26° ANNO - N. 115-116 • I s S IW IM B R E 1950 I L D R A s*o«pp. LIRE 400 M M A P R O F U M O C O L O N IA La donna T A L C O C IP R IE ¥ f \ cre a i l suo fa s c in o . r o m a n tic o c o n u n a \ g o c c ia d i questo ra m a n tic o p r o fu m o \ \ \ / / ; \ / O C C U P A T I D ’A M E L IA di Giorgio Feydeau, ha divertito - sulla scena - alcune generazioni dal principio di questo Secolo. Il pubblico di oggi si divertirà veden dola sullo schermo. O C C U P A T I la celebre commedia di Giorgio Feydeau, passando dalla scena tata da D A N IE L L E D A R R IE U X * Terrà O C C U P A T I D ’A M E L IA è una delle più diver tenti commedie che sia no mai state scritte. La ripresa teatrale pa rigina da parte di Jean Louis Barratili, al Tea tro Athénée, e - nella passata stagione Tea trale in Italia - da parte di Laura Adani, Sergio Tòtano e Luigi Cimara, come in altre capitali europee, ha avuto il si gnificato di una com memorazione: omàggio a Giorgio Feydcau, con siderato ormai un clas Disegni di Pallavicini \ sico del Teatro. Anche il film, realizzato arti sticamente con lo stesso spirito e la più scru polosa aderenza al dia D ’ i M E L I i allo schermo, è stata realizzata da AUTANT-LARA e interprepresentata dalla LU X F ILM prossimamente. logo, vuole essere la glorificazione di Feydeau e della sua opera. Da questo fa scico lo i l prezzo d e lla nostra R iv is ta è di L. 200 per i numeri sem plici e d i L . 400 per i doppi. G li abbonati godono i l p r i v ile g io d i ricevere la R iv is ta fin o a lla singola scadenza senza alcun aumento e perciò non debbono alcun conguaglio. ♦ Chi s i abbona da oggi con 4100 l i r e per un anno, risparm ia 700 l i r e sul prezzo globale d i vendita n e lle edicole. SH AKESPEAR E The Swan Theatre (Teatro del Cigno) a Southwark, costruito intorno al 1595 da Francis Langley. m u ¿ fa d o # / Il nostro quinto volume della Collana “ I Capo lavori” sarà dedicato al grande William, e qualche nostro lettore si domanderà perchè non lo abbiamo latto prima. Risponderemo: perchè era troppo facile pensarlo, e perchè in Italia non mancano versioni delle opere di Shakespeare, ad incomin ciare dal Rusconi. Non volevamo ripeterci in senso generale; ma ora che il pubblico stesso ci domanda di non privare la Collana di un tal nome - ed ha invero ragione - diamo soddisfa zione al lettore e nello stesso tempo evitiamo di incorrere nel peccato di ripetizione, restringendo i termini, centrando il nostro interesse su un aspet to e una direzione dell’immensa opera. Riuniremo così in volume i testi scespiriani direttamente ispirati al nostro Paese, ambientati in Italia o mossi da fatti e figure della nostra storia e della nostra leggenda. Tutta l’Italia feerica, fantastica, trasfigurata da Shakespeare, raccolta in un unico prezioso volume. E per la prima volta. I l nostro Shakespeare; lo Shakespeare degli italiani. m LA BISBETICA DOMATA * I DUE GENTILUOMINI DI VERONA * ROMEO E GIULIETTA * IL MER CANTE DI VENEZIA * MOLTO RUMORE PER NULLA * GIULIO CESARE * OTELLO * ANTONIO E CLEOPATRA * CORIOLANO * LA TEMPESTA v e le n i a& I.. AIMERITO * M. A. ANDREONI G. CAIMI * G. CANE * E. A. GAMBINI E. GIGLI * C. A. MENETTO * L. MI LANI * N. NERI * S. POLI CARD I Come tutti gli altri volumi, ogni opera - nuova mente tradotta - avrà una propria presentazione. I testi saranno preceduti da una Introduzione generale: SHAKESPEARE ITALIANO di ANNIBALE PASTORE * Seguiranno: INTERPRETI DI SHAKESPEARE IN ITALIA di BRUNO BRUNELLI * .LA STORIA ROMANA NEL TEATRO DI SHAKESPEARE di LORENZO GIGLI e SHAKESPEARE, OU LA LIVRAISON DE L’ EMOTION HUMAINE di JACQUES COPEAU. ANNO 26 - NUOVA SERIE - N. 115-116 n U M M M M QUINDICINALE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTODALUCIORIDENTI 1» S E T T E M B R E 1950 IN C L U S O 15 A G O S T O ta c c u in o Uffici: Corso Valrlocco, 2 - Torino ■Tei. 40.443 - Un Asoieolo costa L. 200 Abbonamenti: AnnoL. 4100;SemestreL. 2100¡Trimestre L. 1075-Conto eorr. postale 2/6540 - Estero: Anno L. 5100; Semestre L. 2600; Trimestre L. 1325 Pubblicità: C.I.P.P. Compagnia Internazionale Pubblicità Periodici -MilanoVia Meravigli. 11 - Telefono 17.767 - Torino - ViaPomba, 20 -Telefono 52.521 Il cappotto (l’estate * Ignari come siamo dei misteri della meteorologia non cerchiamo nemmeno di darci una spiegazione più o meno esauriente dell’ermetico fatto per cui stando ai discorsi della gente — il giro delle stagioni sembra essere cambiato. I più catastrofici profeti si lanciano addirittura a prevedere che fra non molti anni ci buscheremo insolazioni a Natale e pattineremo sul ghiaccio a Ferragosto. Onestamente, non ce ne importa niente: basta saperlo e si sposterà l’ordine del guardaroba. Allo stesso modo che, altrettanto onestamente, non siamo come molti (pare) imbarazzati e stupiti del fatto che anche la stagione teatrale ha mutato li suo corso. D’inverno sono i mesi di magra, e d’estate la fioritura: basta saperlo, e va benissimo. Inutile indagare sui misteri di questo spostamento di attività e di passività. Capita, anzi è già capitato: il maggior successo della scorsa stagione inver nale, a determinare il quale sono concorsi elementi — fra cui, in primo luogo, la curiosità — estranei al teatro come arto, è stato, come tutti ricor dano, “ Quel signore che venne a pranzo ” nell’interpretaziono di Gino Cervi e di Andreina Pagnani. La stagiono estiva ci ha offerto bon altro sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo: “ Il cane del giardiniere ” protagonista Tatiana Pavlova, a Nervi; il nutrito Festival di Venezia con una serio di spettacoli eccezionali per scelta dei testi ed altezza d’esecuzione; poi ancora Firenze, Siracusa, Verona, Napoli, Vicenza, Portovenere, Taormina, San Miniato, ecc., molti ecc. Il fatto ci pare si presti ad alcuno considerazioni che interessano la natura del teatro contemporaneo non tanto sotto l’aspetto artistico quanto sotto quello organizzativo, ovvero pratico. La prima considerazione è questa: ch’è passato il tempo in cui le nozze fra teatro e pubblico si celebravano a base di fichi secchi. Bene o male che sia, lo spettatore non è più disposto ad accontentarsi degli allestimenti scenici all’elisabettiana (immaginate una foresta...; immaginate un’altra parte della foresta...) che forniscono — per necessarie ecomprensibili ra gioni — le precarie Compagnie di giro. Lo spettatore che ha, purtroppo, preso la cattiva abitudini) di recarsi, anche per ragioni economiche, “ eccezionalmente” a teatro, vuole che il teatro sia un prodotto “ eccezionale” : per i minuti divertimenti e sollazzi spettacolari, pensa il pubblico, può andare benissimo anche il cinemino rionale. Ma il teatro, ormai non più inteso da nessuno nè come divertimento nè come sollazzo, ma promosso (e non discutiamo se sia bene o male» anche qui) a centro e tramite di cultura, deve conservarsi ciò ch’è diventato: rarirà, eccezione. Al che — seconda considerazione — deve accompagnarsi la rarità, l’eccezione dell’allestimento scenico, del palcoscenico, dell’ambiente. La sala di teatro — fatte le dovute differenze e salvo il rispetto che il nuovo devo sempre all’antico — somiglia troppo alla sala del cinematografo. Ed è anche più scomoda. Ma una sala che si chiama Parco di Nervi, una sala che si chiama La Floridiana, o Teatro Romano, San Trovaso, Teatro Antico di Taormina, ecc., molti ecc., è evidentemente tutt’altra cosa: è veramente il luogo della rarità e dell’eccezione che il pub blico — viziato, se vogliamo — chiede e domanda. E’ veramente il luogo nel quale il pubblico accetta ancora di celebrare il rito del Teatro e ne accetta il miracolo. Ma — terza considera zione — questo trapasso del capocomicato o dell’impresa teatrale dal capocomico e dall’im presario ai vari Enti di Turismo, non segnerà dei punti a svantaggio delle sale di spettacolo nate e qualificate tali, o tali conservatesi frammezzo a difficoltà e guai di ogni sorta e genere? Non diremo che tale trapasso possa segnare la fino delle sale di cui sopra; diremo però che destano allarme. E quindi invito a correre ai ripari. Ad aggiornarle, queste sale, a trasformarlo in strumenti efficienti, adeguati alle necessità dello spettacolo moderno e allo esigenze dello spettatore moderno. Come? Questo è un altro discorso in cui il cronista devo cederò la parola al tecnico. In questa sede — di cronaca e non di tecnica — ci limitiamo a fornire al lettore eh© nel numero scorso ci chiedeva il bilancio di fine stagione questi due ragguagli: conto passivo per I mesi invernali (o ce no duole); conto attivo per i mesi estivi (e ce ne rallegriamo). Malato d’inverno, il teatro rinvigorisce d’estate: viva il teatro. C O LLABO RATO R I RENÉ LAPORTE : FEDERIGO, commedia in tre atti * LOUIS DUCREUX : LE ROI EST MORT, commedia in tre atti * KARL KRAUS: ULTIMA NOTTE DELL’ UOMO, frammento * ANTON GIULIO BRACAGLIA : La Commedia dell’Arte: I COMLCI ITALIANI, MAESTRI DI TEATRO IN FRANCPA * GINO DAMERINI; GINO GIARRUSSO; RENATO SIMONI; ALBERTO VIVIANI; VITO PANDOLFI; VITTORIO GASSMAN; LUIGI BONELLI; J. B. PRIESTLEY; PAOLO ZAPPA * Copertina: GINO SEVERINI (Commediadell’Arte: dipintoadolio inedito) * Disegni di LUZZATI; BIANCONI * Seguono le cronache fotografiche, tavole fuori testo a colori e in nero, rubriche varie. L e z i o n e René Laporte è nato a Tolosa nel 1905. Giovanissimo s'è occupato dei movimenti poetici d'avanguardia facendosi editore dei poeti ch’egli prediligeva. Nella rivista da lui fondata, Les Cahiers Libres e poi attraverso la casa editrice che alla rivista fece poi seguire, ha pubblicato dal 1925 al 1935 il meglio di ciò che la letteratura d'allora prometteva e che, nella letteratura d'oggi, ha mantenuto: scritti di Paul Eluard, Max Jacob, Jean Giraudoux, Julien Green e numerosissimi altri. La sua opera, in quanto editore ed animatore, sarebbe già di per sè assai importante. Ma non gli basta: nel 1927 esordì come autore con un poema, Corde au cou, nel quale sono riflesse le tendenze inquiete di quel momento del tempo, di quel dopoguerra in cui la prosperità anziché ras sicurare le coscienze sembrava scoraggiare l'avvenire dello spirito. Alla prima, altre opere poetiche non tardarono a seguire: Le sonnambule, Alphabet de l'amour. Nel 1936, La journée du 8 mars fu il primo grido lirico che s’alzò contro Hitler, contro l'esercito tedesco che entrava in Renania. Durante l'occupazione, Laporte non ha cessato — sia con L’an 40 di cui alla censura sfuggirono le allusioni ■— sia con poesie comparse su riviste clande stine, di partecipare a quel grande movimento di rinnovamento della lirica che recò in ogni angolo del mondo libero la protesta dello spirito francese che i nazisti non potevano soffocare. Contemporaneamente ai versi, René Laporte veniva pubblicando opere narrative, romanzi: Le dîner chez Olga, Le gué risseur, La part du feu, tutti, in chiave di saggio soggettivo sulla condizione morale dei giovani d'oggi. Con Les chasses de novembre, che ebbe il « Prix Interallié », nel 1936 entrava trionfalmente nel campo del romanzo di costume. Nel medesimo tempo che veniva componendo la propria opera, René Laporte avvicinava professionisticamente ì circoli politici. Specialista in materia d'informazione, dopo un breve periodo presso il Ministero degli Esteri, fu nominato nel 1937 capo dei Servizi Stampa in Tunisia. Vi rimase tre anni scoprendo con passione i problemi arabi. Da questa esperienza gli fu ispirato Les Passagers d’Europe. Il suo ultimo romanzo, Le cheval volant, comparso nel 1943, è una sorta di bilancio del periodo fra le due guerre. L esperienza poetica e l'esperienza politica si son mescolate molto felicemente in una te stimonianza d'onestà e di lucidità di cui appare sempre più evidente l'impor tanza e la rarità. Allontanatosi volontariamente da Parigi durante gli anni dell occupazione, René Laporte approtittò del periodo di ozio forzato per scrivere — egli dice che ciò avvenne per caso — la sua prima opera di teatro. Che è questo Federigo. L'esito trionfale (e, aggiunge l'autore, inatteso) di questi tre atti l'ha entu siasmato giacché è da credere che Laporte non si dichiarerà soddisfatto di questo solo successo: ed e infatti occupato ora a scrivere una seconda com media, La fleur d’oubli. Nell'autore di Federigo, la critica ha salutato il poeta. Nelle sue poesie e nei suoi romanzi, saluta il moralista. Perchè, in Laporte, morale e lirica son stret tamente unite. Federigo si colloca in un'epoca semi-fiabesca, ma la lezione che l'opera propone è di tutti i tempi. E' un grido di speranza nell’amore e nel tempo. In tutte le opere di René Laporte si sentiva battere l'inquietudine del l'uomo per l'aldilà, la paura della fine. Questa volta sembra ch'egli abbia vinto quest'inquietudine. Come il suo personaggio, apre alla fine le porte della sere nità e della certezza. C O M M E D IA IN T R E A T T I D I R E N É L A P O R T E VERSIONE ITALIANA DI LUCIANA E GIGI CANE L E PERSONE OLIVIA - DONNA BIANCA - FEDERIGO - IL PRINCIPE BIANCO — MARK US, domestico di Federigo - GIU SEPPE - DON ESTEBAN - IL LUOGOTENENTE SODERINI - IL MONACO L ’UFFICIALE - DUE SOLDATI L'azione è ambientata in Toscana. 11 primo atto e i due quadri del secondo si svolgono al principio del XV secolo; il terzo atto al principio del XVI secolo. ATTO P R IM O Interno della casa di Federigo nella campagna toscana. Mobilio modesto con qualche traccia di passata opulenza. A sinistra, un grande camino e una porta che s’apre sulla cucina. Sul jondo, una finestra che dà su un grande balcone: si intravvede un arancio, i cui rami sfiorano il balcone. A destra, la porta della camera di Federigo. È piena estate, la luce è viva e jorte. All’alzarsi del sipario, Markus, seduto accanto al camino, pulisce una balestra. Olivia, in piedi, lo guarda. Olivia — Ditemi, Markus, che cosa pensate voi delle zingare1? Markus •— Che cosa penso io delle zingare? Olivia — Sì, vi piacciono oppure vi fanno paura... Markus — Buffa domanda, Olivia! (Ride) Forse mi piacciono perchè mi fanno paura. Ad ogni modo credo che mi piacerebbe la Volpe, la zingara del nostro villaggio. Olivia — È proprio di lei che volevo parlarvi. Markus (sempre ridendo) — Vi ha letto la mano? Vi ha predetto che sposerete un principe o che morirete sul patibolo? Olivia — È una cosa seria, Markus. Sapete che da tre mesi qualcuno ruba nella cassetta dell’elemosina in chiesa... Markus — E voi avete scoperto il colpevole? Olivia — Sì. Markus — È la Volpe? Olivia — Sì, oggi, a mezzogiorno, sono entrata in chiesa. Fuori faceva così caldo... Markus — Attenta, piccola Olivia. Chi va in chiesa quando non c’è nessuno, è segno che ha qual cosa da nascondere... A meno che Dio abbia deciso di fare di questo grazioso braccìno qualcosa come il suo braccio della giustizia. Ha preferito voi alla sacrestana: più che comprensibile! Olivia — Ero inginocchiata vicino all’entrata, juando ho avuto l’impressione che l’ombra del pilastro, davanti a me, si muovesse. E questa ombra scivolava verso la cassetta. Io mi sono avvicinata pian piano. Sapete come fa la Volpe a rubare? Intro duce nella fessura un bastoncino ricoperto di vischio e le monete vi s’incollano sopra. Non lascia la minima traccia. Markus — Che ragazza sveglia!... E voi avete gridato, avete fatto qualcosa? Olivia — Non ho osato... La Volpe ha un paio d’occhi terribili... Mi sono nascosta in un confessio nale... Voi, al mio posto, la denuncereste? Markus — No di certo. (Breve silenzio. Olivia sembra esitare). Olivia — E il signor Federigo, che cosa mi con siglierebbe? Markus — Vi assicuro che vi consiglierebbe di non aprir bocca... Del resto, potete chiederglielo quando torna. Vi dirà che il villaggio ha bisogno di zingare. Le zingare si possono accusare di tutti i drammi ine splicabili, di tutte le epidemie del bestiame e così non si deve cercare più lontano. È molto comodo... Olivia — Dov’è il signor Federigo? Markus — A caccia, Olivia — Credete davvero che cacci qualcosa? Una volta l’ho visto, ero sulla collina dove lui stava alla posta della selvaggina, A un certo momento ha alzato la balestra: e vi giuro, non c’era nessun uccello nel cielo. Ma ha lanciato lo stesso la sua freccia: forse voleva colpire il sole. Markus ■ — Che fantasia hanno le ragazze! State attenta, Olivia, voi sognate troppo. Olivia — E voi mi prendete troppo in giro... E anche il signor Federigo si burlerà di me, come sempre. Non ha mai l’aria di prendere le cose sul serio. Sorri de. Si direbbe che sorride per impedirsi di ridere. Markus — È abbastanza vero. Non ha più voglia di ridere... Ha avuto molti dispiaceri. Olivia — È orfano? Markus — Sì. Ma è stato piuttosto un vantaggio, per via dell’eredità: così si è rovinato più in fretta. Olivia (a voce bassa) — Ha dei dispiaceri d’amore? Markus (ridendo) — No, rassicuratevi... Ha dei dispiaceri di quattrini. È peggio. Olivia (scandalizzata) — Oh! RENE’ LAPORTE Markus (assumendo un’aria d’importanza) — Ab biamo subito forti perdite. Di tutto il patrimonio ereditato non ci rimane più cbe questa casetta. L ’anno scorso avevamo ancora un palazzo a Firenze, con cento quadri nella galleria e cinque cavalli nella scuderia. Olivia — Capisco die il signor Federigo sia triste. Markus — Triste? Non direi. Direi piuttosto cbe aspetta. Olivia — Aspetta cbe cosa? Markus — La fortuna... Il mio padrone è un gran giocatore. Pensa che un giorno o l’altro la for tuna gli restituirà ciò cbe gli ba portato via, palazzo, quadri, cavalli. Olivia (guardandosi intorno) — Eppure non si sta male, qui. Markus — Il padrone dice cbe i battelli all’ancora non stanno male nel porto, eppure non vedono l ’ora di andarsene... Olivia — Per viaggiare, è diverso... Ma giocare, rischiare una vita felice, e per cbe cosa, poi? Markus — Per il denaro, cara. Olivia (sognante) — Credevo cbe il gioco fosse solo gioco. Allora giocare è come lavorare? Federigo (entra e sente Vultima battuta) — Non proprio, piccola Olivia del cuor mio! È piuttosto come mettersi in stato di grazia. Olivia — Oh, mi avete spaventato, signor Federigo. Federigo (con leggerezza) — Perchè sono il lupo. E guarda qui quel cbe il lupo divorerà per cena. (Getta sul tavolo il ricavato della caccia) Una lepre color dell’autunno... E due tortorelle color di... Color di cbe cosa, a proposito? Decidi tu, Olivia, cbe bai più fantasia di me. Olivia (sorridendo, ma con l’aria di non 'pensarci) —- Color del seno, signore. Federigo — Immagine strana, ma graziosa. Mi piace... Chiamami Federigo, Federigo ebasta...Signore? Signore di cbe, vorrei sapere! Sono soltanto un prin cipe da nulla, un principe da topaia. Meno potente del barone del villaggio, queU’imbecille cbe ba diritto di caccia dovunque io inseguo la selvaggina... Olivia — Il nostro castellano è conciliante. Vi ha forse proibito di cacciare sulle sue terre? Federigo — No, ma mi basta cbe abbia qualche diritto su di me. Non mi piace cbe si abbiano diritti su di me. (Cammina avanti e indietro). Markus — Il signore non ha l’aria stanca, stasera. Federigo — Sono molto contento. Markus — Ma non sarà questa caccia... Federigo — Ho fatto quel cbe ho potuto, vecchio mio. Ma bai ragione: non è questo poco di selvaggina a mettermi di buon umore. Ho incontrato la Volpe. Olivia — Vi ba detto la buona ventura? Federigo — Si capisce: tu sai quel che ti capiterà. Ma io no. Olivia — E cbe cosa può capitarmi? Federigo —- Te lo predico subito: un bel giovane sul limitare d’un bosco, una casetta in fondo a una vallata, e un paio di bimbi in una culla. Olivia — E se desiderassi qualcos’altro? Federigo (ridendo) — Tu? Olivia — Cbe cosa vi annuncia la Volpe? Federigo — Cbe avverrà qualcosa di fortunato nella mia vita, questa sera stessa... Capisci? Voglio prepararmi a ricevere la fortuna. Mi metterò il mio ultimo farsetto presentabile, tirerò fuori Fultima bot tiglia di vino buono... La fortuna è un viaggiatore, e i viaggiatori hanno sempre sete! (Olivia sorride e Federigo la guarda con attenzione, come se la vedesse per la prima volta. Fa segno a Markus di andarsene in cucina) Tuo padre non ti proibisce di venir qui? Olivia — Perchè? Siamo vicini... Federigo — Non ho una buona reputazione in paese. Olivia — Vi trovano un po’ selvaggio. Federigo — Come la Volpe. Olivia — E vi piacerebbe che vi temessero, come lei. Vorreste essere il lupo. Ma avete poche speranze... Perchè abbiamo già un lupo, ed è addirittura un lupo mannaro. La sua fama ba sorpassato i confini del comune. Per chilometri intorno quando i bambini fanno le bizze, i genitori minacciano di ricorrere al lupo mannaro di qui. Pare cbe sia una misura radicale. Federigo — Tu non hai l’aria di temere molte cose. Olivia — Temo solo quel cbe vedo. Federigo (ridendo) — Allora sei una buona cri stiana... (Fa qualche momento accarezza distrattamente la lepre e le toHore) Guarda, Olivia, cbe bella natura morta! Olivia — Sì, Federigo. Federigo — È tutto morto, qui. Mi annoio. Olivia —- Siete mutevole come il vento. Eravate allegro. Adesso siete triste. Perchè vi annoiate? Federigo — Ho conosciuto altre cose oltre queste lunghe giornate vuote. E mi mancano, mi manca la città, gli amici (la guarda di sottecchi), le notti perse così piacevolmente. Olivia — Avete perso molte cose, lo so. Federigo — Sei molto acuta. Quanti anni bai? Olivia — Venti. Federigo — Troppo pochi per rispondere così in fretta e così bene. Olivia (sinceramente e un po’ imbarazzata) — Lo penso anch’io. Ma qualche volta ho l ’impressione cbe dentro di me ci sia qualcuno che vuol parlare e cbe mi sovrasta e mi suggerisce... Federigo — Insomma, non sei una ragazzina banale. Sei una ragazzina cbe ba già il suo demone. Olivia (sorride) — Un demone molto chiacchierone... Federigo — Un giorno sarà il silenzio d’un uomo a esorcizzarti. Olivia — E voi quanti anni avete? Federigo — Sono alla metà della mia vita. Olivia — Ve l’ha detto la Volpe? Federigo — No. Ma ho trentacinque anni. Con un po’ d’ottimismo posso credere d’aver fatto solo metà del cammino. Mi permetti di crederlo? Olivia — Comunque non vi permetto di annoiarvi. Federigo — Qui siamo al termine di ogni cosa. Olivia — A me, invece, pare cbe ogni cosa vivente si muova e si trasformi, mi trascini e mi faccia var care l ’orizzonte. Quando guardo il paesaggio, mi dico: è azzurro come gli occhi, e allora penso àgli occhi. Quando guardo quei cipressi, mi dico: sono diritti come spade, e penso a bei cavalieri che verranno a FEDERIGO slacciarsi la corazza e farmi omaggio della loro rinomanza. Federigo — Uhm, è già sogno. Olivia — Sogno!... Avvicinatevi alla porta. Che cosa vedete? Federigo — Il prato, un albero in mezzo al prato. Olivia — A me il prato fa pensare al mare che non ho mai visto e che deve essere verde. Federigo — E l’albero? Olivia — L ’albero rosso è una barca di pescatori sul mare. Federigo — Aspetta che ci capisca qualcosa.' Il prato come il mare. L ’albero come la barca. Come... Dici sempre: come... (Quasi teneramente) Signorina... Come... T’invidio. Confrontare è forse un modo di dimenticare quel che è. Olivia — Non dimentico mai quel che è. Ma quando vedo un albero è naturale che veda la sua ombra nello stesso momento... Federigo (di nuovo grave) — Anch’io non dimentico. Non dimentico nulla. Olivia — Siete stato tanto infelice... Federigo — Sfortunato, piuttosto. Olivia — Perchè giocavate? Federigo — Forse per vincere quel che tu pos siedi con tanta naturalezza: la fantasia. Il gioco è il mio oceano, la mia barca sull’oceano... (Più grave) È anche una guerra. Certi ritorni all’alba hanno l ’a marezza d’una malattia. Olivia — E allora perchè ricominciavate? Federigo — Ci sono malattie dalle quali non si desidera di guarire. Olivia — Qui siete in convalescenza. Federigo — Allora per poco, spero. Olivia (con un grido) — Volete andarvene? Federigo — Si capisce... devo vendicarmi. Olivia — Di chi? Federigo — Della sfortuna. Olivia — Così ve ne andrete. Ve ne andrete... E quando avrete rivinto quel che avete perduto?... Federigo — Vincerò ancora. Olivia — E quando avrete troppo denaro? Federigo — Non si ha mai troppo denaro. Si ha soltanto abbastanza denaro per la condizione cui vi eleva ogni nuova vincita di denaro. E poi, non so, potrei incominciare tante cose... L ’avventura! Tu non la desideri? Olivia — Sì, ma non la stessa che desiderate voi. Federigo — Ah, sì, so quel che vuoi. L ’avventura di tutte le donne. L ’avventura del cuore. Olivia (mortificata) — Perchè no? È un desiderio così meschino? Voi appartenete certo alla razza dei forti e degli indifferenti, Federigo, ma non credevo che apparteneste a quella degli invidiosi i quali si rallegrano quando riescono a distruggere il paradiso degli altri. Federigo — Oh, sai, il tuo paradiso... Olivia (offesa) — Non vi ho chiesto di dividerlo con me. Sarebbe stato meglio che non avessimo mai parlato di queste cose, che oggi non vi avessi visto. Anzi, che non vi avessi visto mai. (Sta per uscire). Federigo — Non arrabbiarti! Volevo solo spie garti che bisogna aspettare l ’occasione, il caso. Sai: nella tua avventura, come nella mia, è sempre il caso che decide. Abbiamo almeno questo in comune. (Olivia sorride) E forse anche qualcos’altro... La Volpe mi ha promesso la fortuna per stasera. Se tu te ne vai... Olivia — Se io me ne vado... Federigo — Il giorno sta per finire... Forse sei tu, la mia occasione di stasera. E dovrei lasciarti andare?... Giochiamo. Pensa per un secondo che io sia il tuo caso e tu il mio. Olivia — Giocate troppo bene per me. Federigo — Incomincio: Federigo si sentiva solo come... Olivia — Come una sentinella nella notte. Federigo — Vedo sopravvenire sulla sua strada una fanciulla bella come... Olivia — Dite voi. Federigo — Come... come una tortorella. Ti piace? Olivia — No, barate. Vi guardate attorno e sce gliete un oggetto. È troppo facile. Federigo — A quella fanciulla vorrebbe parlare come... Olivia — Un poeta. Federigo — Dirle che le giornate sono vuote, vuote come... Olivia — Non ci sono paragoni per il vuoto. Non c’è niente di più triste e di più definitivo del vuoto. Federigo — Dammi la mano, Olivia. (Molto dolcemente) Signorina. Come... (Si baciano. Breve silenzio) Sei così giovane e fresca... Ho condotto una vita impura, lo sai, e non ho l’abitudine di una donna come te. Ho conosciuto ragazze di vent’anni, ma i loro baci non erano più spontanei dei loro rifiuti. Quando mi dicevano: « Sono con te », mi sentivo più solo di prima... Forse in tutti questi anni brucianti, mi sono lasciato sfuggire molta felicità senza capirla. Olivia — Perchè non la dividevate. Federigo — E tu la divideresti? Olivia — Il mio demone non vi risponderà. Siete indiscreto. Non fa parte del gioco... Noi giochiamo, mio dolce signore. (Si baciano di nuovo, più a lungo. Poi Federigo la guarda intensamente e si svincola). Federigo — No, non giochiamo! Olivia (stupita della sua violenza) — Federigo! Federigo — Ho letto nei tuoi occhi quel che ho letto in tanti altri sguardi... Olivia — Che cosa c’era nei miei occhi? Erano chiusi... Federigo (duramente) — Anche chiusi, avrei letto in essi un’attesa, avrei indovinato la trappola che ogni donna tende all’uomo che la stringe tra le braccia. Olivia — Non ho pensato a nulla. Federigo — Non sai a cosa pensavi. Ma le tue labbra, il loro calore, un lieve fremito del tuo corpo ti hanno tradita lo stesso. Olivia (sul punto di scoppiare in pianto) — Come potete parlare di tradimento? Federigo — Può anche darsi, dopo tutto, che tu non faccia calcoli. Ma rimane altrettanto pericoloso... Io sono una creatura selvaggiamente libera. Sono il re di me stesso. La condizione stessa della mia vita è di non aver legami... Non accetterei legami per il più bel viso del mondo, per il più bel sentimento del RENE’ LAPORTE mondo. Domani, forse, potremmo amarci. T’immagini il risultato di quest’amore? Olivia (a bassa voce) — Non dite nulla, Federigo. Federigo (crudelmente) — Come scena, questa casa. Come avvenire, questa collina. La più grande felicità, non c’è niente da fare, si dissolve in una quantità di piccole felicità goffe e piacevoli. È pietoso, e non mi piace aver pietà di me. Olivia — Non vi ho chiesto niente... Passate sul mio cammino. Non dico che la vostra vicinanza, da sei mesi a questa parte, non abbia cambiato nulla nella mia vita. Ma non cercate troppo lontano, signor Federigo: avete portato a una ragazza di campagna il profumo della città. Un profumo di conquista e di piacere che le si addice e la turba un po’. Ecco tutto. Federigo (calmandosi) — Davvero?... Forse è un peccato che io sia un vagabondo, avremmo potuto intenderci. Olivia — Ma ci intendiamo benissimo: non cercate più lontano. Guardate, la sera sta calando. Viviamo l ’ora magica cb’è come l’indugio fra l’oggi e il domani. E anch’io sono il vostro indugio tra una partita a carte sfortunata ed una fortunata. Ci penserete più tardi. Quando sarete lontano, promettetemi di chiu dere gli occhi, e ritroverete questo paesaggio e, in questo paesaggio, Olivia. Olivia, il vostro indugio di una sera. Federigo — Ha l’aria d’essere vero. Voglio dire: forse è vero che tu non chiedi nulla. Olivia — Nulla, o molto poco. Che chiudiate gli occhi, una volta tanto, per cercare di ricordare. Federigo (bruscamente) — Vieni qui! Olivia — Devo andarmene. È quasi l’ora di cena. Federigo — Ascolta, Olivia, devi ancora inse gnarmi parecchie cose... Olivia — Quali cose? Federigo — Questo paesaggio... L ’ho visto con te sotto il sole. Ma forse non è lo stesso sotto la luna, sotto le stelle... Vuoi tornare tra poco? Olivia (acconsentendo subito) — Cercate un nuovo indugio, Federigo? Federigo — Forse. Ma davvero tu non temi nulla, nè lacrime nè rimpianti? Olivia — No. Federigo — Verrai? Olivia (breve silenzio) — Sì. (Sorride ed esce. Rimasto solo Federigo appare indeciso. Prende un mazzo di carte dal tavolo, si siede, spinge da un lato la selvaggina e comincia negligentemente un solitario, finendo, forse perchè il gioco non riesce, col gettar via le carte. Poi chiama, a voce molto alta): Federigo — Markus! (Entra Markus) La cena è pronta? Markus — Non ancora, signore. Federigo — Allora lasciala sul fuoco e vieni a giocare. (Markus si siede con Varia rassegnata di chi obbedisce a un maniaco) Non hai l ’aria troppo allegra. Markus — Forse non è elegante che i servi si annoino come i loro padroni. Federigo — Infatti. La noia è un privilegio delle persone bennate. Ma io sono liberale; ti permetto di annoiarti... Non ti piace la campagna? Markus — C’è troppo sole e troppa polvere. Troppa pioggia e troppo fango. Appena ho smesso di lucidare gli stivali, devo mettermi a raschiargli via il fan go... Preferisco i marciapiedi della città. Federigo (ride) — È quasi una filosofia, direi! Markus — Non sono nato per aiutare la mucca a mettere al mondo il vitellino e per inseguire nei campi la capra che ha rotto la catena. Fare il con tadino, puah! Federigo — Anche con una graziosa fattoressa al fianco? Una fattoressa come Olivia, per esempio? Markus —• È una bella ragazza, ma la preferirei vestita da signora. Eassomiglia un po’ a donna Lucrezia Pisone, che il signore ha amato per una intera stagione... Federigo — Olivia non rassomiglia a nessuno. Markus (inquieto) — Il signore non si innamo rerà mica, almeno? Non è niente quando si dice a una donna: «Non assomigliate a nessuno ». Ma quando s’incomincia a dirlo al migliore amico o al domestico, allora diventa inquietante. Federigo (sorridendo) — Dicevo così anche di donna Lucrezia? Markus — E dopo donna Lucrezia, il signore l’ha detto di Martha Bromberg, che veniva dalla Ger mania e si sospettava dedita a pratiche di stregoneria. Federigo —- Smettila... Olivia è tutta un’altra cosa. Mi impressiona, oso appena toccarla. C’è in lei qualcosa che non è naturale, una purezza che sembra venire da un altro mondo.. Markus ■ — Ci siamo : il signore sta innamorandosi! Federigo (ridendo) —• No, rassicurati, vecchio Markus! Mon penso che a partirmene, a lasciare questi contadini, quest’albero, questo prato. Ma quando piglieremo il largo, Dio mio? Markus — Quando i dieci ducati che ci rimangono avranno fatto i piccoli, signore... Federigo — Aspettando, giochiamo... (Distri buisce le carte) Facciamo il gioco dell’ombra, mi riesce meglio degli altri. Se ci avessi giocato più spesso che a zecchinetta, mi sarei difeso meglio. Markus — Oh, signore! I bari imbrogliano benis simo anche al gioco dell’ombra. I re cadono loro dalle maniche con la massima naturalezza... Federigo — È strano, guarda il mio gioco. Ho soltanto picche... Dal re fino al nove. Peccato che non giochiamo all’atout. Markus — Strano gioco davvero. Federigo — Sarà segno buono o cattivo?... A Firenze ho avuto questa combinazione una volta, una volta sola. Giocavo contro Domenico! È stato il primo... Markus — Il primo di che? Federigo — Lo sai bene, Markus. Il primo dei miei dodici morti. Markus — Vi prego, signore, non torniamo su questa storia! Vi riempie di non so quali rimorsi, e a me, a causa dei vostri rimorsi, fa un po’ paura. (Gravemente) Non è una storia simpatica, signore. Federigo •— Non riesco a dimenticarla... Se sono stato rovinato, non sarà perchè prima io ho rovinato FEDERIGO dodici giovani, di ottima famiglia come me, ardenti, forti come me! Markus — Il gioco era corretto. Federigo — Certo. Ma la fine dell’avventura, se ben ti ricordi, fu meno corretta. Quei dodici amici furono cacciati dalle loro famiglie e commisero una sciocchezza dopo l’altra. Markus — Scusatemi, signore, ma ci sono tanti modi di guadagnarsi il pane, oltre a fare il bandito. I vostri dodici amici hanno scelto la professione di bandito sulla strada di Ravenna. La polizia se ne è occupata, è normale. E loro ci han lasciato la pelle. È normale anche questo. Federigo — Forse. Ma mi sento vagamente respon sabile... Comunque, dodici amici morti pesano sulla coscienza. Markus (sorridendo) — Se foste un condottiero, signore, vi peserebbero molto meno. Federigo — Ogni sera mi pare che debbano venire a chiedermi i conti... Markus — Giocate, signore. Federigo — Mi pare che debbano venire da quella salita, tutti insieme. Markus — Signore, non avete mai creduto alle fate, adesso vi mettete a credere ai fantasmi? Federigo (voltandosi verso la 'porta) — Oh, Markus, guarda! Markus — Che c’è, signore? Federigo -— Sta venendo qualcuno dal sentiero! Markus —■Non è un uomo solo... Federigo — Aspetta, aspetta. Non vedo ancora bene il suo viso. Ma mi pare di riconoscere l ’andatura... No, no! Non è possibile! Quell’uomo cammina come camminava il mio amico Domenico. Markus (non del tutto rassicurato) — Il signor Domenico è morto da due anni, signore. Federigo — Domenico era biondo così... Markus — Ma non così giovane, mi pare. Federigo — Aspetta, aspetta... Ancora qualche passo e sarà in piena luce, e allora sapremo se è Domenico o no. (Breve silenzio. Poi con un grido) No, non è lui... (Lo sconosciuto si ferma sulla soglia. I due uomini lo guardano con un resto di timore, stupiti dal suo elegante farsetto bianco, dalla sua bellezza e forza. Lo sconosciuto ha Varia di un viaggiatore, con stivalone ed arco. Pompe per il primo il silenzio). I l Principe Bianco — Posso entrare? Federigo — Entrate. I l Principe Bianco — Vi saluto, signor Federigo. Federigo — Conoscete il mio nome? I l Principe Bianco (dolcemente) — Lo conosco. Federigo — Da chi? I l Principe Bianco — So il nome di tutti quelli che fanno buona accoglienza allo straniero. Federigo (riprendendo la sua sicurezza) — Ma non ci si perde in questa contrada sperduta. I l Principe Bianco (sorridendo) — Dove vi siete perso voi stesso, forse? Markus (a Federigo) — Strano uomo, e strane parole. Federigo (al principe Bianco) — Che cosa volete da me? I l Principe Bianco — M’è capitata una stupida avventura. Poco fa, stanco di galoppare, ho attac cato il cavallo a un albero e mi sono steso sull’erba a dormire. Quando mi sono svegliato, il cavallo era scomparso. Federigo ■ — In questa Toscana dove tutti guer reggiano, dove, se potessero, le pietre dei muri guerreggerebbero l’una contro l’altra, non è prudente viaggiare senza scorta. I l Principe Bianco — Non ho bisogno di scorta. Federigo — Vi assicuro che San Giorgio stesso non andrebbe in giro da solo in Toscana... I l Principe Bianco (divertito) — Credete che anche San Giorgio...? Non mi piacciono le scorte, perchè non mi piacciono i viaggi in cui tutto è previsto. Mi piace andare secondo la mia fantasia. Sono un viaggiatore un po’ stravagante, ecco tutto... Federigo — Cercate un cavallo, ora? I l Principe Bianco — Esatto. Federigo — Il mio domestico ve lo troverà al villaggio. Volete altro? I l Principe Bianco — Confesso che ho anche fame e sete. Federigo — Oggi ho cacciato qualcosa. Ne appro fitterete. Markus — Ma è molto tardi per preparare la lepre, signore. Federigo — Fai arrostire le tortorelle, se cuociono prima. Noi aspetteremo. Markus — Ma, signore... Federigo — Corri e fai quel che ho detto. (Markus esce). I l Principe Bianco (guardandosi attorno) — Potreb be essere la dimora d’un saggio: immagino l’uomo ricco d’esperienza che guarderebbe attorno a sè con occhi di tenero e ardente possesso il cespuglio di rose che incorona il pozzo e il passero che si liscia le piume in cima all’arancio. Ma ho capito immediatamente che voi non siete l’uomo della vostra casa. Federigo (versandogli da bere) — E da cosa l’a vete capito? I l Principe Bianco — Dal vostro sguardo. Ho l’abitudine di leggere in fondo agli occhi. (S’avvicina a Federigo). Federigo — È inutile leggere nei miei. Siete strano, signore, e un po’ indiscreto... I l Principe Bianco (molto in fretta) — Scusatemi. L’indiscrezione è il difetto di tutti i viaggiatori. Federigo — Io sinceramente mi accontenterei di sapere chi siete. I l Principe Bianco (seccamente) — Mi chiamo il Principe Bianco. Federigo (sbalordito) — Ah! I l Principe Bianco — Scusatemi se non vi dico altro, ma gli affari per cui viaggio non sono personali. Federigo — Viaggiate molto? I l Principe Bianco — Molto. Federigo — Vi invidio. Un tempo anch’io, come voi, percorrevo l’Italia, placando le liti degli uni, le ambizioni degli altri, cercando di scoprilo in ogni contesa il segreto di un’ambizione... I l Principe Bianco (sorridendo) — ...e in ogni ambizione il motivo di una lite? Federigo — Ho anche combattuto, infatti, ma RENE’ LAPORTE poco. Io sono un borghese fiorentino. La gente del mio ambiente paga i soldati perchè combattano al loro posto... E inoltre quando si è decisi come me a fare la carriera dello scettico... I l Principe Bianco — Scettico! Curiosa parola! Federigo •— ...si accorda scarso interesse agli interessi generali degli uomini. La suprema abilità consiste nello sfuggire a tutto ciò che può essere tirannia collettiva: la famiglia, il servizio militare. Anche l’amore. Quando si è soli, si passa più facil mente in mezzo alla tempesta. I l Peincipe Bianco (gravemente) — L ’amore non ha mai portato sfortuna a nessuno, signor Federigo. Fedeeigo — Ho molto amato, e l ’amore ha nuo ciuto nella mia carriera di uomo felice. I l Principe Bianco — E le carte anche, se sono ben informato. Fedeeigo — Come lo sapete...? Si, anche le carte. Ma il gioco ha questo di superiore all’amore, che anche quando vi contraria, vi calpesta, vi percuote, seguita a darvi gioia... Come amante non posso soppor tare di essere ingannato, ma come giocatore trovo voluttà anche nella sfortuna e nella perdita. (Entra Markus ed apparecchia). I l Principe Bianco — Non capisco niente di giochi. E quando gioco, cerco di avere gli atouts in mano. Federigo (ridendo) — Nelle bische, quest’abilità ha un brutto nome. I l Principe Bianco — Non gioco con le carte... Federigo — E con cosa allora? Con le donne? Con i principi? Con le anime, forse? I l Principe Bianco — Perchè no?... Federigo — Cercare le anime non è cercare l’amore? I l Principe Bianco — Perchè no?... Federigo (con leggerezza) — E voi poco fa mi par lavate di viaggi seri! Ditemi se c’è un paese dove le anime si vincano più facilmente che altrove. ’ I l Principe Bianco (vagamente) — Certo che c’è. Federigo — E ditemi se venite di lontano. I l Principe Bianco (sempre distratto) — Vado in giro per il mondo. Federigo — Allora siete un pellegrino? I l Principe Bianco — Un soldato, piuttosto. Federigo — Vi vedo senz’armi e senza corazza. (Improvvisamente e violento) Almeno non appartenete ai Visconti, spero? I l Principe Bianco — Non appartengo a nessun principe. Federigo — Come vi capisco! Io non amo la guerra, a la libertà... Voglio che si possa dire di me: «Non può essere nato che a Firenze, perchè è un uomo libero ». I l Principe Bianco — Ma la libertà è come l ’amore, come la fede: bisogna difenderla. Federigo — Bisognerebbe aver voglia di difendere la fede, di difendere l’amore. Scusatemi, ma sono argomenti nei quali rimango neutrale. (Silenzio) Andate a Firenze? Vi troverete persone ospitali. I l Principe Bianco — Più esattamente vado a Fiesole, nel convento dei domenicani a trovare un frate di nome Giovanni. È un pittore straordinaria mente dotato. Ma è modesto e non conosce il suo genio. Vado a portargli sicurezza e ispirazione. (Entra Markus portando la cena; i due uomini mangiano). Federigo — Sapete che siete assai misterioso? I l Principe Bianco — Non mi pare. Federigo — Pretendete di avere il potere di rivelare gli uomini a se stessi... I l Principe Bianco — Non ho detto ciò, sono solo persuasivo. Federigo (sorridendo amaramente) — Comunque, vi prevengo, non mi convincerete che la mia sorte sia invidiabile. So quel che sono, credetemi. E, soprat tutto, so quel che valgo. Il peso della cenere futura e il peso di qualche desiderio, questo è un uomo... Non lascerò nulla dietro di me. E sia. E poi? Mi baste rebbe sapere che arriverò alla vecchiaia dicendomi: non ho mancato la mia vita. I l Principe Bianco — Non è troppo diffìcile riuscire nella propria vita: basta scegliere bene la meta. Disgraziatamente, in genere si mira troppo in alto. Federigo — Immaginate un cacciatore molto abile che resti ore e ore in agguato senza veder traccia di selvaggina. Gli occhi stanchi, le mani tremanti. Alla fine sbaglierà il bersaglio più facile, l ’uccello dal volo più pesante. Quel cacciatore sono io. I l Principe Bianco — Vi mancano dunque tante cose per essere felice? Federigo (esaltato leggermente dal vino bevuto) — Sono avido, tremendamente avido. I l Principe Bianco — E che cosa desiderate? Federigo — L ’avidità. I l Principe Bianco — Ah, non ne usciremo mai!... Sentite, signor Federigo, siete stato generoso con me. Voglio essere generoso a mia volta. Vi faccio una proposta. Federigo — Denaro in prestito? Un mercato? State attento, non ho il minimo credito... I l Principe Bianco — No, soltanto un gioco. Il gioco della persuasione. Federigo — Non lo conosco. I l Principe Bianco — Bisogna esprimere dei desideri. Esprimete dei desideri, e io vi prometto che saranno esauditi. Federigo — È quel che promettono le madri per addormentare i piccoli. I l Principe Bianco — Provate. Potete esprimere tre desideri. Metto una sola condizione al loro realiz zarsi, che non ne diciate niente a nessuno. Promettete? Federigo (credendo che sia un gioco) — Prometto. Fate una magìa? I l Principe Bianco — Mi piacete, mi siete sim patico. Sono capitato da voi per caso, e non lo rim piango. Federigo — Ho capito, sempre la vostra famosa indiscrezione... Vi imbattete in un uomo e volete rapirgli i suoi pensieri più segreti. Così raccogliete aneddoti deliziosi, vi preparate ricordi diverten tissimi. .. I l Principe Bianco — Provate dunque, se è solo un gioco. Federigo — Sarete voi a rimaner deluso. Certo pensate che vi chiederò un palazzo, il segreto della pietra filosofale, il tesoro dei Faraoni. FEDERIGO I l Principe Bianco — Siete libero di scegliere. Federico (liricamente) — Un momento. Chiudo gli occhi. Cerco di non pensare a nulla. Aspetto che mi venga un’ispirazione. I l Principe Bianco — Poco fa dicevate che ave vate troppi desideri. Federigo — Ne ho troppi, è vero. Quindi sce glierne tre, deliberatamente, farne un trio è difficile. Sono un uomo d’azzardo, preferisco rimettermi al caso. (Silenzio) Ma è terribile, non trovo nulla... (Riapre gli ocelli e i suoi sguardi si posano sul tavolo) Ah, ho trovato! Vedete questo mazzo di carte1? I l Principe Bianco — Sì. Federigo — Accordatemi di vincere ogni volta che giocherò con esso. I l Principe Bianco — Accordato. Federigo (sorridendo) — Però sarebbe diver tente se fosse vero! I l Principe Bianco — E il secondo voto? Federigo — Lasciatemi pensare ancora un mo mento. I l Principe Bianco — Potreste chiedermi la sal vezza dell’anima vostra. Federigo — Oh, ho tutto il tempo! I l Principe Bianco — Non voglio influenzarvi, ma... Federigo (con la tenerezza degli ubriachi) — Mi piacete, principe Bianco. Vorrei che foste amico mio. Vorrei che rimaneste qui con me. I l Principe Bianco (educatamente) — Il mio cuore vi rimarrà. Federigo — Un giorno forse mi succederà di voler trattenere una creatura e di sentirmi impotente a farlo. Datemi quel potere... I l Principe Bianco — Il vostro voto è confuso. Siate più chiaro. Federigo (guardandosi continuamente attorno) — Assurdità per assurdità... Vedete quella pianta di arance sulla mia soglia? Trattiene i frutti finché può, gli uccelli finché può. Perchè non potrebbe trattenere quel che piace a me, suo padrone, quel che non voglio veder cadere e fuggire?... Questo è il mio secondo voto... Accordatemi il potere d’impedire che qual siasi creatura o cosa scenda da quell’albero se io non voglio. I l Principe Bianco (gravemente) — Accordato. Federigo — Si direbbe che facciate sul serio. I l Principe Bianco — Pensate alla salvezza del l’anima vostra, siete ancora in tempo. Federigo — Non c’è fretta, sapete. I l Principe Bianco — E allora questa terza grazia? (Federigo guarda lo sgabello su cui era seduta Olivia e sorride). Federigo — Aspettate, ecco... Desidero che chi si siede su quello sgabello non possa alzarsi se io non voglio. I l Principe Bianco (esitante) — Non avete qual cosa di diverso da chiedere? Federigo — Eh, state falsando il gioco, bel signore! I l Principe Bianco — Bene. Accordato. Federigo — Dopo tutto sarebbe meno diver tente che le carte. I l Principe Bianco — Che cosa sarebbe meno divertente? Federigo — Poco fa c’era una ragazza seduta su quello sgabello. Ho pensato a lei facendo il mio voto. Ma se la trattenessi, sarebbe lei ad avere dei diritti su di me. I l Principe Bianco (con interesse) — Una ragazza che amate? Federigo — Non esageriamo. Se dovessi amare - ma non voglio amare - credo che quella più che un’altra mi riconcilierebbe con me