li§IW§ljt!, 't ----~ f ,. jiiiiiiiNEI . . ,.,.~-wl01;n!.'A.'E t. ~ .111 TEATRO STABILE ~TORINO QUADERNI IL SUGGE·RITORE N·u oo E IL FUTURISMO IL MISANTROPO - ADELONDA DI FRIGIA ' Teatro 9\ I QUADERNI DEL TEATRO STABILE DELLA CITTA' DI TORINO N. 12 Il Teatro di F. T. Marinetti Quando si farà la storia del teatro contemporaneo italiano e delle sue rivoluzioni, qualche pagina bisognerà pure consacrarla al Teatro futurista sintetico di F. T. Marinetti e compagni, che ha avuto - e come! - la sua importanza e il suo significato. D'accordo che, artisticamente, non si tratta, almeno finora, che di tentativi non del tutto riusciti. Ma, intanto, essi, fin dal 1915, hanno operato come efficace fermento dissolutivo di un mondo drammatico sopravvissuto a se stesso e privo di ogni ragion di vivere. Strampalerie, bizzarrie, fumisterie: d'accordo, anche qui. Ma, intanto, con quelle strampalerie si riafferma contro il degenerato teatro veristico l'esigenza che il teatro fosse qualcosa di più e di meglio che la fotografica riproduzione e la continuazione di quel mucchio di convenzioni che si chiama «la vita vissuta»; come dalle bizzarrie del vecchio dramma psicologico alla francese matematico sviluppo di dati contenuti in premesse inizialmente poste e che tutti avevano capito fin dal principio che se ne sarebbero svolti, si opponeva l'esigenza che il teatro fosse qualcosa di più e di meglio che la paziente e gelida analisi della vita interiore. Non arte effettuale, ma esigenza di arte nuova: l'importanza e il significato del teatro futurista sintetico è tutto qui. E come presa in giro e parodia del teatro verista e psicologico che si faceva prima della guerra, bisogna ben riconoscere che alcuni dei suoi esperimenti sono riusciti e hanno toccato il segno. E se non avesse avuto altro effetto che di spianare la via a Pirandello, il teatro futurista sintetico non sarebbe passato invano sulle scene italiane. Per quanto riguarda più in particolare F. T. Marinetti, la sua concezione del teatro è il logico prolunga- 5 4 mento della sua concezione dell'arte, riflesso teorico, a sua volta, del suo temperamento artistico. Marinetti è parolibero a teatro come nella sua lirica e nei suoi romanzi. Come nella lirica e nel romanzo il paroliberismo è lo sforzo che fa lo spirito per sfracellare ogni preconcetto ordinamento grammaticale, sintattico e metrico e per adeguarsi all'onda fluente, allo slancio vitale della vita immediata, sentita come successione di qualità sempre nuove, come gioco e intreccio e urto ed equilibrio di energie in continuo movimento, come tumultuare e turbinare e gorgogliare di violente sensazioni infinitamente molteplici tra le quali si stabiliscono per un attimo le più imprevedute relazioni, così il teatro futuristico sintetico è lo sforzo per sfracellare ogni preconcetto ordinamento e schema scenico e per adeguarsi alla Vita, sentita anche qui come flusso vitale perpetuamente rinnovantesi, e che si svolge al di là di ogni logica concatenazione. signore, così e così fatto, definito una volta per sempre e tutto in una volta, cesserà di essere un carattere: incarnazione della mutevole Vita, concepita come alogico flusso di qualità in eterno divenire, la lista dei personaggi si allargherà fino a comprendere signori ignoti all'antica drammaturgia: animali, vegetali, minerali, come inanimate artificiali, onde anch'esse della Vita infinita, che in certi momenti e condizioni palpitano di un'anima oscura e misteriosa, acquistano significato, entrano a far parte del dramma. Parole, gesti, atti, svolgendosi sopra un piano diverso da quello comune e banale, possono essere strani e inusitati quanto si vuole, purché siano carichi di significato concentrato ed esplosivo. E si cercherà sempre la sorpresa, la sorpresa a ogni costo, perché la sorpresa - pensa Marinetti spezzando la crosta superficiale della Vita, Vita banalizzata e cadaverica, ci dà il senso della Vita perennemente vergine e nuova. Il gesto futurista La sanità sensuale Alla laboriosa combinazione dell'intreccio o trama o azione, assurda perchè « la realtà ci vibra intorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati » succede la stilizzazione della vita in gesti culminanti, definitivi, essenziali. Ai laboriosi sviluppi psicologici, l'atmosfera in cui il dramma cova e finisce poi per scoppiare in un grido o in un gesto elementare. La soppressione di ogni logica e verosimiglianza permetterà il passaggio rapido dal piano della realtà al piano della fantasia, dal piano dell'esistenza al piano del sogno, l'intersezione e l'interferenza dei due piani, la reintroduzione del simbolo (inteso come realtà sensuale, fisica, che ne richiama un'altra o vi si sostituisce), e tutto il gioco delle simultaneità temporali e spaziali variate a l'infinito, unico mezzo per dare allo spettatore la sensazione fisica dell'ondeggiante complessità della Vita. Il personaggio cesserà di essere quel tale e tal In questa cornice, in questa forma Marinetti colerà il contenuto della sua arte. Arte assolutamente e totalmente sensuale, ma di un sensualismo attivo e dinamico, per cui lo spirito non si perde nella sensazione non è sensazione, ma l'ha, ne gode, la padroneggia ~ non ne è padroneggiato. La sensazione è l'unico conten~t~ d.i questo ~pi~ito.' ma lo spirito non vi soggiace, v1 s1 ~ltrova e v1 s1 nprende. E' questa, tra parentesi, la ragwne per la quale, malgrado le incredibili oscenità i romanzi di Marinetti non sono depravanti ma i~ f?ndo, sani: di una sanità tutta ferina e sang~ign~, se s1 vuole, ma pur sempre sanità. La Vita egli la sente come aspro e crudele cimento di energie, che non ha fuori di sé, ma in sé la sua legge e il suo compenso, dove la gioia è conquistata a forza, pausa di conforto tra due battaglie. C'è un curioso accoppiamento, in quest'uomo, di sensualismo e di razionalismo: sensuale sì, ma ogni concessione a languori mistici e religiosi è 6 da lui nettamente rifiutata. Al centro dell 'universo marinettiano non c'è che l'Uomo, ultima e suprema onda della universa natura, punta estrema dell'Evoluzione Creatrice. Nel mondo marinettiano Dio non ha parte. Marinetti è l'artista più positivista e laico che abbia oggi l'Italia. E ciò spiega la colorazione pessimistica che da un pezzo in qua va assumendo la sua arte. Le sue ultime opere di teatro sono piene del senso dell'impossibile libertà umana, soffocata dalle prigioni in cui la Vita chiude gli uomini, e nelle quali il bollore delle più atroci e violente passioni insoddisfatte si abbatte nella noia di una esistenza sempre uguale, nell'esasperante monotonia dei giorni e delle ore. La Scienza e la Religione si mettono d'accordo per arrestare il rosso colante fiume della poesia che è la Vita. Unica consolazione: il lavacro nel lago della Bontà cui si accede dopo lungo cammino (cfr. il romanzo Gl'Indomabili) . Ma è lavacro di sogno in un mondo d'illusioni, miraggio che appare un attimo nell'inferno solare della vita, e subito si dilegua in nulla. Tralasciamo di parlare di Re Baldoria, dove di teatrale non c'è che la forma dialogica, e restringiamoci a parlare solo dei lavori di Marinetti, rappresentabili e di fatto rappresentati. Nel Tamburo di fuoco il filo del dramma non è che pretesto a uno sfoggio lussuoso magnifico d'immagini multicolori e multisone, ricche violente e vibranti, colte a volo e fissate, non passivamente subìte, ma riempite di una vibrazione energica che le prolunga e le sorpassa, e ne fa un monumento di passività docilmente accettata, ma di vita intensa dello spirito. Nei Prigionieri è il senso nostalgico della impossibile libertà umana negata e distrutta dalle prigioni in cui la Vita si compiace di chiudere tutti gli esseri; è l'erotismo insaziato e la noia di un'esistenza sempre uguale che tormenta i prigionieri: è l'atroce lezzo della vita promiscua, il balenare della pazzia, l'incubo della morte che passa. 7 Vulcano è un'esaltazione del Vulcano dalle rosse vampe e dall'ardente lava, cioè della vita intensa, dinamica, torrenzialmente straripante oltre ogni argine e diga, ma che pure la Scienza e la Religione riescono a fermare. L'Oceano del Cuore è -un contrasto fra anime estranee, chiusa ciascuna nel suo mondo interiore, impenetrabile e impermeabile ai mondi in cui sono chiuse le altre. Il suggeritore nudo, nel suo latente significato, conclude: «Non vogliamo più suggeritori. Vivremo meglio senza consigli, senza prudenze, senza il già fatto e senza il già scritto. Meglio un errore proprio che cento belle cose suggerite da altri ». Un teatro simile conta molto sulla collaborazione sapiente e paziente dello scenografo e del metteur en scène, che, bagnando il dramma in giochi di luce e di colori, lo rituffino nella universa natura di cui esso è momento effimero e fuggitivo, e con scene sintetiche ed essenziali facciano risaltare che siamo qui di fronte alla vita concepita non come sinuoso e molle sviluppo, ma come successione di fulgurazioni di un'Energia in perenne movimento. Anche questi ultimi cinque drammi di Marinetti, come già i suoi precedenti esperimenti di Teatro Sintetico non superano, in genere, il livello di tentativi solo parzialmente realizzati. Soprattutto in Prigionieri v'è qualche bel quadro intensamente suggestivo, ma bisogna riconoscere che, nel complesso, queste sintesi drammatiche, sintetiche nel particolare, lo sono assai poco nel tutto, e che, perciò, malgrado la brevità materiale, riescono nel fatto prolisse. Le belle immagini marinettiane, calde e sanguigne, polpose e carnali abbondano, ma non mancano nemmeno le immagini rutilanti che abbarbagliano e non illuminano, suonano e non creano. Appunto anche più grave: la modernità di questi drammi è tutta superficiale ed esteriore, tutta fatta di trovate sceniche, ma ciò che davvero importa, il fondo di sentimenti e di passioni, ove se ne tolga una furibonda ed esasperata sensualità e sessualità, non esce dai limiti dell'umanità 8 normale e ... passatista. L'esigenza profonda che è al centro del teatro marinettiano, al teatro costruito sostituire elettriche figurazioni sceniche, al teatro architettonico sostituire il teatro lirico, non è ancora pienamente realizzata. Oggi come oggi, è d'uopo riconoscere che le esigenze del teatro futurista, hanno trovato la loro realizzazione più attraverso la scenografia ed i movimenti che dal 1916 in poi (Grotteschi, Rosso, Bontempelli, Pirandello, ecc.) si sono succeduti sulle scene italiane che attraverso l'opera drammatica del fondatore del Futurismo. Egli ha lavorato finora soprattutto per altri. Sic vos non vobis... Cose che capitano spesso, e non soltanto a teatro. ADRIANO TILGHER ( 1930, da «Cinema- teatro») Il futurismo «anticipatore» Completo rinnovamento della sensibilità Gli assunti generali del Futurismo furono ottimamente chiariti da Marinetti nel manifesto intitolato « L'immaginazione senza fili » del maggio 1913: « Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che oggi fanno uso del telegrafo, del telefono e del grammofono, del treno, della bicicletta, della motocicletta, dell'automobile, del transatlantico, del dirigibile, dell'aeroplano, del cinematografo, del grande quotidiano non pensano che queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d'informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva influenza ». Non si tratta dunque, come spesso si pensa, di un feticismo della macchina, ma dell'influenza che le nuove « forme di comunicazione, di trasporto e d'informazione » erano destinate ad avere, come hanno avuto, sulla sensibilità di tutti. Marinetti parla di « completo rinnovamento della sensibilità » e il Futurismo va considerato infatti come fenomeno globale, nel concatenarsi delle sue scoperte e delle sue anticipazioni sui diversi settori dell'avanguardia, prima ancora che nei risultati singoli. Il movimento e l'energia Movimento, energia sono insomma per i futuristi dei valori nuovi e intermedi, impropriamente diremmo semispirituali, equivalenti a quel valore intermedio tra materia e spirito, irriducibile all'una o all'altro, che è la psiche. La ricerca di questo valore intermedio è, in sostanza, la ricerca centrale del Futurismo, contro ogni determinismo e positivismo, come contro ogni spiritua- 11 possibile distinguere il positivo e il negativo in quella morale volutamente impietosa, e niccianamente al di là del be~e e del male, che è operante alla base. Nella espressiOne « guerra sola igiene del mondo » c'è infatti un accento di crudo realismo che deve essere valutato anc~e c~me tale, ~ioè e?m~ atteggiamento impietoso, anttpatettco, polemico nei riguardi delle convenzioni e delle ipocri~ie borghesi: è ~n accento che cogliamo nello stesso Manifesto del Futurismo, là dove Marinetti asserisce ~he .l'arte non può che essere crudele ed ingiusta, come mgmsta e crudele è la vita. O ad esempio là dove ( « Re Baldoria ») egli si spinge paradossalmente a dire che « nessun poeta potrà mai uguagliare le iene il cui ' accento lirico è veramente inimitabile-... ». lO lismo ottocenteschi, ma con punte tuttavia ora spmtualistiche ( Severini), ora magico-animistiche (Balla, Bragaglia), ora tormentosamente dialettiche ( Boccioni) , ora « materialistiche » ( Marinetti, Corra e Settimelli ) . Il rapporto arte e vita E' dunque il mutamento di rapporto tra arte e vita, proposto dal Futurismo, che deve soprattutto interessarci, non necessariamente quel particolare ideale. E certo sarebbe profondamente erroneo impostare, come pure si fa e soprattutto si faceva, la critica del Futurismo su una critica degli ideali d'azione da esso proclamati. A parte il fatto che, per ben valutarne anche gli aspetti più vistosamente ideologici, sarebbe necessario storicizzare più rigorosamente; cioè ambientare stor~ca~ente e cu~tural~ente lo slancio vitalistico e parosststlcamente distruttivo del Futurismo e la stessa psicologia interventistica degli anni precedenti la grande guerra. Del superuomo nicciano Guerra, dunque, ~ientamento e distruzione, perché pos~a, sul~e rovme di un marcio passato, sorgere il sole dell avvent~e: sole de~l'avvenire che però non è quello del comumsmo marxtsta, ma del superuomo nicciano al?punto. Marine!ti. rifl~tte ~ietzsche anche proprio neÌ ~:hspre~z~ per .gh tdeah dell uguaglianza, disprezzo che tsptrera d manifesto dell'« Ineguaglismo ». «Gli uomini non sono uguali - aveva scritto Nietzsche - e nemmeno devono diventar uguali- Che cosa sarebbe del mio a~ ore pel superuomo se io parlassi diversamente? Su ~1lle ponti e sentieri essi devono lanciarsi verso l'avve?Ire, e ~empre più. de_ve esser posta tra loro guerra e meguaghanza ... Vo1 dite che la buona causa santifica ~ersino l~ guerra? Ed io vi dico: la buona guerra santifica o~nt caus~. La guerra e il coraggio hanno operato cose pm grandi che non l'amore del prossimo ». L'arte crudele e ingiusta «La guerra? - troviamo in "Uccidiamo il chiaro di luna". - Ebbene, sì: essa è la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la nostra sola volontà!. .. Sì, la guerra! Contro di voi che morite troppo lentamente, e contro tutti i morti che ingombrano le nos.tre stra?e!. .. Sì, i nostri nervi esigono la guerra .. . N01 preferiamo la morte violenta e la glorifichiamo come la sola che sia degna dell'uomo, animale da p;eda »: Dunque, l'i~ea. della guerra è anche la proieZIOne dt uno stato d antmo distruttivo, che è il nucleo poi, del vitalismo futurista, della sua anima di rottur~ e .di ;ivol~zione. Certo questo vitalismo, questa cupidigia di dist.~uztone, ha la sua parte di gratuito, che dà sul lato pm ~ebole e scoperto di Marinetti, pescando in c:rt? faCile. superomismo. Non è tuttavia possibile, dtstmguere tl gratuito dal non gratuito, come non è L'ideologia e la poetica Più che come ideologia, infine, il Futurismo va valutato come poetica. E il carattere di questa poetica è per eccellenza quello della mobilità, della provvisorietà, _l 13 12 della disponibilità e dell'elastico ricambio, sec~:mdo_ un_a continua e vitale capacità di rinnovamento, d1 arncchimento, di articolazione. Ecco allora che è realmente impossibile parlare di ideologia od anche di poetica futurista con la pretesa di abbracciarne tutto il percorso dal 1909 alle ultime, deboli manifestazioni degli anni trenta e magari quaranta. E persino considerando le proposte del protagonista del movimento, cioè di Marinetti, limitatamente al decennio 1910-20, non si può non constatare- come la sua poetica, sulla base delle sue stesse premesse, si è poi arricchita, si è sviluppata ed è mutata a contatto anche con gli altri futuristi, con i pittori, i poeti, i musicisti. In realtà la poetica futuristica va esaminata, nelle sue molteplici diramazioni, anno per anno e personalità per personalità, tenendo presente, appunto, che gli sviluppi più ricchi e importanti si hanno all'incirca nel corso del secondo decennio del nuovo secolo: quando si consuma quel trapasso da Nietzsche a Bergson ed oltre Bergson, per cui il superuomo diventa sempre più l'uomo « meccanico dalle parti intercambiabili » e tante altre cose ancora. Sfida all'intero universo Sfida all'intero universo: pensiamo ai poemi di Marinetti « Distruzione » e « La conquista delle stelle » che contengono un invito al mare perchè distrugga (al di là di ogni possibile « speranza di ricostruire » ) il mondo e si scagli all'assalto delle stelle. In Uccidiamo il chiaro di luna, per attaccare Podagra, roccaforte della saggezza, e invadere la terra, vengono liberate le belve dei serragli e gli ospiti dei manicomi: « Dalle porte spalancate, pazzi e pazze, scamiciati, seminude, eruppero a migliaia, torrenzialmente, cosi da ringiovanire e ricolorare il volto rugoso della Terra. O pazzi, o fratelli nostri amatissimi, seguitemi! ... Noi costruiremo il Binario ... ». Ecco dunque il motivo della pazzia: pura pazzia clinica in questo caso. Un quadro di Giacomo Balla del 1905, intitolato La pazza, è improntato so- prattutto ad un certo patetismo sociale. ma la figura sprigiona una violenta e strana energia. Altrove (Distruzione, 1904) Marinetti così aveva invocato la sua « follia »: « O follia, mia follia, giocoliera eterna! l Al fumo tu dai l'apparenza l ... d'un chimerico verme dalla testa puntuta l che sembra mordere il tetto inverosimile l d'un'officina che pure esiste in fondo all'incubo! l ... un'officina dal gran dorso merlato l grondante di spavento azzurrognolo, sorge l d'improvviso, a una curva