci rendiamo conto, tuttavia mi sembra una scelta assai vicina alla lettura ideale del dramma; quindi qualche cosa di piu di una pura e semplice scelta: una intuizione. Al contempo appaiono goffe e sospette altre letture storiche e in primo luogo la più famosa: l'esaltazione del fuorilegge. Parlando dell'opera ora riportata in scena, un germanista illustre, Ladislao Mittner, scriveva: «Nell'elenco dei personaggi Karl Moor ed i suoi compagni sono definiti "li- 52 bertini, poi masnadieri"; questo "poi" contiene il programma rivoluzionario e l'arditissima novità della tragedia, che sembra condannare il libertinaggio, mentre Schiller in realtà esalta la ribellione». Per quanto autorevole questo punto di vista lascia perplessi. Certo, !"elogio della ribellione c'è; ma c'è anche il dramma della ribellione, ed è proprio la compresenza di questi due elementi a dare spessore alla tragedia. Vorrei sottolineare la parola compresenza, giacché se il rapporto tra i due elementi fosse di causa ed effetto scatterebbe un meccanismo rrioralistico, facilmente reazionario, di cui non scorgo traccia. Molto più drammatica e "spettacolare" la giustapposizione pura e semplice. Due fatalità. Nel primo atto Karl proclama: «Ciò che l'amor mi nega, mi darà la violenza». Al termine della vicenda dirà con lucido orrore: «Oh, pazzo, pazzo, che mi figuravo di far più bello il mondo con la violenza, di restaurare la legge, violando le leggi! » Nella prima citazione è evidente un'accentuazione soggettiva, l'impazienza di risolvere un problema personale, dunque un prevalere della passionalità. Nella seconda, abbiamo il primato della razionalità politica e la condanna di un metodo. Due modi - personale e politico - di accostare la realtà non sempre conciliabili, anche se ugualmente urgenti, se non addirittura legittimi. Su questo asse si muove l'interpretazione del Teatro U, in uno spettacolo felicemente "informe", capace di darci fisicamente il senso del rischio, del disfacimento che insidia costantemente i valori che ci animano. La divisione geometrica dello spazio scenico sottolinea per contrasto Io sfascio degli oggetti scenici. allusivo questo di malesseri molto più profondi e di dimensioni eroiche ridotte a mere spoglie. L'adozione della scena unica (di volta in volta castello, bosco, taven1a, ecc.) fluidifica poi il tutto in modo inquietante. Se questa fluidificazione tradisce per un verso il gusto architettonico, scandito della costruzione drammatica schilleriana, per un altro, impastando luoghi, tempi, azioni e personaggi, 53 ne fa esplodere il senso più intimo. Nello spettacolo anche lo sfoltimento del testo- Schiller è autore torrentizio, esuberante al massimo - contribuisce a rivelarne meglio, o quanto meno in modo più manifesto la struttura al punto da farle assumere una qualc~1e parvenza di grande apologo. Tale processo è aiutato da quella astrattezza, mancanza di credibilità naturalistica dei personaggi - più funzionali ad un disegno ch:e non corposi come personalità autosufficienti - che tanto disturbavano uno studioso come il Mittner. Un "difetto" che almeno per questo verso fa di Schiller un precursore di tanta parte del teatro moderno . Il carattere di artificiosità (parola che qui uso in senso non negativo) nello spettacolo è esaltato sino al virtuosismo fondendo - probabilmente per ragioni di distribuzione, ma la necessità si carica di significati - in una guardarobiera Hilde, che nel testo non troviamo, i personaggi del vecchio servitore Daniel e del nobile bastardo Hermann: così la "recita" architettata dal perfido Franz per ottenere il bando del fratello e stroncare il cuore del padre diventa finzione di secondo, se non di terzo grado, in quanto una donna e non un uomo indossa i panni del messaggero incaricato di annunciare la presunta morte di Karl. Nei drammi romantici (e per molti versi l masnadieri sono un dramma romantico) come in quelli spagnuoli del Secolo d'oro troviamo meccanismi psicologici, coincidenze, colpi di scena (ii morto apparente, il creduto morto che risuscita .. .) che ai nostri occhi corrono irresistibilmente il rischio di ris ultare comici. Ebbene uno dei grossi meriti di questa edizione dei Masnadieri consiste nell'aver preso atto della cosa e rinunciato a mascherarla. Accettarla toglie allo spettatore la furbesca possibilità di sentirsi perspicace, colloca d'autorità l'azione su un piano intellettuale e fantastico, concentra l'attenzione sui valori autentici del dramma. Dal punto di vista tematico (esaltazione della ribellione e condanna della ribellione, per tacere di tutti i temi minori) e da quello formale l'opera di Schiller presenta agli interpreti difficoltà da circuito della morte. Rinunciando alla famigerata "unità di stile" che soffoca e illanguidisce tanto teatro italiano il Teatro U ha retto all'urto. Se il suo non è Schiller al cento per cento, non si può neppure negare che sia uno dei modi di leggere Schiller. g.r.m. INCONTRO FRANCO-ITALIANO SUL TEATRO SPERIMENTALE PER RAGAZZI Con il patrocinio del Comune di Torino e promosso da Dramaturgie e dall'Università di Strasburgo per la parte francese e dal Centro di documentazione dell'Università di Torino e dal Teatro Araldo per la parte italiana, si svolgerà nei giÒrni 20/26 ottobre a Torino un incontro tra sette compagnie italiane e francesi che lavorano nel· settore Teatro per ragazzi . Il programma comprende non soltanto la rappresentazione degli spettacoli, ma anche interventi di animazione teatrale nella scuola e dimostrazioni di metodo. La manifestazione acqui~ sterà così un carattere seminariale che puÒ costituire motivo di ulteriore interesse per il pubblico. Il calendario prevede spettacoli e laboratori dei seguenti gruppi: Atelier Lyrique du Rhin , Théatre du Pantai de Nice, Le Théatre Tsai-Théatre National de Strasbourg, Compagnie de la Grenette de Lyon-Villeurbanne, Cooperativa Gruppo di Danza Contemporanea Bella Hutter, Cooperativa Della Svolta, Teatro dell'Angolo. Coloro che fossero interessati a partecipare possono telefonare alla segreteria: Te!. O11 l 489676 o 011/57653297 . INDICE l 11 Clown 11 teatro di guerriglia. Lettura di un esperimento americano degli anni sessanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Legnate firmate: Burattini d'artista: La cartapesta contro il Museo 24 Sull'attività filodrammatica cattolica a Torino negli anni 1920-40 28 Schedario: L'uccellino azzurro e i ragazzi a teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................... Animazione: aggettivo o sostantivo? I Masnadieri ...................................... Incontro franco-italiano sul teatro sperimentale per ragazzi . 43 44 51 53 • La Copia - Via Tasso 2 - Torino

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Linea teatrale. - Torino : Linea teatrale, 1980-1994

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