stesso... Pensate che io non credo, come tutti, che l ’amore sia divisione, incontro che accontenta armoniosamente le due parti in causa. Sarebbe banale. L ’amore, il grande amore, a mio parere, non è dato all’uomo che per illumi narlo sulle sue proprie ricchezze, alla luce di un altro essere... I l Principe Bianco — Come si chiama quella ragazza? Federigo — Olivia. I l Principe Bianco — E se fosse lei la vostra luce? Federigo (ridendo) — Oh, io rassomiglio ai gufi! Mi piace solo la notte. E mi dirigo benissimo nella mia notte. (È calata lentamente la sera. Entra Markus con una lampada). Markus — Il cavallo è pronto, signore. I l Principe Bianco (alzandosi) — Bisogna andare. (A Markus) Vengo. (Markus torna in cucina) Grazie della vostra accoglienza, signor Federigo. Federigo — Non prendetevi beffe di me. Rim piango di non aver avuto cibi e bevande più degni da offrirvi. I l Principe Bianco — Non parlate male del vostro vino. È un buon vino. Federigo (rìdendo) — Purtroppo lo conosco. I l Principe Bianco — Datemene ancora un bic chiere. Federigo — Con gioia. I l Principe Bianco — Lo berrò a metà e voi lo finirete in pegno di amicizia. Federigo — Sempre con gioia. (Federigo versa da bere. I l principe Bianco, nel buio, beve gualche sorso, poi tende il bicchiere a Federigo. Mentre questi beve, il principe si avvicina alla porta e sparisce nella notte. Sul volto di Federigo si dipinge lo stupore. Smette un momento di bere) Ma... (Beve di nuovo) Ma non è il mio vino! Questo è molto, molto migliore del mio! Principe! Principe! Dove siete? (Esce correndo, e ritorna quasi subito) Se ne è andato! Incredibile! (Fede rigo guarda lo sgabello, poi colto da un pensiero im provviso, prende il mazzo di carte, lo sparge sul tavolo, guardando una carta dopo l’altra. Poi chiama febbril mente) Markus! Markus! Voce di Markus — Eccomi, signore. Federigo — Porta un lume, svelto, svelto. Markus --S e n’è andato? Federigo — Sì. Markus — Senza lasciarmi la mancia? Federigo — Insolente. Posa la lampada sul tavolo e giochiamo. Markus — È tardi, signore. Federigo — Me ne importa assai del tuo sonno! (Giocarlo) Guarda! Il re di atout, la regina, il fante... RENE’ LAPORTE Olivia — E anch’io lo racconterò ai miei bambini Markus — Il dieci... quando ne avrò. Federigo — E il nove! Federigo (senza ascoltarla) — Un angelo! (Scoppia Markus (inquieto) — È un altro tiro delle vostre a ridere) Un angelo generoso! Un angelo con le mani dodici vittime! Federigo (leggero e febbrile) — Lasciale dove sono. colme! (Entra Markus e prende gualche oggetto sul Giochiamo. Magnifico. Ho di nuovo la grande se tavolo). quenza! Markus — I bagagli saranno pronti tra pochi Markus — Faccio rispettosamente notare al signore, minuti, signore. (Esce. Breve silenzio. Olivia ha gli che è il signore che ha dato le carte. occhi pieni di lacrime). Federigo — Non ho bisogno di imbrogli. Dalle tu, Olivia — Ve ne andate! se vuoi. ( Un momento) Vedi, ho di nuovo la mia se Federigo — È necessario. La mia libertà è più quenza. Potresti darmele per dieci volte di seguito, forte, più tenace di me. continueresti sempre a darmela. Olivia — Ve ne andate! Markus — È straordinario. Federigo — Non credevo che ti sarebbe rincre Federigo — La fortuna è tornata, Markus, è sciuto tanto. Giocavamo all’amore, non era l ’amore. tornata! Olivia — Giocare, sempre giocare... Markus — Certo è questo che voleva annunciarvi Federigo (goffamente) — La nostra libertà... la Volpe. Olivia — Non ve la chiedevo mica, la vostra Federigo — Ah, la Volpe, è vero!... (Sorride) libertà! Che cosa ne avrei fatto? Forse davvero la Volpe c’entra un pochino! Non Federigo — Mi piace la tua grazia, come mi piace farmi domande e corri a preparare i bagagli. Par l’idea di amarti. Ciò poteva portarci lontano. tiamo stasera stessa. Olivia (dopo un breve silenzio) — La cosa peggiore Markus (con gioia) — Davvero, signore"! è che partiate stanotte stessa. Federigo — Domani all’alba passeremo il ponte Federigo — Un appuntamento... sull’Arno. E domani sera troverò un tavolo da gioco... Olivia — Una notte di più non vi avrebbe fatto Sarà meraviglioso! ritardare molto. La notte che mi apparteneva... Sarà Markus — E la capra, signore. più lunga di quel che potete pensare. Federigo — Slegala, voglio che sia libera. Federigo — Che cosa? Markus — E la mucca che deve avere il suo Olivia —• La vostra presenza in me. piccolo ? Federigo — Olivia! Federigo (ridendo molto forte) — L ’avrà anche Olivia — Non mi rincresce d’essere vile, di pian senza di te! (Entra Olivia. Federigo fa cenno a Markus gere. È la mia parte di donna... di tacere e uscire. Markus esce). Federigo — Non sfuggo te, Olivia. Ma non posso Olivia — Che avete da ridere così, Federigo? dirti quel che mi costringe... Quella risata non vi assomiglia. Olivia — Un momento fa potevo credere che Federigo — Non rido mai senza ragione, piccola voleste fuggire l’amore. Non dite nulla... Ma dovete Olivia. Perciò rido di rado. sapere questo, ero venuta per una sola notte. Cioè Olivia —- Siete dunque così felice stasera? per il solo ardore di cui siete capace... Per amare, Federigo — Più di quel che puoi credere... La per morire, per costruire una cosa o una gloria si predizione della Volpe si è realizzata. crede che sia necessario dispensare tutta una vita Olivia — Ah, è vero! Avete incontrato qualcuno. paziente e volontaria. Non è vero. Si nasce in fretta. Si muore anche molto in fretta. In una sola notte... Federigo — Come lo sai? Olivia — Venendo ho incrociato sul sentiero un In una sola notte la mia mano avrebbe fatto il giro uomo con la corazza bianca scintillante sotto la luna. del tuo volto e del tuo corpo. La mia mano ha buona memoria, sai. E al tuo stesso respiro, che non si vede Usciva senza dubbio da casa vostra. nel buio, avrei inventato una forma. E tu saresti Federigo — Una corazza bianca? restato in me, frutto d’una sola notte, come un re Olivia — Lasciava che il cavallo andasse per imbalsamato, colto nel suo momento più bello e mai conto suo. Era immerso in una fantasticheria, ma più lo stesso nel suo momento più bello... Lascia che quando mi è passato vicino, mi ha guardata a lungo, ti tocchi. È buio. Buio come nella sola notte che i come se volesse portarmi nel suo sogno. miei sogni mi accordavano. T’imparerò dolcemente a Federigo — Una corazza bianca, ne sei sicura? memoria con le mie dita. Poi te ne andrai. F. io ti Olivia — Oppure una stoffa che brillava come conserverò. (Oli si avvicina lentamente e sembra che l’acciaio. prenda l ’impronta del suo volto con le mani). Federigo (commosso senza volerlo) — Olivia! Federigo — Era il Principe Bianco. Olivia — E soprattutto non dirmi che hai voglia Olivia (con una risatina) — No di certo! Nelle storie per i bambini da noi chiamano principi bianchi di rimanere. gli angeli. Federigo — Sarai il mio primo rimpianto. (Olivia Federigo (sempre più eccitato) — Un angelo, dici? si avvia all’uscita. Entra Markus con i bagagli. Fede rigo esita, poi si dirige verso di lui sorridendo). Raccontano che principi bianchi sono angeli? FEDERIGO ATTO SECONDO PRIMO QUADRO Nella casa di Federigo, a Firenze. ( Un gran salone contiguo alla sala da gioco. Nel mezzo, un tavolo e alcune 'poltrone. È il 1416: son dunque trascorsi tre anni). Markus — Il signor Giuseppe è occupato, signora. Donna Bianca (nervosa) — Sì, lo so. Sta giocando, andate a chiamarlo. Markus — Ho l ’ordine di non disturbare i signori. Donna Bianca — Gli direte ohe c’è qui sua moglie e lo aspetta. Markus — Oh! Scusate... (Dopo un attimo d'esi tazione, Marhus esce. Donna Biaìica passeggia conci tatamente in largo e in lungo posseduta da una visibile collera. S’apre la porta. Entra rapidamente Giuseppe seguito da don Esleban, un tipo inequivocabilmente spaccone, con una chitarra a tracolla). Giuseppe — Bianca! Tu qui... Donna Bianca (dando libero sfogo alla propria ira) — Non è più in caserma, o in chiesa e neppure dalle cortigiane che le spose di Firenze debbono andar a cercare i loro mariti. Ma è nella sala da gioco. È in casa del signor Federigo!... Son due giorni e quasi due notti che non ti fai vedere. Giuseppe (sbalordito) — Due giorni?! Donna Bianca — Ah! Perchè tu non te n’eri accorto. Giuseppe (guardando don Esleban che volge il capo altrove) — No. Donna Bianca — È ancora più grave di quanto io non pensassi!... Sono otto giorni dacché questo Federigo è tornato a Firenze e sono otto giorni dacché le ragazze della città non ritrovan più i loro fidanzati all’angolo delle strade e le donne maritate mangiano e dormono sole. Se domani, davanti ai bastioni deserti, mi dicessero: «I soldati sono in casa di Federigo », io non me ne meraviglierei... Giuseppe — Ti giuro che non è proprio il mo mento di far la morale o di risentirsi. Abbiamo biso gno di tu tt’intera la padronanza dei nostri nervi, non è vero, don Esteban? (Don Esteban accorda la sua chitarra senza rispondere). Donna Bianca — E perdi, anche. È il colmo. Giuseppe (un po’ troppo in fretta) — Ma non è di questo che si tratta. Ho degli affari piuttosto impor tanti da regolare con Federigo. Donna Bianca — Gli affari asp etteranno che faccia giorno. Torna a casa. Giuseppe — Più tardi. Donna Bianca — La settimana scorsa ho dovuto andarti a ripescare all’alba da Sandro. Il mese avanti, colui che ho recuperato da Lorenzo non era che un ubriaco. (Piange) Un sudicio ubriaco... Bada, sai. Un giorno o l’altro troverai chiusa la porta di casa nostra. E dietro quella porta, forse, ci sarà un altro uomo. Giuseppe — Don Esteban ti può dire... Donna Bianca — Don Esteban! È bugiardo come te. Mentisce senza parlare, col sorriso, con la musica. È la tua ombra che si prepara a dire bugie. Giuseppe — E sta bene. Vengo via subito. Però lasciami tornare su ancora un momento. Ti rag giungo immediatamente a casa... Il tuo posto non è qui, lo dovresti capire. Donna Bianca — Cos’è che devo capire? Anche le donne reputate più oneste si trovano a far anti camera dal tuo Federigo. Giuseppe — Che cosa vuoi dire con questo? Donna Bianca — Nel vestibolo c’è una donna che aspetta, una, donna velata. E sai chi è? Giuseppe (cercando di scherzare) — Ma, dal momento ch’è velata... Donna Bianca — Io l’ho riconosciuta dall’abito. È la vedova del barone Bartolomeo. Giuseppe — Impossibile. Donna Bianca — Sì, mio caro, la più illustre virtù di tutta la Toscana! Giuseppe — La vedova del barone. Donna Bianca — Non crederai mica che sia venuta per niente... Comunque, ti assicuro che domani lo saprò con esattezza. Giuseppe (adulatore, per stornare la tempesta) — Oh, per questo son tranquillo... Donna Bianca (avviandosi per uscire) — T’aspetto fra mezz’ora. Giuseppe — Un’ora... T’accompagno alla porta. Donna Bianca — Inutile. S’è per dare un’occhiata alla dama velata puoi star certo che la troverai ancora lì quando uscirai. Il tuo Federigo è un amante dal quale non sembra che ci si possa staccare agevol mente. (Esce mentre Giuseppe va alla porta della sala da gioco e la socchiude). Giuseppe — E continua. Ha una fortuna incredibile. Don Esteban (sottolineando ogni sillaba con un accordo di chitarra) — Incredibile. Giuseppe — Quante volte hai giocato il rosso? Don Esteban — Forse venticinque volte. Giuseppe — E quante volte è uscito il nero?... Don Esteban — Venticinque volte. Giuseppe — Federigo tiene banco con una for tuna sfacciata. Ma ogni volta ch’io puntavo sul nero... Don Esteban — Usciva il rosso. Giuseppe (dopo un momento di silenzio) — Non ho mai visto tanta fortuna... E sai, mi ha detto Lorenzo che sembra da parecchi mesi Federigo abbia la stessa fortuna dappertutto. A Roma, a Venezia. In tutte le bische ch’è passato ha vinto. Dicono che ha vinto persino giocando con i picari di Trastevere. Don Esteban — Questa è proprio da non credersi! Giuseppe — Ha fatto grandi progressi in questi tre anni in cui l’avevamo perduto di vista. L’ultima volta eravamo stati noi a spennarlo... Quanto ti resta, a te? (Don Esteban trae un accordo dalla chitarra; poi fa l’atto di rovesciar le tasche). Don Esteban — Ecco qua. Giuseppe — E io son come te. Don Esteban — Contro qual pegno potremmo farci prestare qualcosa? Giusepppe — Quando lo saprà Bianca... ho già giocato sulla parola l ’argenteria di casa e le mie terre di Musillano. RENE’ LAPORTE Don Esteban (ingenuamente) — Se non giochi più Don Esteban — E io, il mio cavallo. è segno che devi essere ben ricco! Giuseppe — Oh, un cavallo. Giuseppe (lasciando trapelare la propria amarezza) Don Esteban — Uno spagnolo non cammina ma ■ — Attenzione, Federigo! È un sacrilegio ritirare dal a piedi. L ’onore non va a piedi. Giuseppe (sarcasticamente) — Ecco che cosa ti resta gioco il danaro che il gioco ci ha dato! E se non è da impegnare: l’onore. Metà del tuo onore. Te ne un giorno è l ’altro bisogna restituirglielo. Federigo — Se ho capito bene bisognerebbe resti rimane sempre l ’altra metà. Nel nostro mondo, mezzo tuirglielo subito restituendolo a te. No. Per oggi onore è più che sufficiente. basta. Torna da donna Bianca, supplicala di perdo Don Esteban furioso) — Ti proibisco... Giuseppe — Sono fuori di me. Questa sconfitta narti: le braccia delle donne qualche volta son piene mi esaspera, onorevole spagnolo. Dovremmo giocare di indulgenza. Sono pazienti, le braccia delle donne, sensibili, amabilmente morbide... ancora, per rifarci. Giuseppe (avanzandosi verso di lui col pugno levato) Don Esteban — Ma con che cosa giochiamo? Giuseppe (che ha di nuovo aperto la porta della sala — Non ti permetto... Federigo — Niente violenza. Io rispetto donna da gioco) — Con i quattrini di Federigo. La partita è finita. Andiamo a vedere se ci fa credito. (Fa un Bianca. Sei tu che non rispetto. Giuseppe — Forse che l’indulgenza è per te una cenno con la mano verso la sala. Entra Federigo: ele giustificazione della viltà, che vai cercando fra le gantissimo ma con Varia stanca). braccia della baronessa Bartolomeo? (Stupore di Federigo — Che cosa c’è? Giuseppe — I compagni hanno perduto tutto, come Federigo) Non fare l’innocente. (Schiude uno spiraglio nella porta di fondo) E allora, guarda tu stesso. noi... È assurdo. Federigo (sempre stupitissimo) — Markus! (Entra Federigo (mettendosi a sedere) — Soprattutto è Marlcus. Un attimo di silenzio) Prendi una fiaccola e faticoso. riaccompagna a casa questi signori. Don Esteban — Fossi tu al nostro posto... Giuseppe — Non è il caso. Credo che faccia ormai Giuseppe —• Che cos’hai in mano? Federigo (con un sorriso) — Un libro portafor giorno. E poi, Markus deve restar qui a preparare una cenetta galante. (Esce seguito da don Esteban). tuna. (Mostra il mazzo di carte). Federigo — Chi è quella donna? Giuseppe — Ah! Le tue vecchie carte... Markus — Non lo so, signore. Don Esteban (ossequioso)) — Noi altri giocatori Federigo — È da molto ch’è là? siamo tutti superstiziosi. Markus — Da un’ora, circa... Ha detto che la Giuseppe — Sei proprio molto stanco, Federigo? aspettavate. Federigo — Perchè? Federigo — È uno scherzo: preferisco andare a Giuseppe — Si potrebbe giocare ancora. Federigo — Ma se m’hai detto che non hai più dormire. Markus — Vado a dirlo alla signora? nulla. Federigo — Aspetta. (Schiude la porta) È strano Giuseppe — Ho la tua amicizia. che sia velata. Lebbra o bellezza?... Voglio vederla Federigo — Non è moneta. in viso prima che se ne vada. Se il suo volto è di Giuseppe — Se tu ci facessi credito... Federigo — Hai già perduto fin troppo sulla bellezza, mi sarà grazioso compagno nel sonno. Valla parola. E in un paese di chiacchieroni come questo a chiamare. (Marlcus esce. Di lì a qualche momento entra Olivia sola e velata. È elegantissima ed ha ormai la parola non ha molto valore. il portamento e la disinvoltura d’una gran dama. Con Giuseppe (ferito) — Federigo! Federigo — Non te la prendere... ma sei già galanteria e amabilità eccessiva) Signora... (Olivia alza il velo) Ma, è la mia piccola Olivia! troppo impegolato. Olivia (sorridendo) — Donna Olivia! Giuseppe — Mia moglie si spaventerà quando saprà Federigo — Sei tu... siete voi la vedova del la verità... Federigo — Donna Bianca non meritava il male barone Bartolomeo? Siete voi quella di cui ho inteso parlare dal giorno del mio arrivo... Qui si dice: «An che tu le fai. diamo dalla baronessa » come si dicesse: «Si va dalla Giuseppe — E allora, non vuoi più giocare? grazia, dallo spirito... ». Federigo — No. Olivia — Fra un istante, forse, troverete che questa Giuseppe — Hai paura di perdere, eh?... Federigo — Sarebbe legittimo. Ma non è questo. reputazione è immeritata. Federigo — Non vedevo l’ora di conoscervi. Il gioco m’annoia. Credo che non giocherò mai più. Olivia — Ciò mi sorprende. (Scoppio di risa scettiche di don Esteban) Vedrete. Federigo — Perchè? Giuseppe •— Dunque è vero quel che mi è stato Olivia — Anche voi avete una reputazione. detto?... che imborghesisci... Federigo — Dopo una sola settimana che son qui? Federigo (ridendo) — E che divento bigotto?... Olivia — Firenze è città assai pronta di giudizio, (mostrando le carte) con queste come libro di divo sapete. Firenze afferma che voi preferiate i giochi di zione, non è così? Giuseppe — Sembra che tu abbia investito in danaro a quelli d’amore. Federigo (galantemente) — Non è sempre vero. imprese commerciali tutto il danaro vinto al tavolo Olivia — Ho motivo, Federigo, di prestar fede a da gioco e che ti comporti come un qualunque mer queste voci. cante. FEDERIGO Federigo (dopo un attimo di silenzio) — Mi ri sulta comunque che il vostro palazzo è il luogo di ritrovo delle bellezze della città e dei suoi spiriti illuminati. Olivia — Amo l ’allegria, i poeti, i musici... Non il vostro spagnolo, beninteso. Federigo — Don Esteban! Che cosa vi ha fatto? Olivia (ridendo) — Suona sempre la stessa can zone, sulla sua chitarra. Non è mai stato capace di impararne un’altra. Deve avere una chitarra nevra stenica. Consigliategli di comprarne un’altra. Federigo ■ — Come siete cambiata! Eravate una dolce contadinotta, una ragazzina ispirata... Olivia — Ci sono altre cose, ora, che m’ispirano. Federigo — Che cosa? Olivia — La voglia di vivere, per esempio. Federigo — Quanto meno strana, in una vedova. Olivia (semiseria) •— Eseguisco la volontà di mio marito. Federigo (intrigato) — Ah! Olivia — Non vi ricordate di lui? Era il signore del nostro villaggio... Io, in verità, sono stata una piccola ragazza ardente e ingenua fino al giorno in cui un dispiacere ha cominciato a farmi rigirare fra le lenzuola, la notte. Federigo — Un dispiacere d’amore? Olivia — Siete senza tatto, Federigo, o senza memoria... Fu dopo la vostra partenza che il barone mi sposò. Era vecchio, ma buono ed infelice. Vedovo e solo. I suoi figli erano morti in guerra. Le nostre disgrazie s’assomigliavano un poco. E le abbiamo unite, per farne un’accettabile felicità. Federigo — Ma voi non potevate amarlo! Olivia — Egli non aveva che un pensiero: farmi amare la vita. Diceva: «Io non ho saputo usare dei beni che la sorte m’ha dato; non sono stato nè un mecenate, nonostante le mie ricchezze, nè un uomo di guerra, nonostante le mie armature battute a Milano. Che almeno queste ricchezze servano a creare qualche cosa. Perchè se le persone dal nostro rango non creano nulla, si fanno torto. Tu sarai la mia sola creazione. Non tutto di me andrà perduto se avrò saputo innestare l’albero selvatico ». Federigo — Era lirico, il barone. Olivia — I vecchi son più pudici dei poeti. Accade che cantino soltanto in segreto... Federigo — È molto ch’è morto? Olivia — Due anni. Con l’ultimo respiro m’ha raccomandato d’essere felice. «Nonostante gli altri e attraverso gli altri » ha detto. Federigo — Simpatico testamento. Insomma, non desiderava che faceste come le principesse delle Indie che seguono il loro marito nella morte. Olivia — Io ero l ’immagine ch’egli legava ai vivi. E il mio compito è di persona viva. Federigo (un 'poco ironicamente) — Ed è senza dubbio questo compito che vi ha portata qui... Volete sorprendermi, darmi dei rimorsi. Questo non è molto caritatevole, donna Olivia. La mia Olivia dovrebbe aver maggior dote di innocenza e d’umiltà. Olivia — Forse è soltanto la piccola Olivia che aveva voglia di rivedervi. Federigo — Ma c’è donna Olivia, la viva! È assai audace donna Olivia a venire a quest’ora da un uomo come me. È come tentare il dèmone dello scandalo... Sarete la favola di tutta Firenze. Olivia — Vi ripeto che avevo voglia di rivedervi. Federigo •—- Solo questa voglia? Olivia — Non siete vanitoso... Federigo — Perchè siete venuta? Olivia — Forse per confrontare le nostre fortune. Siamo due creature favorite. Non si parla che delle vostre vincite favolose. Siete contento della vostra fortuna, Federigo? Federigo — E voi? Olivia — Non sempre. Il fatto è che la mia for tuna non si rinnova. Federigo — Quanto a me, sono arrivato anch’io alla fine della mia. La mia fortuna è il danaro. Da tre anni in qua ho guadagnato enormemente. Troppo facile. Il danaro non m’interessa più. Se son tornato a Firenze è solo per farla finita con questa mia vita di giocatore. Mi dovevo vendicare di quelli che mi avevano spogliato. Questa sera ho giocato la mia ultima partita. Olivia — E che farete del vostro tempo quando non giocherete più? Federigo — Ah!... Le carte avevano almeno il vantaggio di farmi dimenticare la solitudine. Olivia — La solitudine, la vostra nemica... Non avete fatto molti progressi da tre anni in qua. Federigo — Mentre voi, invece... (Un momento di silenzio. Federigo guarda Olivia negli ocelli) Siete molto bella... La piccola Olivia m’intimidiva con la sua franchezza. Donna Olivia, è un’altra cosa... C’è qualcuno al quale voi insegnate che le praterie ras somigliano al mare e che gli alberi rassomigliano a navi? Olivia — Non c’è nessuno. Federigo — E non desiderate che ci sia? Olivia (gravemente) — Mi avete già fatto abba stanza male, Federigo. Federigo — Non l’ho fatto apposta, come dicono i bambini. Olivia — Ed è proprio questo, forse, ch’io vi rimprovero. Federigo — Yoi siete nata per essere amata. Olivia — Le vostre predizioni non si avverano. Federigo — Vi avevo letto le linee della mano? (Sorride) È un mezzo facile per accarezzare la mano e mi vergogno d’averlo usato con voi. (Pausa) Co munque, permettete che provi? Olivia (ritirando la mano) — No... E, nella vostra vita, non c’è proprio niente? Federigo — C’erano le carte. Ci sarete voi... Olivia, mi piacete immensamente. Olivia — Non son più quella che veniva per una notte. Sono cambiata. Federigo — Preferisco che voi non siate più quella d’un tempo. (Le si avvicina: Olivia si scosta) E io, vi dispiaccio? Olivia (franca) — No. Federigo — E allora?... Yi divertite? Olivia — Un poco. È la mia vendetta. Federigo — Ricordate una certa sera, in casa mia. RENE’ LAPORTE Olivia — Non fate il sentimentale. Oppure, gio catore Federigo, dovrò credere che barate. Federigo — Che gioco si dovrebbe giocare per persuadervi? Olivia (con un sorriso) — Il gioco... Voi siete il gran giocatore d’Italia. Accetto di battermi con le vostre armi. Giochiamo insieme. E questa partita sarà l’ultima, veramente l ’ultima. Federigo — E se la vinco? Olivia — Si vince ciò che ci si augura di vincere. Federigo — E se la perdo... No, non vi sforzate. Mi direte le vostre condizioni quando avrò perduto. (Si collocano a faccia a faccia) Propongo il gioco del l’ombra. Olivia — Come preferite. Io so giocare quasi tutti i giochi. (Federigo distribuisce le carte) Oh! che carte orribili! Come sono sporche! Non voglio giocare con queste carte che son passate per le mani di tutti. Federigo — Non ne ho altre. Olivia — Allora, pazienza. Non giocheremo. (Fede rigo ha un momento d'esitazione, poi fruga in una scatola) Lasciate. Quest’idea non mi diverte più. Federigo — Oh, ecco un altro mazzo... Ma davvero che non volete più giocare? Olivia (capricciosamente) — No. Federigo (dopo un lungo silenzio) — Vi amo, Olivia, e l ’accetto perchè vi amo. (Mette in tasca il mazzo delle carte incantate). Olivia — Come vi siete fatto serio, Federigo. Federigo — Sono serio soltanto quando gioco. Olivia — Una sola partita, allora. D’accordo? La sorte non ha bisogno di più per pronunciarsi... Il re. Federigo (con voce mutata) — Avete vinto!... Vi supplico di continuare. Olivia — Non supplicherete più seperderete ancora ? Federigo (in tono sincero) — Mi basterà d’essere sfortunato. Olivia (distribuisce le carte). Federigo (irritato) — È incredibile. Non una carta. Olivia — Ecco fatto. Avete perduto di nuovo. Federigo — Ma io vi amo, Olivia! E il mio amore non è un gioco. Val più di un gioco. Olivia (molto padrona di sè) — Contraddite voi stesso. Federigo (alzandosi) — Eh! Sì potete essere soddi sfatta: avete vinto su tutta la linea... Olivia — Che espressione triste! Non vi piace per dere, mio caro. Federigo — Eravate al culmine della mia fortuna. Olivia — A quel culmine, comunque, ci sarà sempre la mia amicizia. Federigo — Ah! Siete voi, ora, che barate. Olivia — Avete perduto, dovete pagare. Ma le condizioni saranno miti. Eccole: voi sarete mio amico, e domani verrete a casa mia. Domani e i giorni che seguiranno. Vi metterete alle mie ginocchia. Mi leg gerete poesie. Mi farete la corte. A me piace assai che mi si faccia la corte... Federigo — Non verrò. Vi lascio alla vostra for tuna, alla vostra riuscita, ai vostri amici brillanti, ai vostri adulatori. Un avventuriero come me non sa mettersi in ginocchio. Olivia (un poco pallida e molto seria) — Venite domani. Federigo — No. Il volto della fortuna, quando non ci sorride, è meglio non vederlo troppo spesso. Olivia (dopo un momento di silenzio) — E sia, vi concedo la rivincita. Sedetevi. (Federigo esita, poi obbedisce) Tagliate. Grazie. (Al momento di distribuire le carte, Olivia si ferma) Ho freddo. Ho lasciato il mantello in anticamera. Federigo — Vado a prendervelo... Torno subito. (Esce. È ciò che voleva Olivia. La quale si alza. Rapi dissima fruga fra le carte, dispone il gioco. La si sente dire). Olivia — Il re... la regina... (Deve apparire chiara mente eh'essa bara). Federigo (tornando) — Ecco il mantello. Olivia — Grazie. Tenete, le carte. Federigo — Datemi prima la vostra mano. È nella mano che devo ritrovare la mia fortuna. (Olivia fa com’egli le chiede). Olivia — E ora giocate, Federigo. Federigo — Lasciatemi la vostra mano, perchè la mia fortuna, che siete voi, passi in me. (Alza le carte con la mano libera ed esclama trionfante) Il re! Olivia — Non ho ancora perduto. Federigo (continuando a girare le carte) — Ma sì, ma sì! Guardate, ho tutto io... Olivia (a bassa voce) — Allora, avete proprio vinto. Federigo — Ho vinto... Se tu sapessi quanto è più semplice vincere... Olivia (dolcemente) — Lo so. (Egli si alza e le si avvicina. Olivia apre le braccia. Gala la tela). IN T E R M E Z Z O Davanti al sipario chiuso. Giuseppe — È un vero peccato che non si possano scegliere le passioni. Io preferirei essere ubriacone piuttosto che giocatore. Don Esteban (con una risatina) — Non è vero. Giuseppe -— Sì! L ’ubriacone trova sempre una casa compiacente dove gli si offre una bottiglia da finire... Mentre invece il giocatore, quando non ha più niente da perdere, non trova più l’ombra di un compagno... E con chi potrebbe giocare? Don Esteban (frugandosi in tasca) — Tieni, qui c’è un paio di dadi. Giuseppe — Puah! È come se tu offrissi un bic chier d’acqua all’ubriacone che io non sono. A me piace giocare soltanto con la gente che ha danaro in scarsella, mi spiego?... Ma ora che ci penso (si batte una mano sulla fronte) debbo avere ancora qualcosa che si può trasformare in moneta. Don Esteban — E che cosa? Giuseppe — È meglio che non te lo dica. Tu, col tuo onore, non approveresti la mia idea. Don Esteban — Non ci pensare. Giuseppe — Allora, cerca per un minuto di non essere troppo spagnolo. Ecco che cosa ci potrebbe procurare un po’ di quattrini: un segreto. Don Esteban — Un segreto di stato? FEDERIGO Giuseppe — No, varrebbe troppo poco a Firenze, un segreto di stato: la città è troppo frivola... Un segreto d’amore. Si pagano bene, i segreti d’amore. I poeti, i gazzettieri, quelli che fanno la corte alla maldicenza son molto spesso a corto d’argomenti... Stanimi a sentire: io esco da Tullio, il barbiere di Federigo... Povero Tullio, era inquieto, stamattina: tanto inquieto che mi ha tagliato. Era triste, triste come il barbiere di re Mida. Don Esteban — E perchè era triste, il barbiere di re Mida? Giuseppe — Proprio perchè aveva sorpreso un segreto. Tutti sanno che i parrucchieri sono la gente più discreta del mondo. Quando tu lasci cadere una confidenza nella bacinella d’un barbiere, costui pre ferirebbe morire piuttosto che rivelare ciò che tu gli hai detto. Don Esteban — E allora, questo segreto? Giuseppe — La baronessa ha passato la notte in casa di Federigo. Don Esteban (deluso) — Tutto qui? Lo temevo. È una storia banale, caro Giuseppe. Giuseppe — Ti pare? È tutto qui l ’effetto che produce in te? La, nostra virtù più rinomata, la bandiera della purezza toscana caduta in mano al nemico alla prima battaglia! Don Esteban — Come si vede che tu non hai inclinazione per la filosofia. Io invece non ho diffi coltà a predirti che questa storia finirà in matrimonio. Investendo il suo danaro e rinunciando al gioco, Federigo,ha scelto la strada più facile... E su questa strada si scivola con estrema rapidità. Giuseppe — Tu credi che si sconfesserà fino a questo punto? Eppure era un buon amico... Don Esteban — Che sapeva perdere con tanta disinvoltura... Giuseppe — Sì, eppure, mio caro, oppure... Bè, non è il caso che ci commuoviamo. Innanzitutto abbia mo riconosciuto entrambi che Federigo è un tra ditore e questo dovrebbe bastare a soffocare in noi ogni possibile rimorso. Don Esteban — Cioè a dire, ogni possibile scrupolo. Giuseppe (abbassando il tono della voce) — Ci sono parecchi sistemi... 0 raccontare questa storia a tutti... Don Esteban — Peuh! Quando uno scandalo diventa di dominio pubblico finisce di essere un buon affare. Giuseppe — È vero. Allora, si potrebbe andare a trovare la baronessa. Le si racconta che Federigo ha un vecchio debito verso di noi. La si commuove. Dopo la prima notte d’amore una donna è ottima materia plastica: la si può foggiare a piacimento... Don Esteban — E se lei non si lascia foggiare? Giuseppe — In tal caso, le si fa paura. Donna Bianca (entrando) — Oh, finalmente ti ritrovo... Giuseppe — Ah, ecco l’opinione pubblica! Donna Bianca — Bugiardo! Sporco bugiardo! Giuseppe — Ricominciamo... Donna Bianca — Hai venduto il mio anello, quello che m’avevi detto d’aver portato dal gioiel liere a farvi aggiungere un’altra pietra... Giuseppe — Sì, e poiché il gioielliere non trovava uno smeraldo da far coppia con quello che c’era già, ho preferito vender l ’anello... Beninteso, con l’inten zione di cercare altre due pietre che si rassomiglias sero perfettamente. Donna Bianca — E le mie terre di Musillano, ipo tecate da messer Goldoni... Giuseppe — Il diavolo non vi aveva seminato altro che sterpi. Che cosa ce ne potevamo trarre? Donna Bianca — Quanto sono infelice... Giuseppe — Per una proprietà di pietre e per una pietra che ti manca al dito? Ah! Proprio che non sei logica! Donna Bianca — Oh! il vostro Federigo, come lo odio! Giuseppe — Se tu sapessi quanto lo odiamo noi... Donna Bianca — Ma verrà anche per lui il mo mento della sfortuna. Giuseppe (volgendosi a don Esteban) — Ah! vedi che Bianca conosce meglio di te i segreti del cuore umano! Donna Bianca — Il momento della sfortuna e quello del ridicolo... Giuseppe — Perchè, quello del ridicolo ? Lo sai che la baronessa ha passato la notte in casa di Federigo? Donna Bianca — Certo che lo so. E stamattina l’ho anche vista uscire, la signora baronessa, e l’ho seguita fin sulla porta del suo palazzo. E credete che si tenesse velata come ieri sera? Manco per idea! E vi assicuro che avrebbe fatto meglio assai a nascon dere i suoi occhi. Don Esteban (interessato) — Guarda, guarda... Donna Bianca — Non erano ancora dieci minuti che la baronessa era entrata che arrivò in piazza un uomo, bussò alla sua porta ed entrò senza minima mente preoccuparsi di non farsi vedere. Giuseppe — Chi era? Donna Bianca — Non lo so. Un uomo che sem brava disceso da un quadro. Un uomo biondo con un sorriso freschissimo, tutto nuovo, un uomo bianco, completamente vestito di bianco... Forse è ancora in casa della baronessa... Andiamo a vedere... (Si avvia per uscire). Giuseppe (trattenendo don Esteban) — Dobbiamo mutare il nostro piano. Non è più dalla baronessa che possiamo batter cassa, ma da Federigo il quale pagherà bene assai la notizia del suo infortunio. Don Esteban — Le mie previsioni sulla sua for tuna non si avverano. Però lascia stare Federigo. Non gli chiedere nulla. Giuseppe — Perchè? Don Esteban — Forse dovrà pagare più che non con danaro. Dovrà forse soffrire. (Sulla chitarra accorda un’aria maliziosa). SECONDO QUADRO Davanti alla casa di campagna di Federigo. I l paesag gio cheal primo atto si scorgeva solo dalla veranda occupa tutto il fondo, sul quale spicca l’albero d'arancio, vecchio e grande i cui rami più bassi toccano quasi il suolo. Intorno all’albero, e fin sul davanti della scena, un giardino all’italiana. A destra la facciata della casa. Sono passati sei anni dal quadro precedente. RENE’ LAPORTE (Entra Federigo, accompagnato dal principe Bianco. Federigo ha i capelli grigi alle tempie, ma la giovinezza della sua figura e del suo sorriso è immutata. Sembra placato e migliorato. Quasi correndo va alla porta di casa). Federigo — Olivia... Olivia... Markus... Non c’è nessuno. I l Principe Bianco — Ma la porta è aperta. Federigo (sorridendo) — Oli, il paese è tranquillo! (Con uno sguardo d’intesa) Non ci sono più stati nè assassini nè furti dal giorno che un angelo l ’ha scelto per riposarsi un momento. I l Principe Bianco (come se non capisse) — Ah! Federigo — Mia moglie dev’essere uscita. E anche il mio domestico... Ma cercheremo di trovare qualcosa da bere lo stesso. Scusatemi! (Entra in casa e ne esce quasi subito con una bottiglia e due calici) Il caso è grande, però. Se è poi il caso... Incontrarvi nel mio giardino proprio il giorno che torno dal viaggio!... Venite di lontano? Io vengo dai dintorni di Napoli. I l Principe Bianco — Io vengo da Bologna. Federigo — E andate a Fiesole suppongo. I l Principe Bianco — E perchè? Federigo (sorridendo) — Forse frate Giovanni ha di nuovo bisogno d’ispirazione. I l Principe Bianco (serio) — No. È diventato molto grande nella sua arte. Federigo (come sopra) — Dio dev’essere contento di lui. I l Principe Bianco — Sì, dev’esserlo. Federigo — Ho la polvere di tutta la strada in gola. E voi? Mi farete il piacere di bere? I l Principe Bianco — Se ci tenete. (Federigo versa da bere e beve). Federigo (deluso) — È solo il mio vino. I l Principe Bianco (tranquillo) — Che altro vino potrebbe esservi nella vostra bottiglia? Federigo — Il vostro. I l Principe Bianco — Il mio? Federigo — Non ho dimenticato quella straor dinaria sera in cui avete trasformato il mio vino. I l Principe Bianco (sorridendo) — Trasformato il vostro vino? Federigo — Non prendetemi in giro, monsignore. Quando, sul punto di partire, m’avete offerto di finire il bicchiere in pegno d’amicizia, ho bevuto gli ultimi sorsi e non ho riconosciuto il mio vino. C’era un miracolo lì sotto... I l Principe Bianco — Eravate leggermente ubriaco quella sera, signor Federigo. Federigo — Vi dico che non era il mio vino. Non aveva nè i suoi difetti, nè le sue qualità, nè la sua asprezza nè la sua franchezza di vino da contadini. Era un vino di zucchero e miele, di sole interno e di segrete preparazioni, un vino di cuore e di volontà. IJn vino celeste. I l Principe Bianco — Eravate alticcio. Federigo — E volete negare anche il resto? Negare il seguito, quel che ha trasformato la mia vita e ha fatto di me l ’uomo un po’ più giustificabile che sono ora? I l Principe Bianco — Non vi capisco. Federigo — Negate d’avermi dato la fortuna? (Gesto vago del principe Bianco) Se non volete ammettere d’aver cambiato il vino, almeno ricono scete queste carte! (Mette il suo famoso gioco sotto gli occhi del principe Bianco). I l Principe Bianco — Ah, sì, i desideri, il gioco della persuasione... Riconosco le carte. Federigo —• Ebbene, sappiate che con queste carte, dal momento che vi ho incontrato, ho inco minciato a vincere, a vincere... Tutto è diventato miracolosamente facile, mi-ra-co-lo-sa-men-te, capite? I l Principe Bianco — Certo vi siete rimpinzato dei beni del mondo e altrettanto certamente ne siete stato disgustato. È umano. Quindi siete giunti al confine del vostro universo interiore, a quel con fine dove di solito ci si incontra con Dio... Federigo — Perdonatemi, monsignore, non avevo pensato a Dio. (Breve silenzio) È stato per condurmi a Dio che sono stato scelto, che ho beneficiato del l’incantesimo delle carte? Strano cammino. Il cam mino del bene attraverso il male... Sì, è proprio questo che mi turba dacché ci siamo incontrati. Perchè la sorte ha puntato il dito su Federigo, e non su un altro più meritevole o più compromesso? I l Principe Bianco — Forse siete più meritevole di molti altri. 0 più compromesso... Federigo — È vero che questa esperienza mi ha servito. Mi ha guidato dalla più vana agitazione alla serenità. I l Principe Bianco — Vi siete giunto attraverso la conoscenza del mondo? Federigo — No, mi è bastato l’amore. Anche l’amore è conoscenza. Questo soprattutto vi devo, monsignore! Un amore magnifico e senza crudeltà; un amore di freschezza e d’acqua chiara. Da sei anni, Olivia è il ruscello della mia vita. Vi devo questo: la mia felicità. I l Principe Bianco — Non c’era niente di sopran naturale nel mio intervento. Vi ho solo voluto dare la sicurezza. Vedete ora che il mio metodo era buono. (Con leggerezza) Sono lusingato che vi siate confidato con uno sconosciuto. Federigo — Non siete sconosciuto: siete il Principe Bianco. I l Principe Bianco — E con ciò? Federigo — Nelle leggende dei nostri bimbi, si chiamano principi bianchi gli angeli. I l Principe Bianco (in tono indefinibile) — Grazie dell’onore. Federigo (un po’ snervato) — Ah, non crediate di ingannarmi sempre con il vostro gioco della persua sione. Io non ci credo, avete capito, non ci credo! I l Principe Bianco — Come volete. Federigo — Non ci credo perchè il potere che m’avete dato mi ha permesso di oltrepassare le fron tiere del mondo conosciuto. Sapete da dove vengo?... Vi confiderò un grande segreto. Nemmeno mia moglie lo sa... Vengo dalla casa del diavolo! I l Principe Bianco (involontariamente indietreg giando) — Dalla casa del diavolo? Federigo — A voi non piace, vero? Nemmeno a me, ma non per le stesse ragioni. FEDERIGO I l Principe Bianco (serio) — L ’avete visto? Federigo — L ’ho visto... Vi avevo mai parlato di dodici giovani ohe sono morti rovinati e rovinati proprio da me? I l Principe Bianco — No. Federigo — Non importa! Basta che sappiate che il loro ricordo m’avvelenava le ore più belle. Li immagi navo all’inferno, torturati, nauseabondi, che mi male dicevano. Ho voluto riscattarli e riscattare anche me nello stesso tempo. Ebbene, ci sono riuscito. (Batte sul sacco che porta a tracolla) Sono qui. I l Principe Bianco (sorridendo) — I vostri dodici giovani stanno lì dentro? Federigo — Non loro. Ma la loro parte migliore. I l Principe Bianco — Fate vedere. Vedo solo un letto di foglie di fico nel fondo del sacco. Federigo — E sopra ci dormono dodici anime. Dovreste vederle, voi che avete l ’abitudine alla trasparenza... C’è Domenico, che vi assomigliava un po’, Sandro, che rideva così forte, Massimo, che aveva la pazzia degli uccelli delle isole, e tutti gli altri... I l Principe Bianco — E se si svegliano, queste anime? Federigo — Il diavolo mi ha promesso che dor miranno brave brave lino al giorno della mia morte. I l Principe Bianco — Credete alla promessa del diavolo ? Federigo — Lui ha creduto alla mia lealtà. I l Principe Bianco — E com’è il diavolo? Federigo (ridendo) — Mica molto spaventoso. Insinuante, piuttosto. Come lo dipinge la leggenda e con qualche difetto in più, che rassomiglia ai nostri: vanità, passione. (Ridendo più forte) È un giocatore musone. I l Principe Bianco — Dove l ’avete incontrato? Federigo — In uno strano albergo nei dintorni di Napoli. Ho dovuto attraversare una zolfatara e mi sono bruciato due paia di stivali... Mi aveva dato appuntamento per mezzo di un sogno, naturalmente. I l Principe Bianco (come fra sè) — L ’ho sempre pensato che i sogni sono pericolosi. Federigo — È strano l’albergo dove abita quando viene sulla terra. Niente fiamme o urli di dannati. Una prigione, piuttosto: muri dai toni uniti, porte strettamente chiuse a chiave, spesse sbarre. E dapper tutto un immenso, un intenso silenzio. Dentro, nes suno. Nessuno per aprire, per parlare. Al posto dei servi solo delle mani. Mani tagliate al polso, che tirano i catenacci, che sporgono sedie. Volano come uccelli intorno a voi. Ma quando vi sfiorano è spiace vole. Nonostante la loro bianchezza, fanno pensare a pipistrelli. I l Principe Bianco — E che mercato gli avete proposto, al diavolo? Federigo — Il diavolo è giocatore, per essenza, per definizione. Gli ho detto: «Sire, tra i giocatori della terra ti veneriamo, perchè tu sei il primo gioca tore di sottoterra ». È parso lusingato. I l Principe Bianco (sorridendo) — Ed ecco ser vita la vanità. Federigo —■«Sire, ti pare che il primo giocatore della terra sarebbe degno di giocare una partita con te? ». Ha risposto che la cosa l’avrebbe svagato un po’, dato che la terra gli mandava sempre e soltanto degli ambasciatori seri, poeti di solito. I l Principe Bianco — Ha accettato di giocare, ecco servita la passione. Federigo — La posta era la mia anima contro delle anime a mia scelta. Ho tirato fuori le mie carte. Cominciate a capire? Abbiamo giocato dodici partite. (Indica, il sacco) Eccone il risultato. Ogni volta una mano posava nel sacco una cosa senza consistenza nè rilievo, che era come una bolla d’aria più pesan te dell’aria. I l Principe Bianco — Non doveva esser contento, il diavolo. Federigo — Non molto. Mi ha messo fuori... Aggiungo che la mano che mi ha cacciato era piuttosto rude. I l Principe Bianco — Bravo Federigo! Federigo — E vorreste ancora negare che le vostre carte erano incantate? I l Principe Bianco (sognatore) — L ’avventura è strana, ma affermo che non la prevedevo... Ditemi, Federigo, avete spinto l ’esperienza fino in fondo? Federigo — Cioè? I l Principe Bianco — Mi ricordo gli altri due desideri: l’arancio, lo sgabello. Avete provato a trat tenere un uccello sul primo, un visitatore sul secondo? Federigo — No, mai. E a che mi servirebbe, ormai? Avevo un rimorso che dava ombra alla mia felicità. Ho cacciato quest’ombra. Ascoltate quel che sto per dirvi, monsignore, con molta solennità: non ho più nulla da desiderare. I l Principe Bianco — Niente? Federigo — Niente. Guardatemi. Avete davanti a voi un uomo completamente felice a partire da oggi. Un uomo la cui completa felicità comincia da oggi. I l Principe Bianco — È raro trovare un uomo convinto di non avere più desideri! Federigo — Sono sulla punta di me stesso, come su un capo dal quale si abbraccia un immenso pae saggio. Sono il padrone del paesaggio della mia vita. I l Principe Bianco -— Vi ammiro perchè siete così sicuro di voi. Federigo — Voi stesso mi avete raccomandato la sicurezza! I l Principe Bianco — Certo. Ma non la cecità... E i rovesci della sorte? Ci pensate? Il dubbio, la sazietà? Federigo — Non è generoso da parte vostra parlarmi di dubbio proprio nel momento in cui mi sono sbarazzato del solo segreto che offuscava il segreto del mio amore. I l Principe Bianco — Non è modesto da parte vostra il non temere nulla. Federigo (violento) —• Non voglio temere nulla! I l Principe Bianco — Imprudente! Federigo — Voglio provarvi che non m’aspetto più la minima concessione dal caso. Guardate... (Tira fuori il suo masso di carte di tasca, le strappa brusca mente e ne butta i peszi per terra) Ecco. I l Principe Bianco — Ecco. (Un silenzio. Federigo appare turbato da quel che ha fatto ma cerca di sorridere). Federigo — Spero che non mi porti male. RENE’ LAPORTE I l Principe Bianco — Lo spero anch’io. (Silenzio. Imbarazzo). Federigo — Olivia ci mette del tempo a tornare... Vorrei che vi preparasse qualcosa di buono: la mia cucina è migliore d’una volta. I l Principe Bianco — Non è il caso, signor Fede rigo. Federigo — Mi fareste quest’offesa? I l Principe Bianco — Non ho più molto da fare qui. Federigo — E che cosa? I l Principe Bianco (galante) — Salutare la vostra felicità sotto la forma di vostra moglie. Federigo — Ah! La vedo... È la sul sentiero. I l Principe Bianco — Corretele incontro. Federigo — Ci aspettate? I l Principe Bianco — Vi lascio alle vostre effu sioni. Vado a passeggiai nell’orto. Federigo — A presto. (Esce per primo. I l principe Bianco lo guarda a lungo, poi esce a sua volta. Rien trano quasi subito Olivia eFederigo abbracciati eridenti) Dov’eri? Olivia — In paese, con Markus... Ebbene, mio bel cavaliere, il viaggio...? Federigo — Tutto bene. Ho vinto. Olivia — Allora siamo ancora più ricchi... Federigo (con convinta gravità) — Molto più ricchi. Olivia (sorridendo) — Ricchi come? Federigo — Se ti rispondo «come Creso » faresti una smorfia. Diresti che è banale. Olivia — Hai fatto progressi, però. Federigo — Me l’hanno detto. Oi.ivia — Che cosa ti hanno detto? Federigo — Che avevo troppa fantasia. Olivia — Chi t ’ha detto così era un adulatore. Non sei più al punto di paragonare una donna a una rosa, questo no, ma tuttavia... Federigo — È buffo in te, questa facoltà di pen sare e di esprimerti con immagini non si esaurisce. Olivia •— Perchè dovrebbe esaurirsi? Federigo — Perchè sei felice. Non dico troppo felice. Dico: felice. Olivia — Non vedo il rapporto. Federigo — Quando si ha raggiunto la pienezza, non vai la pena di mettere il mondo in immagini... Quando eri l ’unica ragazzina sognante del villaggio, avevi bisogno di ornare la scena. Ma adesso, è inutile: non aspettiamo più nulla. Olivia — E la perfezione, allora? Federigo — Siamo noi la perfezione. Olivia (ridendo) — Vanitoso!,.. Io credo che non ci sia perfezione senza movimento. Tu non mi ami più abbastanza quando ti addormenti vicino al fuoco. Federigo — Sogno di te. Olivia — Facile a dirsi. Federigo (grave) — Ti ritrovo ovunque, dolce amore della mia vita! Sono incatenato a te e porto con gioia il peso di questa catena. Olivia — Ti ricordi di quel che dicevi una volta «Voglio rimanere un uomo libero»? Federigo — Non lo dico più. Olivia — Ho creduto per molto tempo che con tinuassi a pensarlo. Federigo — Dal momento del nostro incontro a Firenze, il mio cuore ha saputo che, anche separati, ci saremmo ritrovati ovunque. Olivia (grave e bruscamente triste) — È vero, ti ritroverò ovunque. Federigo — Siamo destinati l’uno all’altro. Olivia (come sopra) — Siamo destinatil’uno all’altro. Federigo — Prima di te, che cos’ero mai io? Un inquieto abbozzo d’uomo... Olivia — Guardi gli occhi di tua moglie, cogli i frutti del tuo frutteto: è agire questo? Certi giorni mi chiedo se non ti ho impedito di realizzare il tuo destino. (Molto gravemente) Ma non è del tutto colpa mia, Federigo... Il caso, una volontà che non è la mia... Federigo — Che vuoi dire, Olivia? Olivia (scuotendosi) — Scusami... Qualche volta, ho paura della mia felicità... Se non fossi esistita, che senso avrebbo preso la tua vita? Federigo — Non avrei vissuto. Olivia (tornando alla sua idea) — Eri inquieto, è vero. Ma tanti uomini lo sono, e poi gli passa. Gli esseri chiamati ad un alto destino non sono quelli la cui anima assomiglia ad un lago, ma piuttosto al mare, quest’eterno inquieto. Non ti sarebbe piaciuto occuparti di politica? Federigo — E proprio il momento... Firenze sta scivolando in una tirannia che prende l ’aria modesta, ma la terrà schiava a lungo. Non voglio mischiarmi nello strangolamento della mia patria. Olivia — Non ti sarebbe piaciuto essere un uomo d’armi? Federigo — Fare una professione dell’uccidere: ah, no! Uccidere per uccidere, la guerra non ha altro senso. Olivia (grave) — Non si uccide solo per far posto a nuovi viventi, ma anche per preparar loro una vita migliore. Bisogna che ci siano dei morti, perchè si faccia il tirocinio dall’oscurità alla luce, dalla caverna alla prima casa, dalla pietra all’acciaio, dall’animale selvaggio all’animale domestico. Federigo — Noi due, morti futuri, a chi prepa riamo la vita? Olivia (con un brivido) — A una coppia migliore. Federigo — È vero, forse siamo l’avanguardia di una felicità anche più perfetta... Vorrei che fossimo presi ad esempio, cho fra uno o dieci secoli rivivessimo in un’altra coppia... Olivia (estremamente pallida) — Non dirlo, non pensarlo. Federigo — Perchè? Olivia — Prima dovremo morire. Federigo — Senti, Olivia, se ho voluto, dopo due anni di comune felicità a Roma, che ci ritirassimo qui, è stato perchè avevo un’alta ed egoistica ambi zione. L ’aria del mondo si posa sull’anima come l’aria umida sulle spade. È ruggine. Consuma. Rovina. Avevamo davanti a noi anni- di festa, di feste uguali, meravigliose e stancanti, attraverso le quali ci sa remmo impercettibilmente allontanati uno dall’altro. In apparenza nulla sarebbe cambiato. Avremmo con tinuato a fare gesti, sorrisi, ma sarebbero stati pic coli gesti, piccoli sorrisi, il rancore educato d’una indifferenza simile alla ruggine. Abbiamo una sola vita, ed un solo amore per vita. Ho avuto l ’ambizione di FEDERIGO conservare il mio allo stato puro, di proteggerlo... E oggi so clie lio avuto ragione. Olivia — Perchè oggi? Federigo — Perchè mi sono lavato della mia ultima inquietudine. Olivia — Un’inquietudine che mi avevi nascosta? (Si capisce che Federigo sta per partire, ma si ferma di colpo). Federigo — Mi pare di sentir camminare qui vicino. Olivia — Sarà Markus che torna dal villaggio anche lui. Federigo (ridendo) — Che sciocco sono! Non è Markus. Dimenticavo che avevo invitato qualcuno a cena... Olivia ■ — E chi mai? Federigo ■ — Non un uomo, direi. Una coincidenza, piuttosto... Stasera ceneremo con una coincidenza... Ti ricordi, Olivia, di quella sera lontana che ti ho abbandonato per ripartire sulle strade? Avevamo par lato del Principe Bianco... Olivia (pallidissima) — Il Principe Bianco! Federigo — L’ho incontrato poco fa. È lui che cena con noi. Olivia (con un grido) — Non è possibile! Federigo — Ti rincresce di dividere la tua cena con un angelo? Olivia — Come sai che è un angelo? Federigo — Sei stata tu ad aprirmi gli occhi la prima volta... Olivia — Dov’è? Federigo — Nell’orto. Aspetta che lo chiamiamo. È il momento buono, ora. (S’avvia verso il fondo). Olivia — Non affrettarti! Federigo (con leggerezza) — Ti commuove tanto, un angelo? Ah, lo vedo laggiù. Avvicinati. Lo vedrai. (Come incosciente, Olivia obbedisce) Lo vedi? Olivia — Sì! Federigo (verso l'interno) — Ehi, monsignore!... Venite... Si volta. Ci guarda. Olivia — Ci guarda. Federigo — Ah, si direbbe che se ne va. Mon signore, monsignore... Se ne va. Fa un gesto con la mano. Olivia — Un gesto con la mano. (Anche lei, alle spalle di Federigo, alza una mano). Federigo — Se cercassi di raggiungerlo? Olivia — Inutile, non verrà. Federigo — Credi? (Perplesso, torna sul davanti della scena) E strana, questa partenza. (Silenzio) L ’avrò offeso? Non dici nulla, Olivia? (La guarda più attentamente) Come sei pallida... Olivia — No, no... Federigo — Sì, invece. Come lo sapevi che il principe non sarebbe venuto? Olivia — Lo sapevo. Federigo — Lo conosci? Olivia (breve silenzio) — Sì. Federigo ■ — Ah! (Silenzio più lungo) Hai dei segreti per me? Olivia — Sì. Federigo (ridendo) — Ma certo che lo conosci! L’hai visto sul sentiero la stessa sera che l’ho visto io. Ti aveva guardata a lungo, me l’avevi detto. (Di fronte al mutismo di Olivia, smette di ridere) Non è così? L ’hai rivisto? Olivia — Sì. Federigo — Dove? Olivia — A Firenze. Federigo — Prima di rivedere me o dopo? Olivia — Dopo. Federigo — È strano. (Silenzio, lungo e pesante). Olivia — Senti, Federigo... Federigo — Si direbbe che piangi... Olivia — Senti, Federigo... Abbiamo avuto sei anni di felicità incredibile... Non hai mai pensato che saremmo invecchiati? Federigo — Siamo murati qui, faccia a faccia con noi stessi. Tu non vedi i miei capelli grigi. Io non vedrò la tua prima ruga. Il tuo volto di sei anni fa, quello di adesso e quello che avrai più tardi, per me sarà sempre lo stesso. Olivia — Non hai mai desiderato che la nostra vita si fermasse in piena giovinezza, nella stagione migliore del nostro amore? Federigo — Sarebbe un desiderio sacrilego. Olivia — Non hai mai pensato che potremmo morire? Federigo — E tu? Olivia — Oh, sì, spesso...! Spesso, Federigo. Federigo —• E allora? Olivia — Non si tratta di me, ma di te, Federigo... La notte cade troppo presto, amore. Cadrà tra mi momento. Federigo — Sogni. È ancora giorno chiaro. Olivia — Come la notte, il sole cade di colpo per qualli che non devono più vederlo. Federigo — Ma insomma, Olivia, cosa sono questi enigmi? Olivia — È arrivato per te il momento in cui non ci sono più enigmi. All’altro mondo si capisce tutto, bruscamente. Federigo — All’altro mondo? Olivia (piangendo) ■ — Ah! Quante volte mi sono ripetuta le parole che sto per dirti. Che devo dirti, contro il mio desiderio, contro il mio sangue, contro l’anima mia! Federigo — Vuoi spiegarti infine? Olivia — Tra un momento rimpiangerai d’avermi fatto fretta... (Lungo silenzio) Stai per morire, Federigo. Federigo (con un grido) — Cosa? Olivia — Tra un’ora sarai dall’altra parte, Fede rigo. Federigo — Come lo sai? Olivia — Sono la morte, Federigo. Federigo — La morte. Olivia — Sono la tua morte, Federigo. Federigo (urlando) — Non è vero. Non è vero. Olivia — Non mi credi? Federigo — Tu che sei la mia vita! Olivia — È la stessa cosa. Federigo — No, non ti credo. (Si porta improv- visamente la mano agli occhi) Ma che succede? La luce se ne va. Mi pare di diventar cieco... Olivia — Perchè mi obblighi a essere crudele? Avrei voluto prenderti nel sonno, farti passare da un sogno all’altro. RENE’ LAPORTE Federigo — Ah, se sei tu il sortilegio dell’omhra, ridammi il sole! Olivia — Ecco. (Federigo ci vede di nuovo) Mi credi, adesso? (Silenzio interminabile). Federigo (spaventato, avvilito) — Come morirò? Olivia — Non lo so. Non ho il diritto di saperlo. Eseguisco degli ordini. Federigo — Lasciami un po’ di tempo... Devo ahituarmi... Io sono, mi pare, il Federigo di poco ia, e pure non sono più lo stesso. Olivia — Forse hai già fatto un passo dall’altra parte. Federigo (bruscamente) — E adesso smetti questa commedia! Smetti di piangere! Le lacrime del tuo viso, o Morte, le hai rubate al viso della mia Olivia, della donna unica che ho appena lasciato sulla riva della terra. Olivia — Sono sempre la tua Olivia. E soffro terribilmente. Federigo — E come avrebbe potuto la mia Olivia, la pura, la trasparente, l’umana, avere il potere di abbassare la luce? Olivia — Fino a un’ora fa avevo solo un potere di donna. Fino a un’ora fa pensavo ai lavori di casa, a cambiare i fiori delle aiuole. Ho avuto bisogno d’un segno. Federigo — Chi ti ha fatto questo segno? Olivia — Il Principe Bianco. Federigo (con improvvisa insolenza) —• Morte mia, non t ’immaginavo così. Olivia — E come mi immaginavi? Federigo — Be’, non so. Si immagina sempre e solo la morte degli altri. Ti ripeto che devi smettere quest’ignobile commedia. Non sei Olivia. Olivia — Sono Olivia. Federigo — Lascia che ti tocchi. (Con lo stesso gesto cJie ella ha avuto una volta con lui, prende con le mani l’impronta del volto di Olivia) La sua inimitabile dolcezza! Così, dall’età della ragione, che è l’età del sogno, dall’età in cui le altre ragazzine parlano alle fate, ti preparavi al tuo compito d’oggi? . Olivia — No, è solo da poco che ho saputo d’essere stata scelta per te. Federigo — Da quando? Olivia— Dall’indomani della notte in cui sono stata tua per la prima volta... Ero tornata a casa mia, ti ricordi. Un uomo mi seguì. Era il Principe Bianco. Mi disse: «Appartenete a Federigo ancor più di quel che pensiate ». Ha anche aggiunto che potevo essere tua per sempre... Mi sono gettata ai suoi piedi. Ho supplicato. Ho pianto. Prevedevo il male che mi sarei fatta, che mi faccio oggi... Lui sorrideva, senza consolarmi. Quando mi ha visto più calma mi ha con fidato il segreto. Federigo — Che segreto? Olivia — La morte non è uguale per tutti. La morte per te era quel che componeva la tua vita, era Olivia. Ci sono esseri che muoiono soli, quelli che non hanno meritato nulla, altri che muoiono con l’aiuto dei vivi chini sul loro letto : hanno gli ultimi sguardi dei geni tori, o dei figli. Altri ancora si portano con sè la loro gloria, la loro arte, la loro scienza, la loro patria, la ricchezza dell’anima loro, che è la sola ricchezza valida. Ma il privilegio di portare con sè quel che si ha meglio servito o meglio amato, è accordato solo a pochi. Federigo — Cosi potrai seguirmi? Olivia — Dipende da noi, da te. Dalla stessa forza del tuo amore, dalla tua convinzione nell’amore. Sai, dire d’una coppia che resta unita per la vita eterna, allungata nella vita eterna come due figure di marmo su una tomba, non è solo una frase poetica, è una realtà. Una realtà di Dio. La fortuna di una grande passione è che può prolungarsi nell’aldilà. Federigo — Sarebbe troppo bello. Olivia — Non bestemmiare! Dobbiamo ammet tere questa cosa meravigliosa che è la presenza del cielo in noi, che l ’uomo e la donna che si sono impe gnati a fondo non si separano mai. Non sono sepa rati dalla morte, anche se l ’apparenza li separa un momento. Quando uno muore prima dell’altro, la me moria, il dolore, gli oggetti stessi formano la catena... E, cosa ancora più meravigliosa, uno èla morte dell’altro. Talvolta è l’uomo talvolta è la donna che ricevono il segnale. Questione di fantasia... Del resto, questo segnale non si riceve sempre così chiaramente come me. Oppure ci si ostina a non capire l’annuncio di un sogno, lo strazio di una separazione... Federigo — Tu eri dotata. Olivia — Vorrei che tutte le donne sapessero quel che so io. Federigo — Allora perchè dicevi di soffrire terri bilmente? Olivia — Ignoro se abbiamo meritato di non essere separati. Federico — Se non l ’abbiamo meritato, che succederà? Forse sarà il vero nulla per me, per te. Olivia — Non so. Federigo — Pretendi che dipenda da me se rimar remo o no uniti? Allora nulla dovrebbe staccarci. Olivia — Non è così semplice. Bisognerebbe anche non aver mai peccato contro questo amore. Federigo —• Ah, proprio tu parli così, tu che mi hai continuamente tradito! Tu eri la morte. Potevi odorare i fiori, e loro non appassivano! Potevi metter la mano in un ruscello senza avvelenarlo! Sapevi che dovevo morire per quella mano e per quel respiro e mi sorridevi! C’è un tradimento peggiore? Olivia — Dovevamo vivere. Federigo — Nella menzogna. Olivia — No, ero solo tua moglie. L ’altra cosa riuscivo a dimenticarla. Si ha il permesso di dimen ticare... (Silenzio). Federigo — Devi sapere entro quanto tempo sarò morto. Olivia — Non è in mio potere. Io ho diritto, come tutti gli altri viventi, solo al presentimento! Federigo — Bell’arma di difesa, in fede mia! Olivia — Arma che mi è servita almeno due volte... Tre anni fa il tuo cavallo è scivolato sulle rive di un torrente, siede caduti entrambi nell’acqua tumul tuosa che ti ha trascinato svenuto. Ti sei svegliato tra le mie braccia, in una baia solitaria dove nessuno sarebbe mai venuto a cercarti, dove senza dubbio saresti morto della tua ferita. FEDERIGO Federigo {stupito) — Aprendo gli occhi, ti chiesi «Come mai sei qui? ». Olivia — Il mio cuore era stato avvertito. Federigo — E la seconda volta? Olivia — Quest’inverno, passavamo lungo un muro in rovina... Federigo — Sì, ricordo. Mi hai dato una spinta violenta e un’enorme pietra staccatasi dalla cima del muro mi ha sfiorato. Olivia — La mia mano era stata avvertita. {Silenzio). Federigo — Cerchiamo di guadagnar tempo. Olivia — Ahimè, è venuto il Principe Bianco. Di solito non si scomoda così. È venuto per farmi capire che avevo perduto troppo tempo. Federigo — Come lo dici freddamente! Olivia — Freddamente!... Mio dolce amore, se anche dall’altra parte avremo 1’esistenza più mera vigliosa che si possa immaginare, varrà mai quanto quella che mi hai creato tu? Vorrei, ti giuro, non avere altro compito che quello d’una donna. Ti ho amato, Federigo, più violentemente di quel che la nostra collina ami il suo cielo. Ti ho amato come forse la terra arriva ad amare se stessa, ogni granellino di polvere che la compone integrato al granellino che l’affianca e lo ingrossa. {Silenzio). Federigo {violentemente, battendosi il petto) — Sto bene, sto bene! Tutto il mio sangue là dentro è caldo e gira e canta e non smetterà di cantare... Ah! Potenze soprannaturali, angelo e morte, nemici miei vi sfido! Olivia — Protesti come gli altri. Federigo — Dovranno prendermi con la forza. Olivia (molto dolcemente) — Se ti rivolti, vuol dire che non accetti l’eternità che ci era stata offerta. Rischi di perdermi. Federigo — Ma vivere! Olivia — Vivere l ’uno senza l ’altra... Federigo ■ —• Ah, la testa mi si perde... Lasciami riflettere. {Una pausa molto lunga). Olivia — Ebbene, Federigo? {Federigo è voltato, pensa. Poi alza la testa con gli occhi lucidi di ardore e di desiderio). Federigo — Mi pare d’aver tante cose da portare con me. {Va a prendere il sacco delle anime che aveva appeso alla porta d’entrata) Questo sacco... altre cose ancora... No... Quanto s’ha da portar via dalla vita... Un fiore... {Coglie un fiore e l’appunta sul farsetto. Si trova ai piedi dell’arancio) Un frutto... perchè non un frutto? È quasi arrivato il giorno in cui coglieranno le mie arance... Olivia {con dolcezza, sul punto di piangere) — Le nostre arance... Federigo — Le nostre arance... “Voterei uno di quei frutti... Potremmo aver sete in cammino. Olivia — Cogliti un’arancia, se ne hai voglia. Federigo — Vorrei che la cogliessi tu. Olivia — Perchè io? Federigo — Perchè io possa cogliere il tuo ultimo gesto di donna. Olivia — Come vuoi. {Si arrampica mentre Fede rigo sorride vagamente). Federigo {quasi teneramente) — Come sei agile! Olivia — Ti piace quest’arancia? Federigo — No, sali ancora un poco. I frutti son più maturi sui rami in alto. Olivia {obbedendo) — Questa? Federigo {intensamente) —■E adesso desidero che tu non scenda più. Olivia — Come? Federigo (c. s.) — Che tu non scenda più, che tu non scenda più. (Olivia si agita senza potersi stac care dai rami. È presa come un uccello nella pania. Quando libera un braccio l’altro rimane prigioniero). Olivia — Ma, ma... Federigo {scoppiando a ridere) — È riuscita, è riuscita... Olivia — Che cosa è riuscita? Federigo {molto sicuro di sè) — Il Principe Bianco non aveva mentito... Mi ha dato il potere di trat tenere su quell’albero chi avessi voluto. Certo non pensava che avrei trattenuto proprio te! Peggio per lui, in fede mia... Olivia {seriamente) — Smetti questo gioco assurdo, Federigo. Federigo — Assurdo? Come osi dir questo, amor mio? Ho trovato il modo di conservar eternamente il mio amore e il mio amore trova ciò assurdo! Il mio amore non ragiona... {Ridendo sempre più) È vero che poiché il mio amore è anche la mia morte, metto in gabbia la mia morte. Olivia — Attento, Federigo. Federigo — Perdona, in gabbia non è esatto... Un albero è molto meglio d’una gabbia. C’è il vento, la vista, il ronzìo delle api, tutta l’amicizia della primavera... Ed io, quando ne avrò voglia, verrò a contemplare il mio uccello favorito. Canterai, mio uccello?... Olivia {scuotendo l’albero) — Lasciami scendere. Federigo — M’assicuro la vita. {Stirandosi) È piacevole, la vita. Olivia — Devo scendere. Federigo — Se vuoi. Scenderai quando mi avrai accordato qualcosa... Olivia — Che cosa? Federigo — La vita. Una proroga di vita. Una piccola resurrezione, insomma. Olivia {spaventata) — Non chiedermi questo. È un peccato immenso che commetti contro la volontà del cielo. Federigo — Dimentichi che è un angelo che mi ha permesso di commetterlo. Olivia — Quando accordano una grazia terrestre, gli angeli non possono sapere come questa grazia sarà utilizzata. Da questo, più tardi, si giudicherà l ’uomo... Questo peccato rischia di separarci per sempre. Hai agito contro il nostro amore e non avrai perdono. Federigo ■ — Bah! Aprirò gli occhi, domani mattina. Olivia — Peggio per noi... Rendimi la libertà, e ti otterrò dieci anni di vita supplementare. Federigo — Dieci anni? Non pensarci nemmeno. Se debbo ricominciare daccapo conto d’aver perso sette anni prima d’aver raggiunto l ’età della ragione. Olivia — Yent’anni. Federigo — Il tempo d’aver le malattie della RENE’ LAPORTE adolescenza, di far gli studi noiosi, di dubitare di sè. Il tempo del tirocinio. Troppo poco. Olivia — Non temere nulla. Tutto ricomincerà da oggi... Vuoi trent’anni? Federigo — No, tre volte tanto. Olivia — Un secolo! Federigo — Sì. Un secolo è comodo. Si vedono finir le guerre e s’impara che non han servito a niente, che non hanno regolato nessun conflitto. Si è testi moni di nuove invenzioni. Si vedono potenti famiglie cadere in povertà... Olivia (tristemente) — Ebbene, sia! Avrai cent’anni. Federigo — Puoi scendere. (Olivia si libera dal sortilegio, scende sui rami bassi) Dammi la mano. Di solito è la morte a prendere la mano degli altri. Olivia (indietreggiando) — È la seconda volta che ti dico addio, Federigo. Ma tornerò all’ora scelta e ti accorgerai che il tempo è stato breve. Federigo — E che m’importa! Mi basta aprire gli occhi domani mattina. Olivia — Ieri, questo non ti sarebbe bastato. Avresti detto : «Se i tuoi occhi sono chiusi, Olivia, non avrei più voglia d’aprire i miei ». Il tuo trionfo d’oggi ti vela lo spirito e ti chiude il cuore. Ma, domani o presto, comincerai a sentire la tua solitudine. Oppure la legge del cielo esigerà che tu sia punito. E io conosco la tua punizione. Eccola: non mi vedrai più per cent’anni... Federigo (sorridendo) — T’aspetterò senza aspet tarti troppo, sai? Olivia — Hai dimenticato ciò ch’io ero per te? Sono, ero, rimango Olivia; la metà del tuo sangue, la metà dei tuoi sogni. Girerai per il mondo alla ricerca del tuo equilibrio. Privo di quella metà di te stesso che sono io. Girerai come girano, prima di cadere, gli uccelli che hanno un’ala spezzata e che hanno perduto il senso diretto del loro volo... Federigo — Mi minacci? Olivia — Ti prevengo. E t ’amo abbastanza per augurarti di non soffrire troppo dell’assenza d’amore... (Olivia sparisce; Federigo le fa un piccolo cenno di addio e poi sorride mentre cala la tela). Interno della casa di Federigo, come nel primo atto, ma con svariati cambiamenti. I l tempo ha■ lucidato alcuni mobili e ne ha portato dei nuovi molto più ricchi. Qualche quadro alle pareti. A destra un’armatura e un pannello d’armi, ricordo della vita militare di Federigo. A sinistra, vicino al camino, una specie di laboratorio con libri e storte. (All’alzarsi del sipario, Federigo è in conversazione con un giovane ufficiale. È invecchiato, ma senza incurvarsi. Ha ancora tutti i capelli, bianchissimi, Ha l’aspetto di quel che è: un vecchio generale a riposo, nobile e calmo. Sono passati cent’anni, è un giorno d’autunno del 1522). fi v Federigo — Siete al servizio del marchese di Mantova? Soderini — Come lo siete stato voi, generale Federigo. Sono il luogotenente dei suoi lanzichenecchi. Federigo — È molto tempo che non sono più al servizio di nessuno. E poi non lo sono stato del vostro capo, ma di suo padre. Ero a Fornovo con lui. Soderini — Sono nei lanzichenecchi, ma, natu ralmente, preferirei la cavalleria. Federigo (sorridendo) — Naturalmente. Alla vostra età ci si vergogna sempre un po’ di combattere a piedi... Vi chiamate? Soderini — Pietro Soderini. Federigo — Soderini... Un nome illustre a Firenze. Soderini (con una leggera amarezza) — Ahimè, non appartengo nemmeno da lontano alla famiglia del cardinale. Devo conquistarmi tutto da solo. Federigo — Se foste nato in una condizione più fortunata, avreste purtuttavia qualche motivo di lagnarvi. Non c’è nessun uomo che abbia tutto. Soderini (riprendendosi, in tono adulatorio) — Ma voi, generale Federigo... Federigo — Oh, io!... Soderini — In tutti gli stati del Nord si rispetta la vostra gloria e la vostra vecchiaia. Da tutte le parti si richiede il vostro parere. Federigo — Caro luogotenente, sono benefici uni camente negativi. Quando ci si rivolge a qualcuno sollecitando, come dite voi, o rispettando, è segno che quel qualcuno non è più temuto. È meglio essere temuti. Soderini (dopo un breve silenzio) — Sono incari cato d’una missione da parte del colonnello. Federigo — Il vostro colonnello è sempre il conte Pitigliano? Soderini — Sì... Saran presto dieci anni che non comandate più. In occasione di questo anniversario, il reggimento vorrebbe offrirvi una spada d’onore. Il colonnello chiede se vorrete venire a riceverla a Mantova sul principio di dicembre. Federigo — Dove sarò in dicembre? Soderini — Farete ancora dei viaggi? Dicono che siete già stato nelle Indie. Federigo — Sto progettando un grande viaggio... Sentite, ringraziate il colonnello del suo pensiero, ma non accetto. Soderini — A causa del viaggio? Federigo — Sì. E per molte altre ragioni. Soderini — Siamo in molti a ricordarci della parte che avete sostenuta in Toscana. Ho spesso sognato, di assomigliarvi, generale Federigo, e ho anche sognato di ricevere qualche lezione da voi. Federigo — Sognate piuttosto un accordo con voi stesso. Sarà più utile. Non ci sarebbe giovinezza, se la giovinezza seguisse i consigli che le vengon dati. A vent’anni desideravo essere libero, lo desideravo ferocemente. Poi sono diventato più scettico e acco modante. Forse avevo ragione quando avevo venti anni. Penso con la massima sincerità che ogni uomo si è realizzato prima dei trent’anni, ha fatto il giro completo della sua capacità di soffrire e di ridere, di parlare o di tacere; l’età matura aggiunge solo sentimenti calcolati, e la chiarezza anche, - la chia rezza, questo piccolo beneficio, - al meraviglioso istinto che tutti possediamo al principio. FEDERIGO Soderini — Se ho ben capito, bisognerebbe morir pare che arrivi alla superfìcie della sua coscienza e della sua intelligenza, in cui le leggende, avendo giovani. Federigo (grave) — Forse. Il dramma è che non perso la loro forza di persuasione, muoiono asfis siate... È come il bellissimo spettacolo dell’alba. si osa. Soderini — Ed io che venivo a chiedervi un Dobbiamo veder sorgere il sole. Voglio essere alla finestra per vedere balzarsi del secolo. Una volta incoraggiamento ! Federigo — Vi auguro di soffrire come ho sof erano gli istinti che contavano. Questi istinti, ve ferto io alla vostra età di quel gusto feroce della libertà. l ’ho detto, mi turbavano, ma li disprezzavo. Ora A un certo punto della mia vita ero appagato e ho voglio sapere quel che è lo spirito, per vedere se commesso la pazzia di ricominciare. devo disprezzare anche lui. Soderini — Di ricominciare? Soderini -— Disprezzare gli uomini, disprezzare lo Federigo — Di rientrare nell’azione. Il risultato? spirito. Non c’è che un passo per arrivare a disprez A cinquant’anni, in mezzo a tutti i tradimenti che zare se stessi, a rinunciare a se stessi? Una posi fanno l ’arte del secolo, non capivo più nulla. Dovevo zione pericolosa, mi pare. mangiare i più deboli come facevano tutti, tradire Federigo — Pericoloso alla vostra età, non alla come facevano tutti? Allora, sono stato solo più un mia. Non ho quasi più passioni. soldato. Cioè ho cercato di accecarmi. Soderini — Quasi? Soderini — Felice cecità! Avete preso CastelFederigo — Me ne rimane una: la passione della vetrano, rasa al suolo la cittadella di Forlì, distrutte purezza. Forse viene a quelli che sono stati parti le bande di Yittellozzo. Sono cose che si sanno, cre colarmente impuri. Aldilà della passione della vita, detemi, e che contano. e non sgorgando necessariamente da essa, c’è la Federigo — Contano meno del turbamento in cui passione della purezza. Si può salire il patibolo per sprofondavo ogni giorno di più. lei. Soderini — Certo è a causa di questo turbamento Soderini (con un sussulto) — Al patibolo! che avete abbandonato lo stato militare? Federigo — Chiamano pazzi quelli che non tran Federigo — Sì. Ho viaggiato. sigono... Pazzi, gli appassionati, i sinceri, gli amanti, Soderini — Tutti i paesi che avete scoperto... i rompicollo! Pazzi, i giocatori... (Sorridendo) Sono Federigo — Non aspettatevi del lirismo da me. stato un giocatore. Non sono un lirico. (Silenzio). Soderini — Non lo siete più? Soderini — Così, eravate a Fornovo e già generale. Federigo — Ho cambiato gioco. Gioco alla cono Magnifico! Federigo — È passato molto tempo. Quasi trenta scenza. Anche se, grazie alle mie letture e alle mie storte, arrivassi come ultima analisi a ridurre lo anni. Soderini — Siete il generale più vecchio che si spirito a un’essenza di nulla, sarei soddisfatto lo conosca in Italia. Sapete quel che dicono tra le file? stesso. Perchè mi sarei liberato d’un dubbio, d’una paura, comuni a tutti gli uomini: la paura di non Federigo — Che cosa? avere capito tutto unita a quella di non avere finito Soderini — Che siete centenario. Federigo — Conosco questa leggenda e mi diverte. nulla. Soderini — Una vita riuscita come la vostra non Tutti gli altri capitani sono morti di morte violenta, lascia dubbi, ma rimpianti. anche i maggiori. Da Vitellio a Cesare Borgia, che Federigo — Credete? Il dubbio di cui voglio gruppo di destini troncati troppo presto! Si stupiscono che non sia morto anch’io, e così mi aggiungono sbarazzarmi è quello di tutte le vite troppo lunghe. Si è riusciti a fare il giro di quel che si è, si ha il qualche anno! Soderini (insistente) — Pare che in ogni battaglia diritto di dirsi: « Ho cominciato ed ho finito. Al fondo la morte, trovandosi in prima fila, vi sfiorasse, ma della mia riga c’è un punto e non una virgola »? Vivo ancora soltanto per mettere quel punto finale. Sen vi evitasse accuratamente. tite, ho fatto molte cose, ho versato il sangue del Federigo — Caso. Soderini — Il caso non è mai compiacente con i l ’uomo e fatto scorrere le lacrime della donna. Ho soldati... Forse avete scoperto il segreto della vita? intrigato, viaggiato e agito. E adesso dissecco libri, Federigo — Forse volete dire il segreto di pro e adesso mescolo sostanze. Soderini — Una curva poco banale. lungare la vita? Federigo — E perchè, di grazia? Nessuno riesce Soderini — Esattamente. a compiere perfettamente il suo destino. Se ho visto Federigo — Anche questo si dice di me? Soderini — Si dice e con una certa insistenza. le Indie dell’Est, mi mancano quelle dell’Ovest. Se ho (Indicando il laboratorio) E questi libri, queste storte, vinto il Turco, mi manca d’aver vinto Baiardo. Se ammetterete anche voi, aggiungono qualche credito ho potuto navigare sulla superficie dei mari, mi manca d’aver camminato sul fondo. E così via! Ad a tali rumori. Federigo — Ci passo il tempo. (Silenzio) Non ogni cosa jiosseduta, corrisponde una qualche cosa che non si potrà possedere. avete l’aria convinta. Soderini — Così ogni volta che una donna si Soderini — Non molto, devo confessare. Federigo •— Per quanto siate giovane e leggero, addormenta tra le mie braccia, dovrei pensare che luogotenente Soderini, non potete ignorare che viviamo nello stesso istante milioni di donne si stanno addor in un’epoca in cui succedono molte cose, in cui l’uomo mentando altrove? È troppo per la mia immaginazione. RENE’ LAPORTE Federigo — Sì, dovreste pensare che sfuggono alla vostra tenerezza. Tutto è simultaneo nell’universo, meno l’uomo. Potrei vivere altre dieci vite lunghe come la mia senza avere il tempo di finire ili mio edificio. Non ne finirò. Non ne finisco mai, è la legge... Soderini — La legge è che ci sia una fine, una morte. Federigo — Giusto. Una morte che ci guarda vivere. Una morte che senza dubbio sorride perchè noi ci intestiamo in quest’idea della finzione, della perfezione. Ed ha ragione di sorridere. Soderini — Con queste idee pessimiste... Federigo — Pessimiste? Non mi pare. Ringrazio il naturale movimento dell’universo. Obbedisco. Soderini — Più vi guardo, più penso a quel che so di voi, generale Federigo, e meno credo al naturale. Scusatemi se insisto, ma prima di Fornovo, vent’anni prima di Fornovo, vi hanno visto combattere. E non eravate più un bambino. C’è un mistero in tutto ciò. Indovino che possedete armi di cui nessun uomo ha mai potuto servirsi. Federigo — Che armi? Soderini — Quelle che uccidono il tempo, quelle che allontanano la morte. Federigo — Di nuovo! Soderini (quasi supplichevolmente) — Ho tanta e tanta ambizione, sento in fondo a me stesso un tale appetito di potenza. Voi, voi avete concluso tutto e non avete più il desiderio di concludere, ma io... A me che sono sfornito, nulla prova che la sazietà nasca dall’eccessivo possesso. Datemi il vostro segreto, che è quello della forza e della durata! Datemelo, vi scongiuro! Federigo — Calmatevi, luogotenente Soderini! Come è avida la giovinezza! Mi specchio in voi e mi ricordo che avevo lo stesso volto affamato, lo stesso appetito... Soderini — E allora... Federigo — Ma non sono contento di riconoscermi in voi. La. correzione dell’età trucca i ricordi. Il giovane Federigo avrebbe fermentato come voi, forse sarebbe stato vostro complice. Mentre la mia magìa personale non può esservi di nessun aiuto... Soderini — La vostra magìa! Avete pronunciato questa parola! Federigo (sorridendo) — La mia magìa! Ah, volete proprio sapere? Ebbene, se ho vissuto così a lungo, è stato solo per un appuntamento. Volevo arrivarci più ricco del momento in cui l ’ho dato. Soderini — Un appuntamento con qualcuno? Federigo — Con qualcuno. Soderini — Dato molto tempo fa? Federigo — Molto tempo fa. Soderini — E per quando? Federigo (un silenzio) — Per oggi. (Entra di corsa Olivia e si mette tra i due uomini). Olivia (senza fiato) — Non dirgli niente, non dirgli niente! Federigo (senza sorpresa) — Buon giorno, Olivia. Olivia — Non dirgli niente! Federigo — Perchè, Olivia? Olivia — È una spia. Soderini — Signora, con che diritto... Olivia — Una spia, un sudicio spione. Soderini — Sono il luogotenente del conte Pitigliano. 1 Olivia — Non è vero. Soderini — Il conte mi manda da Mantova. Olivia — Non è vero. Il conte è stato ucciso un mese fa nell’assalto del bastione di Montefeltro. Soderini — Come lo sapete? Questa morte è stata tenuta segreta. Olivia — Lo so e tanto basta. Federigo (avanzandosi) — Siete ufficiale, signore? Soderini (dopo una breve esitazione) — No, non lo sono. Federigo — E vi chiamate Pietro Soderini? Olivia — Si chiama Odio, si chiama Viltà. Ha il nome di tutti i tuoi nemici, Federigo. Federigo — È molto tempo che non ho più nemici. Olivia — Come sei ingenuo! La tua vita ritirata intriga moltissimo la gente. Federigo — Al mondo ho chiesto solo che mi considerasse assente. Soderini (rinfrancandosi) — È un alibi molto facile. Olivia — Vedi che rispunta il poliziotto! Lo sai, mio povero Federigo, che i tuoi libri destano sospetto? Soderini — Fino ad oggi nessuno aveva avuto bisogno di libri nel villaggio. Olivia — ...Che circolano pettegolezzi sul tuo conto, che ti credono uno stregone? Federigo (sorridendo) — Nella solitudine, tutto è stregoneria. Compreso il piacere che ci si prova. Soderini (smascherandosi sempre di più) — La vostra lampada è accesa fin tardi nella notte. Federigo — Mi piace questo piccolo sole che appartiene solo a me. Mi rischiara meglio del sole di tutti. Soderini — Spesso dal vostro camino esce un fumo d’odore disgustoso. Federigo — I contadini trovano disgustoso tutto quel che non sa d’aglio e cipolla. Soderini — Si sono visti aggirarsi intorno alla casa lupi e altre bestie strane. Federigo (a Olivia) — Ti ricordi il nostro vecchio lupo mannaro? Come vedi non fa paura solo ai bambini. Soderini — Dicono che una volta avete incon trato il diavolo. Federigo — Soprattutto ho incontrato uomini che gli assomigliavano. Soderini — Dicono che muoiono molti bambini nella contrada, soprattutto il sabato. Federigo — Smettiamola con questo interroga torio! Che cosa volete qui? Soderini — Dicono che avete vissuto più di una sola vita. Olivia — Attento, Federigo. Un grande pericolo ti minaccia. Ti hanno denunciato e l ’Inquisizione si occupa di te. Hanno mandato quest’uomo per farti parlare. Non gli hai mica detto niente? Soderini (con aria d’importanza) — Il Santo Uffizio non ammette il mistero. C’è troppo mistero nel vostro caso, signor Federigo. FEDERIGO Federigo (passando dal sorriso alla minaccia) — Credo ohe mi piacerebbe strangolarvi. Soderini (indietreggiando) — Sanno dove sono. Uccidermi non vi servirebbe a nulla. Federigo — Andatevene. Soderesti — Sì, me ne vado. Ma ormai sono con vinto, e ritornerò. E non sarò solo allora. Federigo (con uno sguardo di complicità a Olivia) — Senza dubbio sarà troppo tardi. (Soderini esce) Perchè sei intervenuta? Olivia — Ho voluto tirarti fuori da un brutto passo. Non è la prima volta. Federigo — Ma se devo morire e morire oggi stesso? Olivia — Devi morire di me sola. Federigo — Bruciare sugli assurdi roghi della Inquisizione, poi bruciare all’inferno. Bruciare per bruciare, sai... Olivia — Sono io la tua morte e scelgo io. Federigo — Ah! (Silenzio) Tutto sommato, mi sareb be spiaciuto che la mia morte avesse cambiato for ma, che avesse preso l ’aspetto d’una spia. Olivia — Dubitavi di me? Federigo (dopo un breve silenzio) — T’aspettavo. Olivia (molto femminilmente) — Davvero? Federigo — Non era nei nostri patti ch’io fossi privato della memoria. Olivia — Anzi. La tua memoria era il nostro legame. Federigo — Bisogna che ti ringrazi subito di qualche cosa. Olivia — E di che? Federigo — Di qualche cosa che temevo moltis simo: una vecchiaia abbietta e rattrappita. Gli occhi che lacrimano senza ragione, l’umore acido, la gelo sia per la giovinezza. Grazie a te, ho evitato questi orrori. Olivia — Vedi che dubitavi di me. Federigo — No. Era naturale che invecchiassi. Ho passato quest’ultimo anno, nel timore che l ’età mi vincesse in velocità. Olivia — Nonostante il mio desiderio non ho potuto risparmiarti tutti i dolori in questi cento anni. Federigo — Ogni volta che avevo voglia di andar mene, che avevo sete del nulla, ecco che svelta svelta mi mandavi un buon accesso di febbre violenta, una ferita in suppurazione. Olivia.— E tu pensavi che ero io a ...(gravemente) ...non sei più lo stesso, Federigo. Federigo — Credo d’aver vissuto troppo. Olivia — Ma il nostro amore attraverso tutti questi anni conservava la stessa esigenza! Federigo — Vuoi dire lo stesso comodo gusto per l’errore. L ’errore, è di credere che solo l'amore che si si ha nel cuore sia l ’unico. Olivia — Non avresti detto questo, una volta. Federigo — Ho sentito troppe coppie mormorare piano piano accanto a me: «Il nostro amore è unico al mondo ». Olivia — Ma tu sapevi ciò che il nostro aveva di eccezionale. Federigo (dopo una breve pausa) — Forse ti amo in un altro modo. Olivia (a corto d'argomenti) — Ah, che succede? È forse la nostra punizione che incomincia? Federigo — La punizione? Olivia — Scontata mentre siamo ancor vivi? Federigo (amaramente) — Prima o dopo, per quel che importa! Olivia — Hai perso la fede. Eppure, solo ieri, nel tuo sogno di ieri, tu mi chiamavi con la stessa violenza di un tempo. Federigo — Nel mio sogno di ieri?... È vero... Ma tu, come lo sai? Olivia — L ’amore, il vero, l’unico... trova la sua strada nella notte del sonno. Federigo (si china su di lei e la fissa intensamente) — Perdonami: sei sempre la mia bandiera, la mia cittadella, la mia potenza. Ma il peso delle mie espe rienze è tanto pesante! Dovrei potermi astrarre da ciò che ho visto mentre ero solo, poter dimenticare, dimenticare... tutto; dimenticare. Dovremmo risalire alla sorgente, filtrarci di tutta la vita vissuta, Olivia. Olivia — La nostra vita, la nostra vita pura è cominciata il giorno che tu ritornavi dalla caccia e hai incontrato una zingara. Federigo — Dovremmo rincontrarci come era vamo allora. Chiudi gli occhi, mentre io chiudo i miei. Olivia (dolcemente) — Sì... Federigo — Buongiorno, Olivia. Olivia •— Buonasera, Federigo. «Ero venuta solo per una. notte ». Federigo — La stessa voce... Ora puoi riaprire gli occhi. (Molto teneramente) Permetti che ti tocchi? (Olivia gli si abbandona tra le braccia) Non trovi che le carezze di un vegliardo sono un po’ fuori stagione? Olivia (sorridendo) — Eppure non eri un vegliardo, nel tuo sogno di ieri! Federigo — Mi sento attratto dal tuo corpo come uno sposo che torna dalla sua donna dopo un lungo viaggio. Uno sposo che ha tante cose da raccontare. Olivia — Io conosco tutte le tue gesta, amore mio. Colle tue imprese hai fatto abbastanza rumore per un secolo cosicché non ti si potrà dimenticare. Federigo — E questo ti è spiaciuto? Olivia — Anzi. Non avrei gradito che tu avessi tentato di fare la. formica, di economizzare i giorni. Comunque, perchè mi vuoi raccontare ciò che hai fatto? Sono stata dovunque con te. Ho camminato nella tua ombra, dietro di te. Il buon sonno al quale ti abbandonavi quand’eri stanco, era la mia mano fresca sulla tua fronte. E anche tra le donne, ti ho seguito. Federigo — E me lo rimproveri? Olivia — No. Perchè erano loro, quelle che ingan navi. Tu non facevi che ripetere ad esse ciò che avevi già detto a me. Federigo — E tu, che cosa hai fatto tu, per tutti questi lunghi anni? Olivia — Te l ’ho già detto: non t ’ho lasciato un sol giorno. Ero invisibile e assente per tutti, ma reale nella tua memoria e quasi, direi, nei tuoi gesti. Ero l ’ombra che ti precedeva sulla strada assolata. Ero l ’aria che tu respiravi, il paesaggio che i tuoi occhi ammiravano. Ci sono nella natura, nella luce, RENE’ LAPORTE tra i grani di polvere di cui si diverte la luce, migliaia di morti che aspettano così i loro fidanzati, i viventi, che trascinano la vita. Federigo (con un lungo sguardo) — Non sei cam biata. Olivia — Grazie a te. Questo è il miracolo. Le persone che vivono insieme non si vedono invec chiare. Questa è la grazia che è loro accordata. E anche a noi, è stata accordata anche a noi. Se il tuo spirito fosse invecchiato come il tuo corpo... Federigo (sorridendo) — Ah! Tu ammetti che sono invecchiato. Olivia (ancli'essa sorridendo) — Adesso tu hai l’apparenza della gloria, hai un’aria da medaglia. Anche questo è molto seducente. Se il tuo spirito invece avesse perduto i suoi contorni, io sarei diven tata rugosa, i miei capelli si sarebbero fatti bianchi. Ma tu mi hai voluta intatta ed è perciò che mi hai conservata intatta. Federigo (intensamente) — È vero, io ho cercato solo te attraverso tutto. Quando tu sei entrata, io ho sentito il desiderio di farti pagare questa osses sione ed è per questo che l ’ho negata. Ma ora è inu tile negarla più a lungo. 11 nostro amore ha trovato la sua forza e la sua ragione d’essere... Tu sei stata la mia maledizione e la mia forza.... Olivia — La tua maledizione? Federigo — La mia forza! Questo secolo di tumulto, il mio secolo di tumulto e di agitazione è stato il mio secolo di più sconsolata solitudine. Il mondo appar tiene soltanto a quelli che sono in due. Se l ’universo è un luogo di passaggio, una camera d’albergo non gli è necessario molto per dargli un’aria d’eternità. Olivia — Infatti gli basta la banalità d’un amore. Federigo — L ’uomo è completo in ciò che ama. La sua saggezza consiste solamente nella separazione dell’opera dell’uomo dalla fortuna dell’uomo. Gli ambiziosi e i volubili sono in fondo simili. Questo è il loro dramma. Olivia — Dal momento che tu questa differenza l’hai saputa operare non si può dire che tu abbia vissuto per nxdla. Federigo (improvvisamente grave) — Io parlo della fortuna in generale. Noi, ahimè, noi siamo un caso particolare. Io non avrei vissuto per niente se con servassi la mia fortuna oltre la morte. Ora, tu mi puoi dire se ti conserverò? Olivia (tristemente) — No, questa è una cosa che si sa soltanto «dopo ». (Pausa). Federigo — È vero, l’ora passa. Olivia — Sì, passa. Federigo — E nulla stornerà la minaccia dal nostro capo. Olivia — Nulla. Federigo (indietreggiando) — L ’avevo quasi dimen ticato. Olivia — Anch’io. Federigo — Tanto peggio se tu ti vergogni della mia debolezza! Ma io non mi posso abituare al pen siero che, tra un’ora, sarà risolto il piccolo problema che io sono stato. (Gon maggior violenza) Comunque, perchè non è dato a noialtri moribondi il diritto di restar lucidi fino alla fine? Olivia — Non ti porre domande. Federigo (c. s.) — Le domande... Non piacciono all’Eterno, le domande! E perchè, perchè si crede l’unico signore delle domande?... Olivia — Non t ’arrabbiare. Federigo — Mi preferiresti rassegnato? Olivia — No. Staccato da quella che non è la nostra questione futura. L ’unica questione. (Una pausa). Federigo — Ah, che aria stanca hai di colpo. Olivia — Io sono il tuo specchio: ti rifletto Federigo — Se tu sei il mio specchio, dammi coraggio. Olivia — Non mento. Non prendo l’apparenza di quello che non è. Federigo (dolorosamente) — È vero! Credo di aver paura. Paura come un giovane guerriero che incontra la morte alla sua prima battaglia. A che serve l’esperienza? Ah! ancora un momento... Olivia — Un momento. (Silenzio. Federigo si guarda attorno. Gli occhi gli cadono su uno sgabello). Federigo — Siediti là... Ti ricordi la sera d’in verno davanti al fuoco?... Olivia — Sì. (Va a sedersi. Federigo sorride) Markus non osava sparecchiare per timore di disturbarci. Tu ti sdraiavi ai miei piedi. Qualche volta si facevano dei lunghi silenzi... Poi, tu dicevi: « Queste fiamme son calde sulla mia guancia come se fosse la tua guancia ». Federigo — Stai bene, seduta lì? Olivia — Sì. Federigo — Tanto meglio. Perchè, mia cara Olivia, forse ci rimarrai seduta qualche anno; sul tuo sgabello. Olivia (facendo vani sforzi per alzarsi) — Baro... (La si sente afflitta e astiosa) La viltà ch’era la tua scusa nell’età virile è più spaventosa nella vecchiaia. Federigo (senz’ardore) — Ho altre scuse. Un’altra scusa, oltre la mia viltà morale. Lo spirito in me non ha più paura della morte. Ma è la carne che si rivolta. Olivia — E tu non sai mettere ordine in quelle foresto di nervi, in quei cespugli di vene! Valeva proprio la pena di leggere tanti libri, di dominare il tempo, di disprezzare gli uomini. Federigo — Quando il saggio ha la bocca piena di terra, la sua voce non ha più risonanza di quella del contadino, del bambino che sono suoi vicini al cimitero. Olivia — Tu che dicevi : «Credo di aver vissuto troppo! ». Federigo — Appunto, io ho detto: «Credo!» Olivia (dopo una pausa) — Così, non vuoi che mi alzi? Federigo (esitando) — No. Olivia — Non ne sei molto sicuro. Federigo — Sì, invece. Olivia — Ebbene, dovrò abituarmici. Federigo — A rimanere dove sei? Olivia — Non t ’aspetterai da me un dono supple mentare di vita libera, suppongo. Il tuo cuore non desidera più nulla. Io non posso desiderare altra cosa FEDERIGO che il tuo desiderio. Non è vero che tu non desideri più nulla? Federigo — Lasciami il tempo di pensarci. Olivia — Non troverai. Sei più scarnito dei morti. Anche i morti senz’onore hanno una speranza inco sciente nascosta nella loro cenere; quella di giungere a una rinascita, di rivedere la luce attraverso un al bero, attraverso un’erba. Federigo — Rimarrai lì. Olivia — Non sembra che ti faccia piacere. Mi conserverai. Vedi che ho il braccio abbastanza lungo da arrivare al fuoco. D’inverno ravviverò i tizzoni perchè le fiamme riscaldino le tue vecchie ossa, ria nimino i tuoi vecchi racconti. E poi sorveglierò il desinare che sta cuocendo. Sarò la tua donna di servizio. Federigo — Ah, questo no! Olivia — La cosa peggiore in tutto ciò è che per diamo la nostra ultima occasione. Se il Santo Ufficio ti dimentica, noi invecchieremo insieme. Federigo (con un grido) — Non voglio che tu cambi! Olivia — Io sono vivente per te. Tu invecchierai. Perderai la vista, la memoria. E perderai il gusto di crearmi, di sostenermi nel mio splendore e nella mia giovinezza. Io che nascevo da te, per forza mi dissolverò, anche se tu continui a vivere. Federigo — Non ti rivedrò più? Non ti sentirò più? Olivia — Ogni giorno un po’ meno. E poi svanirò definitivamente, quando tu avrai perduto anche il ricordo di me. Non avremo una morte comune. Ci sarà il morto Federigo. Ci sarà la morta Olivia. Cia scuno per conto suo. Separati. Federigo — Così finirà questa grande, questa esemplare passione? E dici che saremo separati per sempre ? Olivia — Per forza. (Pausa). Federigo ■ —• Allora alzati. Olivia — Hai scelto? Federigo — Olivia, uccello mio, ora vengo, lo spazio d’un secondo, di ritrovare tutto lo slancio forsennato d’un tempo, quand’ero solo un giocatore. Non so se ti vincerò o ti perderò. G-ioco per il gioco: alzati. (Olivia si alza. Intanto Federigo prende da un cofano il sacco delle anime) Ed ora che ci portino dove dobbiamo andare. Olivia — Guardami. Guarda il tuo specchio. Non c’è più inquietudine, perchè il tuo viso ora è tutto placato. Federigo — Mi rimane solo la curiosità. Da dove arriverà, la cosa? La casa crollerà e ci seppellirà? Il vento che sta soffiando ci sradicherà come alberi da terra? (Pausa) Niente, niente. Olivia — Forse la cosa comincia con il silenzio. (Pausa). Federigo — È lungo. Ah, mi pare di sentir galop pare sul sentiero! Olivia — Non sento nulla. Federigo — È nella vita o nella morte che qual cuno galoppa? Non vorrei che i miei sensi prece dessero i tuoi. Vado a vedere. (Apre la porta) È la spia, con altra gente. Arrivano ben tardi per arrestarmi. Olivia — È troppo tardi? (Entrano Soderinì, un monaco e due soldati). I l Monaco — Non c’è nessuno! Soderinì — Nessuno? I l Monaco — Lo vedete. Soderinì — Si sarà nascosto. (Ai soldati) Cerchiamo in casa. (I soldati passano davanti a Federigo e a Olivia senza vederli. Si allontanano uno in cucina. e Valtro in camera. Soderinì si avvicina al laboratorio e il monaco alle armi). I l Monaco -—■ Sacrilego! Un pugnale nel Cristo! Soderinì — E guardate questo libro con le sara bande dei dèmoni! I l Monaco — Tuttavia dovremmo trovare altri capi d’accusa. I nostri processi sono seri. (Sfogliano febbrilmente). Federigo (dapprima a voce molto bassa) — Non ci vedono. Forse sogno... Parlami. Feivia — Non ci vedono. Olderigo (alzando la voce) — Non ci sentono. Feivia — Non ci sentono. Olderigo (sordamente) — Forse che noi saremo?... Feivia — Ma certo, amore mio. Olderigo — Ab! I l Monaco — Come è quel Federigo? Soderinì (con aria d’importanza) — Ho avuto il mio daffare a cucinarmelo. I l Monaco — Dicono che è arrogante. Soderinì — Arrogante. E sembra che disprezzi la vita. I l Monaco — L ’arroganza è proprio questo. I l primo Soldato (rientrando) — Non trovo niente. Ho scaraventato tutto in aria fino alle soffitta. I l Monaco — La sua stessa fuga è una confessione. Soderinì — Non l’avevate mai visto? I l Monaco — Mai. I l primo Soldato — Io l’bo visto una volta in combattimento. Caricava, calpestava tutto. Era un buon generale, a quel che mi hanno detto. Soderinì — Nessuno ti chiede niente. Cosa vuoi saperne, tu, di buoni o di cattivi generali? I l primo Soldato — I buoni generali sono quelli che... I l Monaco — ...che ti permettono di saccheggiare? Via, sta’ zitto. I l secondo Soldato — Ho cercato in cucina. Soderinì — Hai trovato qualcosa? I l Secondo Soldato — Niente. (Entra un uffi ciale di corsa). L ’U fficiale — Non cercate più. L ’hanno trovato. Soderinì — Dove? L ’U fficiale — È morto. I l Monaco — Morto! Soderinì — Dov’era? L ’U fficia le — Nel fondo della stretta di Fantino. Federigo —- Proprio là dove avrei già dovuto morire altra volta... Il destino ha buona memoria. I l Monaco — Chi è andato a cercarlo laggiù? L ’U fficia le — Crediamo che avesse cercato di fuggire. Probabilmente è scivolato sul bordo del sentiero. I l primo Soldato — L ’avete visto, signor luogotenente? 