dei binari, l scoppiando in molteplici risate d'oro ... ». Qui al motivo della follia si mescolano quelli dell'artificialità (officina), della velocità ( trcr:o in corsa), della visione-incubo, e tutti sembrano concorrere ad una finalità comune: distruggere la dimensione naturalistica dello spazio e del tempo. Contro la dimensione naturalistica La follia è in questo caso una fantasia creatrice di visioni e di incubi: è una droga in sostanza, e molte immagini intensamente presurreali (sempre dallo stesso ooema Distruzione, del 1904) sembrano allucinazioni da droga: « La pipa, fra le mie dita, somigliava / ad uno strano minuscolo membro virile ossificato! ... l Ad un tratto mi parve che la mia mano incauta l diventasse più grande, diventasse profonda, l lungi da me, sotto di me, l come un'immensa cripta del color delle viscere! l E lontanissimo, in fondo, sotto la volta sanguinante, l una porta scoppiò, vomitando nel mio sogno l turbe di mendicanti affamate» . Oppure si pensi all'immagine, ancora d'un artifiCiale fantastico, del piroscafo che si avvicina dalla liriea dell'orizzonte (e che può già far pensare ad un quadro di D alì) : « A lunghi passi pesanti s'approssima l sotto l'acque movendo le sue scarpe immense. l simile ad un fantastico dromedario l ... Or nella dubbia luce del crepuscolo l lo strano dromedario s'immensifica. .. Ai lati della gobba formidabile l oscillan lentamente le smisurate saccocce d'una bisaccia nera l ov'io scorgo orecchie colore di 14 rame / alla rinfusa, aguzzzate dall'attesa ... ». E' una capacità visionaria che ha dietro le spalle tutta una tradizione romantica, che può far capo a Blake o al Mangiatore d'oppio di Di Quincey; ma in Marinetti assume una propensione surreale abbastanza eccezionale. L'atteggiamento di entusiasmo Per cogliere queste indicazioni, è necessario ben co~prendere l~atteggia~ento di entusiasmo che è pro- priO della poetiCa futunsta. In effetti con il lato divino ispirato, della « pazzia » platonica o dell'« eroico fu: rore » ?runiano, o ~n gener~le poi con l'atteggiamento romantico, la « pazzia » marmettiana condivide un fondam~ntale car.attere: quello dell'entusiasmo, appunto. Il chma retonco e fumoso, a momenti, in cui si ambientano le dichiarazioni futuriste è indicativo di un entusiasmo quasi parossistico, senza controlli. E tanto più incontrollato è un entusiasmo, tanto più esso presta ~l fìa~c.o .a quella « ironia » che già Shaftesbury e gli tllumimstl avevano indicato come suo contrario. Ora ~on c'è dubbio che la lettura di alcune prose marinetttane, e così del Manifesto stesso del Futurismo, possa provocare una reazione ironica: come del resto possono p;ovocarla mol~e man.ifestazioni del Romanticismo, speCie tardo, che a1 nostri occhi hanno, però, un'attenuante: quella di apparten.ere ~d . un momento comunque pre~edente. alla catarsi punstiCa delle avanguardie; mentre Il Futunsmo, che si. pr~pone appunto come avanguardia, ~ull~ sembra aver mt:-ut_o di q;tel nuovo atteggiamento 1romco, o almeno puristico e rigoroso che caratterizzza movimenti contemporanei o immediat;mente successivi come il Cubismo, la stessa Metafisica, il Neoplastidsm~ o Dada. E appunto, quando Tzara dice che « Il Futurismo mori di Dada», non intende dir altro in fondo che il suo entusiasmo fu ucciso e superato d~ll'ironia di Dada. Tuttavia lo slancio entusiastico che animava il Futurismo gli diede una forza eversiva capace di risultati a 15 v.olte anche. pi~ rad~cali e coinvolgenti, come oggi possiaT? che Marinetti per la b1polanta della sua vocazwne ar~l stica non era riuscito a raggiungere con le « parole m libertà ». •1 Giacomo Debenedetti, op. cit., p. 227 e segg. Ma il Teatro sintetico è qualche cosa di più e anche di diverso di una sia pur geniale << trasfusione » letteraria perché in esso confluiscono alcune delle più decisive scoperte figurative e sceniche dell'arte a cavallo tra gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi del Novecento. Il Teatro sintetico nelle sue espressioni più significative è uno dei tentativi più coraggiosi e più fecondi (ed è proprio su quest'ultimo punto che si avranno le maggiori sorprese quando gli storici del teatro futurista avranno la possibilità di avere sotto gli occhi tutti i documenti necessari a chiarire certe influenze e certi rapporti) di creare sul palcoscenico, con assoluta purezza espressiva, la magica presenza di una realtà dinamica in cui l'uomo, gli oggetti, le luci e i suoni sono sotterraneamente uniti al pulsare del tempo. Un tentativo insomma di coinvolgere lo spettatore nel centro più invisibile della realtà, una realtà che si identifica con l'inquietante espressione di multiformi presenze temporali e spaziali. Questo teatro farà sua l'affermazione di Boccioni: «Noi vogliamo modellare l'atmosfera, disegnare le forze degli oggetti, le loro reciproche influenze, le forma unica della continuità nello spazio » 4 • E sarà quindi la raffigurazione di un'atmosfera in cui lievitano le suggestioni più astratte accanto alla presenza pesantemente concreta dell'uomo. Un teatro come questo ( « sintetico », « atecnico », « dinamico », « simultaneo », « autonomo », « alogico », « irreale ») nasce necessariamente dalla intuizione fantastica dell'artista che coglie lo sprazzo di « realtà rivelata » e immediatamente cerca di tradurla in termini realmente teatrali. Perché il Teatro sintetico è nato in teatro e per il teatro, come affermano del resto Marinetti, Corra e Settimelli nel loro Manifesto programmatico: « La maggior parte dei nostri lavori sono stati scritti in teatro. L'ambiente teatrale è per noi un serbatoio inesauribile di ispirazioni: la circolare sensazione 4 Umberto Boccioni, Pittura scultura futuriste, Milano 1914, p. 325. 24 magnetica filtrante del teatro vuoto dorato in una matti nata di prova a cervello stanco, l'intonazione di un attore che ci suggerisce la possibilità di costruirvi sopra un paradossale aggregato di pensiero, un movimento di scenari che ci dà lo spunto per una sinfonia di luci, la carnosità di un'attrice che genera nella nostra sensibilità concezioni piene di geniali scorci pittorici ». Effettivamente, al di là di queste stesse affermazioni, c'era in Marinetti, Corra e Settimelli un interesse non episodico ma anzi ben determinato nei riguardi del palcoscenico, un interesse, si noti bene, che era insito nei principi stessi del Futurismo che si proponeva di essere, meno paradossalmente di quanto possa sembrare a prima vista, un movimento d'avanguardia di massa, capace cioè di instaurare, a differenza di altre parallele avanguardie straniere, un dialogo chiaro e comprensibile con un numero più alto possibile di interlocutori. Inoltre non bisogna dimenticare che dietro questi contatti diretti e indiretti col palcoscenico c'era particolarmente in Marinetti un'ampia conoscenza, senz'altro maggiore di quanto egli stesso volesse far credere, delle esperienze sceniche più stimolanti d'Oltralpe che gli servirono sempre, anche quando più se ne allontanò, come indiscutibile punto di riferimento. La molteplicità degli elementi che convergono nella costituzione del Teatro sintetico ha posto fin dagli inizi il problema della sua originalità creativa, problema che è stato sollevato polemicamente da Giovanni Papini, dopo la sua uscita dai ranghi del Futurismo, nel suo volume Esperienza futurista. In esso lo scrittore fiorentino, smanioso di smascherare quello che era diventato ai suoi occhi il « bluff » del Futurismo, dedicò la sua attenzione, sia pure con due sole smilze pagine 5 , al Teatro sintetico liquidandolo senza mezzi termini proprio sul piano della « novità ». Infatti secondo P apini la sua data di nascita doveva essere spostata di oltre 5 Cfr. Giovanni Papini, Esperienza futurista, 2" ed., Firenze 1927, pp. 171-172. 25 mezzo secolo, all'anno 1846, data di pubblicazione di un'anonima. tragedia, Caino, in cinque atti composti di m~ verso. Clas~uno. Ma non era finita qui ché egli, tra gh antes1g~am del Tea~ro sintetico, scomodava perfino Paul Verlame, autore d1 un sintetico « divertissement » ~ropp~ fr~tta, de?nito apertamente «uno de' megli~ m~scltl » dt. tu.tto Il numero. Al di là delle ragioni polemi.che eh~ tsptravano la sua ricerca, appare in maniera evidente Il suo errore critico di fondo nel valutare il significato di questa esperienza teatrale. Misurare quest'ultima solo sul piano della « sintesi » (o della « brevità »), significa considerare solo uno degli elementi (e neppure i~ più determinante) • che la compongono, precludendosl così ogni possibilità di valutazione totale del fenomeno. La sintesi in realtà era solo « il punto di partenza per una nuova concezione dello spettacolo che negava le convenzioni sceniche del teatro tradizionale » 7 e proponeva un esemplare di « teatro aperto » che nascesse sera per sera dall'incontro o dallo scontro secondo le circostanze, della Weltanschauung futurist; con la disponibilità psicologica del pubblico. Ora, se ci trasferiamo sul piano della realizzazione dei principi del Teatro sintetico, considerando l'attività di Marinetti in questo settore, dobbiamo prima di tutto chiarire e approfondire il significato di alcuni concetti mediati in gran parte dalla nuova arte figurativa, eh~ hanno un peso determinante nella elaborazione delle sue sintesi più efficaci. Un concetto di fondamentale importanza nel Teatro sintetico è rappresentato dalla funzione drammatica che Marinetti, sulle orme di altri artisti, assegna alla «luce ». " Remo Chiti in una recente breve intervista accordata a chi ~crive (Cfr. <>, n. 43, vol. V, p. 225. Cfr. per il concetto di << Simultaneità>>, da me solo essenzialmente accennato, l'ampia documentazione fornita nei nn. 39 e 40. 33 bramento degli oggetti, sparpagliamento e fusione dei de~tagli,. libe~ati dalla logica comune e indipendenti gli 18 um dag~ altn » , che cosa altro era se non una geniale elaborazwne figurativa delle illuminanti conquiste di Baudelaire e Mallarmé? La scoperta di un nuovo « tempo » e di un nuovo « spazio » non fu sfruttata sul piano teatrale, come sarebbe stato necessario, da Marinetti che pur le dedicò una costante attenzione se si fa caso al fatto che scrisse quattro sintesi sull'argomento. Leggiamo come esempio di un'intuizione teatrale non compiutamente realizzata Simultaneità ". Molteplicità di ambienti: una grande libreria, un gran ~avolo con intorno una famiglia borghese qualunque, Il padre legge il giornale, i due figli maschi fanno i compiti, la figlia e la madre cuciono; accanto «una toeletta ricchissima, illuminatissima, con specchio e candelabri, carica di tutte le boccette, di tutti i vasetti e di tutti gli arnesi di cui si serve una donna elegantissima». Una « cocotte » d'alto bordo, splendida nella sua scollatura, si acconcia, aiutata da una cameriera, per un « rendez-vous ». La Madre (al padre) - Vuoi verificare i conti? Il Padre - Li guarderò dopo. Il Figlio sedicenne - Nevica ancora ... Che silenzio! Il Padre - Questa casa è veramente troppo isolata L'anno prossimo cambieremo ... Qui una gretta, oscura realtà borghese che scorre tra i «conti della spesa » e il « silenzio dell'anima », lì accanto, nel « boudoir » scintillante di ori e profumi, una realtà diversa che non teme i lacci vischiosi di una moralità che nullifica la vita stessa. « La ' cocotte ' non è qui un simbolo, ma una sintesi di sensazioni di lusso, di disordine, di avventura, di sperpero, che vive , con 18 Prefazione al Catalogo della 1• Esposizione di Pittura futurista, febbraio 1912, Parigi (Galleria Bernheim). 10 Ed. cit., pp . 307-310. 35 34 angoscia, desiderio o rimpiant~, nei nervi di. ~utte },e persone sedute intorno ali~ paCifi~a tavola fa.mlhare » . Il drammatico contrasto d1 quest1 due mond1 tanto lontani, eppure segretamente uniti dai sottili ma tenaci vincoli dei desideri inespressi, è colto con balenante luce da Marinetti che tuttavia si mostra incapace di condurre fino alle ultime conseguenze la sua felice intuizione. Così tutto si risolve nello sberleffo esteriore della ' cocotte ' che, rivolta a quel mondo borghese pietrificato nei suoi istinti e nelle sue aspirazioni, grida con goliardico disgusto: « Dormite! ». DIETRO MARINETTI PIRANDELLO Ma questo era il destino di Mar~netti: sc~rdinare porte da gran tempo ermeticamente. chius~ o ma1 aperte per lasciar passare poi chi avrebbe ncostrmto ~ma nuov~, reale immagine dell'uomo del Novecento. D~etro Mannetti giunse Pirandello 21 , che nel suo slanc10 creat.ore involgeva ogni elemento per ~igenera~lo ~ successlv~ mente per attribuirgli un significato mfimtamente pn~ ampio. La « simultaneità » marinett~ana, che spe~so . s1 risolveva in una folgorante ma poeticamente stenle mtuizione, diventava nel teatro di Pirandello (e non solo nella trilogia del « teatro nel teatro ») non soltanto un suggestivo e quanto mai fecondo apporto formale, ma anche e soprattutto un nuovo modo di rappresentazione della realtà umana. La molteplicità di piani attraverso 20 21 Nota al testo di Marinetti. n rapporto Marinetti-Pirandello, ripetutamente di~hiarat? dall'inventore del Futurismo, è stato rilevato su un piano cntico per la prima volta, se la memoria non mi inganna! da Ettore Romagnoli cui fece eco con la consueta acutezza Ad.nano Tilgher. Giovanni Calendoli ha impostato tutta ~a sua mtro:duzione al teatro di Marinetti su questo « motivo , che m1 sembra validissimo criticamente. Al riguardo ho recentemente iniziato uno studio che si propone di documentare su un piano storico l'« incontro » tra il Futurismo e il teatro pirandelliano. la quale Pirandello osservava le sue « maschere nude » era la molteplicità stessa del mondo fenomenico in cui la realtà, come in un magico gioco, si illumina simultaneamente in tempi e spazi diversi. La riconquista (se pensiamo al palcoscenico multiplo medievale in cui tuttavia l'azione si sviluppava in tempi successivi) o meglio la conquista di un tempo e di uno spazio assolutamente autonomi influì in maniera determinante su gran parte del teatro più valido del dopoguerra. Sui palcoscenici si assistette ad una vera e propria invasione di rievocazioni temporali e spaziali in tutte le possibili e immaginabili combinazioni, dal « flash-back » ai « tempi alternati » fino al tempo contrario a quello reale. Si parlò quasi unanimemente di influenza del cinema, con la sua agilità narrativa, sul teatro: il nuovo mezzo di espressione, si disse, aveva immesso nuova linfa vitale nelle vene sclerotizzate del progenitore. Ed effettivamente il cinema, che ormai stava raggiungendo la sua completa maturità, si dimostrava degno della più viva attenzione proprio per quella sua specifica sintassi narrativa che sembrava superare secolari moduli di rappresentazione. Di fronte alle audacie di linguaggio del cinema americano e tedesco ci si dimenticò che Pirandello (il quale fra l'altro per molto tempo rifiutò il cinema, particolarmente quello « parlato », affermando che « le ombre non parlano ») aveva dietro di sé la rivoluzione futurista con tutte le conseguenze che ne erano derivate sul piano formale, se non su quello dei contenuti. Il problema dei rapporti del Teatro sintetico di Marinetti con Pirandello non si esaurisce qui, ina si estende in un ambito più vasto investendo quello che è stato forse impropriamente definito teatro « grottesco ». Non è questo il luogo per approfondire l'argomento in tutti i suoi molteplici aspetti ( ché esso necessita di un'ampia, particolareggiata trattazione) tuttavia non ritengo inutile aggiungere qualche considerazione a ciò che al riguardo ha accennato Giovanni Calendoli 22 • Il teatro di Piran22 Introd. cit., p. XXXVIII . 36 dello e il « grottesco » presentano indiscutibilmente dei singolari punti di contatto col teatro futurista anche sul piano della concezione della realtà, una realtà ben definita nelle sue componenti più ambigue e sfuggenti, in cui la risata lascia intendere il sogghigno, il dramma la farsa. Il Futurismo aveva avuto per primo la consapevolezza di una condizione umana che limitava gli « slanci» dell'individuo che, in nome di un'artificiosa morale sociale, gli imponeva di difendersi con una posticcia maschera, ma gli era mancata la forza creativa e forse ancor di più la tensione morale necessaria a trarne tutte le conseguenze. Il « procedimento » futurista, per cui la realtà veniva sottoposta dall'artista ad un estroso ma distaccato sconvolgimento di valori e il sovvertimento fantastico delle situazioni più ordinarie illuminava beffardamente il nocciolo nascosto della verità più inquietante, diventò così il modulo rappresentativo del « grottesco » che in Chiarelli, Antonelli, Cavacchioli e nello stesso Bontempelli, pur nell'autonomia delle diverse esperienze creative, trovò la sua più significativa realizzazione. Anche Rosso di San Secondo e Pirandello partirono di qui, ma il loro cammino prese una direzione più irta di ostacoli che coinvolgeva un diverso approfondimento della realtà e approdava allo smascheramento di una condizione umana che della apparenza faceva il suo primo motivo di esistere. La contestazione di una società come quella italiana che nascondeva dietro la sua aria soddisfatta pericolosi sintomi di inquietudine morale trovò nel Futurismo solo la spinta iniziale, ma essa apri definitivamente la strada, dopo aver sgomberato il campo di tanti pericolosi ostacoli, a tutta la nuova cultura del Novecento. Non fu piccolo merito 23 ed è giusto oggi rilevarlo in una prospettiva storica • La ricchezza di fermenti e di « anticipazioni », fin qui 23 Nel volumetto Teatro Italiano grottesco, Bologna 1964, Luigi Ferrante si è completamente dimenticato del Futurismo, non solo in rapporto al « grottesco , ma anche in riferimento al rinnovamento generale di tutta la cultura nazionale del '900. 