31 RENE’ LAPORTE L’U fficiale — Sì. I l Monaco — Com’era! L’U fficia le — Non del tutto sfigurato. Aveva un bel volto rappacificato. Un volto che forse non avremo noi, quando verrà la nostra volta... Ora lo si riporterà qui. I l Monaco (a Soderini) — Sentite, questo morto mette fine all’inchiesta. E di quest’inchiesta sarà meglio non far più parola. È anche del tutto inutile che si venga a sapere che il signor Federigo è stato sospettato. Il popolo ha bisogno di morti intatti: ama sfilare dinanzi a onorevoli spoglie. Soderini — In fondo, questo generale ha vinto le sue battaglie ed ha servito la causa dei suoi principi. I l Monaco — Bisogna dimenticare la sua vita tenebrosa. Andiamo a vederlo. I l primo Soldato — Avremo il diritto di presen targli le armi! Soderini — Si capisce... imbecille. (Escono). Federigo — Mi sarebbe piaciuto vedermi nel fondo della stretta di Fantino. Olivia — Perchè! Il nostro viso è ormai immu tabile. Federigo — Al contrario: sta cambiando, invece, sta per assumere i tratti che gli uomini vogliono come nostri. Olivia — Hai ragione. D’ora in poi noi vivremo del bisogno di bellezza ch’è nei vivi, del loro umore. Il nostro volto umano non ci appartiene più. Federigo — Questa è l’ultima delle nostre oscil lazioni. L ’equilibrio dell’eternità. Da una parte la solitudine, dall’altra l ’adorabile fusione. In questo stesso istante gli uomini si chinano sui miei occhi chiusi. Immaginano che i tratti del viso si fissino intensamente sul nulla. Non possono sapere che non son giunto alla mia prima inquietitudine ma all’ultima. Resterai con me, Olivia! Olivia (che a poco a poco, fino alla fine, riprenderà un aspetto naturale di donna) — Sarà difficile. Dovremo essere giudicati. Federigo — Ma tu no. Tu non hai commesso alcuna colpa. Olivia — Come lo puoi sapere, tu! Federigo — Tu sei stata una felice creatura vivente: un sol uomo, un amore solo... Io sarò giudi cato. E, a quel tribunale, sarà perfettamente inutile fare il retore. Io ho ucciso, ho incendiato, ho taglieg giato i deboli. Non ci sono attenuanti per questi delitti. Olivia — Dirai che ti sei comportato come tutti gli uomini in guerra. Federigo — No. Dirò: mi è stato dato il modo di prolungare la. vita. Forse si voleva sapere se l ’uo mo che beneficia d’un supplemento di vita giunge alla nausea della vita, si voleva sapere se la vita nell’uomo che ne è il locatario finisce per dissolversi da sola. E di questa vita disciolta, resta qualche cosa; la sua essenza, questa essenza senza fine profumata ch’è l’amore. L ’amore filtra oltre la vita stessa. Si abbarbica agli alberi, corre ai ruscelli. Perchè è il prolungamento di noi medesimi. Olivia — Non basta. Tu ragioni come un uomo che sia ancora in terra. Federigo — Allora, tenterò un’altra difesa. Ascolta, Olivia. Ho in questo sacco alcune anime che ho strappato al demonio. Questa è una cosa che conta, credo; dimostrerà che, almeno una volta, ho cercato di riscattare la mia coscienza a dispetto della mia anima stessa. Olivia — Ho paura, adesso. Federigo — Paura di che cosa! Non siamo più fra i vivi. Non abbiamo più l ’angoscia deH’ignoto. Olivia — Non so abbandonare quella forma d’amore che mi legava al tuo calore di uomo. Non so entrare rapida come te nella mia apparenza d’eternità. Federigo — Ecco: e io amo questa tua debolezza. Preferisco che tu sia. debole: questo m’insegna che io debbo essere forte, che debbo infine riprendere davanti a te la mia parte d’uomo. Olivia — Io sono la tua donna, la tua carne... E mi si strapperà da te! No... no... Federigo — E io dirò: Signore del Mondo, avanti a voi non sono che un uomo e una donna, il maschio e la femmina di tutte le specie, così com’è fra le for miche, fra i pesci, uniti nel volo, nel nuoto, nel lavorìo più segreto; uomo e donna spogli dei loro orpelli di piacere e di possesso. Olivia — Ma... e se non avrai risposta! Federigo — Ah! Ora sei tu che dubiti. Olivia — Se sarà silenzio, notte, oblio!... Federigo — Nel silenzio, in questo silenzio dove i cuori stessi non osano più battere, noi siamo l ’al leanza più umile e patetica: la voce dell’uomo e della donna che parlano dell’amore. In questa notte, noi siamo l’evidenza più banale e irriducibile: la luce dell’amore. In quest’oblio, siamo l’arma più infan tile ed efficace: la memoria dell’amore. Olivia — Prendimi la mano. Federigo — Trema, la tua mano. Olivia — Ho paura. Ma bisogna tentare di vin cere la paura. Federigo — La paura è vinta. La paura della tua mano non è più, nella mia mano, che un tremito moribondo. Iddio non ama coloro che tremano. Ama coloro che hanno fiducia nella calma delle loro mani unite... Il nostro amore è calmo. Dio non accoglie che la. calma. Olivia — Dio non accoglie che la calma... Federigo — La calma, o che altro possa essere, sul mare a mezzanotte, nel cuore cupo dopo la collera, nel sangue dopo la corsa, è la presenza di Dio... Olivia — La presenza di Dio... Federigo — Vieni: credo che ora io conosco Dio meglio di te... Vieni... Sono io che ti debbo guidare. (Spinge dolcemente Olivia verso il fondo mentre cala la tela). FINE DELLA COMMEDIA Tutti i diritti riservati all’Autore, amezzo del suo rappresentante per l’Italia, G. B. Bandone - Via Campania, 10 - Roma I C O M IC I IT A L IA N I M AESTRI DI TEATRO E’ proprio italiana la tendenza di sminuire l’importanza artistica della commedia dell’arte, coll’ar gomento delle scurrilità e con quello della scarsa civiltà dei pubblici d’allora. A dimostrar questa c’è perfino chi elenca i delitti commessi in quei secoli. Le testimonianze del tempo, se ne potrebbe raccogliere un vo lume, dovrebbero contar meno che le elucubrazioni dei critici nostri. Il Dal Cerro riporta una protesta del Perrucci contro gli istrioni che venivano a inquinare il mondo dei comici d’allora: e, con la citazione del Perrucci, vorrebbe quasi mostrare che era no allora tutti istrioni. Appunto con tale brano, invece, si può dire che se venivano notati gli istrioni ciò indica che la regola era degli artisti, i quali pure c’erano in proporzione, proprio come avviene ai tempi d’oggi. Scriveva lo stesso Perrucci che la Commedia dell’Arte è un «virtuoso esercizio, quando dalle sporchezze istrioniche venga pur gato ». Quelli che ritengono una « leggenda » l’arte nella « improv visa », ed ironizzano contro chi ritiene i comici di quella custodi del « sacro deposito della nazio nalità italiana » io credo che vo gliali riferirsi soltanto al valore letterario della Commedia del l’Arte: non tenendo conto che il suo valore è invece tutto tea trale, e nel senso più squisito. Che poi la « improvvisa » fosse premunita di una preparazione e concentrazione preventiva, a me non sembrerebbe che dimostri «sotto l’apparente ricchezza la povertà ». Noi gente di teatro, riteniamo che i grandi attori italiani siano IR F R A N C IA stati in certo senso, tutti degli improvvisatori nella tradizione della Commedia a braccia. Infat ti, quella che la Duse mi diceva «commedia ogni giorno rivissuta di nuovo » è esaltazione del prin cipio essenziale della commedia improvvisa. Appunto nella Duse questa improvvisazione era dive nuta, per sublime apparenza di assurdo, fedeltà alla parola stes sa, in relazione allo slancio sin cero, possibile all’attore in cia scun determinato giorno. Per questo, persino nella com media letteraria, seguendo vie di verse, — e cioè ottenendo, sia pur con espressioni diverse ogni volta, una identica potenza di ri sultati —■si è sempre giunti, in Italia, appunto a quella diver sità d’interpretazione ch’è propria della commedia dell’arte: varietà di quella che qualche ottocen tesco trattatista di recitazione, chiamava « personificabilità ». I veri attori italiani, pur inter pretando sempre nella stessa li nea un Amleto, non ripetono mai la loro parte nelle stesse ma niere e toni: perchè ogni giorno che la recitano, essi la rivivono; e, quel riviverla, è relativo alle condizioni fisiche e morali in cui gli attori si trovano in quel de terminato giorno. E la combinazione dei fattori nervi sentimento voce vitalità sensibilità ecc., non è mai la stessa, quando l’attore rivive una parte. Può esser la stessa quando la declama, come fanno i fran cesi e i tedeschi creatori delle espressioni tipiche modello, e amatori d’un cosidetto « stile » che s’è fatto maniera e stampi glia. Le possibilità del comme diante nostro, si riallacciano di rettamente alla più alta tradizio ne del temperamento italiano. Anche oggi, nella commedia let teraria, essi compiono il prodi gio di ripalpitar vergini le sen sazioni e le espressioni di una parte. Diceva Riccoboni che l’at tore, se dovesse improvvisare le parole del suo personaggio, in vece che ripeterle da un autore, difficilmente egli direbbe quelle parole, e in quel modo. Gli at tori della « improvvisa » erano bene esperti anche della comme dia sostenuta, che essi davano spesso. Il Bibbiena, Bruno, l’Ariosto, l’Aretino, Machiavelli, il Tasso, erano gli autori « di moda » per la commedia preme ditata. Essi servivano di paragone. I pregi della commedia letteraria equivalevano teatralmente quelli della commedia improvvisa? Correva allora una differenza tra la commedia improvvisa e quella premeditata, in quanto quest’ultima era fredda e manierata, de clamante e tutta a calcolo, mentre quella rinasceva ogni giorno. Ma oggi ancora corre tale differenza, tra gli attori italiani che rivivono la parte, e quelli che la ristam pano ogni sera, studiatamente eguale. Anche oggi, dunque, c’è una Commedia Improvvisa ed una Premeditata. La commedia dell’arte, sembra a me che non abbia dunque avuto soltanto il merito di portare sulla scena « l’elemento popolaresco e una certa libertà di movimenti » ma di avere definito l’estro di recitare rivivendo l’abilità del re citare per via di maniera. La commedia improvvisa ha scoperto l’arte caratteristica dei comici ita liani : quella che, appunto, il Perrucci osservava come qualità precipua del temperamento e del la genialità dei nostri (1). Dopo la commedia dell’arte, il nostro Paese è caduto in povertà di comici. L’ultimo ad appog giarsi alla forza di una scuola di commedianti di prim’ordine qua le essa era, fu il Goldoni. La sua buona battaglia in Italia e i suoi successi di Parigi furono molto sostenuti dalla vivacità dei comici che già facevano la com media dell’arte. Dopo di lui tor nò il mortorio. « Siccome — scri veva il Botta — tutto è natu ralezza in lui (Goldoni), così venne il fastidio, quando le esa gerazioni dei lanciatori di senti menti inondarono il teatro ». La pausa di decadenza fu cominciata a interporre dal Vestri e poi dal Modena. « Chi, riportandosi col pensiero alcuni anni indietro ■ — scriveva alla metà dello scorso secolo il Franceschi, maestro di recitazione ai Filodrammatici di Milano — si richiami alla mente lo stato dell’arte comica tra noi, sovvenir si deve che salve poche eccezioni, e tra queste il sommo Vestri, la recitazione e la decla mazione non erano se non un accozzamento di modi convenzio nali, una stucchevole ripetizione di mali suoni, di atteggiamenti e di gesti, da far parere i nostri comici tanti Chinesi che si di vertono da secoli e secoli a ri produrre gli stessi tipi nelle arti belle ». Il Modena tornò al verso natu rale, tanto da venirgli rimprove rato che nello sfuggir « l’amma nierato » recava troppo danno « all’ideale ». La scoperta e l’affermazione del più elevato, del sublime genere d’arte recitativa, come possibile soprattutto alle qualità singolari della nostra razza viva, non è piccolo merito: però gli eruditi ed i critici ne tengono conto, per spiegarsi, con ragioni meno pessimiste, l’ammirazione avuta per due secoli e mezzo : successo che contraddice in sostanza e alla base tutte le ragionate deduzioni tirate da particolari che i critici all’uopo ricercano, con molta sa gacia e sapienza ma sempre ad usum delphini. L’arte vera, grande, è sempre premeditata (come era premedi tata in certo senso la commedia improvvisa) ed è sempre improv visa (come è stata sempre im provvisa e ogni sera nuova, e pure ogni sera nell’identico stile delle precedenti, quello dei gran di temperamenti italiani) (2). La commedia a braccia è ap i fattori moralistici, come quelli letterari, diventavano secondari e laterali, essendo solo collaboranti. Ecco perchè da essi soli non potevasi per nulla capire l’insie me del risultato. Basilio Locatello, un autore quasi interamente inedito, di cui si conosce una raccolta manoscritta di canovacci alla Biblioteca Casatenense, nella introduzione a questa, scrive come sia da considerare che sono fatti per rappresentare all’improv parsa più nobile quando è stata ben premeditata: quella lettera ria è stata più grande, quando è stata improvvisa. Ecco perchè nel l’arte vera — ch’è sempre una — i due generi si toccano e si unifi cano; movendo le disquisizioni e le dotte contese di tanti critici. I quali non hanno ricordato che, giudicando la Commedia dell’Ar te, si giudicava del teatro: cioè un complesso d’espressioni di arti diverse, risultanti da una loro riunione in scena; e che però viso, «li quali si sogliono rego lare bene o male conforme li possono pensare gli autori, chè altro è l’officio del recitare altro è quello del poeta » (3). Si po trebbe dire che i canovacci da vano solo il pretesto alla rap presentazione, essendo quasi l’ul tima cosa. Così che giudicar la rappresentazione con i soli sce nari è vano. Mentre l’ammirazio ne dei cronisti non può far per venire alla sensibilità dei critici le emozioni comiche e tragiche provocate dai nostri grandissimi attori. Perfino a G. B. Lulli: «Baptiste, compositeur de la Musique des ballets représentant Scaramouche » i comici dissero e stam parono : « Aux plus savants docteurs je [sais faire la loi. Ma grimace vaut mieux que tout [leur préambule ». L’improvvisa «questa forma d’ar te — scrive il Moland — è stata prodotta unicamente in Italia perchè gli italiani hanno svilup pato in modo più raffinato che gli altri popoli, il talento del mimo e dell’attore » (4). E altrove il Moland stesso, ch’è tra i pochi entrati realmente nel significato del nostro teatro na zionale : « essa è evidentemente l’ultima parola dell’arte dram matica. La distinzione dell’autore dal declamatore è un procedi mento imperfetto, che non ha al tra giustificazione fuor che quella della natura umana. L’ideale è quello che la Commedia dell’Ar te cercò di realizzare, riunendo nella stessa persona il poeta e quegli che si incarica di far vi vere le finzioni » (5). E, meglio ancora, in un altro punto : «In quella che agli occhi degli ita liani è l’arte vera comica: nella commedia dell’arte, la parola è assolutamente subordinata; e a pena a pena conta » (6). Nel Nouveau Mercure Galant del l’ottobre 1716 si legge: «La ma niera con la quale i Commedian ti Italiani compongono e rappre sentano le loro Commedie, è in spiegabile e starei per dire in concepibile, per la quantità di piacevolezze e discorsi estempo ranei ch’essi vi aggiungono ». Ma la Histoire anecdotique du Théâ tre Italien, Paris 1769, si spiegava come uno spettacolo italiano ve nisse preparato. Il fatto di ag giungere alcune invenzioni estem poranee a tutto un componimento premeditato, presuppone resisten za di quest’ultimo. Adolfo Bartoli osserva, commentando il ca pitolo del Perrucci, dove dice della concertazione e delle « li cenze d’improvvisare » concesse ai comici in determinati punti del canovaccio, che le sue parole « ci fanno credere che tutto, o quasi tutto, dovesse essere fissato BIANCOLELLI Giuseppe-Domenico, detto Dominique (1640-1688) nel suo ruolo del «Dottore». Ritratto di Scuola Francese del XVII sec. Fu uno dei più grandi «Arlecchino» della Commedia dell’Arte, maestro di teatro in Francia. Per la dicitura della grande tavola a colori delle due pagine seguenti e Valtra consimile, vedi spiegazione a fine del saggio. BUSTO DI TIBERIO FIORI LLI (1608-1688) detto Scaramuccia. Fu il più completo e grande attore italiano del XVII secolo. Maestro di Molière. nella Commedia improvvisa; e ci vengono in mente, a questo pro posito, le parole di uno scenario di Flaminio Scala (Li duo finti notari) : « Gratiano... farà quello ch’ei vorrà; segno clic questo poter fare ciò che l’attore cre deva meglio in quel momento, era una eccezione alla regola ». Nè cessò col 1780 il fascino eser citato dalla « Comédie italienne ». Maria Antonietta, nel Teatro del Trianon, mise in scena in un solo trimestre tredici commedie italiane. Il teatro di salotto era la moda del tempo. C’erano al lora in Parigi centosessanta tea trini privati. E recitavano le stesse dame e i cavalieri, com presa Maria Antonietta; che quando era incinta, s’era fatta fabbbricare un palcoscenico nel fondo di un salone per goder selo dal letto... Anche nella fa mosa sala di « commedie da sa lotto»: il «Teatro dei Principi» di Clermont e d’Orléans, si dava uno spettacolo squisitamente ita liano: l’auspicato dai tempi no stri, music-hall di buon gusto (7). La Commedia dell’Arte, se do veva prima svegliare nei Fran cesi l’amore alle espressioni vive d’un’arte scenica ignorata (8) era pure destinata, in seguito, a fun zione ben più alta e preziosa. Mentre, infatti Luigi XIV fonda va l’« Opera» sui modelli italia ni (9) pensava egli insieme a sol- levar l’arte drammatica francese, con la «Comédie Française» alla quale era concesso un monopolio « afin de rendre les représenta tions des comédies plus parfai tes ». Ma Luigi XIV sapeva bene che l’antidoto a Racine poteva e doveva rappresentarlo la Comme dia dell’Arte italiana. Questa avrebbe mantenuto in onore l’e stro e la genialità, che la fredda compostezza del tragico neo classico doveva necessariamente smarrire. Va a parte considerato il feno meno dei Balletti di Luigi XIV. Anch’essi erano composti da ita liani. I più famosi furono di Francesco Buti. Vi prendevano parte, spesso, anche gli attori della « Comédie Italienne », oltre al Re e alla Corte. Luigi XIV ballò, suonò e cantò in non meno di venti balletti. A un certo punto parve avervi rinunziato e fu al lora che Racine osò schernire Nerone ridottosi « A venir prodiguer sa voix sur [le théâtre A reciter des chants qu’il veut [qu’on idolatre » ma, scrive il Castil Blaze in «Opera Italian», dopo pochi giorni il Re, anche in mancanza di Buti, si affrettò ad allestire gli Amants magnifiques « com media balletto di Molière e Lui- gi XIV » ov’egli figurava come autore, coreografo, mimo, cantan te, ballerino, suonatore di flauto e chitarra. Aveva imparato. Nelle lettere dirette da Atto Melani al principe Mattia di Toscana (10) il Mazzarino parla di un Amour malade, balletto dato alla Corte il 17 gennaio 1657, che, afferma lo Chouquet, era una commedia tradotta dall’italiano. Così pure i lavori fatti dal Baltasarini, vio linista piemontese, alla Corte di Caterina nel 1577. ...géomètre inventif [et l’adresse fais retourner au jour le dessein du Ballet composé en son tour [mesuré ! Ma nel far tutto questo si faceva chiamare in Francia col nome di Beaujoyeulx. E Armand Baschet, nella sua opera sui Comédiens Italiens parla (p. 88) del Beaujo yeulx e dei suoi Incantesimi di Circe dicendo che la gloria della rappresentazione non è degli ita liani (di Baltasarini), ma di Beaujoyeulx... « Ce fut le temp de la représen tation restée célèbre des Enchan tements de Circe, mais c’était plus l’affaire du célèbre metteur en scène Balthazar de Beaujo yeulx que celle d’anciens comé diens italiens ». Si tratta del «Balet comique et Mademoiselle de Vaudemont sa soeur, par Bal thazar de Beaujoyeulx, valet de chambre - Le Roy Robert Ballerd et Mamerd Pâtisson, imprimeurs du Roy 1582 » (11). Così per la Finta pazza dello Strozzi. Scrive lo Chouquet che «Les chanteurs et baladins qu’il (Mazarino) fit venir à Paris, dé butèrent le 14 décembre 1645, à la salle du Petit Bourbon. La pièce qu’ils représentèrent était intitulée: Festa teatrale della Fin ta pazza. Cette oeuvre singulière de Jules Strozzi, que Jacques Torelli embellit de ses machi nes était en partie déclamée et en partie chantée. Marguerite Bertolazzi (della Compagnia di Giuseppe Bianchi, Capitan Spezzaferro, ov’era Scaramuccia), s’y distingue comme cantatrice, sortout dans le prologue et chaque acte contenait un divertissement par la Bella ». Ma non è vero che Stefano Dal la Bella avesse inventato i « di vertissement ». Egli aveva solo stampato delle incisioni della Festa teatrale, donde venne que sta credenza. La invenzione era di Jacopo Torelli (12). Ma tornando ai comici dell’arte, vedremo che le loro lotte per questi successi, non furono d’al tronde poche. Nel 1576 i « Con frères ide la Passion» (13), che avevano l’assoluto monopolio del teatro (14), ottengono dal Parla mento che i « Gelosi » protetti dal Re e installati all’Hôtel de Bour gogne, siano tenuti a rispettare anch’essi la privativa della Con fraternita. Ma i Gelosi continua no lo stesso (15). Altre compa gnie seguirono quelle dei « Ge- losi ». E perfino i « Confrères » dettero in affitto il loro teatro agli italiani che, del resto, recitan do nella lingua loro, non face vano spettacoli per una gran folla. Anzi esistono degli atti ri portati da Soulié (16), che ci in formano come i Padri della Pas sione abbiano proprio ceduto re golarmente il loro diritto, nel 1578, nel 1583 e nel 1596. Ed è probabile che questa cessione sia stata fatta proprio ai nostri, per intercessione del Re stesso. Il Bonnassies (17) scrive che l’in ventario dei titoli del Teatro dei Fratelli della Passione, preso in locazione dai nostri, è utile fino ad un certo punto perchè « on ne connait pas le nom de tous ceux qui jouèrent régulièrement à l’Hòtel de 1588 à 1639, il est difficile de savoir si les actes en question s’appliquent à des troupes qui étaient de passage a Paris ». Sappiamo invece che dal 1588 al 1630, furono a Parigi: 1. Anton Maria Veneto; 2. Soldini Fioren tino (spesso riuniti); 3. I Gelosi; 4. La Compagnia del Duca di Mantova con Tristano Martinel- li; 5. I comici fedeli con G. B. Andreini. A costoro, senza dubbio, fu fittato il teatro dei Fratelli della Passione. Contro i quali i nostri condussero una campagna bene impostata, che durò parecchi an ni, e che infine riuscì vittoriosa. Ad essa appartiene, in una mi scellanea della Biblioteca Nazio nale di Parigi, l’esemplare d’un libretto del 1631 intitolato Re monstrance au Roy et à N. N. S. S. de son conseil pour Vabrogation de la Confrérie de la Pas sion en favor de la troupe roya le des Comédiens. Questo libret to è una apologia del teatro e dei comici vivace e divertente, dove essi promettono che se sa rà abolito il privilegio della Confraternita, essi a proprie spe se rifaranno l’Hôtel de Bourgo gne « à la façon des batiments d’Italie ». Ma i comici nostri per il momento non vi riescono. So lo nel 1777 essi, i Fratelli della Passione, dovettero restituire le concessioni di monopolio, come risulta dagli Archivi Nazionali, nei Registri del Consiglio del- l’anno 1675 e dalle Ordinanze di Luigi XIV. Gli italiani in quell’anno diven tano dunque i titolari del bene ficio « la seule Troupe Royale » e più che mai privilegiata. La critica moderna ha partico larmente dimostrato che Molière non sempre inventava i suoi sog getti, ma li domandava un po’ a lutti e oltre che a Plauto e Te renzio come fecero anche i no stri, egli si ispirò al Boccaccio e anzitutto ai canovacci della Commedia dell’Arte dicendo : «Je prends mon bien où je le trouve» (18). Quando, subissato dai fiaschi e dalle mele cotte per le sue tragedie infelici, egli con una commedia attinse al primo successo come autore, l’ottenne imitando con il suo Stordito, VInavvertita di Nicolò Barbieri. E vedremo che, avendo il sistema fatto sì buona prova, egli, natu ralmente, vi insistette. Scrive il Dal Cerro (19) «egli saccheggia va allegramente » e « non lo na scondeva, anzi ne menava vanto e diceva che il bello non ha padrone, ed è preda di chiun que : proprio res nullius ». E’ noto che Molière studiasse molto l’arte di Tiberio Fiorilli, Scaramuccia. Nella Vie de Sca- ramouche, pubblicata nel 1695 da Angelo Costantini, « comédien ordinaire du Roi » nel ruolo di Mezzettino, sotto il ritratto di Fiorilli sono scritti questi versi notissimi : Cet illustre comédien [manière Attegnit de son art l’agréable Il fut le maitre de Molière Et la nature fut le sien. Secondo Costantini, Molière at tore lo divenne: Scaramuccia c’era nato. E il parere dell’auto re di questa Vita, sia stato esso il Costantini o no, è notevole poi ché lo scrittore non pare uno sciocco. Il libro è arguto e sa dove vuole arrivare coi suoi aneddoti e coi pettegolezzi don de è intessuto. Alcuni dicono che questa della scuola fatta da Ti berio Fiorilli al Molière, sia infi ne una gonfiatura e voglia dire soltanto l’ammirazione che il francese avesse per Scaramuccia. Ma nella Elomire hipocondre di Boulanger de Chalussay si legge chiaramente che Molière prese dal Fiorilli alcune vere e proprie lezioni di mimica, e che a lui egli deve i suoi progressi di at tore. ... Par exemple, Elomire Veut se rendre parfait dans l’art [de faire rire; Que fait-il le matois dans [ce hardi dessein? Chez le grand Scaramouche il va [soir et matin. Là, le miroir en main et ce [grand homme en face il n’est contorsion, posture, ni [grimace que ce grand écolier du plus [grand des boufEons ne fasse et ne refasse en cent [façons: Tantôt, pour exprimer les soucis [d’un ménage de mille et mille plis il fronce [son visage, puis, joignant la pâleur à ces [rides qu’il fait, d’un mari malheureux il est le [vrai portrait. Après, poussant plus loin cette [triste figure, d’un cocu, d’un jaloux il en fait [le peinture, etc. La rara ma famosa edizione di questo lavoro altrove citato co me Elomire ou les médicins vengés, porta una incisione di L. Meyer, ove si vede « Scara muccia maestro » con un budello gonfio in mano e « Elomire (Mo- lière) studente » con uno spec chio in mano che rifa le espres sioni del suo maestro (20). P. L. Duchartre ha trovato, non dice dove, un’altra testimonianza an cora : « Si può dire di Scaramuc cia, che non appare più sulle scene : homo non periit, sed periit artifex. Egli era il mimo più perfetto, che abbiamo avuto. Mo lière, originale francese, non ha mai perso una rappresentazione di questo originale italiano» (21). Molière, si vede altrove, aveva preso Scaramuccia proprio come modello, nel recitar Sganarello del Cocu imaginaire, ma era sempre Molière che con questo dava a Tiberio Fiorilli una pa tente di nobiltà... Almeno così la pensa il nostro eccellente amico Duchartre: «Senza Molière, ap pena qualche incisione ci avreb be oggi parlato di lui ». Povero Scaramuccia. I. N. Tralage (22) scriveva: «Mo lière stimava fortemente Scara muccia per la sua arte naturale: egli andava a vederlo recitare spessissimo e sul suo modello ha formato i migliori attori della propria Compagnia ». E altrove : « Il signor Angelo (il dottor Baloardo, un commediante) mi ha detto (al Tralage) tempo fa, ch’egli aveva un giorno incon trato il signor Molière nel giar dino del Palazzo Reale e dopo avergli parlalo di alcune novità del teatro e d’altro, egli (il si gnor Angelo) ebbe a dirgli d’aver veduto rappresentare a Napoli una commedia intitolata Le misanthrope, e che bisognerebbe trattare tale soggeto. Gliene ri ferì, in quello, la trama e perfino alcuni particolari che gli eran parsi notevoli, tra cui, il caratte re d’un cortigiano fannullone che si diverte a sputare in un pozzo per fare i circoli. Molière l’ascol tò con molta attenzione e dopo quindici giorni il signor Angelo fu sorpreso di vedere, in un av viso della ” Commedia France se” ov’era Molière, che essi pro mettevano ”Le misanthrope, comédie de M. de Molière ”, e cir ca tre settimane dopo o al più un mese, si rappresentò questa commedia. « Io gli risposi che mi pareva strano che un così bel lavoro in cinque atti, con versi così belli, fosse stato scritto in così poco tempo (23). Egli obbiettò subito che ciò pareva incredibile, inve ro, ch’egli non ne dubitava pun to, avendolo appreso da buona fonte; mentre tutto ciò che ave va detto era esattissimo, non avendo egli nessun interesse a deformare la verità». Molière e i suoi contemporanei di mestiere, sapevano più che noi oggi, quanto in un lavoro teatra le conti l’invenzione della trama e quanto meno la poesia. D’altra parte ricordo che il Gauthier, in terrogato dal Flaubert su Moliè re poeta, rispose: «Penso che come tappezziere egli ebbe for se del merito, ma come poeta, chi sa con quali fischi l’avrebbe ro accolto se fosse apparso la prima volta nel 1830 ». Dei rapporti di Molière con gli italiani, il Palaprat (24) esclama va: «Chi ci ridarà le meraviglie di Domenico (Biancolelli, l’Ar lecchino) e il fascino della natu ra parlante essa stessa a viso sve lato, sotto la maschera di Scara muccia? Questo grande attore (Molière) e mille volte ancora più gran poeta, viveva in sì stretta familiarità con gli italiani, però ch’essi eran tutti attori veri e gente onesta assai: alla nostra tavola c’eran sempre due o tre di loro ». Li invitava a pranzo e recitava spesso con loro in maschera. Un quadro che si trova alla « Co médie Française» rappresenta Domenico Biancolelli, il famoso Arlecchino, con le altre masche re, tra cui Molière. L’iscrizione in lettere d’oro dice: «Farceurs français et italiens, depuis soixan te ans. Peint en 1671 ». Molière era arrivato allora dalla provincia. Era il 1658 ed egli al ternava con gli italiani i suoi spettacoli al « Petit Bourbon ». Quando lavorava la Compagnia di Scaramuccia nelle recite, dette per ciò « giornate straordinarie », Molière era in riposo nel pub blico. Il Cotolendi, in Le libre sans nom afferma che « se gli italiani non fossero venuti in Francia, Molière non sarebbe stato ciò che è stato ». E questo è pacifico. Circa il repertorio di Scaramuc cia e le imitazioni di Molière esiste alla Biblioteca Casanatense, un Convitato di pietra che a suo tempo indicai al Duchartre, citato autore della « Comédie Italienne»; questo canovaccio è forse il copione del Convitato di pietra che suggerì a Molière l’idea del suo Don Juan. Tale canovaccio è tolto dal ma noscritto dell’Opere Regie di Ciro Monarca, dei quali primo è il Medico in suo onore, reci tato in Firenze il 17 ottobre 1642, e il più prossimo per epoca, a quello che nel 1657 fu recitato dalla compagnia di Domenico Biancolelli e dal quale Molière fece « plus d’un emprunt » per il suo Don Juan (25). Il Molière pensò bene di rifare anche lui la commedia, dato il grande successo ch’essa riportava dovunque. Fu dunque una con siderazione d’ordine pratico più che artistico: mentre nel rifare il Tartufo, da Lo ipocrito di Pie tro Aretino, lo ispirava forse una ragione più elevata. Infatti il Tartufo proviene da Lo ipocri to; come ha dimostrato con un chiaro parallelo il Moland (26), sviluppato da A. Sibillia (27). « Les analogies — scrive il Mo- land — entre l’oeuvre de l’Aretin e l’oeuvre de Molière sont très sensibles. Le personnage prin cipal de la comédie Lo ipocrita a de comun avec Tartuffe non seulement l’ypocrisie, mais enco re le gourmandise et la sensua lité. Il employe les mêmes moyens pour conquérir son pre stige et son influence: simargrées pieuses, humilté feinte, jargon de la devotion. Il est placé dans un milieu pareil, au sein de la fa mille, où il exerce autorité dan gereuse. Une égale débilité de esprit caractérise les deux chefs de maison et les valets de Liseo n’ont pas l’oeil moins clairvoyant ni la parole moins impertinente que la servante de Dorine ». E, per giunta, osserva il Dal Cerro, il Tartufo è un cattivo rifacimen to (28) de Lo ipocrito. Così il Dépit amoureux (1656) è cavato da L’interesse di Nicola Secchi, secondo quanto asserisce lo stesso Moland (29), e Sganarelle ou le cocu imaginaire (1860) da un canovaccio italiano che suonava II ritratto, ovvero Ar lecchino cornuto per opinione (30) e Don Garde de Navarra è quasi una traduzione letterale da Le gelosie fortunate del principe Rodrigo di G. A. Ciccognini di Prato; e l’Etourdi, da L’inav vertito, ovvero Scappino distur bato et Mezzettino travagliato, di Beltrame, come ha dimostrato con un preciso parallelo il Mo land (31). La parte che vi aggiun se — osserva il Dal Cerro — la prese da due commedie italiane: l’Emilia di Luigi Groto e l’An gelica di Fabrizio de Fornaris. Quindi il Medicin volant è il Medico volante, di Domenico Biancolelli « Commedia fatta dai commedianti » (32) ; la Jalousie du Barbouillé è rifacimento da farsa italiana (33); Les fâcheux secondo il De Charni (34) derivano da La casa svaligiata di cui parla il Riccoboni (35) e recitata prima col titolo Arlequin dèvalisseur de maison, eppoi col titolo Panta lon amant malheureux recitata a Parigi il 27 maggio 1716 (36); il principio del monologo di Argan del Malade imaginaire è preso dal canovaccio II pauroso allog giato all’osteria del Lombardo di Alliotto astigiano (tanto accusato di copiare le « sottises » francesi) ; e la satira del pedante aristote lico del Candelaio di Giordano Bruno, è servita di modello a un intermezzo dello stesso Sup posto malato. A sua volta lo stratagemma immaginato da Isa bella della Ecole des maris, per far pervenire a Valerio un suo biglietto, si trova nel Ritratto, scenario della Compagnia dei Gelosi. La scena assai comica dell’Avaro, in cui Cleonte fa un dono alla sua amante a spese di Arpagone, è tolta di peso dalla Casa svaligiata di cui sopra; mentre Les fourberies de Scapin è italiana nella maggior parte dei particolari (37). Nè si tratta solo delle trame che Molière prende in prestito dagli italiani insieme all’arte mimica, bensì trattasi del « genere » e dell’« arte » ch’egli assorbe mirabil mente dai nostri: gli incidenti che variano all’infinito, e la va rietà delle espressioni mimiche; le situazioni grottesche con la modulazione caricaturale della voce e della dizione; i lazzi e i giochi scenici di maggiore ef fetto con tutte le più pittoresche trovate teatrali dei nostri. L’in- sterne più moderato, più discipli nato, senza la parte di saltim banco, di giocoliere, di presti giatore d’abilità e destrezza, che i nostri avevano ereditato dagli an tichi mimi, per razza. Senza dire che lo stesso criterio seguito se non altro, da Molière nel costi tuire i programmi, è quello de gli italiani, che egli sa apprezza re e rifare con la farsa finale e le piacevolezze delle scene sinte tiche, dette così da noi moderni. Lo stile del suo carattere di at tor comico italiano era italianis simo. Le diavolerie ch’egli faceva in scena, giungevano in lui fino alla improvvisazione che era la specialità dei nostri. Giunsero a fargli mettere addirittura la ma schera di Zanni nel ruolo di Mascarillo quando egli contraffece, secondo quanto assicura Yilliers, il marchese nelle Preziose ridi cole. Il De Amicis osserva che la com media letteraria non ride schiet tamente come la danza di Ari stofane e Molière. Ma quest’ultima ha imparato a ridere andan do ogni giorno agli spettacoli di Arlecchino... Era chiaro che tutto questo av veniva per la superiorità degli italiani e per il fatto che Moliè re lavorava — cioè faceva le prove — insieme con gli italiani, « vale a dire — scrive il Palaprat — nello stesso ” milieu ” e nello stesso ’’ moment” ». Nè Molière, abbiamo veduto, na scondeva questa sua intenzione. Tanto vero, per esempio, che egli « traduceva », non contraffa ceva, il nome di Mascarillo in Mascarille, come il titolo di Ar lecchino cornuto per opinione in Sganarelle, cocu imaginaire. Lo stesso Pierrot, discendente da Pieno e Pedrolino, che nel Cin quecento era già coi Gelosi, aven do lo stesso carattere grazioso ed elegante (38) non è stato inventato da Molière (39) ma è Pedrolino, vestito anch’esso di bianco, sen za maschera, col viso infarinato ingenuo e dolce, fanciullesco e addormentato. Come, osserva poi P. L. Duchartre, Gillotin non è che Giglio degli « Intronati » e Paillasse, è Pagliaccio (senza però significare « paille hachée »)... Gli « italiani », deduce altrove lo stesso Duchartre dagli aneddoti e dalle testimonianze, non sono stati per Molière semplicemente dei camerati interessanti. « Si può affermare — egli scrive — ch’essi gli hanno rivelato come l’attore, senza il sapere della pantomima e dell’improvvisazione, altro non è che un recitante, un passa pa rola, che dà l’impressione d’un uomo vivo quasi quanto una ve scica sgonfiata ». Si sente che Mo lière ha studiato appassionata mente l’arte scenica di questi uomini, commedianti nati, che per eredità portavano nelle vene l’istinto della Commedia del l’Arte. Ciò che Goldoni tanto ammirava in Molière non era che il prodotto delPammirazione che Molière portava al genere vivo della recita italiana. I tipi, infatti, delle maschere nostre era no sempre quelle, ma qual vita non li trasformava ogni giorno nuovamente? E’ di questo che non tiene conto, nel criticare la Commedia dell’Arte, chi non tro va ragione d’apprezzarla. « In tutti codesti personaggi (di Mo lière) si sente la vita », scrive il Dal Cerro (40). Ma codesta vita dove l’aveva appresa il Molière, se gli attori e le tragedie fran cesi erano fossilizzati nella imi tazione del classico? « Molière — riconosce il Moland (41) — do vette principalmente agli italia ni il movimento del suo teatro. L’azione drammatica non sembra essere stata molto spontanea allo •spirito francese, proclive invece ai discorsi. Fin dalle origini il dialogo assunse, nelle nostre sce ne (francesi) uno sviluppo che pregiudicava l’azione». «Invece in Italia il movimento e l’azione regnano sovranamente sulle sce ne... Epperò quale miniera ab bondante di trovate sceniche, di intrecci ingegnosi, d’improvvisi e sensazionali colpi di scena, essi ci offrono. Molière si guardò bene dallo sdegnare le lezioni di questi maestri ». Anche quando, salito in fama, arrivò a Parigi il Riccoboni, que st’ultimo invitato, colla Compa gnia che conduceva, alla corte di Francia... «là mantenne sulle sce ne l’onor della commedia ita liana a fronte di Molière stesso ». La fama degli italiani era alta e potente in quel tempo. Consi derati maestri e innovatori, venivan loro concessi grandi onori. Solo con questo si spiega come alcuni commedianti italiani fos sero elevati a gradi militari e alla loro morte si celebrassero le esequie tanto imponenti raccon tate dai cronisti. E’ con questo che si può spiegare perchè al po vero Molière non venne conces- so onore pari al suo merito, quando fu « condotto silenziosa mente, alle nove della sera, di rettamente al piccolo cimitero di San Giuseppe ». Quando nel 1673 Molière morì, si può dire che gli italiani assorbirono quasi del tut to la Compagnia. I documenti che mostrano l’in fluenza esercitata dal genere di spettacolo importato in Francia dai nostri, dovrebbero essere ac curatamente raccolti. Tra questi sono preziose le tracce delle Com pagnie italiane e dei repertori di imitazione italiana, dati negli spettacoli « forains ». Quando nel 1679 Madame de Maintenon chiuse i teatri italiani (ella li aveva fatti diffidare ad essere meno licenziosi: e questi avevano risposto con una com media intitolata Le fausse prude e vennero cacciati via...), fu allo ra che nacque l’idea di sosti tuire accuratamente la Commedia dell’Arte con gli « Spectacles fo rains », i quali già imitavano, con molto chiasso e arte poca, il si stema italiano. E’ del 12 marzo 1682 il se guente manifesto: LA TROUPE ROYALE DU GRAND SCOT ROMAIN vi darà ogni giorno gli stessi Divertissements che essa dà a Sua Maestà Cristianissima, a tutta la Corte e a tutte le Teste Coronate d’Europa e d’Asia Il Grande Scotto berrà una incredibile quantità d’acqua ch’egli convertirà in ogni sorta di vino, in latte, in inchiostro e in acque odorifere di varia essenza. E poi farà ogni giorno una delle Meraviglie qui sotto elencate: Farà uscire dalla sua bocca dell’insalata fresca come quella delle Halles due piatti pieni di veri pesci vivi rose, tulipani e diversi altri fiori belli freschi, come quelli del Giardino Primavera. E. oltre agli uccelli vivi egli si farà uscire tre o quattrocento pezzi d’oro, delle cravatte, dei pizzi, dei nastri e mille altre curiosità che qui non si possono spiegare, e che vanno al di là dell’immaginazione. Vedrete anche un Equilibrista sulla corda che ammirerete per la sua destrezza sorprendente e inconcepibile. Oltre a tutto questo la sua Troupe Italiana darà ogni giorno una nuova, divertentissima farsa. Si pagheranno due Luigi d’oro per il Palco intero; uno scudo per ciascun posto nei Palchi e nella platea; venti soldi in Galleria; e dieci soldi al Parterre. Si comincerà alle quattro precise. E’ proibito a chiunque, per ordine di Sua Maestà, compresi gli Ufficiali della Sua Casa di entrare senza pagare. Chi credesse scandalizzarsi nel vedere che tra gli Illustrissimi Personaggi della Commedia del l’Arte vi fossero dei saltimban chi, sappia infine ch’essi erano considerati tali appunto. Venivan pagati « per aver saltato da vanti a Sua Maestà ». A questo proposito, il lettore potrebbe edi ficarsi se gli capitasse di poter leggere il raro libretto di Buo nafede Vitali, un Cagliostro me no famoso del Settecento, mece nate dell’arte comica: La difesa della professione del saltimbanco, pubblicata nel 1732. Quando gli italiani tornarono a Parigi con Luigi XV, si rimisero di propria volontà a lavorare di estate alla fiera Saint Laurent. Ma alla «Foire» era troppo primi tivo. Abbiamo vari documenti grafici della ricchezza di scene usate in quel tempo e delle spe se favolose che si dedicavano al l’allestimento. Saltimbanchi, dun que, ma considerati altamente. Alcune multe applicate ai dan zatori di corda e commedianti della «Foire », ci avvertono del le restrizioni contro alcune com medie dell9antico Teatro italiano avute verso il 1702. Il processo verbale della contravvenzione fa una descrizione dello spettacolo come allora s’usava dare. «...Les chandelles ayant été al lumées et une toile levée, aurait été fait un jeu de Marionnettes, lequel fini, l’on aurait encore levé une autre toile; il a paru un théâtre fort long, composé de plusieurs ailes et décorations, 'et un enfoncement en perspective et a paru d’abord un acteur dans l’habit d’Arlequin, qui a fait un dialogue; ensuite il est venu un autre acteur habillé en Scaramouche, et un autre, habillé en Docteur, lesquels, l’un après l’au tre, parlants seuls, se fasaient des dialogues les uns aux autres, et se répondaient tantôt à demibas; auquel cas celui qui parlait haut achevait d’expliquer ce qu’on pouvait n’avoir pas entendu du discours de l’autre; et, après plu sieurs autres scènes de même na ture, danses et chansons qui com posent ensemble une comédie en trois actes, sous le titre de Scaramouche pédant scrupuleux d’Ar lequin écolier ignorant, et la pièce étant finie par une ma chine en forme de dragon qui a été tué par un des acteurs et Ar lequin l’acteur qui était habillé en Scaramouche serait venu au-de vant du théâtre annoncer pour le lendemain samedi la comé die intitulée: le Triomphe de l’Amour ». D’altronde i commedianti prote stavano in quegli stessi anni con tro i plagi. Conseguenze del troppo successo. Un ricorso al «lieutenant de police », porta i processi verbali dell’ll, 30 e 31 agosto 1707 in cui Tiberio Fiorilli o chi per esso domanda sia applicato il decreto del 22 feb braio, emesso a favore dei loro diritti d’autore, date le imitazio ni come la seguente: «...Ayant pris place dans une loge, nous avons observé qu’après que les Marionnettes ont été jouées sur le théâtre, il a paru un Scaramouche et plusieurs ac teurs, au nombre de sept, qui ont représenté une comédie en trois acts, ayant pour titre: Scara mouche pédant scrupuleux; que, presque à toutes les scènes, l’ac teur qui avait parlé se retirait dans la coulisse et revenait dans l’instant sur le théâtre, ou l’ac teur qui était resté parlait à son tour et formait par là une espèce de dialogue: que les mêmes ac teurs se parlaient et répondaient dans les coulisses, et que, d’au trefois, l’acteur répétait tout haut ce que son camarade lui avait dit tout bas; que la pièce a fini par trois danses différentes et une chansons chantée par un acteur; après quoi l’un des mêmes ac- teurs a annoncé pour le lende main la pièce intitulée: La fille savante ou Isabelle fille capi taine ». E’ dell’anno 1709 il seguente ma- nifesto che mostra come una rappresentazione, per raccoman darsi al pubblico, doveva essere annunciata come « dans le goùt italien ». (Armi del Re) PAR PERMISSION DU ROI (Armi del Cardinale) et de Monsieur le lieutenant Général de Police la Troupe de Son Altesse Royale Monseigneur le duc d’Orléans, Vous avertit qu’elle vous donnera les Divertissements, nouveau dans la goût italien, par Monologues: L’on changera tous les jours de divertissements. C’est dans la grande Loge du Sieur Celle, dans le Préaux de la Foire St. Germain. Le prix ordinaire, la pièce de trente sols neuve tant au Théâtre, que Loges et Parquet; Douze sols aux Galleries, Cinq sols au Parterre. L’on commencera à cinq heures. E’ dello stesso anno la rappre sentazione del canovaccio Scaramouche, pédant scrupuleux, da ta «per monologhi» alla Foire Saint Laurent. Allo scopo di « braver les défenses obtenues par les comédiens français », al la « Foire » si presentavano in scena uno per volta. Le compagnie di imitatori « dans le goût italien » erano un po’ di tutti i paesi. Il Duchartre ce ne rivela una perfino a Vienna nel secolo XVIII composta da tutti attori tedeschi, che lavoravano all’italiana, con le maschere del Dottore, Pantalone, Bernardone ed altri. Dalle carte degli archivi della « Comédie », risulta come gli svizzeri, che nel 1710 lavoravano in piazza imitando la Commedia dell’Arte, caduti in contravven zione alla Foire Saint Germain decidono di lavorare alla Foi re Saint Laurent, recitando « à la muette »: cioè con la sola mi mica: e, per vendicarsi delle per secuzioni imposte per le que rele presentate dai « comédiens français », essi parodiavano le commedie storiche, i gesti enfa tici e le intonazioni eroiche dei «romani » (così essi chiamavano gli attori delle tragedie neo classiche). Lo spirito di queste parodie era esattamente italiano: della Commedia dell’Arte. Nel 1711, vediamo ancora, per via di una contravvenzione pre sentata dalla « Comédie Françai se», come erede del privilegio reale della esclusività concessa al la « Comédie Italienne », che il commediante Allard rappresenta va delle farse con Arlecchino e scene mute; nella quali però si mostravano a leggere al pubblico cartelli con scrittavi la comme dia che era proibita recitare... « qu’on représentait des scènes muettes expliquées par des écri teaux sur lesquels son écrites les chansons convenables à chaque endroit, en sorte que cela leur donne le moyen de s’exprimer et représenter à peu près de la même manière que s’ils avaient la faculté de parler ». Nel 1713 Le Sage dette ancora del le « pièces à la muette », con iscrizioni che Pantalone o il Dot tore srotolavano poco a poco, e sulle quali gli spettatori legge vano le battute. Tra queste, « Ar lequin roi de Serendib », dove Mezzettino prima di uccidere Arlecchino gli chiede quale sia la sua patria, al che risponde il rotolo: C’est à Bergame; hélas! en Italie Qu’une tripière en ses flancs m’a [porté. Le imitazioni dalla Commedia dell’Arte erano la base del Tea tro de la Foire. Pellegrin dava Arlequin aux Champs Elysées, le Aventures comiques d’Arlequin, il Mariage d’Arlequin, Arlequin à la guinguette... Scrive P. L. Duchartre: «On voit par là (il genere) combien le Théâtre de la Foire était resté dans l’esprit de la Comédie Italienne, avec ces bouffonneries souvent gros sières, mais drôles ». Così le commedie a parodie di Le Sage e degli altri, sono appunto, nello spirito della Commedia Italiana, come tutti gli spettacoli delle fiere da cui il Gernardin fa de rivare il vaudeville, l’opera coinique, la revue. Sicché se il Gozzi, come sostiene il Dal Cer ro, somigliò alla «Foire», ciò avvenne perchè la «Foire» so migliava agli italiani, essendo spettacolo « dans le goût ita lien »... Un esame del repertorio della «Foire», dimostra come non soltanto le maschere italiane era no state conservate, ma lo spi ritaccio ; che è quel che conta. Anche il Dal Cerro riconosce che « del resto, anche il ” teatro a braccia ” italiano aveva reso po polare la commedia a base di fantasia, di meraviglioso ». L’Arcadia incantata, difatti, del p. Adriani (mas. di Perugia), ha boschi incantati, maghi, trasfor mazioni fantastiche, insomma tut to il « fabbisogno » d’un «Teatro de la Foire». Sempre da documenti originali risulta che nel 1721: i Comédiens Français non facevano ricorsi contro i comici della «Foire», allo scopo di infastidire la Co mèdie Italienne ristabilita nel 1716 e in quel momento alla fie ra Saint Laurent. I forains « pro tégés par des personnes de di stinction » fanno perfino prosa e vaudeville in barba alle priva tive... Alla fine però gli italiani la spuntano e la Corte decide come nel 1718, che alla « Foire » non possono esservi che balleri ni di corda, marionette e curio sità. Anche stavolta gli imitatori non se la danno per vinta. Il comme diante Francisque dà l’Arlecchi no Deucalione di Piron, e, poi ché non poteva mandar in scena mai più d’un attore per volta, fabbrica un gran Pulcinella di legno e si mette a rivolgere gran discorsi a questo compare, men tre una voce risponde tra le quinte. Così il processo non potè intimare contravvenzioni di sor ta, il magistrato non avendo preveduto che si potesse creare il dialogo con un Pulcinella di legno. L’incremento delle marionette nacque da codesta sorta di proi bizioni e protezioni concesse ai teatri grandi. Ma, anche le ma rionette avevano le maschere ita liane. Contro di queste si scagliò il censore Abbate Chèrier, auto re di una Polissoniana e dei rap porti conservati alla Bibliothèque de l’Arsenal. Il Pulcinella di legno non doveva rispondere in scena: quindi il permesso non è dato « qu’à la charge de les représenter dans son idiome, qui est celui du sif flet pratique. Il faut encore qu’il se referme dans son instituition qui est d’avoir sur son théâtre un voisin ou compère qui l’inter roge par demandes et à qui Po lichinelle répond avec sa préci sion polissonnique ordinaire ». Allora il capocomico scrive dal sipario, sotto il ritratto di Pul cinella : «J’en valois bien d’au tres... ». Nel 1760 cominciano le nuove lotte tra la « Comèdie Italienne », quella «Française » e l’« Opéra », contro i «forains» imitatori de gli italiani, parodiatori dei fran cesi e musici per giunta. Nel 1767 il Duca della Vrillière, ministro di Parigi, per incarico del Re, scrive al Luogotenente di Polizia affinchè protegga i privilegi. Non vengono autoriz zati che i danzatori di corda, le pantomime, le marionette e le « parades », con proibizione asso luta di recitare commedie o sce ne della « Comédie Française » e della « Comédie Italienne » o al tri componimenti ch’essi possono far scrivere sia in dialogo o al vaudeville, anche nel caso ch’es si vengano dati a mezzo di ma rionette; ciò «con la minaccia di sentirsi condannare alla pena di tremila lire di ammenda verso l’una e l’altra, commedia, non ché alla demolizione dei loro teatri ». Nel gennaio 1762 la « Comédie Italienne » ottiene che l’« Opéra Comique », antico «Teatro de la Foire» di Saint Laurent, sia unita ad essa. Ma gli italiani dovettero, allora, trattare con l’« Opéra » per ottenere il permesso di can tare o di tenere un’orchestra. Il privilegio concesso dal Re all’« Opéra », dava appunto la esclu sività di questo ; e l’« Opéra » ci speculava. Anzi, era spesso il di rettore dell’« Opéra » che, conce dendo i permessi « batteva mone- EVARISTO GHEKAEDI (1663-1700) celebre «Arlecchino», esordì nella Commedia Italiana a Parigi, dopo essersi laureato in filosofìa. Scrittore e commediografo non comune, la sua opera «Teatro Ita liano » è la pubblicazione più importante per la storia dei nostri comici dopo gli «Scenari » di Flaminio Scala. * Nella foto sotto : uno dei libri più rari tra quelli che riguardano gli attori italiani : La vie de Scaramouche di Angelo Constantini, comico della Com media italiana in Francia, detto «Mezetin». Il libro fu pubbli cato nel 1695 ed è la biografia del suo celebre compagno Tiberio Fiorilli, maestro di Molière. •kV.“;W-vmww,toJ„ ¡ero*aijfvj Amj,ì t»W .<-‘R i A.VsltA srj.H TvE xT,,,,, hJO. ’W D 'I S A B E L L A A N D 'R E I N I PADOVANA. CorneaCtkfik>&* */tadetmeabeimi*, mmtttMa Ufi ccSSA. Di gtìaotopregioiiafbonorc, MS flettepartii damemmma mjfiocoemfirtgsm adCutter m$*<*pii* dt rtgmrdooff't»mr mìeper hattm»irf3di tjtueila, ehi: VhsèèutteCattateper hpacate., _ , . ^fhfu^r »*&fai* dèicenti, lutofidaumiefemìtre,mfabattermalaTettadal¿Ma. rm,r * m e *» e,-;,»\''Y// e//? ,¿.t e, _ / / / ../(Jviz aóói in ■MOLTO RUMORE PER NULLA » di SHAKESPEARE della cui opera, Gino Damerini — nostro inviato al Teatro Romano di Verona — vi fornisce in questo stesso fascicolo la sua. critica acuta e penetrante $ Nella foto piccola « Il carro del processo »: sono in scena Mondolfo, Moretti, D’Angelo, Maresca, V. Roggeri. (Bos/o) S V ^ vy(en--/na-b&Mvas t_ya^C'W'O-ri'i' /¿e» < XOz-aS/? ¿ri- «MOLTO RUMORE PER NULLA» di SHAKESPEARE Nella foto piccola a lato - «Scena del matrimonio » con Carraro, Lombardi, Crasi, Tedeschi, Zareschi. (Bosio) voluto gareggiare con quelli, trasformando in uno spettacolone anche il divertimento sha kespeariano, da lui preso, perciò a pretesto per una realizzazione esteriore che è riescila un fuoco di fila di invenzioni indubbia mente interessanti e divertenti, delle quali egli s'è giovato per rimpastare in una torta di di mensioni pantagrueliche la pic cola focaccia originale che ave va per mano. Alla concezione magniloquente del regista, il pittore Pino Casarini ha contri buito con la più vasta, densa, complessa scenografia che io abbia mai veduto, dedicata ad una commedia, invadendo in profondità ed in larghezza tutta la superficie dell'antica scena romana e straripandone, anzi, fuori, dalle parti. Una cerchia lontana, contro il cielo stellato, di fari a luce lunare sul fondo; di qua da essa, per successivi piani prospettici, visioni di mu ra; il parco di Lonato formato da una folta massa circolare di cupi cipressi con, scavati nel verde, passaggi ombrosi; al centro, protesa in avanti, da quella, una terrazza architetto nica cinta di balaustre, domi nata da un monumentale gruppo mitologico, fiancheggiata da lar ghe scalee per discendere al piano camminabile, limitata sul davanti dall'ornato di una fon tana; ai lati, discosti, i cancelli della cappella gentilizia, a si nistra; a destra il padiglione con la stanza di Ero, il fronte del castello col suo portale sfa villante e il ponte di accesso sul fosso di cinta; oltre, indica zioni aeree del porto vicino, vette ornate di alberature ve liere; un tutto commisto di ele menti naturali, moreschi, rina scimentali e barocchi, ben le gati insieme, peraltro, con pro fusione di audaci partiti orna mentali e di ori; di molti ori. In cotesto mondo di meraviglie il regista ha dislocato e fatto manovrare le legioni necessarie alla sua inflazione: le sue com parse armate di spada e lancia e di gonfaloni, i suoi cantori; ha dato il via alle maschere, ha regolato con eleganza le danze; ma niente affatto pago di simili espedienti un poco abu sati, è ricorso ad altri mezzi più nuovi, facendo entrare in scena a cavallo, per esempio, all'inizio dell'azione, il messo che nel te sto entra al seguito del gover natore di Messina, e in sella costringendolo a parlare; op pure facendo trainare, da ul timo, da un altro cavallo, prean nuncialo dalle robuste sona gliere, il carretto siciliano della giustizia con dentro, seduto, il collegio giudicante; trovate che hanno mandato in visibilio il pubblico, pronto, ad ognuna di esse, a scattare in battimani. Figurarsi l'acclamazione con cui il pubblico accolse ogni sera il fiabesco preludio alla recita: sparo di mortaretti in onore del ritorno di Don Pedro e lancio di razzi nel cielo del teatro a formarvi, quasi, una cupola fo sforescente. Questi preludi coreogratici alle commedie sono ora di gran moda; e non è chi non veda quali risorse potrà costituire, per gli spettacoli av venire all'aperto, conveniente mente preannunciata, la parte cipazione dei fuochi di artitìcio, che potrebbero benissimo assol vere, negli intermezzi, la fun zione, una volta adempiuta dal le orchestrine, o, magari, dalle estranee opericciole comiche in un atto alle quali dovette accon ciarsi ai suoi tempi, pur di chia mar gente, lo stesso Goldoni!... Ma, la commedia?, chiederete. Beh, la commedia è venuta ser peggiando dentro questa ele fantiasi scenico - scenotecnica con un curioso avvicendarsi di ti vedo e non ti vedo che non è riescilo, miracolosamente, a disintegrarla e che anzi, qua e là, bisogna riconoscerlo, ne ha ravvivato gli episodi bene in castonandoli nel clima più pro pizio a farne dimenticare l'in verosimiglianza e la inconsi stenza drammatica. Merito del Brissoni non lasciarla dominare dalla profluvie di elementi de corativi da lui suscitatale in torno; ma merito anche dei suoi collaboratori diretti, gli attori: tutti bravi, tutti efficaci anche quando si sarebbe desiderata una bravura ed una efficacia avviata per sentieri diversi. La scivolosa, talora, spiritualità ciarliera di Beatrice ha avuto da Andreina Pagnani un gorgheggiante risalto volubilmente e femminilmente italiano; la bel lezza e la intelligenza di Elena Zareschi supplirono alla incon sistenza del personaggio di Ero. Ricco di coloriti comici e grot teschi frequentemente e viva mente applauditi, il Benedetto di Benassi; il don Pedro di Lom bardi, solenne ed aitante, ricor dava l'altro principe di Aragona da lui interpretato con Reinhardt nel Mercante di Vene zia; nobilmente disegnato il Leonato di Feliciani, naturale nella sua perfidia ed icastico il don Giovanni di Tino Carraro-, plastico il Claudio dì Crast; ec cellenti la Ricci, il Carloni, il D'Angeli e tutti gli altri nelle rispettive parti minori. Il quin tetto farsesco del connestabile, del viceconnestabile e delle tre guardie ha trovalo nel Mondolfo gustosissima caricatura tra ferravilliana e petrolinesca, nel Moretti, nel Benetti, nel Fu ria e nello Stagni una alleanza ilare, a tratti irresistibile. Allo spettacolo ha recato un contributo degno di rilievo un mucchio di artisti e di artigiani che non sarebbe giusto ignora re: Franco Donadoni ambien tando e dirigendo le musiche di scena; Armando Renzi con le canzoni; Maud Brissoni con i figurini (una specie di cresto mazia di costumi liberamente scelti da una confluenza di mode) piacevoli a vedersi e quasi tutti di gusto sicuro; lo scultore Pugnelli che disegnò e plasmò le maschere caratteristi che di un sapido grottesco callottiano-, ì danzatori Black, Maxon, Philipp e Raimonda Orselli aggraziata cantatrice, ecc.; Piuttosto arbitrarie le illumina zioni. Tutto sommato un Much ado about nothing portato alla ennesima potenza; con grande gioia degli spettatori accorsi in lolla ad ascoltarlo ed a nutrir sene. Gino Damerini L’attore Vernon nella parte di Macheath, al Drury Lane nel 1777. «Con più coraggio un uomo morrà se un bel bicchiere di brandy avrà» tre soldi nella riduzione mo derna di Beri Brecht che pensò bene di valorizzare gli ele menti spettacolari a sua dispo sizione, tralasciando i riferi menti particolari di Gay, per as similare piuttosto l'amara sen tenza dei diseredati, pericoloso argomento di tutti i tempi e di tutti i paesi. Nella nuova moderna visione nacque la musica-jazz di Kurt Weill. Da questo testo (intanto il ti tolo si era adattato ad un lieve aumento di prezzi: Die Dreigroschenoper, ovvero L'opera dei quattro soldi) assunsero, nella loro libera versione A l berto Spaini e Corrado Alvaro, i quali non furono certo im muni dal desiderio di trovarvi quello che non c'era e che non poterono nemmeno dichiarare di aver cercato. A sua volta Bragaglia ridusse l'opera col ti tolo La veglia dei lestofanti in una edizione assolutamente li- ALLA FLOR1DIANA DI NAPOLI L A V E G L IA D E I L E S T O F A N T I Liberariduzione di A. G.Bragaglia, di “ Boggar’s Oper” di J. Gay. Regìa di A. G. Bragaglia * Quest'opera, nata nei primi anni del '700 dalla vena bur lesca e satirica di John Gay col titolo Beggar’s Oper (1) fu modestamente commentata dal la musica di Y. C. Pepusch. 11 successo che salutò nei tea tri di Londra la fatica del poe ta mercante fu dovuto princi palmente agli spunti polemici —• talvolta feroci — riferiti alla vita politica e sociale del tem po. Non che mancassero nelle intenzioni dell'autore le prete se propriamente « teatrali », ma è evidente che alla efficacia della satira, indubbiamente co raggiosa, egli si rivolse per sconcertare', e quindi accapar rarsi, il pubblico. Fu soltanto dopo il 1920 che L'opera dei mendicanti divenne L'opera dei bera che presentò per la prima volta in Italia nel 1929. Non sarà ora difficile compren dere quale sostanziale trasfor mazione l'opera abbia subito dalla sua lontana nascita, nella elaborazione di temperamenti così diversi. E per questo l'opera presentata alla Floridiana appartiene più a Bragaglia che ai Gay, ai Brecht ed ai W eill ed ha, tra i parenti più prossimi, soltanto Corrado Alvaro e Alberto Spaini. A buon diritto riteniamo dunque legittimo attribuire quasi esclu sivamente a Bragaglia i pregi e i difetti del lavoro che anche nella nuova edizione appena riascoltata, come forse nel '700, non ha tradito la sua funzione di sconcertare ed avvincere il pubblico che affollava, nu meroso, la grande sala sospesa tra le cime degli alberi della bella villa vomerese. Bragaglia ha tentato una edi zione modernamente spregiudi cata dell’opera, cercando' di scendere in profondità nei per sonaggi e nell'ambiente, valo rizzando i due elementi essen ziali della poesia di questo « Dreigroschenoper »: l'invito a sfamare il povero, per non pre dicare al vento la onestà, ed il monito agli intraprendenti a non salir troppo per evitare la ca duta, perchè... « è meglio assai la libertà». Trovati i toni giusti a queste espressioni il regista ha esaurito il suo compito, e lo esaurisce il critico sottolineando la felicità dell'intuito che ha guidato la mano del regista: co mincia proprio qui, invece quel lo di alcuni « interessati » che tenteranno di spiegare a tutti i costi un significato1politico che l'opera assolutamnte ignora, al meno di non volerlo scoprire nella tragedia morale dell'uomo il quale ancora parecchi secoli prima di Gay aveva assunto il vezzo di incolpare la società dei suoi vizi. In questo si esaurisce, a no stro parere, la trovata essenzia le del racconto di Gay, per cui le prostitute, i tagliaborse, ì ruf fiani e gli assassini della sua « Veglia » hanno il coraggio di chiamarsi spudoratamente col loro nome, e quasi a farne una colpa al mondo intero, giudici che non ammettono di essere giudicati. Ma più avanti, preci pitando verso la sua strana ed inattesa conclusione, l'opera si risolleva nell'esortazione dei due protagonisti. Il re dei fur fanti di Londra sta per essere impiccato: egli vi chiede di non infierire troppo sui colpevoli ai quali non giunge mai, nella realtà, la « grazia reale » che in vece, nella finzione teatrale, lo autore ha congegnato per man dare a casa gli spettatori con lo animo leggero. « Muteremo il finale —- dirà Macheath — per chè vedo che vi dispiace che mi impicchino » e qui forse la satira è più feroce che mai per quanti — e sono purtroppo in molti —- facilmente si lasciano attrarre dall'ammirazione per il male e, nel caso specifico, per il delinquente, purché costui ab bia saputo crearsi lama di uomo ardito, nella facile leggenda che fa presto a celare le colpe di chi sa valorizzare le sue qualità di intraprendenza, anche se ri volte al male. Sul piano spettacolare, l'au dace racconto di Gay difficil mente poteva trovare espressio ni più vive e robuste'’di quelle bragagliane. La storia dei lestofanti (di Londra o del mondo non impor ta) e quella di Macheath, loro re, ha conservato il colore e la forza di un crudo quadro veri sta, elevandosi qua e là nelle più delicate elaborazioni di uno spirito sensibilissimo, alla ri cerca non tanto del mezzo quanto dello stile, talvolta bru sco se non brutale, come nella filza delle parolacce d'altra par te non sempre necessarie: fe deli a questo stile. di cruda esposizione del « vero » e scon certante assalto di fiaba le sce ne (alcune geniali) di Enrico Prampolini e gli interpreti, tutti impegnati a fondo e quasi tutti all'altezza dell'arduo compito loro imposto. Tra questi Ugo Sasso, efficacissimo, e Lia Origoni in una sensualità misurata e pudica. Felice il Carboni e be ne Giulia Tess e Corrado Gaipa. Per la musica di Weill po tremmo rifarci a quanto abbia no scritto per la parte di prosa, e del resto l'allievo di Busoni è rimasto fedele alla sua sensibidità rivoluzionaria, donandoci alcuni brani veramente interes santi per la loro potenza de scrittiva e per l'arditezza delle immagini — specialmente nei duetti e nei finali — costruiti in piena aderenza allo sconcer tante testo di Brecht. Gino Giarrusso (1) John Gay: L’Opera dei mendicanti (The Beggar’s Oper), opera-ballata in tre atti e otto quadri (1728), ver sione integrale e prefazione di Vi nicio Marinucci. Completa della mu sica e con le illustrazioni della pri ma rappresentazione di Bragaglia (1929) e una sequenza illustrata del film di G. W. Pabst (1931. Ed. te desca). Collezione «Teatro», volume n. 3, S.E.T., Torino. Bl Concluse le repliche a Nervi del bellissimo spettacolo di Ta tiana Pavlova II cane del giar diniere (1) di Lope de Vega, l ’il lustre attrice si è recata con la sua Compagnia a Portovenere, dove ha recitato il dramma cin quecentesco a sfondo religioso, attribuito a un Jeronimo Riberio, portoghese, nel libero adattamen to di Bruno Rovere. «Veramente — scrive Achille Fiocco — il dramma era già stato dato al chiuso; ma occorre dire che la sua vera sedie è all’aperto, nello scenario naturale dì Portovenere. Chi può ridire l ’incanto di que sto pezzo di Paradiso terrestre? S-e il problema fondamentale dello spettacolo all’aperto è ac cordare l ’elemento della natura a quello dell’arte, far diventare irreale la realtà, posso dire che la genialità della messinscena cu rata da Tatiana Pavlova per Le sorelle di Segovia a Portovenere consiste proprio nell’aver scelto a soggetto della sua regia un dramma perfettamente in linea con la realtà circostante, da non richiedere che le luci e qualche praticabile, perchè fiorisca la fan tasia. Una chiesetta di stile gotico fio rentino, in cima a un colle, a picco sul mare, e il mare, di qua e di là dell’arena, ohe scroscia e mormora di continuo, e la luna che s’affaccia, dall’altro lato, di dietro l ’isola della Palmaria. Da una parte, i gradini che dall’alto della chiesetta scendono al Con vento; dall’altro, la corte della Vice-Regina delle Indie, baciata dalle acque; nel mezzo, la cap pella del Convento. Ohe volete di più? Tatiana Pavlova, attrice partico larmente dotata per spettacoli all’aperto, nella doppia parte di Dolores e di Consuelo, ha prodi gato gli accenti che le sono più tipici, con grande consolazione del pubblico, raggiungendo una nitida differenziazione, toccando le sue cime più saporite nei vel luti regali, al fascino galeotto del giovanissimo Belito, alla realisti ca considerazione di certe volut tà igieniche; il che non le ha impedito di contenersi, quanto più era possibile, nei panni del l ’ascetica suora. Accanto a lei, Luigi Almirante mitemente im perioso sotto il mantello del ve nerando confessore (applauso a scena aperta), l ’Oppi, autorevole Pamplona di bell’aspetto e di voce pastosa, la Cichi, assai persua siva nella sua appassionata, vi brante Alfonsita (altro applauso a scena aperta), la Maver, comi ca Felipa, l ’Alberici, la Negri e gli altri fecero miracoli (è pro prio il caso di dirlo). I cori lon tani, le entrate e le uscite delle suore, benché un po’ lente nel ritmo, la guardia alla reggia im mersa in un verde spettrale pie no di suggestione; in ultimo an che le campane della chiesetta collaborarono alla finzione edifi cante, gettando nell’aria a man ciate le loro note festose ». (1) Enrico Bassano, crìtico del ” Corriere del Popolo ” di Geno va, terminate le repliche del Cane del giardiniere, ha scritto svi suo giornale : « Gli spettacoli all’a perto nel Parco di Nervi si sono conclusi in bellezza, con una re plica del Cane del giardiniere della quale sono stati privati mol tissimi spettatori che non ave vano avuto la previdenza di pre notare a tempo i posti. Ma tre sole repliche dell’intelligente e squisito spettacolo realizzato da Tatiana Pavlova sono così poche da sembrare addirittura uno scherno. Tutte le persone di teatro che sono convenute a Nervi nella scorsa settimana sono state con cordi nel constatare come sia as surdo esaurire, con una «prima » e tre repliche, uno spettacolo della forza e del valore di que sto Cane del giardiniere. Perchè non fare scambio di spet tacoli all’aperto fra città e città? Perchè non mandare lo spetta colo realizzato dai genovesi a Ve nezia, e quello dei veneziani a Genova? Perchè non organizzare «giri » completi alle Compagnie riunite per le recite all’aperto, facendo così fruttare uno spet tacolo, e non esaurendolo in po che repliche? Le Compagnie non possono, da sole, sobbarcarsi l ’o nere di spostarsi : ci vuole l ’aiuto dello Stato ». Una grande fraternità d’affetto cì lega, molti sanno, a Enrico Bassano, ma poiché ì problemi lanche quelli del teatro) per po terli risolvere debbono essere guardati con serena obiettività, non ci fa velo l’amicizia per dire al caro amico che è molto dif ficile e quasi impossibile la rea lizzazione del suo desiderio, che fu già dibattuto l’anno scorso e anche quello precedente, sulla nostra Rivista, lungamente ed ampiamente perchè lo «scambio» degli spettacoli all’aperto fu ri chiesto da Achille Fiocco, col quale tenemmo aperta una cor diale e cortese polemica in pro posito. Diciamo in « Taccuino » di que sto stesso fascicolo come il pub blico oggi preferisca (.lo ha chia ramente dimostrato) lo spettacolo all’aperto a quello abituale in palcoscenico, perchè condizioni varie spirituali e materiali lo hanno indotto a considerare il Teatro « centro e tramite di cul tura » oltre che rarità ed ecce zione: eccezione anche dell’alle stimento scenico e deZZ’ambiente. Questa nota l’abbiamo fatta vo lutamente dopo le parole, ap punto, di Achille Fiocco, perchè egli oggi scrive che la suggestio ne, l’attrattiva maggiore ed il successo di Le sorelle di Segovia è dì averla collocata nell’amrbiente che meglio confaceva al l’opera «perfettamente in linea con la realtà circostante ». Ora, le Sorelle di Segovia, il nostro Enrico Bassano, le ha ascoltate (e recensite, anche per noi) nel pentolone dell’Augustus di Ge nova. E sa di che si tratta. Non crediamo dunque sia possi bile «ritrovare » lo stesso spet tacolo all’aperto da un luogo ad un altro, per condizioni di spi rito e di clima che non riusci ranno mai a fondersi e identifi carsi. Ne verrebbe fuori, un ibri do, cioè il male peggiore dì una manifestazione d’arte. Non è quindi un problema economico da risolvere; si tratta soltanto dì una regola: le palme crescono soltanto in riviera. Tutto qui. Ma naturalmente siamo d’accor do con Bassano per un maggior numero di repliche: tre repliche dello spettacolo della Pavlova a Nervi sono davvero «uno scher no » : ne avrebbero potuto fare anche tredici. E Per la passione di un giovane regista taorminese, Giovanni Cutrufelli, e sotto l ’egida del «Co mitato Taorminese per lo Spet tacolo », nei giorni dal 12 al 15 agosto, nel Teatro Antico di Taormina, è stato rappresentato Otello di Shakespeare. Lo spet tacolo ha avuto un successo vi vissimo, e gli interpreti princi pali —■Annibaie Ninchi (Otello) ; Piero Carnabuci (Jago); Anni baie B-etrone (Brabanzio); Ger mana Paolieri (Emilia) — sono stati particolarmente acclamati da un pubblico suggestionato dalla bellezza dell’opera e dallo splendore deH’ambiente. Una not te di mezzo agosto taorminese, nella cavea del Tauro, non è fa cile descrizione per un cronista. Con gli attori di maggior rilie vo, hanno ben recitato anche il Ferlazzi, Di Leo, Merli, Guerrini, Di Stefano, Mangano, Zenari, Ugolotti. E’ stata recitata la versione di Otello di Vincenzo Errante; com mento musicale di Rolf Rapp; scenografìa di Prampolini. Ha danzato, nel sesto quadro, Nives Poli, con Labilità e la perizia scenica ormai note. H A Verona, il 21 agosto 1950, nella piazza dei ¡Signori, dove venne costruita un’apposita sca linata in legno per il pubblico, quale secondo spettacolo del Fe stival teatrale drammatico è stata rappresentata Romeo e Giulietta di Shakespeare nella versione di Paola O'jetti e con la regìa di Guido Salvini. Divisa in due tempi, la tragedia è stata ambientata nel cuore stesso Idi Verona medioevale, sfruttando quali elementi scenici alcuni degli edifici monumentali che circondano la piazza. La rappresentazione ha avuto un carattere spettacolare e pittore sco per la presenza di numerose masse in ricchi costumi. Nei ruoli principali hanno recitato; Edda Albertini e Vittorio Gassman, che hanno impersonato i due infelici amanti; Renzo Ricci, Salvo Bandone, Tino Carraro e Paola Borboni. Altri interpreti sono stati Carlo Lombardi, Ma ria Fabbri, Lucio Ardenzi, Carlo D’Angelo, Mario Feli'ciani, Mario Maresca, Antonio Crast, Sergio De Luca, Valerio Buggeri, Gia como Furia, Giorgio Piazza, Lina Favretto led Antonio Facchino. L’adattamento scenico è stato curato da Pino Casarini, le co reografìe da Raimonda Orselli. I costumi sono stati disegnati da Venterò Colasanti. Un pub blico numeroso ha tributato un vivo successo allo spettacolo. ESTATE IN TEATR ALE Al Teatro Odeon di Milano, il 1 agosto 1950, la Compagnia Donadio-Giorda ha rappresentato la commedia in tre atti di Gu glielmo Giannimi LIBERACI DAL MALE. * Un mansueto pretino ha una cattiva reputazione. Egli è pro prio l’opposto idi don Fiorenzo, il piccolo santo di Bracco; non salva, per una misteriosa forza del pensiero, un misero ragazzo che precipita da un 'dirupo, fer mandolo a un cespuglio con sup plice ansia mistica; anzi sparge la morte intorno a sè. Lo si po trebbe volgarmente definire jettatore; ma le subite morti che si attribuiscono alla sua tragica potenza, sono idi uomini malva gi; dunque vere e proprie puni- P A L C O S C E N IC O zioni. La vociferazione pubblica, pur giudicando con severità quei morti, è ancor più indignata contro il prete che pare li pro cessi nel segreto della coscienza e li mandi alla pena capitale senza remissione. Intendiamoci bene: tutti questi mormorii rotti e sommessi non vengono formulati apertamente, neppure da amico ad amico, da vicino a vicino. Sono torbidi va pori di paure trasmesse di super stizione in superstizione. Don Paolo Cidanio ha il pallido aspet to del prete macerato dalle me ditazioni. A lui è giunto qualche alito tetro della fama torva che lo circonda. La sua anima è pu ra e la sua tristezza è senza li miti. Nel passe quel mormorare j 0PE DEVEGA: IL CANE DEL GIAR cesso ottenuto a Nervi da Tatiana Pavlova e <1 abbiamo detto nel fascicolo scorso. Nella foto in alto sono alcuni interpreti: (da sinistra) Tina Aiaver, Ernesto Calindri, Tatiana Pavlo Nella foto sotto, il quadro finale* della “ Veglia dei lestofanti” alla Floridiana di Napoli, regìa di A. G. Bragaglia. La cronaca dell fffJ H T IT T F i ANDREA CALM°-a SALTUZZA I l J l l i l l à l i l l l l lin i PARLAMENTO DE RUZANTE Ciemmeloto RI) INI ERE - Del vivissimo suc3dai suoi collaboratori, il *20 luglio, Piova, Nais Lago, Luigi Almirante * ello spettacolo è in questo fascicolo. Ali ANDREA CALMO: SALTUZZA - A Venezia, in campo San Trovaso (foto in alto) : Gianni Cavalieri (Melindo) e Gino Cavalieri (Lcccardo). Nello stesso Campo San Trovaso: PARLAMENTO DE RUZANTE, scena della bastonatura; per terra, Cesco naseggio. La critica di Gino Damerini ai due spettacoli è in questo fascicolo. (Ferruzzi). GOLDONI: LA PUTTA ONORATA - Nel fascicolo scorso il nostro Gino Damerini, commentando la prima parte del Festival drammatico di Venezia, ha parlato della “ Putta onorata ” rappresentata in Campo SanTrovaso il 20 luglio scorso. A questa rappresentazione hanno preso parte alcuni dei migliori attori del teatro dialettale veneziano ed il complesso del Piccolo Teatro di Milano. Damerini ha scritto, e la critica unanime ha lodato, chel’interprete della “ putta ”, (Bettina) Maria Doliln, ha sostenuto con grande impegno e molto garbo la sua parte. Nella foto, Maria Dollin è nel mezzo dei tre personaggi, tra Gianni Santuccio (Ottavio) e Lilla Brignone (Beatrice), fntedoio Invernizzi •- S a Ti) '5 S © -£ 3 *i' S 1 S .2 | g ~ © ®Ì 9 p ■ § !-§ § « . ,, t § O » 'i 2 ^ c ^ sc ® ©= jS .5 £: ^W 91 ® ~•- .S 2 © 3 « ©' .„*• K p .2 «i « S O2 5 | | e K § § 5 Si K 9 P =5 £ l - | «W * 5 s | I g p p P w X n_ ©£ « -i ; P1 Giacomelli *Ì *"* a © 2|2 P ■- 2 |- s* -5 jy Ì g fe | ^ ~ S® a© | | “ .£ fc | e negare, quell’accusare e ritirare l ’accusa attirano l ’attenzione in quisitoria della polizia e quella delle gerarchie superiori della Chiesa; e ad interrogare don Pao lo giungono un funzionario della questura e un monsignore; pro prio nel giorno in cui, per la pre senza e la inconscia potenza di don Paolo, non muore nessuno; anzi un moribondo guarisce; sì che si grida al miracolo. In que st’aura in parte ostile, in parte benigna, il povero prete, che vive quasi smarrito nella propria casa, racconta al suo superiore i mi steriosi fatti della sua vita, sotto il suggello del segreto confes sionale. La confessione è non riferita, ma rappresentata, con uno di quegli arretramenti nel tempo anche troppo frequenti nel teatro d’og gi. Gli episodi funesti che' hanno suscitato tanti sospetti rivivono davanti a noi. Eccone uno. Tale Roberto Verri è stato processato. Il delitto che gli si imputava era orribile: il matricidio. Poco tem po prima che sua madre morisse, come fu dimostrato poi, di dia bete, egli aveva comperato della acetosella per togliere certe mac chie di ruggine alla biancheria. Quell’apetosella l ’ha portato in carcere e alla Corte d’assise, do ve la sua innocenza è risultata piena, sebbene egli fosse uno di quegli uomini che sono antipatici e magari anche odiosi a tutti, per ragioni fìsiche, o per ragioni mo rali. Ebbene, quest’uomo, appena as solto, va dal prete e gli chiede la mano della sua deliziosa ni pote. Don Paolo respinge indi gnato la proposta; l ’altro insiste, poiché, dopo tanto ingiusto pati re, lo compenserebbe della anti patia degli uomini la grazia fre sca arridente e propiziante della nipote di don Paolo. E poiché il prete più e più si oppone, grida che egli ama fino alla dispera zione quella fanciulla e che la sposerà ad ogni costo, a meno che uscendo dalla villetta di don Pao lo l ’apoplessia non lo uccida. Spacconata, provoca un colpo di scena. Infatti, proprio mentre il Verri varca irato il cancello, la morte lo fulmina. Da quel momento le morti ine splicabili si fanno più frequenti. Muore, come fulminato, anche lo ispettore di polizia che ha aspra mente interrogato don Paolo, ac cusandolo di folgorare con ignota e potente irradiazione delle sue mani, la gente che egli reputa rea o nemica. Adalberto, fratello di don Paolo, un genialoide che sa far di tutto, dipingere, scol pire, comporre musica, e che stu dia materie mediche, ed è curioso d’ogni più ardito progresso del sapere, di radiazioni termiche, di radiazioni elettriche, di scienza nucleare, cerca di rassicurare il pretino dicendogli che le sue an sie sono la conseguenza di un esaurimento nervoso, ¡aggravato da fatti uricemici. I morti si mol tiplicano in paese e tutti vittime di paralisi cardiache, e presen tano tutti sul cuore cicatrici or ribili, quasi il segno di una scu disciata. Il buio pare addensarsi, ma poi risulta che l’omicida è un pazzo; il quale pazzo non dirò chi sia, lasciando ai lettori la soluzione del problema. Quan do il prete sa ichi ¡è il misterioso omicida, lo uccide con Tarma folgorante con la quale il mostro aveva abbattuto tanta gente. Questo è lo schema giallo della commedia, che però ha anche elementi più interessanti; e per sonaggi di ¡bel rilievo, come quel Verri, che vive il dramma del l ’antipatia che suscita in tutti; figura bene disegnata ¡e merite vole ancor di maggiori sviluppi; e poi il sentimento che la nipote di don Paolo prova per questo uomo antipatico (e, prima, insi gnificante, per lei), quando ap prende ch’egli l ’amava ed è mor to per questo. La povera ragazza si sente legata all’estinto da una mesta tenerezza; la prima co scienza che ella acquista dell’a more ha per sfondo e paesaggio la tristezza d’un camposanto. Anche il pazzo omicida risulta pittoresco e mansueto nel dolore il santo. Tutto il dialogo ha sa pore e animazione. La soluzione del dramma è però una lunga confessione, che occupa tutto il terz’atto; ¡e si prolunga cioè oltre la identificazione del reo. Difetto, cioè difficoltà, superato. La commedia ha avuto un cal dissimo successo; ripetuti ap plausi a scena aperta, numerosis sime evocazioni alla ribalta del l’autore e degli attori, senza al cun dissenso. Recitazione ottima. Giulio Donadio è nel tempo della sua arte migliore: saggia, medi tata, triste e ridente, umanissima. E benissimo ha recitato, applau dito come il Donadio e il Rizzi, a scena aperta, il Giorda con un estro tra ironico e appassionato; ottimi tutti gli altri, Rodolfo Martini e Fernando Farese e il Cassoli, il Martelli ¡e le signore Aloisi e Landa Galli. Renato Simoni * Al Teatro Odeon di Milano, il 31 luglio 1950, la Compagnia Donadio-Giorda, ha rappresentata la commedia in tre atti e sette quadri di Ladislao Fodor: Giu stizia. Si tratta di un ben conge gnato dramma poliziesco, con tut ti gli ingredienti necessari allo sviluppo e con la immancabile sorpresa finale — al momento di dipanare il groviglio attentamen te costruito — e congedare gli spettatori, svelando il nome del colpevole. Ohe, naturalmente, è «quel signore brevemente appar so nelle prime scene» e subito dimenticato dal pubblico. Renato Simoni ha scritto che « Donadio ha recitato ¡con una dignità au stera ma ammorbidita dalla sen sibilità, il Giorda ha dato alla sua parte un cinismo disdegnoso assai efficace; e, tra gli altri, r i cordo le signore Aloisi, Galli e In nocenti, Rodolfo Martini, il Mar telli, il Cassoli, il Farese; è poi da segnalare il giovane Gualtiero Rizzi, che ha recitato con anima zione e comicità notevoli». * Al Teatro Excelsior di Milano, il 18 agosto 1950, la Compagnia diretta da Nino Besozzi, ha rap presentato la commedia in due atti e quattro quadri di Andrea Huguet: Il mio amico ladro. In garbugliata e complicatissima vi cenda, con colpi di scena logici ed illogici, ove —• dice Renato Simoni — «molti episodi che scher zano sui furti, sui ladri, sui ga lantuomini nati proprio per ¡esse re derubati, s’intrecciano gaia mente; un poco lenti, talora, un poco facili qualche volta, ¡e an che, più (volte, posti entro l ’azio ne come abilmente ¡truccati pezzi di ricambio ¡che abbiamo già vi sto in azione in tante altre com medie. Manca a II mio amico la dro, quella rapidità abbagliante dell’invenzione, ma non l’inge gnosità parodistica, la malizia ridente, l ’amenità dell’azione. I personaggi non sono nuovi; ma, ritinti abilmente, figurano piace volmente. La commedia ha fatto molto ridere e Nino Besozzi l ’ha colorita della sua comicità viva e cordiale e feconda, bene secon dato dagli altri, specialmente dal Pierantoni e dal Verdiani. Il pubblico ha applaudito con insi stenza e con fervore dopo ogni quadro, chiamando molte volte gli interpreti alla ribalta ». ciguerra il quale era stato incaricato di redigere, con la collaborazione di critici drammatici di Roma, Milano e Napoli una graduatoria dei com plessi drammatici al fine di addive nire alla distribuzione dei premi al le compagnie di prosa particolar mente distintesi durante Fanno co mico 1949-50. La Commissione dei critici ha pro posto alla Commissione Ministeriale, che l’ha accettata, una graduatoria cosiffatta: al complesso PagnaniCervi, a quello di Ruggero Ruggeri ed a quello di Eduardo De Filippo una menzione onorevole per la loro attività; ha riconosciuto meritevoli di un premio di quattro milioni ciascuno i complessi Maltagliati-Benassi e Torrieri-Carraro, per avere dato rappresentazioni in numerose piazze, per avere allestito novità ita liane di rilievo (due e una ripresa la prima, tre novità e quattro ri prese la seconda) e averne curata una cornice degna; tre milioni sono stati assegnati rispettivamente alla Compagnia Baseggio (che ha dato due novità italiane e si è adoperato per la divulgazione, non senza sa crifici, del repertorio goldoniano) e alla Compagnia Pavlova-Almirante, KLA PAG ELLA B E L L A S T A G IO N E 1 9 4 9 -1 9 5 0 Tre menzioni onorevoli; alcuni m ilioni con lode; a ltri ancora elargiti per necessità e simpatia; a tu tti il « rie n tro » . Bisogna dirlo subito. Eduardo De Filippo, è l’unico escluso dai bene fici materiali (solo la lode; e quan to meritata), perchè non avendo chie sto, non ha ricevuto aiuto di sorta da parte dello Stato. E ci sia con sentito di aprire questa nota col ri lievo che merita tale esemplare ri servatezza e rinuncia, da parte di un attore che ha della sua arte (ci vor rebbe l’a maiuscola) un concetto così elevato, e tanta dignità di Uomoattore-scrittore, da saper resistere al la « tremenda » tentazione di poter intascare facilmente un po’ di de naro dallo Stato. Detto questo, informiamo che la Commissione Ministeriale — cui sono affidate le sorti del Teatro e il difficile compito di distribuire mi lioni — si è riunita a Roma il 31 luglio, con la Presidenza dell’on. Andreotti, e l’intervento di altri due sottosegretari, Castelli e Cliiaramello. La Commissione ha ascoltato an zitutto una relazione del prof. Vin per aver recitato in un gran numero di centri della Penisola, soprattutto dell’Italia meridionale, per aver dato una novità italiana, aver ripreso Medea di Corrado Alvaro e per la scrupolosa realizzazione artistica di ogni spettacolo. Un terzo premio di tre milioni è stato conferito al Piccolo Teatro della Città di Roma per lo sforzo compiuto, su un ter reno difficile, per la realizzazione di un severo programma d’arte. Gli aiuti che lo Stato ha concesso alle compagnie drammatiche nell’an no comico testé chiuso, è stato di duplice natura : ha contribuito al rimborso di parte delle spese di viaggio per cose e persone e ha provveduto al rimborso altresì delle quote erariali percepite nella misu ra del cinque per cento sugli in cassi del primo trimestre. Questo aiuto tradotto in cifre — per il primo trimestre — è stato esattamente di L. 5.341.000 per la compagnia Pagnani-Cervi ; L. 3 mi- lioni 165.505 per la compagnia di Peppino De Filippo; L. 2.911.803 per la compagnia Calindri-SolariVolonghi; L. 2.901.503 per la com pagnia Adani-Tofano-Cimara; L. 2 milioni 349.767 per la compagnia Maltagliati-Benassi; L. 2.228.760 per la compagnia Ruggeri; L. 1.905.609 per la compagnia Pavlova-Almiran te; L. 1.722.389 per la compagnia di Annibaie Ninchi; L. 1.707.472 per la compagnia Torrieri-Carraro; L. 1.594.530 per la compagnia Melnati; L. 1.529.863 per la compagnia Scelzo-Paul-Porelli ; L. 1.093.765 per la compagnia Baseggio. Questi i maggiori rimborsi delle maggiori Compagnie. A queste ed alle altre sarà corrisposto ancora un 2,50 per cento, cosicché il rimborso del l’Erario alle compagnie che hanno avuto almeno un semestre di atti vità, sulla base degli incassi lordi, sarà del 7,50 per cento. La PagnaniCervi sfiorerà così i 9.000.000 e Pep pino De Filippo i 5.000.000. La Commissione ha poi deciso di offrire, a titolo di particolare ri conoscimento dei valori artistici dei singoli attori, un milione per cia scuno a Irma Gramática, Maria Me lato e Antonio Gandusio. (A Emma Gramática, Ruggero Ruggeri e Ar mando Falconi, la stessa somma era stata concessa recentemente). Ai complessi delle riviste è stata assegnata la somma di un milione e mezzo alle seguenti formazioni: Ta ranto, Macario, Dapporto, Osiris, Quo vadis, Totò; un milione alle compagnie Tognazzi, Maresca e Scotti e premi minori a minori com pagnie. Inoltre, a mezzo dell’EIST, sarà de voluta alla Casa di Riposo di Bo logna per gli artisti drammatici, la somma di due milioni. E di que sto siamo particolarmente grati. Si capisce. Da quando noi ci battiamo disperatamente, cioè da quando la Casa di Riposo ha corso il rischio ormai per sempre scongiurato (spe riamo) di chiudere per mancanza di fondi, lo Stato aiuta e continua ad aiutare, sollecitato o spontanea mente, come questa volta, l’istitu zione di Bologna. Ma all’on. An dreotti vogliamo ricordare quel forte peso che soffoca il nostro ben fatto cuore, e che si chiama « Lascito Piccolomini » del quale non si rie sce in nessun modo a sapere qual cosa, anche per la incomprensibile riservatezza di Silvio d’Amico. Detto questo, è da mettere in molto rilievo la risoluzione presa per la prossima Stagione Teatrale vera mente encomiabile, di portare il li- mite di durata delle Compagnie da sei a otto mesi. Questo vuole dire (ed era il vivo desiderio degli at tori che fanno sempre e solo tea tro) che chi vuol fare teatro lo deve fare seriamente e non dedicandosi ad esso tra una pellicola e l’altra. Ci auguriamo che la nuova dispo sizione sia fatta scrupolosamente os servare, poiché la maggiore durata delle Compagnie non risolve sol tanto un fatto economico, ma avvi cina di più il pubblico agli attori. Le altre norme restano pressapoco uguali, poiché i rimborsi da parte dello Stato saranno nella seguente misura: per i complessi che recite ranno a Milano del cinque per cen to; per quelli che reciteranno a Ro ma del 7,50 e per quelli che si pro LA NUOVA STAGIONE T E A T R A L E 1 0 5 0 - 1 9 5 1 durranno in provincia (cioè in tutte attori minori e badano ad acca le città d’Italia, meno Roma e Mi H Le notìzie che diamo in que lano) del dieci per cento. Non che sta panoramica della prossima parrarsi il giro migliore. Se stes tutte le altre città siano state con Stagione Teatrale, non possono