37 delineata, del teatro di Marinetti non sarebbe completa se non ci riferissimo ad uno dei traguardi . più ambiti da esso raggiunti: la creazione di un vitale rapporto palcoscenico-platea. Affermava il Manifesto del Teatro sintetico: « Sinfonizzare la sensibilità del pubblico esplorandone, risvegliandone con ogni mezzo, le propaggini più pigre; eliminare 1il preconcetto della ribalta lanciando delle reti di sensazioni tra palcoscenico e platea; l'azione scenica invaderà la platea e spettatori ». Marinetti, sulle orme di Appia e Craig, comprese che il problema di un rinnovamento integrale del linguaggio scenico non poteva essere affrontato se non si risolveva prima il rapporto fondamentale dello spettacolo, quello che lo giustifica e gli conferisce un significato. Non esiste teatro se non c'è un rapporto vivo e presente in ogni momento tra lo spettatore e la realtà che viene presentata sul palcoscenico. Ma questo rapporto, quasi ovvio all'apparenza eppure di difficile attuazione, ha bisogno per realizzarsi compiutamente di condizioni storiche, sociali e religiose che nella lunga vita del teatro solo raramente si sono realizzate. Nel quinto secolo in Grecia, nel Medioevo in Europa, tra la fine del Cinquecento e il Seicento in Inghilterra, Francia (solo in parte) e Spagna il teatro fu effettivamente qualche cosa di necessario, di sostanziale della vita civile, l'assemblea ideale in cui tutte le classi sociali, senza discriminazioni di sorta, si riunivano per partecipare ad un evento scenico in cui si dibattevano i problemi essenziali della vita umana e civile e in cui tutti, gli attori come gli spettatori, erano interpreti palpitanti di una stessa realtà. Dopo il Seicento il teatro europeo non riuscì più a ritrovare un legame indissolubile tra palcoscenico e platea; la realtà che i poeti rappresentavano sulla scena diventò sempre più rarefatta e sempre più estranea ai problemi dell'uomo. Il teatro, dimenticando le sue origini, diventò trattenimento, in cui il rapporto con la vita dello spettatore si era fatto sempre più sottile e limitato alla classe sociale cui si rivolgeva. La separazione sempre più ampia tra lo spettacolo e il pubblico ebbe la sua 38 consacrazione nella in,-enzione del sipario che acuì ulteriormente la frattura preesistente. Lo stesso Romanticismo, che nel teatro vedeva il luogo d'incontro ideale per realizzare l'unione SJ:irituale di tutta la società, solo episodicamente seppe ntrovare un rapporto efficace con il pubblico. Negli anni in cui Marinetti si accostò al teatro, la barriera era più che mai invalicabile, nonostante qualche timido tentativo di superarla. D'altronde se si :roleva tentare seriat:?ente di ricostituire un rapporto d1 questo genere, b1sognava prima di tutto colmare l'ormai gravosa distanza t.ra il palcoscenico, isolato e stretto tra le sue soff?~antl pareti, e il pubblico altrettanto solo nella ~< oscunta » ~ella sua poltrona. Naturalmente il pro?le~a no~ era nsolvibile solo sul piano, peraltro s1gmficat1vo, d1 una maggiore vicinanza fisica dello spett.at?re al c~~tro dell' azione ma in attesa del poeta cm m defimtlva spetta la m~gica impresa di realizzare la comunione dell'anima dello spettatore con la trasfiguraz~one .fantasti~a del pal: coscenico, ci si impegnò alla realizzazwne de1 traguard1 più immediati e raggiungibili. . Firmin Gémier fin dal 1903 aveva tentato, s1a pure episodicamente e senza .u na luci?a com~re?sione de~ pr~ blema di coinvolgere 11 pubblico nell azwne scemca . L'esp~rimento, avvenuto a Losanna in occasione di un~ spettacolo ' rievocativo del centenario del cantone d1 Vaud, non fu valutato come sarebbe stato necessario dallo stesso autore che negli anni seguenti (che precedettero la costituzione del « Théatre National Populaire ») non diede nessun seguito al tentativo. Qualche anno più tardi Adolphe Appia in collaborazione con Jacques Dalcroze iniziava alcun.i espe:ill_lenti. d~llo. stesso genere che però rimanevano c1rcoscntt1 e hm1tat.1 dalla loro stessa empiricità e che d'altra parte, al d1 fuori 39 delle conventicole d'avanguardia, non suscitavano echi di particolare rilievo. In realtà il primo uomo di teatro che si pose e risolse il problema su un piano non solo teorico .ma anche e soprattutto realizzativo fu Vsèvolod E. Mejerchòl'd, che nella sua geniale attività di regista batt~ tutte le strade possibili alla ricerc~ di u.na sell_lpre diversa ma ugualmente affascinante « 1mmagme » di teatro. Nel 1910 collaborando al cabaret «La Casa degli Intermezzi » cli Pietroburgo che si proponeva « di rappresentare in un'atmosfera di festosa scapigliatura artistica un repertorio di farse, operette, vaudevilles, pantomime e numeri di varietà » 2 5 , concretizzò assai efficacemente la sua idea. « Mejerchòl'd volle [inoltre], in questo spettacolo 26 coinvolgere il pubblico nel~a vicenda, c.anc~l lando il confine tra platea e palcoscemco. In un ep1sod10 l'intero teatro raffigurava una bettola, e una ballerina esibendosi su un tavolo della platea, gareggiava con una mima danzante sul palcoscenico. In un altro un acceso fondale oro-sangue e un crescendo di schianti suggerivano l'avvicinarsi d'una tempesta di fuoco . Trafelato, appariva un guerriero a narrare le sorti della battagli.a. Ma infittendo le detonazioni, spaurito, ruzzolava m pla~ea, per nascondersi fra le gambe ~'u? tavol~no. Ripreso fiato, sporgeva la testa, ma nuov1 n~bomb1 lo snidavano anche da questo riparo, e se la sv1gnava nel ridotto, gridando : ".Si salvi eh~ pu~" f:) Negli spettacoli alla Casa degh Intermezzi MeJerchol d te.nde d~n que a mutare il teatro da rapporto frontale m ord!to di complicità e inteferenze tra spettatore e attore, dilatando l'azione a tutta la sala» 27 • 25 2·• Va notato che l'attribuzione di questo esperimento a Gémier è esclusivamente fondata sulle affermazioni dello stesso regista cui Paul Blanchart nel suo Firmin Gémier, Paris 1954, p. 142, sembra prestar fede . . Angelo M. Ripellino, Il trucco e l'anima, Torino 1965, p . 144. 2s Lo spettacolo era formato da un'opera comica settece_ntesca Bèsenaja sem'jà (Una famiglia furiosa) di Ivàn ~ry~ov e da 'una commedia moderna, Obrascennyj princ (Il pnnc1pe cambiato) di Evgenij Znosko-Borovskij. 21 Ibidem, pp . 148-149. 40 Marinetti fece in Italia, con i suoi spettacoli teatrali e con le stesse « serate futuriste di poesia », ciò che Mejerchòl'd aveva tentato con successo in Russia: liberò il palcoscenico dal suo solitario congelamento ed elevò un ponte di passaggio dalla scena alla platea. Lo spet,tatore veniva così coinvolto nel centro della realta drammatica diventando attore e introducendo nella creazione dell';utore la suggestione dell'estemporaneità. Su questo piano di teatro aperto ad ogni soluzione scenica, al di là della sua funzione polemica e delle sue stesse sostanziali novità formali, si può misurare la validità attuale del Teatro futurista. D'altronde l'interesse di giorno in giorno crescente per tutti gli aspetti ?~Ilo spettacolo futurista (e che dopo lo spettacolo par1g1~o di Nicolas Bataille si sta estendendo alla Germama, alla Spagna e finalmente anche all'Italia) fa ben sperare che il fenomeno, lungi dal ridursi, come .spesso è ~cca duto, a moda passeggera, sia oggetto d~ un meditato studio che contribuisca ulteriormente a nvelarne nuovi aspetti. GIOVANNI ANTONUCCI Introduzione al «Suggeritore nudo» Il suggeritore nudo fu rappresentato per la prima volta al « Teatro degli Indipendenti » di Roma il 12 dicembre 1929 con la regìa di Anton Giulio Bragaglia. Vi mise mano Carlo Munari, non fu dato per tante sere, degli interpreti non si ha ricordo; la critica lo prese sottogamba, un po' per la mancanza di « sorpresa » del testo, un po' per diffidenza verso Marinetti, Accademico di fresco, un po' infine per quell'eterno sospetto verso Bragaglia allestitore. Così, che significato può avere oggi ripresentarlo, come « introduzione » ad un discorso sul teatro futurista? Parliamo di « introduzione », poiché ci sembra giunto il momento, al di là delle mode, al di là delle riscoperte, al di là delle manìe per il nuovo, di offrire il materiale teatrale futurista (di Marinetti, di Boccioni, di Cangiullo, di Carli, di Corra, di De Pisis, e di quegli altri autori futuristi di teatro che siamo venuti riscoprendo oggi), come una delle ipotesi di lavoro più significative per una verifica della « tradizione » innovatrice del teatro italiano. Si tratta in verità di un materiale teatrale assai importante: sia come definizione programmatica, per cui i « manifesti » teatrali futuristi, a tanti anni di distanza, resistono all'oblio, anzi sono più vivi che mai con le loro proposte di «contemporaneità»; sia come scrittura drammaturgica, nei suoi esempi migliori, in grado di uscire dalla letteratura drammatica tradizionale per sinteticità, simultaneità, compenetrazione, ecc., ossia per rigore formale innovatore; sia come vena espressiva di un discorso teatrale contaminato ed espanso, ossia fornito di elementi di altre arti: pittura, scultura, musica, cinema, ecc.; come diffusamente un « senso dello soettacolo » aperto richiede ed esige. Allora l'influenza c~lturale e scenica dei « manifesti », la forza sperimen- 42 tale della scrittura « sintetica », la costituzione « contaminata » ed « espansa » dello spettacolo, sono e restano elementi di base per chiunque voglia affrontare il teatro futurista con un senso di schietta « contemporaneità ». Ed è anche chiaro che qualsiasi discorso serio attorno al rinnovamento del teatro italiano ha la sua matrice in Marinetti e nei suoi amici; tanto è vero che già dagli anni Trenta illustri critici come Romagnoli e Tilgher avevano afferrato e descritto la qualità intellettuale e scenica del futurismo, cui anche Pirandello e i « grotteschi » dovevano parecchio, per accennare qui soltanto di scorcio a quell'altra componente di rinnvamento della scena italiana che fu il teatro di Pirandello. Non credo che dall'articolo di Tilgher (che pubblichiamo qui sotto a titolo di testimonianza critica) ai nostri giorni ci sia stato un discorso altrettanto preciso e sereno, sul teatro futurista di Marinetti, anche nel considerarne le debolezze e le negatività. Accade peraltro che da alcune stagioni, a cominciare da Giovanni Calendoli, che ha curato l'opera teatrale di Marinetti in tre volumi, per finire a giovani studiosi come Giovanni Antonucci che ne ha analizzato la parte « sintetica », l'indagine sul teatro di Marinetti e sul teatro futurista in genere si è allargata e si è fatta più distinta, anche per un'obiettività di giudizio sul materiale a disposizione, e quindi per una cernita del « meglio », al di là della polemica politica, al di là della presa di posizione moralistica. Ciò è avvenuto anzitutto per merito di studiosi e di critici d'arte come Maurizio Calvesi, Enrico Crispolti, Maurizio Fagiuolo, Filiberto Menna, e di studiosi e di critici cinematografici come Mario Verdone, e ancora di musicisti di avanguardia, di poeti e scrittori sperimentali, che al futurismo, almeno dal punto di vista tecnico, si sono riferiti abbondantemente. Così nomi come quelli di Prampolini, per la scenografia, o di Russolo per la musica, o di Ricciardi per il Teatro del Colore, o dello stesso Bragaglia per il Teatro degli Indipendenti, sono tornati utilmente alla ribalta. Tutto ciò va detto e ribadito come possibilità, come 43 ipotesi di lavoro a più linee, e a più direzioni, sul teatro futurista. La possibilità reale, l'ipotesi effettuale che noi presentiamo è quella pertanto legittima e pertinente di un testo come Il suggeritore nudo a nostro parere significativamente rappresentativo degli anni Trenta italiani, più e meglio di qualsiasi altra commedia borghese dei « telefoni bianchi », delle imitazioni « francesizzanti », delle derivazioni pseudointellettualistiche, delle grossolanità nazionalistiche, che furoreggiarono nell'Italia fascista, in quegli anni decisivi del ventinove e del trenta. Ora se si segue attentamente, controluce, il « Suggeritore nudo », sia nelle pagine di Marinetti, sia nella serie di « inserti », le une e gli altri tutt'assieme componendo lo spettacolo, ciò che ci viene innanzi, ciò che si nasconde anche, ciò che infine attraversa il « materiale» drammaturgico stesso, è proprio questa immagine « volgare » di un'Italia che ha perso letteralmente la testa per il Duce; ed è questa, credo, la prima volta, che da una scena italiana viene proiettata verso il pubblico, verso la società di oggi, la « volgarità » sostanziale di quel periodo « nero » dell'Italia, dove ogni accensione democratica è stata sconfitta, per cui si può cantare ribaldescamente che Mussolini è stato risparmiato dagli attentati, per cui si può pensare leggermente al Duce e di riflesso operare, come a uno cui cristianamente si debba prestare fede assoluta, per cui infine otto milioni di italiani dicono sì e centomila soltanto dicono no di fronte ad elezioni praticamente imposte e coatte. E' inevitabile allora che da una simile « volgarità » di vita civile fascista debba discendere un'altrettanta « volgarità» di procedimento teatrale. Tale è infatti la struttura con cui si presenta il « Suggeritore nudo »: di una concomitanza di « volgarità » tra periodo storico e rappresentazione scenica il cui senso sta nell'ambito di un « teatro di varietà », anch'esso da considerare duplicemente, ossia come rievocazione di una maniera di 44 far teatro che oggi è finita o quasi, e i cui illustri esempi sono Petrolini e ancora una volta Eduardo: il Petrolini delle gaglioffate vertiginose e l'Eduardo dei canovacci scarpettiani, e al tempo stesso come trascrizione di un celebre manifesto futurista, quello del «Teatro di Varietà» del 1913. Su questa duplice prospettiva: di « volgarità » storica e di « volgarità » scenica, le indicazioni dello spettacolo è chiaro che restano ancora ipotesi di lavoro senza alcuna pretesa astratta di produrre qualcosa di nuovo; e comunque queste ipotesi vanno considerate all'interno della disposizione di un attore come Poli, in grado di recepire intelligentemente le nozioni e al tempo stesso di mimetizzarle al di dentro del suo temperamento, con una trascrizione peraltro schietta e utile in quanto scoperta e precisa. «IL TEATRO DI VARIETA' E' ASSOLUTAMENTE PRATICO PERCHE' SI PROPONE DI DISTRARRE E DIVERTIRE IL PUBBLICO CON DEGLI EFFETTI DI COMICITA', DI ECCITAZIONE EROTICA O DI STUPORE IMMAGINATIVO..... IL TEATRO DI VARIETA' OFFRE IL PIU' IGIENICO FRA TUTTI GLI SPETTACOLI, PEL SUO DINAMISMO DI FORMA E DI COLORE ... IL TEATRO DI VARIETA' E' LA SOLA SCUOLA CHE SI POSSA CONSIGLIARE AGLI ADOLESCENTI E AI GIOVANI D'INGEGNO, PERCHE' SPIEGA IN MODO INCISIVO E RAPIDO I PROBLEMI PIU' SENTIMENTALI, PIU' ASTRUSI E GLI AVVENIMENTI POLITICI PIU' COMPLICATI... IL TEATRO DI VARIETA' DEPREZZA SISTEMATICAMENTE L'AMORE IDEALE E LA SUA OSSESSIONE ROMANTICA, RIPETENDO A SAZIETA' COLLA MONOTONIA E L'AUTOMATICITA' DI UN MESTIERE QUOTIDIANO, I LANGUORI NOSTALGICI DELLA PASSIONE ... IL TEATRO DI VARIETA' DA' INVECE IL SENSO E IL GUSTO DEGLI AMORI FACILI, LEGGERI E IRONICI... IL TEATRO DI VARIETA' E' NATURALMENTE ANTIAC- 45 CADEMICO, PRIMITIVO E INGENUO ... IL TEATRO DI VARIETA' DISTRUGGE IL SOLENNE, IL SACRO, IL SUBLIME DELL'ARTE CON LA A MAIUSCOLA ... MENTRE IL TEATRO ATTUALE ESALTA LA VITA INTERNA, LA MEDITAZIONE PROFESSORALE, LA BIBLIOTECA, IL MUSEO, LE LOTTE MONOTONE DELLA COSCIENZA, LE ANALISI STUPIDE DEI SENTIMENTI, INSOMMA (COSA E PAROLA IMMONDA) LA PSICOLOGIA. IL TEATRO DI VARIETA' ESALTA L'AZIONE, L'EROISMO, LA VITA ALL'ARIA APERTA, LA DESTREZZA, L'AUTORITA' DELL'ISTINTO E DELL'INTUIZIONE. ALLA PSICOLOGIA OPPONE CIO' CHE IO CHIAMO FISICOFOLLIA ... »: queste ed altre più ambiziose ancora sono le intenzioni del manifesto del « Teatro di Varietà ». Dire che esse si ritrovino tutte nello spettacolo sarebbe pretendere troppo; che vi si trovino accennate e divulgate questo ~ì, e con il brio, la saporosità, l'inclinazione elegante, 1l gusto sollecitante del Paolo Poli che già conosciamo ed apprezziamo. Lo spettatore quindi, di fronte a tutto questo materiale futurista de Il suggeritore nudo e degli altri inserti, non tenti di ricavare una morale, non cerchi di individuare un pensiero, non si lasci afferrare dalla smania di capire la trama. La trama non c'è, se non quella esilissima di Mario Applausi fischiatissimo da giovane e vivo, e applauditissimo da vecchio e morto, vivo e morto andando al di là del significato fisico in questo caso; e cioè comprensivo della vitalità, dell'efficacia, della sensibilità, della vivacità d'animo. Il resto, dall'Ingenua agli altri tutti, non è che una serie di pezze di appoggio a questa traiettoria di Mario Applausi, scrittore di una società che va verso il conformismo e la soggezione e l'ipocrisia, e a cui egli stesso paga il tributo, nonostante cerchi di vivere diversamente dagli altri, seguendo una sua « linea » di opposizione, almeno sul piano del comportamento. Non vi riuscirà peraltro, tradito dagli stessi miti della società contro la quale vorrebbe erigersi: cioè da quei miti dell'energia, 47 46 della vitalità dell'ottimismo, del meccanicismo, che negli anni dieci e;ano sgorgati da una matrice sincera, e che via via si sono deteriorati; ed ora, resi materiale bruto di vita dal fascismo, essi non possono che essere grottescamente offerti e censurati. Il grottesco usato dal Poli nel predisporre i suoi «inserti » futuristi, accanto a Il' suggeritore nudo, è di tipo « indistinto », nel sens~ che la sua forma di « collage » non rispetta date, ne autori, anzi non rispetta verifiche culturali e te.atrali; e ciò il Poli fa allo scopo di buttare sul palcoscemco velocemente il maggior numero di elementi di .vita futurista oltre che di materiali stilistici. E così non Importa tanto che lo spettatore si metta a giudicare bello o brutto, appropriato o meno, questi inserti « sinteti~i », o poetici, o di barzelletta o di canzonaccia, quanto mvece che questo spettator~ sia trascinato dal~'u~ore, ~all'~diozia, ~~l la sferzata, dal candore, dalla vighacchena di tutto l m~ sieme degli « inserti »; nel loro s~olgersi a forma d~ verme, disarticolarmente, senza nervi, nel loro comporsi sfacciatamente contro ogni aspettativa di buon senso, contro ogni buona creanza di teatro di « cultura ». Simile vena grottesca allora dovre?~e f?~ ~s~orbire sia gli elementi di ·vita che i matenah stihstlcl futuristi mediante una recitazione leggermente demodée, in con;inuo bilico tra la derisione controluce e il riscontro sgradevole d'istinto; in m~do ~be _la co?fusione «. ambigua » degli elementi di vita sia di contmuo sollecitata ed · assorbita da un movimento scenico fedele ed esatto, almeno rispetto all'epoca scelta, gli anni Trenta; e in modo altresl che l'aspetto formale latentemente « liberty », ossia di gusto floreale umbertino. i? 7itardo, venga in aiuto alle sfasature e. ali: co.ntraddizwm e alle negatività di quegli elementi di vita. Un grottesco piacevole allora? Direi meglio un gr~ttes~o .