se in loro U problema delle piaz siderate province, si capisce, ma si e non vanno prese colla sicurez ze sarebbe subito risolto con una escludono Milano e Roma perchè — za di un cronometro per i cento sola linea ferroviaria di andata e ritorno Roma-Milano; ma co per esse — è stata fissata una per metri dei velocisti. Dal momento me avete letto nell’articolo pre che ce le forniscono a quando il centuale a parte. cedente questo, dove sì parla dei lettore può prenderne visione, Sono già a disposizione della Dire premi della passata stagione, ad passano quei dieci-dodici giorni zione Generale del Teatro 275 mi che segnano il tempo del nostro evitare che lu tti si affannino su lioni, con i quali si potranno ac lavoro, cioè la compilazione del questo percorso, sono state isti cordare immediatamente gli antici la rivista, tempo sufficiente —• tuite le percentuali a scala per pi alle Compagnie, dopo il primo nel teatro — per le più impensate coloro che si avventureranno su trimestre di attività. acrobazie. Ma al punto in cui so diverso itinerario. Si è mantenuto il criterio del rim no le cose, fatta la premessa, di Nelle sue linee generali il com borso a percentuale, a differenza ciamo che il 12 settemJbre si riu plesso delle Compagnie che agi della primitiva provvidenza del rim nirà a Roma, presso la Direzione ranno la Stagione Teatrale pros borso fisso di L. 15.000 giornaliere, Generale del Teatro, la Commis sima è già predisposto: la Com perchè si è constatato che il secondo sione per l ’approvazione dei pro pagnia che darà il via all’attivi criterio è basato su un maggior sen getti di quelle Compagnie che, tà sara la Cimara-Paul, che avrà entrando nel regolamento per le già iniziato la propria gestione a so di giustizia. E qui ci sia consentita un’ultima sovvenzioni, intendono godere Milano quando queste note ve parentesi: si tratta della codifica delle provvidenze che il Governo dranno la luce. Nello stesso mese zione definitiva della nostra tanto ha stabilito per il teatro di pro di settembre, a Roma, riprenderà combattuta tesi, che fu poi la pro sa. In attesa di quella riunione la Compagnia di Tatiana Pavloal Teatro Quirino, costituita posta Remigio Paone. Ma per giun gli interessati danno gli ultimi va quasi integralmente cogli elemen gerci, finalmente, quanta lotta e tocchi ai vari progetti, e gli espo ti della scorsa stagione, e quindi nenti delle varie formazioni cer quante arrabbiature. Chiuso. primo piano Luigi Almirante Infine si è visto che anche il con cano di intendersi M più possi in Giulio Oppi. Ugualmente a cetto dei premi ha avuto il suo bile sulle commedie eia rappre e Roma, il 15 settembre, inizierà giusto equilibrio, rendendo aiuto, sentare, Poiché, è risaputo, oggi al Eliseo la propria atti oltre al merito generale, a quelle non esistono più Compagnie co vitàTeatro Renzo Ricci con Èva Magni, stituite per svolgere un program Compagnie che sono state meno for Mercedes Brignone e Achille Mil ma e rappresentare tutto un re tunate nella cassetta ma hanno dato fra gli attori principali. Ricci prova di maggior serietà nella scel pertorio, ma si costituiscono pio- lo con « L’ereditiera » di ta del repertorio e nell’impegno del coli nuclei con attori apposita esordirà mente scelti per rappresentare Ruth e Goetz, una famosa com l’allestimento scenico. quelle pochissime commedie nuo media che ha avuto in Europa e ve che ognuno di essi è riuscito, in America un vivissimo successo. con pena e fatica, a procurarsi I bozzetti ed i costumi per questa tra le novità di ogni genere e di opera sono di Colasanti. Ricci tutto il mondo. Superata infine rappresenterà inoltre la ancora la cordiale schermaglia, a base più famosa commedia di T. S. di sorrisi inchini e riverenze tra Eliot « Cocktail Party » per la il primo attore che vorrebbe par quale occorre —■ oltre luì e la Magni — un altro primo attore lare luì solo alla ribalta e la prìm’attrice che vorrebbe fare altret ed un’altra prima attrice, che tanto, i capocomici pensano agli Ricci non ha ancora trovato. Ma l ’attrice potrebbe anche essere Sarah Ferrati. Con Renzo Ricci, durante la Stagione Teatrale, ri tornerà alla ribalta Vincenzo Tieri con una commedia intitolata «Don Giovanni ultimo ». Dì tutto il suo repertorio Renzo Ricci ri prenderà soltanto gli «Spettri » di Ibsen e U «Nuovo idolo » di De Curel. Ed eccoci ad ottobre: il giorno 2, inizia a Milano, al Teatro Odeon, la Maltagliati-iCarraro, con Mario Feliciani, Gina Sammarco (cara, brava e sorridente Ginotto: complimenti), Vittoria Martello, Farese, Gdllìani e Dina Sassoli, un’attrice, quest’ultima, che ha fatto sempre del cinema e che si accosta per la prima volta al teatro, speriamo con devozione. Evi Maltagliati rappresenterà « Marea di settembre » di Dafne De Maurìer, la famosa autrice di «|Rebecca »; «'Miss Mabel » di Sherìff, commedia che Ludmilla Pitoeff ha rappresentata recen temente a Parigi. Infine, Evi ri prenderà «La prigioniera », di Edouard Bourdet. La Compagnia Maltagliati-Carraro sarà diretta da Daniele D’Anza, il regista che ha dato le prove più' sicure e sod disfacenti come direttore di com pagnia in questi ultimi anni. Nel lo stesso mese di ottobre ripren derà a recitare Ruggero Ruggeri e la sua Compagnia avrà i quadri pressoché immutati. Così la Com pagnia d\i Feppino De Filippo, con Lidia Martora, Cesare Bettarini e Piero Privitera, che la pas sata stagione Tatiana Pavlova ha messo così bene in valore. Peppino De Filippo riunirà la compa gnia a Viareggio per affiatarla in provincia e passare poi al Qui rino di Roma dove svolgerà una lunghissima stagione. L’ultima decade del mese esordirà, a Mila no, la Compagnia diretta da Er nesto Sabbatini, con Calindri, Vol pi, la Vdlonghi e la nuova prima attrice Olga Villi, con tanti augu ri alla cara Olga che si accinge al suo passo più importante. Ma Olga Villi dai tempi della rivista «Bellezza », dove è stata nostra compagna di lavoro, ad oggi, ha fatto varie esperienze e tutte con molta serietà. Vincerà anche que sta prova. Sempre in ottobre, a Roma, ritornerà a recitare, dopo il suo lungo periodo di volontario esìlio, la nostra più grande at trice: Emma Gramatìca. Questo ritorno ci riempe dì gioia e sarà il maggior avvenimento della prossima Stagione Teatrale. Man mano che la Stagione pren- derà forma e consistenza entre ranno nella grande arena la Besozzi-Porelli-Pola, diretta da Guglielmo Giannini; la Compa gnia di Memo Benassi che al momento non ha ancora deciso per la prim’attrìce. Andreina Pagnani esordirà a Ro ma con la sua nuova Compagnia il 3 novembre, e per ora si cono sce solo il nome del suo primo attore giovane che è Di Lullo. Gino Cervi staccatosi da Andrei na Pagnani esordirà pure a Ro ma, e come Andreina al Teatro Eliseo, la vigilia di Natale. Pare che la prima attrice di Gino Cer vi non sarà più Laura Solari, co me si era detto e ripetuto. Um berto Melnati riprenderà con al cuni elementi della vecchia for mazione ed altri nuovi, ed al suo consueto repertorio aggiungerà la bella commedia dì André Obey e GUI Martens «Pezzenti in Pa radiso » della quale, con la dire zione di Francesco Prandi, conta di formare un vero spettacolo divertente, poetico ed attraente. Si dà anche per sicura la con tinuazione della Compagnia Donadio-Giorda, e la formazione di una Compagnia Annibaie Ninchi. Fra ì piccoli Teatri, parei che quello di Milano abbia intenzione di formare due gruppi: uno per la sede stabile di via Rovello, e uno da mandare in giro. Si sa anche che verrà apportata qual che innovazione nell’elenco arti stico. Il Pìccolo Teatro di Roma, invece, conserverà il suo solito gruppo composto da tutti gli ex allievi dell’Accademia di Arte Drammatica, ma per un certo periodo si uniranno — pare — per recite di particolare impor tanza Rina Morelli e Paolo Stop pa. Questi permetteranno, col l’autorità del loro nome, di tra sferire la Compagnia dalla pic cola sede di via della Vittoria al Teatro Eliseo, come in altre città. Una nuova Compagnia semi stabile sarà diretta da Guido Sal vini per recitare al Teatro Valle di Roma, con Vittorio Gassman, Elena Zareschi, Salvo Rondone, Edda Albertini. Stabile invece, sempre a Roma, sarà la Compa gnia del Teatro delle Arti di Ro ma, formata da Camillo Pilotto con Proclemer e Pìsu. Il Teatro dell’Università ripren derà la propria attività svolgen do, naturalmente, un programma di interesse culturale: gli attori si avvicenderanno, come avviene abitualmente, e tra i primi si hanno ì nomi di Carla Bizzarri, Nico Pepe, Ivo Garrani, Mario Colli. Registi fissi Lucio Chiaravelli e Anna Maria Romualdi. Le Compagnie dialettali avranno, prima fra tutte, quella di Eduar do con sua sorella Tìtina : fa ranno conoscere nelle principali città la nuova commedia che Eduardo ha già rappresentata al Festival di Venezia, «La paura numero uno ». Riprenderà a reci tare Gilberto Govi, continueran no ì Fratelli Micheluzzi, come pure Cesco Baseggio con Gino e Gianni Cavalieri, nonché Paola Borboni che pare possa recitare in dialetto veneto. La passione e la volontà di Paola Borboni, al servizio della sua arte, potranno compiere certamente anche que sto prodigio. Immutata la Com pagnia siciliana di Rosina Ansei mi e Michele Abbruzzo. Forse non ve ne sarete accorti, leggendo, ma le Compagnie della prossima Stagione sono 26: una cifra rispettabile, che salirà cer tamente perchè altri progetti so no allo studio e saranno presen tati all’approvazione della Cernir missione per l’elenco e per il re pertorio. Poiché, Dio ci guardi che avvenga diversamente, tutte queste Compagnie nascono e vi vono in virtù delle sovvenzioni statali. Come si legge nell’articolo che precede questo, sui premi della Stagione Teatrale passata, il solo unico e splendido indipen dente è Eduardo De Filippo. Come si vede U teatro di prosa va riprendendo gradatamente la sua attività perchè ha trovato la via giusta, che è quella, ci si per doni sei lo ricordiamo, indicata da noi: premi e rientri sugli in cassi al posto delle tanto da noi deprecate quindicimila lire gior naliere. Con maggior vantaggio, per l ’anno prossimo, il regola mento dei rientri è stato ancora meglio perfezionato a tutto van taggio delle Compagnie. I nostri occhiali rosa, che abbia mo sempre rifiutato di toglierci, si sono dimostrati adatti. Conti nueremo a guardare con essi. Tanto più che li ha adottati an che U dott. Franz De Biase, cui fanno capo — alla Direzione del Teatro — quelle norme vitali delle Compagnie che vanno dal nuovo regolamento per le sov venzioni al prolungamento delle gestioni fino ad otto mesi. Siamo molto grati al dott. De Biase perchè ci dimostra con i fatti che vuole molto bene al Teatro. A noi basta; non chiediamo altro. * GIULIO DONADIO e MARCELLO GlORDA inA CASA PERLE SETTE Bice Valori (Maria) e Camillo Pilotto (Sir Tobia Trinca) in La dodicesima notte di Shakespeare. Il C A S A PER LE S E T T E COMMEDIAINTREATTI ECINQUEQUADRIDI R. C. SHERIFF Rappresentata dalla Compagnia Donadio-Giorda, al TeatroOdeon di Milano, il io luglio 1950. Salvo Bandone (Malvolio) ; Camillo Pilotto e Bice Valori in altra scena della medesima opera. Nella piccola foto accanto : Anna Proclemer (Viola) e Rossella Falk (Olivia). * La dodicesima notte — come abbiamo detto nel fasci colo scorso —è stata rappresentata il 20 luglio 1950 alla Floridiana di Napoli, con la regìa di Orazio Costa. La versione italiana era di C. Vico Lodovici. Musiche di Renato Parodi ; bozzetto della scena e figurini di Valeria Costa. 7roncone Il famoso autore di II grandeviaggio ha scritto una commedia — dice Renato Simoni —che sebbene gialla, tale non èperchèverso la fine cangia colore; ed èinteressante fin dal prin cipio. Non meno interessante è ve dere come questo rispettabilissimo autore abbia scelto quel colore. Si tratta di un’inchiesta, ma chi subisce Pinterrogatorio è un perso naggio chiuso nella sua solitudine, dopo lunga amnesia. A mio parere — continua Simoni — questo è il pregio maggiore del dramma : la denuncia del pessimismo, del mec canismo inquisitorio, che conturba, involontariamente suggestiona e qualche volta strappa dichiarazioni senza base. Le scene si svolgono sempre più vive e in esse il prota gonista — un bravo e onesto uomo — è intorcigliato sempre più entro le spire dell’inchiesta. Il dramma è stato applaudito con molto calore dopo tutti i quadri e fu recitato con una precisione, una naturalezza, una vivacità e, dove occorreva, una comicità ironica assai saporite. Chadourne Autore della commedia Federigo che pubblichiamo in questo fascicolo, e inoltre, di quel gioiello di atto unico, conosciuto in tutto il mondo, per le rappresentazioni europeeeamericanee per le trasmissioni radiofoniche: C'era una volta un vecchio boia..., che pub blicheremo prossimamente nella ver sione di B. L. Randone. René Laporte è uno dei maggiori poeti e letterati francesi: nato a Tolosa nel 1905, ha scritto non pochi libri, dei quali ricor diamo i due poemi «L’An Quarante» (1943); «Les hasards du jeu» (1950), e questi romanzi: «Les chasses de no vembre » (1936, Premio Internazio nale) ; «Lespassagers d’Europe» (1942) ; «Le cheval volant» (1943); «Histoires du mauvais temps »(1945), edin corso di pubblicazione un’opera ciclica sulla borghesia francese contemporanea: «Les membres de la famille» della quale sono usciti i primi tre volumi: «Ma dernier volonté»; «Chacun pour soi» (1948) e «Le château de sable» (1949). Per il Teatro, oltre le opere già citate, René Laporte ha adattato, nel 1946, per il «Théâtre deParis» Re beccadella DeMaurier. Prossimamente sarà rappresentata La fleur d'oubli. MariaCasarés, interprete fem minile di Federigo al Théâtre de Mathurins nel 1945. La Compagnia di Giulio Donadio e Marcello Giorda ha recitato al Teatro Odeon di Mi lano la nuova commedia di Guglielmo Gian nini Liberaci dal male la cui critica di Renato Simoni, che è in questo fascicolo, conclude: «la commedia ha avuto un caldissimo suc cesso; ripetuti applausi a scena aperta, nu merosissime evocazioni alla ribalta dell’au tore e degli attori, senza alcun dissenso». w Nelle fotografìe che pubblichiamo sono — in alto — Giulio Donadio. Irene Aloisi e Marcello Giorda. Nelle due piccole : una caratteri stica espressione di Donadio e la ben riuscita truccatura di Giorda. Donadio ha messo in scena la com mediaconla suaabituale esperienza, ottenendo il migliore dei risultati. R ic e tta d e lla v e r id ic a tr a g e d ia c o n te m p o ra n e a In Italia c'è la manìa delle « ricette » .per la cura radicale dell’arte. E’ un vizio antico, una debolezza vanitosa, un pessimo divertimento, che ha recato più malanni della pèste intermittente o della carestia irreparabile. Poesia Teatro Letteratura, sono le tapine prese di mira da una caterva sfrenata di « dulca mara » che pur avendo, probabilmente, disposizione a tutto fuorché all’Arte, vogliono di essa farsi invece i teorici, i giudicanti di fòrmule garantite, per la sua salvezza. Soprattutto per il Teatro chi non ha la sua « ricetta » e il suo empirico lòdo? Chi è colui che dopo aver assistito- a qualche rappresentazione, non -si sente bruciare in petto la ru-gghia-nte fiamma del drammaturgo e del cri tico teatrale? di -colui, in somma, che « -con l'esempio » saprebbe davvero « riem pire la lacuna » e dimostrare -che fino -ad oggi commedia dramma e tragedia non sono state altro che delle erratissime concezioni partorite da cervelli bal zani e da spiriti annebbiati .d'inferiorità? Avviene infatti che di Teatro ne par lano e ne scrivono tanto, tutti coloro che nulla hanno mai avuto da spartire, che i critici -e i teatranti appaiono nei loro confronti quasi come degli intrusi, tollerati, compatiti e ironizzati, alla -guisa di una minoranza caparbia, sì, ma trascurabile se -non addirittura nociva. Che il Teatro abbia biso-gino di -cure lo sappiamo tutti — ed è logico che così sia —• -come -del resto ogni altra attività che rientri nella creazione dello spirito umano. Però dal tempo -degli -scherzi fescennini in poi, i « dulcamara » non -sono mai serviti a nulla di valido; e la storia -ce lo conferma con le sue testi monianze -eloquenti. Perchè i medici del Teatro sono unicamente coloro che le opere di Teatro cre-an-o-; e chi studia, corregge le diagnosi e consiglia nuove pozioni, è il -critico o l-o storico di Teatro; -colui insomma, che, distaccato dall’opera d’arte, ne esamina -e ne valuta, con freddezza apparente, i sintomi le speranze le -certezze di vitalità futura nel quadro più vasto e superiore della -durata nel tempo. Quasi sempre il « dulcamara scrivente » -di teatro è un cosiddetto intellettuale o intellettualoide, il quale affacciandosi da un elzeviro di quotidiano come potrebbe fare un intruso teologo dal terrazzino -di una moschèa, si rivolge' al « -colto e -all'inclita », di sorpresa, e con aria compassionevole e corrucciata ■avverte: «-commedia dramma tragedia? tutto sbagliato, tutto da rifare. I famosi Tizi-o Caio Sempronio? incompetenti; gente che ha scroccato una fama senza capire un'-acca di teatro ». E via -dicendo -con un tòno simile o quasi, con più o meno palese, o sottintesa, falsa umiltà. Ma, in cauda venenum. In fondo alla conclone il falso muezzino è -costretto a scoprire il suo -gioco se vuole aver l ’aria di -dimostrare -almeno qualche -cosa; e allora il « colto e l'inclita » — se non -è composto tutto di -autentici micchi — -deve capirlo per forza. E' un passatempo ingenuo e -grossolano che ha molti punti di contatto con quello che un tempo deliziava e mandava in èstasi, nelle piazze periferiche, i ragazzi le serve- -e -gli sfaccendati: la stoppa accesa mangiata avidamente dal povero forzaiolo, affamato di pane vero. Ecco come avviene: Tintellettuale no-n critico di teatro e tanto meno autore drammatico « palese » quando si mette a scrivere la « ricetta », per esempio, della « veridica tragedia contem poranea » denigrando -gratuitamente gli scrittori contemp-o-ranei che tentano di crearla -con fede e con passione, ha -sempre sottomano un paio di volumi di tragedie -stampate e mai rappresentate, scritte da un -amico o da un conoscente del cuore. E -su quelle punta la sua leva per scalzare i-1 mondo; e imitando il bonario Paneroni che affrescava i muri di tutta l ’Italia -con la lèpida frase: «Astronomi stupidi la terra non -gira», e-gli proclama che il Teatro conterà- porari eo è una illusione ottica perchè così cóme lo intendono gli autori rap presentati e famosi non esiste, ma che invece il toccasana c’è, negletto da tutti, in questi volumi di X Y, il quale fino ad oggi i tempi avversi e la trascuranza degli uomini hanno tenuto nel buio. Perché una infamia simile sia avvenuta non si sa mai con precisione. Ma è pacìfico che i tempi avversi e la indifferenza non sono di certo argomenti capaci a togliere 'di combattimento e ini silenzio delle opere d'arte e di poesia teatralmente valide; nè, comunque, sistemi simili possono mai prevalere. Ma proprio ora, con l'esatto sistema più sopra accennato — e cioè con la deni grazione in massa del Teatro tragico contemporaneo e il travisamento spiri tuale del nostro maggiore scrittore di Teatro che abbia fama europea —• eccoci offerta la novissima « ricetta » per iscrivere tragedie contemporanee. Anzi; non per scriverle perché ci sarebbero già pronte e stampate, mai rappresen tate, naturalmente, nonostante che la loro elaborazione risalga ad alcuni de cenni: " Da un lato ;si ha Pirandello con la sua impresa distruttrice, irrazionale, miticamente intellettualistica, iscompositrice idi elementi essenziali che una volta disgregati più inon si ricompongono, e dall'altro Tirinnanzi, con la sua arte tendente all'unità, al supremo, rivelatrice di ciò che più veramente esiste nella nostra coscienza, scarnita, limpida, aliena dagli scenici ed abili trucchi. Egli ebbe l'idea della vera tragedia moderna e ne ebbe le forze per farla, quantunque i tempi e la fortuna non gli isieno stati propizi (Cfr. Il Mattino, Firenze, 25 luglio 1950, Ettore Allodoli). Pirandello, dunque, sarebbe tutto quel po' po’ di roba? distruttore disgrega tore irrazionale e via dicendo'? Bisognava almeno che il Nostro tentasse di dimostrarlo; e chissà perché non lo ha fatto dopo che si era così ben lan ciato. Ma crediamo che prima di accingersi a tanta impresa abbia vaghezza di rileggersi, non tutto il Teatro di Pirandello, ma soltanto il Non si sa come, tipico esempio di perfezione nell'arte drammatica contemporanea. Può darsi che, dopo la lettura, egli modifichi la sua « ricetta ». La quale, poi, non si ca pisce bene se dovrebbe consistere in un miscuglio di Pirandello-Tirinnanzi, op pure in una totale esclusione di Pirandello a beneficio di Tirinnanzi. Il Tirinnanzi, scomparso — e le sue mai rappresentate tragedie appaiono ora per la prima volta stampate — fu un caro uomo entusiasta, poeta senza poesia scritta, squisito educatore di giovani, che appena due -anni dopo la sua dipar tita, una voce amica e autorevole volle chiamare, chissà perché, « profeta » e « iniziatore di una terza età nella storia della poesia tragica » dopo aver assegnato la prima (meno male) a quella greca e la seconda (bontà sua) a Shakespeare. Iperboliche accensioni e niente altro, naturalmente, contro le quali, a dire il vero, storce la bocca anche l'Allodoli prima di 'Concludere il suo « recipe ». Comunque, la 'nuovissima « ricetta » per il Teatro tragico contemporaneo, è purtroppo invalida e sterile. Pirandello uomo di pensiero e poeta era soprat tutto scrittore di Teatro; che scriveva per il teatro — per il palcoscenico, insomma •—■ e non per il libro. Egli conosceva e usava sì, anche « gli abili trucchi scenici » che scandalizzano tanto l'Allodoli, ma, da vero creatore quale era, li faceva assurgere alla potenza delTarte teatrale. Era un classico nella sua impeccabile euritmìa che si accostava alla tragedia antica, e il suo lin guaggio — raro esempio di prosa tragica moderna — 'Confermò sempre la esistenza di quel misterioso legame che unisce gli elementi della civiltà di una determinata epoca storica. Egli dunque rimane nel tempo come mònade vitale di qualsiasi « ricetta » per il Teatro tragico e drammatico contempo raneo. Perché il Teatro non potrà mai -essere scritto unicamente per essere stampato, ma per vivere alla ribalta. E chi lavorerà per il Teatro che vive, anche se cadrà in errore di presunzione, -sarà sempre meritevole di lode e non di schemi visto che l'Allodoli, chiudendo la sua « ricetta », così si esprime: " Anche ora, alcuni tentano, sotto varie formule, di creare il teatro tragico contemporaneo, ma mi sembrano nani che vogliano tendere l'arco di Ulisse ". Tutti serviti, dunque, dopo Pirandello siete stati tutti serviti. E grazie soprat tutto della comprensione. Alberto Vivi.-ml A p o c a lis s e s e c o n d o K a r l K r a u s Fino a quando i popoli resteranno murati l’uno all’altro? Quanti italiani sanno oggi che la più autentica descrizione della guerra sul nostro fronte, nel T4-T9, non è nei diari dei nostri letterati, nelle pagine a volte sincere e a volte vibranti del Notturno di d’Annunzio, ma nel grande dramma ideato e costruito da Karl Kraus : Die letzlen Tagen der Menschheit (Gli ultimi giorni dell’umanità)? Karl Kraus ha affidato la sua esistenza e la parte più impegnativa della sua opera alla lotta contro la guerra e contro la società di cui la guerra era tipica espressione, società fatta per il massacro degli uomini sprovveduti e per i sopraprofitti delle iene, di cui compiè una descrizione ripugnante e cruda, disgustosa e fedele fino allo scrupolo. Karl Kraus nacque a Gitschin, in Boemia, il 28 maggio 1874, nel decrepito impero austroungarico. Fu poeta e saggista, drammaturgo e critico drammatico, lirico e satirico. Visse quasi sempre a Vienna, dove pubblicò la rivista Die Fackel (La fiaccola) e tenne molte conferenze che lo resero celebre. Morì in esilio nel 1938 in Svizzera, dove si era rifugiato dopo l’occupazione nazista. La sua opera lotta, da un lato, con polemico sarcasmo contro le manifestazioni più clamorose e più vane di allora (la stampa, il teatro, la cultura) giungendo fino a descriverne i tipi umani e a mettere in impressionante evidenza l’orrore della realtà a cui conducono: la guerra, la distruzione. Dall’altro tratteggia liricamente la felicità che potrebbe offrire l’esistenza, il bene che è insito nella natura. La forma e il verso sono corposi, fluidi, dispongono di un linguaggio che alterna movenze deliberatamente dialettali ad espressioni di pura classi cità, di sapore goethiano (Gli ultimi giorni dell’umanità possiede, nelle parti migliori, la potenza fantastica e visionaria del secondo Faust). Fra la sua vasta opera vanno soprattutto ricordati i drammi: Wolkenkuckucksheim (1923) Tramnstiick (1923), Traumtheater (1924); le raccolte di versi e di saggi: Untergang der Wcll durcli schwarze Magie (1922), Sittlichkeit und Kriminalitàt (1908), Spriiche und Widerspriiche (1909), Nachts (1919), Worte in Versen, 1-IX (1916-1930), Epigramme (1930), Zeitstrophen (1931), Literatur und Liige (1929); e i racconti: Die Uniiberivindlichen (1928), Der Chinesische Mauer (1910 illustrato da Oscar Kokoschka. Hanno scritto monografie sulla sua figura e sulla sua arte, Liegler (1920), Viertel (1921), R. von Schaukal 1933), Flatter (1933). Karl Kraus ha esercitato una grande influenza artistica e morale nella letteratura tedesca del dopo guerra, fra gli espressionisti e i neorealisti (in particolare su Bertolt Brecht che fu suo amico fraterno e l’accompagnò in esilio). Il posto della sua opera nella letteratura tedesca può essere paragonato a quello tenuto da Heine, nel secolo scorso: come Heine egli traccia un implacabile ritratto della società del suo secolo, e ne vede le prossime rovinose evoluzioni. Espressa con uno sfondo dialettale, e fitta spesso di riferimenti polemici alla cronaca dei suoi anni, l’opera di Karl Kraus è difficilmente divulgabile. La sua enorme satira trascende quelli che sono ancora i limiti della umana rispettabilità. Ma contiene in sè germi che non tarderanno ad aprirsi e a sovvertire, cioè a far stabilire la libertà del l’uomo, volta per volta. Gli ultimi giorni dell’umanità è l’« epos » che Karl Kraus dedica agli anni in cui la storia di volta in volta apre le sue crepe. Alla guerra: con il suo posto determinante nella storia come nelle vicende personali degli uomini. Secondo i diagrammi e le impalcature descritte da Karl Kraus, si organizza la società in funzione di ogni nuova guerra e da essa ogni volta riassetta nella sua assurda oppressione, nella sua frode, nella sua violenza. Tutto ciò non solo non accenna a placarsi, ma progredisce in un male sempre maggiore, come ogni giorno si vede. I tedeschi, secondo Karl Kraus, condussero allora una spaventosa avventura « tecnico romantica ». L’hanno condotta una seconda volta con risultati ancora più disastrosi. Ne hanno ceduto l’iniziativa ad altri. L’avventura continua, come aveva visto Karl Kraus, nella finale Apocalisse del suo dramma. Non si fa altro che attenderla: come una tempesta il cui incombere non si può più sostenere. Al termine, Karl Kraus descrive come regnino ormai il silenzio, la distruzione, la morte. De Gli ultimi giorni dell’umanità sono state date finora, com’è naturale, solo parziali rappresentazioni. La storia del teatro è fatta da ciò che «non si può rappresentare»: ma che « si deve rappresentare », che si rappresenta infine. Quando sarà interamente portato sulla scena questo dramma « impossibile », vuol dire che si potrà prospettare allo spettatore una soluzione « possibile » al suo continuo « impasse », proprio attraverso la fragorosa e dolorosa risata di Kraus. Quando non si avrà più paura dell’Apocalisse: e si sapranno domare i suoi mostri. Nel frattempo Karl Kraus, come il vecchio clown di Chaplin, non riuscirà più a far ridere. Egli stesso l’ha voluto. Ascolteremo il suo dramma. Vito l’andold U l t i m a D o t t e d e l l ’ u o m o gozzi- zzze-a^cez- ozz- zz-zz- zz/zfo czLz K A R L K R A U S La durata di questo dramma, di cui viene tradotta l’ultima parte dal titolo «Apocalisse», in termini terreni, si prolungherebbe per dieci sere. La sua rappresentazione è stata ideata per un teatro di Marte. Gli spazi teatrali del nostro mondo non lo potrebbero contenere. Per chè sono sangue del suo sangue e contenuto del suo contenuto, questi anni irreali, impen sabili, che non possono essere compresi da svegli, che possono essere accessibili al ricordo e tramandati soltanto in un sogno sanguinoso, anni in cui figure da operetta rappresentavano la tragedia dell’umanità. Lo svolgimento che ha cento scene e inferni, è impossibile, a crepacci, privo di eroismo come nessun altro, ¿’humour è soltanto « esame di coscienza » di chi non è divenuto pazzo al pensiero di avere superato con mente sana questi avvenimenti e di poterne testimoniare. Ha diritto a questo Humour soltanto chi partecipa alla vergogna di questa azione come postero. La società contemporanea ha tollerato che avvenisse quello che è qui descritto; ponga il diritto di ridere dietro al dovere di piangere. Le gesta inverosimili che qui saranno rife rite sono realmente avvenute: io ho descritto soltanto ciò che succedeva. Gli inverosimili discorsi che qui vengono riportati sono stati effettivamente pronunziati; le invenzioni più stridenti sono citazioni. Frasi il cui delirio rimane perennemente circoscritto all’orecchio cre scono fino a diventare musica vitale. Il documento è figura, i resoconti sono presenze, le presenze si mutano in articoli di fondo; il feuilleton ha ricevuto una bocca che si esibisce in monologo, le frasi camminano su due gambe e gli uomini ne hanno conservato una sola. Accenti infuriano e stridono attraverso il tempo e si gonfiano sino al corale dell’azione pro fana. Questi personaggi vissuti fra l’umanità e a lei sopravvissuti, sono colpevoli e parlano di un presente che ha non carne, ma sangue, non sangue ma inchiostro, trasportati in ombre e marionette e trasportati alla formula della loro effettiva insussistenza. Larve e lemuri, maschere del tragico carnevale hanno nomi viventi perchè così deve essere e appunto in questa attualità condizionata dal caso niente è casuale. Non dà a nessuno il diritto di con siderare la mia opera questione locale. Anche la circolazione all’angolo del Sirk è diretta da un magnetismo cosmico. Chi ha i nervi deboli, anche se abbastanza forti per sopportare la sua epoca, si allontani dal giuoco. Non ci si può attendere altro dal presente: l’orrore fat tosi parola, divenga uno svago! Soprattutto dove risuona la bassezza del dialetto più stri dente della mia patria. Quello che attraverso la nostra opera sopravvive è un’esperienza ben più imparante dell’invenzione. In questo campo l’invenzione è rigorosamente proibita. Al disopra dell’onta della guerra c’è quella degli uomini: di non volerne dopo più saper niente della guerra, mentre prima invece ne sopportano facilmente l’esistenza. Le è sopravvissuta per chi le è sopravvissuto. Anche le maschere camminano il mercoledì delle ceneri, ma non si vogliono riconoscere le une con le altre. Come è profondamente comprensibile l’inconsi stenza di un’epoca che non è mai stata capace di produrre un avvenimento o di rappre sentare quello avvenuto, che non può nemmeno scrollarsi dalle sue rovine. Così poco sen sibile all’espiazione come all’azione, ma ancora con un sufficiente istinto di conservazione per chiudere gli orecchi davanti al fonografo delle sue eroiche melodie e sufficiente istinto di sacrificio per intonarle nel caso adatto. Che la guerra ci sarà, appare per lo meno incom prensibile per quelli a cui la parola «Adesso c’è la guerra » facilita e ricopre ogni infamia, ma l’avvenimento « C’è stata la guerra » disturba la ben meritata pace dei sopravvissuti. Hanno immaginato — lo scopo per cui sono nati — di conquistare il mercato mondiale in arma tura da cavalieri; devono adattarsi all’affare peggiore: venderle al rigattiere. Gli si parli in questo senso della guerra! E c’è da temere che anche un futuro germogliato dai lombi di un presente così confuso, malgrado la distanza maggiore, faccia a meno di una più grande forza di comprensione. Tuttavia un così completo senso di colpa, di appartenere a questa umanità, in qualche luogo deve essere accetto e qualche volta deve essere di utilità. E poi ché «l’animo degli uomini è ancora selvaggio», nel tribunale supremo sulle rovine, sia presente il messaggio di Orazio agli innovatori: «E lasciatemi dire al mondo che ancora non sa — come avvenne tutto questo: dovete ascol tare — di gesta carnali, sanguinose, innaturali, — giudizio fatale, cieco assassinio; — di morti operate con violenza e malizia, — e progetti falliti che ricadono — sul capo dei loro inventori ; tutto questo posso — annunziare in verità ». Campo di battaglia. Cratere di bombe. Nuvole di fumo. Un Generale (recitativo) — Non si può più andare Notte senza stelle. L ’orizzonte è una parete di fuoco. avanti, il terreno è tutto spaccato, là ci sono cavalli di frisia, e altrove ostacoli. La battaglia ormai ha Agonizzanti. (Compaiono uomini e donne con le maschere antigas). cambiato direzione. Siamo arrivati fin qui: non pote Un Soldato agonizzante — Capitano, fai pur venire vamo andare più in là. Alla nostra età non è diver la Corte Marziale! Dichiaro : Io non muoio per nessun tente sfiorare il pericolo, lasciarci la pelle. Nè esitare Kaiser! Capitano, tu sei l’uomo del Kaiser!^ Ma sono nè cedere, è il motto delle truppe. Guida pure sopra morto ormai, non ti saluto più! Quando andrò ad abita i cadaveri, se no siamo fregati. Che ha quello lì senza re dal mio Signore, starà sotto di me il trono dell’Im testa, a quello mancano le gambe, e alla giacca gli peratore, e per i suoi ordini avrò soltanto scherno e manca un bottone È proprio uno scandalo, mi fa disprezzo. Dov’è il mio villaggio? La sta giuocando andare in bestia: lei, caporale morto, si metta in il mio bimbo. Quando ti addormenterai in braccio ordine! Questo è trasgredire. Riceverò un cicchetto. al Signore... giungerà l’ultima mia lettera dal campo. Ah! ti butti giù, attenzione, siamo in guerra! C’è Il mfo bimbo chiama, chiama, chiama, chiama! Oh, la legge di guerra! Non ascolta. Avvicinati! Lei, come è profondo il mio amore. Capitano, non hai la cosa sta facendo, proprio nel campo di battaglia! a rapporto. Il disordine qui non è ammesso. testa a posto, tu che mi hai spedito qui. Nel fuoco è Vada sopra i morti, se no siamo perduti! (Partono. bruciato il mio cuore. Non voglio morire per nessuna Passi patria. Non mi potete costringere, non mi potete Comincia ad albeggiare. Scendono due corrispondenti costringere! Guardate come la morte rompe ogni di guerra in automobile. Canocchiali, binoccoli, Kodak). catena! Portate dunque la morte davanti al giudizio Primo Corrispondente di guerra — Fermiamoci qui. Mi sento in vena. Prenderò il coraggio a due di guerra! Ma io non muoio per il Kaiser! Una Maschera antigas femminile (si avvicina) — mani: bisogna descrivere la battaglia. A quanto vedo, qui è caduto un uomo per volontà Secondo Corrispondente di guerra — Qui a del Signore. Ognuno di noi qui deve assolvere al suo quanto pare, può ancora succedere qualcosa. Il punto dovere. In questi tempi difficili non ci sono passatempi. è molto ben controllato dal nemico. Il vestito non fa l ’uomo, ma nemmeno la donna. Primo Corrispondente — Qui giacciono gli eroi, qui Nella necessità, nella morte, nel fango i diritti sono c’è movimento, e quando lo riferiremo, farà sensazione. uguali per tutti. Qui non c’è sesso, non si riconosce Secondo Corrispondente — Si imporrà a tutti, autentico, con fotografie. Qualcuno è caduto. Descri più il sesso: e ciò torna ad onore del sesso. Una Maschera antigas maschile (le si pone davanti) vere l ’ambiente. Primo Corrispondente — Prendiamo volentieri le _Che il tuo volto si abitui al mio! Io non ti conosco, maschera bella! Carico d’orrore, compiendo il dovere, informazioni dai servizi speciali dell’esercito. Ma noi ci dobbiamo guardare, noi non ci conosciamo. quello che ci interessa, sono le singolarità. (Si avvicina Per oggi vale solo una cosa, qui conta solo combattere, ad un soldato moribondo). ci minaccia la vendetta con vapori velenosi. Il cielo Secondo Corrispondente — Lei se ne sta per andare. vomita fiamme, che sibilano nel sangue, andiamo La faccia in luce! Ho bisogno del momento in cui le insieme a questo veglione. (Lontano fuoco tambureg si chiuderanno gli occhi. Primo Corrispondente — Come è abile! Finché giante). La Maschera antigas femminile — Viso e sesso, vive, c’è tempo di farne una brillante descrizione. ci proibisce il dovere. Non abbiamo diritto a viso e Secondo Corrispondente — Che cosa ha provato, sesso. La vita scorre tra cadaveri e larve, in questa che cosa ha pensato, a noi interessano le ultime ore, notte echeggiano per me suoni di corni e di arpe. come era la battaglia? In Due (sottobraccio) — Non abbiamo diritto a sesso Primo Corrispondente — Attenzione, sarà apprez e a volto. Volto e sesso proibisce il dovere. (Scompaiono. zato, sto già aguzzando le orecchie per i dettagli, e la sua eroica morte diventerà una bella notizia. Lue generali in fuga su di un’automobile). KARL KRAUS Secondo Corrispondente — Questo dettaglio, già di per sè, farà vendere il giornale, e il capo mi pro porrà per la croce di ferro. L ’Agonizzante — Presto... presto... guardate... come... io... mi... contorco... fasciami, signor dottore... fasciami, fasciami! Da tante ore... con tante ferite... sanguinano, sanguinano... non sono fasciato. Ancora pochi minuti... non mi lasciate dissanguare... fascia temi presto, vi dovreste spicciare. Vedete... come il mio respiro... già si dilegua... affrettati, signor dottore... bendatemi, bendatemi! Primo Corrispondente — Non racconta nulla di interessante. Fa troppa impressione! Diventa sempre più fissato. Probabilmente mi crede un dottore! Secondo Corrispondente — La guerra è guerra. Sente, io tossisco... il nostro compito qui è duro, sul suo petto distrutto, dico soltanto : «c’est la guerre! ». Primo Corrispondente — Non mi hanno insegnato a medicare ferite, ma per raccogliere impressioni ci dànno uno stipendio. Secondo Corrispondente — Riferire l’ambiente, è il nostro pane. Un eroe taciturno lo lasciamo morto in silenzio. (Si voltano 'per andarsene). L’Agonizzante — La mia donna...ah...per favore... e... un tormento... così... mi prendano con loro... fino... al prossimo ospedale! Primo Corrispondente — Ma come insiste, ma cosa vuole da me! Rimanga pure sdraiato, e se ne stia zitto ! Secondo Corrispondente — Per un comune mortale è un bell’onore! Uscirà la sua fotografia, che vuole di più! Primo Corrispondente — Se le garantisco che comparirà il resoconto! Ero qui prima che morisse, avanti, mi guardi in faccia! Secondo Corrispondente —-Non aggiunge più nulla. Credo che potrà andare. Sta tirando le cuoia. Ora lo riprendo... poi si vedrà (Lo fotografa). Primo Corrispondente — Ma non sia insulso, deve fare sensazione. Ci manca il curato, purtroppo lei è solo. Secondo Corrispondente — Quello sì che sarebbe stato un effetto da mostrare agli abbonati, un prete proprio mentre si curva sull’eroe! Primo Corrispondente — Ormai siamo amici, me lo farebbe per farmi un piacere, perchè in definitiva, anche a lui ne verrebbe una buona pubblicità. Secondo Corrispondente — Per una volta che se ne ha bisogno, naturalmente starà a casa del diavolo. È sconfortante... c’è del fumo! Soltanto un proiettile a salve, evidentemente. Ci vorrebbe una posa, non l’istantanea! Primo Corrispondente — Andiamocene! Qui ci si annoia, ormai. Andiamo all’Ufficio Stampa, prima del contrattacco. Secondo Corrispondente — Del contrattacco non me ne curo, ma con questa luce non potrei fotografare. Primo Corrispondente — Attento, qui a quanto sembra, può succedere ancora qualcosa, il punto è troppo ben controllato dal nemico! Secondo Corrispondente — Non vale la pena di rimanere. Sono forse un eroe? Allora cosa bisogna scrivere? Un avvenimento al campo! (Escono. TJn maresciallo spinge davanti a sè un plotone col revolver). Furiere — Marsch! Vi insegnerò io a gironzolare e a scherzare. 0 si muore per la patria, o vi faccio crepare. Ci penserò io a mettervi a posto! O voi sparate sul nemico, o io vi sparo sulla schiena! (Scompaiono). Un Accecato (avanza a tentoni) — Grazie, mamma! Così sento la tua mano che mi libera dalla notte e dalla patria! Respiro nel bosco la felicità del mio paese. Tu mi riporti nel tuo grembo! Oramai ha finito di brontolare il tuono della notte. Che cosa volevano da me? Madre, come si alza il tuo buon mattino! Sono ormai là dove si inazzurra l’occhio di Dio ! (Muore). Una Corrispondente di guerra (compare) — È proprio qui, le ricerche hanno dato buon esito, lo troverò qui, l’uomo comune, in villeggiatura al fronte! Un Ferito (a tastoni, strisciando in avanti) — Kaiser, sii maledetto! Sento la tua mano, nella tua mano veleno, buio, e patria! Puzza di peste e di decessi. Il tuo sguardo è patibolo, la tua barba capestro. La tua risata menzogna, la tua boria odio, la tua ira gigantesca per la sua meschinità. Sposta le frontiere e le proporzioni pur di essere grande, pur di fare a pezzi il mondo, scosso dal Reno fino al Gange da un interprete di second’ordine! Non sei stato davvero un conservatore, al vecchio mondo hai dato stracci medioevali. Hai rattristato la sua fantasia, o cavalle resco commesso cosmico. Hai tolto il sangue dalle vene migliori con la tua squadra di mare, aria e parole. Non vorrebbe mai più nascere da fango e fuoco! Tu e il tuo Dio avete perso la battaglia! Il mondo aperto e illuminato, viene chiuso e oscurato dalle tue pazzie, è soltanto merce franco porto con cui il diavolo potrà partire per l ’inferno! Per il cor ruccio divino, e non per la sua grazia, tu reggi squadre di fumo e di zolfo. Arnese del Signore! Esalteremo il Signore quando finalmente ti butterà tra i ferri vecchi! Vieni, e guarda come una stella si comporta quando si governa il tempo con le munizioni! Fa sguazzare il tuo cancelliere e i tuoi diplomatici in questo mare di sangue e di lacrime! Sii maledetto, Kaiser, e sia maledetta la tua nidiata; il sangue che fate spargere vi faccia affogare nel diluvio! Io muoio, io, figlio di una madre tedesca, ma deporrò contro di te, davanti al trono di Dio! (Muore. Appare un ussaro della, morte con il seguito). L ’Ussaro d ella Morte — Quàquàquàquà! Quàquàquàquà! L ’aria qui ha il mio profumo corporale. Noi siamo gli ussari della morte bene addestrati nella nostra professione. Abbiamo una snella sil houette e lasciamo dare l ’assalto alla canaglia. Ci consideravano vuoti manichini, ma al nemico cadono subito le scaglie dagli occhi, perchè un ussaro della morte non si lascia mai prendere per il naso. Arrivino i giovani e facciano vedere quello che sono capaci di fare. Chi osa, vince: devono indicare cosa sono capaci di essere. Da quella volta, dal giorno della Marna, sto in guardia ogni giorno dal rilassamento. Abbiamo dovuto aspettare davanti a Verdun!... Quàquàquàquà! Quàquàquàquà! Il busto mi è diven tato troppo stretto. Mio padre è una pantera addo mesticata; per ora sono molto più agile. Come un giovane giaguaro, perchè la patria è in pericolo. La ULTIMA NOTTE DELL’UOMO mia barba è dirozzata alla britannica, a troppi pochi morti si è dato fondo. In Francia la vita non è facile; non ci si è arrivati. Finché si è giovani occorre pren dersela molto a cuore. Ma prima che io sacrifichi la Guardia, deve cantare il mio bardo prediletto. Al colpo delle dodici, tempesta, alla campana delle cinque, vespro, Tunica rima la sa l ’anziano del reggi mento. Perchè l’arte è ilare e il servizio severo. Quàquàquàquà! Quàquàquàquà! (Il gruppo scompare. Una marcia militare. Si presenta Nowotny voti Eichensieg). Nowotny von Eichensieg — Dai miserabili, dalla feccia, dalla merda, acquisto ogni giorno materia umana. Anche il territoriale sarà mandato al fronte, chi non si fa animo, assaggerà la mia mano. Per l ’uomo comune faccio quello che posso, Dio solo sa cosa me ne importa. Qui chi vorrà scherzare sarà rimandato indietro, sarà impiccato o arrestato. Chi fosse sospetto o disertore, lo rispedisco io sul campo dell’onore. Chi riceve una fucilata in pancia e non si tiene in piedi, per punizione muore come soldato al fronte. Qui sono padrone io e per me tutto fa lo stesso, prima che uno muoia è già cadavere. Qui si è sani, dice il medico militare, e l’uomo in definitiva non è che un referto: «idoneo». Si, non c’è scelta, qui decide il numero, dappertutto c’è materiale umano. (Via. Compare il doti. Ingegnere Tramonto di Berlino). D ottor Ingegnere Tramonto — Infine, per vincere finalmente il finale della guerra, e poi anche final mente per vincere interminabilmente, la forza stra tegica fa appello alle ultime riserve, a quelle della scienza. A che ci è servita l’arte dei nostri lanciatori di bombe? Il gas, benché così aspro, rende quello nemico più aspro, e spesso la spedizione dei nostri gas ha fatto ritorno nelle nostre linee. La scienza deve accorrere ancora una volta in soccorso. La necessità, come tutti sanno, fracassa il ferro che prima prende vamo per oro. Visto che è ferro vecchio, resisteremo fino alla fine col nostro ingegno. Cavalieri dello spirito, noi impugnamo la spada quando il lanciafiamme ha fatto il suo tempo e siamo decisi con vapori e nane a lottare fino al coltello. Fumo di parole acquistiamo volentieri per le nostre opere, dal tempo in cui non si avevano ancora queste invenzioni, e oggi noi stessi ci troviamo a giostrare dove prima avevamo conqui stato le più belle e gloriose vittorie al cloro. Nella violenza della forza chimica, il tedesco combatte con 10 spirito dell’antica cavalleria. In quest’epoca roman tica, non resta altro che cadere in trincea. Noi fac ciamo onore al più radicale dei molti miracoli delle fiabe tedesche, e per confutare la fiaba degli Unni, affondammo profondamente nelle fonti novellistiche. 11 narratore sono io, perchè io sono l’inventore; lo sappiano i ragazzi disubbidienti che ci credono ancora barbari, noi che operiamo con la elettrotecnica. La fiaba pratica, il mezzo poetico, prende nome da me: mi presento, sono il signor Tramonto di Berlino e illumino la morte precoce. C’era una volta, voglio cominciare così per conquistare il mio uditorio, c’era una volta una cancrena polmonare così maligna che a malapena si può descriverne. Eppure la scienza da un pezzo era riuscita a seppellirla, e quando era necessaria, non si trovava più. La scienza ora viene di nuovo in aiuto, perchè ha una speciale simpatia per i desideri strategici. È già venuta in aiuto per tutti quei surrogati che sostituiscono il caffè e l’arrosto. Così sostituiamo con la massima semplicità anche la morte, attraverso il mezzo pratico Tramonto. Con i nostri gas più richiesti abbiamo cacciato dal campo soltanto le bocche inutili. Ma d’ora in poi, sul posto non rimarrà più neanche un coniglio, grazie al nostro surrogato di cancrena polmonare. Dobbiamo spesso occuparci, fragorosamente, di trasformare il mondo in ospedale o in cimitero. Ora contiamo di consolidare la posizione: perchè adesso il nemico morirà senza nemmeno accorgersene. In avvenire basterà premere il campanello per annientare cento mila polmoni nemici. Si vivo in sandali e non più su suole, eppure la morte farà le sue vittime chiasso samente. Sono stato chiamato per dare una prova della mia abilità. E ora l’opera dovrà lodare il suo artefice! I disfattisti volevano toglierci la vittoria finale, ora dovranno gridare al miracolo! Volevamo un nuovo orientamento per la morte e così speri mentare la nostra ultima «chance ». E in un baleno, prima che il nemico se lo sia pensato, la cosa è già fatta anche ad occidente, e davanti alle nostre linee si allineano i cadaveri, perchè noi si possa prendere il nostro posto al sole. Risplende all’orizzonte la mia corona regale colore del tramonto. Io sono il più grosso calibro della guerra mondiale! Mi allineo con Tirpitz e con Zeppelin. Con Dio prende corso l’ultimo destino! (Prime un bottone. Tre brigate crollano silen ziosamente) Bambini, bambini, a loro non piace sentirne parlare. Così si difendono le sante armi del Signore! Nessuna guardia al Reno si mantiene così compatta e così fedele come la peste nibelungica. È diventato necessario accettare la mia ultima olferta. Il mio nome è Sigfrido Tramonto. (Scompare. Tenebre. Appare un gruppo di iene con volti umani. Parlano le iene Stomaco divoratore e Gatto ghiottone. Si acquat tano davanti ai cadaveri, parlano a destra e a sinistra nelle loro orecchie). Stomaco Divoratore — Se lei ha bisogno di qualcosa, se lei ha bisogno di qualcosa, eccoci qua noi, che por tiamo visi e volti di larve. Non si spaventi dei baffi e delle criniere: non siamo uomini, ma soltanto iene! Soltanto perchè il suo sacrifìcio non sia vano, siamo qui sul posto, sul campo dell’onore. Non ha più bisogno di niente, anzi le portiamo via il superfluo. Che se ne fa nella tomba, di preziosi e contanti! Gatto Ghiottone — Beati voi, voi che vi state spassando in tutto questo. Per i vostri svaghi ci siamo indennizzati. Su nostro consiglio siete andati freschi sul campo di battaglia, avete dato il vostro sangue, e noi vi abbiamo preso il contante. Perchè noi si vinca, avete rischiato tutto, avete dovuto osare, adesso dovete offrire un altro piccolo obolo. Se anche siete vinti, noi però vinceremo. È calato il sangue, è salita la carne. Stomaco Divoratore — Potete fare assegnamento su di noi e sulle nostre merci: presto non vi starà più bene l’abito del Kaiser. Con le vostre granate, bombe e mine, andatevene in là e lasciateci guadagnare. E un piacere girare da queste parti, non avete bisogno di sentir freddo e non avete bisogno di sentir fame! KARL KRAUS La sappiamo bene noi quest’anno la parola d’onore: carboni e grassi tre volte più cari! Gatto Ghiottone — Ve lo diciamo in un orecchio, ci dovreste ringraziare: da quando state qui a giacere, va meglio per le banche. Con le banche si possono fare aumenti di capitale, non si può più impedire la fusione con la banca del macello. Siete proprio fortu nati a giacere cosi tranquilli mentre con le pallottole volano anche i biglietti da mille. Ma sarete inden nizzati: ognuno un eroe! Voi nuotate nel sangue e noi soltanto nell’oro. Stomaco Divoratore — E voi continuerete a vivere negli annali della storia! La morte è gratuita, per questo però bisogna pagare. Non siamo stati noi a cominciare la guerra. L ’abbiamo soltanto desiderata, ma siete stati voi ad accorrere. Dei nostri guadagni nessun poeta canterà, ma a voi già stanno fischiando le orecchie! Di voi parleranno ancora i vostri pronipoti. Speriamo invece che i nostri non si lamentino di noi. Gatto Ghiottone — I miei figli per un pelo non sono venuti al fronte. Per fortuna non li hanno presi. Uno è troppo onesto per imboscarsi, ma negli affari è proprio insostituibile. L ’altro è troppo superbo, così ci ho dovuto pensare io, con il mio conto in banca siamo a posto con l ’esonero. L’anno prossimo farò esonerare anche il minore. Anche voi siete stati giovani, la vita va vissuta. Stomaco Divoratore — Il mio ragazzo non ha pro tezioni, però si è saputo arrangiare. L ’altro è pieno di talento, ha composto poemi per la vittoria. Appena lo chiama la patria, il ragazzo si mette a comporre e lo comandano all’archivio. Però vuol muoversi benché quel posto sia il migliore - esce e si trasforma subito in autore drammatico, presso Ben Tiber. Prego, si metta a descrivere ciò che accade fuori! Il minore è maledettamente incapace. Gatto Ghiottone — Voi non potrete mai apprezzare a sufficienza questo massacro, voi che siete morti per la lana, mentre noi viviamo per il ferro. E noi ieri, oggi, domani e sempre ci dovremo preoccupare di cuoio, seta, olio, commestibili. Ci presentano libere offerte e si dà ancora il caso scandaloso che a qualcuno di noi resti in mano una dozzina di vagoni! Per ora la faccenda funziona, ma fortunatamente in tempo di paco, se Dio vorrà, potremo costruire una fabbrica d’armi. Stomaco Divoratore — Dio ci guardi da questa sciagura, chi parla oggi di pace, noi ci siamo rasse gnati alla necessità della guerra. Forniture, produ zioni ed ancora un soprappiù, se no saremmo a terra, che sventura! Non m’importa delle fabbriche d’armi, per me va bene la Skoda di cui Roda-Roda descrive la grande importanza. Se non ne volete più sapere, lasciatevi seppellire nudi, mia moglie vuole un altro mantello di pelliccia. Gatto Ghiottone — Credete a noi, la vita è amara. Voi che siete morti dovreste portare il lutto per noi vivi. Se viene fuori il rischio della pace, abbiamo tribolato inutilmente, è detto a voi! Ci rimane ben poco quando ho comprato una tenuta a mio figlio, e il mio amico è diventato barone. Ad ognuno il suo. All’eroe la tomba. Noi siamo le iene. A noi di grattare e intascare. Coro delle Iene — Così sia! Così sia! Ma piano! Ma piano! La battaglia si accende e con la vostra fatica e la nostra applicazione, i prezzi salgono. Sa Iddio! Sa Iddio! Sulle rotaie camminano ancora tre vagoni di riso e tre di mais. In piedi, e vacci piano! Stiamo chiudendo il cerchio. Così sia! Così sia! (Tango delle iene intorno ai cadaveri. Nel frattempo il fondale di fuoco è scomparso. Un raggio sulfureo copre l’oriz zonte. Appare una gigantesca «silhouette »: il signore delle iene. Alla sua vista le iene si acquetano e si rag gruppano). I l Signore d e lle Iene (barba e basette nere, lanose e crespute, che circondano il volto come una pelliccia e sembrano cresciute tutt’uno con una cuffia di capelli altrettanto lattosi e cresputi; naso forte e ricurvo, occhi grandi e bovini, con molto bianco e piccole pupille pungenti. L ’aspetto è tarchiato ed ha qualcosa del tapiro. Vestito in giacchetta e piqué. I l piede destro in atteggiamento di camminare. La mano sinistra chiusa a pugno poggia sulla tasca dei pantaloni, la destra si indirizza alle iene, con l’indice teso, su cui scintilla un brillante) — Fate attenzione! E alzatevi in piedi! Vengo a passarvi in rivista e mi piace molto! Avete vinto la battaglia! Ha preso inizio la nostra epoca! Mettete in luce il vostro coraggio! Non dovete pregare la morte di lasciarvi far bottino con passi furtivi. Guai adesso a chi striscia ancora. No, dovete calpepestare le vostre vittime con piede libero, alla salute di Dio! Perchè adesso lo scopo è raggiunto! Che si dimentichi ormai quel Tale che si struggeva sulla croce, compiendo la sua missione. Sono io a suben trare: l ’inferno è chiarezza! Io sono l ’anticristo. Da tutti i tetti sale un ringraziamento, perchè quello che stava tra i ladroni ora può pure portare a termine il suo giuoco. Quel poco sangue di Lui, finisce mise ramente nelle botti delle forze che si muovono a vuoto. L ’amore ha perso il suo potere! Non è riuscito ad impedire quello che fortunatamente ora accade. Ascoltate, o miei cari fedeli, la redenzione è giunta, l ’anticristo è vicino! La vendetta mai vinta, venne in aiuto alla vera giustizia; sono stato la sua buona spada! L ’ho sguainata lucida dal cuoio grazie alla mia buona penna. Soltanto la potenza è valore! Su questo grande ring circondato di monete, ci innal ziamo vincitori. Si chiude così ad anello, ciò che fu pensato nell’antichità. La croce ha perso la guerra! E noi che l ’avevamo messo in croce, usciamo dal l’ombra con il buon salario di Giuda! Sono stato man dato da un altro padre! Dal suo teatro di dolore, si ritira il figlio dell’uomo. Cede il passo al buon cattivo. Voleva liberare il mondo; il mondo si è liberato di lui. Cosi, senza pentimento, goda ciò che ha liberato e ne tragga motivo di consolazione per il cielo! L ’odio si dovette ribellare: l’amore non era fatto per non cessare mai. Grazie a questa devastazione del mondo, ecco un’eterna durata su cui il diavolo ride! Vada pure il mondo sulle grucce, il progresso doveva riuscire felicemente, anche se gli affari ne sono lo scopo. Ciò che Dio non vuole, ci riesce ugualmente: il diavolo zoppica sempre ma non ci fa caso. Pur con invalido calcagno se ne va in borsa e fa alzare i prezzi. Là, grazie a Dio non c’è niente di sacro, il diavolo non ha premura e lascia che il mondo giri. ULTIMA NOTTE DELL’UOMO 10 sono il suo primo agente, sono il redattore delle ultime notizie. Posso imballare le anime e cammino sulla nuca di tutte le maestà! Metto in castigo lo spirito. Perciò pagate al vostro maestro la dogana di un tributo doveroso. In seguito a queste grandi azioni su enormi inserzioni pubblicitarie riposa la nuova potenza. Fratelli, siatemi pronti a manipolare la vita con sicuro furore. Sappiate maneggiare i segni del futuro, maneggiate ancora le salme, l’epoca parla in cifre! Non lasciate perdere niente che abbia valore e che possa servire gli altri, andate a fondo nei vostri affari! Trascrivete negli annali i conti più importanti e fatemi il bilancio del sangue! Straccia il vecchio patto! Per quanto è vero che mi chiamo Maurizio, il lancio ci è riuscito! Perchè quell’altro pastore di anime, quell’altro Benedetto papa, si sba gliava di grosso! Sono Maurizio Benedikt, proprietario della «Neue Wiener Presse »! Grazie a Dio non faccio 11 prestigiatore, e non ei si immagina che io sia il vero papa. Ma tutti credono a me, usurai, ladri, pescecani. Gli audaci e i vili si inchinano dinanzi al mio trono, perchè ora più che mai vale il denaro. Non cederò mai l’incanto di questo mio regno! È l ’incanto di questo mondo! Se non passassero sopra i cadaveri, i ricchi grassi e pesanti non raggiungereb bero mai il loro regno. Anche se il mondo è in fiamme, noi riusciamo a ritrovarci con i sortilegi della magìa nera! Con una mossa segreta, l ’inchiostro chiamò la tecnica e la morte ad un patto di fedeltà. Non vogliate mai dimenticare il ringraziamento ai torchi di sangue e di stampa. Ve lo dò nero su rosso! Ho colpito con l’inchiostro nero il nemico mortale nel cuore! E dopo che questo gli è successo, dovete odiare il prossimo per fare assegnamento sul salario di Giuda. È giunto l’anticristo! (Valzer delle iene intorno ai cadaveri). Le Iene — Così sia! Così sia! Noi posiamo il piede con coraggio. L ’appoggiamo pesantemente e beviamo il sangue. Appoggiamo il piede con coraggio. Beviamo il sangue caldo. Spingiamo in avanti il sangue. Spin giamo in avanti i prezzi! Versato, dimenticato, goduto, mangiato: gozzovigliamo e spremiamo, spingiamo in avanti i prezzi! Così sia! Cosi sia! Ci spingiamo in avanti con coraggio. La battaglia è stata calda, e spremiamo il sangue! Non affondi il coraggio. Noi restiamo nel giro. Spingiamo in avanti il sangue. Non cali il prezzo. Versato, dimenticato, goduto, mangiato, noi divoriamo e speriamo, spingiamo in avanti il prezzo! Posiamo il piede, spingiamo in avanti, e beviamo il sangue. Lo spremiamo bene! Noi cal pestiamo, cacciamo, e beviamo caldo. Spingiamo in avanti il prezzo! Dormite bene, dormite bene! Non siamo leggeri nel calpestare; eia popeia! Così sia! Così sia! {Le iene si sdraiano sui cadaveri. Compaiono tre collaboratori occasionali). Primo Collaboratore occasionale — Già il primo raggio del mattino si fa luce nel buio. Il valzer ha vinto sul tango. Secondo Collaboratore occasionale — Grazie ai rappresentanti del commercio mondiale, la gaiezza finalmente si associa aH’afilizione! Terzo Collaboratore occasionale — Grazie ai capitani d’industria e ai magnati della finanza la vita si riposa, lascia i suoi faticosi compiti! I l Primo — Non dovrò più percorrere la mia strada in solitudine. Li ho già osservati tra gli altri, i miei compagni. I l Secondo — Mi sembra perfino che lo scopo non sia più lontano. Forse mi si porge l ’occasione. I l Terzo — Basta con gli attacchi della truppa. Si formano di nuovo altri gruppi. I l Primo — Ormai diventerà a mio parere tutta un’altra cosa. Respiro aria- mattinale e atmosfera di concordia. I l Terzo — Il Salvatore anticristo ha il passo ela stico. Lo seguono tre consiglieri imperiali. Batte cer tamente di molto i suoi predecessori. Madame Fanto ha messo per la festa un tailleur di crespo, color crema. È una passeggiata che ha grandi attrattive. Il pub blico si ammassa: purché non si cominci con gli svenimenti. Tutti chiacchierano. Arrivano gli «habitués ». Ma questo è un avvenimento che non potremo vivere fino in fondo. I l Secondo — Non si perde tempo a leggere la lista dei caduti. Per fortuna oggi è presente soltanto chi ha nome. (Appaiono due consoli: in tempo per esser presenti nel «carnet mondain »). Non si perde tempo a leggere elenchi di perduti. Tanto, ciò che ha nome, è in vita ed è qui, alla festa. I l Terzo — Qui accade ciò che succedeva già da tempo, quelli che sono qui per esserci, ci sono! I l Primo — Brulicano le stelle e i corifei, ma il palcoscenico è qui sul campo. I l Secondo — Lo stato maggiore non può venire, ma la corte è presente. I l Terzo — In questa notte di veglione, che ha una portata storica mondiale, si può vedere a che cosa è servito il sacrificio. I l Primo — Mi piacerebbe sapere che ne pensa il nemico. Anche l’«humour», perbacco, ha i suoi diritti. I l Secondo — Guarda, sono tutti là, i Bassi e gli Alti. La gioventù vuole conquistarsi il diritto alla danza. I l Terzo — Temo che questa festa volga alla fine. Guardino, il diavolo balla con la peste! {Si allontanano di corsa. Tutto Vorizzonte ormai è oscurato da vapori di fumo. TJna luna macchiata di scarlatto esce dalle nuvole che sono sospese in brandelli gialloneri e colorati. Sul campo un caotico andare e venire di tutti i corpi di truppa. Passano tre automobili blindate. Uomini e bestie in fuga selvaggia. Brusìo di voci). Prima Voce — Mi scricchiola lo scheletro, mi scric chiolano le ossa! L ’attacco si è infranto dinanzi al fuoco delle nostre artiglierie. Seconda Voce — Gli affari non ci vanno ancora male! Abbiamo conquistato la posizione con un ardito colx>o di mano. Terza Voce —•La mantenga il diavolo, sene ha voglia! Stiamo gettando fuori il nemico dalle trincee. Quarta Voce — Iddio ci ha fatto davvero un bel regalo! E due dei nostri non hanno fatto ritorno. Prima Voce — Temo che le perdite siano state gravi! In compenso abbiamo fatto molti prigionieri. Seconda Voce — Il nemico ci minaccia di fianco! Un lattante e due civili sono caduti. Terza Voce\— Oggi abbiamo mirato bene. Cinque bambini giuncavano nel parco. KARL KRAUS Quarta Voce — Siamo tutti qui, truppa a piedi o a cavallo! Ma il danno strategico è insignificante. Prima Voce — Quelli che festeggiano con tanto sangue la sagra delle loro chiese, sono senza dubbio quei bravi Bavaresi! Seconda Voce — Le cose peggiorano di ora in ora! Sono bene quei prodi Wurtemburghesi. Terza Voce — Quelli che adesso stanno mostrando il loro disprezzo per la morte, sono i Turingi, i Palatini e i Frisoni. Quarta Voce — Il risultato dell’azione vi farà capire, che si stanno cimentando gli Honved dal sangue caldo. Prima Voce — Per serbare loro la gioia dell’attacco, mandiamo avanti i coraggiosi Bulgari. Seconda Voce — Quelli che laggiù si spingono e si trascinano così di malavoglia, sono gli alleati mu sulmani. Terza Voce — No, aspetta, adesso partono regolari colpi di frusta! Adesso arrivano i Tedeschi! Quarta Voce — Piove a torrenti, il terreno diventa cedevole. Sono i gioviali Austriaci. Questa — Eccoci in un bel guaio: sopraggiunge il contrattacco, che aspettavamo da tanto tempo. Quella — Chi non parla in tedesco con il nemico è un figlio di cane, è un manigoldo! Voi siete nella padella e noi nella brace. Diverse — Che sta succedendo, che mischia confusa: siamo una cosa sola! Amici e nemici, è un solo fuoco! A ltre — A che ci può servire questa fratellanza? Guarda: stanno sparando con i nostri cannoni! T u tti — Questa crisi è proprio la più grave! Il nostro attacco è respinto con facilità. Una — Siamo nell’acqua. La volta del cielo si colora, tu tt’ad un tratto diviene gialla e nera! G li A lt r i — Ah, dobbiamo sparare, rido da morire, il cielo si è lavato, si è fatto bianco rosso nero come la nostra bandiera! Una — Che frittata, guarda qui, lo vedi tu stesso, sopra di voi è nero, su di noi è giallo. L ’A ltra — Soltanto il cielo può sapere perchè siamo morti. E il cielo porta soltanto i nostri colori ! T u tt’e due — Comunque, vuol farci amichevolmente compagnia nel viaggio per l’al di là: è bello militare spalla a spalla. Una — E alla fina la storia ci ricompenserà. L ’A ltra — ...grazie ai nostri cannoni Krupp. Noi facciamo completo assegnamento sulla .nostra forza... L ’Una — ...con Dio e le nostre fabbriche Skoda. Insieme — Eppure entrambi abbiamo paura di starcene seduti, sono giunti i nuovissimi obici da campo! (Lampi). Tutte le Voci (confusamente) — SI, di fronte abbiamo nemici di acciaio! Ma noi da questa parte abbiamo le fiamme! Quelli di fronte ci invidiano, e picchiamo tutti assieme! (Serpenti di fuoco in cielo, luci rosse e verdi) Che succede? Che accade? Voci d a ll’alto — Il contrattacco tanto atteso! Voci dal basso — Saremo noi i vincitori! Saremo noi i vincitori! Testa in alto, arrivano i nostri aviatori! Voci d a ll’alto — Sì, gli aeroplani, che con potenza mai vista, distruggono per voi i caposaldi nemici! Voci dal basso — È davvero un bellissimo passa tempo, potranno uccidere i bimbi anche in grembo alle madri! (Stelle di fuoco, croci e spade in cielo) Guardate, che magnificenza, con le migliori onori ficenze la notte ricompensa il nostro miglior massacro. (Sfere luminose, covoni di fuoco) I sudditi festeggiano gli avvenimenti con pavesi, bandiere e fuochi di artificio. (Appaiono tre comete) Voci d a ll’alto — Tre cavalieri di fuoco su cavalli di fuoco! Purché non divengano troppo sgradevoli! Voci dal basso — Ci vengono incontro come se fossero proiettati dal cannone, a bordo di autoblinde. Voci d a ll’alto — Si renderanno degni della vostra gratitudine! Sono macchine di ben altra tempra. Voci dal basso — Conosciamo il trucco, abbiamo le nostre tanks e le autoblinde apocalittiche! (Entrano due ordinanze). Prima Ordinanza — Esultate e osannate, esultate e osannate: cadono bombe sul monte degli Ulivi! Seconda Ordinanza — Nessun dubbio e timore molesta le nostre credule orecchie: il giardino degli Ulivi da tempo era rafforzato militarmente! Prima Ordinanza — Si lodi l’ardito e si esalti ad alta voce anche il saggio: chi finalmente è riuscito ad effettuare il grande lancio e chi lo aveva tempesti vamente preparato. Seconda Ordinanza — Non si lascino riposare su allori o su spine, quelli che finalmente hanno com piuto l’opera. Anche se avessero pensato qualcosa di diverso, sapevano bene però quei che facevano. Entrambe — Se il cannone avesse colpita la croce, pur con uno scopo mancato, l’intenzione sarebbe stata lodevole, Noi facciamo i disfattisti, e vogliamo sperare che il danno strategico sia irrilevante. (Appare in cielo una grande croce sanguinosa). Voci d a ll’alto — Fatevi indietro, abbassate lo sguardo! Fate attenzione alla nostra croce di fuoco! Voci dal basso — Chi è che ci imita? Non ce la danno ad intendere! Non badiamo a nessun amen, e non temiamo nessun presagio! Finché il nostro Kaiser avrà la testa a posto, nessun astronomo potrà inti morirci con i suoi fantasmi! (Si scatena una pioggia di sangue). Voci d a ll’alto — Fatevi indietro, e fate attenzione! Era così arido da voi, su di voi ora scorre sangue! Voci dal basso — Dovreste sapere ormai qual è il nostro ultimo trucco, deciso dal nostro Consiglio di guerra. Abbiamo azzannato il nemico nell’aria, per questo il sangue cade dall’alto. Si è compiuta l’unità dei fronti... Voci d a ll’alto -— Perchè precipitino l’uno sull’altro! Voci dal basso — Saremo più forti che mai, se il barometro c’è favorevole, così ci ha assicurato lo Stato maggiore. Voci d a ll’alto — Ma il tempo rende vano un altro attacco! Il cielo è tenebroso. (Pioggia di cenere). Voci dal basso—Che sia benedetta, che sia benedetta, la nostra pioggia di cenere artificiale. (Pioggia di pietre) Prendere a sassate? Anticaglie! Ecco invece le nostre granate a mano. Il primo lancio parte da noi, induriti da anni nel fuoco tambureggiante! Voci d a ll’alto — Noi non abbiamo fatto progressi, ma con gli anni impareremo. Perchè anche fra di noi che siamo le stelle migliori, abbiamo vagabondi e banditi. ULTIMA NOTTE DELL’UOMO Voct dal basso — Ogni stella può essere felice, purché brilli su Berlino. La vostra offensiva ha il tipico e irrisorio vantaggio iniziale. (Pioggia di scintille). Una voce dal basso — Non siamo riuscito a capire cosa possa significare l’apparizione della croce: ma ho una mia personale opinione. Seconda voce dal basso — Che significa questo ronzare e questo brillare, di voi stelle? Brancoliamo tutti nel buio, ormai. (Buio completo). Gli operatori cinematografici — Questo non va. A che scopo? Non c’è più luce per girare. Abbiamo bisogno di sequenze da mettere tra lo sketch «Willi non si sente a disagio », e il pezzo poliziesco di gran successo «A me non sfugge nessuno ». Non c’è luce per girare, ma noi abbiamo un contratto, e dobbiamo fare un buon colpo! Il film sulla battaglia dell Isonzo, certo, non si potrà mai superare, ma per il «Giudizio Universale », vogliamo più luce! Una voce d a ll’alto — Nonostante il vostro inter minabile spaccar teste, abbiamo resistito fino alla vit toria finale. Ma sappiate che nella settimana passata, Marte ha rotto i rapporti con voi. Abbiamo ponde rato tutto e ci siamo posti sulla difensiva. Ci siamo decisi a sarchiare i vostri pianeti con schiere com patte, e a liberarli dai temerari vermi terrestri che hanno la sfacciataggine di dare l’assalto alle sfere celesti. Come sempre si sono rivoltati contro il loro creatore, hanno disonorato il quadro della creazione. Hanno tormentato gli animali e reso schiavi gli uomini, onorata la vergogna e mortificata la dignità, fatto ingrassare i malvagi, immolato i buoni, sconciato la propria onorabilità. Hanno usato i beni terreni per involucro, hanno macchiato con la loro lingua il linguaggio, l ’anima, l’intelletto, il pensiero, il verbo. Hanno aperto l’al di là soltanto per import-export. Hanno posto al servizio del mercante la morte e il diavolo, dio e il mondo. Hanno nascósto lo scopo della vita con il mezzo. Hanno difeso con il corpo le merci, servi delle loro necessità, sacrificata la vita per la loro esistenza, venduto sè stessi per il prodotto e battagliato con gli altri per le materie grezze. Non hanno portato a termine i loro affari neppure con l'odio. Con denaro e veleno si accecano, nel loro scellerato e orbato nulla. Si valgono indegnamente della luce eterna: sotto i raggi delle stelle e del sole scatenano battaglia e guadagnano infamie, uniti nel sacrilegio dal sud al nord. Cambia soltanto lo spirito con cui sterminare i corpi da oriente ad occidente e ammorbare l ’aria con vendetta e fumo. Possono pregare per uccidere ancora meglio, e non arrossi scono mai dalla vergogna, ma per il sangue versato. Bestemmiano il loro Dio e la loro natura. Calpestano l’ultima traccia vivente. Falsano l ’azzurro del cielo con tinte di terra e ingannano il paesaggio con gru che divorano. Si nutrono con polmoni vittoriosi, resi forti dalle debolezze del prossimo. Cucinano la mi nestra al focolare del vicino, sfamati dalla sua fame: ma anche con questo non riescono a saziarsi. Coprono di carboni ardenti la testa del prossimo, per farsi caldo. Impongono insolentemente questa dolce sen sazione. Tengono il burro estorto e saccheggiato sulla propria testa, e lo fanno rincarare. Per cibo hanno la propria illusione. Invalidi per tutte le opere di guerra, agenti con lue e tubercolosi di fresca data, mercanti ed eroi e cacciatori d’uomini, lanciatori di bombe, por tatori di bacilli, rapinatori dei tesori della fantasia, bancarottieri della propria economia, banditi nascosti dietro l’ideale, cavalieri di felicità in una valle di lagrime, corazzati di cultura, abili ed eruditi, superarmati e denutriti, potenti per misericordia delle loro macchine, altezzosi e tuttavia infami, convinti sudditi di se stessi, edificanti costruttori di ferrovie a Bagdad, cavalieri d’industria in alto e imbroglioni in basso, iene che hanno dormito sopra vivi e sopra morti, aviatori che sono legati alla terra, schiavi delle ultime conquiste, dottissimi sulle più diverse tecniche, bar bari illuminati elettricamente, che si corredano la morte con tutti i comodi. Così come quelli vissuti piacevolmente, che avevano la fuga per scopo della guerra, fin da quando fu dichiarata. Non siamo con trari ad una pace d’intesa, perciò in nome dell’uni verso abbiamo così deciso: Noi di Marte non siamo affatto vogliosi di conquiste. Ma quando afferriamo qualcosa, l’afferriamo bene. Per la salvezza del tutto e di tutti i buoni, abbiamo accettato i vostri metodi, tanto per ricercare che per uccidere. La vostra scienza ci era necessaria. La vostra stella vista con il canoc chiale, per noi è soltanto una stella cadente: e abbiamo riconosciuto quel nano marziale che è il Kaiser sol tanto con la lente d’ingrandimento. Vogliamo ora schiarire un po’ il cielo, ma non faremo mai dilatare le nostre frontiere fino a voi. L ’esame è stato severo. Ecco il risultato : prepariamo con voi i piani per questa ultima esperienza. Ci guardiamo bene dall annettervi, ne perderemmo di prestigio. Per essere utili al mondo con pacifico lavoro, vogliamo soltanto difendere le nostre frontiere. Siamo decisi a rinunziare al possesso della Terra, vogliamo concludere l’affare in tu tt’altro modo. Naturalmente dovrete pagare i danni di guerra, e il debito vi sarà cancellato. L’armonia delle nostre sfere non deve venir mai disturbata per l’eternità. Il pensatore e l’attentatore non stendano mai più la mano nell’etere. Nessun tuono di battaglia penetri mai fino al nostro silenzioso mormorio. Troppo a lungo avete voluto parlare nell’universo. Avete quasi mano messo l’eternità! Avete aspettato a lungo e anche noi abbiamo aspettato a lungo, noi con pazienza, voi con avidità. Perchè sulla vostra terra ancora ricca di speranze, ora trionfi la vittoria finale, perchè nes suno venga mai più a contraddire quanto abbiamo stabilito, vi schiacciamo ora completamente con le nostre armi. (Pioggia di meteore). Voce dal basso — Sempre più a fondo, sotto terra! Non resta più nessuno! E se il mondo... (Fiamme). Voce d a ll’alto — Tutto si arresta! Detonazioni e cadute! Freme un grido... (Tuono dei mondi). Voce dal basso — Da dove viene? Cosa può essere? Sta saldo e fedele... (Tutto crolla) Soltanto fiamme! Chi è sopravvenuto? Cara patria... (Calma). Voce d a ll’alto — La tempesta si calma. La notte ha travolto tutto. È distrutta l’effìgie di Dio! (Grande silenzio). La Voce di Dio — To non l’ho voluto. F IN E A d d i o a M a r i a M e l a t o Il 24 agosto 1950, alle 13,10, nella sua piccola e tanto amata casa del Forte dei Marmi precisamente in mezzo alla pineta di Vittoria Apuania — dove nei periodi di riposo, prima gioiosamente volontari e poi penosamente e tristemente involontari, si rifugiava da oltre venti anni, è morta Maria Melato, una delle attrici più illustri della nostra generazione. Sono note le vicende del suo male, maturatosi lentamente in seguito ad una caduta mentre da Roma si recava nella nostra città per incidere qualche commedia del «suo » repertorio alla radio. Si ruppe un braccio c battè il capo in malo modo; ma la catastrofe è sopravvenuta improvvisa per attacco polmonare. Aveva 65 anni. Ne siamo profondamente addolorati, ma ci conforta per Lei — che tanto amò il suo pubblico — sapere che tutta l’Italia si è accorata della sua fine. E’ stata l’attrice più spiritualmente assistita dalla folla in questi ultimi mesi, perchè il pubblico sapeva o vagamente sentiva che ormai fuori dal Teatro soffriva, non di morire, ma di non poter più recitare, mentre «la sua anima ancora vibrava di urna dizione melodiosa che pareva cercare sempre un cielo aperto oltre il carcere dello scenario»: per queste parole scritte per lei recentemente il suo sorriso le è rimasto fermo sulle labbra. 1G A chi domandava notizie della povera Maria Melato, colpita dal cupo male che l'ha uccisa, i familiari e i medici rispondevano: « sorride ». E quel sorriso fermo, senza luce, appariva nelle tristi fotografie dell'attrice inferma e forse fuori di conoscenza, quel sorriso in attesa della morte, rivolto a pallidi ricordi di cose lontane e quiete o consuete, trasfigurantisi, forse tra un murmure fug gente di applausi. E forse quella inerzia dei tratti del viso significava il desi derio della povera attrice, o la sua abitudine, di volgersi al mondo, cioè al pubblico, con una gentile riconoscenza. Ferita a morte nel cervello, chi sa, aveva forse, per istinto, ritrovato la tecnica del sorriso, come dopo’ le ardenti scene di passione e di martirio, quando, calata la tela, ella appariva alla ribalta vibrando ancora per la impetuosa fatica, esaltata ancora dal piacere della v it toria; e ringraziava con lieto viso amichevole tutti quelli che erano attorno a lei, dalla platea al loggione. La storia di Maria Melato cominciò a Reggio Emilia con i filodrammatici; poi ella fu scritturata, non so da chi; ma uno dei suoi primi maestri fu Flavio Andò, che, ammalatasi la sua illustre prima attrice, spinse avanti, tra dubitoso e fidente, quella novellina; e subito la novellina rivelò una grazia soffusa di rosee timidezze, e trovò in una commedia di Silvio Zambaldi, La moglie del dottore, i primi accenti forti, vibranti di passione, incantati dalla musicalità della voce. Più tardi entrò, con Annibaie Betrone, in una compagnia di Virgilio Talli; e la forza drammatica del giovane primo attore gareggiò con la potenza trascinante e impetuosa e disperatamente dolorosa della giovane Maria dai grandi occhi, o felici o dolenti, e dalla voce fresca teneramente cantante e carezzevole, ma portata, su, con arduo contrappunto, a vibrazioni potenti. Quella cara voce fu il bene e anche un po' il male di Maria. Quando ella la dominò, aggiunse intimità e pura effusione alla sua arte; quando se ne lasciò dominare, seguen done con intimo piacere le vibrazioni, le cadenze, direi quasi le carezze e il fascino romantico, ella sacrificò a meno difficili vittorie le sue possibilità di ardita battaglia; ma sempre, prima e dopo, adorando, con l ’anima e con il fuoco più puro della sua umanità, il teatro. Dolce, dolce Maria; e, in fondo, come si sentiva smarrita nell'ambito della vita vera, tra la gente che è il prossimo di tutti, non nelle commedie ma fuori dal teatro, nelle case, nelle vie! In palcoscenico, no. Là viveva, appartata nel suo camerino, in attesa di uscire dalle quinte, personaggio inventato e insieme Maria Melato vera. Mai ricca, sebbene abbia contribuito ad arricchire tanti altri; quieta e quasi in ombra tra le cose reali, bruciando di animazione febbrile tra quelle per lei più vere della fantasia scenica. Bella, con grandi occhi arridenti e fidenti e amorevoli, aveva avuto passioni che furono sempre concluse dalla ingratitu dine altrui; e una specie di serena obbedienza al destino che perennemente la sacrificava. Ma se gli uomini veri la delusero, le furono incessantemente cari i personaggi dei drammi e delle tragedie, sempre idealizzati da lei. Amò quelli, obbediente e obbedita, con la passione prescritta dall'autore; ma vi aggiunse, con la suggestione, qualcosa di più; e ad essi donò, sì, la passione del personaggio, ma anche tutta se stessa, piangendo con una finzione teatrale più sincera della verità, soffrendo, alla ribalta, strazi acutissimi e sincerissimi che il pubblico consolava acclamandola. E se, in scena, doveva ridere, uno zampillo di note volubili le saliva alla gola canora; e le labbra s atteggiavano a quel sorriso che, per mesi e mesi, povera moritura, ripetè e conservò e che si è spento con lei. Forse, anzi, il caro viso pacificato dalla morte sorride ancora. Il nostro teatro perde una attrice carissima al pubblico, specialmente alle sen sibili folle che vogliono essere commosse dal fervore, dall'ardore e dall'impeto della passione; ma ella che ha fatto tanto di più e di meglio, avrebbe potuto rifulgere per un’arte molto più ardua. I suoi anni migliori celebrarono in lei un'attrice singolarissima, nata per il teatro, solo per il teatro, incantata e in cantatrice, capace anche dei più nudi e aspri accenti di verità. In quel tempo, e nel tempo che venne poi, fino alla sciagura che la imprigionò nel letto del dolore, Maria servì il teatro con adorazione, con disinteresse, con non so quale ingenuità del cuore; e a me, pensando che ella ci ha lasciato, pare di vederla allontanarsi, chiara ombra che si porta via rasserenata il bene che le abbiamo voluto e che le vogliamo. Renato Simoni To O P I N I O N E P E R S O N A L * DI J. B. PftlESTLEI L’Istituto Internazionale del Teatro (I.I.T.) del quale è presidente onorario J. B. Priestley, e presidente per il 1949-50 Emil Oprecht, ha pubblicato una Rivista — Le Théàtre dans le mond — con la quale l’Istituto si propone di vagliare (e in sede di discussione, poi, risolvere) i problemi del Teatro che affliggono — è la parola — tutto il mondo. Tra le poche cose buome che la Rivista porta e le moltissime inutili per una pubblica zione che dovrebbe essere il « centro » del mondo, ci sembra utile far conoscere anche da noi (l’Italia, come si sa, è aderente all’I.I.T.) l’opinione del presidente onorario. J. B. Priestley è un grande commediografo, ma dal suo scritto ci è sembrato anche un uomo estremamente abile: a saper leggere tra le sue righe si vede benissimo che con le sue sole mani sa far cammiciare almeno tre cerchi fino alla fine del suo percorso, senza che glie ne caschi mai uno. Bravissimo. ■ E' stata richiesta la mia opinione sul valore e l’interesse che può presentare un'organizzazione come l'I.I.T. per le persone di teatro di tutto il mondo. Mi rifiuto di darla, per la semplice ragione che troppe volle ho già espresso al riguardo il mio pensiero. Ho difeso la causa dell'l.l.T. in non meno di quattro conferenze inter nazionali, e scritto altrettanti articoli e fatte numerose trasmis sioni per radio sul medesimo argomento. Per dir le cose chiara mente, io sono stanco di spiegare perchè, secondo me, il mondo ha bisogno di un Istituto Internazionale di Teatro. Vado più lontano e dico, con la stessa franchezza, che sono assai stanco di preoccuparmi del mondo in generale, verbalmente e per iscritto, e di ciò che gli abbisogna e di ciò che gli manca. E così, per questa volta, voglio limitarmi all'I.I.T. ed a me stesso, e la sciare il mondo fuori discussione. lo sono colui che si è convenuto di chiamare un commediografo internazionale. Alcune mie commedie sono state rappresentate sotto tutti i cieli: dal circolo polare Artico al Rio delle Amazzoni. Non vado mai all'estero col solo scopo di assistere alle rappre sentazioni delle mie commedie, ma è un latto che, dopo la guerra, e proprio per puro caso, ho assistito alle rappresentazioni di « An Inspector calls » (Un ispettore in casa Birling) a Mosca, New York, Parigi, Copenaghen, Praga e Vienna. E so ancora che la commedia venne rappresentata in altre sette od otto capitali. Ma per quanto io possa a buon diritto qualificarmi commediografo internazionale, io non ho la percezione di appartenere ad un teatro internazionale. A l contrario penso che se, nel mondo del dopoguerra, esiste una cosa che si possa chiamare teatro inter nazionale, io non posso più essere stimato un uomo sincero. Io mi considero un autore inglese del quale si scopre che molte sue commedie vengono rappresentate all'estero. So, tramile i miei agenti, in quali città hanno luogo queste rappresentazioni, e, di tanto in tanto, ricevo da un direttore o da un regista delle fotografie, un programma, un manifesto. Ma nessuno, diret tore, o regista o capocomico, all'estero, si è mai sognato di venirmi a domandare se ho scritto qualcosa che lo possa interessare, o di informarsi sui miei primi lavori. Senza dub bio i miei agenti intenderanno trattar loro questi argomenti, perchè non s'ignora quante transazioni devono avvenire effettuate prima che possa aver luogo una rappresentazione al l'estero. Ma io ho un bell'aver fatto conoscenza, tramite le mie commedie, coi maggiori re gisti e coi più famosi attori stranieri, ed essere stato so vente ricevuto da essi molto cordialmente; tuttavia, quando tutto solo, sono intento a pen sare o a scrivere una comme dia, non ho alcuna sensazione d'appartenere a un teatro veramente internazionale; non sento di costituire un elemento utile in una confraternita mon diale di gente di teatro, e non ho alcuna convinzione di fare un lavoro al quale partecipino gli altri membri di questa con fraternita. Ed è evidentemente un errore. Ecco il primo mo tivo per cui io ho da molto tempo desiderato un Istituto Internazionale del Teatro, un organismo che mi permettesse di sentire che io faccio parte d'un ordine mondiale di autori drammatici. Io desidero sapere ciò che fanno i miei confratelli sulle lontane scene e voglio ch'essi sappiano ciò che faccio io stesso. Se sono state trovate nuove idee, nuovi accorgimenti scenici, voglio che sia possi bile metterli in comune. Desi dererei sapere come attualmen te reagiscono i loro svariati pubblici. Vi sono nuovi attori o attrici di primo piano? Qual cuno che io possa impegnare per una commedia o un film? Gli agenti sono assai utili, ma io preferisco, in alcuni casi, scambiare direttamente le opi nioni con gli artisti, miei com pagni. Che cosa vi è di nuovo nella messinscena? e nei giochi di luce? quali sono i giovani attori che promettono bene? qualcuno è in grado di risol vere il problema (che si pone con ancor più interesse di tu'.ti gli altri) di costruire una sala che, pur conservando una certa intimità, possa contenere più di mille persone? lo ignoro se il mondo sente il bisogno di un Istituto Internazionale del Tea tro, o se voi, lettori, ne desi derate uno; ma ia so che per quanto mi riguarda ne sento estremamente bisogno. Ebbene, ce n'è uno. L'I.l.T. esi ste. E si sviluppa regolarmente su quelle direttive che alcuni di noi hanno tracciato per esso, alla sua tondazione. Ma ■ — e questo è importante — bisogna rendersi conto che l'I.I.T. non potrà compiere normalmente la sua lunzione se non quando avrà una certa ampiezza. Ed è appunto per questo ch'io ho deplorato una certa impazienza, che si denota in molti, di esi gere dei risultati immediati. Non si potranno avere risultai' soddisfacenti se non quando l’I.I.T. avrà compiuto la sua crescita, e si sia stabilito soli damente. Se non ha, diciamo, che la metà della sua statura normale, esso non perde la metà della sua efficacia, ma i 19/20. Ed è na turale che la sua preoccupazio ne principale, in questi primi anni, consista semplicemente nel consolidarsi, nell'assicurarsi solide basi. E in seguito può darsi che si faccia anche cono scere. Tutto ciò può venir con testato da spiriti scettici che diranno: « Mostrateci ciò che l'I.I.T. può fare, ed allora noi crederemo in esso». (Questio ne che, d'altra parte, si pone per l'Unesco stessa). Secondo il mio parere, questo è un pes simo modo di considerare una istituzione di tal genere. Noi abbiamo diritto di rispondere: « Credete nell'l.l.T., ed allora non tarderemo a mostrarvi ciò che può fare ». In ciò non vi è nulla di paradossale, ma è — al contrario — la parte ele mentare del buon senso, perchè l'I.I.T. non può compiere la sua normale funzione se non ha assicurata la collaborazione mondiale. Infatti è l'espressione organizzata della cooperazione internazio nale in materia di teatro. Non è come un'officina, dalla quale si ha il diritto di esigete un immediato rendimento: è piuttosto come un'Unione Postale, di cui si può dire che fino a quando non si è messa ben a pesto, ogni sua azione non ha valore. Dunque, che qualcuno mi venga a dire: « Se lei sente una gran necessità dell'l.l.T., dica quale servigio le ha reso fino ad oggi » la mia risposta è subito pronta. « Amico mio — direi piess'a poco — ti farò stupire. Voglio ammettere che fino ad oggi non mi è stato di alcun aiuto, ma io non attendevo che lo facesse. Mi diventerà utile. E quando avrà raggiunto la sua statura normale, quando la macchina avrà in funzione tutti i suoi motori, io credo che farà tutto ciò che tu ed io possiamo ragionevolmente attenderci da esso ». Può anche darsi che taccia di più e che compia qualche miracolo. Ma vi è ancora un altro punto. L’I.I.T. non funzionerà mai, seb bene i governanti si schierino dalla sua parte. Se uno dei miei confratelli dichiara che sarebbe bene tenere informati i governanti sugli errori del teatro, io sono il primo ad essqre del suo parere. Ma non si tratta di questo. Ciò che attualmente rende difficile la vita culturale internazionale, è appunto l'opera dei Governi. Sono i governanti che erigono delle barriere tra di noi, che esigono passaporti e visti, che ci proibiscono di spendere valuta straniera (anche quando ce la siamo guadagnata col nostro stesso sudor della fronte), che limitano i trasporti, che impongono leggi restrittive sulla mano d'opera, che esigono i diritti di dogana. E quello che noi esigiamo dagli statisti, non .sono delle leggi sul teatro, che essi non sarebbero capaci di dare, ma la soppressione di alcune di queste barriere. Se i ministri e i loro gabinetti giudi cano che l'I.I.T. (e tutto ciò che riguarda lo scambio culturale internazionale) è meno importante che l'osservanza di alcuni dei loro regolamenti o leggi, escano allora dal silenzio e lo proclamino chiaramente, dando cosi la prova della loro intelligenza scarsa ed incolta. Ma se essi continuano ad affermare la loro fede nella comprensione internazionale, bisogna che si mettano in azione e che traducano la loro fede in pratica. I ministri interessati po trebbero, per esempio, dare il loro consenso ad una convenzione, in seguito alla quale tutte le persone accreditate che viaggiano per l'I.I.T., saranno soggette ad una specie di statuto diplomatico. Potrebbero mettersi d’accordo per sopprimere tutti gli ostacoli che impedirebbero all'l.l.T. di organizzare congressi, corsi estivi o una esposizione viaggiante. Essi potrebbero facilitare, tramite l'I.I.T., dei « iestivals » internazionali nei paesi interessati. Rias sumo. lo continuo a sentire un'assoluta necessità di tutto ciò che TILT, può fare. Ma io aedo che esso non potrà adempiere completamente alla sua funzione se non quando avrà raggiunto una certa ampiezza. Credo ugualmente che la buona volontà dei governanti sia cosa essenziale per il conseguimento del suo completo sviluppo. D'altra parte penso che il laverò più duro sia già stato fatto, e che al presente, una sola offensiva trionfale, lanciata su un largo fronte, ci porterà alla vittoria. Versione italiana di Giuseppe Ronco ì/m Nel fascicolo del 15 luglio abbiamo detto il -nostro rammarico per la morte di Mario Pelosinl, purissimo Artista e Uomo esemplare. Ricordando i molti suoi allievi dell’Accademia di Arte Drammatica, abbiamo nominato per primo Vittorio Gassman sapendo come questo attore, oggi tra i primi, serbasse per il suo Maestro gratitudine e affetto. E Gassman ci ha mandato ora queste sue commosse parole, che molto volentieri pubblichiamo. Un segno di gratitudine è sempre un puntino; quando si può renderlo luminoso è un bene che non saremo certo noi a trascurare o disperdere. Vittorio Gassman ha aggiunto — in memoria del suo Maestro — diecimila lire per la Casa di Riposo degli artisti drammatici. Grazie, Gassman. ^ Mario Pelosini è scomparso da meno di due mesi. Così recente e viva, quindi, la sua perdita, che quasi ripugna a chi veramente lo ha amato di lasciare sfogo alle parole del sentimento, a quel tipo di nostalgia affettuosa che quasi mai interpreta il vero dolore, ma più spesso aggiunge alla sciagura della morte il sospetto di una sentimentale rassegnazione, con cui i vivi presto e placidamente si adeguano all’ineluttabilità dell’evento. Ora, se e vero che molti lutti impostano un semplice rapporto di affetto e di rimpianto, per altri come per questo l elemento della stima allarga e concreta la sofferenza, precisando i suoi contorni secondo l’estensione del valore perduto. E di Pelosini, del suo così presto esser mancato alla vita e all’insegnamento, si può proprio dire che il danno supera perfino l’amarezza, e che se questa è acuta e scopertamente improv visa, di quello avremo un seguito duraturo e profondo, noi e altri dopo di noi. Le virtù della sua scuola erano insieme tecniche e spirituali, in una fusione che trovava il suo fulcro esteriore nelle stesse caratteristiche fisiche del maestro: nella sua voce scaltrita ma cordiale, nel viso arguto e tragico, nella nobiltà impacciata della figura. Così tutti noi allievi abbiamo prima di ogni altra cosa appreso da lui una nozione fondamentale di ardore e di vitalità; e se i primi contatti furono spesso addirittura sconcertanti (chi ha dimenticato la prima lezione, il suo toscanissimo ma non letterario motteggiare, l’ag gressiva inesauribile euforia della sua dizione?), il passare del tempo e delle esperienze ce lo ha fatto ritrovare sempre più vicino e prezioso, in ogni episodio della nostra carriera, in