« florea~e >~, con punte di piacevolezza secondo .il. mi~hor ~ol~, Il Poli più saporoso e attento; e su simile Ipot.esi d1 lavoro di materiale futurista, davvero, non si sarebbe potuto trovare oggi un interprete più fedele e vivo. Ripetiamo: la « cultura » teatrale ufficiale degli anni Trenta, e la vita morale fascista, hanno qui un loro premeditato e ben organizzato sberleffo, a livello di « varietà », ed in questo il « Suggeritore nudo » è uno sberleffo appropriato anche se espresso velatamente, per vie traverse. Noi spettatori rimaniamo sempre stupefatti di quell'età oramai mitica e tuttavia presente, oramai funerea e però tanto più traditrice; ed il materiale futurista offerto come « collage » indeterminato, confusionario di proposito, si accavalla e si incrocia con quella « cultura » magnificamente, !asciandoci l'amaro in gola, per tanto dispendio di energie non controllate, per tanto vigore non incanalatosi giustamente. Così l'immagine che più ci attrae e più ci perseguita nello spettacolo è quella della morte: di una disgregazione che non riesce a coagularsi, di una deflagrazione che non si ricostruisce mai. Può darsi che sia anche la morte di una società apparentemente tanto unita e florida ; e quegli otto milioni di sl al plebiscito contro i centomila o poco più di no, non riusciamo a digerirlo, a capirlo, nemmeno a trent'anni di distanza. Allora le canzoncine sguaiate che Poli inserisce tra una immagine e l'altra futurista, al di là del doppio senso, al di là del giuoco ambiguo di significati diventano anch'esse tanti fiocchi « neri » per un funerale assai più ampio e profondo, tanto più che attorno in quegli anni non si sente parlare che del Regime e del Duce purtroppo in termini sconsolatamente laudatori, soprattutto da parte di intellettuali anche tra i meno « prevedibili », e tutto sembra previsto e consolato dalla provvidenza, e tutto pare volgersi alla felicità di vivere: vivere, vivere come straziava Petrolini. GIUSEPPE BARTOLUCCI IL TEATRO DI VARIETÀ J:!!' ·tl==... Manifesto futurista !§ a l=t P'ulllil...,to diii • Dally-ihll • 21 Rowmtw. 1111 ~c Il ·•a ~~~~c ; ;=_t Abbiamo Wl profondo tchifo del tutro contr.mporanno (versi, {)fON o mu.ica) pereht oo.c.optckmente rr. la rico.tnn.iooe lllorie.o. (zibaldono o plagio) e le. riproduz..ionc ro~.optiea della no-tra 'fÌta quotidiana; teaiM minuziooo le nto ana.litieo e diluilo, degno tùtt'al pib deU' eli della bmpeda a petrolio. . deaia Il Futurismo esalta il Teatro di Varietà P"fTht ; 1. Il Teatro di VarietA. nato con noi da ll' F.leltridti, non ha. rnrtunal&menle tradiatooe _aJcuna. o~ maestri, n~ ~i. t' ei nutre di attualità n•loce . rJ. Il Toatro di \"arieti ~ &aiiOiulamenle pratico, pen:h~ ai propone di diatrarr.B e diYertire il pubblico con lle-tli dfetli di comieit.l, di ec.ciWione eruliea o di IJtupore immagioati.,o. a. Oli aul.ori, gii a.ttori e i mAcchini:;ti dal TeAtro di V.uieU hanno una eolt, rqiooe d'euere e di trionfare : quella d'innmtare inCHa.nler<'lente nuovi clementi di Klupore. Do. ciè, l'im~ìbilill auolut.a di arre.larwi a di ripckrt~i, da. ciò u:~ o. emulatione accanila di c:e"elli o di 111ueeoli, ~r aupcr""aR i di'"eni f"e('o;-da di agii il~. tli •e:oc::i~ di fona , di oompllu..l.iooe e di l"lcpn:a. 4. Il Teatro di \'arieti ~ il solo che ut.i liui o;lgi il cineor.lognfo, che lo ~:. !Tiochi.Ka d'un oumero inc..lco!.bile di \'ÌIIioni e di apello.coli irreo.linabili (b;.~l~ic, tumulti, coroo, circuiti d'auto. mobili e d'uropl&ni, Yi.cggi, tranaallanlici, profon dità di c:illt, d i eam~e. d'ocea.ni e di cieli). a. Il Tutro di \'arif't.A, tcsenùo una ve lriua rimunerclric:e d'in numerevoli nfon.i invenliTi, ~nera naluraJmenlto ciò rh~ io tantorf, \'eniteiOA: mcn&1e 11UIIa pan d a C' IW'h ian:l lrll Serbi C' Bul(lari, un couplet. e tutto apariaee) ; 11. pantomime aatirit"he iatrutli\·e : !t. caricature del dolore c dello. noeta..lgia, fortemente impreue nella IW!naiLilitl per meno di (leflli eaaat~"C r :anti per la lorn lentez.:tn ~ paanlOdiu cait.ante e lltanra ; parole gravi rid icolinclf' da (PIIli r.omit'i, t'RmufTalu re bit:.o:arrf', p:arole storpiate, s n1orlie, bufl'onak. •· Jl Tulro di \' arieti ~ ogifÌ il croKiuolo in r ui ribollono l!'li cle.m enti di una seneibiliU. ouova ehe ai p!ej)&ta. \ 'i 11i trova la IIC(llnJKl»ition., ironica di tutti i prototipi »C'Ìupati del Bello, del Grande, del Solenne, 1lel Heligio»a, del ~·eroce, del ~etlucente e dello Sp.nve:tt.e,·ole, ed ant"he l'eLabornioue utntt.a dei nuo•i prototipi c:he a queRli »uc:cedera nno, Il Tee.lro di Vari~t.i è dunque la eiale•i di tutlo eiò ehe l'umanità ha raft\no.to nnora Dei. propri Dtll"t'i per diattanti ridendo del dolore ma.~ria!o o morde; èl inoltro h C'\:.ciono riboUenle di Il Teatro di Vari età (manifesto) · 29 settembre 1913 B. Munari: Il segretario dello scrittore celebre (disegno per ! l l suggeritore nudo » di F. T. Marinetti) in « Comoedia », 1.929 La locandina La prima rappresentazione di « Il suggeritore nudo » si è avuta al Teatro Gobetti venerdì 22 marzo 1968, con la seguente locandina: F. T. Marinetti Il suggeritore nudo Divertimento in due tempi Regia di Paolo Poli Scene di Uberto Bertacca Costumi di Danda Ortona Coreografie di Angelo Pietri Musiche dell'epoca a cura di Jacqueline Perrotin il con Alvise Battain Alessandro Barchi Antonietta Carbonetti Guerrino Crivello Pietro Dotti Alessandro Esposito Francesco Di Federico Antonio Francioni Mariella Furgiuele Eligio Irato Manuel Manfredi Angelo Pietri Paolo Poli fole Silvani Milena V ukotic -,- Il Teatro di varietà Abbiamo un profondo schifo del teatro contemporaneo (versi, prosa e musica) perché ondeggia stupidamente fra la ricostruzione storica ( zibaldone o plagio) e la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana; teatro minuzioso, lento, analitico e diluito, degno tutt'al più dell'età della lampada a petrolio. IL FUTURISMO ESALTA IL TEATRO DI VARIETA' perché: 1. Il Teatro di Varietà, nato con noi dall'elettricità, non ha fortunatamente, tradizione alcuna; né maestri, né dogmi, e si nutre di attualità veloce. 2. Il Teatro di Varietà è assolutamente pratico, perché si propone di distrarre e divertire il pubblico con degli effetti di comicità, di eccitazione erotièa o di . stupore immaginativo. 3. Gli autori, gli attori e i macchinisti del Teatro di Varietà hanno una sola ragione d'essere e di trionfare: quella d'inventare incessantemente nuovi elementi di stupore. Da ciò, l'impossibilità assoluta di arrestarsi e di ripetersi, da ciò una emulazione accanita di cervelli e di muscoli, per superare i diversi records di agilità, di velocità, di forza, di complicazione e di eleganza. 4. Il Teatro di Varietà, solo, utilizza oggi il cinematografo, che lo arricchisce d'un numero incalcolabile di visioni e di spettacoli irrealizzabili (battaglie, tumulti, corse, circuiti d'automobili e d'aeroplani, viaggi, transatlantici, profondità di città, di campagne, d'oceani e di cieli. 5. Il Teatro di Varietà, essendo una vetrina rimuneratrice d'innumerevoli sforzi inventivi, genera naturalmente ciò che io chiamo il meraviglioso futurista, pro- 53 52 torsioni, di tutte le smorfie dell'umanità futura. Vi si gustano l'allegria che scuoterà gli uomini fra cento anni, la loro poesia, la loro pittura, la loro filosofia, e i balzi della loro architettura. 7. Il Teatro di Varietà offre il più igienico fra tutti gli spettacoli, pel suo dinamismo di forma e di colore (movimento simultaneo di giocolieri, ballerine, ginnasti, cavallerizzi multicolori, cicloni spiralici di danzatori trottolanti sulle punte dei piedi). Col suo ritmo di danza celere e trascinante, il Teatro di Varietà trae per forza le anime più lente dal loro torpore e impone loro di correre e di saltare. 8. Il Teatro di V arietà è il solo che utilizzzi la collaborazione del pubblico. Questo non vi ·rimane statico come uno stupido voyeur, ma partecipa rumorosamente all'azione, cantando anch'esso, accompagnando l'orchestra, comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri cogli attori. Questi polemizzano buffonescamente coi · musicanti. Il Teatro di Varietà utilizza il fumo dei sigari e delle sigarette per fondere l'atmosfera del pubblico con quella del palcoscenico. E poiché il pubblico collabora cosi colla fantasia degli attori, l'azione si svolge ad un tempo sul palcoscenico, nei palchi e nella platea. Continua poi alla fine dello spettacolo, fra i · battaglioni di ammiratori, smockings caramellati che si assiepano all'uscita per disputarsi la stella; doppia vittoria finale: cena chic e letto. 9. Il Teatro di Varietà è una scuola di sincerità istruttiva pel maschio, poiché esalta il suo istinto rapace e poiché strappa alla donna . tutti . i veli, _tutte le frasi, tutti i sospiri, tutti i singhiozzi ròmantici che la deformano e la mascherano. Esso fa risaltare, invece tutte le mirabili qualità animali della donna, le sue forze di presa, di seduzione, di perfidia e di resistenza. 10. Il Teatro di Varietà è una scuola d'eroismo pei differenti records · di difficoltà da vincere e · di sforzi da superare, che creano sulla scena la forte e sana atmo- dotto dal meccanismo moderno. Ecco alcuni elementi di questo meraviglioso: l. caricature possenti; 2. abissi di ridicolo; 3. ironie impalpabili e deliziose; 4. simboli avviluppanti e definitivi; 5. cascate d'ilarità irrefrenabili; 6. analogie profonde fra l'umanità, il mondo animale, il mondo vegetale, e il mondo meccanico; 7. scorci di cinismo rivelatore; 8. intrecci di motti spiritosi, di bisticci e d'indovinelli che servono ad aerare gradevolmente l'intelligenza; 9. tutta la gamma del riso e del sorriso per distendere i nervi; 10. tutta la gamma della stupidaggine, dell'imbecillità, della balordaggine e dell'assurdità, che spingono insensibilmente l'intelligenza fino all'orlo della pazzia; 11. tutte le nuove significazioni della luce, del suono, del rumore e della parola, coi loro prolungamenti misteriosi e inesplicabili nella parte più inesplorata della nostra sensibilità; 12. cumulo di avvenimenti sbrigati in fretta e di personaggi spinti da destra a sinistra in due minuti ( « ed ora diamo un'occhiata ai Balcani: Re Nicola, Enver-bey, Daneff, Venizelos, manate sulla pancia e schiaffi tra Serbi e Bulgari, un couplet, e tutto sparisce); 13. pantomime satiriche istruttive; 14. caricature del dolore e della nostalgia, fortemente impresse nella sensibilità per mezzo di gesti esasperanti per la loro lentezza spasmodica esitante e stanca; parole gravi ridicolizzate da gesti comici, camuffature bizzarre, parole storpiate, smorfie, buffonate . 6. Il Teatro di Varietà è oggi il crogiuolo in cui ribollono gli elementi di una sensibilità nuova che si prepara. Vi si trova la scomposizione ironica di tutti i prototipi sciupati del Bello, del Grande, del Solenne, del Religioso, del Feroce, del Seducente e dello Spaventevole ed anche l'elaborazione astratta dei nuovi prototipi che a questi succederanno. Il Teatro di Varietà è dunque la sintesi di tutto ciò che l'umanità ha raffinato finora nei propri nervi per divertirsi ridendo del dolore materiale e morale; è inoltre la fusione ribollente di tutte le risate, di tutti i sorrisi, di tutti gli sghignazzamenti, di tutte le con- l 54 l i l sfera del pericolo. (Es. Salti della morte, Looping the loop in bicicletta, in automobile, a cavallo) . 11. Il Teatro di Varietà è una scuola di sottigliezza, di complicazione e di sintesi cerebrale, per suoi clowns, prestigiatori, divinatori del pensiero, calcolatori prodigiosi, macchiettisti, imitatori e parodisti, i suoi giocolieri musicali e i suoi eccentrici americani, le cui fantastiche gravidanze figliano oggetti e meccanismi inverosimili. 12. Il Teatro di Varietà è la sola scuola che si possa consigliare agli adolescenti e ai giovani d'ingegno, perché spiega in modo incisivo e rapido i problemi più astrusi e gli avvenimenti politici più complicati. Esempio: Un anno fa, alle Folies-Bergère, due danzatori rappresentavano le ondeggianti discussioni di Cambon con Kinderlen-Watcher sulla questione del Marocco e del Congo, con una danza simbolica e significativa che equivaleva ad almeno 3 anni èli studi di politica estera. I due danzatori rivolti al pubblico, intrecciate le braccia, stretti l'uno al fianco dell'altro, andavano facendosi delle reciproche concessioni di territori, saltando avanti e indietro, a destra e a sinistra, senza mai staccarsi, tenendo ognuno fissi gli occhi allo scopo, che era quello di imbrogliarsi a vicenda. Davano un'impressione . di estrema cortesia, di abile ondeggiamento, di ferocia, di diffidenza, di ostinazione, di meticolosità, insuperabilmente diplomatiche. Inoltre il Teatro di Varietà spiega luminosamente le leggi dominanti della vita : a) necessità di complicazioni e di ritmi diversi; b) fatalità della menzogna e della contraddizione (es.: danzatrici inglesi a doppia faccia : pastorella e soldato terribile); c) onnipotenza di una volontà metodica che modifica le forze umane; d) sintesi di velocità + trasformazioni ( esempio: P regoli). 55 13. Il Teatro di Varietà deprezza sistematicamente l'amore ideale e la sua ossessione romantica, ripetendo a sazietà colla monotonia e l'automaticità di un mestiere quotidiano, i languori nostalgici della passione. Esso meccanizza bizzarramente il sentimento, deprezza e calpesta igienicamente l'ossessione del possesso carnale, abbassa la lussuria alla funzione naturale del coito, la priva di ogni mistero, di ogni angoscia deprimente di ogni idealismo anti-igienico . Il Teatro di Varietà dà invece il senso e il gusto degli amori facili, leggieri e ironici. Gli spettacoli di caffè-concerto all'aria aperta sulle terrazze dei Casinos offrono una divertentissima battaglia fra il chiaro di luna spasmodico, tormentato da infinite disperazioni, e la luce elettrica che rimbalza violentemente sui gioielli falsi , le carni imbellettate, i gonnellini multicolori, i velluti, i lustrini e il sangue falso delle labbra. Naturalmente l'energica luce elettrica trionfa, e il molle e decadente chiaro di luna è sconfitto. 14. Il Teatro di Varietà è naturalmente antiaccademico, primitivo e ingenuo, quindi più significativo per l'imprevisto delle sue ricerche e la semplicità dei suoi mezzi. (Es.: il sistematico giro di palcoscenico che le chanteuses fanno, alla fine di ogni couplet, come belve in gabbia) . 15. Il Teatro di Varietà distrugge il Solenne, il Sacro, il Serio, il Sublime dell'Arte coll'A maiuscola. Esso collabora alla distruzione futurista dei capolavori immortali, plagiandoli, parodiandoli, presentandoli alla buona, senza apparato e senza compunzione, come un qualsiasi numero d'attrazione. Cosl, noi approviamo incondizionatamente l'esecuzione del . Parsi/al in 40 minuti, che si prepara in un grande Music-hall di Londra. 16. Il Teatro di Varietà distrugge tutte le nostre concezioni di prospettiva, di proporzione, di tempo e di spazio. (Es.: porticina e cancelletto alti 30 centimetri isolati in mezzo al palcoscenico, e da cui certi eccentrici 56 57 americani passano aprendo e ripassano richiudendo con serietà, come se non potessero fare altrimenti). 17. Il Teatro di Varietà ci offre tutti i records raggiunti finora: massima velocità e massimo equilibrismo e acrobatismo dei giapponesi, massima frenesia muscolare dei negri, massimo sviluppo dell'intelligenza degli animali (cavalli, elefanti, foche, cani, uccelli ammaestrati), massima ispirazione melodica del Golfo di Napoli e delle steppe russe, massimo spirito parigino, massima forza comparata delle diverse razze (lotta e boxe), massima mostruosità anatomica, massima bellezza della donna. 18. Mentre il Teatro attuale esalta la vita interna, la meditazione professorale, la biblioteca, il museo, le lotte monotone della coscienza, le analisi stupide dei sentimenti insomma (cosa e parola immonde) la psicolo?ia, il Teatro di Varietà esalta l'azione, l'eroismo, la v1ta all'aria aperta, la destrezza, l'autorità dell'istinto e dell'intuizione. Alla psicologia, oppone ciò che io chiamo fisicofollia. 19. Il Teatro di Varietà offre infine a tutti i paesi che non hanno una grande capitale unica (così l'Italia) un riassunto brillante di Parigi considerato come focolare unico e ossessionante di lusso e di piacere ultra raffinato. IL violette, décolleté azzurro, chignon arancione, ecc. Interrompere una canzonetta facendola continuare da un discorso rivoluzionario. Cospargere una romanza d'insulti e di parolacce, ecc.). 2. Impedire che una serie di tradizioni si stabilisca nel Teatro di Varietà. Combattere perciò ed abolire le Revues parigine, stupide, e tediose quanto la tragedia greca, coi loro Compère et Commère, che- esercitano la funzione del coro antico, e la loro sfilata di personaggi e d'avvenimenti politici, sottolineati da motti di spirito, con una logica e un concatenamento fastidiosissimi. Il teatro di Varietà non deve essere infatti, quello che purtroppo è ancora oggi, quasi sem: pre un giornale più o meno umoristico. . 3. Introd';lrre la sorpresa e la necessità d'agire fra glt spettaton della platea, dei palchi e della galleria. Qualche proposta a caso: mettere della colla forte su alcune poltrone, perché lo spettatore, uomo o donna che rimane incollato, susciti l'ilarità generale (il frack 'o la toilette danneggiato sarà naturalmente pagato all'uscita). - Vendere lo stesso posto a dieci persone: quindi ingombro, battibecchi e alterchi. - Offrire posti gratuiti a signori o signore notoriamente pazzoidi, irritabili o eccentrici, che abbiano a provocare chiassate, con gesti osceni, pizzicotti alle donne, o oltre bizzarrie. Cospargere le poltrone di polveri che provochino il prurito, lo sternuto, ecc. 4. Prostituire sistematicamente tutta l'arte classica sulla scena, rapppresentando per esempio in una sola serata tutte le tragedie greche, francesi, italiane, cond~nsate e comicamente mescolate. - Vivificare le opere ~h Beethoven, di Wagner, di Bach, di Bellini, di Chopin, mtroducendovi delle canzonette napoletane. Mettere a fianco a fianco sulla scena Zacconi, la Duse, e Mayol, Sarah Bernhardt e Fregoli. Eseguire una sinfonia di Beethoven a rovescio, cominciando dall'ultima nota. - Ridurre tutto Shakespeare ad un solo atto. - Fare altrettanto con tutti gli attori più vene- FUTURISMO VUOLE TRASFORMARE IL TEATRO DI VARIETA' IN TEATRO DELLO STUPORE, DEL RECORD E DELLA FISICOFOLLIA. l. Bisogna assolutamente distruggere ogni . logica negli spettacoli del Teatro di Varietà, esagerarvi singolarmente il lusso, moltiplicare i contrasti e far regnare sovrani sulla scena l'inverosimile e l'assurdo. Esempio: (Obbligare le chanteuses a tingersi il décolleté, le braccia e specialmente i capelli, in tutti i colori finora trascurati come rriezzi di seduzione. Capelli verdi, braccia L 58 rati. - Far recitare Ernani da attori chiusi fino al collo in tanti sacchi. Insaponare le assi del palcoscenico, per provocare divertenti capitomboli nel momento più tragico. 5. Incoraggiare in ogni modo il genere degli eccentrici americani, i loro effetti di grottesco esaltante, di dinamismo spaventevole, le loro grossolane trovate, le loro enormi brutalità, i loro panciotti a sorpresa e i loro pantaloni profondi come stive di bastimenti, da cui uscirà con mille altre cose la grande ilarità futurista che deve ringiovanire la faccia del mondo. Poiché, non lo dimenticate, noi futuristi siamo dei GIOVANI ARTIGLIERI IN BALDORIA, come proclamammo nel nostro manifesto «Uccidiamo il chiaro di luna » fuoco + fuoco + luce contro chiaro di luna e vecchi firmamenti guerra ogni sera grandi città brandire réclames luminose Immensa faccia di negro ( 30 m. altezza + 150 m. altezza della casa = 180 m.) aprire chiudere aprire chiudere occhio d'oro altezza 3 m. FUMEZ FUMEZ MANOLI FUMEZ MANOLI CIGARETTES donna in camicia (50 m.+ 120 altezza della casa= 170m.) stringere allentare busto viola roseo lilla azzurro spuma di lampadine elettriche in una coppa di champagne ( 30 m.) frizzare svaporare in una bocca d'ombra réclames luminose velarsi morire sotto una mano nera tenace rinascere continuare prolungare nella notte lo sforzo della giornata umana coraggio + follia mai morire né fermarsi né addormentarsi réclames luminose = formazione e disgregazione di minerali e vegetali centro della terra circolazione sanguigna nei volti ferrei delle case futuriste animarsi imporporarsi (gioia collera su su ancora presto più forte ancora) appena le tenebre pessimiste negatrici sentimentali nostalgiche assediano la città risveglio sfolgorante delle vie che canalizzano durante il giorno il brulichio fumoso del lavoro due cavalli (altezza 30 m.) far ruzzolare con una zampa palle d'oro 59 GIOCONDA ACQUA PURGATIVA incrociarsi di trrrr trrrrr Elevated trrrr trrrrr sulla testa trombeeebeeebeette fiiiiiiischi sirene d'autoambulanze + pompe elettriche trasformazione delle vie in splendidi corridoi condurre spingere logica necessità la folla verso trepidazione + ilarità + frastuono del Music-hall FOLIES-BERGÈRE EMPIRE CRÈME-ÈCLIPSE tubi di mercurio rossi rossi rossi turchini turchini turchini violetti enormi lettere-anguille d'oro fuoco porpora diamante sfida futurista alla notte piagnucolosa sconfitta delle stelle calore entusiasmo fede convinzione volontà penetrazione d'una réclame luminosa nella casa di rimpetto schiaffi gialli a quel pedagroso in pantofole bibliofile che sonnecchia 3 specchi lo guardano la réclame s'immerge nei 3 abissi rossodoooorati aprire chiudere aprire chiudere delle profondità di 3 miliardi di chilometri orrore uscire uscire presto cappello bastone scala tassametro spintoni zuu zuoeu eccoci barbaglio del promenoir solennità delle pantere-cocottes fra i tropici della musica leggiera odore tondo e caldo della gaiezza Music-hall = ventilatore instancabile del cervello futurista del mondo. F. T. MARINETTI Pubblicato dal « Daily-Mail » 21 novembre 1913 IL MISANTROPO Il misantropo* Alceste è personaggio comico o personaggio drammatico? deve far ridere o deve far piangere? E' il grande interrogativo sul quale s'è affaticata la critica del Misantropo; e, come molti altri dilemmi essenziali, non esiste. Alceste è comico e drammatico insieme, come la vita stessa. Bizzarro, stravagante, eccentrico, lo volte certamente Molière sin dalle prime battute; tale lo ha sostenuto con impareggiabile bravura di atto in atto, e tale doveva egli rappresentarlo, come attore, in scena. Scatti indimenticabili (Morbleu! fautil que je vous aime! ), atteggiamenti deliziosamente assurdi, lo strano idealismo in situazioni farsesche, potevano far scrosciare l'ilarità di un pubblico rincantucciato e sicuro nel più socievole e conciliante buon senso. Dà sempre un po' nel ridicolo quegli che si oppone con brutale inopportunità ai modi garbati (e traditori), alle convenienze ed ai compromessi di una società ben costituita, e che alla fine avrà ragione del ribelle. Nell'implicita sconfitta si delinea anche meglio, con l'innocente sventataggine di quella virtù utopistica, il suo aspetto buffo. E' crudele, è forse infame; ma è di tutti i giorni. I giovani appassionati, gli adolescenti ai loro primi amori, nei primi slanci generosi e tempestosi, lo hanno imparato a proprie spese, in ogni tempo. Molière ha portato alla ribalta questo eterno adolescente - inquieto, ombroso, fervido, irritabile, smanioso di sincerità e di purezza - ; ha portato alla ribalta Alceste tra un gruppo di personaggi adulti, di (*) Questo saggio è tratto per gentile concessione dell'Autore e dell'Editore del Volume: Francesco Bernardelli, Spettacoli e Commedie, edizioni dell'Albero, Torino, 1964. 64 fror:te, naturalmente, ad un pubblico adulto. II suo gem? da questa sola trovata ricavò la grande linea com1ca della commedia. . Quel curioso modo di amare perseguitando e ingiunando l~ donna amata, quello stupirsi alto e feroce pe~ un heve atto d'ipocrisia, ma neppure, diciamo di futlle e cerimoniosa convenienza compiuto da un amico, qt;tel v~ler~ g~~stizia (perché si è nel giusto) senza sollecitare 1 g1.ut;lic1 o. curare il processo, quell'agitarsi perenne tra gli 1mpet1 del cuore, caldissimi e violenti e la fredda utilitaria sorniona gentilezza deali altri' q_uella co~ciutagg~ne, quell'at.tirarsi i guai, qucl grido:' s1, perdero la m1a causa, m1 costerà fior di quattrini ' al I?~no una ragione di più per odiare l'ini-' m~ ,avro qmta, per vilipendere la natura umana; e infine, dopo tanti strepiti e ingiunzioni e ultimatum e sfide quell'implorare Célimène, quell'umiliarsi, quell'imp;ovviso ac.cettarla com'è, pur di non perderla, quell'offrire a le1, la suprema civetta, la suprema mondana, di per~onarle (oh . candido cuore di Alceste!) purché ella gli s1 abbandoru, e lo segua nel deserto in una esistenza solitaria, loro due, loro soli, trabocc;nti d'amore· tutti questi gesti e parole ed impeti di visionario do~evano pur trarre grandi risa! Alceste è buffo Alceste è allucinato e ridicolo, almeno quanto Don' Chisciotte. Ma Don Chisciotte è immensamente triste. Ed ecco anche Alceste è un personaggio triste e drammatic~. in lui '!u~lcosa che il tempo ha ricavato sempre pm, che la c1v1ltà nostra, la nostra coltura, fatte di una. secolate espetienza di malinconia, di intelligenza e d1 finezza, hanno teso sempre più attuale e viva. V'~ in l~ l'ansietà, la dolente, l'acuta ansietà dei gelosi, degh amanti esclusivi, dei ricetcatori d'assoluto· v'è in lui l'eccitabilità netvosa, la delitante incettezza' la capacità di sofftire di colmo pet i quali la miste~ tiosa, l'ingannattice, la spaventevole tealtà del mondo dissimulata nelle facili convenzioni sociali è davveto alcunché di troppo grosso e pesante. Ed 'è necessatio .Y'è 65 allota gettarsi ad una perpetua e pugnace e totale sincerità, e investigare, cercare, vedere quello che c'è, dietro la grande illusione. La vita, una donna... Non pet nulla Jules Lemaitre disse che Alceste non è un misantropo, ma un pessimista; ch'egli non si avventa contto l'inoffensiva bugia di Filinto, ma contro quella, atroce, « de l'etetnelle Maya ». Célimène! Si dice che sia una grande figura, una coquette insupetata, una dama affascinante. Può essere; a noi appare un po' pedantesca e un po' astratta, con quel suo satireggiare minuzioso, le grandi arie, le doppiezze volgati. Ma guardate Alceste di fronte a lei. Come si dibatte, come si strugge: il suo è ben l'amore dei diciott'anni, è quel furore e quella tenerezza, è il delirio sempte all'agguato, l'implorazione aggressiva, lo sprezzo l'ira l'incanto che il desiderio gonfia di immagini dispetate, di sogni, di impossibilità. Che vuole egli da questa donna? Oh, una cosa da nulla. Non l'amore, ma la « cettezza », capite? la certezza dell'amore. Ch'esso sia intero, compiuto, petfetto, immortale, tutto luce, senz'ombta mai, la verità stessa. Questo vuole Alceste, e petciò egli è cosl giovane, oggi, e cosl attuale. François Mauriac, nel suo Journal, ha dedicato al Misantropo una paginetta bellissima; e vi dice della straziante esigenza di sapere, di conoscere a qualunque costo, che è propria degli innamorati della razza di Alceste, e dei loro colpi d'ariete contro la superficie dura e brillante della menzogna; ma, e questo è il momento tragico d' Alceste, non solo della menzogna volontaria, utilitaria, sociale, la menzogna della donna che vuoi mentire, ma di una menzogna inavvertita, di una falsità inconscia - la menzogna profonda, essenziale, che le astuzie d'una civetta o il calcolo di una spudorata non valgono a regolare, ma che è condizione del vivere stesso, dell'inspiegabile, inafferrabile nascere e morire dell'amore: l'instabilità che Proust definiva intermittences du coeur. 66 Abbiamo divagato. Alceste è personaggio troppo pieno, troppo ricco e troppo sottile, perché si possa passare indifferenti dinanzi a lui. Di tutte le interpretazioni che si sono date del suo carattere e del suo destino abbiamo scelto, naturalmente, quella di nostro gusto. Sul Misantropo si sono scritte migliaia di pagine; di Alceste si sono dette innumerevoli cose: Alceste giansenista, Alceste giacobino, Alceste precursore dei romantici, socialista, repubblicano. « Alceste, l'hannéte homme, Alceste, le fier républicain, Alceste aurait agi camme moi! »: è un'apostrofe del vecchio Sarcey. Abbiamo scelto un Alceste morbido nella rudezza, sottile nel patimento, un po' malato, un po' nevrastenico, un Alceste nostro contemporaneo. Comico? drammatico? Alceste è un gran personaggio, è come la vita, già lo dicemmo; è questo e quello. Dipende dal nostro cuore; siamo noi spettatori che l'osserviamo sorridendo o con gli occhi velati e brucianti, a seconda ... FRANCESCO BERNARDELLI La «prima» del 1666 Nel 1705 trentadue anni dopo la morte di Molière, avvenuta co'm' è noto nel 1673, un poligrafo --:--:- aut or~ di una grammatica, di uno studio sull'arte mzlztare, dz una biografia su Carlo XII di Svezia ~ olt~e~utto pro~ fessore di matematica e cicerone ~ .dzspos~zzo~e degl~ stranieri illustri di passaggio a Parzgz .-' zl szgn?r dz Grimarest, pubblicò un volume dal tztolo La V1e de Molière. Quest'opera ebbe larga fortuna, come provano le numerose contraffazioni che essa subì e due traduzioni rispettivamente in olandese ed in te4~sco, etettuate entro un breve lasso di tempo. Pzu t~rdz lo stesso Voltaire, scrivendo a sua volta una bzografi~ dell'autore del Misantropo, attinse all'opera del Grzmarest. Si tratta di un libro sul quale ha lungamente pesato, e in parte pesa ancora, il giudizio estremame.n~e s~ vero, anzi, la stroncatura formulata d,a u_n. ~rztzco zllustre, il Boileau, il quale, forte de~l am~c~zza c~e lo aveva legato a Molière, si credette zn dzrzt~o ..d~ tac~ ciare la Vie in questione di assoluta inattendzbzlzta. Glz studi recenti hanno dimostrato invece che, nonostante gli innegabili errori e le numerose inesattez~e, l'opera del Grimarest resta fondamentalmente valzda, a~che perché risulta che l'autore la compose basandosz su_ un paziente lavoro di ricerca, fondato sull~ lettura dz tutte le opere che su Molière v~nnero sc~ttt~. dopo la sua morte (anzitutto la prefazzone dell edzzzone del 1682; il famoso Registro del La .Gr~n~e, un, at!o.r~ di Molière che tenne una specie dz dzarzo dell attzvzta della Con:pagnia; l'Art poétique di .Boileau; ~ Caractères di La Bruyère; Les Hommes illustres dz Per~ rault il Dictionnaire di Bayle, ecc.) e sulla raccolta dz 68 un largo numero di testimonianze orali, tra cui, indubbiamente fondamentali, quelle di Baro n, l'allievo prediletto di Molière, e del figlio di Racine. Pare che il Grimarest abbia commesso la grave dimenticanza di non interpellare personalmente Boileau, e tale fatto spiegherebbe la durezza del giudizio pronunciato dall'illustre critico sull'opera del biografo molieriano. Ci sembra interessante, anche per il sapore della vita teatrale nel '600 che rievoca, riportare dal libro del Grimarest le pagine dedicate al Misantropo. Le ricaviamo dall'edizione critica dell'opera in questione, pubblicata a cura di Georges Mongrédien sotto il patrocinio della Société d'histoire du Théatre, a Parigi nel 1955. Le note a pie' di pagina, che rettificano ed integrano le notizie dello storico settecentesco, sono del Mongrédien. Da questa importante testimonianza si ricava che il Misantropo ebbe alcune difficoltà per affermarsi a causa del suo carattere impegnato e grave ma al contempo come esso sia riuscito in breve ad imporsi, quale una delle maggiori opere del grande comico francese. Voltaire, alludendo al fatto che per aiutare il « lancio » della commedia fu necessario abbinarla alla commediola burlesca Le médecin malgré lui, scrisse: « Il Misantropo era l'opera d'un saggio, destinata a uomini illuminati; è stato necessario che il saggio si travestisse da buffone per piacere alla moltitudine ». E' questa un'esperienza che si ripete in ogni tempo con una certa frequenza; tuttavia la storia si incarica quasi sempre di fare giustizia e, nel caso del Misantropo, Molière per avere giustizia, non dovette neppure aspettare tanto a lungo, come ci informa il Grimarest. Ecco di seguito le pagine della Vie de Molière che ci interessano. A scanso di equivoci, teniamo a precisare che la lingua ed il fraseggio del Grimarest sono, diciamo così, piuttosto curiosi e non di rado irregolari; di tale fatto si rileva per forza maggiore un certo riflesso nella nostra traduzione. (G. R. M.) 69 Molière non lasciava mai il Pubblico senza novità; sempre felice nella scelta dei c~ratteri, egli aveva 1~ vorato attorno a quello del M1santropo; lo .present~ al Pubblico. Ma fin dalla prima rappresentazwne egh si rese conto che il popolo di Parigi desiderava più ridere che non ammirare, e che di fronte a. venti P~~ sone in grado di apprezzare tocchi delicatl e nob.ll1, ve ne sono cento che li rifiutano senza essere capaci. a conoscerli (l). Non appena rientrato nel suo studio, egli si mise a lavorare al Médecin malgré lui per s~ste nere il Misantropo, di cui la seconda rappresentaz1~n~ fu ancora più debole della prima (2): il che lo ob~hgo ad accelerare la fabbricazione del suo « Fagot1er » (l) La prima rappresentazione del Misantropo ebbe luogo al Palais-Royal il 4 giugno 1666. La Corte era m lu_tto per la morte della Regina Madre. La tradizione del mezzo msuccess<;> del Misantropo si era molto consolidata. Cfr. abate D~b?s, Reflexions critiques sur la poésie et sur la p~inture, P~ng1, 1770, n pp. 431-433: ((Benché il Misantropo Sia probabilmen~e la miglior commedia dei nostri giorni, ciò nonost~nte non. s1am~ stupiti che il pubblico abbia esitato qualche gwrno pnma d1 salutarla come eccellente e che il fav<;>re. generai~ le SI~ venut<;> solo dopo otto o dieci rappresentaziOni"· Loms Racme,_ Memoires (cfr. Racine, Oeuvres, éd. P. Mesnard, I, p. 236), scnsse: « Il giorno dopo la prima rapprese~tazione_... che fu !fiOlto sfortunata una persona, credendo d1 far piacere a miO padre corse' annunciandogli la notizia con queste parole: " La co~media è caduta; niente di più freddo; può _credere a, me; c'ero". - Lei c'era, rispose mio pad~e, e 10 n?_n c er~; tuttavia non le credo, poiché è impossi~lle c?~ Moh~re abbia fatto una brutta pièce. Ci torni e la nesamrm meglio». Molière aveva in un primo tempo intitolato la sua c~n:: media Le Misantrophe ou l'Atrabilaire amoureux. (questo e 1_1 titolo riportato dal registro della Camera Smdacale dei Librai). . Il sottotitolo è stato tolto al momento della stamp;lière. Questi lo seppe e, piuttosto che fargh causa, acconse~ti che la lettera di cui Molière non era soddisfatto, fosse unita all'edizione che Molière fece fare lui stesso del Misantropo». (7) Questo è un chiaro errore. !l Médecin m_algré lui non fu associato al Misantropo nel manifesto se non Il 3 settembre alla ventiduesima rappresentazione. Vedi nota 2. 