ogni paragrafo del suo decalogo didattico. Conservatore, ma conservatore dell’essenziale. Talora anche ingenuo in certe avversioni, ma quasi sempre abbiamo finito per condividerle. E il conto è lungo: la fedeltà al verso, la raffinatezza prosodica; il respiro vocale e quello dell’anima, che così intimamente si abbracciano sui grandi testi di poesia; quella vena di comicità sanguigna e antica di cui impastava Molière o i cinquecentisti italiani; la devota passione che poneva nel meglio di D’Annunzio, ma la regola prima di non sprezzare nulla e anche nell’autore più modesto cercare sempre un’apertura sincera, un fremito, o foss’anche solo il gusto maturo e libero della parola. Quanto gli dobbiamo? Io so di aver studiato con lui Oreste di Alfieri e Persiani di Eschilo, i due testi che, rincontiati più tardi nella professione, mi hanno dato le gioie più grandi della mia carriera: nè voglio parlare di coincidenza formale, che preciso a distanza di anni ho ritrovato su quei versi il punto di certe pause sue, di certi fiati, di certi slanci o affiochimenti dell’intonazione. Non parole, dunque, ci ha lasciato il suo generoso parlare, ma la ricchezza tangibile di uno stile e di un comandamento. Ecco perchè oggi è tanto complesso il nostro cordoglio, e due immagini fra le tante di lui si mischiano nel ricordo : di quando mirabilmente intonava un Conviviale di Pascoli, e di quando, all’ultimo, lottava con le estreme forze per non cedere alla malattia e non disertare i suoi allievi. Ecco perchè l’impossibilità di dimenticarlo poggia con pari forza sulla nostra riconoscenza e sul nostro bene. Vjiioi'io Gassman m a l d i t e Avete notato? Più i palcoscenici si chiudono, più le Compagnie si sciol gono, più i comici emigrano verso l’america del cinema e più la gente si scopre malata di teatro. E’ una forma speciale della nostalgia, è co me una febbre che si insinua nelle vene dei grandi e dei piccoli e spinge questi a giocare al teatro, quelli a parlare e discutere di tea tro, a cercare un pretesto qualun que per fare, in qualunque modo, del teatro. Visto che non hanno più Fopportunità, o quasi, di andare a teatro. A Firenze, per esempio, fino agli anni precedenti l’ultima guerra, si poteva ogni sera scegliere tra non meno di sei teatri aperti: tre di prosa, due d’opera o d’operetta e uno di varietà. Oggi c’è da fare un triduo solenne quando se n’apre uno, ogni tanto. E, a giudicare dal l’indifferenza con la quale il pub blico accoglie quelle stanche ripre se, si direbbe che all’arte dei co mici i fiorentini proprio non ci pen sano più. E, invece, non c’è da sa pere in quanti modi cercano di col tivarla (magari in aiole domestiche se mancano i giardini pubblici), quanta passione teatrale nasconda quell’apparente freddezza per il teatro che congela le ultime Com pagnie quando si azzardano afar ca polino tra le quinte della « Pergola ». Voglio dirvi, appunto, di questa feb bre latente. C’è una istituzione tea trale fiorentina che non conosce crisi dal ’27, quando è nata, ad oggi: è il « Teatro della Fiaba », sostenuto e diretto da tre donne nelle quali il mal di teatro è diventato cronico, ormai: la signora Flavia Farina Ci ni, animatrice infaticabile dell’im presa; Assunta Mazzoni e Jole Vi tali, che con infinito amore insegna a t r o o g n u n o no a recitare ai bimbi, e specialmen te le bambine, tra le quali si sco prono spesso eccezionali « temperamenti artistici ». Ebbene : quest’anno, il «Teatro della Fiaba», dopo aver messo in scena due curiose e deli ziose operine — Cappuccetto Ros so e Pctuzzo — (scritte, parole e musica, da una bimba di quat tordici anni che tutti chiamano « Ro sanna » e basta, poiché non è che la compagna di giochi dei suoi inter preti) ha organizzato, nientemeno, una sacra rappresentazione con un impegno ed una compiutezza non comune. Ha scelto la Sacra rap presentazione di S. Giovanni e Paulo scritta da Lorenzo il Ma gnifico per i suoi ragazzi che fa cevano parte della « Compagnia di S. Giovanni », la quale mise in scena il Mistero in pieno Rinascimento. La « Fiaba » ha riprodotto quell’an tico spettacolo adoperando scene di Bartolini Salimbani dipinte da Do natello Bianchini, costumi di Nene Bardelli e facendo dirigere le danze e l’intero movimento scenico da Carletto Tiben. I piccoli attori han no battagliato e pregato, festeggiato il trionfo di Cristo, glorificati i mar tiri alla perfezione, in virtù del mal di teatro che già circola nelle loro vene come in quelle dei loro geni tori; lo stesso che brucia nel cuore indomito di chi ha messo per tanti anni a disposizione del «Teatro della Fiaba » la sua genialità di educatrice e di artista: parlo di Assunta Mazzo ni che non riesce più ad invecchiare in mezzo a tanta gioventù. Il Mi stero messo in scena dalla « Fiaba » è capitato bene, tra il centenario del Magnifico e l’Anno Santo. E sta be ne. Ma chi avrebbe mai pensato di celebrare, altro esempio, il centena u n p o ’... rio di Giuseppe Giusti con una rap presentazione teatrale.'' Ci ha pensato 1inguaribile malato di teatro nume ro due, Kaitaello Meiani, poeta eru dito regista. Metani ha scelto alcune poesie del Giusti che paiono scritte appositamente per essere recitate, e ci lia latto il presente d’un Giusti inatteso, un Giusti autore teatrale. Ve lo sareste mai immaginato.'' Ep pure quale scioltezza, cne vivacità, che ¡fluidità di dialogo nell onda scanzonata dei versi burleschi, che rammarico di non avere un intera commedia dell’argutissimo monsummanese. Ecco una nuova risposta a chi so stiene che l’Italia non ha autori : ne ha molti; ne ha troppi. Bisogna sa perli trovare; la maggior parte si trova nei comici, molti tra i musici sti compositori, altri tra i poeti. INoi abbiamo il teatro nel sangue: tutta l’arte nostra è teatrale: Raiiaello non ha dipinto che meravigliosi palcosce nici disponendovi con magistrale re gia gli attori: protagonisti, generici e comparse. Botticelli ha composto mirabili scene di balletto. Tacendo sempre del teatro, gii artisti italiani hanno trascurato di scrivere comme die. Ed è un vero peccato. Intanto, il tentativo di teatralizzare il Giusti è riuscito appieno, anche grazie al ta lento di un attore nuovo che va se gnalato: si chiama Alfredo Bianchi ni, è giovanissimo, studia canto — anzi, è già provetto musicista — e possiede quella che si dice una vis comica di prim’ordine; caratterizza i personaggi con brio, intelligenza, e una così ricca fantasia, da indurci ad immaginarlo già professionista nella nostra commedia di domani. Bisogna vederlo nelle Piaghe del giorno o nel Congresso dei birri, ma soprat tutto nel Brindisi di Girella. Un Giusti nuovo, dunque, ed un nuovo attore, dovuti alla febbre tea trale di Raffaello Melani. Non è mal di teatro, questo? Un male che non risparmia, d’altronde, i nostri scritto ri più seri e severi : quali fiamme (altro esempio) ardono le vene di Bruno Cicognani, che ha già colto sul palcoscenico allori che gli sono più cari di qualunque altra corona? d i c h i d Cicognani ha scritto ultimamente — D i a r i o è risaputo — una tragedia di grande respiro, data l’anno scorso sul sagra Un grave lutto ha colpito Nicola to della chiesa di S. Miniato con De Pirro, direttore generale per buon successo, e nella quale si narra il Teatro. Una sciagura orribile in modo originale la storia di Don che ci ha commossi profonda Carlos. Di questa sua tragedia che mente, dandoci al tempo stesso s’intitola Yo, el Rey Cicognani ha angoscia e sgomento. Uno dei suoi parlato al «Lyceum » con passione e quattro figli, Ascanio, di quat profondità, sostenendo le ragioni del tordici anni, è morto U mese la realtà storica — che non deve es scorso, durante una escursione sere, secondo lui, alterata dalla fan in montagna. Trattandosi di un tasia, ma piuttosto sublimata dalla ragazzo che non voleva certo fa poesia — e ponendosi cosi idealmen re del virtuosismo e sapendolo te in conflitto con quanti hanno scrit affidato ad amorevoli cure di ecto drammi sul medesimo soggetto, clesiasti, bisogna proprio credere in special modo con Schiller e con —• sia pure senza imprecare — Verdi che scrisse il suo Don Carlos alla fatalità, all’imprevisto, al seguendo la trama del dramma di l’impossibile. Non è ancora tra Schiller. Poiché tra le manifestazioni scorso un anno dalla morte della del «Maggio Fiorentino » di que moglie di Nicola De Pirro : si può st’anno la rappresentazione del Don immaginare come tutta la sua Carlos verdiano è stata forse la più vita fosse riposta e ripartita fra importante e riuscita, ecco che il le sue quattro creature rimaste conflitto ha preso concretezza e dav senza Mamma. vero Cicognani, con gli occhi scintil Noi apprendemmo la notizia della lanti e la barba al vento, si è trovato sciagura da una comunicazione dinanzi ai due giganteschi avversari. di Enrico Bussano, che ebbe la fortuna dì incontrare Nicola De La tesi romantica dell’Infante libe Pirro a San Candido in quel tri rale e innamorato, condotto a morte ste giorno e potè esprimergli il dal padre vecchio brutto tirannico dolore di tutti noi che facciamo bigotto, è scesa in campo, forte di parte del Teatro; subito, dal no una musica sublime e di un grande stro rifugio di alta montagna, di spettacolo, contro la nuova tesi sto cemmo a Nicola De Pirro il norica del principe deforme di corpo e d’anima, di virilità incerta, col si ® Il nostro illustre e assiduo col stema nervoso sconvolto, di fronte al laboratore Annibaie Pastore, già padre bello giovane (37 anni) amato, ordinario di filosofia teoretica immagine perfetta della regalité: co nell’Università di Torino, diret tore del Laboratorio di logica spe lui che firmava Yo, el Rey. rimentale, è stato nominato so In un simile duello la supremazia dei cio corrispondente dell’Accademia romantici dovrebbe risultare schiac dei Lincei. L’ambita nomina pre ciante, ma la tragedia di Cicognani mia la lunga carriera universi è così alta e bella, così pura e sincera taria e la feconda attività filo sofica dell’insigne docente, al che regge benissimo il confronto. Ma ben altro interesse susciterebbe quale, con la devota ammirazio il torneo se il riabilitatore di Filip ne e l ’affettuosa amicizia che ci diciamo le nostre feli po II potesse contrapporre rappre conosce, citazioni. sentazione a rappresentazione. Ieri gli sarebbe stato facile: oggi è im Si Una Fondazione culturale che, possibile: i malati di teatro debbono tra i molti altri scopi, si propone contentarsi delle visioni fantastiche «una completa organizzazione che suscita la febbre dinanzi ai loro per manif estazioni teatrali » è stata istituita nell’isola di San occhi pieni d’amore. taógi Bonetti Giorgio a Venezia, per ricordare ic e e d i c h i fa stro dolore tentando col cuore in mano una parola di conforto. Ma vogliamo ripetere qui il nostro dolore, con fraterna solidarietà, proprio perchè non poche volte, spinti dall’amore per il Teatro e convinti, dato il nostro assoluto disinteresse, di doverlo difendere, fummo non poche volte severi dì critiche verso De Pirro. Scriven dogli personalmente gli abbiamo dette, come se Giovanni Mosca ce le avesse suggerite, le identi che parole che abbiamo letto su ” Candido ” la scorsa settimana; sono di Mosca e sono le nostre: «la nuova sventura ci riempie non solo d’immensa pietà, ma quasi di pentimento per aver ag giunto sia pure solo un poco di amarezza a una vita così dura mente, così crudelmente provata. Vorremmo non aver scritto nulla contro di lui. Ci conforta il pen siero di essergli stati avversari leali, dei quali, certo, egli ben conosce l’onestà ». Nicola De Pirro ha capito. La so lidarietà e il dolore non hanno bisogno di raggi infrarossi: veri, si mostrano subito come sono, inequivocabilmente. il nome di Giorgio Cini, perito — come tutti ricordano — in una tragica sciagura aerea. L’isola Memmia (Memmia, in ricordo del Doge Tribuno Memmio) nota col nome di San Giorgio Maggiore, che sorge dalle acque di fronte a San Marco, dopo la Salute, diverrà tra breve il cuore intel lettuale artistico letterario e so ciale di Venezia. Nei secoli pas sati l’isola ebbe antico splendore, ma andò poi decadendo fino a diventare ima grande caserma con ruolo di «fortezza militare ». La Fondazione Giorgio Cini, vo luta dai suoi genitori e destinata a perpetuarne il nome, prevede il restauro delle opere palladiane dell’isola, un museo dell’arte sa cra veneta (antica aspirazione veneziana), un’istituzione mari- nara per i figli dei marittimi e gli orfani dei pescatori, scuole professionali per l ’educazione e l ’istruzione di ragazzi abbando nati e poveri, l ’università dei me stieri, un centro di convegni per accogliere gli artisti di tutto il mondo e gli studenti desiderosi di perfezionare le loro conoscenze sulla storia e l ’arte di Venezia, un centro internazionale di cul tura e di arte, un pensionato in ternazionale per gli artisti e gli uomini di scienza e infine una completa organizzazione per ma nifestazioni teatrali, artistiche e musicali all’aperto. 0 Durante il mese di agosto, la celebre attrice francese Cécile So rel è stata ammessa al terzo Or dine di San Francesco presso i cappuccini di Baiona, che l’han no accolta come novizia nel loro convento. In una semplice ceri monia, alla quale assistevano i religiosi del convento, i membri della confraternita e un grup petto di amici, l ’attrice ha rice vuto una corda bianca e uno sca polare. Dopo un anno di novi ziato ella sarà definitivamente ammessa al terzo Ordine. Da diversi anni Cécile Sorel vive alquanto appartata a Baiona, da dove si reca talvolta in Spagna e in Portogallo per tenere con ferenze, oppure sulla Costa Az zurra. S Jean-Paul Sartre, lo scrittore esistenzialista, ha diretto un film « interamente dedicato alle to lette dei caffè di Parigi». Meno male che le pellicole cinemato grafiche non hanno ancora la colonna odorifera. ® Il «Premio Riccione» 1950 è stato assegnato l ’l l agosto a Gpnnaro Pistilli, un giovane na poletano, che pare si sia ispirato ed attenuto con la sua opera ai canoni fondamentali del Teatro di Eduardo. La commedia ha ti tolo Notturno ed è stata premia ta dopo essere stata molto in bal lottaggio con Vita per un altro di Ivo Chiesa. Ma all’ultimo scru tinio tutti i voti, meno quello di Vito Pandolfi, sono stati favore voli a Notturno. Gennaro Pistilli è esordiente, ha ventisette anni, è laureato in scienze politiche ed abita a Na poli in via Palizzi 20. Il valore dell’opera è stato sottolineato da lusinghiere espressioni nel ver detto dei giudici. Pare che Not turno sia un lavoro veramente ragguardevole per il dialogo che, senza essere dialettale, è quanto mai appropriato alla natura dei personaggi ed alla vicenda. Vi sono forti audacie verbali conte nute però entro le esigenze di un’arte sorvegliata e di un gusto di indubbia derivazione lettera ria. L’opera non manca di parti pericolose, ed il lavoro —■ha det to Lorenzo Ruggi, presidente del la Giurìa del Premio, — sembre rebbe scritto apposta per Titina De Filippo ed il suo grande fra tello; comunque una geniale so luzione del problema esecutivo si potrebbe anche avere affidando la parte della protagonista a Bella Starace Sainati. La commedia si sviluppa su un piano divertente, senza compromettere la possibi lità di farsi alla fine oscura ra sentando il tragico. E’ la storia di ima indovina che, col pretesto di predizioni, ten ta di combinare matrimoni per trarre vantaggi personali, e met te perciò in subbuglio un intero quartiere della Napoli popolare di oggi. Nunzia, la fattucchiera, turba le abitudini di uno scapo lo (Giovannino), il quale senza l ’intervento della donna si sa rebbe accontentato di vivere nel la contemplazione di fotografie di belle ragazze ritagliate da giornali illustrati. Alla fine il lavoro sfocia in quella che può sembrare tragedia, ma che si risolve in un incidente senza dolo. Ottime le figure di contorno e l ’ambiente: un quartiere napoletano tratteggia to senza nessuna maniera nè tra dizionalismo dialettale. Eugenio Ferdinando Palmieri, cui spetta il merito della scoperta, essendogli toccato in sorte in pri ma lettura il copione, si è così espresso : «Mi sembra opera di una certa andacia e di una sin golare tessitura dialogica. Lo sfondo è napoletano e lo stesso dialogo è a cadenza partenopea. Non si può parlare di opera dia lettale; nondimeno, se volessimo portare quest’opera verso il tea tro dialettale in senso molto lar go e classico, i significati appari rebbero anche più notevoli, sia in senso concettuale che in sen so teatrale ». Accanto al Notturno, sono sta te segnalate le singolari qualità delle altre tre opere rimaste in lizza fino airultimo: Vita per un altro, di Ivo Chiesa, in cui si narra la storia di un uomo pa ralitico al quale la moglie rico struisce la vita che ha vissuto; C’è qualcuno al cancello, di Ezio D’Errico, opera nella quale l’au tore propone un problema attua lissimo di coscienze nel clima del dopoguerra; La terra di Dio, del catanzarese Vito Sirago, un lavoro che affronta temi sociali di largo respiro. La Giurìa ha inoltre ritenuti degni di particolare menzione i lavori: Prometeo, di Carlo Gi gli (Torino); L’uomo della dome nica, di Anna Maria Borboni (Mi lano); Ercole in..., di Libero de Libero (Roma); Contrabbando, di Marco Reinach (Milano); La tua donna, di Guido Seborga (Tori no); Mare, di Renato Pompei (Pesaro) ; Pazza come l’amore, di Attilio Carpi (Milano) e Mamma ascesa, di Roberto Cavalli (Bo logna). Al «Premio Riccione » sono per venuti centotrentatre copioni; ne sono rimasti al primo scrutinio, ventidue; quindi tredici, quattro, due. Infine il vincitore. ® Il Centro di ricerche teatrali, il cui scopo è quello di suscitare degli entusiasmi intorno al Tea tro — perchè pare che manchi intorno ad esso un vero interes se, come scrive Gino Vìsenti —• ha organizzato nel ridotto del Teatro Eliseo di Roma una mo stra di scenografia quale « as saggio » a quella in preparazione (grande esposizione della sceno grafia italiana) che si terrà l ’an no prossimo a Venezia. La mo stra è stata allestita da Elena Povoledo, detta Eienetta, una delle poche creature che il Si gnore ha dato al Teatro con grande e disinteressato amore. Intelligente e colta. Eienetta sa tutto dell’Arte italiana, e anche in questo « assaggio » ha dato prova delle sue qualità con gusto e misura. Si tratta di una parte della col lezione Donghi, importante per la documentazione del momento di trapasso fra lo stile gaio e un po’ arricciato del Settecento e quello più severo e chiuso dei primi anni del secolo successivo, in cui si configura lo stile neo classico. La collezione comprende più di quattrocento scenografie, in gran parte originali, ma nella mostra ne sono state esposte solo due cento, scelte fra le migliori e con un criterio di continuità e coe renza. Ciò è stato possibile pro prio perchè la raccolta fu fatta nell’Ottocento da due scenografi deH’ambiente milanese, Felice e Gian Battista Donghi, che aven do lavorato con Alessandro Sanquirico, il primo come allievo e il secondo come collaboratore, ebbero quindi la possibilità di procurarsi bozzetti del loro pe riodo e di quello immediatamente precedente, dal quale derivarono. La mostra ha avuto il merito di ridestare i tempi in cui il teatro era vivo proprio perchè aveva il potere di creare speciali dinastie che gravitavano attorno alla sce na, non solo nel mondo dei co mici, ma anche in quello dei pit tori e degli architetti. Un vasto e prezioso tesoro di opere figu rative, prodotte da secoli di at tività teatrale, resta si può dire ancora da scoprire in Italia. La grande mostra dell’anno ven turo a Venezia sarà quindi, un avvenimento di non poca impor tanza. ® Ogni tanto qualche bella no tizia di disinteressato amore al Teatro ci conforta davvero: dopo il vivissimo successo, a Taormi na, dell’OfeZZo di Shakespeare, con la regìa di Cutrufelli, lo spet tacolo — per lodevole iniziativa di autorevoli persone estranee agli espedienti teatrali, cioè sol tanto appassionati — è stato «portato al popolo per grazia » : c°n più semplice parola, gratis. Così in una grande piazza di Mes sina, di fronte al magnifico por to illuminato, tutta la cittadi nanza ha potuto assistere gratis allo spettacolo, mentre poche se die si pagavano « come in chie sa», cioè con l ’obolo. Ma i non interessati organizzatori — ci di cono — hanno dovuto sudare le solite «auattro camicie » per po ter realizzare lo spettacolo, aven do trovato fiere opposizioni in un critico e in un regista al loro progetto. Si sono invece dichia rati soddisfatti del Ministero che ha dato, oltre l’appoggio morale, anche tre milioni e mezzo. Cifra che duelle brave persone, a diffe renza di Guido Salvini che di queste cose si intende, ritengono una cifra astronomica. Ma i soldi non contano: in Teatro vale la fede. Tatiana Pavlova per lo spet tacolo di Nervi, certo il migliore o tra i migliori di auesta estate teatrale, ha avuto cinque milio ni. Chi ne ha tre e mezzo o cin que. lo dice, ma quelli di Firen ze, Venezia, Verona, ecc., si guar dano bene- dal parlare. Soltanto che parlano gli altri. EH A Roma, il 4 novembre, sarà rappresentata al Teatro dell’Uni versità Romanticismo, di Gero lamo Rovetta, quale rievocazione della Vittoria italiana del 1918. Una 'commemorazione ed insieme un saluto ai fratelli giuliani. L’at tività del Teatro dell’Università incomincerà il 15 ottobre, con il proverbio sceneggiato di De Musset, Con l’amore non si scherza, e la farsa di Garcia Lorca: Don Pirlimplin. Nel programma di questo teatro figurano, inoltre, La vedova scaltra, di Goldoni; Il cappello di paglia di Firenze, di Labiche; Molto rumore per nulla, di Shakespeare; Tessa, di Jean Giraudoux; La sognatrice, di Rice, ed infine, Santità, ‘di Primo Piovesan, che in occasione della beatificazione di Pio X, sarà rappresentata come «sacra rap presentazione » nella cripta del nuovo Tempio che sorge al cen tro della Città Universitaria di Roma. La Compagnia è composta di tut ti attori professionisti e si varrà della collaborazione dei giovani dell’Istituto del Teatro, specie di Facoltà dell’Università di Roma. La Compagnia avrà la durata di sei mesi, ma ne sono previsti ot to, perchè i due mesi supple mentari servirebbero a portare fuori Roma alcuni spettacoli più significativi >e meglio riusciti. H II «Premio Teatrale Acqua Panna » va verso la sua conclu sione, e sembra che non più in una città della Toscana avverrà la premiazione, ma a Venezia, nell’ultima decade di settembre, con .l’intervento di molti degli organizzatori e rappresentanti del Festival del Teatro e della Mo stra del Cinema. Come è noto, per averne noi stessi data noti zia, sono pervenuti oltre trecento copioni che sono in lettura. Il premio è di 750 mila lire per il vincitore e altrettante per la Compagnia che metterà in scena il lavoro premiato. Trattandosi di un concorso per una comme dia comica, il primo del genere, sarà interessante vedere quale spirito ha animato i concorrenti e quali trovate avrà avuto il vin citore. Non è una cosa facile, ma pare dai primi sommari esami delle opere, che molti autori non sono davvero musoni. H L’11 agosto, al Teatro Goldo ni di Livorno, è stato commemo rato un grande autore italiano troppo presto e molto ingiusta mente dimenticato: Dario Niccodemi. Era il sedicesimo anniver sario dalla morte. Con belle e toccanti parole, lo ha ricordato Guglielmo Zorzi, presidente della Società autori drammatici, nè si poteva trovare persona più adat ta per ricordare Niccodemi, che oltre ad essere stato imo dei mag giori autori di un periodo ben fecondo per il Teatro italiano, fu appassionato e disinteressato presidente della Società Autori, quella vera di Milano, di corso Venezia e via Sant’Andrea, go vernata ed amministrata' da au tori niel suo periodo più luminoso. Quella di adesso è un grosso or ganismo burocratico dal quale gli autori per forza di inerzia si la sciano amministrare, ma dalla quale si sentono lontani ed estranei. Guglielmo Zorzi ha, dunque, ri cordato Niccodemi fraternamen te: ha detto anche molte cose intime e toccanti riguardanti il commediografo, con l ’ausilio di un diario (della cui esistenza po chi sapevano) al quale Niccodemi per molti anni confidò affanni e speranze, con giovanile baldan za, con accorata malinconia. E’ tutto soffuso di grande e smisu rato amore per il Teatro. A que sto diario che la figliuola di Da rio Niccodemi possiede, Zorzi ha chiesto ispirazione, ed ha trovato episodi che hanno fatto rivivere la bella figura dell’illustre com mediografo come Uomo e come Maestro. Quindi Gigetto Cimara, il fedele a Dario, certo colui che dopo i suoi figli gli ha voluto più bene, e con devozione ne venera il r i cordo, ha recitato da par suo, con Anna Maria Alegiani, L’alba, il giorno e la notte, quel capolavoro teatrale, vero cesello di comme dia, che tutto il mondo conosce. S Le sovvenzioni ministeriali sono molte: ognuno può render sene conto leggendo in questo fascicolo «La pagella per la Sta gione 1949-50 ». Oltre alle sov venzioni ci sono premi rimborsi e non si sa più quale altra dia voleria escogitare affinchè il me stiere del teatro sia e diventi an cora di più redditizio. Redditizio per pochi, si capisce. Non occor re aggiungere di più. Ora si va facendo strada la « trovata » di non fare più delle vere e proprie Compagnie, ma di riunire dei piccoli gruppi di pochi attori con pochissime scene, magari una so la, per rappresentare alcune commedie già precedentemente scelte e stabilite con particolare cura affinchè i personaggi non siano più di quattro o cinque. Già gli autori hanno incomin ciato a capire ohe se scriveran no una commedia nuova si deb- bono tenere nei lim iti «indica ti » dalla forza oscura ma im placabile, altrimenti non ci po trà essere rappresentazione. In fine una disposizione della Dire zione del teatro, mette termine — finalmente — allo sconcio di « costringere » senza parole (con un sorriso e le braccia spalan cate rivolte al cielo) gli autori a dividere i loro diritti •— cioè il loro solo ed unico pane ■ — col molto companatico di impresari capocomici e attori (anche atto ri, purtroppo). Gravi provvedi menti saranno presi a carico di costoro; ma servirà? e l ’omertà dove la mettiamo? non siamo in Italia?' Aggiungiamo che nel tea tro di prosa la faccenda di r i partire i diritti d’autore è mi nima, ma nella rivista (che pure è sovvenzionata dallo Stato) è scandalosa. Non si salva nes suno. ES Nel panorama della nuova Stagione Teatrale 1950-51, ab biamo avvertito che le notizie, da quando le abbiamo ricevute a quando il lettore le legge, avreb bero potuto subire qualche tra sformazione. Infatti : la Compa gnia Pilotto-Proclemer-Pisw non si fa più, e quindi il Teatro delle Arti di Roma, ritorna alla nor male ospitalità delle Compagnie; Andreina Pagnani sempre più perplessa sulla sua Compagnia; Vitaliano Brancati ha scritto una nuova commedia, Raffaele, che ha consegnata al Teatro del l ’Università. Bl Carlo Trabucco, critico teatra le del quotidiano «Il Popolo Nuo vo » di Roma, il 19 agosto, ha scritto sul suo giornale, col ti tolo «La Pagnani imbronciata » quanto segue: «Da che mondo è mondo i pre mi hanno sempre recato molti dispiaceri e pochi piaceri. Sono lieti i vincitori, immusoniti gli altri, che sono naturalmente la maggioranza. Imbronciati dunque sono e la Andreina e Gino perchè la Com missione ministeriale che ha di stribuito i premi per l ’anno 19491950 non ha premiato il loro complesso ohe in linea artistica è stato senza dubbio il migliore. E questi pregi artistici la com missione li ha valutati, ma ha trovato al passivo della Compa gnia due voci; l ’esiguo numero delle piazze da essa «battute » (appena cinaue) e l ’eccessivo nu mero delle recite di lavori stra nieri, di contenuto artistico mol to modesto, rispetto a quelle dell’unico lavoro italiano rappre sentato. Infatti allorché la Cervi-Pagnani scoprì quel filone d’oro che si chiama Quel signore che venne a pranzo e quell’altro ancora —• anche se un po’ meno •— I figli dì Edoardo, non l ’ha più mollato. Ha tentato un’altra commedia americana, che non ebbe gran successo, e poi la com media di Bompiani Anche i gras si hanno l’onore a sua volta con non gran successo di cassetta. Tra i canoni che i giudici do vevano tener presenti per asse gnare i premi c’era scritto: re pertorio e piazze. In realtà se la signora Pagnani e Gino Cervi r i flettono, il premio l ’hanno avuto non solo nei vantaggi pecuniari che ha dato loro la fortunata ge stione, ma nel mancato disagio degli spostamenti (ben 37 piazze ha toccato, ad esempio, la Benassi-Maltagliati) ed è passata da Milano a Palermo. Quanti quat trini ha speso l ’impresa per que sti spostamenti? In fondo per la Cervi-Pagnani denaro non sbor sato è denaro incassato e questo è già un premio, oltre agli 8 mi lioni di rientro che sono toccati loro per le fortunate recite delle commedie americane». ■ Interrogato da Carlo Trabuc co, il rappresentante dei Capo comici, dott. C. A. Cima, ha detto che «gli impresari richiedono l ’a bolizione del diritto erariale; lo stanziamento da parte dello Sta to di un fondo per il manteni mento delle attuali facilitazioni nei trasporti di cose e persone sulle FF. SS.; lo stanziamento di un fondo da parte dello Stato con il quale provveda a rimbor sare ai complessi che recitano a Milano e Roma il 10 per cento dell’incasso lordo e per le com pagini che recitano altrove (cioè la classica provincia dove il pub blico va poco a teatro e dove i prezzi d’ingresso sono più bassi che nelle metropoli) il rimborso sia del 15 per cento; un fondo per l ’allestimento e la rappresen tazione dei lavori italiani; i fondi che oggi vengono prelevati per le manifestazioni straordinarie o per l ’IDI dal fondo cosiddetto del 6 per cento, siano prelevati invece da quello più largo del 12 per cento; infine sia istituita anche per il Teatro una Com missione consultiva con attribu zioni analoghe a quella del cine matografo. Osserva Carlo Trabucco (che, essendo molto vicino alla Dire zione del Teatro, scrive sempre sulla falsariga delle intenzioni ministeriali): 1) che il fondo per le commedie italiane già c’è e quindi non se ne chiede che la riconferma; 2) che attualmente le Compagnie godono di un rim borso pari al 10 per cento e dei benefici ferroviari; 3) che nulla osta alla nascita della Commis sione consultiva. La richiesta più importante ohe viene avanzata dagli impresari è dunque dell’a bolizione del diritto erariale. Ma se lo Stato rinuncia a questo be neficio come può poi accordare gli altri che i postulanti chie dono? ». E3 L’autopresidente dell’Idi ha perso una buona occasione per tacere. L’unico suo vero merito era quello di incassare. Formi dabile incassatore, dicono di un tipo simile i pugilisti. Dalle pa gine della rivista che dirige (ma perchè dirige una rivista di tea tro e non una di enologia? per le qualità teatrali che gli si r i conoscono sarebbe lo stesso) af ferma che tutto quanto abbia mo pubblicato fino ad oggi sul l ’Idi è il solito « cumulo di men zogne». L’Imalaia delle menzo gne, evidentemente, visto che dalla nascita dell’Idi, tra un fal limento e una trasformazione, ce ne siamo sempre occupati per denunciare quanto di inutile e a volte dannoso questo nefasto istituto ha fatto al teatro e per il teatro. Affermiamo ancora una volta che tutto quanto abbiamo scrit to dell’Idi è vero, ed è il risul tato di nostre indagini, senza nè sale nè pepe —• ironia molto fa cile — poiché fino al giorno che è stato chiamato a far parte dell’istituto, le informazioni sul l ’Idi, sulla Direzione del teatro, su Silvio d’Amico ce le ha fomi te il redattore capo della rivista, Mario Corsi. Documenti alla ma no, li abbiamo in archivio. Sono in parecchi coloro che li hanno già letti. E qui rispondiamo anche al Direttore di non ricordiamo più quale giornale teatrale-cinematografieo, che pubblicamente domandava « che c’entra ” tra ditore” ?» e concludeva che ave vamo paura della concorrenza. Che sia vero ciò che abbiamo scritto sull’Idi lo sanno tutti, an che i diretti superiori dell’autopresidente, gli stessi che vedono l ’Idi con l’ugual piacere che noi vediamo gli scarafaggi. Altro che tirare in ballo la politica: è tut- ta e soltanto politica. E anche questo è vero. Il bello è che lo sa anche l ’autopresidente che è vero, ma sentendosi ripetere «perchè incassi? perchè non ri spondi? » ha finito per perdere la buona occasione di tacere. Pino a quando fa ciò che fa l ’autopresidente, cioè distribuire e a volte sperperare addirittura il denaro dello Stato, cioè il pub blico denaro, che è anche no stro, noi abbiamo il diritto — come tutti — di denunciare ogni mossa che ci sembra sba gliata o dannosa. E se le mosse sono sempre sbagliate che colpa abbiamo noi? Se l'autopresidente, ad esempio, fosse stato zitto non ci sarem mo curati di riferire ai nostri lettori (infatti, eravamo d’ac cordo con Ivo Chiesa direttore di «Sipario » di non parlarne. Scusa caro Chiesa, ma siamo stati tirati in ballo direttamen te) quanto è avvenuto all’ulti ma riunione dell’Idi. E cioè: che la rivista diretta dall’autopresidente fino al fascicolo di quel mese è costata dieci milioni (10.000.000) all’Idi, cioè allo Sta to e quindi ai contribuenti; che non potendo continuare su quel ritmo — meno male; ma ora vie ne il peggio — avrebbero de ciso di affidarne la pubblicazio ne, da questo autunno o dal nuovo anno, ad un editore pri vato, il Garzanti, che la pubbli cherebbe col titolo che gli ap partiene «Scenario » e sottoti tolo «Teatro » percependo dal l ’Idi, quale contributo, per il pri mo anno cinque milioni; per il secondo tre e per il terzo, due. Poi si vedrà. Dopo tre anni o si risolve o si rinnova; hanno detto proprio così. Tutta la pubblicità di spettanza della Garzanti. In tal modo, col denaro dello Stato, si mette un editore privato sul binario di velluto per fare la concorrenza a tutte le pubblicazioni del ge nere che esistono in Italia. Anche questa è menzogna?' L’au topresidente dell’Idi potrà inco minciare a parlare e anche gri dare, quando tutte le manifesta zioni dell’Idi saranno pagate con denaro proprio o di sua zia, ma denaro personale. Fino a quan do spende quello dello Stato do vrà avere almeno la pazienza di star zitto. Speriamo che an che questa non vorrà addebitar cela come menzogna. AL TEATRO REALE 01 BANGKOK AVVIENE QUESTO | j ! ! j I ! Guardai l ’orologio: era quasi mezzanotte. — Se tutto va bene — mi sus surrò all’orecchio l ’amico che mi aveva invitato a teatro — se tut to va .bene, ne avremo ancora per un’ora. — E se va male? — Per due. Non di più. — Me lo auguro. Se no svengo. Era dalle diciotto che sedevo in una poltrona di terza fila del Teatro reale di Bangkok, sul cui palcoscenico un centinaio di at tori volonterosi rappresentavano un dramma di re Rama VI, au tore prolifico e traduttore in sia mese di Shakespeare. E gli spet tatori, dalle diciotto alle ventiquattro, non avevano fatto altro che applaudire. Non per corti gianeria, no, ma perchè l’opera dell’augusto sovrano li interes sava e li entusiasmava. Difatti, con sorrisi, commenti e sospiri ne avevano sottolineata ogni vi cenda per prolissa che fosse. Protagonista di quel dramma regale era un principe innamorato che, da dieci anni, attendeva la fine d’una guerra per rivedere l’amata, una fanciulla delle alte montagne. Il dramma era appunto incominciato con un episodio di questa lunga guerra. Lo sce nario era estremamente sinte tico : una lancia a destra e una sciabola a sinistra contro un fon dale nero, e un morto in un an golo servivano a dare un’idea del campo di battaglia. Gli scenari successivi erano ugualmente sobrii: per rappresentare un giar dino bastavano due pianticelle e un fiore; una camera da letto, un paravento; la sala del trono. In compenso, i costumi erano sfarzosi. Immutabili da genera zioni, i costumi maschili erano composti da calzoni corti, rica mati in oro e argento, da una cintura ai lombi, mentre un giu stacuore a lustrini fasciava il torso come una guaina. Quelli femminili consistevano nel sarong (una specie di sottana), in calze ricamate e in un giubbetto anch’esso a lustrini e con spalline rivolte all’insù. Uomini e donne portavano in testa un casco pun tuto e aguzzo. Taluni tenevano nelle mani scimitarre, durlindane, spadoni. Altri esibivano masche re ferocissime: erano personaggi mitici, che gli spettatori cono- scevano e chiamavano per nome. Nell’episodio iniziale del dramma, lo scontro guerresco più che re citato venne mimato. Ogni posa, ogni gesto dei guerrieri (donne, per l ’occasione) erano comandati dalla musica, una musica non ritmata, in contrappunto e con molte sincopi. Piena per lo più di stridori, essa aveva qualche fluidità alla Ravel. Le scene, i movimenti, le pose e le danze si svolgevano composte, precise ed uguali, seguendo dati e temi pre stabiliti. Quindi, nell’attore nulla di spontaneo e di individuale; nell’autore, nulla di ricercato, di personale, di nuovo. Adattamen to, soltanto. Adattamento dell’a zione e delle parole ai canoni scenici, vecchi di secoli. E, so prattutto, niente di nuovo. Cosa, questa, che evidentemente pia ceva agli spettatori, perchè così non venivano sorpresi da colpi di scena, nè erano costretti a ri flettere. Per i siamesi il teatro è divertimento puro. Tra danze, musiche e qualche duello alla durlindana, l ’episodio guerresco durò due ore. Altre due ore vennero impiegate per descri vere l’ansia trepida del protago nista che, finita la guerra dei dieci anni, avrebbe dovuto tor nare alla sua bella. A dare un po’ di movimento all’azione in tervennero, l’uno dopo l’altro, tutti i personaggi mitici della novellistica buddistica e bramanica — scimmie, donne-uccello, demoni, stregoni — i quali mo stravano di interessarsi vivamen te all’ansia del guerriero, vuoi per affrettarne il desiato ritor no, vuoi per ritardarlo. Intanto, mentre il protagoni sta combatteva e sospirava, la sua bella che cosa faceva? Lo attendeva, imitando la saggia Pe nelope. Difatti, assediata come Penelope da un mucchio di pre tendenti messi avanti da spiritacci ;che io vedevo complottare in un angolo, la fanciulla, per sottrarsi alle loro insistenze, pro metteva di appagarli non appena fosse fiorita una pianticella che un servo fedele, però, cambiava ogni notte. La storia della pian ticella che non fioriva mai e che, sempre la medesima, andava e veniva di scena, durò altre due ore. Stanco morto dalla noia, io mi aspettavo di veder giungere da della sua accoglienza indifferen un momento all’altro, il guerrie te; altrimenti stasera chissà co ro e già lo ammiravo nell’atto me sarebbe andata a finire. di colpire, novello Ulisse, gli at * E’ stato domandato ad una tentatori alla virtù della fanciul gentile bella e brava attrice la, quando successe, almeno per francese perchè non recita che me, un colpo di scena. Le luci di rado. Ha risposto: si spensero e la ribalta rimase — Perchè l’arte non si può r i al buio. crearla tutte le sere, come fare — Ohe avviene? — domandai. all’amore tutti i giorni non è — E’ morto qualcuno. amare. — Chi? T E R M O C A U T E R IO * Un tale ha scritto alla segre —• Vedremo. teria del «Premio Acqua Pan Poco dopo, le luci si riaccesero. * A San Fruttuoso durante la na » ohe — come è noto —- è Ed io vidi il guerriero in mezzo estate hanno «girato » molte il concorso per una commedia al palcoscenico, morto stecchito. scene del nuovo film che ha per comica, domandando come si di Poi, un violino a due corde so interprete principale Gilberto venta «scrittore gaio ». Dalla se spirò in sordina, e lentamente Govi, in abito da frate. Altri greteria hanno molto gentilmen ebbe inizio una bella danza, mi due attori, portavano anch’essi te risposto: mata su di un ritornello dolce la tunica. Una volta capito che — Allenandosi ridendo almeno mente nostalgico. La danza si questi tre frati erano semplice- un’ora il giorno. svolse lenta, studiata, quasi stan mente personaggi, nessuno si è ca. Con il viso immobile, tutto più stupito di vederli scherza laccato di bianco come per fare re, accompagnare, sedere a ta risaltare maggiormente la bocca vola con ragazze in due pezzi, scarlatta e la curva nera delle attrici o bagnanti, ma quando sopracciglie, le danzatrici agita si è trattato di riprendere una vano veli bianchi (in Oriente, il processione e sono giunti tre fra bianco è il colore del lutto) come ti veri per le indicazioni neces SOTTOSCBIZIOHE PERMANENTE a dirci che il guerriero era mor sarie alla bisogna, le bagnanti to sul serio e che grande doveva inconsapevoli hanno molto scan PER U CASA DI RIPOSO essere il dolore della fanciulla. dalizzato i tre ecclesiasti. Allo Dopo la danza, il protagonista ra il produttore Zumaglino ha OEGLI ARTISTI DRAMMATICI morto riapparve, vestito come al fatto preparare e appuntare un TREDICESIMO ELENCO DEL TERZO MILIONE l ’inizio. cartello sulle tuniche dei tre orare la memoria di Ascanio — Non ricomincerà daccapo? — frati-attori. C’era scritto: falso PerDeonP irro: Lucio Ridenti, 5000; — Non credo: è in paradiso. Italia e Remigio Paone, 10.000; frate. E più sotto: i frati che O re s te Biancoli, 10.000; Renato Difatti, una vaga nuvoletta so non hanno questo cartello sono Perugia, 1000 L 26.000 vra un fondale azzurro avvertiva veri. Vittorio Gassman, per onorare la memoria del suo maestro Mario che il guerriero si trovava in * Una bella frase di Ruggero Pelosini » 10.000 cielo, davanti alla porta del pa Ruggeri : «Ho perso l ’appetito di Tatia na Pavlova e Nino d’Aroma, radiso. Lì, egli stava confabu leggere dei copioni ». per la camera intitolata a Raf faele Viviani » 7.000 lando con un buffo personaggio * Memo Benassi è stato bravis Compagnia di Prosa Radio Torino che teneva un mazzo di chiavi simo, per l’erigendo teatro » 3.600 a Verona, in «Molto ru in mano. Forse, il San Pietro del Luciano Salce, da San Paolo del per nulla » di Shakespea Brasile, per onorare la memoria paradiso buddista. L’amico mio more re. Mentre Benassi recita, Radi del suo maestro Mario Pelosini » 3.000 mi tradusse il dialogo. Francesco Sormano, per onorare la ce e Contini — che siedono ac memoria della Madre » 2.500 — Posso — domandava il prin canto in platea — fanno cenni a Mordeglia-Mari per onorare la cipe defunto — posso tornare di consenso col capo. Poi Radice Mism e m o ria di M a ria M e la to » 2.100 sulla terra un’ora, soltanto per esclama : Per onorare la memoria di Maria Gabbi Sacchetti: Nina ArtufFo, vedere colei che ho tanto amato? — E’ proprio bravo quell’acci Misa Mordeglia-Mari, Riccardo •— Toma, se vuoi. Ma sappi che dente. Massucci, Cesarei Gallino » 2.000 quest’ora ti costerà centomila — Bravissimo, afferma Contini, Un simbolico mattone degli annun ciato ri R a d io T o rin o , p e r l’eri anni di torture. ma non lo sa. genda teatro » 1.750 —■ Non importa. Colleghi e Compagnia di Prosa Ra * Onorato è andato al Lido di d io T o rin o , p e r o n o ra re la m e E scese in terra. E vide. Vide la Venezia, per la mostra del cine moria della madre della signo pianticella fiorita e la sua diletta ma. Ma il Lido, a meno di non rina Eusebio » 1.050 Lina Acconci, per onorare la me Che, teneramente allacciata ad starsene nella serra dell’albergo moria del padre Dario Acconci » 1.000 un altro, cantava a costui con Excelsior, come luogo, non è af Renato Perugia Der la camera in voce divina eterni giuramenti titolata a Raffaele Viviani » L000 fatto ¡diverso da Celle Ligure. Erminio Valenza-Luino » 500 d’amore. Avvilito tornò in cielo. Onorato si annoia e va a Vene M a rio P a s q u a li R o m a » 300 — Entra! ■ — gli disse l ’uomo zia, in piazza San Marco, al dalle chiavi. — I centomila anni Florian. Dopo poco ohe è seduto (L 61.800 di torture ti sono condonati. al caffè si accorge ohe ha accan S o m m a p re c e d e n te L. 875.390 Quanto hai visto è per te assai to una signora e le sorride. Que più terribile. Totale a oggi L 937.193 sta volta la faccia dall’altra par Su questa bella battuta il dram te. Passa un’ora. Onorato si alza P ro p rie tà a rtistica e riservata alla ma finì. Era durato sette ore e saluta la signora con queste Soc. Editrice Torinese letteraria - Corso Valdocco, 2 e tre quarti. i<>zuppa parole: — La ringrazio, signora, Torino - LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile 7 S. S C U O L A D E L T. D . T E A T R O D R A M M A T IC O II teatro drammatico non può morire. Unico pericolo: la brutta recitazione. (Da un’intervistacol Direttore della S.T. D.). N U O V E IS C R IZ IO N I 1) Sono aperte le iscrizioni al biennio 1950-1952. 2) L’ insegnamento è gratuito. 3) Limite d’età per l’ iscrizione: dai 15 ai 25 anni. 4) Possono iscriversi alla S. T. D. anche i giovani d’altri Paesi, esperti nella lingua italiana. 5) Le iscrizioni sono aperte fino al 5 ottobre 1950, e si ricevono presso la Segreteria della S. T. D. (via Castelmorrone, 5) Milano, Telefono 26.24.90. 6) I candidati, all’atto dell’ iscrizione, presenteranno i seguenti documenti d’ obbligo: certificato di nascita, certificato di buona condotta, certificato d’ identità, dichiara zione degli studi fatti, due fotografie. 7) L’ammissione alla S. T. D. è subordinata ad un esame, che si effettuerà fra il 5 ed il 12 ottobre, dinanzi ad una Commissione nominata e presieduta dal Direttore e secondo l’orario e l’ordine dei relativi elenchi, esposti nella Segreteria. PROGRAMMA Anno I - CORSO DI DIZIONE Anno II - CORSO DI RECITAZIONE con lezioni supplementari di Cultura Teatrale, Lingue, Materie sussidiarie. Agli Allievi che, terminato il biennio, otterranno il « Nominetur » di Attore, sarà con cesso di frequentare i Corsi di a) P sicologia d e ll’ A tto re e di b) Regìa interprete come base di perfezionamento all’Arte Drammatica. Il d s e a n t a n d e A l b R u a n t u e t i f r r b a i a i c i o a m i a n c a n c a QUESTE SONS LE < % m e LUNGHE FINO ALL’ INGUINE £>%■&<%■£& ¿¡Sa-fmcie&fe0 P IL A D E FRANCESCHI * Queste splendide calze nere a rete, ideate dal creatore delle “ M ille A g h i” hanno soddisfatto non sol tanto le attrici italiane di riviste e varietà, ma anche le attrici straniere del genere perchè sono richieste da ogni Paese d’Europa. Lunghe fino all’inguine (em. 120) sostituiscono praticamente la fa mosa “ maglia ” , Non esistono che in Italia, a Mila it>. nel negozio Franceschi in v, a Canzoni 16. i ^ a S i t e a S i a

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Il dramma : rivista mensile di commedie di grande successo. - Torino : Grandi firme, 1925-1992.

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