73 72 cendo recitare il Misantropo da solo. Ottenne un successo molto lusinghiero, di modo che non fu possibile rimproverargli che la piccola pièce avesse sostenuto quella grande (8). Gli Ipocriti erano stati talmente 1rr1tati dal Tar· tufo, che fecero circolare in Parigi un libro abominevole, che venne attribuito a Molière per rovinarlo. E' in tale occasione che egli introdusse nel Misantropu i versi seguenti: Et non content encore du tort que l'on me fait, Il court parmi le monde un livre abominable, Et de qui la lecture est meme condamnable, Un livre a mériter la dernière rigueur, Dont le fourbe a le front de me faire l'Auteur. Et là dessud on voit Oronte qui murmure, Et tàche méchamment d'apuyer l'imposture; Lui qui d'un honnete homme à la Cour tient le rang .. . Etc . ... (9). (Per di più, non contento del torto che m'ha fatto, va diffondendo in giro un immondo Iibraccio, che solamente a leggerlo c'è da perder la faccia, un libro che si merita il massimo rigore, e ha la faccia di farmi passare per l'autore. Oronte, mormorando, gli fa gioco, e procura di dar perfidamente credito all'impostura! Lui, che a Corte lo stimano gentiluomo perfetto ... (traduzione di Vittorio Sermonti) ecc . ... ) si registra che esse furono rappresentate nei mesi di Marzo e di Giugno dell'anno 1666 (10). Molière aveva letto il suo Misantropo a tutta la Corte, prima di farlo rappresentare; ognuno gliene diceva il proprio parere; egli però, di solito, non seguiva che il proprio, poiché egli sarebbe stato sovente costretto a rimaneggiare le sue pièces se avesse dato retta a tutti i suggerimenti che gli erano forniti. D'altronde talvolta succedeva che tali suggerimenti fossero interessati: Molière non affrontava nessun carattere, non introduceva nessun particolare senza averne in proposito le idee molto chiare. E' per questo motivo che non volle togliere dal Misantropo quell'anima lunga che sputava in un pozzo per fare dei cerchi (11) che la defunta Signora gli aveva detto di sopprimere allorché egli ebbe l'onore di leggere a questa Principessa la sua commedia. Ella considerava il passo come un tratto indegno di una sl bella Opera: ma Molière aveva in mente un modello e volle metterlo in scena. Si constata, in virtù di tale circostanza, che il Tartufo fu rappresentato prima del Misantropo e prima del Médecin malgré lui, e che pertanto la data della prima rappresentazione di queste due ultime commedie riportata nelle opere di Molière non è esatta; giacché (8) E' esatto che nell'ottobre e nel novembre 1666, il Misantropo figurò solo in cartellone. (9) Il Misantropo, atto V, scena l, versi 1500-1507. Non si conosce nessun'altra menzione di tale opera. L. A. Menard, Le livre abominable de 1665 qui courait en manuscrit parmi le monde sous le nom de Molière, comédie politique en vers sur le procès de Foucquet. Parigi, 1883, 2 vol. è apocrifo . (10) Sbaglia Grimarest : le date del 4 giugno per la prima rappresentazione del Misantropo e quella del 6 agosto (non marzo) 1666 per quella del Médecin malgré lui date dall'edizione postuma del 1682 sono esatte e confermate dal Registro di La Grange. Ma la « querelle » del Tartufo durava dal 1664. (11) Il Misantropo, atto V, scena ultima. La locandina L'edizione del Misantropo di Molière allestita dal Teatro Stabile di Torino è stata presentata per la prima volta il 27 febbraio 1968 al Teatro Alfieri di Asti, nel quadro del potenziamento dell'attività regionale perseguito dall'Ente; dopo una serie di recite a Genova e a Roma, effettuate nell'ambito dei normali scambi di rappresentazioni con i Teatri Stabili di quelle città, nonché nei maggiori centri piemontesi, lo spettacolo è giunto al Teatro Carignano di Torino il 23 aprile 1968. Ecco la locandina dello spettacolo: MOLIERE IL MISANTROPO Traduzione di Vittorio Sermonti Regia di Roger Mollien assistito da Georgette Benamo Scene e costumi di Miche! Raffaelli Regista collaboratore Enrico d'Amato Alceste, amante di Celimene Glauco Mauri Filinte, amico di Alceste Mario Piave Oronte, amante pure lui di Celimene Gianni Galavotti Celimene, amante di Alceste Adriana Asti Eliante, cugina di Celimene Leda Negroni Arsinoè, amica di Celimene Didi Perego Acasto, marchese Giampiero Fortebraccio Clitandro, marchese Armando Spadaro Basco, domestico di Celimene Franco Grossi Una guardia del Maresciallato di Francia Enrico d'Amato Dubois, domestico di Alceste Enrico d'Amato L Lo spettacolo Il Misantropo , uno dei grandi capolavori, se non addirittura il capolavoro del massimo autore comico francese (rappresentato per la prima volta al Palais Royal di Parigi il 4 giugno 1666), introduce per la prima volta il nome di Molière nei cartelloni dello Stabile di Torino. Per tale motivo è sembrato opportuno al Teatro, per atticurare allo spettacolo il « taglio», per quanto possibile più vicino alla matrice originale del testo e dello spirito che lo informa, sì da fornire al pubblico una lettura, non solo artisticamente e criticamente valida, ma anche ineccepibile dal punto di vista della forma mentis di base, della tecnica di recitazione, ed in genere, dell'impianto sia fisico che intellettuale dello spettacolo, far ricorso ad un regista francese. La scelta è caduta su Roger Mollien, che, in quanto allievo di Jean Vilar, offre la duplice garanzia di scrupolosa fedeltà ideale al testo e di modernità di spirito interpretativo. Mollien ha a sua volta chiamato a collaborare lo scenografo Miche! Raffaelli, un marsigliese di origine corsa, che ha fatto le sue esperienze principali in Germania, considerato, oggi, una delle figure di punta della giovane scenografia europea. Regista collaboratore è Enrico D'Amato e assistente alla regìa Georgette Benamo. Caratteristica principale dello spettacolo è senza dubbio l'atteggiamento non passivamente « reverenziale » assunto di fronte al capolavoro molieriano, e ciò allo scopo di restituirgli, al di là del mito che è venuto a circondarlo nel tempo, la sua freschezza originale e la sua carica contestativa (non dimentichiamo, ad esempio, che i marchesi tanto crudelmente ritratti da Molière, L 78 non solo affollavano la sala, ma, secondo una consuetudine dell'epoca, giungevano a prendere posto su apposite poltrone addirittura in scena). Per far ciò, senza alterare una sola parola del testo e senza aggiungervene neppure una, il regista ha im~ maginato uno spettacolo che inizia come pr~va di ~tton del Misantropo, si compone gradualmente smo a. dlyentare una vera e propria rappresentazione, per pm ntornare prova e così concludersi. Gli interpreti Al centro del Misantropo, rappresentato dal Teatro Stabile nella traduzione di Vittorio Sermonti, si trova un attore che, con questo spettacolo, realizza un sogno coltivato a lungo, cioè Glauco Mauri Questo attore, che nei Dialoghi del Ruzante ha dato una prova della sua forza espressiva e della sua fantasia comico-drammatica nel personaggio di Alceste riversa tutto se stesso con u~a assoluta libertà e talora una geniale incoerenza; quella stessa che c'è nel testo, nella misura. in c~i è espressione di vita; non si deve d'altronde dimentlcare che il « misantropo » è un personaggio autoritratto per Molière e tale deve esserlo anche per ogni suo vero interprete. Accanto a Mauri, un'Adriana Asti di una grazia feroce e raffinata, scattante nel gesto, tagliente nella p~ rola discontinua nei sentimenti, proprio come vuole 1l per;onaggio di Celimene, uno dei grandi ruoli per ur;-a prima attrice; comunque, anch'essa, non un personagg10 rigido, ma con una mescolanza di atteggiamenti contraddittori secondo quel principio di incoerenza al quale abbia~o fatto cenno. Filinte, l'altra metà dell'autoritratto molieriano (se Alceste rappresenta l'aspetto di rigorismo morale, spinto sino all'esasperazione, Fili.nte rappresenta la necessità pratica di venire a p~ttl. con l~ società) è affidato a Mario Piave; Oronte, 1l nvale ~l Alceste e anche il suo contrario, è Gianni Galavottl; 79 mentre la cugina di Celimene, Eliante, è Leda Negroni e l'amica Arsinoè Didi Perego; il coro, costituito dai due marchesi fatui, raffinati e crudeli, è formato da Armando Spadaro e Giampiero Fortebraccio. Il regista Roger Mollien previene dalla scuola di Jean Vilar, avendo debuttato, come attore, nel 1952 al T.N.P. lavorandovi poi ininterrottamente per ben tredici anni ' sino al 1965. Al T.N.P. Mollien ha recitato accanto ad alcuni dei massimi attori francesi, da Gerard Philipe a Maria Casares, partecipando a ben 60 spettacoli tra classici e moderni e dando vita ad un'ampia galleria di personaggi di notevole rilievo: ricordiamo, tra gli altri, Celio nei Capricci di Marianna di Alfred De Musset Ippolito nella Fedra di Racine, Valerio nell'Avaro di Molière, Massimo in Cinna di Corneille, giù giù sino al Serghèi di Platonov di Cechov. Al T.N.P. Mollien ha fatto anche le sue prime prove come regista, allestendo spettacoli come: I rusteghi di ldoni, La Fausse suivante di Marivaux (con Geneviève Page), Nicomede di Corneille (con Laurent Terzieff), Genousie di Obaldia, di cui interpretò anche la parte del protagonista. Fuori dal T.N.P. ha diretto numerosi spettacoli, tra i quali ricorderemo in particolare Leonce e Lena di George Buchner e Don Giovanni di Molière. Per la televisione francese ha curato un'apposita edizione dei già ricordati Rusteghi goldoniani. La qualità dei risultati raggiunti gli ha permesso di figurare lo scorso anno tra i candidati alla direzione del parigino Théàtre de la Ville. Nella Capitale francese, Roger Mollien sta portando a termine la realizzazione di un progetto estremamente impegnativo ed ambizioso: la costituzione del primo teatro francese privato permanente, organizzato con gli stessi criteri e metodi che caratterizzano un teatro sov- 80 venzionato ad azione culturale e popolare. Per tale scopo s1 e circondato di attori come Samy Frey, Delphine Seyrig, Michel Bouquet, Laurent Terzieff e altri. La compagnia agirà in una sala di 1500 posti praticando prezzi popolari. I cartelloni si svilupperanno sulla duplice direttrice del classico e della ricerca. Sul piano estetico Roger Mollien si pone deliberatamente ad un incrocio di tendenze, nell'intento di rinnovare le tradizionali esperienze della cultura teatrale mediante l'acquisizione e l'approfondimento delle linee di ricerca sviluppate negli ultimi decenni dai più significativi uomini del teatro contemporaneo, da Brecht a Grotowsky, alle giovanissime compagnie sperimentali. Con la collaborazione di Georgette Benamo, Roger Mollien ha sottoposto gli attori del Misantropo ad esercizi preparatori di decontrazione, in modo da metterli, secondo una collaudata e tipica tradizione del teatro francese, in condizioni di sentirsi perfettamente a loro agio sul palcoscenico. L'attore, secondo Mollien, non deve mai recitare contratto, ma padroneggiare perfettamente il proprio corpo ed impostare il movimento su « cerniere » (gomiti, ginocchia, ecc.) perfettamente sciolti e scattanti. Questi esercizi hanno suscitato un vivo interesse negli attori, alcuni dei quali come i risultati provano, hanno scoperto in se stessi nuove e insospettate dimensioni. Il Teatro Stabile di Torino ritiene utile offrire periodicamente a se stesso e alla propria compagnia l'occasione di venire a contatto con metodi di lavoro di registi stranieri, per arricchire le esperienze attraverso il confronto e l'esercitazione diversa da quella solitamente praticata da noi. Lo scenografo Michel Raffai'%, di famiglia corsa, come indica chiaramente il nome, è nato a Marsiglia meno di 40 anni fa. A Marsiglia si è formato ed ha fatto le sue prime -81 prove sia come pittore che come musicista: due interessi che conserva ancor oggi e che coltiva assiduamente accanto all'attività di scenografo. Al teatro si è accostato una dozzina di anni fa sempre nella . città natale, su invito del regista Fo~taine, al quale s1 deve, tra l'altro, negli anni scorsi il festival teat.ral~ di .Cassis,_ in un quadro di Calanqu~s, di mare e .d1 _c1elo,_ mdubb1am_ente tra i più suggestivi d'Europa. ~1ec1 anm .fa, partec1pando come scenografo al festival ~ Sarlat (s1 rappresentava la Commedia-balletto di Mohere Georges Dandin) il contributo di Raffaelli allo spettac~lo_ destò l'interesse di uno dei maggiori critici ted~sch1, 11 quale, con un suo articolo di incondizionate lodi, su~cit~ l'attenzione dei teatranti tedeschi, che invitarono 11 g~?v_ane artista a lavorare nel loro paese. Da a~l?ra. Raffaelh ~a svolto la maggior parte della sua attivlta ~n Ge~mama, debuttandovi, come adesso gli succede m Itaha, proprio c~n un Molière; in seguito, però, soprattutto nel teatro di Darmstadt, uno dei teatri di punta dell'avanguardia tedesca, si dedicò principalmente a~ nuovo teatro; ad esempio Raffaelli è lo scenografo d1 tutto il primo Ionesco in edizione tedesca. Oltre all_a scenografìa destinata al teatro di prosa, ha sempre svlluppato un'attività nei settori della lirica e del balletto. In Francia ha collaborato con Planchon (Patte B!anche, 1965), con Guy Retoré, Lavelli (assieme al quale l'e~tate .scorsa presentò, tra l'altro, al festival di Avignone 11. T rzonfo della sensibilità di Goethe) ed altri registi d1 punta. Nel febbraio scorso, in occasione della inaugurazlOne della Casa della cultura di Grenoble, avvenuta nel quadro dei giuochi olimpici, con una sua scena è stata rappresentata la novità di Michel Butor 6.810.000 litri d'acqua al secondo. Non appena avrà terminato il lavoro per il Teatro Stabile di Torino si dedicherà all'edizione del Drago di Schwartz, alles[ito dalla compagnia del Teatro di St. Etienne. Raffaelli, che crede nel teatro di agitazione politica 82 da un lato e nel teatro di ricerca dall'altro, convinto che queste due forme drammatiche spesso coincidano, è particolarmente interessato alla ricerca di nuovi materiali scenici e la sua concezione della scena è eminentemente dinamica; egli cioè non concepisce una sce~a immobile, definita una volta per tutte, ma, al contrariO persegue una scena che si tras~orma col pr~xeder~ dell'azione, di cui sia parte. (In v1ta sua, quas1 per gmoco e per scommessa, ha realizzato un'unica scenografìa totalmente realistica; si trattava di una Carmen e, ndendo rumorosamente da buon marsigliese, oggi dice: «Era talmente vera era talmente Siviglia, che, benché fuori del Teatro fo~se inverno, io lavorando sul palcoscenico, mi sono abbronzato e ho preso un colpo di sole » ). Raffaelli, a Parigi, con un gruppo di amici, musicisti, scenografi, attori, pittori, scultori, ecc. (comunque per adesso nessun regista) ha dato vita ad un « gr':ppo di ricerche sceniche contemporanee », allo scopo d1 approfondire un tema che egli giudica essenzizale : quale posto e quale funzione ha e può avere il teatro nella società contemporanea? E' interessante rilevare che tutti gli elementi che compongono la scena del Misantropo, o quanto meno quelle parti di scena che esistono, stante l'impostazione registica dello spettacolo, sono riproduzioni. di. autentici elementi del Seicento. Provengono tuttl (sl tratta di fotografie ingrandite o parti dipinte) da un palazzo parigino, esattamente l'Hotel de Lauzun, costruito nel 1657 per un finanziere che fu incarcerato prima di poter prendere possesso della superba magione. Nel palazzo abitò per tre anni il duca di La':zun: del quaJe conserva il nome. Nel secolo scorso v1 abitarono, 111 appartamenti, Baudelaire e Théophile Gautier. Oggi l'edificio è di proprietà della Città di Parigi che lo usa come sede di ricevimenti. Gli elementi autentici sono stati composti, secondo il suo metodo creativo, da Raffaelli, con il criterio del collage e inseriti in elementi portanti di puro valore grafico. Nota del traduttore* Es widerstrebt mir, dene, die es nicht schon wissen, zu sagen, dass iibersetzen, wirkliche iibersetzen, dasselbe ist wie schreiben. Denn ich furchte, sie wurden auch nicht verstehen, was schreiben ist. Hofmannsthal. Questa traduzione assolve un impegno editoriale. Ma è fatta per la scena. A scanso di equivoci : è fatta nell'unico modo in cui fossi capace di farla e disposto a farla. Cioè, non mendico scuse per la sua infedeltà. Non mi ha mai incantato, per altro, il famosissimo aforisma che, associando le traduzioni alle donne, le pretende o brutte e fedeli o belle e infedeli. Opino si tratti di una povera tautologia. Ho tradotto Le Misanthrope con applicazione e con ardore; anche con timidezza. Non con deferenza. Non mi parve intoccabile. In tal caso, non lo avrei toccato. Nella manipolazione linguistica, ammetto di aver sconfinato in più punti dai limiti che una onesta consuetudine fermamente prescrive. Resta il fatto, che ogni traduzione comporta arbitrio (non lo tollera, lo esige): come la lettura che la precede e la orienta via via; come ogni rapporto con un testo letterario, e come la ("' ) Vittorio Sermonti, al quale si deve la bella traduzione del Misantropo, recitata dal Teatro Stabile, ha scritto queste note in vista della imminente pubblicazione, da parte dell'Editore Einaudi, di un volumetto della Collezione di Teatro dedicato alla commedia molieriana. Il Teatro Stabile ringrazia il traduttore e l'editore per l'autorizzazione a riprodurre questo breve, ma vivacissimo testo. 85 84 pm modesta pretesa di capire quello che un altro essere umano ci sta dicendo, di decifrare un sorriso. Parafrasando una magistrale agudeza di Borges, asserirei: anche se la lettura del M. mi avesse indotto, in capo a tortuosi dellri, a trascrivere in francese il M., il mio M. non sarebbe stato identico a quello di Molière. Il problema del tradurre, anzi il lavoro del tradurre è, come quello del copiare, lavoro amoroso. Non persegue l'unio mystica col testo, ma nemmeno il più dimesso e generico obbiettivo di somigliargli. Testimonia di un rapporto, ne registra meticolosamente l'intensità e la complessità: con ciò mette in rilievo - non, maschera - l'alterità sua rispetto all'originale, che è poi la condizione minima del rapporto. All'amante che, in estasi fruitoria, proclama la suprema istanza di far tutt'uno con la amata, è lecito contestare l'iperbole: l'identificazione, infatti, sopprimerebbe la fruizione, abrogherebbe la stessa smania di identificarsi. Di questo sono pacificamente persuaso. In p1u, avverto con rabbia, sotto la soave metafora della traduzione fedele, la grettezza terminologica del diritto matrimoniale. Fedeltà che si presta a una casistica molto fiscale, esibisce austere gerarchie, e riposa sullo scetticismo più melenso ... Esempio: atteso che la lettera non è riproducibile, ci si applichi, per lo meno, allo spirito dell'originale. So bene, ad esempio, che una traduzione fedele del M. la si pretenderebbe, per lo meno, in prosa. Come possibile, con l'onere supplementare del certus pes, rendere una ragionevole aliquota delle sottigliezze, seicenterie e francesità del testo di Molière? « Perché ballare sul filo e fare per giunta una riverenza ogni quattro passi? ». Io, appunto, ho tradotto il M. in versi e con le rime (una riverenza, per l'esattezza, ogni quattordici passi). Mi è parso il modo migliore per rendere partitamente ragione di quello che leggevo, leggendo e rileggendo il M. Per un doveroso atto di omaggio al buonsenso, vorrei appena soggiungere che tradurre in prosa un'opera in versi non mi pare meno stravagante che tradurre in versi (il Sette e l'Ottocento ce ne forniscono, d'altronde, molti e non infami esempi) un'opera in prosa. Dico stravagante e non dico colpevole. Non tradurre affatto un'opera in versi, perché i versi non si san fare, o ci si vergogna di farli, mi pare viceversa normalissimo. Naturalmente, i miei versi non sono alessandrini, così come la lingua che ho adottato è l'italiano, appunto, e non il francese. D'altronde, pretendere di produrre un alessandrino italiano, vale quanto prentender di fare un verso blù. Pretesa anche simpatica, ma incongrua al materiale disponibile. Sono spesso martelliani, per inerzia; talora non sono che biscie tipografiche. Volevo che risultassero versi nella voce degli attori; non m'importava che lo fossero già sulla pagina. In tal senso dicevo che questa traduzione è fatta per la scena. (Contesto che il linguaggio teatrale debba essere, prescrittivamente, « parlato », « parlato medio colto », e via sociologizzando. Mi pare assodato che debba essere « vocale »). Una commedia stampata, per quanto nobile sia e classica si sia ridotta ad essere, è anche la registrazione delle battute di uno spettacolo. La virtualità di innumerevoli altri spettacoli. La traduzione di una commedia è anche la proposta di uno spettacolo in più. Ringrazio davvero attori e direzione artistica dello Stabile di Torino, il de Bosio, il Morteo e il Glauco Mauri soprattutto, per aver accusato a prima lettura il carattere tecnicamente ingiuntivo di questa proposta, e per avermi offerto di buon grado la loro connivenza paziente; l'editore Einaudi, perché pubblica questo copione. V. S. Praga, gennaio 1968. ADELONDA DI FRIGIA Il Teatro Stabile di Torino presenta, a cura di Gualtiero Rizzi, il 6-7-8 maggio 1968: Adelonda di Frigia, tragicommedia di Federico Della V alle; musiche di Pietro V eccoli (trascrizione Roberto Goitre); interpreti: Rita Martina, Carla Boglietti, Nella Verri, Armando Sorbara, Giuliano Ferrein,· al clavicembalo il Mo Roberto Goitre. Adelonda di Frigia Dedica della prima edizione a stampa della « Adelonda di Frigia » A Carlo Emanuele I di Savoia: « Serenissimo Signore, l'« Adelonda di Frigia », che rappresentata agli occhi della Serenissima Infanta, che sia in Cielo, ebbe fortuna di piacerle, si presenta oggidì stampata al real cospetto di Vostr' Altezza Serenissima, sperando di essere da lei gradita come ebbe ventura di piacere a chi ebbe tanta uniformità e di pensieri e di volontà con l'Alt. Vostra: tanto più che trattandosi e d'azioni e di persone eroiche, non può né deve uscire che sotto i felicissimi auspici del glorioso e sempre invitto nome di V. A. vera e unica idea dell'Eroe Cristiano. A ciò s'aggiunge, che sendo il poema frutto de l'intelletto di Federico della Valle, che le nacque suddito, non può il frutto, qual egli si sia, esser d'altri che del vero padrone del suolo. Io come nipote ed erede dell'autore, per sodisfar in qualche parte a l'obligo proprio ed ereditario, altro non restandomi ne l'eredità che il Poema: in segno degli oblighi infiniti che il Zio defonto e io teniamo a la real grandezza di quella, non potendo del proprio, procuro di sodisfare con quel d'altri; anzi con la restituzione di quell'istesso che già fu di V. A. anni sono. Resti servita di accettare questo testimonio de l'umile e divota volontà mia come ne la supplico, poiché neanche il gran Padre Oceano isdegna picciolo tributo de' ruscelli, ancorché la grandezza de' fiumi l'arrichisca d'una continua immensità d'acque. Mentre umilissimo a V. A. m'inchino, e prego dal Signore quegli anni stessi di felicità che sono giustamente dovuti al suo real valore. Torino a 13 Genaro 1629. D. V. A. Serenissima fìdelissimo suddito, ed umilissimo servitore FEDERICO PARONA». 90 Argomento Adelonda figlia del re di Frigia promessa in moglie a Mirmirano Prencipe di Ponto, mentre con real seguito se ne va a marito, è trasportata da borrascosi venti a l'Isola de le Amazoni, ove fatta prigioniera, constituita sacerdotessa del tempio, e ministra di quell'Idolo, a qual per antica legge si sacrificavano come vittime tutti gli uomini forastieri, che a l'Isola capitavano. Mirmirano dopo l'aver aspettato per qualche tempo, avuta nuova de la borrasca di Adelonda sua, si risolse con Almaro suo compagno di rimettersi a le onde, e di andarla a cercare: così dopo lunga e perigliosa navigazione, combattuto da contrari venti, è trasportato anch'egli a l'istessa isola: ove fatto prigioniero e destinato al sacrificio, è consignato ad Adelonda come sacerdotessa, la qual mentre s'apparecchia a fare il sacrificio lo riconosce, e tra loro consigliano come fuggire e salvarsi; ritrovano ingegnosamente lo scampo, e se ne fuggono. Procura la reina irata che si doni loro appresso, e si ritengano. Parla l'Idolo, e comanda che si lascino andar per loro viaggio, anzi che per l'avenire non se li facciano più sacrifici d'uomini, ma che si debbano amare come natura insegna. La «prima» del 1595 Non s'era trovato finora nessun documento su questa rappresentazione. Su di essa non si potevano che fare congetture, sulla base delle poche notizie allegate al manoscritto del Veccoli o alla dedica del Parona. Ora la lacuna è colmata dal seguente documento che il Prof. Federico Doglio, Docente di Storia del T:atro presso l'Università di Roma, ha scoperto alla Vatzcana (Urb. Lat. 1113 ff. 590-93, «Annunzi Relazioni e Scr~t ture Diverse Politiche et !storiche del sec. XVI »), rzcchissimo di minute descrizioni e che viene qui pubblicato per la prima volta. « Tra li molti vaghi e diversi spettacoli quali affine d'onorare il Car( dina )le Ser( enissi )mo d'Austria furono in questa città con incredibile magnificenza preparati la rapresentatione della tragico media intitolata l'Adelonda di Frigia novello parto del giudiciosissimo _sig. ~e: derico della Valle parve (oché) pur fussero gh amm1 incapaci di cose maggiori, che in sua lode, et haesse l'universal consenso di tutti. Percioché se bene nell'altre cose, et grandezza, et eccellenza e maestà appariva; tuttavia in questa, per farla stupenda si compiacque più abbondantemente di spiegare l'Alt.(zza) del Ser.mo nro (nostro) Prencipe l'animo e la fortuna regale. Io la vidi et ne stupii; et insieme ne (capii) mirabil contento. Perché stimo cosa giusta che Vs.R.mo la quale nelle cose mie ha sempre sentito amica alteratione; lora per me intenda, onde più mi sono compiaciuto; cose cred'io, che con la tragicomedia, non si daranno alla stampa: parlo dell'Apparato della scena, et de g~ Intermedij, che vi si fecero et in vero non è opera di debole soggetto ed io sono (prettendere) di descrivere le ceri- 92 li 'l 93 monie, et reali accoglienze, lì superbi apparati lì sontuosi reciproci conviti, con le varie e dilettevoÌi caccie non la bell.ma Giostra, non pur Marziale e fiera m~ ricca,. e va~a d'ingegnosa inventione, non i regij t;attamentl quah con Cesarea liberalità, e graviss .me spese hanno per lo spatio d'undeci giorni, quest'A.R. Ser.ma fatte per honorare et accarezzare il sud. ser .mo Cardinal lor? Cug.no. Sabbato dunque, per comminciare, che (fu' attl - l del punto) alle quatr'hore di notte fu essa maravigliosamente recitata dalle Principaliss.me' Dame di Palazzo nella gran sala terrena riguardevole, com'ella sa per i ~olti fregi d'oro, et per la finiss.ma dipintur~ alla cu1 bellezza et grandezza corrispondendo l'apparato della scena di cui ne fu insieme; et Architetto et inventore S. A. Ser.mo nostro Prencipe naturale riempì d'invidiata sodisfatt.ne et gli occhi, et gli animi de' risguardanti. forma i quali secondavano i fluttuanti leni, diresti, che attendevano il loro sommergimento per acquistarne la preda. Scoprivasi anche il molo, era egli di questa sorte avanzavasi in forma di mezza luna nel mare, non però in guisa piegandosi che da ogni vento assicurasse i commessi vascelli, perciocché niuna resistenza vi trovava il sirocco. Tale era la prospettiva superiore, a cui congiungendosi quella del sinistro lato, formava un Angulo rettilineo, che faceva un altro porto, il quale reffuggio a naviganti, ma non sicurezza mostrava di promettere. Hora tutto questo lato rappresentava grande et populatissima Città, la qual cinta d'ogni intorno da muraglia altissima, era sufficientemente assicurata et da torrioni e da bastioni opportunamente posti, con assai proportionata distanza, la cui porta, che grandissima appariva, sopra il suo stesso arco sosteneva un altro e ben fabbricato castello, tutto di bianchi marmi, in forma di quadrato, diamante lavorati. Ne già vi mancava il largo e profondo fosso o in luoghi convenevoli le rinforzate guardie o le vigilanti sentinelle, scorgevasi ancora, sopravanzanti i tetti delle case alcune sommità de Templi o le piramidali cime de campanili risplendenti d'oro e d'argento, i quali costringevano altrui a credere maraviglie del rimanente, che no' si vedeva. Dall'altra parte al dirimpetto frondeggiava un odorifero boschetto di versi allori, di suavi mirti e di giovani haranci, i quali insieme coi fiori havevano anche i frutti altri però verdeggianti et accerbi, altri dorati e maturi: Tra i cui ombrosi rami, vezzosi angeletti saltellando, cantavano amorose canzoni et con diletto grandissimo, erano risguardate le timidi lepri, et i paurosi conigli, i quali at ogni scossa di fronde, apena visti si rinselvavano. Ma confinante a lui alto sorgeva un superbis· simo tempio al quale insiememente facevano sostegno et ornamento molte colonne d'oro, con Dorico ordine compartite, da quali le basse et i capitelli eran anche d'oro, parimente era il frontespicio, le cornici, gl'Archi- Perciocché nient al decoro mancando nulla lasciava all'invidia di poter riprendere od a sublimi intelletti di più ?ltre desiderare et io per me, com'alhora ne rimasi stup1to, così hora temo di rimaner inhabile di raccontarla, ell~ così richiedeva al bisogno, occupando con uguale distanza da 15 passi per largo e per longo, rapresentava nella parte di mezzo della Prospettiva un ceruleo Mare il quale ne in tutto naturale ne in tutto artificiato dir si poteva perciocché l'acqua, ' era veram.te naturale et non finta ma però acresciuta dall'arte con la dipintura et le navi di mezzo rilievo erano stimate muoversi anch'elle col moto del Mare, sovra il cui dorso con altri molti picioli leni, elle dimoravano. Ne vi mancavano i venti, i quali umbreggiati da maestra mano in torbido cielo, sembrava, che sdegnati sfidassero l'onde e commovessero il mare, nondimeno i leni maggiori mostr~vano di far resistenza all'onde, se bene per lo propno peso profundavano nel mare fino al terzo chierchio. Gli altri minori accomodavansi all'instabilità dell'onde, c'hor alto, c'hor basso li trhaevano. Haveva il dipintore fatoli alcuni pessi all'intorno di mostruosa f l 95 94 come cosa data dal cielo. Fu longo il Balletto, et no ' lo parve perché accresciuto sempre di nuove mutanze si faceva ad ogni momento vedere, et più vario, e più dilettevole, pareva che ad ogn'uno rincrescesse perché col termine suo non fusse anco terminata la festa, quasi in tutto diffidati, cosa non solo più bella non poter trovarsi ma nepur eguale, talché di mala voglia si disponevano ad udirne il rimanente. Fu l'ultimo intermedio l'offerta de' salvaggi doni che buon numero di Satiri appresentarono al tempio. Questi dopo il duplicato giro, sempre accordando il canto a pastorali e rustici instrumenti di suono, di voce e forma differenti, ma però tutti insieme musicalmente concordi et rappresentanti al naturale la vera figura del satiro porsero a chi ben mirolli indicibil piacere, et ecco che succintamente quanto la brevità del tempo richiede, mercé del Cardinale che tantosto ha da partire, ho procurato di dar parte a V.S.R.ma delle cose con molto mio contento vedute, se non quanto altra miglior penna havrebbe saputo descrivere, almeno quanto per la mia rosa e rintuzzata, è stato in poco d'bora possibile di fare, il che da sezzo conoscendo, ho fuggito d'entrar con isduscito legno nel vasto pelago delle lodi, delle vaghe recitanti, i casi di loro tacendo, la giuditiosa, ricca, vaga, e strana bellezza de gli habiti, la gravità ne movimenti, l'ordine nel parlar, la sonorità nella voce, la gratia ne i gesti, la mirabil epressione degl'affetti nella causa altrui, l'opportuna commiseratione, il decoro nel riso e nel pianto; gli atti leggiadri e gentili et finalmente null'altre doti eccellenti, ch'io apena col pensier posso comprendere : lascio altrui largo campo di darne et a gl'altri, a' V.S.R.ma compitiss .ma raguaglio a cui se no' è incresciuta la longa dicieria diane seguir facendone applauso et volendomi bene, che io le bacio le mani. travi, i cordoni et il pinaculo della cupola et i fregi et i festoni industriosamente intagliati così tutte che si come al tempio reccavano maestà e grandezza, così inducevano negli animi de spettatori e stupore e riverenza, quinci al paro vedevasi una belissima fontana scaturente da candide e rotonde mamelle di marmorea ninfa; le cui acque havendole in prima come per tributo, fatto intorno un piciolo e delicioso lago, libere poi per lo fiorito prato se ne givano, in guisa di pargoletto ruscello vezzosamente mormorando. Tale si vide esser l'apparato della scena. Ma per lo primo de gl'intermedi, a poco a poco vid'io uscir dal mare ignude fino all'ombilico tre belissime sirene che detto havresti ch'ancora gocciolavano s(t)ille d'acqua marina, queste toccando maestrevolmente l'harpa, la cettra el liuto cominciarono il più sonoro et armonico canto, ch'io mi h'abbia udito giamai. Ne per ch'egli durasse buono spacio di tempo, fu però alcuno cui rincrescesse condona, che se aveniva che l'udito chiedesse riposo succedeva immediatamente l'occhio qual non contento di mirar mille volte con mirabil artificio, l'humana forma inestata in quella del pesce et appagandosi nella belezza dei volti e del rimanente del corpo giudicava al fermo che non fintioni ma più tosto fussero vere sirene venute per vaghezza ad onorare questi gran prencipi, infin dal lito Partenopeo. Per il secondo intermedio comparvero con la scorta di quatto semidei stupendamente adorni et che mirabilmente suonavan altritanti leuti, la Ser.ma Principessa con i tre Prencipi maggiori et due altri pargoletti, gl'habiti loro erano ricchi, vaghi, bizzarri et uniformi, quelli si fermarono suonando et questi così leggiadramente e dispostamente danzarono un intricatissimo Balletto pieno di treccie, di nodi, di saltetti, di continenze e di ravolgimenti difficili che dubio alcuno non c'è, che non solo gli occhi altrui a fissamente riguardarli, et a pianger per dolcezza non costringessero, ma gli animi d'amirabili, et le lingue a lodando riconoscerli Da Turino lì 27 di novembre 1595. _l Le musiche di Pietro Veccoli Sono scarsissime le notizie biografiche riguardanti Pietro Veccoli (o Vecoli), « musico di camera » di Carlo Emanuele I duca di Savoia. Di origine lucchese, deve essere giunto a Torino intorno al 1581, anno in cui vi pubblicò un libro di Madrigali; secondo il Vogel, a Torino pubblicò un'altra raccolta di composizioni, andata perduta. La Biblioteca Nazionale di Torino ha invece conservato un codice cartaceo, dedicato alla serenissima Infanta Donna Caterina d'Austria, duchessa di Savoia, contenente « I Concerti fatti in Corte dal Serenissimo Carlo Emanuele I Duca di Savoia nella rappresentazione composta dal Signor Federico della Valle recitata dalle Dame con il balletto dei serenissimi Prencipi nella venuta del serenissimo Cardinare d'Austria». Nel 1597 ebbe una regalia per contrarre matrimonio, ma dopo il 1600 la sua presenza a corte non è più documentata, e si pensa ad un suo trasferimento a Parigi. L'Intermezzo, breve forma di spettacolo musicale inserita fra gli atti di una più ampia e importante forma teatrale, ricevette lungo il secolo XVI la più autorevole qualificazione a progenitore del melodramma; specie con la fama grandissima che si ottennero gli Intermezzi per L'Amico Fido, composti nel 1589, per le nozze di Ferdinando di Toscana con Cristina di Lorena, da Marenzio, Cavalieri, Malvezzi, Bardi, Peri e Caccini; cioè, in buona misura, dagli stessi uomini che fra pochi anni firmeranno l'atto di nascita ufficiale dell'opera in musica: la Dafne di Rinuccini e Peri, rappresentata nel 1597 a Firenze in casa Corsi. Ma il termine Intermezzo solo convenzionalmente può essere usato per i « Concerti » di Veccoli; infatti, mentre gli jl 98 Intermezzi non hanno di solito relazione né con il dramma cui servono, né fra di loro, ayendo ciascuno un proprio carattere definito, i « Concerti » di Veccoli sono vere e proprie musiche di scena per la Tragicommedia di Della Valle, della quale interpretano con viva aderenza le situazioni drammatiche, e nella quale ad un certo punto (il coro di tre dame che piangono con Adelonda) finiscono con l'inserirsi, dialogando con i personaggi del dramma e contribuendo al procedere dell'azione. E' qui chiara l'importanza che i « Concerti » rivestono nella prospettiva della storia dell'opera, presentandosi come testimonianza di quel momento di estremo interesse in cui il nuovo genere nasce quasi inavvertito, coesistendo con vecchie forme sotto il premere di un gusto nuovo. Non diversamente, nel secolo XIII alcuni « Tropi » (in un certo senso gli «Intermezzi» del canto gregoriano), si ampliano nel dramma liturgico, rinunciando a una pura funzione di commento per divenire un efficace connettivo dell'azione. Ma il piacere di fare conoscenza con questo nuovo contributo alla storia dell'opera in musica, passa in secondo ordine di fronte alla validità, in più punti alla reale bellezza delle musiche di scena di Veccoli. L'arte polifonica vocale, negli anni dei « Concerti » di V eccoli (1596), è al tramonto; ma mai tramonto fu più splendente e glorioso. Infatti, lo stesso anno della Dafne (1597) vede apparire l'Amfiparnaso di Orazio Vecchi e le Sacrae Symphoniae di Giovanni Gabrieli; solo pochi anni prima Monteverdi ha fatto conoscere il suo terzo libro dei Madrigali (1592), mentre nello stesso 1596 Gesualdo pubblica il quarto libro dei suoi Madrigali e nel 1598 Marenzio il suo libro ottavo. Su questo sfondo imponente va vista l'operetta di Veccoli, la cui polifonia a 3 voci si bilancia fra i due poli del Madrigale e del Balletto, con una più spiccata inclinazione al primo genere. Ed è soprattutto al Madrigale di Marenzio che Veccoli sembra guardare, cioè all'ala conservatrice della -99 tradizione polifonica; non troviamo in lui le crudezze e audacie armoniche di Gesualdo né quelle già abbondantemente presenti nei primi libri di Madrigali di Monteverdi. L'impronta di Marenzio è evidente nel primo « Concerto di tre Sirene », nella marmorea levigatezza delle frasi espressive (« Dura legge ~spra terra.»), alle quasi risponde un ritornello (« fugg1am fugg1am quell'onde») svolto ~~n la cons~eta? ~a abile tecnica imitativa della tradizwne madr1galist1ca. Il secondo « Concerto delle Sirene » (« Cangiasi voglia e sorte ») introduce il ritmo vivace di un balletto; ma l'andamento accordale, come nei celebri balletti di Gastoldi, è contrastato da una resistente scrittura polifonica. Il « Concerto di tre Harpie » riporta il tipo del madrigale espressivo; come nel seguente « Choro di tre Dame nell'essequie », Veccoli si sofferma sull'esclamazione «Ahi» , quasi ipostatizzandola in un delicato arabesco, e tratta con grande gusto gli incontri consonantici de~ ~esto (« cruda crudeltade incrudelir » ). I due « Concertl d1 tre pastori » riportano le movenze del balletto, con prevalenza di andamenti isoritmici; e così pure « l'Entrata del balletto dei Serenissimi Principi e Principesse con sei leuti », dove il gusto ritmico fa pensare alla grazia raffinata di Guillaume Costeley più che al balletto gastoldiano. La tradizione madrigalistica si riaffaccia nell'ultimo « Concerto di tre Ninfe », seppure in misura minore dei casi precedenti; finalmente con un chiaro riferimento a Gastoldi si chiude il lavoro, nel trionfante « Balletto dei Serenissimi Principi e Principesse ». GIORGIO PESTELLI L Note su «gli intermezzi» per I'Adelonda di Frigia l l i l' l l l A Torino si conservano due manoscritti degli « Intermezzi» dell'« Adelonda »: uno, segnato 287, alla Biblioteca Reale; l'altro, nella Riserva musicale II, 8, alla Nazionale. Il primo, che contiene strofe in parte riprese dal codice della Nazionale, anche se si ha ragione di credere non sia servito ad alcuna rappresentazione (per lo meno nella forma in cui ci viene tramandata), è con le sue numerose didascalie un chiarissimo esempio dello schema allora abituale agli Intermezzi. Erano questi ormai diventati, nel teatro barocco di Corte, quasi spettacoli autonomi, a se stanti; alla tragedia, commedia, pastorale con cui venivano rappresentati li legava solo più un pretesto: in questo caso, l'amore. Sacrifici offerti perché Amore ritorni; invocazioni di pastori, eroi, semidei; Sirene sdegnate che la crudeltà di cui esse sono accusate sia più radicata in cuore di donna in cui dovrebbe invece regnare gentilezza; e, alla fine, allegrezza giacché ritorna « pietade e amor » nelle selve già « colme di crudeltade ». Il legame con « Adelonda » è tutto qui: nell'accenno al luogo dell'azione, le « crude sponde » abitate dalle Amazzoni che, bandito Amore, sacrificano tutti i maschi che vi approdano. Se si esamina la sequenza dell'azione di questa prima redazione degli Intermezzi - a cui non è improbabile avesse suggerito l'argomento lo stesso Carlo Emanuele I (e la scena delle offerte a P an sembrerebbe addirittura sua) - avremo ricostruito un genere di rappresentazione ormai tanto degenerata da far lamentare al Lasca 102 ( « La strega », 1565): « Già si soleva fare gli intermedij che servissero alla commmedia: ma ora si fan le commedie che servon a gli intermedij ». Gli Intermezzi raccolti nel manoscritto della Reale sono: l) « Orfeo esce, e mira tosi intorno elegge un albero, al pie' del quale postosi a giacere canta: Fugga dal nostro cuor doglia e paura, Poi ch'Amor n'assicura» (l). Invita ninfe e pastori ad uscire « Dai folti boschi ombrosi » poiché « ... par che gioia spiri » da che Amor « L'aura .. . toccò con l'auree penne ». 2) « Qui entrano i liuti, che chiuderanno in mezzo le ninfe e i pastori ch'hanno da fare il balletto ; e verranno cantando: Cantiam, danziam, ch'Amore Già n'assicura il core. E con questo canto fermatisi a fronte degli spettatori cominceranno senza altro il suono del balletto ». 3) Ninfe e pastori eseguono il balletto, al suono dei liuti. 4) Un'altra serie di « entrate »: «Uscirà un satiro con una pelle di pardo o di tigre che gli copra spalle e ventre, aperta dai lati, con ghirlanda di pino in testa, e una verga ritorta in mano .. . (2) dicendo con voce di canto Seguite i passi miei, Silvestri Semidei ». Seguono, a due a due, altri sei satiri « con stromenti da fiato » alternati a sei « con cesti inghirlandati, i quali saranno portati da loro con le mani alzate sopra 103 la testa » che formeranno il coro il quale risponderà « o con la musica o con le voci sole E tu, gran Dio veloce, (3) Senti la nostra voce». L'invocazione che venga cacciata « la crudeltade / E torni a queste selve il dolce canto » si svolge in alternanza di assolo e coro e « Cosi dicendo, a passo lento, giungeranno ad una quercia che sarà ne la scena, a la quale sarà appesa la fistola di Pan, e al piede un tronco cinto di erbe a guisa d'altare (4 ), e giunti quivi » offriranno per impetrare la protezione del dio i doni recati che sono sei: una lepre, una ghirlanda di foglie di canna, pomi, fragole, una fiscella (5) di latte, castagne (6). « Finite le preghiere di tutti, uscirà una voce da la quercia che dirà queste parole : Accetta i doni e i preghi Il gran Dio delle selve, Né vuoi che 'l voler vostro a voi si nieghi. Gite or cantando voi, Rallegrisi ogni core, Poi che crudeltà fugge e vince Amore! Il coro dei satiri replicherà subito Rallegrisi ogni core, Poi che crudeltà fugge e vince Amore. Il medesimo replicherà la musica di dentro (7), e con il canto torneranno nella selva ». 5) Questo episodio probabilmente andava collocato prima (ma la sequenza non è qui rispettata, come, d'altra parte, appare poco logica anche nell'edizione definitiva della Nazionale): « Escono tre sirene, delle quali una tace; l'altre due cantano insieme » versi di questo tenore : «Crude siam dette noi; Dicono ch'al nostro canto Segue poi morte o pianto » ( 8) 104 105 ma più colpevole è « ... donna che discopra Nel bel volto pietade E poscia il ferro adopra » contro « a chi elesse natura » esser « compagno, anzi consorte ». « Detti questi versi taceranno le due, e comincerà la terza sola » invitando a cambiar « voglia e sorte » e a restar poi « .. .. .. ch'Amore Farà ai belli occhi somigliante il core » « Udito egli ha i lamenti E le lunghe querele Del Cielo e delle genti, Ch'accusano il costume aspro e crudele». Termina la scena replicando « tutte insieme » « Cangiasi voglia e sorte; Restiam restiam, ch'Amore Farà ai belli occhi somigliante il core. E dicendo questo s'ascenderanno e s'attufferanno nel mare » (9). viene nel seguito di Antiope la loro regina, ma non ha vera struttura di coro secondo il canone classico; non così il secondo, il quale ha addirittura una « entrata >~ classica: le damigelle appaiono a passo cadenzato, quasi in danza, recando fiori e fronde per la cerimonia funebre e cantando « a voci solo senza stromenti » (atto III, scena 1). Il Della Valle in questi suoi Intermezzi se pure concede al gusto del tempo interventi estranei, addirittura « balletti dei Ser.mi Prencipi e Prencipesse », non vuole che l'attenzione sia troppo stornata dalla sua tragicommedia. L'opera ha indubbiamente dei cambi di luoghi scenici : il secondo e il quinto atto, infatti, dovrebbero svolgersi in luogo diverso da primo, terzo e quarto; là una spiaggia (a cui Mirmirano e Almaro sono appe?a approdati e su cui possiam.o poi i~magin~re i fuggiaschi); qui uno spiazzo antistante Il tempiO. Per consentire questi cambi gli Intermezzi hanno una loro ragione d'essere, come vedremo. Confrontando questa redazione degli Intermezzi con quella « definitiva », quindi « ese~ui!a » dall~ ~~z1onal~ notiamo che in questa, con un richiamo ali ortgme, gh « intermedij », inseriti logicamente nella struttur~ p~e tica del dramma, servivano effettivamente a « gmsttfìcare il passaggio delle ore tra un'azione e l'~tra e i~ maturare degli eventi » a « interrompere la fatica degli attori», ad allentare« l'attenzione dello spettatore» (10). E in più, il Della Valle dimostra di no? trasc~rar~ le regole già enunciate da Giovan Battista ~1rald1 Cinthio ( 11) secondo cui gli lntern;ezzi avevano 1~ compito di tenere il luogo dei con della tragedia antica ( 12). Nell'« Adelonda » esistono due cori: uno di Amazzoni e uno di damigelle di Adelonda. Il primo inter- ecco, Ser.ma Sig.ra, che con quella umiltà che devo in segno che a V.A. son fedele e devoto servidore, con un picciol dono me le appresento avanti. V a già per le mani degli uomini scritta con dorata penna la tragedia che nel felice arrivo del Sereni~si~o Signor c.ardinale Arciduca di Austria compose il Stgnor Fedenco della Valle (13) la qual non tanto di ornamento e di bellezza dal suo eccellente compositor ricevette, quanto di onore e di fama dai Serenissimi Principi e da le nobilissime Dame che tanto gentilmente e con sì vaghe maniere in quell~ entrorono (14). E perché molti ~ diversi concerti di musica in essa si sentirono, cantati da quasi angeliche voci (15), tr~ ~e quali il. ~ig~or Gabriello Cavalli ( 16) con la bomss1ma e gentilissima disposizion sua diede non poco diletto e satisfazione Il codice porta una dedica di Pietro Veccoli: « Alla Ser .ma Infanta Donna Caterina di Austria Duchessa di Savoia 107 106 agli ascoltanti: ma anco a la tragedia vaghezza e ornamento. Per tanto io ho voluto unir detti concerti tutti insieme, e al Ser.mo nome di V. A., che altresl allora tanto (sua mercè) di quelli si dilettò, perpetuamente dedicarli e consecrarli... etc. ». Ed ecco i pezzi musicali, i « concerti »: l) « Primo concerto di tre sirene che uscirono dal mare cantando e sonando tre ghitarre ». Non vi sono indicazioni della sistemazione degli interventi, né qui né altrove, ma la logica dell'azione farebbe pensare che fosse questo il primo intermezzo: nel primo atto, dopo la seconda scena - tra Adelonda ed Antiope - dopo che questa è uscita con le sue compagne a cercare una vittima maschile per i loro sacrifici. E prima della scena in cui Adelonda narra a Romilda il suo sogno: il leone pronto ad essere sacrificato che la guarda con una « dolcezza » che la sforza « ad amarlo». E a questo punto cadrebbe giusto il 2) « Secondo concerto delle sirene » (Tenendo magari anche conto della didascalia della prima stesura che fa tuffare le sirene in mare). 3) « Concerto di tre pastori sonando un leuto sotto un arbore» Comincia con « Uscite, Ninfe, uscite Dai folti boschi ombrosi! » e il ritornello ripete « Poi ch'Amor n'assicura», logicamente cronologicamente sembrerebbe da porsi nel quarto atto, dopo la scena II, allorché Adelonda ha saputo che Mirmirano è vivo. 4 - 5) « Entrata dal balletto dei Serenissimi Prencipi e Prencipesse con sei leuti cantando e sonando » e il « Balletto dei Serenissimi Prencipi e Prencipesse »: poiché cantano: «Ora sempr'a tutte l'ore Cantiam: Viva l'Amore Dolce signore » dov:~bbero essere posti quando da « tragedia » la com- posiZIOne assume il lieto fine della « tragicommedia» (17). 6) «Concerto di tre Arpie, che si fermarono in aria cantando » Pretesto magnifico per usare le favolose « macchine » immancabili negli spettacoli barocchi e usatissime alla Corte di Savoia che scritturava macchinisti famosi a Venezia, Ferrara, ecc. per sbalordire gli spettatori con mirabili « apparizioni ». Dove aveva da esser posto questo intervento? Gli ultimi versi lo indicano chiaramente: « Mira chi di là viene Di quel che qui diciamo esempio chiaro, Mira due prigionieri legati a paro Dannati a mortai pene»; cioè quando catturati, Mirmirano e Almaro vengono condotti al tempio per essere sacrificati. ' Intermezzo, oltretutto necessario per il cambio di scena tra la spiaggia del secondo atto e il tempio del terzo. 7 - 8) il « Concerto di dodici Satiri che sacrificarono a l'Altare de l'Idolo cantando e sonando stromenti da fiato » e la « Replica dei Satiri rallegrandosi per la vittoria d'amore tutti insieme cantando e sonando», che già abbiamo esaminati nella prima stesura, potrebbero coprire invece l'altro passaggio di tempo - tra il terzo e il quarto atto - quando, dopo l'annunzio 108 dato dalla messaggera che due vlttlme sono state catturate, Adelonda si prepara al sacrificio. Il pronostico di felice soluzione fatto da Pan con le sue parole serve oltretutto ad interrompere il clima di « pericolo » che s'è creato nell'azione e indicando la lieta soluzione del dramma, dà « fiato » alla scena successiva dell'atto quarto già inquadrandola meno trucemente, anzi predisponendo lo spettatore al sorriso cui induce l'ingenuità dei due amanti tanto tardi a riconoscersi. 9-1O) Eccoci al « Coro di tre Dame nelle esequie che st fecero a voci solo senza stromenti » e al « Secondo concerto delle tre Dame » la cui collocazione non può essere equivoca, entrando il coro nella gran scena dei funerali all'atto secondo, ed essendo i versi collocati tali e quali, responsorio ad Adelonda, nel testo dellavalliano. 11) L'altro coro indicato da « Ritorna il coro cantando dentro de le tre Dame » anche, non può destar dubbi sulla collocazione: alla fine del quarto atto; subentrando alle tre Dame (il coro che interviene nella scena) e a Romilda di cui cantando ripete l'ultima quartina « Cangia fortuna il volto A le cose mortali, E con incerto volo Alterna i beni e i mali ». 12-13-14) il «Concerto ed entrata di sei pastori, cantando e sonando leuti ed altri stromenti »; il « Concerto di tre pastori innamoati pregando Amore Guidane, Amor, benigno A le felici rive De l'amorose dive Ov'è il tuo regno »; e infine il 109 « Concerto di tre Ninfe rispondendo ai Pastori » (che contiene anche in due quartine un invito nella dimora di Carlo Emanuele « Ov'i felici stati l Godon gli amanti fra iacinti e rose. l Fermate al Po famoso l Con lieti e dolci canti, l Al bel Tauro gioioso l Ove sol rose spira e amaranti ») riescono perfettamente a rendere il passaggio dell'azione dal sanguinoso tempio alle « felici sponde » su cui si scioglierà il dramma. E dopo l'intimazione dell'Idolo « ... Ama, reina, e ami Teco la gente tua! » lo scioglimento inneggiante all'amore del 15) «Concerto e balletto di tre Ninfe e tre Pastori con leuti e voci » a cui pare dar degna conclusione (come già accennammo) il balletto dei principi che cantano «Ora sempr'a tutte l'ore Cantiam: Viva l'Amore Dolce signore! ». GUALTIERO RIZZI (l) Nell'edizione definitiva, come vedremo, questi :rersi vengono cantati, come le strofe seguenti, da <>, secondo l'antica stilizzazione rinascimentale che amava l'espressione corale nelle musiche. (2) Tutti i «copioni, dell'epoca portano dettagliatamente indicati e descritti i costumi che i personaggi dovranno indossare: di solito i bozzetti venivano disegnati <> come « si cantano, negli intermezzi. « Partivasi oltre a ciò di scena il coro alcuna volta e vi ritornava. E gli intermezzi si partono e ritornano. Cantavansi quelle canzoni del coro in assenza degli strioni, i qua"i si partivano lasciata vota la scena, poi tornavano; il che gli intermedi fanno né più né meno. Perché ne' vacui de la comedia ritornano a cantare "· (13) Alberto d'Austria, figlio di Massimili~no Il, cognato di Filippo II di Spagna (che ne aveva sposato m quarte nozze la sorella Anna nel 1570) , Cardinale a diciotto anni nel 1577, Arcivescovo di Toledo dal 1584, era stato creato Governatore della provincia spagnola dei Pa.esi. Bassi nel 1594. L'i~iner~rio . del viaggio verso la sua provmcia prevedeva tappe m Liguna e Piemonte (le sole vie sicure per gli spagnoli che dovevano recarsi nel nord Europa) : Torino doveva accogliere degnamente l'augusto parente con ricevimenti, feste, spettacoli. Il Della Valle che già aveva salutato con un «Epitalamio, la novella sposa Infanta Caterina ( 1585) e della cui Casa faceva parte come « furier mayor de la cavaleriça·, (uria specie d! Intendente : incarico forse non degno di un poeta, ma non di poco conto) venne incaricato di comporre il testo ~er lo spettacolo. Erano forse già conosciute sue opere tragiche precedenti? E ' probabile, se la prima stesura della « Reina di Scozia, è del 1591 e se le altre due ( « Ester, e « Judith , ) furono pure composte verso la fine del secolo. Opera su commissione dunque : il Della Valle ebbe meno di un anno di tempo per comporla e una volta rappresentata non ebbe più modo di ritoccarla e ripulirla con il lungo lavoro di lima che gli era abituale (le sue tragedie non le pubblicò che nel 1627-28). (14) Le congetture secondo cui i principi e le dame furono interpreti dell'opera dellavalliana, a bene interpretare «in quella entrarono , debbon ora essere riviste: « entrorono , con gli intermezzi, cantando e ballando, non recitando. L'abilità, il destro artistico dei principi in quel periodo di solito si manifestavano in musica e danza e, d'altra parte, il « tanto gentilmente e con sì vaghe maniere» sembrerebbe più adattabile a queste discipline che alla recitazione di versi, oltretutto italiani, in una Corte che usava per lo più il francese e lo spagnolo, quando non il dialetto. ( 15) Il tono cortigiano sembra confermare l'ipotesi di cui alla nota 14. (16) «Il soprano bergamasco don Gabriele Cavalli, che troviamo anche indicato col nome di ' chierico ' e di 'pretino ', fu uno dei maggiori personaggi del suo tempo e della risorta cappella ducale. Mancano indicazioni precise sul suo ingres~o in essa che dovette avvenire verso il 1583. Salito presto m molta rinomanza Carlo Emanuele Io volle seco con pochi altri in occasione di ~n suo viaggio a Parigi. Per le sue virtuose doti gli fu conferito il priorato di Santa Maria di Panzolato, presso Fossano e in seguito quello di San Michele di Chivasso. l 112 Sì per primo come pel secondo dei benefizi, il duca volle che venisse dispensato dal pagamento ecclesiastico ' in considerazione della continua et grata servitù che ci ha fatto et piena ci fa di nostro musico' (1598). Don Gabriele Cavalli stette alla Corte di Savoia - con uno stipendio annuo, oltre ai benefizi, di duecento scudi - sino al 1605 circa ». (S. Cordero di Pamparato: I musici alla Corte di Carlo Emanuele I di Savoia) . (17) A proposito della definizione di tragicommedia cfr. Guarini, <> del 1666 (a cura di g.r.m.) ADELONDA DI FRIGIA 89 Adelonda di Frigia: dedica della prima edizione a stampa della « Adelonda di Frigia >>; argomento. 91 La 97 Le musiche di Pietro Veccoli di Giorgio Pestelli 101 « prima Note su « >> del 1595 (a cura di Federico Doglio) gli intermezzi » per l'Adelonda di Frigia di Gualtiero Rizzi CLASSICI ••• Il ITALIANI Il LATINI l Olivetti Lettera è per definizione la macchina per scrivere portatile, il primo gradino sulla scala della scrittura meccanica. La Lettera 32 è un nuovo esempio di perfezione tecnica, una macchina completa, personale nell'uso, universale nella destinazione. È una macchina per tutti; per la corrispondenza familiare, le note di casa, gli appunti di scuola. Dovunque è pronta a servirvi, a seguirvi. O l ivetti Lettera 32 Il POLITICI DELLE Il RELIGIONI DELLA Il SCIENZA DELLA Il SOCIOLOGIA DELLA .. ;· Il FILOSOFIA CLASSICI LA VOC( DI VITTORIO GASSMAN SU DISCHI C(TRA COLLANA LETTERARIA DOCUMENTO DIRETTA DA NANNI DE STEFANI FONIT CETRA TORINO VIA BEATOLA 34 Finito di stampare in Torino per conto del Teatro Stabile della Città di Torino presso la Tipografia Teatrale e Commerciale - Via Ariosto 3

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I quaderni del Teatro Stabile della città di Torino. - Torino : Teatro Stabile di Torino, 1964-1975.

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